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La prima forma di filosofia si è sviluppata nei secoli VII - VI a.C. in Grecia. Questo, però,
non significa che prima, o altrove, gli uomini non abbiano posseduto una qualche
interpretazione del mondo e di se stessi, ma che è in Grecia che che si è assistito al primo
avvio di una ricerca con i tratti propri della filosofia.
La novità assoluta della filosofia è costituita dal metodo, in base al quale si riconoscono
come validi soltanto gli argomenti che mettono alla prova la razionalità umana.
L'atteggiamento filosofico si specifica fin dall'inizio come atto di libertà rispetto alle
credenze, agli usi e ai costumi della tradizione: l'unica autorità che i filosofi riconoscono è
la forza del pensiero. Tali caratteristiche evidenziano il VALORE UNIVERSALE e
l’ATTUALITÀ di questa disciplina.
Il pensatore greco affermava che tutti gli uomini tendono per natura alla conoscenza, in
quanto l'impulso a chiedersi il perché di tutte le cose è tipico degli essere umani. In base
all'etimologia il filosofo non possiede la sapienza, ma la cerca.
Si afferma che la filosofia sia nata in Grecia nel VII-VI secolo a.C., in particolare la
riflessione filosofica si sviluppò nelle colonie ioniche dell’Asia Minore, in città fiorenti come
Mileto, Efeso, Colofone e Samo (poi ad Atene, ma più tardi, nel V sec. a.C.). In questi
centri, pieni di artigiani (fabbri, vasai, carpentieri) e soprattutto commercianti che stavano
colonizzando il Mar Nero e allargano le proprie attività fino all’Egitto, alla Sicilia e alla
Francia del Sud, si respirava una singolare atmosfera di libertà, progresso e vivacità
intellettuale. In questo contesto stava emergendo una nuova classe di cittadini, ricchi e
intraprendenti, che cercavano di mettere in discussione il predominio delle vecchie
aristocrazie agrarie per affermare un sistema politico adeguato ai propri bisogni,
rivendicando pari dignità e eguali diritti politici per tutti, in particolare per i nuovi ceti
sociali. Questa è la prima forma di democrazia di cui abbiamo notizia nel mondo antico,
democrazia intesa come isonomía (= uguaglianza per tutti di fronte alla legge),
Grazie a queste basi è stato possibile per la filosofia nascere e trovare i suoi primi
rappresentanti.
LE SCUOLE FILOSOFICHE
La ricerca filosofica dell'epoca non era mai individuale: nacquero vere e proprie scuole
filosofiche, ovvero gruppi di uomini che vivevano vite comuni e condividevano gli stessi
pensieri e le stesse azioni.
Le scuole filosofiche tra il VII e il V sec a.C. si trovavano prima nelle colonie greche della
Ionia, poi nella Magna Grecia e infine ad Atene, in scuole o raggruppamenti.
Questi filosofi vengono detti "presocratici" per denotare i primi filosofi dei quali abbiamo
testimonianza, anteriori a Socrate che studierà per primo l'uomo, a differenza dei suoi
predecessori che si interrogheranno invece sulla natura e sulla realtà.
Questi studiosi possono dividersi in numerose scuole distinte, a partire dal VI secolo a.C.
in poi:
- i pitagorici, che fondarono una scuola di Crotone, da cui si diffusero in molte città
greche dell’Asia Minore (Pitagora e i suoi seguaci)
- gli eleati, nella città di Elea, città greca situata in Campania (Parmenide e i suoi seguaci,
tra cui Zenone)
Socrate, Platone e Aristotele rappresentarono il pensiero più maturo della filosofia greca
classica, a essi si ispirarono molti altri pensatori e scuole filosofiche di tutti i tempi.
PRESOCRATICI E SOCRATE
I PRESOCRATICI
I primi pensatori della Grecia si interrogarono sulla costituzione della realtà e del mondo
fisico e ricercarono un principio originario alla base dei fenomeni, una causa prima da cui
derivano tutte le cose.
La prima riflessione filosofica si sviluppa nella Ionia intorno VII - VI secolo a.C. per cercare
una risposta a interrogativi sull’origine dell’universo e della vita sulla Terra, con Talete
(considerato uno dei Sette saggi), Anassimene, Anassimandro, tutti e tre di Mileto.
Non sappiamo se Talete abbia scritto delle opere, ma sul suo conto ci sono diversi
aneddoti tramandati da filosofi posteriori: di lui si dice che, tutto intento a studiare i
fenomeni celesti e non badando a dove metteva i piedi, sia caduto in un pozzo,
suscitando il sorriso malizioso di una servetta che avrebbe commentato dicendo che i
filosofi hanno la testa tra le nuvole. Questo testimonia l’immagine negativa dell’epoca
riguardo alla filosofia, intesa come un sapere inutile. Per dimostrare il contrario Talete
sfruttò le sue conoscenze meteorologiche per arricchirsi: si narra che un anno, avendo
previsto un abbondante raccolto di olive, abbia acquistato tutti i frantoi della città , mentre
erano ancora basso prezzo, per affittarli poi a prezzo maggiorato al momento opportuno,
facendo così molti soldi.
1- TALETE
Visse tra la fine del VII secolo e la prima metà del VI secolo, nella città ionica di Mileto.
Non scrisse nulla ma compì molti viaggi in Asia minore e in Egitto. Fin dall’antichità aveva
fama di sapiente: i suoi interessi spaziavano dalla meteorologia all’astrologia e alla
geometria. Ma si dedicò soprattutto a risolvere problemi pratici: il calcolo della distanza
tra due navi in mare, la previsione dei fenomeni atmosferici e dell’eclissi (la tradizione
attribuisce la previsione dell’eclissi solare del 585 a.C.). Dai vari aneddoti tramandati sul
suo conto si ricava il quadro di una personalità concreta che studia la natura e le sue
leggi per trarne beneficio a vantaggio dell’uomo.
L'origine delle cose secondo Talete avviene attraverso l'Acqua (Archè per Talete è
elemento concreto).
(e ciò lo determina attraverso l'osservazione della natura stessa, mostrando come ogni
cosa vivente sia intrisa di questa sostanza che evapora quando c’è la morte,
probabilmente l’esperienza originaria dell’acqua a cui Talete fa riferimento è quella del
parto). Secondo Talete all’inizio esisteva solo un grande oceano quella da cui si è
originata la vita, successivamente si sono originati la terra e corpi celesti. Tutto l’universo
fluttua sulle acque del mare. Quindi l’acqua è l’elemento fondamentale, ossia il principio
di tutte le cose. E tutte le cose vi faranno ritorno quando moriranno andando a
confondersi con l’oceano indefinito. Le idee di Talete non si discostano molto dai miti
degli altri popoli mediterranei, ad esempio le acque del Nilo erano per gli antichi egizi non
solo causa di benessere, ma anche esperienza concreta di origine della vita, infatti
quando il fiume si ritirava dopo le inondazioni lasciava il terreno talmente fertile da
produrre abbondanti raccolti di grano, visti come un miracolo.
2- ANASSIMANDRO
Anassimandro era di Mileto, era un discepolo di Talete, prese parte attiva alla vita politica,
ma il suo interesse furono le ricerche naturalistiche e tecniche; per rispondere alle
esigenze commerciali della sua città, studiò la navigazione e gli strumenti per renderla più
sicura: inventò la prima carta geografica al mondo e importo dall’Oriente l’orologio solare
detto “gnomone”. Egli individuò il principio di tutte le cose in una sostanza indeterminata
e indefinita (e non un elemento determinato come l’acqua, come sosteneva Talete, o
l’aria, come pensava Anassimene, questi erano per Anassimandro degli elementi che
compongono la natura) chiamata APEIRON, parola che significa appunto “SENZA LIMITI”
cioè “senza confini”, “indeterminato”. Egli si chiese anche come le sostanze derivino
dall’Apeiron: egli riteneva, rivelando una grande capacità di astrazione, che tale sostanza
originaria, eterna e senza età, fosse una sostanza primordiale in cui gli elementi non sono
ancora distinti tra loro, da questa sostanza derivano poi tutte le cose secondo una
processo di separazione e differenziazione, governata da una legge necessaria, chiamata
Dike (= la Giustizia).
Non c’è un Dio che procede a separare le cose dall’apeiron, ma un movimento rotatorio in
virtù del quale caldo e freddo, secco e umido e tutti gli altri contrari si sviluppano, tramite
questa SEPARAZIONE DEI CONTRARI si generano infiniti mondi e che si succedono
secondo un ciclo che ha durata eterna.
La separazione, pur essendo alla base della vita, è allo stesso tempo fonte di infelicità, in
quanto gli uomini mantengono la nostalgia per il “tutto originario” da cui derivano. Per
riparare questo male tutti gli esseri viventi devono morire e fare ritorno all’unità perduta
espiando la loro colpa, cioè la nascita, che causa la separazione dall’apeiron in cui si era
contenuti.
“DA DOVE GLI ESSERI HANNO ORIGINE HANNO ANCHE DISTRUZIONE SECONDO
NECESSITÀ “
È una condanna alla perdita della forma, che si ottiene rubandola a qualcun'altro.
Ogni cosa che emerge ruba, ma alla fine paga la pena di essere esistito. Questo eterno
movimento tiene insieme il divenire (CONFLITTO)
3. ANASSIMENE
ARIA o “respiro vitale” è il principio primo. Tutte le cose viventi nascono per
condensazione e rarefazione, che stanno a fondamento di tutte le trasformazioni a senso
ciclico.
Una nuova mentalità: tutti e tre i filosofi appena analizzati considerano la sostanza
primordiale così importante, viva ed eterna da attribuirle caratteri della divinità; inoltre
ammettono una ciclicità nella vita dell’universo, secondo la quale quest’ultimo
periodicamente si dissolverebbe nel principio originario per poi rigenerarsi nuovamente.
2. Forza generatrice
Per quanto queste dottrine conservino ancora analogie con i miti greci, tuttavia
rappresentano qualcosa di nuovo per l’atteggiamento mentale con cui i fenomeni
vengono osservati e perché inaugurano una ricerca razionale delle cause basando le loro
spiegazioni sull’osservazione e sul ragionamento.
La grandezza di Mileto però durò poco, nel 499 a.C. le città della Ionia si ribellarono al
potere dei persiani che però ebbero la meglio: la città di Mileto fu distrutta i suoi abitanti
uccisi o ridotti in schiavitù.
I PITAGORICI
Pitagora: su Pitagora si hanno poche notizie certe, per ricostruire la sua vita ci si basa
sulle testimonianze lasciate dagli antichi, soprattutto Aristotele, in epoca e successive.
Nacque nel 570 a.C. nella città di Samo, dove subì l’influenza di Anassimandro, fece
numerosi viaggi in Egitto e in Oriente. Intorno ai quarant’anni emigrò a Crotone, dove
fondò una scuola che esercitò una notevole influenza sulla vita politica della Magna
Grecia. La scuola pitagorica aveva caratteri di una setta religiosa, in cui discepoli si
differenziavano in acusmatici (= ascoltatori), ai quali era imposto il silenzio e una rigida
disciplina di comportamento e matematici, i quali potevano fare domande ed esprimere
opinioni personali e ai quali venivano rilevate le dottrine più profonde del maestro.
Sembra fosse un uomo fuori dal comune: in grado di fare profezie, miracoli e di
comunicare con le anime dell’aldilà e di ricordare le vite precedenti. I pitagorici erano
legati alla casta sacerdotale e ai governi aristocratici, per questo furono vittime di una
sommossa popolare in cui i democratici incendiarono la scuola. Pitagora,
miracolosamente scampato a questi eventi, fuggì a Metaponto dove morì nel 490 a.C.
La scuola di Pitagora
Il centro culturale della Grecia si spostò da Mileto alle città dell’Italia meridionale (la
Magna Grecia) e della Sicilia, dove emigrarono molte personalità fuggite dall’Asia minore.
Questa città splendida e potenti erano colonie greche del tutto indipendenti, in una di
queste città (Crotone) venne a stabilirsi Pitagora, emigrato da Samo dove si era instaurato
un governo tirannico ostile agli aristocratici, e vi fondò una scuola filosofica, la Fratellanza
Pitagorica, un’associazione politico religiosa di carattere aristocratico, con un’atmosfera
quasi sacrale. Da che ora veniva venerato dei suoi discepoli come una divinità e la sua
figura era avvolta da un alone di mistero. Più che una scuola filosofica, questa sembra
una setta religiosa in cui si seguivano regole specifiche e veniva praticata la comunione
dei beni. In questa fase iniziale della filosofia l’analisi razionale coesiste con il mito. La
scuola presenta anche elementi di grande modernità come l’accettazione delle donne e la
loro partecipazione all’attività di studio. Di questa corrente non c’è nessuna opera:
Pitagora non scrisse nulla, quello che conosciamo del pitagorismo lo dobbiamo da
Aristotele e fonti successive. Le dottrine fondamentali dei pitagorici riguardano due
argomenti:
• La dottrina dell’anima
La dottrina dell’anima
Pitagora non era mosso tanto dalla curiosità per i fenomeni naturali, quanto al desiderio di
tracciare una via di purificazione per l'anima, concepita come un principio divino e
immortale imprigionato nel corpo per una colpa originaria. Si tratta di una dottrina ripresa
dall'orfismo, un movimento religioso diffuso in Grecia, che si aspirava al mitico poeta
Orfeo il quale, era disceso nel mondo dei morti per riportar tra i vivi la moglie Euridice. Gli
orfici ritenevano che, dopo la morte, l'anima fosse destinata a reincarnarsi fino
all'espiazione delle proprie colpe. Era però possibile interrompere questo lungo ciclo
attraverso pratiche o riti di purificazione, permettendo all’anima di tornare presso gli dei.
La ricerca di Pitagora si concentra nello studio dei mezzi per ottenere la liberazione
dell'anima dalla vita materiale; tali strumenti sono da lui individuati:
• in una prassi di vita ascetica, cioè mistica, con un insieme di pratiche negative
(solitudine, mortificazioni, astinenze, digiuni, flagellazioni ecc.), in connessione a una
svalutazione della sfera del corporeo contrapposta alla sfera dello spirituale
• ma soprattutto nell’esercizio della filosofia intesa come una via per la salvezza in
quanto attraverso la ricerca e la conoscenza conduce alla contemplazione dell’ordine
che regna nell’universo (espresso dalla legge dei numeri) consentendo all’uomo saggio
di riprodurne la proporzione la misura anche nella propria vita.
QUINDI l’anima può liberarsi dalla prigione del corpo e della trasmigrazione delle anime
attraverso l’ascesi e la filosofia.
Accanto al tema della cura dell'anima, l'altro nucleo rilevante del pensiero dei pitagorici è
rappresentato dalla dottrina del numero. Tra le due dottrine c'è un nesso molto stretto. La
vita dell'uomo saggio o "filosofo" si caratterizza per l'ordine e la misura con cui sa tenere
a freno gli istinti del corpo.
Questo ordine che il saggio deve apprendere pervade tutto l’universo o cosmo (in greco
kosmos significa ordine). Se contempliamo la volta celeste non possiamo fare a meno di
restare ammirati dal modo regolare e ordinato degli astri, governato dalla legge del
numero, lo stesso vale per le melodie musicali, così come per il succedersi delle stagioni,
dei mesi e dei giorni. Sulla base di queste osservazioni i pitagorici arrivarono ad affermare
che la vera e propria sostanza delle cose non risiede nell'acqua, nell'aria o in qualsiasi
altro elemento fisico come i filosofi avevano sostenuto in passato, ma nel numero. E'
grazie al numero che noi possiamo cogliere la realtà profonda del cosmo, fatta di
proporzione quantitativa tra gli elementi. Il numero è la sostanza delle cose. Questo è
un’intuizione fondamentale che anticipa la prospettiva della scienza moderna: la natura
può essere ricondotta a un ordine misurabile e dunque è possibile rappresentarla e
conoscerla in modo oggettivo. Il numero non è solo per i pitagorici uno strumento di
conoscenza ma e il vere proprio generatore o arché di tutte le cose.
Per i Greci il numero non era qualcosa di astratto, ma aveva delle caratteristiche fisiche e
geometriche. I pitagorici in particolare rappresentavano l'unità con un punto dotato di
estensione spaziale, identificando l'aritmetica e geometria: un numero era
contemporaneamente una figura geometrica e viceversa le figure geometriche
corrispondevano a un numero.
Il numero 1 è concepito come punto fisico (un atomo fisico), il numero 2 come l'insieme di
due punti fisici, tutta la natura come un insieme di punti. Possiamo pure notare che
dall'uno, quindi da un punto, si genera la linea se ne facciamo un altro (linea);
aggiungendone un terzo possiamo formare una superficie (triangolo), con un quarto
possiamo formare un solido (piramide).
I Pitagorici affermavano che alla base di tutti i rapporti tra le cose vi fossero i rapporti tra i
numeri. I numeri si dividono in:
Di conseguenza
Tra questi aspetti c'è una lotta soltanto apparente perché la natura profonda delle cose
tende all'armonia e alla conciliazione: la diversità si risolve in una superiore unità.
Nella dottrina pitagorica quasi tutti i fenomeni della vita hanno una relazione con i numeri,
tanto che questi ultimi sono assunti a simboli delle virtù sociali.
Il numero 10 è il numero perfetto, raffigurato come un triangolo che ha come lati il 4, esso
contiene sia il pari sia il dispari.
I Pitagorici era soliti prestare il loro giuramento di fedeltà all'associazione sulla sacra
figura della tetraktýs .
Tetraktýs
Quindi: l’arché si identifica con il numero (tutte le cose derivano dal numero in base a
rapporti armonici e matematici riguardanti l’anima e il cosmo, il cosmo inteso come
ordine misurabile in cui i rapporti tra le cose corrispondono a rapporti tra i numeri (le cose
perfette sono i numeri pari non limitati e le cose perfette sono i numeri dispari limitati).