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La dimora del Principe

marco folin

Secondo un’ininterrotta consuetudine risalente all’età romana, nell’Euro-


pa medievale il palatium del sovrano rappresentava uno dei primi e più tangibili
segni della regalità monarchica, e se ne potrebbero addurre innumerevoli esem-
pi: dalla Costantinopoli di Giustiniano all’Aquisgrana di Carlo Magno, dalla Go-
slar di Enrico IV alla Foggia di Federico II.1 In seguito ci pensarono gli autori di
specula principum a ribadire e codificare la tradizione, annoverando la Magnifi-
cenza – intesa anche e soprattutto come magnificentia aedificandi – nel ristretto
gruppo delle Virtù sovrane per eccellenza.2 Così, per esempio, in uno dei manua-
li più letti e citati ancora in pieno Rinascimento, Egidio Colonna poteva rifarsi
all’autorità di Aristotele (e san Tommaso) per sostenere che «reges et principes
debeant habere habitationes mirabiles et subtili industria constructas»: per ra-

1. Sul tema delle ‘architetture di potenza’ e gnificence, «Journal of the Warburg and Cour-
della relativa eredità, cfr. E. Baldwin Smith, tauld Institutes», XXXIII (1970), pp. 162-170;
Architectural Symbolism of Imperial Rome and L. Green, Galvano Fiamma, Azzone Visconti
the Middle Ages, Princeton 1956; K.M. Swo- and the Revival of the Classical Theory of Magni-
boda, Palazzi antichi e medioevali, «Bollettino ficence, ivi, LIII (1990), pp. 98-113; M. Warnke,
del Centro di Studi per la Storia dell’Archi- Liberalitas principis, in Arte, committenza ed eco-
tettura», XI (1957), pp. 3-33; Id., The Problem nomia a Roma e nelle corti del Rinascimento
of the Iconography of Late Antique and Early (1420-1530), a cura di A. Esch e C.L. From-
Mediaeval Palaces, «Journal of the Society of mel, Torino 1995, pp. 83-92; L. Giordano,
Architectural Historians», XX (1961), pp. 79- Edificare per magnificenza. Testimonianze lette-
85; e più recentemente E. Voltmer, «Palatia» rarie sulla teoria e la pratica della committenza di
imperiali e mobilità della corte (secoli IX-XIII), in corte, in Il principe architetto, Atti del convegno
Arti e storia nel Medioevo, a cura di E. Castel- internazionale, Mantova, 21-23 ottobre 1999,
nuovo e G. Sergi, I, Tempi, Spazi, Istituzioni, a cura di A. Calzona, F.P. Fiore, A. Tenenti e
Torino 2002, pp. 557-630; M. Bacci, Artisti, C. Vasoli, Firenze1992, pp. 215-227; per
corti, comuni, ivi, pp. 648-654. qualche riferimento transalpino cfr. anche S.
Thurley, The Royal Palaces of Tudor England,
2. Cfr. A.D. Fraser Jenkins, Cosimo de’ Medici’s
New Haven-London 1993, pp. 11-23.
Patronage of Architecture and the Theory of Ma-
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gioni appunto di Magnificenza, per imporre ai sudditi un’immagine di irraggiun-


gibile superiorità che avrebbe scoraggiato possibili sommosse e infine per dare
alloggio a una corte sempre più numerosa («ubi sunt multae divitiae, multi sunt
qui comedunt illas»).3 E di queste idee è facile seguire l’intensa circolazione, nel-
la letteratura tardomedievale e ancora rinascimentale, da Galvano Fiamma a Ch-
ristine de Pisan, da Leonardo Bruni a John Skelton, dal Platina a Pontano e a
molti altri ancora.
Di qui un fenomeno del tutto ricorrente nel corso dei secoli: a ogni fase di
consolidamento del potere dinastico, se non a ogni ascesa sul trono di un sovra-
no dalla personalità particolarmente energica, sembra immancabilmente corri-
spondere la (ri)costruzione di una o più regge in forme monumentali, come ma-
nifesto delle ambizioni della Corona. Così, per limitare l’attenzione ai più cla-
morosi casi quattrocenteschi, avvenne in Francia con Carlo V il Savio ai primi del
secolo; 4 così accadde in Inghilterra con Edoardo IV di York; 5 così in Borgogna
con Filippo II l’Ardito e in Provenza con Renato d’Angiò; 6 né furono da meno i
grandi monarchi-architetti del Cinquecento – da Francesco I nella Valle della
Loira a Enrico VIII lungo il Tamigi, da Massimiliano I a Innsbruck a Filippo II al-
l’Escorial –, le cui imprese edilizie anzi possono essere comprese appieno solo
sullo sfondo di questo contesto di lungo periodo.7

3. «Quod autem reges et principes debeant «Documenti e Studi sulla Tradizione Filoso-
habere habitationes mirabiles et subtili indu- fica Medievale», II (1991), pp. 239-279).
stria constructas, probat Philosof. duplici ra-
4. Cfr. F. Autrand, Charles V le Sage, Paris
tione, quarum prima sumitur ex parte magni-
1994, pp. 760-766; e B. Bove, Les palais
ficentiae regiae, secunda ex parte populi. Pos-
royaux à Paris au Moyen Âge (XI e-XV e siècles), in
sumus autem et nos tertiam rationem addere,
Palais et pouvoir de Constantinople à Versailles, a
ex parte familiae et ministrorum ... Secunda
cura di M.F. Auzépy e J. Cornette, Paris
via investigandum hoc iem sumitur ex parte
2003, pp. 67-74.
ipsius populi, et hanc tangit Philosophus, ubi
ait quod Principes decet sic magnifica facere, 5. Thurley, The Royal Palaces, cit., pp. 18-21.
et talia aedificia construere, quod populus ea
6. F. Robin, La cour d’Anjou-Provence. La vie
videns quasi sit mente suspensus propter
artistique sous le règne de René, Paris 1985, pp.
vehementem admirationem, nam populus
93-164. Quanto alla committenza architetto-
minus insurgit contra principem, videns
nica dei duchi di Borgogna, cfr. ancora O.
ipsum sic magnificum ... Tertia via sumitur ex
Cartellieri, The Court of Burgundy, London
parte ministrorum et familiae, nam ubi mul-
1972 (I ed. 1929), pp. 24-35. Sulla situazione
tae sunt divitiae, multi sunt qui comedunt il-
spagnola, per certi versi comparabile a quella
las. In domibus ergo regum et principum
delle altre monarchie europe, cfr. R. Domín-
oportet multos abundare ministros, ut ergo
guez Casas, Arte y Etiqueta de los Reyes Católi-
non solum personas regis et principis, sed
cos. Artistas, residencias, jardines y bosques, Ma-
etiam multitudo ministrorum debite commo-
drid 1993; e più recentemente M.A. Ladero
rari possint in aedificiis constructis, oportet
Quesada, Los alcázares reales en la Baja Edad
ipsa esse magnifica» (Egidio Colonna, De re-
Media castellana. Política y sociedad, in Los Alcá-
gimine principum libri III, Roma, Bartolomeo
zares reales. Vigencia de los modelos tradicionales
Zanetti, 1607, pp. 353-356; su cui cfr. R.
en la arquitectura áulica cristiana, a cura di
Lambertini, Il filosofo, il principe e la virtù. No-
M.Á. Castillo Oreja, Madrid 2001, p. 11-35.
te sulla ricezione e l’uso dell’Ethica Nicomachea
nel De regimine principum di Egidio Romano, 7. Cfr. H. Günther, Kaiser Maximilian I. zei-
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All’interno di questo comune orizzonte va tuttavia registrata una vistosa


eccezione: quella costituita dall’Italia centro-settentrionale, dove le dinastie si-
gnorili che pur si erano andate affacciando sulla scena urbana sin dalla fine del
Duecento non arrivarono mai a emanciparsi del tutto dalle proprie origini mu-
nicipali – un po’ per l’inconsistenza dei loro titoli di sovranità, un po’ per la for-
za della tradizione comunale che continuò sempre a condizionare il linguaggio
politico cittadino –, non riuscendo per tutto il Medioevo a imporre un’immagi-
ne di sé pleno iure monarchica.8 Non v’è città che non abbia il suo palazzo comu-
nale, nel nostro paese; ma sino all’alba dell’Età moderna erano relativamente po-
che quelle che potevano vantare la presenza di una vera e propria reggia dinasti-
ca: ossia di una sede di rappresentanza del sovrano, allestita come sua dimora pri-
vilegiata – e dunque munita di una serie di locali deputati, articolati intorno alla
vecchia triade canonica aula regia, cubiculum, capella –, ma al tempo stesso attrez-
zata anche per l’esercizio dei poteri di governo (e quindi fornita di spazi atti al
lavoro degli officiali signorili, a partire dalla cancelleria).
Senza dubbio, nella Penisola sin dal Trecento non mancarono i tentativi
di tradurre le ambizioni dinastiche in ‘architetture di potenza’ di respiro monu-
mentale, che finirono per modificare in profondità il paesaggio urbano delle città
in cui vennero costruite: tale fu certo il caso, per esempio, del palazzo di Azzone
Visconti a Milano (1340 ca.), o quello della cosiddetta ‘Reggia’ innalzata a Pado-
va da Marsilio e Ubertino da Carrara di lì a qualche anno.9 Ma sono esempi ab-
bastanza isolati, e che non paiono generalizzabili: al contrario, alla base di molti
dei più imponenti complessi signorili costruiti nel corso del XIV secolo non sem-
brano esserci state tanto ansie di magnificenza, quanto assai più concrete urgen-
ze d’ordine difensivo-militare; tant’è che in principio neppure l’Augusta di Ca-
struccio Castracani a Lucca (1332) o il Castelvecchio di Cangrande II della Sca-
la a Verona (1354) sembrano essere stati concepiti come residenze privilegiate
del Signore, bensì essenzialmente come una fra le tante abitazioni temporanee di
cui la casata disponeva in città.10

chnet den Plan für sein Mausoleum, in Il princi- 9. Cfr. ancora G. Lorenzoni, L’intervento dei
pe architetto, cit., pp. 493-516; J. Guillaume, Carraresi, la reggia e il castello, in Padova. Case
François Ier architecte: les bâtiments, ivi, pp. e palazzi, a cura di L. Puppi e F. Zuliani, Vi-
517-532; e M. Chatenet, Francesco I architetto: cenza 1977, pp. 29-50; e, per il palazzo di Az-
i documenti, ivi, pp. 533-544; su Filippo II, cfr. zone Visconti, P. Boucheron, Le pouvoir de bâ-
R. Mulcahy, Philip II of Spain, Patron of the tir. Urbanisme et politique édilitaire à Milan (XI-
Arts, Dublin 2004, e la bibliografia ivi citata; V e-XV e siècles), Roma 1998, pp. 108-125. Al-
quanto a Enrico VIII, cfr. Thurley, The Royal trettanto significativo, ed eccezionale, il caso
Palaces, cit., pp. 39-66. del castello di Pavia: cfr. A. Vincenti, Castelli
viscontei e sforzeschi, Milano 1981, pp. 54-66.
8. Cfr. G.M. Varanini, La propaganda dei regi-
mi signorili: le esperienze venete del Trecento, in 10. Cfr. L. Green, Castruccio Castracani. A
Le forme della propaganda politica nel Duecento study on the origins and character of a fourteenth-
e Trecento, a cura di P. Cammarosano, Roma century Italian despotism, Oxford 1986, pp.
1994, pp. 311-343. 104-112; sul Castelvecchio, cfr. G.M. Varani-
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In effetti, la scarsa propensione delle consorterie signorili italiane a dotar-


si di residenze di rango regale non derivava solo dal loro bisogno di darsi un con-
tegno ‘popolare’, ma anche dai loro particolari usi successori, e nella fattispecie
dall’introduzione assai tarda nella Penisola del sistema della primogenitura, il cui
portato era un’altissima conflittualità intestina in seno alla famiglia dominante,
fra i diversi rami che avevano pari diritti ereditari e che tendevano a risiedere in
edifici, spesso in quartieri, nettamente distinti, se non contrapposti.11 In certi ca-
si (il più emblematico, ma non certo l’unico, è quello della Milano di Bernabò e
Galeazzo Visconti) la città si trovava così ad essere spaccata in due o più settori
assoggettati al controllo di condòmini in lotta fra loro e che non condividevano
solo la titolarità della signoria, ma anche analoghe, e antagonistiche, esigenze di
visibilità, che trovavano espressione nella costruzione di rocche e dimore l’una
contro l’altra armate.12 Ne risultava un paesaggio urbano particolarmente varie-
gato, in cui le strutture che avevano polarizzato la città comunale si intersecava-
no senza forti soluzioni di continuità con gli spazi e gli edifici di pertinenza si-
gnorile – tanto numerosi quanti erano i rami collaterali che si contendevano il
patrimonio dinastico –, senza peraltro far ombra alle grandi magioni aristocrati-
che delle élites patrizie che partecipavano ancora in parte agli onori e agli oneri
del governo della città.
È una situazione abbastanza ben documentata nella maggior parte delle
città che per un certo periodo di tempo furono sede di una corte signorile: a Ve-
rona come a Mantova, a Ferrara come a Camerino, a Pesaro come a Foligno, le
fonti tardomedievali non ci parlano mai di un ‘palazzo’, bensì di una congerie di
domus, più o meno fortificate, a volte ma non necessariamente contigue, spesso
sparse sui due lati di una piazza o di una via pubblica e in cui si sovrapponevano
in maniera concorrenziale funzioni sostanzialmente analoghe.13 Del resto, que-

ni, Castelvecchio come residenza nella tarda età ma 2005, pp. 73-83, 162-167.
scaligera, «Verona illustrata. Rivista del Mu-
12. Cfr. L. Beltrami, Il castello di Milano sotto
seo di Castelvecchio», II (1989), pp. 11-18;
il dominio dei Visconti e degli Sforza, Milano
più in generale, cfr. anche N. Rubinstein,
1894, pp. 20-28. Altro caso particolarmente
Fortified Enclosures in Italian Cities under Si-
interessante e ben documentato è quello car-
gnori, in War, Culture and Society in Renaissan-
pigiano, su cui cfr. M. Ghizzoni, Ordinamen-
ce Venice. Essays in Honour of John Hale, a cura
ti politici e strategie signorili: note di storia urba-
di D.S. Chambers, C.H. Clough e M.E. Mal-
nistica carpigiana tra Medioevo e Rinascimento,
lett, London 1993, pp. 1-8.
in L’ambizione di essere città. Piccoli, grandi cen-
11. Sulle consuetudini successorie delle con- tri nell’Italia rinascimentale, a cura di E. Sval-
sorterie signorili italiane, cfr. ancora F. Nic- duz, Venezia 2004, pp. 121-154.
colai, I consorzi nobiliari e il comune nell’alta e
13. Per Verona, cfr. G.M. Varanini, Patrimo-
media Italia, «Rivista di Storia del Diritto Ita-
nio e fattoria scaligera: tra gestione patrimoniale
liano», XIII (1940), pp. 116-147; M. Barbagli,
e funzione pubblica, in Gli Scaligeri 1277-1387.
Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia in
Saggi e schede pubblicati in occasione della mostra
Italia dal XV al XX secolo, Bologna 1984, pp.
storico documentaria allestita dal Museo di Ca-
189-203; e più recentemente F. Leverotti,
stelvecchio di Verona, a cura di Id., Verona
Famiglia e istituzioni nel medioevo italiano, Ro-
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sto assetto avrebbe continuato a connotare i centri dinastici italiani (salvo a Na-
poli, unica vera ‘capitale’ della Penisola) 14 per buona parte del Quattrocento: e
non solo in realtà ‘minori’ come Carpi, ma anche in centri di grande vivacità cul-
turale come Ferrara, dove, per quanto nel corso del secolo i cancellieri avessero
ideologicamente preso a datare i loro documenti dal palatium estense, i cronisti
ci descrivono viceversa un agglomerato informe di corpi di fabbrica di varia con-
sistenza, confusi fra «puzi, casabitoli, letame da cavali, le legne dela corte, stan-
cie da cani et mile gaiofarie» tracimanti sulle «piacete stomogose» che circonda-
vano la corte.15

Rocche

Fu solo intorno alla metà del Quattrocento che anche in Italia – con il pro-
gressivo cristallizzarsi degli equilibri politici sanciti dalla pace di Lodi e dopo che
molte delle dinastie al potere erano riuscite ad assicurarsi titoli di sovranità più so-
lidi e autorevoli che in passato – iniziarono a maturare le condizioni per la costru-
zione di vere e proprie regge, specificamente e programmaticamente costruite per
ospitare il sovrano e la sua corte, simboleggiandone la pienezza del potere in
città.16 Nel giro di pochi anni furono così avviate alcune operazioni di inedito re-
spiro in quelle che all’epoca erano le tre principali sedi dinastiche della Penisola:

1988, pp. 383-386; e G. Perbellini, Castelli Pesaro: storia di una residenza signorile, a cura
scaligeri, Milano 1982, pp. 34-40; per Manto- di S. Eiche, M. Casciato, M.R. Valazzi e M.
va, G. Rodella, Le strutture architettoniche, in Frenquellucci, Modena 1986, pp. 57-66; per
Il palazzo ducale di Mantova, a cura di G. Al- Foligno, V. Franchetti Pardo, Palazzo Trinci
geri, Mantova 2003, pp. 17-52; e M. Romani, nel contesto della città di Foligno, in Il palazzo
Una città in forma di palazzo. Potere signorile e Trinci di Foligno, a cura di G. Benazzi e F.F.
forma urbana nella Mantova medievale e moder- Mancini, Perugia 2001, pp. 29-50.
na, Brescia 1995, pp. 61-88; per Ferrara, M.
14. Cfr. M. Berengo, La capitale nell’Europa di
Folin, La committenza estense, l’Alberti e il pa-
antico regime, in Id., Città italiana e città euro-
lazzo di corte di Ferrara, in Leon Battista Alber-
pea. Ricerche storiche, a cura di M. Folin, Reg-
ti. Architetture e Committenti, Atti dei Conve-
gio Emilia, in corso di pubblicazione.
gni del Comitato Nazionale (Firenze-Rimi-
ni-Mantova, 12-16 ottobre 2004), a cura di A. 15. Cfr. U. Caleffini, Croniche, 1471-1494, a
Calzona et alii, Firenze, Olschki, 2009, I, pp. cura di F. Cazzola, Ferrara 2006, pp. 17 (di-
257-304; per Camerino, F. Paino, The Palaz- cembre 1472) e pp. 36-37 (27 marzo 1473); e
zo of the da Varano Family in Camerino (Four- Folin, La committenza estense, cit., pp. 277-
teenth-Sixteenth Centuries): Typology and Evo- 284; quanto al caso carpigiano, cfr. ora Il pa-
lution of a Central Italian Aristocratic Residence, lazzo dei Pio a Carpi. Sette secoli di architettura
in The Medieval Household in Christian Europe, e arte, a cura di M. Rossi e E. Svalduz, Vene-
c. 850-c. 1550. Managing Power, Wealth and zia 2008.
the Body, a cura di C. Beatti-A. Maslakovic-S.
16. I primi a farsi investire del titolo ducale
Rees Jones, Turnhout, Brepols, 2003, pp.
furono i Visconti, nel 1395; fu poi il turno dei
335-358; per Pesaro, M. Frenquellucci, Il pa-
Savoia (1416), dei Montefeltro (1443) e degli
lazzo ducale sulla scena della piazza di Pesaro al-
Este (1452, 1471). I Gonzaga, dal canto loro,
l’epoca dei Malatesta e degli Sforza, in La corte di
ottennero il titolo ducale solo nel 1530.
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ossia la ristrutturazione del Castelnuovo per mano di Alfonso d’Aragona a Napo-


li dal 1446 in poi; 17 la ricostruzione del castello di Porta Giovia a Milano, voluta
da Francesco Sforza dopo il suo ingresso in città nel 1450; 18 e il rinnovamento del
palazzo vaticano progettato da Nicolò V a Roma a partire dal 1453.19 Sono inizia-
tive legate da un’evidente aria di famiglia: il modello cui continuavano a far rife-
rimento, seguendo peraltro la strada già imboccata da Sigismondo Pandolfo a Ri-
mini qualche anno prima con l’impresa di Castel Sismondo,20 rimaneva quello tre-
centesco della rocca cittadina, il quale veniva però ora profondamente rinnovato
in termini sia funzionali che di linguaggio architettonico.
Salvo poche eccezioni, infatti, le rocche tardomedievali erano destinate a
usi prevalentemente militari, e solo di rado e in via straordinaria venivano adibi-
te a scopi residenziali: anche le rocche viscontee di Vigevano o Pandino, per
esempio, in origine non erano pensate come luoghi di soggiorno abituale e du-
raturo per il sovrano (e la stessa scelta di Filippo Maria Visconti di risiedere per
vent’anni nel castello di Porta Giovia fu unanimemente stigmatizzata come ec-
centrica dai suoi contemporanei).21 Al contrario, pur senza abbandonare le fun-
zioni militari e l’aspetto autoritario – che ancora per Leon Battista Alberti ne co-
stituivano uno degli elementi distintivi, sì da farne l’«aes tyrannorum» per eccel-
lenza 22 –, le rocche innalzate da Alfonso d’Aragona e Nicolò V (e in parte anche
quella eretta da Francesco Sforza) si configuravano essenzialmente come edifici
di corte: palcoscenici deputati all’esercizio del potere monarchico, attrezzati non
solo per ospitare il sovrano e il suo seguito ma anche, in via ordinaria, una serie
di offici di governo. Era lo stesso aspetto architettonico a manifestare queste

17. In generale, sul Castelnuovo aragonese, Rinascimento, a cura di A. Turchini, Cesena


cfr. ancora R. Filangieri, Castelnuovo reggia 2003, e la ricca bibliografia ivi citata; in par-
angioina e aragonese di Napoli, Napoli 1934, ticolare, sull’uso celebrativo dell’icona del ca-
pp. 39-191; e più recentemente A. Beyer, Na- stello come ‘reggia’ da parte di Sigismondo
poli, in Storia dell’architettura italiana, Il Quat- Pandolfo, cfr. J. Woods-Marsden, How Quat-
trocento, a cura di F.P. Fiore, Milano 1998, pp. trocento Princes used Art: Sigismundo Pandolfo
437-440, con la bibliografia ivi citata. Malatesta of Rimini and cose militari, «Renais-
sance Studies», III (1989), pp. 387-414.
18. Cfr. E. Welch, Art and Authority in Renais-
sance Milan, Yale 1995, pp. 169-238; e Bou- 21. P.C. Decembrio, Vita Philippi Mariae ter-
cheron, Le pouvoir de bâtir, cit., pp. 200-217. tii Ligurum ducis, a cura di A. Butti, F. Fossa-
ti e G. Petralione, Bologna 1925-1958, pp.
19. Cfr. C.L. Frommel, Roma, in Storia del-
281-282.
l’architettura italiana, Il Quattrocento, cit., pp.
377-379; e da ultimo F. Cantatore, In margi- 22. Leon Battista Alberti, De re aedificatoria,
ne alla Vita di Giannozzo Manetti: scrittura e V, 3 (Id., L’architettura [De re aedificatoria], a
architettura nella Roma di Niccolò V, in Leon cura di G. Orlandi, Milano 1966, I, pp. 347-
Battista Alberti. Architetture e committenti, cit., 349); per le implicazioni autoritarie dell’im-
II, pp. 570-578 e la bibliografia ivi citata. magine della rocca, cfr. J. Woods-Marsden,
Images of Castles in the Renaissance: Symbols of
20. Su quell’episodio straordinariamente an-
«Signoria»/Symbols of Tyranny, «Art Journal»,
ticipatore che fu Castel Sismondo (1337-
XLVIII (1989), 2, pp. 130-137; e Boucheron,
1446 ca.), cfr. Castel Sismondo. Sigismondo
Le pouvoir de bâtir, cit., pp. 200-217.
Pandolfo Malatesta e l’arte militare del primo
la dimora del principe 589

nuove valenze nel modo più esplicito e programmatico, ricorrendo al linguaggio


all’antica per incastonare nella struttura di matrice tardogotica una serie di ele-
menti decorativi di scoperto valore celebrativo – logge, gallerie, cortili d’onore,
giardini... –, rivestendo di nuovi significati ‘trionfali’ le forme ereditate dalla tra-
dizione (come nel caso degli ingressi fra torri accoppiate del Castelnuovo di Na-
poli o del palazzo vaticano di Nicolò V).23
Né erano da meno gli ambienti interni, «regaliter exornat[i]» (come scri-
veva Giannozzo Manetti riferendosi al nuovo palazzo pontificio) 24 e progettati
espressamente, a partire dal grande salone destinato alle udienze solenni, per ri-
spondere alle esigenze dei cerimoniali di corte. Così nella reggia di Napoli, per
esempio, chi oltrepassava i battenti bronzei che rievocavano la vittoria aragone-
se sui baroni ribelli si trovava in un cortile circoscritto da portici e prospetti ric-
camente decorati: di fronte a sé aveva la facciata della cappella palatina e lo sca-
lone d’accesso alla Gran Sala, mentre tutto intorno – al piano terra – erano di-
stribuiti i principali offici di governo (la Sommaria, la cancelleria, la tesoreria...);
ai piani superiori si trovavano invece gli appartamenti destinati al re, alla regina,
ai rispettivi familiari e cortigiani, affacciati sul parco e i giardini che circondava-
no il castello.25
Secondo Patrick Boucheron questa sorta di «smilitarizzazione simbolica»
dell’immagine della rocca non era solo una questione di gusti estetici, ma corri-
spondeva anche e soprattutto a una precisa esigenza ideologica: quella di atte-
nuare la carica di aggressività connaturata alla matrice militare dell’architettura
castellana, presentando il regime signorile come espressione di un potere sì mo-
narchico, sovrano, ma del tutto esente da velleità tiranniche.26 Certo è che con
queste innovazioni, lungi dall’essere percepite come un residuo del passato, nel-
la seconda metà del secolo il modello della rocca acquistò una nuova visibilità,
confermandosi come una delle tipologie di dimora ‘regale’ per eccellenza: tant’è
che si possono citare almeno tre casi di prima grandezza – Mantova all’indoma-
ni della Dieta del 1459-1460, Milano per volontà di Galeazzo Maria Sforza
(1467-1468), Ferrara su iniziativa della duchessa napoletana Eleonora d’Arago-
na (1476) – in cui si decise di trasferire in vecchie rocche rimodernate per l’oc-
casione una parte dei locali di corte che prima si trovavano in ‘palazzi di città’ af-
facciati su antiche piazze civiche.27 Basterà ricordare i nomi degli artisti coinvol-
23. Cfr. ora C.L. Frommel, Alberti e la porta 26. Cfr. P. Boucheron, «Non domus ista sed
trionfale di Castel Nuovo a Napoli, «Annali di urbs»: Palais princiers et environnemenet urbain
Architettura», XX (2008), pp. 13-36, con la ua Quattrocento (Milan, Mantoue, Urbino), in
bibliografia ivi citata. Les palais dans la ville. Espaces urbains et lieux de
la puissance publique dans la Méditerranée mé-
24. I. Manetti, De vita ac gestis Nicolai quinti
diévale, a cura di P. Boucheron e J. Chiffoleau,
summi pontificis, a cura di A. Modigliani, Ro-
Lyon 2004, pp. 249-284.
ma 2005, p. 73.
27. Sul trasferimento della corte gonzaghesca
25. Filangieri, Castelnuovo reggia angioina,
nel castello di Mantova, cfr. G. Rodella, S.
cit., pp. 159-178.
590 folin

ti in tali imprese (Mantegna a Mantova, Bonifacio Bembo e in seguito Braman-


te e Leonardo a Milano, Biagio Rossetti a Ferrara) per dire sino a qual punto
queste operazioni, solo apparentemente anacronistiche, potevano essere allora
considerate perfettamente aggiornate e compatibili con l’adozione di soluzioni
all’antica.

Palazzi

Per tutto il Quattrocento, dunque, il ‘tipo’ della rocca costruita minaccio-


samente ai margini della città, per quanto variamente ingentilito da innesti clas-
sicheggianti, rimase un costante punto di riferimento per i prìncipi italiani. Non
era certo l’unico, però, e le stesse ibridazioni a cui veniva correntemente sotto-
posto sono il segno più tangibile della straordinaria varietà di modelli che convi-
vevano nella cultura rinascimentale italiana e che in definitiva ne costituivano il
tratto distintivo nel contesto europeo. Lo si è già sottolineato, la maggior parte
delle dinastie regnanti dal Tevere alle Alpi non avrebbe mai reciso del tutto i le-
gami con le proprie radici municipali, spesso mercantili: radici generalmente ab-
barbicate in una o più case di città, fulcro di un potere che si fondava anche e so-
prattutto su relazioni simbiotiche con gli spazi di mercato e con la società che li
utilizzava, e che dunque erano improntate da assetti, funzioni e dislocazioni spes-
so totalmente diversi rispetto a quelli delle rocche di cui si è appena detto. Si
trattava in genere di organismi edilizi che, pur senza rinunciare completamente
ai parafernali della sicurezza militare (torri, merli, ‘corridori’ fortificati...) pre-
sentavano però caratteri marcatamente civili: dalla destinazione commerciale del
piano terra all’affaccio appunto su una piazza o una strada trafficata; dalla pre-
senza di logge e cortili liberamente accessibili ai sudditi all’articolazione del
complesso di diversi corpi di fabbrica addossati disordinatamente gli uni agli al-
tri, senza un piano d’insieme e in funzione delle esigenze che si erano andate di
volta in volta presentando alla casata. Nella maggior parte dei casi, in effetti, il
processo di affermazione del potere signorile in città era stato lento e accidenta-
to, e la configurazione delle residenze dinastiche non faceva che rispecchiare
questa crescita graduale, non priva di ambiguità e contraddizioni: nel corso del
tempo gli spazi di corte si erano andati progressivamente ampliando e avevano
fagocitato gli edifici circostanti, ma senza mai amalgamarsi con essi in una strut-
tura coerente, anzi spesso ricalcandone l’impianto originario; di rado si era in-
tervenuti a modificare la rete stradale, per esempio, preferendo piuttosto colle-
gare le diverse pertinenze di corte tramite passaggi aerei costruiti a cavallo della
via. Ne risultava una congerie di blocchi edilizi variamente aggregati e sostan-
zialmente indistinguibili dagli edifici circostanti, privi com’erano di chiari segni
di demarcazione che ne delimitassero il perimetro.
la dimora del principe 591

Nel corso del Quattrocento, soprattutto nella seconda metà del secolo,
praticamente tutti questi edifici vennero profondamente rinnovati, e in certi ca-
si ricostruiti dalle fondamenta. È luogo comune che il palazzo mediceo in via
Larga, costruito da Michelozzo di Bartolomeo per Cosimo de’ Medici a partire
dal 1444, possa essere considerato il prototipo del nuovo palazzo quattrocente-
sco all’antica, caratterizzato da una pianta tendenzialmente regolare e un impian-
to assiale, articolato nella sequenza androne d’ingresso, cortile d’onore e giardi-
no sul lato opposto rispetto all’entrata: caratteri, questi, destinati a imporsi dap-
prima in Toscana – da Firenze a Pienza –, in seguito a Roma e a Urbino, per poi
di qui diffondersi un po’ in tutte le città della Penisola, influenzando profonda-
mente i gusti delle élites aristocratiche italiane.28 Ed è stato più volte sottolinea-
to come le soluzioni sperimentate intorno alla metà del secolo fra il Tevere e
l’Arno abbiano contribuito ad alimentare un canone di forme e maniere emula-
te anche altrove nel nostro paese: in proposito si potrebbero addurre vari esem-
pi, dal palazzo dei Bentivoglio a Bologna a quelli di Giulio Cesare Varano a Ca-
merino o di Alessandro Sforza a Pesaro.29

L’Occaso, «...questi logiamenti de castello siano (1475-1504), a cura di R. Comba, Cuneo


forniti et adaptati...». Trasformazioni e inter- 2005, pp. 563-584; B. Adorni, Il castello si
venti in Castello all’epoca del Mantegna, in An- sdoppia: il palazzo di corte vicino alla rocca di
drea Mantegna e i Gonzaga. Rinascimento nel Cortemaggiore, in Il principe architetto, cit., pp.
Castello di San Giorgio, a cura di F. Trevisani, 153-164; e Rocche e fortificazioni nello Stato del-
Milano 2006, pp. 21-35; sugli interventi di la Chiesa, a cura di M.G. Nico Ottaviani, Pe-
Galeazzo Maria Sforza nel castello sforzesco, rugia 2004.
cfr. Welch, Art and Authority, cit., pp. 203-
28. Cfr. A. Bruschi, Brunelleschi e la nuova ar-
240; quanto alla figura di Eleonora d’Arago-
chitettura fiorentina, in Storia dell’architettura
na e la trasformazione del castello in struttu-
italiana, Il Quattrocento, cit., pp. 104-106; F.P.
ra residenziale, cfr. M. Folin, La corte della du-
Fiore, Leon Battista Alberti, palazzi e città, in
chessa: Eleonora d’Aragona a Ferrara, in Donne
Leon Battista Alberti e l’architettura, Catalogo
di potere nel Rinascimento, a cura di L. Arcan-
della mostra, Mantova, 16 settembre 2006-14
geli e S. Peyronel Rambaldi, Roma 2008, pp.
gennaio 2007, a cura di M. Bulgarelli, A. Cal-
481-512; e Id., Eleonora d’Aragona et Ercole I
zona, M. Ceriana e F.P. Fiore, Milano 2006,
d’Este: un couple de souverains bâtisseurs, rela-
pp. 99-100; e C.L. Frommel, Abitare all’anti-
zione presentata al convegno Homme batisseur
ca. Il palazzo e la villa da Brunelleschi a Palladio,
et femme batisseuse: analogie, ambivalence, an-
in Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo.
tithèse?, Parigi, INHA, 1-2 dicembre 2008.
La rappresentazione dell’architettura, a cura di
Per inciso, va osservato che anche la maggior
H. Millon e V. Magnago Lampugnani, Mila-
parte delle dinastie signorili ‘minori’ conti-
no 1994, pp. 183-203; sul palazzo di via Lar-
nuarono per tutto il secolo a utilizzare come
ga, in particolare, cfr. Il Palazzo Medici-Ric-
sede di rappresentanza una rocca, o un «pa-
cardi di Firenze, a cura di G. Cherubini e G.
lazzo in rocca», come lo si trova definito a
Fanelli, Firenze 1990.
Imola: cfr. S. Zaggia, Una piazza per la città
del principe. Strategie urbane e architettura a 29. Sulle ascendenze fiorentine della facciata
Imola durante la Signoria di Girolamo Riario del palazzo di Alessandro Sforza a Pesaro, cfr.
(1473-1488), Roma 1999, pp. 76-78; e, per S. Eiche, Architetture sforzesche, in Pesaro tra
qualche altro esempio, S. Beltramo, La com- Medioevo e Rinascimento, Venezia 1989, pp.
mittenza architettonica di Ludovico II: i castelli di 278-279; su quelle del palazzo Bentivoglio a
Verzuolo e di Saluzzo, in Ludovico II marchese di Bologna, S. Valtieri, Il palazzo Bentivoglio a
Saluzzo. Condottiero, uomo di Stato, mecenate Bologna, in Il palazzo del principe, il palazzo del
592 folin

In effetti, è un po’ in tutta Italia che il rinnovamento dell’architettura pa-


laziale nella seconda metà del Quattrocento segue analoghe direttrici: ovunque,
in particolare, si nota la tendenza ad accorpare i nuclei edilizi prima divisi per
renderne i prospetti più omogenei e leggibili in quanto tali, staccandoli visiva-
mente dal tessuto circostante ed eventualmente allontanandone le funzioni me-
no nobili, trasferite in corpi di fabbrica separati (stalle, fondaci ecc.).30 Un po’
dappertutto si cerca di riorganizzare gli ambienti così ricomposti intorno a un
cortile centrale incorniciato da logge all’antica e nobilitato come fulcro distribu-
tivo dell’intero complesso residenziale («sinus» della casa, lo definiva Leon Bat-
tista Alberti); 31 ovunque si tende a demarcare l’ingresso principale (in genere
connesso direttamente al cortile d’onore, e magari segnalato da stilemi tratti dal
repertorio trionfale) distinguendolo dalla pluralità degli accessi di servizio di vec-
chia tradizione; 32 e ancora si cerca di sancire formalmente il nuovo ordinamento
gerarchico degli spazi di corte, consacrando l’importanza della facciata principa-
le, interamente ridisegnata o comunque enfatizzata, oltre che dal portale d’in-
gresso, da logge, balconi o altri emblemi di distinzione (stemmi di famiglia, cli-
pei, panche, monumenti dinastici...).33

cardinale, il palazzo del mercante nel Rinasci- ce e di guerra nei portali del Rinascimento: la
mento, Roma 1988, pp. 3-32. Quanto al pa- Porta della guerra nel Palazzo di Federico di
lazzo dei Varano a Camerino, cfr. Paino, The Montefeltro, in Federico di Montefeltro, a cura
Camerino Palace, cit., pp. 349-357; S. Corra- di G. Cerboni Baiardi, G. Chittolini e P. Flo-
dini, Il palazzo di Giulio Cesare Varano e l’ar- riani, Roma 1986, II, pp. 65-72.
chitetto Baccio Pontelli, «Studi Maceratesi», V
33. Sulla nuova importanza acquisita dalla
(1969), pp. 186-220; e F. Benelli, Il palazzo
facciata nell’architettura civile del Rinasci-
ducale di Camerino, in Il Quattrocento a Came-
mento, cfr. D. Friedman, Palaces and Street in
rino, a cura di A. De Marchi e M. Gianna-
Late Medieval and Renaissance Italy, in Urban
tiempo Lopez, Milano 2002, pp. 273-274.
Landscapes: International Perspectives, a cura di
30. Era una tendenza, questa, che spesso por- J.W.R. Whitehand e P.J. Larkham, London
tava a disporre di fronte alle «case reali e si- 1992, pp. 69-113; Id., Il palazzo e la città: fac-
gnorili», come non mancava di far notare ciate fiorentine tra XIV e XV secolo, in Il palazzo
Francesco di Giorgio, una «magna et spazio- dal Rinascimento ad oggi, a cura di S. Valtieri,
sa piazza dove l’entrate delle pubriche strade Roma 1989, pp. 101-111; C. Burroughs, The
si riferischi», o per lo meno degli spazi di ri- Italian Renaissance Palace Façade. Structures of
spetto tali da consentire un certo isolamento Authority, Surfaces of Sense, Cambridge 2002;
delle ‘regge’ dagli edifici circostanti (F. di e Clarke, Roman House, cit., pp. 179-227. Più
Giorgio Martini, Trattati di architettura inge- specificamente, sulle panche come emblema
gneria e arte militare, a cura di C. Maltese, di potere, cfr. Y. Elet, Seats of Power. The Out-
Milano 1967, I, p. 70). door Benches of Early Modern Florence, «The
Journal of the Society of Architectural Histo-
31. Alberti, L’architettura [De re aedificatoria],
rians», LXI (2002), 4, pp. 444-469; e, sull’uso
cit., p. 417; in proposito, cfr. Fiore, Leon Bat-
di decorare le facciate dei palazzi con busti di
tista Alberti, cit., pp. 99-100; e G. Clarke, Ro-
imperatori, F. Caglioti, Fifteenth-Century Re-
man House - Renaissance Palaces. Inventing An-
liefs of Ancient Emperors and Empresses in Flo-
tiquity in Fifteenth-Century Italy, Cambridge
rence: Production and Collecting, in Collecting
2003, pp. 255-272.
Sculpture in Early Modern Europe, a cura di N.
32. Vedi ivi, pp. 240-252; e, per un esempio Penny e E.D. Schmidt, New Haven 2008, pp.
specifico, W. Prinz, Simboli ed immagini di pa- 67-109; e Id., Desiderio da Settignano: Profiles
la dimora del principe 593

L’orientamento complessivo sembra dunque abbastanza coerente, e del


tutto in linea con le propensioni toscane; ciò nondimeno, questa apparente uni-
vocità va temperata in base ad alcune considerazioni d’ordine generale. In primo
luogo bisogna sottolineare che, pur con tutto il prestigio che gli architetti fioren-
tini seppero guadagnarsi nel corso del secolo, il richiamo all’Auctoritas dei Clas-
sici non dovette mai passare ‘necessariamente’ dalle rive dell’Arno: i cicli deco-
rativi e lo stesso impianto architettonico della Reggia carrarese o di palazzo Trin-
ci, solo per citare due esempi fra i molti possibili, mostrano come l’Antico offris-
se da tempo ai Signori della Penisola un vasto repertorio di immagini, simboli e
forme autorevoli, in grado di nobilitare e legittimare con la propria vetusta ma-
gniloquenza qualsiasi potere che decidesse di farsene scudo.34 Ancora intorno al-
la metà del Quattrocento la varietà dei possibili canali d’accesso alla cultura an-
tica è ben illustrata da quel «primo fiore del Rinascimento in terra padana» che
fu il cosiddetto arco del cavallo a Ferrara (1443-1451): ossia la base del monu-
mento equestre a Nicolò III d’Este, che non sembra proprio dovuta a una breve
incursione in città di Leon Battista Alberti (come a suo tempo aveva ipotizzato
Adolfo Venturi), bensì ai diuturni studi degli umanisti locali, Guarino da Verona
in testa, a caccia di autonome fonti di ispirazione attinte non tanto a Roma,
quanto direttamente a Costantinopoli.35
Non meno diffusa e anch’essa assai più antica dei lavori michelozziani al
palazzo mediceo è l’inclinazione ad accorpare i fondi e gli edifici sparsi di pro-
prietà signorile in un’insula topograficamente coerente: se ne sono potute segui-
re le tracce già nel corso del XIV secolo nella Lucca dei Guinigi o nella Foligno
dei Trinci, per esempio, per quanto non manchino gli indizi del prender corpo
di analoghe strategie pure a Pesaro, a Urbino, a Ferrara, a Carpi, a Mantova...
(ma la casistica si arricchirebbe molto ampliando il campo d’osservazione anche
a città non signorili, interessate però da dinamiche sostanzialmente affini, come
Genova o Roma).36 E che dire della tendenza a enfatizzare la centralità del cor-

of Heroes and Heroines of the Ancient World, in in Il palazzo Trinci di Foligno, cit., pp. 217-
Desiderio da Settignano, Sculptor of Renaissance 228), lo si ritrova per esempio sin dalla prima
Florence, a cura di M. Bormand, B. Paolozzi metà del Trecento a Mantova e a Verona (cfr.
Strozzi e N. Penny, Milano 2007, pp. 87-101. Varanini, La propaganda, p. 333).
34. In effetti, la presenza di soggetti antichi 35. Cfr. Folin, La committenza estense, cit., pp.
nei grandi cicli decorativi che ornavano gli 260-277.
ambienti di rappresentanza delle domus signo-
36. Su Lucca, cfr. C. Altavista, Lucca e Paolo
rili tardomedievali sembra un dato ampia-
Guinigi (1400-1430): la costruzione di una cor-
mente ricorrente: oltre che a Padova e a Foli-
te rinascimentale. Città, architettura, arte, Pisa
gno (su cui cfr. rispettivamente M.M. Dona-
2005, pp. 30-39; sui Trinci a Foligno, cfr. L.
to, Gli eroi romani tra storia ed «exemplum»: i
Lametti, Il palazzo: dalle preesistenze all’Unità
primi cicli umanistici di Uomini Famosi, in Me-
d’Italia, in Il palazzo Trinci di Foligno, cit., pp.
moria dell’antico nell’arte italiana, II, I generi e i
51-104; e Franchetti Pardo, Palazzo Trinci,
temi ritrovati, a cura di S. Settis, Torino 1985,
cit. Sulle dimore dei Malatesta a Pesaro, poi
pp. 103-124; e L. Sensi, Aurea quondam Roma,
in parte unificate nel palazzo ducale sforze-
594 folin

tile d’onore come snodo fondamentale dei percorsi d’accesso agli ambienti inter-
ni del palazzo? Certo, è un aspetto lucidamente teorizzato da Leon Battista Al-
berti in un passo molto noto e citato del De re aedificatoria; ma in realtà si tratta
di un impianto distributivo che troviamo già perfettamente maturo nel palazzo
di Avignone, che sappiamo essere stato uno dei grandi modelli ispiratori dei
committenti tardomedievali.37 L’impressione, insomma, è che il caso fiorentino
non costituisca tanto il motore immobile del processo che stiamo qui evocando,
quanto una delle sue tante declinazioni: una declinazione senza dubbio partico-
larmente consapevole ed esplicita, ma non necessariamente quella predominan-
te, almeno per buona parte del secolo, né certo la più precoce.
D’altro canto, va detto che il peso delle preesistenze e dei condizionamenti
locali (disponibilità di materiali, tradizioni costruttive, peculiarità topografiche ecc.)
comportava la necessità di una profonda rielaborazione autoctona dei modelli che
pure iniziavano a circolare. Non a caso, pare che i Signori italiani non siano mai riu-
sciti a dare un assetto davvero geometrico alle proprie dimore (salvo forse i Benti-
voglio a Bologna, ma sul loro palazzo disponiamo solo di documenti indiretti, o as-
sai tardi, e questo dovrebbe invitare alla prudenza),38 limitandosi nei casi più fortu-
nati a occupare uno o più isolati già esistenti di cui venivano al massimo rettificati i
fronti viari. In effetti, per gli architetti e i committenti del Quattrocento la domus
romana vagheggiata sulla scorta delle fonti antiche e dei moderni tentativi di resti-
tuzione sembra essere stata un punto di riferimento di carattere soprattutto teori-
co-regolativo, non realizzabile concretamente se non a prezzo di forti adattamenti
alla complicata realtà urbana tardomedievale: ed effettivamente adottato soprattut-
to a livello di dettagli, per frammenti (la loggia, il portale, l’atrio, il partito decora-
tivo, il cortile ecc.), tramite aggiustamenti progressivi spesso dilatati su un lungo ar-
co di tempo e senza mai fare tabula rasa delle vestigia dei secoli precedenti.39

sco, cfr. Eiche, Architetture sforzesche, cit., pp. me, Paris 1994, pp. 11-24; B. Schimmelpfen-
274, 282; e Frenquellucci, Il palazzo ducale, nig, Ad maiorem pape gloriam. La fonction des
cit. Quanto all’accenno a Roma e a Genova, pièces dans le palais des papes d’Avignon, ivi, pp.
cfr. rispettivamente H. Broise, J.-C. Maire 25-46; e più generalmente D. Vingtain, Avi-
Vigueur, Strutture famigliari, spazio domestico e gnon. Le Palais des Papes, St. Léger Vauban
architettura civile a Roma alla fine del Medioevo, 1998 (trad. it. Avignone. Il Palazzo dei Papi,
in Storia dell’arte italiana, III/5, Momenti di ar- Milano 1999).
chitettura, Torino 1983, pp. 114-145; E.
38. Cfr. W.E. Wallace, The Bentivoglio Palace
Grendi, Profilo storico degli Alberghi genovesi,
Lost and Reconstructed, «Sixteenth Century
«Mélanges de l’École Française de Rome»,
Journal», X (1979), 3, pp. 97-114; Valtieri, Il
LXXXVII (1975), 1, pp. 241-302; E. Poleggi, P.
palazzo Bentivoglio a Bologna, cit.; e più recen-
Cevini, Genova, Roma-Bari 1981, pp. 68-76.
temente C. James, The Palazzo Bentivoglio in
37. Cfr. Alberti, L’architettura [De re aedifica- 1487, «Mitteilungen des Kunsthistoriscen In-
toria], cit., p. 417; quanto alla distribuzione stitutes in Florenz», XLI (1997), pp. 188-196;
degli ambienti nel palazzo di Avignone, cfr. e R.J. Tuttle, Bologna, in Storia dell’architettura
G.M. Radke, Form and Function in Thir- italiana, Il Quattrocento, cit., pp. 266-268.
teenth-Century Papal Palaces, in Architecture et
39. Sulla fortuna rinascimentale della domus
vie sociale à la Renaissance, a cura di J. Guillau-
romana, cfr. Clarke, Roman House, cit.
la dimora del principe 595

Assolutamente emblematico, da questo punto di vista, sembra il caso del


palazzo di Federico da Montefeltro a Urbino (1464-fine anni Settanta), rispetto
a cui Arnaldo Bruschi ha recentemente sostenuto l’impossibilità di discernere un
progetto unitario e coerente, dato il gran numero di architetti, volontà, idee non
sempre coerenti che vi si incontrarono, dando forma a un complesso congenita-
mente composito ed eterogeneo: qui, come altrove, l’importanza dei merli come
principale elemento unificante dei diversi corpi di fabbrica in cui si articolava il
palazzo la dice lunga sui limiti dell’impresa di normalizzazione condotta da Fe-
derico, e d’altro canto sulla sua radicata volontà di non rinnegare mai del tutto il
lessico di retaggio medievale.40 Non è l’unico segnale della perdurante varietà
delle fonti di ispirazione a cui per tutto il secolo continuarono ad attingere i Si-
gnori e i loro architetti: un altro indizio di grande pregnanza è la presenza, al pia-
no terra di molte delle nuove dimore signorili costruite nel Quattrocento, di
schiere di botteghe, inquadrate o meno da logge, che non si peritavano di denun-
ciare la propria destinazione ‘bassamente’ commerciale; e questo non soltanto
lungo i prospetti secondari del palazzo, ma anche in bella vista sulla facciata prin-
cipale (così a Ferrara, a Pesaro, a Faenza...).41 Era una soluzione che trovava scar-
sissimi appigli nelle fonti classiche, e che viceversa – se non esplicitamente ripro-
vata dai trattatisti contemporanei – veniva però da loro in genere associata alle
abitazioni delle classi inferiori («tenuiorum aedificationes», diceva Leon Battista
Alberti) e in ogni caso ritenuta del tutto inadatta alla dimora di un sovrano.42 Ciò
nondimeno, le botteghe avrebbero continuato a fare bella mostra di sé sui quat-
tro fianchi delle nuove regge quattrocentesche, ostentate come segno identitario

40. Cfr. A. Bruschi, Luciano di Laurana. Chi tettura, a cura di F. Bertoni, Faenza 1993, pp.
era costui? Laurana, fra Carnevale, Alberti a 79-84.
Urbino: un tentativo di revisione, «Annali di
42. Cfr. Alberti, L’architettura [De re aedifica-
Architettura», XX (2008), pp. 37-81 (p. 60 sui
toria], cit., pp. 435-437 (sostanzialmente con-
merli in funzione unificante); sul palazzo, cfr.
corde Filarete: cfr. Antonio Averlino detto il
anche F.P. Fiore, Urbino: i Montefeltro e i Del-
Filarete, Trattato di architettura, a cura di
la Rovere, in Corti italiane del Rinascimento. Le
A.M. Finoli e L. Grassi, Milano 1972, I, pp.
arti e la politica nella prima età moderna, a cura
323-330). Un labile accenno alla possibilità di
di M. Folin, Milano, in corso di pubblicazio-
mettere botteghe a piano terra (ossia «stabu-
ne, con la bibliografia ivi citata. Profili mer-
la, tabernae» nei «vestibuli» delle case di co-
lati come quello del Palazzo di Urbino costi-
loro «qui fructibus rusticis serviunt») si trova
tuiscono un motivo assolutamente ricorrente
in Vitruvio, De architectura, 6, 5, 1 (a cura di
dell’architettura signorile italiana del XV se-
P. Gros, Torino 1997, II, p. 844). Sull’estra-
colo: li ritroviamo a Bologna come a Manto-
neità del palazzo con botteghe alla tradizione
va, a Roma come a Ferrara, a Gubbio come a
edilizia fiorentina (ma non a quella romana),
Pesaro e generalmente nella maggior parte
cfr. A. Belluzzi, Residenze di mercanti fiorentini
dei casi su cui disponiamo informazioni.
nel Cinquecento, in Il mercante patrizio. Palazzi
41. Per Ferrara, cfr. Folin, La committenza e botteghe nell’Europa del Rinascimento, a cura
estense, cit., pp. 282-283, 293-294, 300-301; di D. Calabi, Milano 2008, pp. 117-130; e C.
per Pesaro, Eiche, Architetture sforzesche, cit., Conforti, Palazzi con botteghe nella Roma mo-
pp. 280-281; per Faenza, E. Godoli, Faenza derna, ivi, pp. 131-138.
dall’XI al XVI secolo, in Faenza: la città e l’archi-
596 folin

forte in quanto radicato nella tradizione politico-economica cittadina, oltre che


come una imprescindibile fonte di reddito per le casse signorili: a tal punto che
a Imola, per esempio, Girolamo Riario poté edificare un intero palazzo sulla
piazza principale della città deputandolo prevalentemente a sede di botteghe,
magazzini e offici pubblici.43

Dimore di campagna

A osservare il panorama offerto dai palazzi dinastici costruiti o rinnovati


nel corso del Quattrocento, dunque, non sembra di avere a che fare tanto con un
processo lineare di irradiamento progressivo dell’influenza fiorentina nel resto
della Penisola, quanto con una dialettica sempre aperta fra alcuni canoni classi-
cisti da un lato (di cui è vero che a partire da una certa data i Medici si propose-
ro come interpreti privilegiati), e dall’altro con una serie di consuetudini locali
orgogliose dei propri motivi di distinzione, anzi spesso tese, in un contesto
profondamente emulativo quale quello italiano, ad accentuarne i tratti più rico-
noscibili. È sostanzialmente lo stesso orizzonte che si presenta a prendere in con-
siderazione un terzo genere di dimore degne, se non tipiche, di sovrani abituati
a itinerare continuamente nei propri domini, come erano soliti fare un po’ tutti
i Signori italiani del Rinascimento: ossia quei palazzi di campagna che per certi
versi potrebbero essere assimilati a delle ‘ville’ (per usare un termine che sareb-
be divenuto d’uso corrente più tardi, ma che già allora rinviava a una realtà dif-
fusa e perfettamente riconoscibile), pur distinguendosi per il loro carattere di re-
sidenza ‘ufficiale’, di rappresentanza, deputata specificamente all’esibizione del-
le virtù regali del Principe.
Dai fondamentali studi di Ackerman in poi, un ruolo di spicco nell’evolu-
zione delle residenze rurali delle élites nobiliari italiane ed europee è stato attri-
buito per un verso alle prime ville medicee – Trebbio, Careggi, Fiesole... per cul-
minare nella straordinaria operazione di Poggio a Caiano –, per altro verso alle
grandi imprese romane di commissione pontificia e cardinalizia, a partire dal
Belvedere di Sisto IV (1487).44 Anche in questo caso, tuttavia, dagli studi più re-
centi emerge un quadro assai più articolato e risalente, in cui le imprese fioren-
tine e romane si profilano come un episodio certo fondamentale, ma che non
avrebbe mai soffocato del tutto la forte vivacità delle tradizioni ‘regionali’, in

43. Zaggia, Una piazza per la città del principe, villa a Firenze e a Roma, in Andrea Palladio e la
cit., pp. 98-128. villa veneta da Petrarca a Carlo Scarpa, a cura
di M. Beltramini e H. Burns, Venezia 2005,
44. Cfr. J.S. Ackerman, The Villa. Form and
pp. 12-29; D.R. Coffin, The Villa in the Life of
Ideology of Country Houses, Princeton 1990
Renaissance Rome, Princeton 1979.
(trad. it La villa. Forma e ideologia, Torino
1992, pp. 82-120); C.L. Frommel, La nuova
la dimora del principe 597

grado di mettere in cantiere operazioni ambiziose e quanto mai consapevoli sin


dalla prima metà del XIV secolo. Poco sappiamo della villa costruita a Massa Pi-
sana da Castruccio Castracani nel terzo decennio del Trecento (per quanto l’in-
coronazione imperiale dipinta su una delle pareti del salone d’onore lasci pochi
dubbi sull’investimento ideologico di cui l’edificio doveva essere espressione); 45
certo è che già negli anni Venti del secolo seguente Paolo Guinigi costruì nel su-
burbio orientale di Lucca un «palagio con uno bellissimo giardino» (Sercambi),
in cui gli capitava di fare «sua dimoragione» alcuni periodi dell’anno facendo
gran sfoggio di magnificenza.46 Nello stesso torno di tempo, operazioni analoghe
sono attestate in Veneto,47 nel Mantovano (a Borgoforte, Gonzaga, Goito, Mar-
mirolo, Marcaria, in seguito a Revere),48 nel Milanese.49 Sembra che la prima vil-
la all’antica, concepita programmaticamente come un tentativo di riesumare le
magnificenti costruzioni descritte da Plinio e Vitruvio, sia stata quella costruita
a Belriguardo nel Ferrarese da Leonello d’Este a partire dal 1435 (vicenda che
ruota ancora una volta intorno al circolo umanistico di Guarino da Verona), per
quanto in realtà già Nicolò III d’Este, padre di Leonello, avesse l’abitudine sin
dalla fine del secolo precedente di passare buona parte dell’anno itinerando fra
le sue residenze di campagna.50
È vero, a un certo momento in questo contesto si inserirà con grande ef-
ficacia quella che è stata definita la diplomazia cultrale dei Medici – Cosimo il
Vecchio prima, soprattutto Lorenzo il Magnifico poi –, e molte delle maggiori
imprese della seconda metà del Quattrocento appaiono riconducibili ad architet-
ti che ruotavano intorno alla cerchia medicea, o che comunque con questa ave-
vano rapporti abbastanza stretti, dal Filarete a Milano a Luca Fancelli a Manto-
va.51 Ben noto è il caso della missione napoletana di Giuliano da Maiano, invia-

45. Sulla villa di Castruccio Castracani, cfr. di Revere, cfr. P. Carpeggiani, Il palazzo gon-
Green, Castruccio Castracani, cit., pp. 184- zaghesco di Revere, Mantova 1974.
185; e Id., Il problema dell’Augusta e della villa
49. L. Giordano, «Ditissima tellus». Ville quat-
di Castruccio Castracani a Massa Pisana, in Atti
trocentesche tra Po e Ticino, in La cascina come
del convegno su Castruccio Castracani e il suo
struttura sociale e economica nelle campagne del-
tempo, [luogo e date del convegno + cura-
la bassa lombarda, «Bollettino della Società
tori degli atti] Lucca 1986, I, pp. 353-377.
Pavese di Storia Patria», n.s., XL (1988), pp.
46. Altavista, Lucca e Paolo Guinigi, cit., pp. 218-219.
136-156.
50. M. Folin, Le residenze di corte e il sistema
47. G.M. Varanini, Cittadini e «ville» nella delle ‘delizie’ fra tardo medioevo e prima età mo-
campagna veneta tre-quattrocentesca, in Andrea derna, in Delizie estensi. Architetture di villa nel
Palladio e la villa veneta, cit., pp. 39-54. Rinascimento italiano ed europeo, a cura di F.
Ceccarelli e M. Folin, Firenze, in corso di
48. Cfr. M.R. Palvarini, C. Perogalli, Castelli
stampa. Su Belriguardo, cfr. M.T. Sambin de
dei Gonzaga, Milano 1983, pp. 54, 56; in par-
Norcen, I miti di Belriguardo, in Nuovi antichi.
ticolare, sul successivo rinnovamento di Goi-
Committenti, cantieri, architetti 1400-1600, a
to e Cavriana, cfr. anche G. Rodella, Giovan-
cura di R. Schofield, Milano 2004, pp. 17-65.
ni da Padova. Un ingegnere gonzaghesco nell’età
dell’Umanesimo, Milano 1988; quanto al caso 51. C. Elam, Art and Diplomacy in Renaissance
598 folin

to nel 1487 da Firenze alla corte di Ferdinando d’Aragona con due «modelli per
disegno di uno palazo», destinati rispettivamente alle ville di Poggioreale e del-
la Duchesca; e l’anno seguente anche Giuliano da Sangallo l’avrebbe seguito con
una grande «pianta d’uno modelo d’uno palazo ch’el magnificho Lorenzo de’
Medici mandò a re Fernando».52 Spesso erano gli stessi Signori a rivolgersi a Fi-
renze per avere suggerimenti e modelli da cui trarre ispirazione: nel 1492, per
esempio, Ludovico il Moro faceva venire a Vigevano sempre Giuliano da San-
gallo con un gigantesco modello di Poggio a Caiano; mentre in quegli stessi an-
ni a Ferrara Ercole I d’Este ricorse a Filippo Strozzi per averei informazioni e
«desegni» in merito al magnifico palazzo che il banchiere fiorentino aveva appe-
na iniziato a costruire, ma di cui già si favoleggiava in tutta Italia.53 E non molto
prima Francesco Gonzaga aveva domandato a Leonardo una pianta e le misure
della villa toscana di Angelo Tovaglia, in modo da poter riprodurre in una delle
sue ville un salone con volta a botte quale quella all’epoca solo progettata per
Poggio a Caiano.54
Ancora una volta, però, bisogna stare attenti a non generalizzare: apparen-
temente la visita di Giuliano da Sangallo a Ludovico il Moro non ebbe partico-
lari conseguenze, se a Vigevano il duca continuò a risiedere nella rocca avita e se
una delle sue principali operazioni nelle campagne circostanti – la «fattoria mo-
dello» della Sforzesca – costituisce un’impresa del tutto originale rispetto a qual-
siasi iniziativa fiorentina del tempo.55 Del resto anche Ercole I d’Este, con tutto
il suo entusiasmo per palazzo Strozzi, non si sarebbe peritato di promuovere un
linguaggio architettonico profondamente radicato nella tradizione autoctona
ferrarese, e programmaticamente estraneo ai canoni che si andavano diffonden-

Florence, «Journal of the Royal Society of pp. 352-357. Più specificamente, sulla Du-
Art», CXXXVI (1988), pp. 813-825; e più in chesca e la villa di Poggioreale, cfr. S. Maffei,
generale F.W. Kent, Lorenzo de’ Medici and the La villa di Poggioreale e la Duchesca di Alfonso II
Art of Magnificence, Baltimore-London 2004. d’Aragona in una descrizione di Paolo Giovio.
Su Fancelli a Mantova, cfr. C. Vasic Vatovec, Moduli dell’elogio e tradizione antica, «Annali
Luca Fancelli architetto. Epistolario gonzaghesco, della Scuola Normale Superiore di Pisa,
Firenze 1979; per il parallelo con Filarete, P. Classe di Lettere e Filosofia», IV (1996), 1-2,
Carpeggiani, Congruenze e parallelismi nell’ar- pp. 161-182.
chitettura lombarda della seconda metà del Quat-
53. F.W. Kent, ‘Più superba de quella de Loren-
trocento: il Filarete e Luca Fancelli, «Arte Lom-
zo’: Courtly and Family Interest in the Building
barda», XXXIX (1973), pp. 53-61.
of Filippo Strozzi’s Palace, «Renaissance Quar-
52. In proposito, si veda la relativa scheda di terly», 30 (1977), p. 311-323.
C. Brothers in Andrea Palladio e la villa vene-
54. B.V. Brown, Leonardo and the Tale of three
ta, cit., pp. 232-235; sull’attività di Giuliano
Villas: Poggio a Caiano, the Villa Tovaglia in
da Maiano a Napoli, cfr. G. Hersey, Alfonso II,
Florence and Poggio Reale in Mantua, in Firen-
Benedetto e Giuliano da Maiano e la porta reale,
ze e la Toscana dei Medici nell’Europa del Cin-
«Napoli Nobilissima», IV (1964), pp. 77-92;
quecento, a cura di G. Garfagnini, Firenze
G. Hersey, Alfonso II and the Artistic Renewal of
1983, III, pp. 1053-1062.
Naples 1485-1495, New Haven-London
1969, pp. 51-81; A. Beyer, Napoli, in Storia 55. Giordano, «Ditissima tellus», cit., pp. 268-
dell’Architettura Italiana. Il Quattrocento, cit., 269.
la dimora del principe 599

do altrove nella Penisola, per quanto capace di stimolare operazioni affini anche
in aree vicine e non direttamente soggette al suo controllo come Bologna (dove
alla fine del secolo la ‘delizia urbana’ della Viola si ispirava apertamente ai giar-
dini allestiti qualche anno prima da Eleonora d’Aragona a Ferrara).56

La distribuzione degli spazi interni

Molti e variegati, dunque, i modelli che continuarono a circolare nel no-


stro paese per tutto il Quattrocento. Tuttavia, alcune costanti sembrano deli-
nearsi comunque, a partire dalla propensione a uniformare i prospetti perimetra-
li nell’intento di rendere più organici e coerenti gli eterogenei complessi edilizi
ereditati dal tardo medioevo. All’esterno, dunque, la tendenza era alla chiusura
della reggia, o in ogni caso a una sua più netta delimitazione in una mole com-
patta; mentre all’interno ci troviamo di fronte a una corrente complementare, se
non contraria: ossia la volontà di aprire e articolare gli ambienti di corte, dotan-
doli di cortili e giardini, logge aperte sul verde e scaloni di ampio respiro, in una
generale dilatazione degli spazi e disseminazione delle funzioni che prima erano
compresse nei medesimi locali. È un fenomeno assolutamente ricorrente: che si
abbia a che fare con vecchie rocche riattate, ‘ville’ rurali o palazzi di città costrui-
ti ex novo, dappertutto si riscontra il medesimo proposito di dare un assetto più
disciplinato agli spazi interni della corte, riorganizzandoli in modo da tenere ben
distinte e separate le varie attività che vi si svolgevano – e in qualche misura le
diverse categorie di persone che se ne occupavano –, ridistribuendole negli edi-
fici secondo un ordine essenzialmente gerarchico.
Così, un po’ ovunque ci troviamo di fronte al tentativo di dividere gli am-
bienti di rappresentanza, deputati a funzioni fondamentalmente pubbliche, dai
quartieri ‘privati’ (o «segreti», come allora si diceva), riservati all’uso domestico
del Signore e spesso dislocati nelle aree meno accessibili dei complessi di corte.57
Nella maggior parte dei casi i primi furono oggetto di radicali interventi di rin-
novamento nel corso del secolo, facendo ampio ricorso al repertorio classico, di-
spiegato con particolare magniloquenza soprattutto nel cortile d’onore e nella
«sala magna» – ultima declinazione della vecchia «aula regia» di carolingia me-
moria, deputata alle udienze solenni e alle cerimonie di autocelebrazione del po-
tere.58 Quanto ai quartieri ‘privati’, essi presero generalmente ad arricchirsi di

56. Cfr. ivi, pp. 210-211; e G. Sabadino degli Interior 1400-1600, London 1991 (trad. it.
Arienti, Descrizione del Giardino della Viola in Interni del Rinascimento italiano, Milano
Bologna, a cura di B. Basile, in Bentivolorum 1992), pp. 294-300.
Magnificentia. Principe e cultura a Bologna nel
58. Cfr. L. Giordano, La sala grande tra tardo
Rinascimento, Roma 1984, pp. 274-284.
Medioevo e primo Rinascimento, in Imperatori e
57. Cfr. P. Thornton, The Italian Renaissance Dei. Roma e il gusto per l’antico nel Palazzo dei
600 folin

una serie di locali di contorno (biblioteche, studioli, bagni, giardini segreti, ca-
mere per l’ascolto di musica...) che venivano ad avere un ruolo sempre più ne-
vralgico nella vita di corte, sia sul piano architettonico che su quello del cerimo-
niale.59 Molti di questi ambienti nel XV secolo non erano del tutto inediti, e se ne
possono trovare tracce sparse già nelle fonti medievali: quel che era nuovo era
l’investimento ideologico di matrice umanistica di cui essi venivano ora fatti og-
getto, e che trovava generalmente espressione in apparati decorativi allestiti con
spese e sfarzo inusitati nei secoli precedenti.60
Questo processo ne trascinava con sé un altro, strettamente interconnes-
so al primo: con il dilatarsi degli spazi di corte in un’articolata costellazione di
ambienti (coperti o meno che fossero) tendenzialmente riordinati in base alle ri-
spettive funzioni, all’interno delle nuove regge si veniva a organizzare anche una
serie di percorsi privilegiati, strutturati secondo alcuni schemi distributivi abba-
stanza ricorrenti. Dall’ingresso principale si accedeva al cortile, intorno a cui
molto spesso avevano sede i principali offici di governo del regime signorile a
partire dalla cancelleria; dal cortile si accedeva inoltre allo scalone, il quale con-
duceva più o meno direttamente alle sale d’apparato al primo piano (salone d’o-
nore, salotti, anticamere ecc.); di qui, poi, attraverso una successione di ambien-
ti di dimensioni sempre più ridotte, si passava ai quartieri privati del sovrano: ca-
mera da letto con relative guardiacamere, oltre appunto a una serie di «cameri-
ni» ‘segreti’ (studiolo, bagno ecc.), spesso, ove possibile, affacciati sul verde di un
giardino. Viceversa, i locali di servizio – cucine, caneve, stalle, stanze per la ser-
vitù... – sarebbero stati progressivamente emarginati in zone del palazzo rigoro-
samente separate e sottratte alla vista del sovrano e dei suoi visitatori più illustri.

Pio a Carpi, a cura di M. Rossi, Carpi 2006, politan Museum of Art Bulletin», n.s., LIII
pp. 27-38. (1996), 4, pp. 3-35; sui bagni, cfr. Thornton,
The Italian Renaissance Interior, cit., pp. 315-
59. In realtà, si ha l’impressione che nel cor-
319; sui giardini, Filarete, Trattato di architet-
so del Quattrocento tutti questi spazi siano
tura, cit., pp. 450-456, 602-607; Martini,
diventati una presenza qualificante nei palaz-
Trattati di architettura, cit., I, pp. 70-72, 245-
zi signorili, se non un vero e proprio attribu-
246, 348 e II, pp. 107-109; e G. Pontano, De
to distintivo dell’idea di reggia: tuttavia, la bi-
splendore (1498), in F. Tateo, I trattati delle
bliografia non ha riservato loro pari attenzio-
virtù sociali, Roma 1965, pp. 236-237, 277;
ne, e si sente la mancanza di studi sistematici
sull’importanza della cappella musicale del
di carattere comparativo. In particolare, sugli
sovrano nelle corti del Rinascimento, cfr. F.
studioli, cfr. W. Liebenwein, Studiolo. Die
Piperno, Le corti italiane e la musica, in Corti
Entstehung eines Raumtyps und seine Entwick-
italiane del Rinascimento, cit. (e, per un esem-
lung bis um 1600, Berlin 1977 (trad. it. Studio-
pio di ‘camerino musicale’, A. Sarchi, The
lo. Storia e tipologia di uno spazio culturale, Mo-
«studiolo» of Alberto Pio da Carpi, in Drawing
dena 1988); C.H. Clough, Art as Power in the
Relationships in Northern Renaissance. Art Pa-
Decoration of the Study of an Italian Renaissan-
tronage and Theories of Invention, a cura di G.
ce Prince: The Case of Federico Da Montefeltro,
Periti, Aldershot 2004, pp. 129-151).
«Artibus et Historiae», XVI (1995), 31, pp.
19-50; e O. Raggio, The Liberal Arts Studiolo 60. Cfr. P. Thornton, The Italian Renaissance
from the Ducal Palace at Gubbio, «The Metro- Interior, cit.
la dimora del principe 601

Vediamo in questo modo nascere il concetto di appartamento, o meglio di


appartamenti, al plurale: destinati rispettivamente al Signore, alla sua consorte,
alle corti ‘particolari’ dei relativi parenti, e spesso sdoppiati su due piani, desti-
nando le stanze più fredde del piano terra alla stagione estiva, e quelle riscaldate
del primo piano ai mesi invernali.61 Secondo Peter Thornton questo impianto di-
stributivo, già descritto da Leon Battista Alberti e poi da Francesco di Giorgio
nei loro trattati, fece la sua prima matura comparsa negli anni Sessanta del Quat-
trocento, in alcuni edifici destinati ben presto a diventare un punto di riferimen-
to emulato un po’ in tutta Italia: il palazzo di Paolo II Barbo a Roma, quello di
Enea Silvio Piccolomini a Pienza, quello di Federico da Montefeltro a Urbino...62
Tuttavia, i prodromi di questo processo possono essere fatti risalire più in-
dietro nel tempo, e non coinvolgono unicamente la Penisola. Diamo una rapida
occhiata dall’altra parte delle Alpi: pur scontando una forte carenza di studi di ca-
rattere comparativo, si ha la netta impressione che in ogni paese europeo fosse-
ro all’opera dinamiche assolutamente analoghe a quelle appena evocate per l’a-
rea italiana.63 In effetti, per quanto sia in Francia che in Inghilterra si possano
rinvenire le tracce di un’incipiente volontà di separare gli ambienti di rappresen-
tanza dagli spazi ‘segreti’ riservati alla persona del sovrano già dagli inizi del Tre-
cento (e in certi casi già prima), è però certo che sia stato soprattutto nel corso
del secolo seguente che questa esigenza abbia preso a essere sancita nel modo più
palpabile anche sul piano architettonico.64 Simon Thurley, in particolare, ha po-
tuto sostenere che uno dei tratti distintivi delle strategie edilizie dei Lancaster,
come poi degli York e dei Tudor, sia stato proprio il tentativo di tutelare la pri-
vacy del sovrano (e la sua intangibile superiorità, possiamo aggiungere) tramite
la costruzione di una serie di filtri e barriere intesi a separare fisicamente la figu-
ra del re dalla massa dei cortigiani e dei visitatori quotidiani. Così, per esempio,
nel castello di Sheen (1414-1445 ca.) fu introdotta una soluzione di grande pre-
gnanza: ossia un vero e proprio fossato che aveva la funzione di dividere gli al-
loggi privati del re e della regina dal resto della corte, accessibile più liberamen-
te, così da ostentare in forma sempre più esplicita l’abisso umano e politico che
separava il monarca dai suoi sudditi.65 Né questo orientamento avrebbe cono-
sciuto inversioni di tendenza nel secolo successivo.
Sono dinamiche affini a quelle che possiamo incontrare in Francia più o

61. D. Howard, Seasonal Apartments in Re- Trattati di architettura, cit., I, pp. 70-116.
naissance Italy, «Artibus et Historiae», XXII
63. Per qualche termine di paragone, si veda-
(2001), 43, pp. 127-135.
no i saggi riuniti in Architecture et vie sociale,
62. Thornton, The Italian Renaissance Interior, cit.
cit., pp. 300-313. Per l’accenno a Leon Batti-
64. Cfr. ad esempio Thurley, The Royal Pala-
sta Alberti e a Francesco di Giorgio, cfr. ri-
ces, cit., p. 8.
spettivamente Alberti, L’architettura [De re
aedificatoria], cit., I, pp. 399-439; e Martini, 65. Ivi, pp. 9-10.
602 folin

meno nello stesso periodo: se un’organizzazione in appartamenti esisteva già nel


palazzo trecentesco dei papi di Avignone, fu solo a partire dai primi del Quattro-
cento che Carlo V il Savio avrebbe promosso un’opera di rinnovamento sistema-
tico degli alloggi regali imperniata su principi non dissimili da quelli adottati dal-
l’altra parte della Manica: così gli appartamenti reali allestiti a Parigi nel Louvre
e nel Palais de la Cité presero ad articolarsi in una chambre de parement (quartie-
ri deputati a luogo d’udienza ed esercizio pubblico delle prerogative sovrane) e
in una chambre de retrait (ambienti privati, il cui accesso era riservato ai familiari
e ai compagni più stretti del re e della consorte), generalmente collegata alla tor-
re in cui si trovavano la biblioteca, lo studiolo, la camera del tesoro e il guarda-
roba.66 Senza arrivare a comprimere gli spazi de parement, che continuarono ad
avere un ruolo di primo piano nei rituali della Corona, nel corso del XV secolo
furono però soprattutto i quartieri de retrait – con i loro annessi e connessi de-
stinati a funzioni principalmente ricreative (giardini, jeu de paume, ménagerie ecc.)
– a svilupparsi ed espandersi acquisendo una visibilità e un’importanza sempre
maggiori sia sul piano architettonico, sia su quello del cerimoniale.67 E sotto mol-
ti aspetti le grandi imprese costruttive avviate da Francesco I al Louvre e nei suoi
chateaux sparsi per il Paese non avrebbero fatto che portare alle estreme conse-
guenze queste tendenze già pienamente ravvisabili sin dal secolo precedente.68

Conclusioni

Al termine di questa veloce rassegna, può valere la pena di voltarsi breve-


mente indietro per misurare l’entità del cammino percorso. Molto frastagliato,
lo si è ripetuto più volte, il panorama italiano, animato com’era da fenomeni e
processi non sempre coerenti fra loro: la persistenza di vecchie tipologie medie-
vali quali la rocca e d’altro canto il diffondersi di modelli inediti come la residen-
za regia di campagna; l’affermazione del linguaggio all’antica come idioma si-
gnorile per eccellenza e viceversa il suo continuo e vario ibridarsi a contatto con
l’inesausta vivacità delle tradizioni vernacolari; la tendenza a enfatizzare le valen-
ze trionfali dell’architettura delle regge ma al contempo la volontà di non na-

66. Cfr. M. Whiteley, Le Louvre de Charles V: the Fourteenth and Fifteenth Centuries. Interior,
disposition d’une résidence royale, «Revue de Ceremony and Function, in Architecture et vie
l’art», XCVII (1992), pp. 60-71 ; Ead., L’amé- sociale, cit., pp. 47-63 ; e Bove, Les palais
nagement intérieur des résidences royales et prin- royaux, cit., pp. 59-61. Quanto agli apparta-
cières en France à la fin du XIV e siècle et au début menti pontifici nel palazzo di Avignone, vedi
du XV e siècle, in Vincennes aux origines de l’État supra, nota 37.
moderne, Actes du colloque scientifique de
67. Bove, Les palais royaux, cit., p. 73.
Vincennes, 8-10 giugno 1994, a cura di J.
Chapelot e É. Lalou, Paris 1996, pp. 299- 68. Cfr. M. Chatenet, La cour de France au
320; Ead., Royal and Ducal Palaces in France in siècle. Vie sociale et architecture, Paris 2002.
XVI e
la dimora del principe 603

scondere le attività meno nobili (commercio, stoccaggio ecc.) che tradizional-


mente si svolgevano al loro interno; e ancora la progressiva chiusura dei prospet-
ti perimetrali dei palazzi e per contro la tendenza degli ambienti interni ad aprir-
si verso l’esterno, affacciandosi sui dintorni o sul verde dei giardini che erano or-
mai divenuti parte integrante e irrinunciabile dello spazio di corte... Non pare
possibile ricondurre tutti questi fattori a un unico modello esplicativo valido
sempre e comunque, né sembra che il tema della rinascita dell’Antico possa es-
sere assunto di per sé come l’unico filo conduttore di cambiamenti tanto com-
plessi e stratificati. Piuttosto, si può rilevare il ruolo cruciale svolto in questo sce-
nario da due istanze a cui si è già accennato: l’ambizione di distinguere netta-
mente, se non separare del tutto, la mole della reggia dal suo contesto urbano,
esaltandone la radicale alterità rispetto agli edifici circostanti; e la volontà di ri-
distribuire le diverse funzioni che avevano sede nei palazzi signorili in base a una
logica gerarchica che consentisse di dare un assetto più ordinato agli ambienti di
corte, riservando una parte proporzionalmente sempre più cospicua di questi ul-
timi alla sfera ‘privata’ del sovrano (in modo del tutto funzionale, naturalmente,
alla costruzione della sua immagine ‘pubblica’).
Erano esigenze ampiamente diffuse in tutta la Penisola, e certo avallate dai
precetti dell’architettura antica reinterpretati dai trattatisti contemporanei; ma le
loro radici sembrano affondare in dinamiche sociali e politiche ben più profonde,
legate essenzialmente ai nuovi costumi successòri delle famiglie signorili da un la-
to, al processo di consolidamento dei poteri dinastici sulla società cittadina dall’al-
tro.69 Con la calata di Carlo VIII nel 1494, e poi nel corso dei successivi trent’anni
di guerra, questo processo si sarebbe bruscamente interrotto: i sovrani italiani non
avrebbero per ciò smesso di fantasticare la costruzione di regge grandiose in cui
vedere incarnati i loro progetti di governo (si pensi al palazzo di Lorenzo de’ Me-
dici in Via Laura, a quello di Leone X in piazza Navona o al Vaticano di Giulio II);
ma gli eserciti francesi e spagnoli avrebbero spazzato via molte di queste ambizio-
ni, e all’indomani della pace di Bologna i principi della Penisola si sarebbero sco-
perti sminuiti al rango di satelliti delle potenze d’Oltralpe. Il testimone era ormai
passato di mano; anche se le rocche e i palazzi costruiti nel nostro paese nella se-
conda metà del Quattrocento avrebbero continuato per secoli a fornire alle teste
coronate di tutta Europa un inestimabile patrimonio di forme, linguaggi ed espe-
rienze a cui attingere per esibire la propria magnificenza.

69. Sull’intimo legame fra lo sviluppo tipolo- thwaite, The Florentine Palace as Domestic Ar-
gico dei palazzi rinascimentali e l’evoluzione chitecture, «American Historical Review»,
coeva delle strutture familiari (seppur in un LXXVII (1972), pp. 977-1012.
contesto non signorile), cfr. già R.A. Gold-

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