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Spettacoli

Solo canzonette ma non qui Censura sui


parolieri
In un libro tutti i testi su cui si è abbattuto taglio dalle
motivazioni più strane. Nel mirino insospettabili come
Morandi e Cocciante

«Signor Censore, che fai lezioni di morale...», cantava Edoardo Bennato. E le lezioni,
anche in campo musicale, sono sempre numerose. Tanto che il giornalista Maurizio Targa
ci ha scritto un libro: L’importante è proibire. Tutto quello che la censura ha vietato nelle
canzoni (Stampa Alternativa, pp. 176, euro 13). La censura nel nostro Paese è stata a
lungo esercitata dalla Rai, in quanto ente deputato, per molti anni in regime di monopolio,
a trasmettere canzoni attraverso la radio e la tv. In realtà si tratterebbe di una
commissione «di ascolto preventivo e di controllo sui testi» anche perché “commissione di
censura” avrebbe ricordato i tempi del fascismo. A farne le spese sono tutti, anche gli
insospettabili.

Cominciamo da Riccardo Cocciante il cui capolavoro “Bella senz’anima” fu forzatamente


ingentilito nel verso «...e quando a letto lui ti chiederà di più» che diventerà «e quando un
giorno lui ti chiederà di più». Con il letto ebbe problemi anche Loredana Bertè, incendiaria
per natura. In “Sei bellissima” cantava: «A letto mi diceva sempre / non vali che un po’ più
di niente». Ma niente letto. Venne fatto cambiare in: «E poi mi diceva sempre / non vali
che un po’ più di niente». Dal letto alla violenza sessuale il salto è breve. Rosalino
Cellamare, non ancora noto come Ron, si presentò a un Disco per l’Estate nel 1974 con la
canzone “Il gigante e la bambina”, la storia di uno stupro pedofilo scritta per lui da Lucio
Dalla e Paola Pallottino. Anche per le sue parole semaforo rosso e cosmesi immediata: da
«Ma il gigante adesso è in piedi con la sua spada d’amore / e piangendo taglia il fiore
prima che sia calpestato» si arriverà a «Ma nessuno può svegliarli da quel sonno così
lieve / il gigante è una montagna la bambina adesso è neve». Incredibili trasformazioni che
- a volte - non sai da dove arrivino. I Gufi di Lino Patrono e Nanni Svampa ripropongono
nel 1964 un brano degli anni ’20, “Il neonato”, storia di un trovatello abbandonato a Parigi
dalla madre. Il testo originale era: «A Parigi un neonato una madre abbandonò… era frutto
del peccato». I funzionari Rai operarono così: «A Parigi un avvocato un bel giorno
s’incontrò... un cliente derubato». I Gufi, per fortuna, rifiutarono lo scempio e per loro
scattò automatica la tagliola.

La censura è un morbo a più facce. Dalle parole volgari tout court si arriva a quelle con
addosso un sospetto politically incorrect. A esempio, un «cretino» fu sufficiente per
oscurare “Basta così” di Sergio Endrigo, cantata nel 1962 con quel verso galeotto: «…il
baciamano di un cretino per te / è molto più importante di me». In realtà non era tanto
quella parola a essere sgradita quanto il comportamento di Endrigo: schivo, poco
televisivo. La Rai era apparecchiata per coltivare soggetti “normali”. Lo sa bene Enzo
Jannacci, con quell’aria stralunata e scassata, il cui mitico provino del 1961 è passato alla
storia. Mentre provava, un solerte funzionario non capì chi fosse quel signore dall’aria così
scalcinata e chiamò i carabinieri perché bloccassero il matto intrufolatosi negli studi.

Un’altra ombra si addensò sul viso acqua e sapone di Gianni Morandi, l’idolo delle
mamme e delle ragazzine, che ebbe dei problemi con la canzone “C’era un ragazzo che
come me amava i Beatles e i Rolling Stones”. Il passaggio che scottava era: «…mi han
detto va nel Vietnam e spara ai Vietcong». Morandi venne raggiunto anche da
un’interrogazione parlamentare: ci si domandava come «si permettesse a un autore di
musica leggera di criticare la politica estera di un Paese amico come gli Stati Uniti». Il
brano doveva essere presentato al Festival delle Rose organizzato dalla Rca. I funzionari
della Rai erano in agitazione. Proposero delle pecette terribili come Corfù e Cefalù. Alla
fine prevalse il suggerimento di cantare «mi han detto va nel tatatà e spara ai tatatà» per
dare maggiore risalto alla censura. Morandi salì sul palco, cantò così e scoppiò un
pandemonio. La cosa curiosa, a parte il capolavoro di colpire un brano solo strumentale, è
che la censura ha attecchito anche in altri Paesi in cui i nervi scoperti non riguardano tanto
le questioni sessuali come perlopiù da noi, ma semmai quelle razziali, religiose ed
patriottiche. Si levarono, a esempio, voci indignate contro Bruce Spingsteen perché la
copertina del suo maggior successo, “Born in Usa” si diceva lo ritraesse mentre orinava
sulla bandiera a stelle e strisce. Ma già prima, nel giugno del 1966, era stata la copertina
sanguinolenta di “Yesterday and Today” dei Beatles, a subire un taglio. Netto.

di Alberto Pezzini
26/08/2011

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