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«Signor Censore, che fai lezioni di morale...», cantava Edoardo Bennato. E le lezioni,
anche in campo musicale, sono sempre numerose. Tanto che il giornalista Maurizio Targa
ci ha scritto un libro: L’importante è proibire. Tutto quello che la censura ha vietato nelle
canzoni (Stampa Alternativa, pp. 176, euro 13). La censura nel nostro Paese è stata a
lungo esercitata dalla Rai, in quanto ente deputato, per molti anni in regime di monopolio,
a trasmettere canzoni attraverso la radio e la tv. In realtà si tratterebbe di una
commissione «di ascolto preventivo e di controllo sui testi» anche perché “commissione di
censura” avrebbe ricordato i tempi del fascismo. A farne le spese sono tutti, anche gli
insospettabili.
La censura è un morbo a più facce. Dalle parole volgari tout court si arriva a quelle con
addosso un sospetto politically incorrect. A esempio, un «cretino» fu sufficiente per
oscurare “Basta così” di Sergio Endrigo, cantata nel 1962 con quel verso galeotto: «…il
baciamano di un cretino per te / è molto più importante di me». In realtà non era tanto
quella parola a essere sgradita quanto il comportamento di Endrigo: schivo, poco
televisivo. La Rai era apparecchiata per coltivare soggetti “normali”. Lo sa bene Enzo
Jannacci, con quell’aria stralunata e scassata, il cui mitico provino del 1961 è passato alla
storia. Mentre provava, un solerte funzionario non capì chi fosse quel signore dall’aria così
scalcinata e chiamò i carabinieri perché bloccassero il matto intrufolatosi negli studi.
Un’altra ombra si addensò sul viso acqua e sapone di Gianni Morandi, l’idolo delle
mamme e delle ragazzine, che ebbe dei problemi con la canzone “C’era un ragazzo che
come me amava i Beatles e i Rolling Stones”. Il passaggio che scottava era: «…mi han
detto va nel Vietnam e spara ai Vietcong». Morandi venne raggiunto anche da
un’interrogazione parlamentare: ci si domandava come «si permettesse a un autore di
musica leggera di criticare la politica estera di un Paese amico come gli Stati Uniti». Il
brano doveva essere presentato al Festival delle Rose organizzato dalla Rca. I funzionari
della Rai erano in agitazione. Proposero delle pecette terribili come Corfù e Cefalù. Alla
fine prevalse il suggerimento di cantare «mi han detto va nel tatatà e spara ai tatatà» per
dare maggiore risalto alla censura. Morandi salì sul palco, cantò così e scoppiò un
pandemonio. La cosa curiosa, a parte il capolavoro di colpire un brano solo strumentale, è
che la censura ha attecchito anche in altri Paesi in cui i nervi scoperti non riguardano tanto
le questioni sessuali come perlopiù da noi, ma semmai quelle razziali, religiose ed
patriottiche. Si levarono, a esempio, voci indignate contro Bruce Spingsteen perché la
copertina del suo maggior successo, “Born in Usa” si diceva lo ritraesse mentre orinava
sulla bandiera a stelle e strisce. Ma già prima, nel giugno del 1966, era stata la copertina
sanguinolenta di “Yesterday and Today” dei Beatles, a subire un taglio. Netto.
di Alberto Pezzini
26/08/2011