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U
n interrogativo che continua a planare sulla politica este-
ra del nostro Paese, sin dall’unità d’Italia, è se siamo
l’ultimo dei grandi Paesi europei o il primo dei piccoli.
Indubbiamente un salto di qualità avvenne con la fine della
Prima guerra mondiale, quando, a seguito della comune vittoria,
sedemmo assieme ai grandi vincitori al tavolo della pace.
Non fu un esordio sereno. Si ricordi l’invettiva con cui l’al-
lora Presidente del Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando, ab-
bandonò bruscamente il negoziato di pace di Parigi, affermando
che gli alleati volevano privare l’Italia dei frutti della vittoria.
Poi le cose sembrarono volgere per il meglio: il 10 gennaio
1920 l’Italia diviene membro permanente del Consiglio della
Società delle Nazioni, insieme a Francia, Gran Bretagna, Giap-
pone e Stati Uniti. Questi ultimi, peraltro, a seguito della decisio-
ne del Congresso americano di non aderire alla Società della
Nazioni - pur ideata e voluta dal loro stesso Presidente Wilson -
abbandonarono la partita, lasciando vacante il seggio permanen-
te loro attribuito e chiudendosi nello splendido isolamento.
Questo isolamento costerà assai caro all’umanità intera
vent’anni dopo, essendo stato all’origine del fatale errore di cal-
colo di Hitler e Mussolini circa l’effettiva volontà dell’America di
non farsi coinvolgere in alcun conflitto fuori dal suo continente.
Gli storici sono d’accordo che quel madornale errore di cal-
colo fu uno dei motivi principali che indussero Hitler a scatena-
re la Seconda guerra mondiale. Per fortuna Roosevelt, dopo
Pearl Harbour, riuscì a persuadere il Congresso a mutare atteg-
giamento.
L’Ambasciatore FRANCESCO PAOLO FULCI è stato per molti anni Rappresentante
Permanente d’Italia al Consiglio Atlantico e alle Nazioni Unite.
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