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La via dell’irrazionalismo

Onde si potrà intendere una possibile interpretazione critica


e teleologica dell’organizzazione armonica dei ponti
modulanti contenuti nelle sonate per pianoforte di L. V.
Beethoven Op. 2, Op 10 e Op. 13.

Michele Fontana

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INDICE:

Sonata Op. 2 N. 1 – Introduzione all’ambiguità……….P. 3

Sonata Op. 2 N. 2 – Impressionismo……………………..P. 6

Sonata Op. 2 N. 3 – L’errore di montaggio…………….P. 8

Sonata Op. 10 N. 1 – La geometria…………………….P. 10

Sonata Op. 10 N. 2 – La lotta…………………………..P. 12

Sonata Op. 10 N. 3 – Distopia………………………….P. 13

Sonata Op 13 – La Patetica…………………………….P. 16

Necessarie conclusioni…………………………………P. 18

2
Introduzione al concetto di ponte modulante:

Le “forme-sonata”, pur nelle loro variabili e mutabilità, condividono una struttura tripartita
costituita da un’”esposizione” (A), uno “sviluppo” (B) e una “ripresa” (A’). L’esposizione presenta
generalmente una modulazione a tonalità vicine (solitamente dominante o relativa maggiore),
questa zona di instabilità tonale prende il nome di “ponte modulante”. Esso funge da collegamento
tra un primo tema, chiaramente esposto nei primi periodi, e un secondo tema di carattere simile o
contrastante. Stilisticamente i ponti modulanti differiscono dal primo e dal secondo tema per
l’ispessirsi del tessuto sonoro, l’infittisti del ritmo armonico, dissonanze, progressioni modulanti
che evitano la tonica, netti chiaro-scuri dinamici, fraseggio irregolare. Il materiale tematico
utilizzato può provenire da un tema precedentemente esposto oppure essere in netto contrasto con il
carattere della prima sezione (come nel caso della sonata per pianoforte n. 5 di Beethoven).
Il classicismo si propone come sintesi tra il contrappunto e l’interesse armonico barocco e
l’immediatezza comunicativa e l’interesse melodico galante. Le zone modulanti nelle sonate
classiche spesso omaggiano la scrittura bachiana, studiata dai compositori ben prima della sua
riscoperta del 1829. Così come nelle transizioni, nei ponti modulanti i compositori non si
accontentano di raggiungere la dominante nel modo più economico possibile, ma creano micro
universi di ambiguità tonale che esplorano zone armoniche imprevedibili disorientando
l’ascoltatore.
Verranno analizzate le sonate per pianoforte dell’Opera 2 e 10, per poi giungere alla sonata Op. 13,
“La Patetica”.

Sonata Op. 2 N. 1 (1795)

La prima sonata per pianoforte di Beethoven appartiene a una raccolta dedicata al maestro di
composizione Joseph Hayden. Il primo tema il fa minore, basato sull’alternanza di arpeggi
ascendenti e terzine discendenti, si esaurisce nelle prime otto battute su una pausa coronata. Il
silenzio (di durata indefinita) diventa essenziale, da esso emerge il ponte modulante (Fig.1).

3 Fig. 1
La prima parte del ponte modulante va da battuta 9 a battuta 14. Viene subito riproposta la
semifrase iniziale nella tonalità di Do minore che conduce a battuta 11. L’accordo di battuta 11 è un
enigmatico Re b maggiore con settima di quarta specie. L’interpretazione più elegante dell’accordo
è che si tratti di una sesta napoletana con settima di Do minore / Sottodominante con settima di La b
Maggiore (tonalità d’arrivo). Si tratterebbe dunque di un’insolita modulazione per accordo comune
a tonalità vicina. Ciò che perplime è il fatto che la sesta napoletana non sia di fatto una sesta ma un
accordo in terzo rivolto (comunque la settima scende regolarmente nella battuta successiva). Le
restanti tre battute della prima parte non sono altro che una cadenza composta in La bemolle
Maggiore: Sp7-D7-T (Fig. 2)

Fig. 2

Un’interpretazione alternativa vede l’accordo di battuta 11 come un accordo di Fa minore in


secondo rivolto: sottodominante di Do minore / tonica parallela di La b Maggiore. L’interpretazione
è giustificata dalla convenzionalità del moto armonico che segue: Tp-Sp7-D7-T (Fig. 3). Bisogna
però ammettere che la teoria trascende una problematica non di poco conto: come considerare il Re
bemolle che compare nel terzo quarto della battuta? Certo potrebbe trattarsi di un’anticipazione
dell’accordo successivo ma sarebbe l’unico caso in questa sequenza di terzine in cui la nota
introdotta è estranea all’accordo. In più la terzina stessa, mettendo in evidenza il Re bemolle,

Fig.3
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dichiara la sua importanza. Dunque considerando la nota estranea all’accordo si incapperebbe in
una contraddizione tra moto armonico e disegno melodico.
Certo si può dire che nei primi due quarti della battuta l’accordo ci appare come sottodominante di
Do minore, a cui però poi si aggiunge un Re bemolle che funge da fondamentale di un secondo
accordo e ci porta in La bemolle Maggiore. Tale interpretazione è forse la più scientifica ma al
contempo la meno musicale: ciò che non torna è un’innaturale asimmetria nel ritmo armonico
dell’intero ponte modulante: la battuta 11 sarebbe infatti l’unica di questa prima parte del ponte a
contenere due accordi (Fig. 4)

Fig. 4

Il fatto che si possano dare tre diverse interpretazioni di un singolo accordo, ognuna delle quali con
le sue problematicità, evidenzia l’interesse verso l’ambiguità armonica nelle modulazioni
beethoveniane, per l’allentamento di una logica tonale stringente.
La seconda parte del ponte modulante (battute 15-21) verte sulla dominante di La b Maggiore (la
tonalità d’arrivo è già stata esposta con sufficiente chiarezza, pertanto è da escludersi una
modulazione in Mi b Maggiore). Lo schema armonico è il seguente (Fig.5):

Fig. 5
5
Come si può facilmente notare questa seconda parte è basata sul moto contrario tra il basso
cromatico ascendente e la mano destra diatonica discendente.

Sonata Op. 2 N. 2 (1795)

Nel ponte modulante della sonata Op. 2 n. 2 Beethoven adotta una scrittura pressoché antitetica
rispetto alla sonata precedente: mentre nel ponte modulante della sonata n. 1 l’armonia procede
fondamentalmente per blocchi accordali, nella sonata n. 2 ci troviamo di fronte a una scrittura che
potremmo definire “impressionista”. Alla solidità massiccia e neoclassica della prima sonata si
contrappone nella seconda un flebile disegno armonico appena accennato da poche pennellate
melodiche: fatta eccezione per il primo e ultimo accordo (battute 32 e 55) non sono presenti
momenti con più di due suoni . Il gioco polifonico ondeggia tra il contrappunto a due voci (quasi
un’invenzione) e la melodia non accompagnata. Bizzarro è il fatto che nonostante le funzioni
armoniche siano appena accennate la sua interpretazione è pressoché oggettiva, mentre nel caso
della prima sonata (scandita da blocchi accordali) l’ambiguità assumeva un ruolo determinante.
La struttura armonica è la seguente (Fig. 6):

Hj

Fig. 6
Osserviamo come questo concetto di “impressionismo armonico” (definizione del tutto
politicamente scorretta) si traduca nella partitura. Ribadisco ulteriormente che la mia personale
definizione non è un’allusione ante litteram all’impressionismo musicale novecentesco, si tratta
piuttosto di un prestito di una categoria estetica propria delle arti visive. Il collegamento
interdisciplinare si rifà a un’identificazione kantiana tra immagine e melodia, la legittimità della mia
posizione è sostenibile prendendo in considerazione la “theory or argumentation” di Perelman.
Nei terzinati ascendenti delle prime battute (che toccano ben sei note della scala diatonica)
l’armonia viene appena segnalata mettendo sul battere del primo e del terzo movimento la
fondamentale dell’accordo (note cerchiate in rosso nella Fig. 6, battute 33-37), e talvolta anche
grazie all’intervento della seconda voce. Sul battere di battuta 34 una seconda maggiore ci
suggerisce la funzione di D7, così come a battuta 36 una sesta minore ci segnala la funzione di
tonica in primo rivolto. Osserviamo dunque come questa cadenza imperfetta (battute 35-37) non
venga sviluppata sul piano verticale (proprio dell’armonia) ma su quello orizzontale (proprio della
melodia). Le due voci si inseguono e si intersecano in un’equilibrata autonomia corelliana, ma I
loro giochi contrappuntisti imitativi non sono che una proiezione temporale di un disegno armonico
latente. La ricerca beethoveniana di una marcata temporalizzazione dell’atemporalità (l’armonia è
infatti il “principio mistico che non fonda la sua efficacia sulla progressione temporale ma cerca
l’infinito nel momento indivisibile” – A. W. Schlegel) crea una realtà estetica estremamente
coerente con la pittura impressionista: la logica tonale stringente, pur sempre presente, non ci
appare nella sua solidità e materialità (il blocco accordale) ma come una visione fuggitiva,
un’impressione cromatica.
Potendo utilizzare solo bicordi, Beethoven sfrutta in diversi punti le potenzialità del tritono: a
battuta 43 e 45 i tritoni, che segnalano una Sottodominante con quarto aumentato, si aprono a
tenaglia su una sesta minore, a battuta 57 il tritono, che segnala una D7 in primo rivolto, si chiude a
morsa su una senza minore dando avvio al secondo tema.
Particolarmente interessante è il gioco a botta e risposta delle battute 48-53. Beethoven sottopone la
scrittura a due voci a un ulteriore processo di rarefazione: le voci restano due ma la scrittura è
omofonica, una voce completa le frasi dell’altra in un mosaico lineare. Sono presenti numerosi
cromatismi, note di volta, troppi! L’inganno consiste in questo: spacciandoli per cromatismi
Beethoven sta in realtà subdolamente togliendo diesis per trasformare la tonalità di Mi Maggiore in
Mi minore. La sua è una scelta inaspettata: raramente il secondo tema è infatti in una tonalità
lontana rispetto al primo tema, sembrava palese che la tonalità d’arrivo fosse già stata raggiunta a
battuta 38. Beethoven crea un diversivo (il pedale delle battute 42-45) per distrarre l’ascoltatore
mentre, come in un effetto illusionistico, “spolvera” via le alterazioni dalle linee melodiche.
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L’ascoltatore capisce d’essere stato ingannato soltanto quando sente l’enorme e massiccia quadriade
diminuita di battuta 54, quando ormai si è toccato un punto di non ritorno e il processo è
irreversibile.

Sonata Op. 2 N. 3 (1795)

Il ponte modulante della terza sonata di Beethoven comincia a battuta 27, ma ritengo opportuno
contestualizzarlo azzardando un’interpretazione della sezione che immediatamente lo precede
(battute 13-26, Fig. 7).

Fig. 7

L’episodio è classificabile come una tonicizzazione di Do Maggiore euforica,


orgiastica e totalmente inutile, tanto da poter essere considerata un “errore di montaggio”. Si
impone con una volgarità del tutto inappropriata, totalmente fuori luogo rispetto alla compostezza
ed eleganza imborghesita del primo tema. Anche l’orecchio più antimusicale ha inteso dal primo
tema che ci troviamo in Do Maggiore, dunque perché riaffermarlo con tanta veemenza? La
categoria retorica aristotelica di πάθος è senz’altro una risposta sufficiente, ma forse è interpretabile
anche sotto la categoria di λόγος: si tratta di un’apologia all’inutilità, un atto di accusa nei confronti
dell’utilitarismo formale pedante ed economico. All’economicità borghese Beethoven preferisce
l’estro romantico, il ponte modulante che segue è un manifesto dell’anti-utilitarismo.
Da un punto di vista dell’organizzazione melodica del discorso musicale il ponte modulante
comincia inequivocabilmente a battuta 27, ma da un punto di vista armonico è possibile
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problematizzare: l’ombra dell’ambiguità armonica si insinua già da battuta 25. L’accordo di
dominante sfocia in una scala di Sol Maggiore discendente: il Fa diesis scendendo a Mi naturale
non tonicizza, eppure non possiamo nemmeno considerarci in Sol Maggiore (manca la
tonicizzazione). Il dubbio viene lasciato in sospeso perché nella battuta successiva un brusco Sol
minore si impone con un accordo di tonica che dà origine al ponte modulante.

Fig. 8
Il ponte modulante della sonata Op. 2 N. 3 è l’esempio lampante dell’anti-economicità
beethoveniana nelle modulazioni a toni vicini. Per modulare da Do Maggiore a Sol Maggiore
Beethoven attraversa le seguenti tonalità: Sol minore – Do minore – Re minore – Sol minore – La
minore – Sol minore – Re Maggiore – Sol Maggiore, tutto questo in sole venti battute. Il percorso
armonico verte sulle ultime tre tonalità: Beethoven sfrutta la tonalità di Sol minore per modulare
alla sua dominante, dopodiché è sufficiente togliere un diesis per approdare a Sol Maggiore. Ma in
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precedenza la tonalità di Sol minore era già stata raggiunta ben due volte, per tanto la lunga
progressione era facilmente evitabile ragionando in termini di economicità. Non solo: a battuta 25
Beethoven scrive una scala di Sol Maggiore discendente, a quel punto sarebbe stato possibile fare
partire il secondo tema in Sol Maggiore risparmiando venti battute di inutile vagabondaggio. È
probabile che Beethoven avesse trovato l’esposizione troppo maggiore, era pertanto necessario, ai
fini della varietas, creare un micro-universo che esaltasse i sapori del modo minore (si noti per
esempio l’insistenza della scala minore melodica, battute 33, 39 e 41).
Degna di nota è inoltre la modulazione definitiva a Sol Maggiore (battuta 46). Il grosso del lavoro è
già stato fatto, bisogna solo eliminare un diesis. La tecnica utilizzata è simile a quella della
precedente sonata: si tratta di una modulazione che non si avvale di accordi ma che sfrutta un
semplicissimo melisma melodico: con sublime sprezzatura Beethoven abbassa il Do diesis che
conduce per gradi congiunti alla nuova tonica. Dopo tutto questo vagabondare siamo arrivati a
destinazione senza quasi essercene accorti.

Sonata Op. 10 N. 1 (1796)

Il ponte modulante della sonata numero 5, così come quello della numero 1 e 3, viene introdotto da
un momento di silenzio. La struttura armonica è la seguente: (Fig. 9)

Fig. 9
Un frammento melodico ricco di note estranee all’armonia (contrassegnate in fig. 9 da
una barra rossa) viene presentato in varie tonalità: la progressione tocca la tonalità di La b
Maggiore, Fa minore, Re b Maggiore e Mi Maggiore, le brusche modulazioni sono segnalate da un
fp sul battere. L’armonizzazione della melodia rimane invariata nelle sue ripetizioni (D7 – T3 –
VII7 – T).
La ricerca a priori di una qualche ambiguità armonica ci porta a considerare le battute 49 e 53. Non
è del tutto chiaro se la nota estranea all’accordo sia il Mi bequadro o il Fa: nel primo caso si
tratterebbe di una sottodominante parallela, nel secondo di una semplice sottodominante. Certo
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sarebbe alquanto giustificabile considerare il Fa una nota di passaggio che porta al Sol della battuta
successiva, ciò che non ci consente una tale leggerezza è il disegno del basso nelle battute 51, 51,
54 e 55. Il disegno è il medesimo delle due battute incriminate, ma in questo caso senza ombra di
dubbio la nota estranea all’accordo si trova sul secondo quarto e non sul terzo. Sarebbe pressoché
insostenibile considerare entrambi gli accordi in successione temporale dal momento che il ritmo
armonico di tutto il ponte modulante obbedisce a un geometrismo serrato che va di battuta in
battuta.
Se il ponte modulante della prima sonata è chiaramente suddivisibile in due parti sia considerando
la melodia e il ritmo che analizzandone la struttura armonica, nella quinta sonata la bipartizione è
più labile ed è situata tra battuta 47 e 48. Come nella la prima sonata, la seconda parte del ponte
modulante non fa che confermare la tonalità d'arrivo (Mib maggiore), è composta infatti da una
lunga cadenza finale di otto battute.

Sonata Op. 10 N. 2 (1796)

Il ponte modulante della sonata n. 6 ha una lunghezza da record: cinque battute e tre quarti,
incorniciate da due pause da un ottavo (Fig. 10).

Fig. 10

Si tratta di un breve episodio il La minore, la cui tonica però non viene mai
toccata. È un gioco di tensioni e dissonanze ossessivo e percussivo, le tensioni degli accordi di
Dominante sono inframmezzate dalla dissonanza delle seste tedesche, data dalla la terza diminuita
Re # – Fa naturale. Il moto delle parti delle battute 16 e 17 provoca una lotta tra flutti armonici e
melodici. La terza diminuita si apre a tenaglia verso l’ottava (frecce in rosso), i due moti contrari
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sono a loro volta contrastati da terzine ascendenti e discendenti (frecce in blu). I moti evidenziati in
rosso sono messi in risalto dalla dissonanza armonica, i moti evidenziati in blu dalla figurazione
ritmica. La lotta presuppone il contatto, le quattro voci agiscono infatti all’interno di un’estensione
limitatissima, soprattutto se paragonata all’ampio respiro nella gestione dello spazio sonoro del
primo e del secondo tema. Notiamo per l’appunto le conflagrazioni della mano destra e le
deflagrazioni della mano sinistra, le dita stesse dell’esecutore si urtano per il poco spazio a
disposizione. L’atmosfera di costrizione e disagio è servus harmoniae, la melodia e il contrappunto
sono in funzione del disegno armonico ossessivo e martellante.
Ritengo opportuno dedicare qualche parola a un secondo episodio dell’esposizione, nella fattispecie
quello che si trova tra battuta 41 e battuta 46 (Fig. 11).

Fig. 11

Come per la sonata numero 4, anche il ponte modulante della sesta sonata è
strettamente collegato a un episodio nelle vicinanze. In questi caso Beethoven, sentendosi
inappagato dalla brevità della modulazione, sente il bisogno di ritornare per un breve istante in
modo minore, appena prima della coda dell’esposizione. Il carattere marcatamente maggiore dei
due temi dell’esposizione necessita di un contraltare minore degno di lui sia per intensità (il ponte
modulante) sia per quantità (le battute 41 – 46). In questo episodio vengono infatti messe in risalto
le peculiarità del modo minore come la sottodominante parallela diminuita, presentata ben due volte
sul battere e in sforzato, o la cadenza d’inganno con il VI grado maggiore (battere di battuta 46).
Inoltre questa breve sezione presenta la scrittura idiomatica dei un ponte modulante: l’ispessirsi del
tessuto sonoro, il contrattempo, l’infittirsi del ritmo armonico, l’utilizzo di dissonanze, il chiaro-
scuro dinamico, l’evitare la tonica in stato fondamentale.

Sonata Op. 10 N. 3

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Siamo di fronte all’ultimo gradino prima di giungere all’immenso apparato architettonico (o anti-
architettonico) della patetica. Abbiamo notato come finora la raccolta Opera 10 di Beethoven
presenti un maggiore ordine e rigore armonico rispetto all’estro armonico è alla libera inventiva
dell’Opera 2. Il ponte modulante della Sonata Op. 10 N. 1 era contraddistinto da un rigido e
ordinato geometrismo nel ritmo armonico, il ponte modulante della Sonata Op. 10 N. 2 presentava
due sole funzioni accordali che si alternavano di ottavo in ottavo.
Il ponte modulante della Sonata Op. 10 N. 3 è lungo il doppio rispetto alla N. 1 e dodici volte quello
della Sonata N. 2 della stessa raccolta. Armonicamente è organizzato nel seguente modo nel
seguente modo: (Fig. 12)

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Fig 12
A colpo d’occhio non si direbbe mai un ponte modulante, tanto che alcuni lo considerano addirittura
secondo tema, trascurando la logica formale della forma-sonata. Ciò non di meno bisogna
riconoscere che non ha nulla a che fare con la scrittura idiomatica del tipico ponte modulante della
sonata classica: la melodia è cantabile e ben riconoscibile, articolata in comodi periodi da otto
battute ciascuno (provvisti tra l’altro di tonicizzazione a inizio frase), per le prime venti battute
l’unica dinamica è un “p” sul levare di battuta 23, il ritmo è estremamente omogeneo, l’estensione
comoda e di ampio respiro, l’armonia è del tutto chiara e riconoscibile grazie al pratico basso
albertino, il ritmo armonico è regolare quanto il fraseggio, l’unico esempio di contrappunto è un
breve gioco imitativo (battute 38 – 41) quasi corelliano per la sua semplicità.
L’inconvenzionalità stilistica di questo ponte modulante è messa ulteriormente in risalto da un
primo tema, a sua volta inconvenzionale, ma per le regioni opposte (Fig. 13):

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Fig. 13
Si tratta di un’apologia all’intervallo di ottava, se lo stile del ponte modulante della seconda Sonata
era stato considerato “impressionista”, questo è considerarsi addirittura “puntinista”. Individuare
l’armonia insita in questi moti per grado congiunto è un esercizio penoso e frustrante, nonché futile
sotto molteplici aspetti. Ci saremmo di certo aspettati un primo tema più simile al ponte modulante
e un ponte modulante più simile al primo tema.
Ciò che rovina il rigore formale del ponte modulante è l’ordine delle modulazioni, esso appare
caotico, improvvisato, aleatorio. L’elemento dionisiaco si sublima in un mondo di forme
immutabili, lo spirito irrazionale emerge e viene sommerso in questo mondo perfetto e distopico.
Il primo periodo del ponte modulante va da battuta 23 a battuta 30, è geometricamente articolato in
frasi da due battute e semifrasi da una battuta l’una. All’interno di questo disegno ordinato si
inserisce una modulazione a Fa # minore sulla sesta battuta del periodo (battuta 28). Questo crea
uno sbilanciamento tra i tre quarti del periodo in Si minore e il restante quarto alla dominante
minore. La seconda modulazione è ancora meno sincronizzata con il fraseggio: ci troviamo
nuovamente di fronte a un periodo di otto battute organizzate in quattro semifrasi da due battute
ciascuna (battute 31 – 38). Questa volta la modulazione a La Maggiore cade sugli ultimi due quarti
della terza battuta del periodo, un battuta in anticipo rispetto al cambio di frase. Questo genera uno
sbilanciamento ancora più evidente tra i tre ottavi del periodo in minore e i restanti cinque ottavi
alla relativa maggiore. Dopo di che si apre una frase di sei battute (battute 39 – 44) in stile
contrappuntistico imitativo. Anche questa volta la modulazione cade a sproposito: si tratta di un
brusco ritorno in Fa # minore sull’ultima battuta della frase (battuta 44), introdotto da una settima di
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dominante con la settima raddoppiata e in “sf”. Il ritorno della tonalità di Fa # minore dura appena
una battuta, a battuta 45 siamo già tornati il La maggiore per accordo comune. Risulta comunque
impossibile non ammettere questa seconda modulazione in Fa # minore, non ci sarebbe altro modo
di interpretare l’accordo di Do # Maggiore con settima di prima specie (una tonicizzazione della
tonica parallela risulterebbe forzata), inoltre si noti che la mano sinistra, contemporaneamente
all’accordo della destra, esegue una scala di Fa # minore melodica ascendente. L’ultimo periodo di
otto battute (battute 45 – 52) è una piccola coda costituita da una cadenza composta e da una
cadenza finale.
L’ombra dell’ambiguità subentra in questo momento, quando ormai i giochi si sono conclusi. In
questo caso non riguarda tanto la struttura armonica quanto piuttosto l’organizzazione formale. Si è
infatti spesso in dubbio se considerare le battute 53 – 65 parte del ponte modulante o del secondo
tema (Fig. 14).

Fig. 14

A sostenere la prima teoria è il fatto che sia presente una modulazione piuttosto vistosa da La
Maggiore a La minore (battuta 60), inoltre sembra che la sezione scaturisca naturalmente dal ponte
modulante, in confronto i cinque quarti di pausa delle battute 65 – 66 sembrano una preparazione
ben più degna al secondo tema.
D’altra parte il disegno armonico è regolarissimo e le prime tre note dell’episodio (Do # - Si – La)
ricalcano l’incipit del primo tema.
A mio modo di vedere è possibile considerare entrambe le posizioni facendone scaturire una sintesi
hegeliana (l’haufebung): la sezione costituirebbe dunque un punto d’intersezione tra il ponte
modulante e il secondo tema, condividendo le caratteristiche peculiari di entrambi. Dobbiamo
considerare che l’innaturale dilatazione del ponte modulante ha condotto a una snaturalizzazione del
medesimo, anziché luogo di transizione è diventato un universo a sé stante, con una sua logica e
struttura formale. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza la ricerca di rigore che
contraddistingue l’Opera 10 rispetto all’Opera 2. Dal momento che il ponte modulante ufficiale
abdica al suo ruolo strumentale, è necessario che un ulteriore episodio traghetti l’esposizione al
secondo tema. Il compito viene assolto dalla sezione indicata in Fig. 14.

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Sonata Op. 13, la Patetica (1798)

L’ottava sonata per pianoforte viene composta nel 1798, anno delle Lyrical Ballads, alle soglie del
nuovo secolo.

Fig. 15

Il ponte modulante si caratterizza da un basso spasmodico che, contrariamente a ogni principio


tonale, sale di semitono in semitono da un Sol a un Si b. La mano destra non può che contorcersi e
dimenarsi tentando di razionalizzare un impulso passionale e inesorabile. L’armonizzazione della
destra (che si trova fra l’altro costretta a fare sia da melodia che da armonia dal momento che il
basso non fa che ripetere un inutile pedale) non è in grado di portare la luce della ragione nei
tenebrosi recessi dell’animo umano. Il sistema di modulazioni adottate dalla destra non sono che un
vile compromesso: Sol Maggiore – La b Maggiore – Si b Maggiore. Solo alla fine del ponte
modulante Beethoven concede una modulazione più convenzionale e razionale, al quarto grado
(battuta 48). Ma non dobbiamo considerarci al sicuro per l’arrivo del secondo tema: dal Mi b
minore d’impianto si modula quasi subito a Re b Maggiore, seguito da Mi b Maggiore, Fa minore e
nuovamente Mi b Maggiore per concludere l’Esposizione (Fig. 16).

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Torniamo al ponte modulante per analizzare le funzioni armoniche imposte dalla mano destra: è
un’alternanza spasmodica tra tonica e settimo grado, un disperato tentativo di tonicizzare un
disegno che di tonale ha ben poco, di imporre un codice al vortice irrazionale e incontrollabile della
mano sinistra.
L’interpretazione dell’armonia di questa Esposizione, a mio modo di vedere, non può essere che
estetica, a partire al titolo (“Patetica”), ideato dall’editore ma che Beethoven riterrà adatto in
riferimento alla poetica di Schiller. Il secolo dell’irrazionalismo è alle porte, impossibile confinarlo
o sconfiggerlo, così come gli strenui e futili sforzi della mano destra nel ponte modulante si rivelano
fallimentari nel tentativo di confinare l’ondata distruttrice, di sublimare la forza vitale dionisiaca in
un mondo di forme perfette (come avviene nella sonata per pianoforte
Fig. 16
immediatamente precedente). Il kantianesimo nel secolo della ragione ha
individuato i limiti dell’intelletto, limiti inammissibili, urge pertanto un
superamento. Laddove non può la ragione interviene la pulsione, laddove non può la mente
interviene il corpo. Il fare arte diventa una ricerca della verità, di una realtà pura e primigenia, non
contaminata dall’intelletto falsificatore. Se l’artista è profeta, l’opera d’arte è profezia, intuizione
metà-filosofica (o pre-filosofica), strumento gnoseologico (o epistemologico). È con tali premesse
che si inaugura il secolo dell’irrazionalismo.
Da questo punto di vista la tragicità della sonata è in realtà un grido di trionfo: ciò che geme e si
contorce è l’armonia, ossia l’elemento razionale, matematico, metafisico. Da questa impari lotta
risulta degna vincitrice la forza distruttrice del sentimento, del pathos. Ciò che Beethoven
rappresenta altri non è che il logos agonizzante.

Necessarie conclusioni:
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Alla luce delle analisi armoniche dei ponti modulanti delle prime sonata beethoveniane è visibile un
disegno evolutivo sia stilistico che estetico.
La lunga strada verso l’irrazionalità romantica (già più che presente nello sturm und drang) muove i
suoi primi passi con la ricerca quasi ludica dell’ambiguità della prima sonata, col gioco di ombre
della seconda, nell’apologia all’inutilità della terza.
Il ponte modulante, nella sua elasticità e indeterminatezza formale, è il luogo deputato allo
sperimentalismo, è il laboratorio del compositore.
I ponti modulanti della raccolta Op. 10 fungono da antitesi rispetto all’Op. 2: si ricerca la geometria
e lo strutturalismo, ma anche l’ironia (consideriamo per esempio la brevità del ponte modulante
della sonata Op. 10 N. 2). Nella sonata Op. 10 N. 3 viene messa in evidenza la dicotomia tra
principio razionale (l’organizzazione periodica) e principio irrazionale (le modulazioni).
Se nella settima sonata il principio irrazionale soccombeva venendo fagocitato da una struttura di
forme perfette e immutabile, nella “Patetica” la mano destra raziocinante non è più in grado di
contenere l’immensa forza distruttrice dell’irrazionalità passionale, è pertanto destinata a perire. La
morte del monarca inaugura una nuova epoca del pensiero, del fare arte, politica, un’epoca di
contraddizioni e irrazionalismo.

Aaaaaa

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