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Roberto Finelli
Nella sua recensione a un libro di più autori sull'attualità di Marx, pubblicato dalla
"manifestolibri" (Sulle tracce di un fantasma. L'opera di Karl Marx tra filologia e
filosofia, a cura di Marcello Musto) Tonino Bucci ha avuto facile gioco ad accusare di
astrazione il "marxismo dell'astrazione", che propongo nel mio intervento come chiave
di lettura del capitalismo attuale e del postmoderno e come un marxismo molto più
attuale rispetto ad altri marxismi classici, quali quelli che io ho chiamato
rispettivamente della contraddizione e dell'alienazione, che hanno occupato la scena
del ‘900 e che a mio avviso rappresentano ormai armi spuntate nella lotta culturale e
politica.
Un'interpretazione di Marx come la mia che parla del capitale come di un universale
astratto, perché la ricchezza che tende ad accumulare è di natura solo quantitativa - e
una ricchezza che è solo quantità tende proprio per la sua natura a un'espansione
sempre più ampia - sarebbe una lettura solo intellettualistica, caratteristica delle aule
universitarie, dove sono assenti i soggetti reali della storia e della lotta sociale, gli
esseri umani in carne ed ossa, le classi, le organizzazioni, i partiti e così via. Ora, oltre
al fatto che io non riesco a vedere neppure un'aula universitaria in cui si facciano
sistematicamente lezioni su Marx (ma neppure Bucci, a dire il vero, ne vede molte),
vorrei in poche righe precisare qualche cosa. Ovviamente per chi è dotato di buon
senso e di un sano empirismo è naturale che ci siano i capitalisti, anziché il capitale in
generale, che ci siano i lavoratori e le lavoratrici, nella loro individualità di esseri
umani, anziché il lavoro o la forza-lavoro in generale: che ad operare nella realtà
concreta ci siano gli individui, i loro raggruppamenti sociali con le loro attività
economiche, le loro organizzazioni sindacali e politiche, anziché degli astratti fattori
universali di socializzazione e di riproduzione della vita collettiva. Insomma appare
ovvio che nella realtà non ci sono gli "universali", che sarebbero solo funzioni della
logica del pensare o astrazioni della metafisica. Eppure a me sembra che quando Marx
scrive Il capitale definisca delle regole di funzionamento economico, di gestione della
produzione, di uso e comando della forza-lavoro, di accumulazione e di vendita, che
sono sostanzialmente impersonali e universali, perché valide per ogni capitale
particolare e individuale, indipendentemente dalla persona del singolo capitalista che lo
gestisce, dal tipo di merce che viene prodotta, dalla localizzazione nazionale
dell'impresa. Caratteristica impersonale e universale del capitale in quanto tale, che
dipende dalla natura appunto identica e astratta della ricchezza che, a ben vedere,
ogni singolo capitale produce, al di là dei tanti valori d'uso in cui l'accumulazione
astratta del denaro poi si realizza. E mi sembra che tale verità universale del capitale in
generale, e dunque del Capitale di Marx, da sempre vera, stia divenendo per altro
realtà innegabile ed evidente solo oggi, dato che la globalizzazione, pur con tutte le sue
violentissime disuguaglianze e asimmetrie, appare essere proprio la messa in verità del
Capitale di Marx: ossia di un'accumulazione di ricchezza astratta che s'è fatta talmente
soggetto dominante e tendenzialmente assoluto del mondo contemporaneo da
superare i confini e il potere dello Stato-nazione e da muoversi con grande velocità di
trasferimento finanziario e produttivo, per cogliere nell'intero pianeta le occasioni più
propizie per la propria crescita ed espansione.