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David, 36 anni e un’unica ambizione: guadagnare la stima del presidente dell’azione in cui lavora,

ottenere un aumento di stipendio e la promozione da dirigente.


Finalmente la sua occasione sembra arrivata: dovrà presentare un brevetto rivoluzionario che gli
garantirà la gloria e l’apprezzamento inseguiti da sempre. Ma in una sola notte l’incontro con
Marcello, un abile imbroglione aiutato da due avvenenti socie, cambierà il corso della sua vita.
David perde tutto: fidanzata, casa e lavoro e per recuperare dovrà imparare l’arte della truffa proprio
da colui che l’ha messo nei guai.
Loro Chi? è un film fondato sul paradosso, meglio, è un film che sembra nascere dall’essenza stessa
del paradosso cinematografico italiano contemporaneo, quel paradosso che ha visto la luce nel
Marzo 2014 e che porta il nome di Smetto Quando Voglio. Partiamo da un’affermazione che ora
come ora potrebbe risultare impopolare ma che (si spera) acquisterà in chiarezza man mano che
andremo avanti con la nostra analisi: sulla carta (e a distanza di tempo, dopo che l’hype ha fatto il
suo effetto, dopo che il clamore causato dal film nella comunità cinematografica è stato smaltito)
Smetto Quando Voglio appare come un film tutto sommato “normale” nel suo essere straordinario.
In un universo dell’intrattenimento audiovisivo contemporaneo che sembra aver intrapreso (con
successo) quella strada che lo porta a voler indagare un sistema fondato da antivalori ed anti-eroi,
secondo una filosofia ed un comportamento adottato, millenni fa da quegli stessi miti e racconti da
cui quest’universo “proviene” per diretta discendenza e che avevano come unico obiettivo la
volontà di comprendere ciò che era troppo difficile per l’uomo comune, viene da chiedersi come
mai l’Italia sia arrivata così in ritardo rispetto all’America, all’Inghilterra, alla Germania, insomma,
rispetto alle sorelle più grandi, ci si chiede, in buona sostanza, come mai noi italiani abbiamo
dovuto aspettare qualcosa come quindici anni ( la prima puntata de I Soprano il prodotto che in
maniera più profonda ha preso il pubblico e gli ha fatto capire davvero cosa voglia dire creare una
narrazione seriale attorno ad un antieroe è del 1999) per fare la conoscenza con i “nostri”
personalissimi antieroi, con il “nostro” (nel caso di Smetto Quando Voglio) Walter White. A questo
punto la premessa con cui siamo partiti per quest’analisi potrebbe apparire più chiara: Smetto
Quando Voglio, nel suo essere una pellicola comunque originale, ben girata, fresca e grintosa si
mostra però in tutta la sua banalità se la mettiamo in contatto con il contesto culturale, con quella
dimensione dell’intrattenimento contemporaneo di cui abbiamo discusso poco fa; una banalità, lo
ripetiamo giusto per chiarezza, non certo propria del film quanto piuttosto conseguente alla volontà
del team creativo di inserirsi su un sentiero che comunque è già stato percorso da altri prima di esso,
con risultati certo alterni ma mai di secondo piano. Approfondendo il discorso da questo punto di
vista è chiaro anche che il regista stesso di Smetto Quando Voglio, Sydney Sibilia, benché cineasta
coraggioso, intelligente, abile e soprattutto profondo conoscitore del mezzo espressivo principe
della sua arte, con la sua opera prima ha fatto (involontariamente, s’intende) più danni che altro. In
primo luogo infatti, come abbiamo visto finora, il “sistema” Smetto Quando Voglio mostra in piena
luce, a chiunque abbia gli occhi per vedere, quanto l’Italia sia arretrata per quanto riguarda la
maturità dei contenuti della sua dimensione dell’intrattenimento audiovisivo; in secondo luogo
perché il (giusto, sacrosanto, comunque meritato) successo della pellicola ha aperto la strada ad una
serie di “progetti apocrifi” tutti italiani che, dopo il film di Sybilia, hanno provato a cavalcare l’onda
dell’esordio del cineasta romano (un’onda fatta di personaggi moralmente dubbi, di umorismo
amaro, di intrecci che spesso sono caratterizzati da vicende legate al sottobosco criminale) senza
però raggiungere gli ottimi risultati sia qualitativi che “economici” di Smetto Quando Voglio.
Alcuni hanno definito quest’ondata il naturale sviluppo di un meccanismo concorrenziale, che
riconosce l’esistenza di alcuni temi ed argomenti di grido e che quindi cerca di organizzare una
risposta in linea con il mercato in modo da trovare il proprio posto al sole, noi preferiamo chiamarla
speculazione e siamo più propensi a definire la mole di titoli derivata dall’opera prima di Sydney
Sibilia inflazione di mediocrità più che “leale concorrenza”.
Con queste premesse è quantomeno giustificato, quando non ovvio, avvicinarsi ad un prodotto
come Loro Chi? con un atteggiamento a metà tra il timoroso ed il diffidente. La trama,
apparentemente, lascia pochi dubbi: c’è buona probabilità che il film sia una copia per così dire
“tematica” di Smetto Quando Voglio, nulla di male in questo, per carità, sebbene sia innegabile che
a causa di ciò l’esperienza di spettatore in sala rischi quantomeno di essere compromessa (sei in sala
più per dovere di critico cinematografico piuttosto che perché effettivamente certo di guardare un
film soddisfacente). E’ proprio in questo momento però, proprio quando Loro Chi? inizia a
carburare, narrativamente parlando, che ti rendi conto, inaspettatamente, di trovarti di fronte ad un
progetto caratterizzato da una straordinaria autocoscienza di sé e del “territorio minato” in cui si
inserisce e che perciò sceglie di utilizzare quel convitato di pietra, quell’elefante nella stanza che in
fondo è Smetto Quando Voglio piuttosto che come “stampo” su cui basarsi per un sicuro successo,
come un punto di partenza tematico da cui sviluppare in maniera originale e personale delle
fondamenta simili a quelle dell’esordio di Sidney Sibilia.
Quello che Francesco Miccichè e Fabio Bonifacci intendono fare è sfruttare Loro Chi? come base
per un discorso, un discorso legato prettamente alla poetica, al puro “farsi” di un film di fronte ai
nostri occhi. Su cosa ruoti questo discorso lo vedremo tra poco, quello che ora come ora ci interessa
capire sono i due elementi principali che lo compongono: le premesse e gli elementi autonomi.

Le premesse, lo sappiamo, sono gli elementi da cui il discorso parte, quello che (ancora) non
sappiamo è che per Loro Chi? le premesse, le basi del ragionamento, sono costituite da quegli stessi
elementi che in un modo o nell’altro lo legano a Smetto Quando Voglio. La sceneggiatura ritmata, il
dinamismo della messa in scena, una fotografia a tratti brillante sono quindi sì, degli elementi che
servono a “posizionare” il prodotto sul mercato, a dire al pubblico “se avete amato Smetto Quando
Voglio probabilmente amerete anche il nostro film” ma servono, anche e soprattutto, per
comunicare allo spettatore più attento che è da lì, è dal film di Sibilia che il loro progetto partirà e
tuttavia non si avrà la certezza che esso seguirà esattamente le linee tematiche della pellicola che lo
ha preceduto. E dopotutto, lo abbiamo accennato poco fa e ora capiamo un po’ meglio perché, il
piano di Miccichè e Bonifacci è proprio questo: utilizzare Loro Chi? prima di tutto come
laboratorio utile a studiare il meccanismo che regge il film stesso e a mettere in comunicazione il
loro prodotto con quei “grandi vecchi” che hanno tracciato la strada in cui la pellicola vuole
inserirsi, con quei giganti della commedia all’Italiana più amara come Dino Risi o Mario Monicelli
che prima di loro hanno indagato i limiti verso cui l’uomo può spingersi nei casi di bisogno più
estremo. Probabilmente, nel loro approcciarsi alla materia da raccontare, i nostri due registi si sono
accorti che i prodotti precedenti a Loro Chi?, come il già citato Smetto Quando Voglio o anche Noi
E La Giulia, in un modo o nell’altro, più per necessità narrative o tematiche che per manifesta
incapacità di approcciarsi ad un argomento in maniera costruttiva, si ritrovano a mancare il loro
bersaglio. Entrambi i film si propongono inizialmente di mostrare come degli uomini comuni
giungano ad intraprendere soluzioni estreme obbligati dal contesto, dalla società in cui vivono (che
sia sintetizzare e spacciare metamfetamina o sequestrare un piccolo mafioso di zona per evitare di
pagare il pizzo poco importa) e tuttavia, con il proseguire della storia sembra che questo
interessante proposito iniziale venga messo in secondo piano a vantaggio di una satira legata al
secondo “macrotema” che le due pellicole si propongono di approfondire ( rispettivamente la
situazione occupazionale dei giovani nell’Italia contemporanea e la piaga della mafia nel
meridione). Tutto giusto, tutto ugualmente interessante ma è comunque inevitabile che, a conti fatti,
il film risulti indebolito da questa scelta, tant’è che, evitando spoiler, sia in Smetto Quando Voglio
che in Noi e la Giulia, le linee narrative più legate ad una poetica “di genere” che caratterizzano le
due pellicole vengono chiuse in maniera frettolosa e a tratti irrealistica, come a voler rimarcare che,
in fondo, queste storyline non sono state altro che un modo utile a trasmettere un determinato
messaggio (quel commento satirico alla realtà attuale di cui sopra). I film, sebbene rallentati da
queste scelte poetiche, funzionano comunque degnamente, ma è senz’altro un peccato che, pellicole
nel cui DNA scorrono le immagini di prodotti come Finché c’è guerra c’è speranza o Il Vedovo
(film, questi sì, che al netto dei fatti portano in scena personaggi che alla fine si rivelano in tutta la
loro grettezza, amoralità, scorrettezza) in conclusione risolvano tutto con una semplicità,
un’immediatezza che comunque stona con lo stesso impianto tematico che li regge, un po’ come se
si avesse paura, di andare fino in fondo. E’ qui, è esattamente qui, in questo limbo di significato che
si inserisce Loro Chi? con il preciso intento di riempire quel vuoto di senso che i film di Sibilia e di
Leo hanno lasciato vacante. C’è del coraggio, nel film di Miccichè e Bonifacci, il coraggio di chi
non ha paura di modellare la storia che intende raccontare attraverso gli stilemi di un racconto di
formazione completamente declinato al negativo. Non c’è sguardo sulla società contemporanea in
Loro Chi? e c’è tuttavia una straordinaria attenzione all’uomo come entità dotata di potere
decisionale oltreché caratterizzato da una propria evoluzione psicologica.
A differenza dei protagonisti di Smetto Quando Voglio o di Noi E La Giulia che bene o male non
subiscono un’evoluzione sostanziale nel momento in cui scelgono di intraprendere la proverbiale
“strada non presa” quella su cui, ad ogni buon conto, nessun individuo coscienzioso vorrebbe
camminare e che oltretutto terminano la loro vicenda per certi versi “salvati” da quei finali positivi e
consolatori che solo un certo tipo di commedia può regalarci, David entra in contatto con l’evento
traumatico che in un modo o nell’altro modifica la sua vita (l’incontro con il truffatore che lo
rovinerà definitivamente) come farebbe un iniziato ad un culto con quel particolare rito al termine
del quale egli nasce a nuova vita. Dal momento in cui il protagonista sceglie di recuperare i soldi
che gli sono stati rubati seguendo passo passo Marcello e ritrovandosi così ad entrare in contatto
con quel sottobosco criminale fatto di piccole truffe, raggiri, travestimenti e millantati crediti è
abbastanza chiaro ed al contempo ironico, che il nostro protagonista, piuttosto che povero innocente
vittima degli eventi è più simile a Pietro Chiocca, l’uomo attorno a cui ruota Finché c’è guerra c’è
speranza, un ex rappresentante di pompe idrauliche che si converte al buisness del traffico d’armi
una volta resosi conto che le entrate derivate da questa nuova professione sono molto più
remunerative, esattamente come David, che improvvisamente prende coscienza di come un
truffatore sia in fondo un’artista, un performer 2.0. impegnato a truccare la realtà che lo circonda
così da regalare un sogno alle sue vittime, insomma, una brava persona al di là di tutto. A contatto
con Marcello, David si scopre estremamente dotato nell’arte della truffa, cresce, migliora, si affina,
capovolge la sua situazione iniziale e tuttavia, come se questa piena fusione con il proprio lato
oscuro non faccia già abbastanza effetto presa da solo, per comprendere l’impatto di questa
straordinaria declinazione al negativo del romanzo di formazione basta soffermarsi sulle sequenze
con cui si chiude tutta la storia. Senza dilungarci troppo sui dettagli del momento, per evitare
spoiler, basterà dire che nelle sequenze finali del film il nostro protagonista si ritroverà ad
architettare una truffa necessaria a superare un momento di crisi. Il raggiro va a buon fine e David
riesce a scappare appena in tempo prima che la vittima si lanci al suo inseguimento. Il truffatore è
riuscito nel suo piano e sul suo volto ora spunta un sorriso soddisfatto, partono i titoli di coda. E’
un’informazione che passa quasi in sottotesto rispetto al sistema sotteso al film, un’informazione,
uno spunto di cui pochi si accorgono, ma qui è abbastanza chiaro che con questa sequenza, i due
registi vogliono farci capire che David ha trovato la propria strada, la propria realizzazione, nel
truffare gli altri. Il nostro protagonista fa del male e ne trae un profitto, è un malvivente, un poco di
buono, un uomo da evitare, e a poco giova quell’ironia, quell’empatia che, com’è giusto che sia, ci
fa apparire simpatico il personaggio interpretato da Edoardo Leo, David è “il male”, è un antieroe
finalmente completo nel suo essere pieno rappresentante di un certo tipo di negatività che per certi
versi non si può evitare. Proprio per questo, più di ogni altra cosa, il personaggio scritto da
Miccichè e Bonifacci diventa un’entità in fondo necessaria al cinema italiano, perché simbolo di un
modo di affrontare l’arte del racconto che non ha paura di cadere nell’impopolare, nel difficile, due
aspetti che mancano al “nostro” cinema. Loro Chi? è un film semplice, diretto, che rischierebbe di
passare sotto silenzio se non fosse caratterizzato da questo modo coraggioso di affrontare la materia
del racconto, noi ve lo consigliamo proprio facendo leva su questo suo aspetto, convinti che agendo
in questo modo, vi faremo avvicinare ad uno di quei film che, si spera, contribuiranno alla rinascita
ed alla ricostruzione di un modo di fare cinema che ormai sarebbe lusinghiero definire antiquato.

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