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Catch 22

Catch 22, la serie prodotta da George Clooney in onda dal 21 Maggio su Sky Atlantic, è un progetto
che coniuga più anime in un dialogo costante capace di rendere il progetto straordinariamente
sfaccettato. Proprio i caratteri di questa comunicazione rendono questo nuovo adattamento del
romanzo di Joseph Heller degno di interesse.
La prima anima è quella di Clooney, la cui firma autoriale emerge prepotentemente in Catch 22 nel
momento in cui si riflette sul primo discorso di cui la serie è vettore. Basta una certa confidenza con
il lavoro del Clooney regista per individuare nella serie alcuni dei punti di riferimento della sua
ideologia. Catch 22 è, in fondo, una nuova tappa di quell’analisi sociopolitica dell’America
contemporanea che è uno dei capisaldi del suo cinema recente. Clooney ha già analizzato i rinati
suprematismi in Suburbicon e su queste basi, Catch 22 si configura come uno studio sul rapporto tra
l’America e i concetti di “Guerra” e di “Difesa Della Nazione”, un’analisi dall’impianto liberale e
caratterizzata da quell’ironia che è tipica dell’approccio di Clooney al racconto. Il suo sguardo si posa
in particolare sul plotone di soldati protagonisti della storia, adorabili giovani che hanno ben chiaro
di essere capitati in un gioco insensato più grande di loro e subito dopo si sposta sugli ufficiali, il cui
ritratto ironico non può che lasciare emergere in loro l’infantilità e la megalomania tipici della cultura
americana contemporanea.
Tutto questo, tuttavia, non sembra bastare. L’ironia dello sguardo di Clooney si sporca di umorismo
nero, sentimento dell’assurdo, esistenzialismo, caratteri lontani dal suo stile registico. È un po’ come
se Clooney non creda sia sufficiente il suo sguardo per trasporre il romanzo. Alla ricerca di un rinforzo
ideologico egli “risciacqua” il suo approccio in quegli elementi che sono le fondamenta della scrittura
dei fratelli Coen (coatuori, tra l’altro, di Suburbicon). La presenza/assenza dei due registi aleggia nel
corso di tutta la serie e ne costituisce una delle tre anime che la sostanziano. Clooney emula
ideologicamente la scrittura dei Cohen e l’intero mondo narrativo finisce per essere organizzato
attorno ad elementi mutuati dallo stile dei due registi. La base militare diventa un’allegoria che
tematizza i limiti e le contraddizioni del rapporto degli americani con la dimensione militare. Il mondo
di Catch 22 è in perfetto equilibrio tra il caos privo di senso, la coincidenza, la violenza della guerra
e le regole necessarie a trovare ordine in questa dimensione disordinata. In alcuni casi esse sono
imposte dall’alto e si traducono nella burocrazia al centro della satira della serie, in altri sono gli stessi
soldati a rendersi conto dell’assurdità della dimensione in cui si trovano e a creare in maniera
autonoma un nuovo sistema gerarchico, delle nuove regole, dei veri e propri sistemi economici
paralleli. Su un livello di analisi più ampio, questo approccio ideologico, volto a far emergere
l’inconsistenza della guerra finisce per interferire con le dinamiche del genere attorno a cui si
organizza la serie. In Catch 22 la guerra viene messa tra parentesi, vista da lontano, filtrata dai vetri
di un bombardiere. Le azioni belliche sono relegate agli ultimi atti di ogni episodio e l’elemento epico
è profondamente depotenziato, intimo, più che retorico. Le vere battaglie di Catch 22 si combattono
a forza di leggi e paradossi, in una guerra civile tra soldati semplici e ufficiali in cui entrambi gli
schieramenti soccombono alla burocrazia, in un’atmosfera che ricorda i romanzi di Buzzati e Kafka.
Proprio al di sotto di questi due discorsi, ne scorra un altro, forse meno evidente ma non per questo
meno degno di nota, un discorso che si coagula attorno al cinema di David Michôd, di fatto, la terza
anima di Catch 22. Insieme a Luke Davies, Michôd ha curato la sceneggiatura di tutta la serie, che
dunque si può considerare come un ulteriore tassello del percorso di ricerca dell’autore australiano.
In Catch 22 viene dunque posta in primo piano quella ricerca di unità atta a contrastare il dramma
dell’esistenza, quella volontà di creare strutture sociali sui generis già emersa con la famiglia
borderline dell’esordio di Michôd Animal Kingdom.
Particolare rilevanza nel cinema di Michôd ha poi la riflessione sull’ambiente. In The Rover il
protagonista attraversa un’Australia post-apocalittica, confrontandosi con un’umanità ai limiti
oltreché con scenari ed esperienze estreme, ma anche la Melbourne contemporanea di Animal
Kingdrom può assumere tratti minacciosi, se la scrittura ne mette in luce tutte le ambiguità e gli aspetti
più critici. Il trattamento dello spazio in Catch 22 sembra seguire le stesse regole. La base militare
appare come una sorta di spazio limbico, ultimo baluardo (il)logico prima di una realtà
incomprensibile e tuttavia la scrittura approfondisce il discorso nel momento in cui si confronta con
la sequenza in cui Yo Yo si ritrova sperduto in una Roma notturna, misteriosa, popolata da individui
ambigui, vittima di eventi tra l’assurdo e il tragico. Lo spazio in Catch 22 risulta quindi essere una
dimensione profondamente connotata sul piano drammaturgico, manipolata, che arriva ad amplificare
quell’alone perturbante e insensato che aleggia durante tutta la serie. Non è un caso che l’Italia
rappresentata dalla serie sia artefatta, come se fosse stata ricreata a partire da una cartolina. Alla
poetica di Michôd possiamo far risalire anche il peculiare rapporto che la serie intrattiene con il
dramma e la violenza. La morte in Catch 22 è qualcosa di esterno, che scorre sotterraneo al film e
che esplode improvvisamente e in modo caotico, uno strumento necessario al caso per opporsi a
quella ricerca di ordine che tutte le parti in gioco portano avanti. Chi muore lo fa quasi per caso, i
soldati cadono spesso a causa di incidenti, molti, in ogni caso, lo fanno in modo grottesco, per tutti,
la morte giunge sulla scena in apocope (come accade in Animal Kingdom).
Il collante che tiene insieme queste tre entità in dialogo è la drammaturgia del suono. La ricchissima
colonna sonora a tema swing e jazz (tra gli artisti che sarà possibile ascoltare Nat King Cole, Benny
Goodman, Glenn Miller), diventa la vera e propria colonna vertebrale del progetto, capace com’è di
incarnare, anche contemporaneamente, uno o più dei vettori cardine della serie. Il suono in Catch 22
può essere infatti ad un tempo evocazione di uno spazio sicuro, legato magari al ricordo di casa,
appiglio per un’unità in questo momento perduta o può amplificare l’ambiguità e l’assurdità della
realtà con cui si confrontano i soldati, come in tutti quei momenti in cui la diegesi inserisce un brano
swing che va a cozzare con l’atmosfera epica della sequenza oppure in tutte quelle situazioni in cui il
suono, a tratti, viene distorto, disturbato, da elementi diegetici ed extradiegetici quasi che si voglia
portare alla luce un sotterraneo elemento di squilibrio o minaccia.
Catch 22 è in sostanza il risultato di un modo intelligente di intendere l’adattamento televisivo, capace
di unire più linee di ragionamento, poetiche e approcci al dispositivo riuscendo a compiere un
discorso unitario, capace di sostanziare e amplificare il senso profondo del romanzo di Heller
attraverso il mezzo televisivo.
Alessio Baronci

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