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QLIPHOT

QLIPHOT: ALLA SINISTRA DI DIO

Circolo degli 11 RE Arcidemoni

Un’altra versione, embrionale e non aggiornata, di


questo articolo, è presente nel forum “Satanisti:
la Nostra Verità”.
Tale versione non verrà più aggiornata né ampliata,
mentre sarà costantemente ampliata quella presente
in questo website.

Anticosmiche, oscure, emanazioni sinistre di un


Assoluto altrimenti troppo luminoso per reggersi
su se stesso: venendo trattate alla stregua di
un tabù dalle scuole di spiritualità ortodosse e
conservatrici, di Qliphot si parla poco e niente, e
spesso chi lo fa non ha le idee molto chiare riguardo
a unargomento, avente tanto seguito nella letteratura
esoterica moderna, quanto riferimenti classici scarsi
e difficili da trovare.La Qabalah ebraica, dottrina
mistica e monista per eccellenza, le cita di sfuggita,
come “gusci” o “scarti della creazione” (il termine

singolare qlipha deriva infatti dall’ebraico kelipah [
kelipott] che significa appunto “guscio” o “scarto”), è
dà loro poco spazio, sebbene molta rilevanza
funzionale, considerandole alla stregua di un effetto
collaterale che sporca una Creazione altrimenti
intrinsecamente pura.

La mistica ebraica le ritiene fondamentali per


quanto riguarda la comprensione del processo
creativo, ma poco utili ai fini dell’evoluzione
dell’anima. Dunque, prima di trovarle citate in testi
esoterici che propongano di operare con esse,
bisogna aspettare fino all’Ottocento, con Dogma e
Rituale dell’Alta Magia di Eliphas Levi – il primo, di
fatti, a portare le Qliphot alla vista della Tradizione
Magica Occidentale e ad assegnare a esse gli Undici
Arcidemoni che le governano.

Non si parla molto di Qliphot perciò, perché dal


punto di vista operativo l’argomento è scarsamente
documentato e taciuto nella letteratura qabalistica.
Al contempo, diversi ordini esoterici, dall’Ottocento
a oggi, le hanno incluse nei propri insegnamenti,
dando un forte impulso al loro studio. Ora sono un
argomento sempre più approfondito e apprezzato
nelle Vie di Mano Sinistra, per il supporto che
offrono alle idee e ai motivi che inducono un numero
crescente di persone a ribellarsi alle convenzioni
imposte da società e religioni i cui dogmi non sono
più al passo con i tempi. Ma c’è un abisso che divide
le Qliphot come vessilli sbandierati delle Vie di Mano
Sinistra, dalla reale comprensione del loro ruolo nella
magia anticosmica e nella mistica ebraica (dove
sono incarnazione di un Male a tratti necessario,
razionale o ingiustificato, ma sempre e comunque
assoluto e caotico).

Alla luce di quanto sopra, e di quanto scriveremo in


seguito, è bene ricordare che soltanto un praticante
esperto e ben informato dovrebbe approcciarsi alle
Qliphot, tenendo a mente che la disinformazione
o la condivisione di metodi ed esperienze che
riguardano energie così distruttive può arrecare
danno ai meno esperti. Proprio per questo motivo,
l’articolo si propone di essere soltanto informativo e
introduttivo all’argomento dal punto di vista storico
e teorico, e non offrirà alcuno slancio pratico verso
un percorso qliphotico.

SOMMARIO
1. Antinomico o anticosmico?
2. Il paradosso: può il Male originarsi da un Dio
assolutamente buono?
3. Lo Tzim-Tzum, la Schebirath ha-Kelim e la Tikkun
4. Sitra Ahra ed El Acher
5. Il veleno oscuro
6. Sabbatai Zevi
7. L’eresia di Sabbatai Zevi

1. ANTINOMICO O ANTICOSMICO?

In una Italia che sta andando radicalizzandosi,


abbracciando con sempre più convinzione
alcuni movimenti esoterici estremi, per capire
le Qliphot è necessario fare un passo indietro e
distinguere fra due termini, “antinomico” non equivale
ad“anticosmico”. Benché queste parole vengano
generalmente usate per definire una tradizione
occulta di tipo “sinistro”, cioè d’opposizione rispetto
all’ortoprassi comunemente accettata attraverso il
dogma religioso e sociale, si tratta di due livelli ben
diversi di opposizione e manifestazione del Caos.

Da un lato, “antinomico” implica, semplicemente, il


porsi in antitesi all’interno di tutto ciò che è creato:
causa-effetto vengono sovvertite per abbracciare
una acausalità attraverso la quale portare il Caos
nell’Ordine, per ribaltare le strutture sociali,
gerarchiche, culturali, e poi rivoluzionarle. Si tratta
di prendere il Caos dal quale l’Ordine è derivato,
e far sì che dall’Ordine derivi il Caos. Si ribalta,
dunque, il motto del 33° grado della Massoneria:
Ordo ab Chao, promulgando invece Chao ab
Ordo. L’essere antinomico è in rottura con tutto
ciò che è stabilito, alla ricerca di una sovversione
dalla quale possa scaturire una nuova evoluzione:
soltanto distruggendo si può tornare alla materia
(spirituale, fisica) informe dalla quale trarre nuove
Forme, nuove Forze.

Per contro, “anticosmico” trascende questa semplice


ricerca di Caos all’interno dell’Ordine. La mira è
più ampia: riconsegnare l’intera creazione al Caos
Primordiale, perché infine l’Essere possa tornare in
se stesso, indifferenziato al suo interno e, dunque,
Assoluto. Da un lato si può definire questa filosofia
come “dualismo anticosmico”, rifacendosi non
solo allo Gnosticismo, ma anche al Manicheismo e
allo Zoroastrismo, per i quali la materia, illusoria
per sua natura e dunque “malvagia” (perché non
vera), è da disgregare perché lo Spirito venga
liberato e magnificato, potendo così esprimersi al
massimo e ricongiungersi con l’Assoluto. Da qui
deriva anche la dicitura, adottata da alcune correnti,
di “chaognosticismo anticosmico”, che evolve la base
tradizionale dello Gnosticismo adeguandola a una
visione più moderna e, a tratti, ovviamente piegandola
alle necessità contemporanee.

2. IL PARADOSSO: PUÒ IL MALE ORIGINARSI DA UN


DIO ASSOLUTAMENTE BUONO?

Prima dell’Ottocento e degli scritti di Eliphas


Levi, le Qliphot vengono limitatamente trattate
da Isaac Luria, noto rabbino, mistico e qabalista
nato a Gerusalemme nel 1534. Come molti altri
ebrei, la sua visione del mondo venne fortemente
influenzata dagli effetti dell’Editto di Granada del
1492, promulgato dai sovrani spagnoli Isabella di
Castiglia e Ferdinando II d’Aragona, sotto l’influenza
dell’Inquisizione spagnola, di cui entrambi erano
ferventi sostenitori. Con tale Editto, gli ebrei
erano stati cacciati dal Regno di Spagna, costretti
a un’ennesima diasporache aveva riaperto nel
cuore del Popolo, e della sua mistica, una ferita
antica, alla quale la dottrina ancora non offriva una
risposta soddisfacente: perché se il Dio del Popolo
d’Israele tanto amava i suoi figli, permetteva che
essi venissero perseguitati, secolo dopo secolo, ed
emarginati, scacciati, uccisi, e non li rendeva invece
apprezzati per la finezza della loro cultura mistica e
religiosa? Perché, e come, da un Dio misericordioso
si origina il Male?

Queste domande furono uno stimolo per Luria, e lo


indussero ad ampliare la propria visione mistica,
per spiegare la nascita del Male in modo non
paradossale. Così le Qliphot divennero per il rabbino
lo strumento attraverso il quale il dolore, il pianto,
la malattia, la persecuzione, il male in ogni sua
forma, penetrano nella Creazione infrangendone la
perfezione e costringendo l’Umanità ad affannarsi
per ritrovare il Divino dentro se stessa e nel
mondo circostante.
Rappresentazione grafica dello Tzim-tzum.

3. LO TZIM-TZUM, LA SCHEBIRATH HA-KELIM


E LA TIKKUN

La mistica lurianica basa la propria cosmogonia


sullo Tzim-tzum, cioè sul processo di progressiva
limitazione di un Divino Assoluto che, per
ri-conoscersi e manifestarsi, ha bisogno di limitare
sé stesso. All’origine di tutto, il Divino contrasse
se stesso in un punto che circondò di vuoto,
creando così una prima distinzione, attraverso
la quale si manifestò come raggio di luce. Più il
raggio si allontanava dalla fonte, più il suo potere
veniva progressivamente velato e ridotto, in stadi
successivi. Egli creò dunque dei “vasi”, che potessero
contenere questo raggio di luce. Creò cioè degli spazi
metafisici delimitati, che potessero essere saturati del
suo potere, rendendolo più chiaramente percepibile
e comprensibile a lui stesso, prima ancora che agli
esseri che sarebbero stati creati in seguito. Questi
vasi sono le Sefirot (singolare Sefirah), cioè le
“emanazioni” – dalla radice ebraica SFR, comune ad
altre parole, unite così in un’unica area semantica che
esplica il significato instrinseco nel concetto: sefar
(computo), sefer (scrittura), sippur (discorso).

Quattro vasi accolsero la luce divina, ma il quinto,


si ruppe. La Sefirah Geburah, la Severità, la potenza
della disgregazione, non riuscì a contenere la purezza
della luce divina e, infrangendosi, si trasformò in un
eccesso, dal quale si originò il male primordiale. I
suoi cocci precipitarono nel vuoto, caddero
corrompendosi nell’Abisso Primordiale (il vuoto di
cui Dio si era circondato per potersi manifestare),
divennero le Qliphot e si organizzarono in modo
speculare alle Sefirot, in un Albero della Morte (Etz
Ha-Mavet), piuttosto che in un Albero della Vita
(Etz Ha-Hayim). (Da notare, in alcuni testi della
Qabalah ortodossa, è Dio stesso, YHWH il Demiurgo,
a proiettare, nel vuoto dell’Abisso in cui i gusci
precipitano, la forma e gli attributi delle Qliphot, per
delimitarne il potere: in questo contesto, è lo stesso
Demiurgo, identificando ciò che è puro e benigno, a
definire attraverso un processo negativo ciò che è
impuro e maligno. La ragione per cui il Male esiste
è dunque da ricondursi, semplicemente, all’istituirsi
del Bene in quanto tale.)

La rottura dei vasi, chiamata Schebirath ha-Kelim,


è un tratto distintivo della mistica lurianica, che
riconosce nei vasi che non sono riusciti a reggere
l’impatto con il potere divino, la prima origine e
ragione dell’esistenza del Male. Tuttavia, poiché
nei frammenti precipitati nel vuoto primordiale
doveva comunque essere presente una scintilla
divina (poiché anch’essicreati da Dio), Luria
introdusse anche il concetto di Tikkun, cioè il
recupero di taliscintille per purificarle, innalzarle e
ricongiungerle al Divino – riparando, in questo modo,
alla separazione originaria e ridare all‘Essere una
continuità assoluta.
Uno dei molti modi in cui viene rappresentata la
relazione fra i due Alberi.

4. SITRA AHRA ED EL ACHER

Così come le Sefirot, le emanazioni “luminose”, sono


organizzate in un percorso chiamato Etz Ha-Hayim
(Albero della Vita), rappresentato come albero
o come un insieme di cerchi concentrici, così le
Qliphot, le emanazioni “oscure”, sono rappresentate
attraverso Etz Ha-Mavet (Albero della Morte).

Poiché le une sono lo specchio delle altre, così


Etz Ha-Hayim e Etz Ha-Mavet sono speculari, talvolta
rappresentati uno sovrapposto all’altro o uniti alla
base, sviluppandosi il primo in altezza, verso il cielo
e l’Iperuranio, e il secondo in profondità, verso la
terra e l’Infernus. Dion Fortune ne La Cabala Mistica,
esemplifica in modo efficace la specularità di Sefirot
e Qliphot, spiegandole come due metà di una stessa
sfera, sulla cui superficie si muove un immaginario
pendolo che rappresenta la forza associata a ogni
emanazione: gli eccessi, in positivo o in negativo,
muovono il pendolo in una delle due metà, facendolo
sconfinare ora nella parte sefirotica, ora in quella
qliphotica: è dunque soltanto l’equilibrio a permettere
di mantenersi centrati in una delle due parti.

Così come le Sefirot sono associate ai diversi


ordini angelici (gli angeli sono infatti messaggeri
e momentanee personificazioni di Dio), così le Qliphot
sono state associate, dall’Ottocento, ad alcune entità
demoniache: Undici Arcidemoni le governano (a
Thaumiel sono associate due entità) come Signori
di Sitra Ahra, l’Altra Parte. Anche prima di Levi, le
Qliphot erano considerate governate da figure non-
divine, secondo il canone ebraico, complessivamente
definite El-Acher, cioè “l’Altro Dio” in riferimento
a una divinità estranee, esterne alla dottrina e alla
teologia ebraica, considerate demoni tanto nelle
letterature ebraiche canoniche ed apocrife. D’altra
parte, la “demonizzazione” di divinità straniere
rispetto a un gruppo religioso ed etnico, è un passo
comune a tutti i popoli nella loro ricerca di una più
stabile e forte identità culturale – e il rifiuto di divinità,
pratiche magiche e religiose estranee, appartenenti
alle aree confinanti, costituisce per tale scopo un
passaggio obbligato, e il più logico da compiere per
esaltare il proprio credo e la propria storia.

Soprattutto nella Tradizione Anticosmica, El-Acher


viene anche reso come “il Dio Alieno”, avente undici
facce, ovvero undici aspetti di un unico essere,
riprendendo così il modello dello Gnosticismo del I
sec., che contrapponeva al Demiurgo un Dio Alieno,
che nulla ha creato, la cui natura è completamente
trans-mondana, anti-cosmica, cioè estranea e
avversa al Cosmo, inteso come interezza del creato,
che non governa e al quale è in completa antitesi. Le
undici emanazioni che compongono El-Acher, cioè
gli Undici Signori di Sitra Ahra, si localizzano dunque
in quell’Abisso Primordiale in cui non esiste niente di
creato, dove le Forze, soltanto sotto impulsi esterni, si
aggregano in Forme sempre mutevoli, ma sempre
antitetiche rispetto a quelle del Cosmo, alle quali si
oppongono per disgregare la Creazione e riportarla a
quell’Origine da cui tutto è scaturito.
Uno schema esplicativo della struttura di Etz
Ha-Mavet. (Click sulla foto per ingrandire.)

5. IL VELENO OSCURO

Le Vie di Mano Sinistra, in inglese Left-Hand


Path, e in particolare le Qliphot, sono associate al
concetto di “sinistro”, tradotto dall’inglese “sinister”.
Purtroppo, in Italiano perdiamo buona parte dell’area
semantica del termine sinister, che in prima battuta
si riferisca a qualcosa di pericoloso e malevolo,
e solo dopo definisce ciò che sta fisicamente a
sinistra. Nella nostra lingua, invece, sinistro ha
come prima accezione ciò che sta a sinistra, poi
qualcosa di criminoso e soltanto infine fa riferimento
all’antica credenza per cui da “sinistra” provengono
il male e il pericolo (credenza che, in diversi punti,
si rintraccia anche nella mistica ebraica ortodossa,
che associa il male alla sinistra e al settentrione,
direzione in cui Sitra Ahra è idealmente localizzato).
Questa inversione di livelli di significato determina
purtroppo una parziale decontestualizzazione del
reale significato di “Vie di Mano Sinistra”. L’aggettivo
inglese “sinister” racchiude però la pienezza delle
sfaccettature delle Qliphot, la cui natura è sinistra
per eccellenza, cioè oscura, antinomica, anticosmica,
contrapposta (spesso in modo violento) a tutto ciò
che è invece “destro” (in inglese “right”), cioè giusto,
corretto, auspicabile.

Sulle Qliphot come energie antinomiche è stato


scritto molto, e capito poco. La tendenza è di
considerarle solo forze distruttive e caotiche, in
opposizione alla creazione e all’ordine, dimenticando
che è nella dissoluzione dei legami fra le cose che
risiede la possibilità di formarne di nuove, più affini
alla propria visione metafisica.

“Antinomico” assume così una molteplicità di


significati. Il primo è indubbiamente la necessità, per
chi pratica le Vie di Mano Sinistra e segue percorsi
qliphotici, di rompere spiritualmente, mentalmente e
socialmente con le regole imposte dal vecchio Eone
magico (dominato dalle Vie di Mano Destra, dal loro
dogma prevaricante e assolutista, che dà poco spazio
alla libera espressione personale). Il secondo è invece
il senso cosmico, o cosmogonico, che contrappone
all’ordine e alla creazione, il caos e la distruzione,
forze antitetiche la cui tensione costante genera il
tempo e mantiene la Manifestazione a una condizione
di equilibrio: la ricerca dell’anti-cosmo diviene
perciò la ricerca di un tempo senza tempo, che
trascenda sia la ciclicità che la relatività, attraverso
la distruzione del Creato.

Non perché le Vie di Mano Destra, tradizionalmente


associate a tutto ciò che è luminoso, siano una
delusione per i molti che le abbandonano cercando
qualcosa di diverso, allora è corretto definire
oscure le Qliphot (portanti nelle Vie di Mano
Sinistra). Lo sono, è ovvio, ma non per la ragione
che normalmente viene riportata. Oscurità e luce
esistono, in porzioni diverse, in ogni Sefirah e
in ogni Qlipha, ma è oscuro il contesto in cui è
inserito l’intero Etz Ha-Mavet all’internodi Sitra
Ahra. Se il Divino si manifesta come un raggio di
luce, che colma le Sefirot durante lo Tzim-tzum,
e le Qliphot cadono nel vuoto che serve da sfondo
per permettere la visione della luce divina, è ovvio
ritenere che Sitra Ahra sia sommerso dalla tenebra.
Quella, appunto, dell’Abisso Primordiale, dove la luce
divina non brilla. Oscurità è quindi assenza di luce,
di ordine, di purezza, e di conseguenza sembiante
del veleno qliphotico.

Il veleno delle Qliphot, talvolta associato al


Serpente tentatore che corrompe Eva nell’Eden,
e che prima ancora feconda Lilith, sotto forma di
Samael, si inserisce in questo contesto come un
elemento di rottura rispetto alla quotidianità. Di
fatti, l’avvelenamento rappresenta uno stato
alterato dell’organismo, che coinvolge diverse
sfere della persona (la sua mente, ma anche il suo
corpo), permettendole di sperimentare l’antinomia,
cioè di fare esperienza dell’a-normalità. Il veleno
del Serpente dell’Eden non è, ovviamente, soltanto
qualcosa di fisico, inteso come sostanza tossica, ma
ancor più qualcosa di metafisico: la Conoscenza,
che permette al mago, all’adepto e soprattutto
all’Iniziato, di acquisire una visione della realtà che sia
critica, non dogmatica e non bloccata al solo mondo
visibile – ma che le trascenda tutte, per permettergli
di sperimentare sulla propria pelle i poteri, creativi e
distruttivi, che sorreggono l’intero Universo.

6. SABBATAI ZEVI
Il periodo che va dalla fine del XV sec. all’inizio del
XVIII fu, per la mistica ebraica, un periodo di continue
agitazioni e cambiamenti. Prima il decreto di Granada
e la cacciata dalla Spagna nel 1492, operata per
volere dei cristianissimi sovrani spagnoli Isabella
di Castiglia e Ferdinando d’Aragona. Poi l’ennesima
diaspora attraverso l’Europa, che mise nuovamente in
discussione il tema del “male”, così sentito da parte
del popolo ebraico e così inconciliabile con l’idea di
un Dio perfetto e misericordioso.

Proprio la ridiscussione del ruolo del Male nella


mistica e nell’“anatomia” divina, indusse Isaac Luria
e Moses Cordovero a raccogliere nei propri testi
buona parte del sapere tradizionale legato al male,
alle figure di Samael, Lilith e Tanin’iver, e rianalizzarle
secondo un modello di pensiero meno popolare e più
colto. Da ciò scaturirono non solo grandi riflessioni
riguardo al ruolo cosmico del Male, ma soprattutto i
primi sistemi davvero organizzati di analisi e
speculazione sulle Qliphot, non più viste solo come
“scarti” della Creazione, ma anche come scintille
cadute aggregate in una precisa gerarchia.

A Etz Hayim, l’Albero della Vita, organizzato in Dieci


Sefirot, iniziò dunque a essere contrapposto Etz
Ha-Mavet, l’Albero della Morte, organizzato in
Dieci Qliphot. Seppur inizialmente priva di attributi
morali, questa specularità andò successivamente
a simboleggiare l’opposizione fra il Bene cosmico,
quella forza aggregativa e positiva che porta in sé
un movimento evolutivo; e il Male cosmico, visto
come una forza disgregativa e negativa, motivo
di contrazione e ripiegamento. Pur se le Qliphot
restarono quei “gusci vuoti”, quegli “scarti” che la
mistica ebraica ha sempre rifuggito, in essi però
venne riconosciuta la permanenza di un’essenza
divina che, troppo pura, era essa stessa causa
del frantumarsi dei contenitori che dovevano
accoglierla. Seppur precipitata, restava comunque
una sfaccettatura di un Divino che, essendo pura
perfezione, assoluta e trascendente, doveva
per forza contiene in sé ogni cosa, il Bene
così come il Male.

Su queste idee si evolvette, da metà del XVI sec.,


la mistica eretica di Sabbatai Zevi e Nathan di
Gaza, personaggi quanto mai rilevanti nella storia
dell’ebraismo, ma poco conosciuti, anche da molti
praticanti delle Vie di Mano Sinistra, che ignorano
come buona parte delle idee che ruotano attorno
alla moderna Qabalah Qliphotica siano da imputarsi
proprio alla loro apostasia.

Sabbatai Zevi, l’ebreo errante, cabalista, mistico e


poi eretico agitatore politico; ebreo ultra-ortodosso,
apostata e infine musulmano. Una figura difficile
da inquadrare: si proclamò Messia nel 1648
che, secondo alcune interpretazioni contestate
dello Zohar, avrebbe dovuto essere l’anno della
redenzione. Il suo gesto ebbe una risonanza così
vasta, da provocare una spaccatura nella comunità
ebraica, divisa fra chi gli credette e lo seguì, e chi
invece lo rifiutò e tacciò di eresia. Nel 1651 venne
bandito da Smirne e dalla locale comunità ebraica,
in sostanza scomunicato. In seguito soggiornò a
Gerusalemme raccogliendo intorno a sé i propri
seguaci, e poi si insediò a Salonicco, al tempo città
ottomana fulcro di una intensa attività cabalistica. Lì
iniziò la propria predicazione messianica, e tornò a
viaggiare, in Egitto, in Grecia, in Palestina, forte del
sostegno di Nathan di Gaza, influente teologo che
presto divenne suo profeta – raccogliendo un seguito
sempre maggiore con l’avvicinarsi dell’anno 1666,
secondo alcuni anno dell’Apocalisse.

Nel 1666 non giunse la fine del mondo ma, denunciato


dalla comunità ebraica di Constantinopoli alle
autorità ottomane, Sabbati Zevi venne imprigionato
come agitatore politico e costretto alla conversione,
pena la morte. Commise così il più grave atto per
un ebreo: l’apostasia, ripudiando l’ebraismo e
abbracciando l’Islam, senza remora alcuna, in piena
continuità con la propria filosofia mistica.Molti
dei suoi seguaci, sconvolti dalla decisione,
abbandonarono la setta, e il movimento sabbateo
perse rapidamente potere e influenza, riducendosi
a una manciata di individui, i Donmeh (“i Convertiti),
che pur professando pubblicamente la fede islamica,
in privato continuarono a praticare l’ebraismo,
perpetrando le idee di Zevi.

Per contrastare le idee di Sabbatai Zevi, e impedire


che fatti del genere si ripetessero, Ba’al Shem Tov,
fondatore del moderno Chassidismo, lentamente
aprì la Qabalah e la mistica ebraica non più solo
ai rabbini e ai dotti, ma anche al popolo, perché la
diffusione di concezioni eretiche non-ortodosse
fosse più difficile e impedita in ogni modo possibile.
Proprio da questo movimento, nato all’inizio del
XVIII sec., nascequell’attenzione all’ortodossia e alla
“corretta interpretazione tradizionale” che ancora
oggi caratteristica l’approccio ebraico alla mistica,
resa non più un fatto puramente intellettuale, ma
anche un’etica precisa, che segna un modo di vedere e
avvicinare il Divino, il mondo e ogni individuo.

7. L’ERESIA DI SABBATAI ZEVI

Il tema fondamentale della mistica eretica di Sabbatai


Zevi è la redenzione messianica e l’associazione
fra il Messia e il Serpente dell’Eden, elementi che
la avvicinano in modo drastico allo Gnosticismo
cristiano del I sec.

Tutto viene basato sul valore gematrico della


parola “Messia” (mashiach), che equivale a quello
di “serpente” (nachash), ovvero 358.Poiché
secondo la Gematria due parole con lo stesso valore
numerico sono fra loro collegate per significato e
condividono parte del campo semantico, il Messia
e il Serpente dell’Eden vennero correlati. In pieno
stile Gnostico, il Messia divenne così una forza
spirituale in antitesi con il Cosmo che, attraverso
la sua incarnazione e il suo peccato, poi rettificato,
avrebbe accelerato l’arrivo della fine dei tempi, cioè
la distruzione della Creazione e il suo riassorbimento
nella Divinità (intesa come l’Assulto originario, e
non come YHWH il Demiurgo)– redimendo così il
peccato originale, compiuto da Adamo ed Eva nel
Giardino dell’Eden, quando cercarono la Conoscenza
assaggiando un frutto acerbo (o, secondo altre
dottrine, compiuto da Eva attraverso l’unione sessuale
con il Serpente, ovvero Samael).

Così come il Messia, agente spirituale della


redenzione, avrebbe sporcato la propria essenza
divina incarnandosi e immergendosi nel peccato,
e sperimentando ogni sorta di corruzione al fine
di redimerla e santificarla, così al mistico era
chiesto di rettificare l’impurità delle scintille
divine imprigionate nelle Qliphot, immergendosi
nell’Abisso e uscendone trionfante per portare a
termine la Tikkun, esattamente come enunciato da
Luria – recuperando cioè ogni frammento di quella
luce divina caduta nella materia o corrotta, e per
questo velata nel proprio splendore, per innalzarlo
e ricongiungerlo a quel Divino sempre perfetto in se
stesso, e trascendente, occulto all’essere umano, ma
non al suo Spirito. Questo immergersi nell’Oscurità,
per ravvivare la Luce, attuare il Male per operare il
Bene, sperimentare il peccato e restare puri, è ciò
che l’ebraismo chiama “le doglie del Messia”, ovvero
quel periodo di tenebra e confusione che precede
la fine dei tempi, il riassorbimento della Creazione
nell’Assoluto, un periodo che diventa così non un
male, ma la speranza dell’imminente redenzione
dell’intero Cosmo.

Idee simili, in particolare il parallelismo fra il Messia


e il Serpente dell’Eden, l’unione sessuale di Samael
con Lilith e poi con Eva, la necessità di immergersi nel
Male e nell’Oscurità per riscoprirvi la Luce e il Bene,
e realizzare l’equilibrio, sono temi che ricorrono in
un’ampia fetta della Magia Qliphotica moderna, le cui
radici tradizionali non possono essere ignorate.Vanno
anzi riscoperte, sia quelle che affondano nell’eresia
di Sabbatai Zevi, sia quelle che arrivano ancora più
indietro, fino allo Gnosticismo, per conoscere l’origine
del pensiero che si abbraccia e valorizzarlo. Solo così
è possibile non cadere preda delle generalizzazioni
e delle semplificazioni, che snaturano il mistero
delle Qliphot riducendole ora a una parte “oscura”
del Creato, portatrici di un male spesso dipinto con
attributi più umani che cosmici, incompreso nella sua
natura e nella sua origine.

El-AcherEtz Ha-HayimEtz Ha-


MavetGnosticismoLHPNathan di GazaQliphotSabbatai
ZeviSchebirath ha-KelimSitra AhraTikkunTradizione
AnticosmicaTzim-TzumVie di Mano Sinistra

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Ultima modifica: 6 Mag 2019

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