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sequenza delle varie epoche storiche, delle diversità dei popoli e delle cul-
ture, Vico – non diversamente da Montesquieu nell’Esprit des lois – scor-
ge l’insopprimibile ed incontestabile eterogeneità che caratterizza la for-
mazione dei costumi e di istituzioni politiche sociali nei vari popoli e nelle
diverse epoche di incivilimento. Tali elementi inducono il Napoletano a
riconoscere nel senso della complessità la strada del progresso umano, che
si dipana attraverso varie forme di governo, differenti stadi e momenti che
decretano nella storia l’affermazione di una crescita spirituale, culturale,
politica e sociale. Tuttavia, proprio perché ogni ipotesi di ‘spontaneità’ del
progresso e della sua irreversibilità si rivelano come mere utopie, per Vico
anche l’idea di una perfezione ultima, di un compimento della storia, non
trovano corrispondenza puntuale nella natura umana. Anche quando sem-
bra che il cammino dell’umanità giunga a questa perfezione, in effetti si
palesano le incrinature, gli elementi di dissoluzione, che svelano come
ogni comunità umana sia soggetta sempre alle ferree leggi di una ciclica
ascesa-decadenza.
Qualcuno, è vero, ha creduto che ogni retrocessione ad uno stadio pre-
cedente potesse essere, a sua volta, necessariamente l’origine di un nuovo
ciclo. Si potrebbe qui connotare addirittura una precisa tradizione cultura-
le, se non proprio storiografica o storicistica, in questo che è stato il con-
vincimento che volta a volta ha animato le elucubrazioni se non di
Aristotele (troppo legato alla realtà fisica, per pensare davvero anche a
questo aspetto della ‘meta-fisica’), certo di Platone, con la sua idea di un
ciclo eterno di incarnazioni e reincarnazioni sia di anime che di personifi-
cazioni del suo modello ideale. Da qui in avanti, da Polibio, fino a
Machiavelli e Vico, siffatta idea di un eterno ritorno dell’identico si è con
puntualità ripresentata piú volte nella storia filosofica. Sintomo di una
necessità che va al di là della razionalità e dell’evidenza storica, ma anche
segnale di inquietanti fraintendimenti e riproposizioni di un’ideale lineari-
tà della storia.
Quasi contemporaneamente al Vico si affermavano comunque, nell’am-
bito dello stesso illuminismo francese cui apparteneva Montesquieu, alcu-
ne teorie ‘razionalistico-naturalistiche’, tipicamente materialistiche e dei-
stiche. Di rilievo a tal proposito era la teoria di Voltaire, per cui il passato
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aveva una sua rilevanza solo in quanto tappa necessaria per un definitivo
perfezionamento dell’uomo, connesso all’avvento di una piena e comple-
ta razionalità. Qui emerge il convincimento – erroneo - che un tale pro-
cesso verso la razionalità non dovesse niente, se non in negativo (quale
forza di arresto al progresso stesso), al passato medievale. Del resto, è pro-
prio questa l’accusa che gli muoveranno sia David Hume sia, soprattutto,
Edmund Burke, e certo in una prospettiva diversa da quella dell’illumini-
sta francese, che se da un lato denunciava l’autoritarismo morale della
Chiesa, dall’altro appoggiava il dispotismo dei suoi sovrani assolutisti,
verosimilmente dispotici, ma comunque ‘recuperabili’ se ‘illuminati’ dalla
sua filosofia.
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passato il genio e l’anima dei popoli nelle loro peculiarità culturali, reli-
giose e persino folcloristiche. Il concetto di Volksgeist fornisce allo stori-
cismo tedesco l’occasione per sconfessare qualsiasi atteggiamento razio-
nalistico ed universalista, riaffermando i valori della tradizione in nome
della riscoperta di valori spirituali che rendono possibile la formazione di
un autentico spirito popolare. Fattore questo che non scaturisce dall’ac-
cordo sancito dal complesso delle volontà individuali, ma risulta piuttosto
da un implicito consenso fornito dai membri di una comunità in relazione
ad alcuni valori fondanti – quali appunto la tradizione, i costumi, la reli-
gione, le istituzioni – che qualificano inequivocabilmente una determina-
ta società.
Peraltro, è doveroso evidenziare che, sul piano politico, tali idee di
nazione e di individualità dei popoli finiscono poi per essere interpretati
sovente in un senso statico, tradizionalista, conservatore (e pertanto retro-
grado). In effetti, è proprio da questo punto che si origina la legittimazio-
ne ideologica che guidò la politica dei governi al Congresso di Vienna,
dove si cercò di ripristinare in senso reazionario la situazione antecedente
ai disordini rivoluzionari di fine ‘700 e ridare credito alle strutture assolu-
tistiche piú che a quelle di matrice feudale (già caratterizzate da istanze di
rappresentanza politica e da un’esigenza di controllo del potere).
A tale risposta, a sua volta ideologica, al radicalismo delle concezioni
democratico-egalitarie di stampo giacobino (improntate appunto ad un
razionalismo vaneggiante ed artificiosamente imposto come modello di
riferimento per l’Europa) non corrispose una critica effettivamente fonda-
ta sulla tradizione. Se il Romanticismo pone le sue basi sul riconoscimen-
to che i veri moventi dell’animo individuale e collettivo non sono da ricer-
care nell’astratta e fredda razionalità o nell’impersonale concezione uni-
versalistica (che come correlato ha la violenta imposizione di un modello
di comportamento), l’anima del movimento tuttavia non è neanche
riducibile all’autoritarismo di costumi imposti secondo una linea di
conservatorismo.
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futuro. Ecco perché una storia realmente critica deve raccogliere il meglio
del passato e dare un’interpretazione attuale capace di orientare l’azione
in funzione di un futuro migliore. Un popolo che rinnega il suo passa-
to - sostiene Cuoco – se da un lato ben difficilmente si libera da una qual-
che sopravvivenza di eventuali aspetti deteriori delle trascorse esperienze,
d’altra parte è incapace di vivere sia il presente che il futuro.
Soltanto attraverso la valorizzazione delle memorie, l’esaltazione dei
monumenti e delle opere degli antichi, il perfezionamento delle loro intui-
zioni, una società può realmente vivere e progredire. In questa prospetti-
va, tuttavia, lo studio dell’antichità non può e non deve limitarsi ad una
mera cognizione dei fatti, ma deve essere riadattato al contesto attuale,
rapportato cioè agli usi e costumi del presente, alle istanze ed esigenze
attuali. Attraverso questa interazione fra passato e presente diviene allora
possibile acquisire un autentico spirito critico, che permette di discernere
gli inevitabili errori del passato dai valori e dagli insegnamenti positivi.
“La istoria ci sarebbe interamente inutile, se la cognizione di ciò che si
è fatto non ci servisse di norma a sapere ciò che si deve fare. Ma affinché
l’esempio non sia o inutile o funesto è necessario che nessun fatto sia nella
nostra mente isolato, che di ognuno se ne conoscano le cagioni e gli effet-
ti; che tutte le parti componenti l’antichità formino un insieme”11. I costu-
mi divengono perciò parte integrante delle azioni quotidiane dell’uomo,
perché “hanno per base la natura, che dà a tutti gli esseri ragionevoli le
medesime nozioni di onestà; non dipendono da culti, da legislazioni, da
climi: figli della coscienza, la verità li precede, la felicità li segue”12.
Le credenze, le pratiche, persino il folclore popolare sono aspetti impre-
scindibili che contribuiscono ad accrescere la fama e la considerazione
delle quali gode una comunità. È una verità inconfutabile che in ogni
epoca storica la salvaguardia dei costumi ha decretato la fortuna delle
nazioni che hanno saputo cogliere quel sentimento - ispirato dalla natura
e sviluppato dalla ragione umana - grazie al quale si è riusciti ad antepor-
re il bene pubblico all’interesse privato, la tutela della nazione al mero tor-
naconto personale o settoriale. La storia ha mostrato fulgidi esempi di cit-
tadini in possesso di tale virtù, che hanno mostrato autentico amore per la
patria. Per siffatti motivi, è opportuno che gli emuli degli ‘eroi’ del passa-
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delle possibilità di innovare in qualche modo una realtà che appare cri-
stallizzata.
In una simile prospettiva, Troeltsch evidenziava insidiosi fraintendi-
menti nello storicismo, nell’eccesso di individuazione dei fatti decisivi
della storia. Da qui scatirisce “il relativismo estetizzante, per cui ogni cosa
diviene e tramonta, tutto è relativo e condizionato; l’intellettualistico e
camaleontico estraneamento di ogni convinzione personale; la inibizione
di ogni produttività e di ogni robusta forza della semplice fede in norme
di validità universale; il frammentarsi della scienza nella generazione di
infinite imitazioni di ciò che è già stato; l’assuefarsi alla mera routine dello
specialista storiografico [...]”19.
Pertanto, lo storicismo si rivela in ultima istanza inadatto, incapace di
fornire conoscenze del passato dotate di sufficiente oggettività20. In altre
parole, la sopravvalutazione di certi momenti della storia non è in grado di
fornire sufficienti spiegazioni del divenire storico, ad esempio del perché
si produca la frattura fra la fine del medioevo e l’epoca moderna, fra l’an-
tico regime e la Rivoluzione.
Non avendo saputo ricondurre l’esperienza storica a leggi definite scien-
tificamente, lo storicismo non riesce a dar ragione né della continuità, né
del divenire, né della tradizione, né del progresso. Del resto, proprio
Meinecke esorta ad evitare di uscire dalle generalizzazioni ed astrazioni
cui fatalmente approda un’estrema scientifizzazione dello studio della sto-
ria, con l’apparente rimedio di considerare solo certi particolari accadi-
menti, e scartando come insignificanti e secondari tutti gli altri. Cosí
facendo, si finisce per credere di potersi rifugiare nel passato per sfuggire
ad un presente in cui si vede solo il rifiuto di valori collaudati della storia.
Ma in questa fuga dal presente, in un passato frainteso e staticizzato, non
c’è alcuna possibilità di avvenire. Privo di queste sue tre dimensioni tem-
porali, lo studio della storia risulta dunque sterile contemplazione di un
passato senza presente e senza futuro.
Sotto questa angolazione, Benedetto Croce riconsidera il positivo ed il
negativo dello storicismo. Da un lato, confuta quindi la pretesa di una
generalizzazione di leggi storiche. “La ‘storia universale’ non è già un atto
concreto o un fatto, ma una ‘pretesa’; e una pretesa nascente dal crona-
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chismo e dalla sua ‘cosa in sé’, e dallo strano proposito di chiudere, mercé
un processo all’infinito, il processo all’infinito che si era malamente aper-
to”21. Qui, in sostanza, Croce asserisce qualcosa di molto simile a quanto
aveva a suo tempo osservato Humboldt, che pur considerando la possibi-
lità di una ‘storia universale’, non disconosceva il pericolo di astrattezza e
generalizzazione, sfociando in un’erronea considerazione “intellettualisti-
ca” del genere umano22.
Ponendo l’accento sulla storia come azione, come individuazione di fatti
concreti, Benedetto Croce intende riaffermare l’inscindibile legame con il
passato23, l’irrinunciabile necessità della riscoperta della continuità stori-
ca (in termini di condivisione di alcuni valori chiave, in grado di confuta-
re una visione della realtà sconnessa dall’anteriorità e tutta bruciata nel-
l’attimo presente). Ma questo non equivale per Croce ad un’osmosi totale
con il passato, proprio perché la storia è vita, è presente, è azione rivolta a
costruire il futuro pur recependone modelli e sollecitazioni dalla storia.
Qual’è infatti, per Croce, la ragione essenziale che ci induce a studiare
il passato, ovvero a compiere indagini storiografiche? Sicuramente, non vi
è unicamente l’esigenza pratica di conservare il ricordo di quel che è
ormai trascorso, poiché in tal caso, secondo Croce, si avrebbe soltanto
mera cronaca, che in sostanza equivale ad una storia “morta”, priva di
significato. Scartata ogni ipotesi di ridurre il passato alla ‘storia antiqua-
ria’, lo studio della storia si configura diversamente, rivelandosi come una
ricerca di qualcosa di altamente significativo per il presente. I documenti
del passato appaiono allora come oggetti di conoscenza necessari a vive-
re l’attualità24.
Da tale punto di vista, pertanto, uno storicismo inteso come ‘storia cri-
tica’ ha una sua fondata ragione d’essere se riesce ad individuare effetti-
vamente non solo gli antefatti, ma le ragioni della continuità. Dunque,
vanno considerati non solo i precedenti, gli antichi fatti, ma anche le azio-
ni successive agli eventi passati, che dunque non possono essere enfatiz-
zati sino a negare qualsiasi idea di un divenire (costituito da cesure, da
involuzioni e da riprese di progresso)25. E soprattutto lo storicismo, e piú
in generale la storiografia, non deve fungere da giudice per assolvere o
condannare il passato, ma deve cercare di comprenderlo. Solo entro que-
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NOTE
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23 “Noi siamo prodotto del passato, e viviamo immersi nel passato, che tutt’in-
torno ci preme.[…] Come metterci di sopra del passato, se vi siamo dentro, ed esso
è in noi?” (Benedetto CROCE, La storia come pensiero e come azione, Bari,
Laterza & Figli, 1965, p. 31).
24 Ibidem, p. 7.
25 Ibidem, p. 38.
26 F. TESSITORE, La questione dello storicismo, oggi, cit., p. 24.
27 Va da sé che un’incidenza di fattori soggettivi è qui come in ogni altra disci-
plina inevitabile, e già Humboldt aveva sostenuto, a ragione, che “[…] l’accaduto
è individuabile solo parzialmente, il resto occorre percepirlo, dedurlo, intuirlo”, ed
intuendolo si finisce spesso anche per travisarlo (W. HUMBOLDT, Il compito
dello storico, cit., p. 119).
28 Nell’Ottocento, Droysen aveva dissolto ogni dubbio al riguardo. “Per l’inda-
gine storica il dato non sono le cose passate, giacché esse sono passate, bensì quan-
to di esse nello hic et nunc non è ancora tramontato, sia che si tratti di ciò che fu
ed avvenne, sia di avanzi di ciò che è stato e avvenuto. Ogni punto del nostro pre-
sente è divenuto [...]” (J. G. DROYSEN, Istorica. Lezioni sulla Enciclopedia e
Metodologia della Storia, Milano-Napoli, Ricciardi, 1966, p. 340).
29 Su questo punto, un valido referente si ritrova nuovamente in Humboldt, che
a ragione afferma: “Se gli manca quella libertà di visione, lo storico non è in grado
di cogliere tutta l’estensione e profondità degli avvenimenti; se invece non possie-
de la delicatezza moderante, non può che violarne la verità semplice e vivente” (W.
HUMBOLDT, Il compito dello storico, cit., p. 140).
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