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Attenti al lupo
Ingabbiato e abbandonato
Afroamericano è cool
Nanni apprezzerebbe
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Se tutto questo era vero negli anni Sessanta, oggi lo sembra un po’ meno. Oggi c’è Instagram.
Questa constatazione non è un revanscismo passatista o un riscontro melanconico, ma quello
che emerge con chiarezza dai molti report sull’andamento del mercato dell’arte cosiddetto
online. C’è da chiarirsi subito: con online viene identi�cata qualsiasi attività di ricerca,
consultazione, fruizione mediante canali digitali. Ma non è questo enorme insieme di
comportamenti e impronte digitali (letteralmente �ngerprinting) cui guarda un analista oggi.
Piuttosto, quello che ha un valore per le tattiche a breve termine dei molti operatori del
settore è il sottoinsieme degli utenti, spesso registrati con tanto di nome, cognome, carta di
credito, indirizzo di fatturazione e spedizione, che risulta essere attivo nell’acquisto di opere e
servizi tout-court mediante canali digitali.
Vedere a ...
È in questa fascia di esseri umani dotati di potere di acquisto che le case d’asta e le molte
piattaforme digitali di servizi concentrano i loro sforzi. È quindi apparso perlomeno
stravagante lo stupore di molti analisti nel metabolizzare i trend identi�cati sia dallo studio di
Barneby’s sia dall’Hiscox online art trade report 2018, i quali parlano chiaro: il target di
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Ma l’Hiscox online art trade report 2018 si spinge oltre nell’analisi, ben identi�cando come il
livello di maturità del mercato dell’arte online sia ormai completo, lontano dalle vertiginose
crescite da montagne russe dell’inizio degli anni Dieci del Duemila, ma decisamente prossimo
a un consolidamento dei propri numeri, con utenti che dichiarano la loro intenzione nei
prossimi dodici mesi nel proseguire e anzi intensi�care gli acquisti via web di beni e servizi (il
52% delle persone intervistate lo ha confermato), e piattaforme che si stanno predisponendo
per gestire una mole di dati e utenti sempre maggiore (l’81% delle piattaforme si aspetta una
crescita considerevole dei volumi di traf�co). Tutto questo era prevedibile: il digital ha invaso
la vita di tutti, ha spesso stravolto i mercati, da quello delle informazioni a quello
dell’intrattenimento, ed è per questo che è interessante non tanto perdersi nelle statistiche,
che comunque sottolineano il progressivo assestamento della domanda e dell’offerta digitali,
quanto provare a speculare sul futuro.
Se è vero che l’uomo è un animale che vive della coazione a ripetere, sia nelle forme
patologiche identi�cate da Sigmund Freud in Al di là del principio di piacere (1920), che in
quelle ambientali rintracciabili in molti fenomeni tendenziali di massa, possiamo immaginare
che l’arte non differirà dal mondo dell’editoria, da quello della musica e del cinema. In
questo senso chi opera in questo mercato dovrebbe chiedere (se è in grado di rintracciarne
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ancora qualche sopravvissuto) alla Sony, alla Emi, al «Boston Globe» o al «Washington Post»
a.B. (ante Bezos), a Blockbuster. Le regole oggi sono chiare: newstainment e aggregazione.
Esseri umani come noi, che vivono però in una dimensione anche solo leggermente separata,
uno strato sociale vagamente anteriore; il frutto di una generazione che ha strumenti che
vanno di chilometri orari più veloci rispetto a quelli che le generazioni addietro avevano di
differenza rispetto a quella che le precedeva. Ragazzi che già oggi «scrollano» migliaia di
immagini su Instagram ogni giorno, le guardano come un’aquila osserva la sua prossima
preda, si scambiano messaggi vocali su Snapchat, snobbano Facebook e ignorano Twitter,
stanno per scoprire le meraviglie di chat avanzate come WeChat, dove il modello di business
è basato sull’idea di istant e-commerce.
Persone che, in de�nitiva, non scriveranno a Lucio Fontana per annusare l’opera, o lo
faranno sempre meno, con buona pace degli artisti, e che, con buona pace di molti, vivranno
sempre meno nelle gallerie e nelle �ere. Perché se oggi questo mondo ultrapatinato resiste,
come per esempio quello degli orologi di lusso o semplicemente di moda, contro i cosiddetti
wearable (gli orologi tecnologici alla Apple Watch), lo fa collocandosi in una nicchia sempre
più ristretta di eletti e vip che, come è stato per qualsiasi mercato, si assottiglierà come
un’ostia al punto da scomparire o da divenire quella che Jeff Bezos, proprio a Torino
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quest’anno, ha de�nito un oggetto esotico, come fosse un cavallo («I giornali di carta avranno
lo stesso destino dei cavalli; oggi quasi nessuno si sogna di usare un cavallo come mezzo di
trasporto; un giorno le persone vedendo un giornale di carta saranno stupite, ma quel giorno
non è vicino»). Quel giorno è ogni giorno un po’ più vicino, ed ecco perché, non potendo
insegnare a chi verrà come vivere l’arte, come e dove comprarla, l’unica via è trovare il modo
di integrare quella visione, che non farà eccezioni né sconti.
Investire nel digital in arte, oggi, non signi�ca solo investire in chi compra, oggi. Ossia in
persone che hanno caratteristiche ed esigenze del tutto analogiche; ma pensare a chi lo farà
domani, e che ora, per esigenze di reddito e scala dei bisogni, ha già un abbonamento a
Netflix o a Spotify, ma non ha ancora comprato un Malick Sidibé su christies.com. Prima o poi
il potere di acquisto verrà generato, la ruota girerà e vedremo quale, in quel dato momento,
potrà essere la piattaforma più vicina a questo fluire di immagini e contenuti a getto continuo
che il compratore di domani è abituato a vivere oggi.
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