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Non sono pochi quelli che si chiedono se papa Benedetto XVI ri-riformerà la
liturgia cattolica dando seguito alle riserve che, quand’era semplicemente il
cardinal Ratzinger, aveva espresso a voce e per iscritto.
Ora, poiché anch’io condivido tali riserve, quando ho deciso di esternarle nel mio
blog «Antidoti» non è mancato chi mi ha fatto osservare che potrei impiegare più
utilmente la penna per “combattere” contro il relativismo laicista anziché
“rivolgere le armi” contro i “nostri”. Il fatto è che proprio non mi va di difendere
un cumulo di macerie, né di farmi infilzare per quelli che si consacrano
allegramente a quel’«autodemolizione» che angosciava Paolo VI.
Quest’ultimo non aveva esitato neanche di fronte alla minaccia (tremenda per un
papa) di uno scisma pur di «tendere la mano» ai «fratelli separati» protestanti, in
un momento in cui il «dialogo» con questi ultimi pareva gravido di promesse.
Per la prima volta dopo secoli un papa aveva sospeso a divinis un vescovo,
Marcel Lefebvre, e fu l’unica in cui quel papa «amletico» (come lo definiva la
stampa dell’epoca) usò il pugno di ferro, laddove per i vari «fratel mitra» e preti e
teologi favorevoli (allora) al divorzio c’erano accorati richiami paterni (se ci sono
stati retroscena diversi non lo so; posso solo testimoniare quel che percepiva il
fedele medio).
L’«unione delle Chiese» non c’è stata e, anzi, proprio quelle che sembravano più
«vicine» hanno vieppiù allargato la distanza.
Infine, l’attuale liturgia cattolica era ed è la meno adatta per colmare il fossato con
gli ortodossi.
Le denominazioni protestanti «storiche» orami non si sa bene chi rappresentino, i
loro templi sono mezzo vuoti e i loro ex fedeli sono diventati in gran numero
pentecostali; sembra valere a questo punto per la galassia “riformata” il problema
posto da quella islamica: non si sa con chi «dialogare».
Una stantia obiezione riguardo alla lingua ripete che con il latino non si capiva
niente.
Il successo planetario del film di Mel Gibson, in aramaico, dimostra la fatuità
dell’obiezione suddetta.
Le altre grandi religioni si guardano bene dal rinunciare alle loro «lingue sacre»,
l’ebraico e l’arabo.
Invece, la fame di latino in Occidente, e tra i ragazzini, porta il nome di Harry
Potter, che dobbiamo ringraziare per un rilancio della lingua «morta» partito da
dove meno ce lo si sarebbe aspettato ( e c’è qualcosa di evangelico in questo
plauso di fanciulli, vox puerorum).
Ho l’età per ricordare, sul finire degli anni Settanta, un vecchio e malatissimo
sacerdote che si faceva sorreggere per dir messa; una volta, mentre
distribuiva la comunione, un’ostia gli cadde dalle mani tremanti e finì per
terra.
D’istinto, il fedele primo della fila fece per chinarsi ma fu fermato da un gesto
perentorio del prete, il quale penosissimamente raccolse lui l’ostia. Già: solo
mani consacrate potevano toccarla.
Oggi, alla fine della fila non di rado ci trovate a comunicarvi un pensionato in
jeans e giubbotto, mentre il prete se ne sta, magari, tranquillamente seduto a
guardare.
L’ultimo libro (i successivi sono raccolte) del card. Ratzinger prima di diventare
papa si intitola significativamente Lo spirito della liturgia.
Da buon teologo tedesco conosce meglio di tutti il mondo protestante e certamente
non gli sarà sfuggito il flop dell’«apertura» liturgica nei suoi confronti.
Non solo, ma da uomo coltissimo qual è, senz’altro sa quanti artisti e intellettuali
atei nella storia (un nome per tutti: Joris Karl Huysmans, caposcuola del
decadentismo letterario) si sono avvicinati al cristianesimo attratti dalla bellezza
della liturgia cattolica.
Magari userà, come il predecessore, il mezzo mediatico.
Infatti, la prima cerimonia ufficiale di Benedetto XVI l’abbiamo vista in
mondovisione: latino e gregoriano al massimo sfarzo, e un possente Bach come
finale.
Certo, la mia è una personale posizione, che non coinvolge la rivista che mi
ospita.
Ed è una posizione che solo i superficiali potranno etichettare come «lefebvriana»,
perché è dettata solo ed esclusivamente da amore per la bellezza e la serietà.
(gennaio 2006)