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Lettera di un ragazzo che ha indossato con impegno e rispetto la maglia rossonera per 4 anni

In primo luogo, ci tengo a ringraziare di cuore per gli splendidi anni passati insieme tutta la dirigenza, lo staff tecnico, i
compagni, i tifosi e chiunque altro si impegni per il bene del Rugby Reggio.

A 19 anni, nel 2012, ricevetti una telefonata dall'allora allenatore del Rugby Reggio, che era interessato ad avermi in
squadra. Finalmente realizzavo un piccolo grande sogno: giocare nel massimo campionato italiano di rugby, affrontare i
migliori giocatori d'Italia e giocare al fianco di due leggende come Toni Mannato e Willy Vaki, che fino a qualche anno
prima andavo a tifare allo stadio Lanfranchi; ma anche allenarmi ad un livello più alto, iniziare a vedere il rugby in
un'ottica diversa.
Quando varcai per la prima volta il cancello giallo della Canalina (all'epoca era ancora giallo, è diventato rossonero
grazie al lavoro, tra gli altri, mio e dei miei compagni), assieme all'eccitazione portavo inevitabilmente con me anche un
misto di paura e insicurezza per quel nuovo mondo che stavo per scoprire. Bastarono pochi giorni per iniziare a sentirmi
a casa, a sentirmi membro di una grande famiglia.
Mi ritengo fortunato per aver potuto giocare i miei primi due campionati di Eccellenza al servizio di una società capace
di farmi allenare ogni giorno con il sorriso e il piacere di vivere una bellissima comunità; una società a gestione
“familiare” e corretta, composta da persone sincere e trasparenti, a mio modo di vedere qualità imprescindibili in una
realtà come quella del nostro sport. Del resto si sa, il rugby non è uno sport ricco e senza la passione e la dedizione non
si va da nessuna parte.
E la squadra? La squadra era composta da fratelli piccoli (come il sottoscritto) pronti ad imparare dai fratelli maggiori,
ancor più pronti ad insegnare e condividere con loro la propria esperienza. Pochi rugbisti a tempo pieno, quasi tutti
studenti o lavoratori; ma tutti con la stessa voglia di lavorare duro sul campo, al calar del sole, per toglierci delle
soddisfazioni insieme e regalare qualche gioia, oltre che a noi stessi, a tutti i tifosi rossoneri e a persone come il grande
Ovilio e come Giorgio, il presidente, che tanto hanno dato per dare vita a questa piccola oasi rugbistica fatta di sorrisi,
lavoro e rispetto reciproco.
Dopo un anno passato all'estero per affrontare un'importante esperienza universitaria, non esitai un secondo ad accettare
la proposta di tornare a giocare per quella che ormai sentivo come la mia società. Ritrovai i miei amici e quell'ambiente
che, nonostante i grandi cambiamenti nella struttura societaria e dirigenziale, all'inizio mi sembrava essere rimasto
magnificamente immutato.
Per colpa di un maledetto infortunio al ginocchio e di una serie di problemi muscolari a catena, nelle due passate
stagioni ho potuto contribuire soltanto parzialmente alle enormi soddisfazioni che ci siamo tolti sul campo e questo mi
ha fatto soffrire parecchio. Posso però affermare senza dubbio alcuno di aver sempre vissuto il gruppo in prima persona,
di aver rappresentato una figura positiva con tutti e per tutti e di non aver mai smesso di allenarmi duramente ma,
purtroppo, non sono più riuscito a tornare al mio livello.
Stando fuori dal campo ho anche avuto modo di vedere con maggior lucidità i profondi cambiamenti nel modo di vivere
il rugby che la nuova dirigenza stava portando avanti. E' impossibile negare il salto in avanti che il lavoro svolto sta
portando dal punto di vista tecnico e dei risultati, ma a questo si è accompagnata una crescente sensazione, in me, che
l'ambiente in cui mi trovavo non fosse più lo stesso di cui mi ero innamorato qualche anno fa. Varie situazioni e
comportamenti nei confronti di alcuni compagni di squadra, lasciati in sordina, me ne hanno dato la conferma. Tante
volte negli ultimi due anni ho sentito ripetere le parole “serietà” e “professionalità”, parole apparentemente semplici ma,
evidentemente, interpretabili in maniere molto differenti.
A fine stagione, non senza difficoltà, ho preso la decisione (inizialmente compresa e accettata dall'allenatore) di
dedicarmi totalmente agli studi per affrontare al meglio l'ultimo anno di Laurea specialistica, così ho salutato la grande
famiglia della Canalina dopo 5 intensi anni da quel primo allenamento e sono tornato al mio vecchio club come
giocatore “part-time”, a un livello più basso.

Da Reggio porto con me tanti amici che continuo a frequentare e che mi accompagneranno per tutta la vita, tante belle
esperienze, ricordi, soddisfazioni. Sono arrivato bambino e me ne sono andato uomo. Non smetterò mai di essere grato
a questa maglietta, che tengo rigorosamente appesa nella mia camera da letto, per tutto ciò che mi ha dato e che spero di
aver almeno parzialmente restituito. Non smetterò mai di sentirmi un po' addosso questi colori e di venire a fare il tifo
per i miei amici, compagni, fratelli.

Da Reggio, purtroppo, me ne vado anche con l'amarissima consapevolezza che quel magnifico ambiente che avevo
conosciuto non è più lo stesso. Me ne vado sapendo che al mondo niente è perfetto, neanche lo sport che mi ha cresciuto
e piacevolmente plasmato con i suoi insegnamenti; che non per forza calpestare tutti i giorni un campo da rugby
significa essere un rugbista. IO, che sono un rugbista, non so neanche cosa significhi agire in malafede. Penso che
invece lo sappia chi ha deciso che io e altri ragazzi, che per vari motivi hanno cambiato squadra a fine anno, ci
meritassimo meno rimborsi rispetto ai nostri compagni.
Farò fatica a dimenticare di essermi trovato costretto a chiedere spiegazioni dopo mesi di silenzio e mi fa male sapere
che chi tiene le redini del mio amato Rugby Reggio è la stessa persona che mi ha urlato in faccia inventandosi bugie su
bugie per giustificare come, improvvisamente, io non mi meritassi di ricevere gli ultimi due rimborsi della passata
stagione, verbalmente accordati ad inizio anno, come sempre.
La serietà e la professionalità sono concetti forse interpretabili in vari modi, ma credo che sia oggettivamente
impossibile interpretarli così; e, se ci si riduce a prendere in giro ragazzi sotto i 25 anni per poche manciate di euro, mi
sorgono anche dei dubbi sull'effettiva consistenza del progetto che vedo pubblicizzato a mezzo stampa ogniqualvolta se
ne presenti l'occasione.
Ad oggi, io non mi pento di aver ingenuamente firmato un pezzo di carta senza alcun valore legale (serietà e
professionalità, eccole...), perchè quando l'ho fatto avevo piena fiducia nei confronti di chi avevo davanti e davo per
scontato che alla Canalina certe cose non potessero succedere. Sbagliando si impara: ora ho imparato a dare fiducia solo
alle persone che se lo meritano. Spero che non giunga mai il giorno in cui tutto il popolo della Canalina si troverà
costretto ad impararlo.

Quando iniziai a giocare a rugby avevo 5 anni e volevo imitare il mio papà. Un rugbista, lui sì.
Mi innamorai subito tanto del gioco quanto di tutti quei valori che è capace di trasmettere e che solo noi rugbisti
conosciamo e portiamo in alto con fierezza. Sono proprio quei valori e quelle sensazioni che mi spingono a continuare a
giocare oggi, a 24 anni, e che mi spingeranno a farlo fino a che non ci sarà un ostacolo insormontabile ad impedirmelo.
Nonostante tutto.

Grazie ancora per questi anni e un abbraccio forte a tutti. Ci vediamo presto allo stadio e...Forza Diavoli!

Giacomo Torri

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