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La repubblica 01-07-08

Perché zingari ed ebrei sono vittime predestinate


LA BANALITÀ DEL RAZZISMO

ADRIANO PROSPERI
Rilevare le impronte ai bambini degli zingari è una misura razzista. Le proteste del ministro che le propone e
dei molti che silenziosamente o rumorosamente le approvano ci mettono davanti al volto autentico del
razzismo.

Che non è quello mostruoso e abnorme che ci piace immaginare per nostra tranquillità: è
quello pulito e rispettabile di tanti buoni padri di famiglia amanti della natura, dei cani e dei
bambini, bene intenzionati nei confronti dell´umanità, decisi a isolare, rieducare o
sopprimere le frange irregolari, sporche, malate, deformi. Una parola dal suono e dal
significato benevolo riassume tutto questo: eugenetica. Basta visitare musei e centri di
ricerca nelle capitali della scienza medica tedesca per trovarci davanti ai documenti lasciati
negli anni dalla volontà di selezionare e migliorare la specie umana. Eppure, come da
sempre accade quando si parla di zingari, ebrei e altre vittime predestinate del razzismo, chi
propone o difende certe misure non vuole che lo si definisca razzista.
Ma la storia può aiutare a togliergli qualche illusione. Anche a un esame rapido e
superficiale emerge che le misure scientifiche applicate al corpo umano sono una cosa
diversa e recente, che spicca nel percorso millenario delle barriere di artificiali differenze
alzate tra "noi" e "gli altri". All´inizio ci furono quelle linguistiche. Sono l´esito più antico del
tentativo di porci al di sopra di altri gruppi umani: "noi" parliamo, "gli altri" farfugliano,
balbettano sillabe incomprensibili. Per questo li abbiamo chiamati "barbari". Poi ci furono le
barriere religiose: con l´avvento in Europa del cristianesimo come religione universale e
obbligatoria, gli "altri" sono diventati gli "infedeli" se al di là dei nostri confini, gli "eretici" o i
"giudei" se all´interno. Bisognò individuarli per impedire loro di contaminarci: le mura dei
ghetti e un panno giallo sul cappello o una stella di David per gli ebrei, una tunica nera coi
diavoli dipinti sopra per gli eretici. Se l´eretico o il giudaizzante finiva sul rogo, l´abitello
restava appeso in luogo sacro a perpetuare la memoria e l´infamia. Oggi ne rimane
qualcuno nei musei, documento di un passato lontano.
Ma prendere le impronte digitali è cosa diversa.
Sir Francis Galton, il grande scienziato inglese cugino di Darwin e autore di un´opera
fondamentale sulla classificazione delle impronte digitali (Fingerprints, 1892), non era
razzista. Credeva nella scienza e nelle possibilità di sviluppo dell´intelletto umano. E tuttavia
il metodo della rilevazione delle impronte trovò la sua prima applicazione nel 1897 in
un´area dove la civiltà occidentale era decisa a modificare una cultura diversa: lo usò un
ufficiale di polizia inglese nel Bengala. Dunque fin dall´inizio un metodo nato nell´ambito
della ricerca scientifica fu usato su di un popolo dominato dall´Occidente e divenne lo
strumento poliziesco per l´identificazione dei criminali. Da allora le tecniche di misurazione
dei corpi e di individuazione delle differenze dalla cosiddetta "normalità" si sono prestate
all´impiego in funzione della selezione delle "razze" buone e dell´eliminazione di quelle
"cattive". Come ha spiegato il maggiore storico del razzismo moderno, George Mosse, nel
mondo contemporaneo il razzismo tende a diventare il punto di vista della maggioranza. È
un modo di vedere le cose che si è impadronito di idee di uomini di scienza non razzisti e le
ha usate per imporre l´ideale di rispettabilità borghese e di moralità della classe media, fatto
di pulizia, onestà, serietà morale, duro lavoro e vita familiare. Chi si distacca da quell´ideale
è considerato un diverso, un essere pericoloso, un criminale in potenza. La sua esistenza è
un attentato alla salute del corpo sociale, quell´individuo collettivo, quella entità gigantesca,
preziosa, di cui siamo le membra e che siamo tenuti a proteggere. Se si può isolare
scientificamente la diversità - ecco il sogno del razzista - il pericolo si può eliminare. Perché
criminale si nasce, non lo si diventa. Come scrisse nel 1938 un avvocato tedesco destinato
a grande fortuna, Hans Frank, «la biologia criminale, o teoria della delinquenza congenita,
indica l´esistenza di un nesso tra decadimento razziale e tendenze criminali». Ecco perché
bisogna portare il bambino figlio di zingari davanti alla macchina che registrerà le sue
impronte digitali. La sua è una razza degenerata, decaduta, dedita al nomadismo,
all´alcoolismo, al furto. Lui non lo sa, ma noi sì. Prima o poi quella traccia schedata dalla
polizia (o dai vigili? a loro la risposta) si rivelerà utile. L´occhio della legge non lo perderà di
vista.
Già, l´occhio. La Giustizia ha tanti occhi e tante orecchie. Si discute da millenni se sia più
importante l´udito o la vista. C´è chi l´ha rappresentata con la benda sugli occhi, in modo da
garantire l´uguaglianza di trattamento a chi è ricco e a chi è povero, ai potenti e ai miserabili.
Oggi la Giustizia italiana apre tutti i suoi occhi per guardare i bambini zingari mentre chiude
gli occhi e si tura le orecchie davanti ad alcuni potenti. È un fatto nuovo e originale. Si
prendano dunque le impronte digitali agli zingari e ai loro bambini. Nelle linee della mano le
zingare hanno letto per secoli il nostro destino, ora è venuto il tempo di leggere e decidere il
loro. Quanto ai bambini, ci dicono che è per proteggerli. Non per tutti sarà possibile: quella
bambina a cui fu messa in mano una bambola esplosiva le dita non ce le ha più.
Il manifesto 29 giugno 2008
VOI SIETE QUI
I delinquenti fuori e i bambini dentro
Alessandro Robecchi
Riassumiamo. Da anni ci frantumano gli zebedei che i delinquenti sono liberi mentre le brave
persone sono chiuse in casa terrorizzate. Da anni e anni non c'è sera che ogni telegiornale non
ci ripeta questa solfa. Così abbiamo visto i paladini della tolleranza zero vincere le elezioni in
carrozza e qualche manigoldo di sinistra prendersela con i lavavetri o i venditori di borsette
false. Eleganti direttori di giornali sono andati in tivù a dire: eh, la paura percepita! Poi
tornavano ai loro giornali a lavorare alacremente per farne percepire di più. Un fortunato libro
sulla «casta» ha denunciato schifosi privilegi tirando anch'esso la volata al nuovo governo law
& order, che come prima decisione rende impunibili i più alti vertici della casta.

Tra la gente, nei discorsi di tutti i giorni, alcune fantasiose varianti sul tema sicurezza: e se la
violentata era tua sorella? Se la vecchietta scippata era tua madre? Se il pirata della strada
investiva tuo figlio? A coronamento di cotanta propaganda, la proposta del governo presieduto
dall'editore di quegli stessi telegionali che hanno disseminato paura a piene mani, è di bloccare
i processi per tutti i reati punibili con meno di dieci anni avvenuti prima del giugno 2002.
Dunque se la violentata era tua sorella, la scippata tua madre e l'investito tuo figlio - ma prima
del giugno 2002 - la certezza della pena puoi infilartela in quel posto tipo l'ombrello di Altan.
Per il solo fatto che il capo del governo ha un processo in corso, migliaia di delinquenti
rischiano di farla franca. Solo sei mesi fa avremmo visto titoloni roboanti in tutti i tg del regno,
scandalo, raccapriccio, dove andremo a finire, che vergogna, la gente ha paura e i delinquenti
sono impuniti! Conduttori con gli occhi fuori dalle orbite, indignati speciali, strali e anatemi.
Oggi la certezza della pena non tira più. E non c'è stupratore, rapinatore o scippatore - ante
2002 - che non si trovi d'accordo con il governo della tolleranza zero. Ma i bambini rom
possono lasciare qui le impronte, grazie. Sapete, è per la sicurezza.
La repubblica 26-06-08
Il caso
Il sogno delle piccole danzatrici, un documento per
esistere

ROMA - E adesso chi avrà il coraggio di dire ad Ambra, la ragazzina di 13 anni che mi sta
davanti, che dovrà mettere la sua mano sull´inchiostro, sporcarsi quelle dita affusolate,
abituate a muoversi al ritmo della musica, e lasciare all´autorità le sue impronte di etnia sotto
controllo? Ambra la prenderà male. Era appena uscita dal suo guscio, aveva appena trovato
l´orgoglio dell´identità attraverso la passione per la danza. Storia di un esperimento che, con
questo clima, potrebbe bloccarsi fino a morire. Ambra fa parte delle Chejà Celen, «ragazze
che ballano». Un vero corpo di ballo, inventato a Roma da Vania Mancini, responsabile del
progetto di scolarizzazione dei minori Rom, per conto del Comune veltroniano (e ancor
prima rutelliano) in collaborazione con l´Arci.
Vi ricordate Billy Elliot, il ragazzino figlio di minatore, che danzava come un dio sulle punte?
Ecco: come in un film, Vania intuisce che, per integrare e mandare a scuola le ragazzine
Rom del campo di Monte Mario, bisogna partire dalla loro cultura, dal loro amore per la
musica e il ballo. Nasce così il gruppo, si comincia con un vecchio stereo e qualche cd.
Ragazzine che si fanno fare i vestiti colorati dalle mamme, che si esibiscono prima nelle
scuole e poi anche in un vero teatro con i camerini, quello di Villa Lazzaroni. Giovani Rom
che scoprono di "esistere", di valere qualcosa anche per i gagé, i non zingari. Felici
finalmente di esprimersi, di danzare a piedi nudi, con il ventre scoperto, al ritmo di canzoni
non solo rom ma anche indiane e arabe. La loro storia è in un libro che Vania Mancini ha
scritto per le edizioni Sensibili alle Foglie, fotografie di Tano D´Amico. Dice una di loro: «Il
mio sogno è di avere un documento, pensa che bello essere libera di esistere, di andare
dove voglio». Quando rilasciò la sua testimonianza per il libro, Ambra era dura, diffidente:
«Non mi sento italiana, mi sento una Rom. Loro vivono nelle case, noi nelle " stalle"». Che
cosa vuoi fare da grande? «La parrucchiera». L´ho incontrata poche settimane fa. Ambra la
pensi ancora come allora? «No, sono cambiata. Io danzo con le Chejà Celen e ho capito
che da grande voglio fare l´insegnante di ballo».
(a.lo.)
La Repubblica 16-06-08

I nostri indiani si chiamano zingari


ADRIANO PROSPERI
E se domani, in Italia, avvenisse qualcosa di simile a quello che si è visto l´11 giugno
scorso a Ottawa? Qui da noi non se ne è parlato, ma è stata una scena emozionante a
giudicare dalle fotografie comparse sulle prime pagine dei giornali canadesi. Si vedeva in
piedi a sinistra il primo ministro Stephen Harper e davanti a lui seduto, il delegato
dell´assemblea delle "First Nations" – quelli che noi, per l´errore di Cristoforo Colombo,
continuiamo a chiamare Indiani d´America: si chiama Phil Fontaine, nel suo nome anglo-
francese è iscritta la storia dei successivi padroni europei del Canada, ma il caratteristico
copricapo di piume che sembra uscito da un film di John Ford rivela la sua identità di
"Grande Capo" indiano.
In una cerimonia solenne il primo ministro ha presentato le scuse del governo ai nativi per
la politica di assimilazione seguita dal Canada nei loro confronti: nel corso di molti anni,
dall´800 fino al 1970, più di 150.000 bambini indiani furono strappati alle loro famiglie in
tenera infanzia e obbligati a frequentare le scuole cristiane di stato. Qui, diventati ostaggi
di un potere incontrollato mascherato di buone intenzioni, subirono ogni genere di
violenza, inclusi naturalmente gli abusi sessuali. Tremende testimonianze di quel che
subirono sono state proposte pubblicamente in quella cerimonia dell´11 giugno, davanti
alla folla di membri delle "First Nations" che si stipava nelle tribune del Parlamento o
seguiva la ripresa televisiva dell´evento in tutto il Canada. Il primo ministro ha detto fra
l´altro: "E´ stato un errore separare i bambini da culture e tradizioni ricche e vibranti;
questo ha creato un vuoto in molte vite e in tante comunità. Di questo chiediamo perdono".
Lo ascoltava tra gli altri la più vecchia dei circa 80.000 studenti delle scuole cristiane oggi
viventi, Marguerite Wabano, che ha 104 anni.
Nella sua replica Phil Fontaine ha accolto la domanda di perdono. E´ finito così un incubo
del moderno razzismo che ha devastato molte vite, finite poi nell´alcoolismo e nella droga.
Restano incancellabili le esperienze e i dolori di tante persone: ma il risarcimento morale
ha la sua importanza, assai più di quello in danaro che le vittime avranno il diritto di
chiedere.
Una storia lontana da noi? non tanto. ll riconoscimento di colpa canadese colpisce al
cuore la cultura europea di quei missionari e di quei coloni che così gran posto hanno
ancora nell´orgoglioso senso di sé degli europei. Ne esce sconfitta la convinzione di
superiorità culturale che continua assurdamente a dominare nelle scuole di ogni ordine e
grado e nel modo di percepire il proprio passato. Si continua a scrivere e a parlare della
scoperta dell´America e della "civilizzazione" operata dai portatori della civiltà cristiana
occidentale. Eppure basterebbe la testimonianza di Aléxis de Tocqueville che nell´800
descrisse il degrado fisico e mentale di popoli un tempo fieri e vigorosi (Bartolomé de las
Casas li aveva paragonati agli eroi dell´antichità pagana) trasformati dall´alcool e
dall´asservimento coloniale in relitti umani. Oggi i blandi tentativi di rilettura critica della
storia sono frenati dall´urgenza di un clima di guerra che si è aperto sotto la sciagurata
parola d´ordine dello "scontro di civiltà".
Ma non affrettiamoci troppo a sfumare le responsabilità europee ed italiane nella
lontananza di colpe secolari e di eventi di un altro continente. Anche nella casa Europa è
accaduto qualcosa di simile alla vicenda canadese. I nostri Indiani si chiamano zingari. Ci
oppone la stessa barriera culturale tra stanziali e nomadi che oppose in America il popolo
delle praterie ai costruttori di città. Quella barriera non ha operato solo nel portare al
genocidio degli zingari nei Lager nazisti, di cui comunque non si parla abbastanza. Ci
vorrebbe troppo spazio per tentare un elenco anche sommario degli orrori dell´eugenetica
europea e dello stillicidio quotidiano di volgari pregiudizi. Un romanzo di Mario Cavatore,
"Il seminatore", e un articolo di "Le Monde diplomatique" ripreso dal "Manifesto" hanno
ricordato di recente in Italia quello che nella civile Svizzera del ‘900 è stato fatto dall´Opera
di soccorso "Enfants de la grande-route", creata nel 1926 sotto l´egida della istituzione
svizzera Pro-Juventute. Con una vera caccia al nomade centinaia di bambini furono
strappati ai genitori e messi in orfanotrofi o affidati a famiglie svizzere per finire per lo più
in ospedali psichiatrici e in prigioni. Si voleva "sradicare il male del nomadismo" e invece si
realizzò quello che l´allora consigliere federale Ruth Dreyfuss bollò nel 1998 come "un
tragico esempio di discriminazione e persecuzione di una minoranza che non condivide il
modello di vita di una maggioranza".
In Italia la forza del pregiudizio alimenta oggi una violenza quotidiana che ha nei bambini
rom e sinti le vittime predestinate. Le radici storiche di questa violenza sono remote.
Profondamente radicato e sordo a ogni evidenza è il pregiudizio che accusa gli zingari di
rubare i bambini "nostri". Intanto ogni giorno si hanno nuovi esempi di come noi rubiamo
agli zingari i bambini "loro" per trasferirli in istituti e di come la nostra società impedisca a
quei bambini la possibilità di una vita normale. Le prigioni italiane ospitano - per così dire -
un numero molto alto di zingari e chi le volesse visitare vedrebbe scene di giovanissime
madri che allattano i loro piccoli o li tengono con sé. Bambini che nascono prigionieri. Altri
preferiscono soluzioni più spicce. E´ difficile dimenticare l´episodio di cui fu protagonista
quel nostro concittadino che anni fa regalò una bambola esplosiva a una bambina che
chiedeva l´elemosina. La bambina non morì. Ma il suo corpo restò segnato per sempre da
quella versione italiana dello "scontro di civiltà": perse un occhio e parte della mano
destra. Il delinquente era l´esecutore armato dai sentimenti di una collettività concorde e
omertosa. Ciò gli permise di restare anonimo e di non pagare per l´infamia senza nome
che aveva commesso. Oggi l´opinione dominante degli italiani chiede che tutti gli zingari
siano messi in galera o vengano espulsi dall´Italia. Sono in prima fila tra i clandestini. E tra
loro c´è anche quel bambino nato pochi giorni fa in un ospedale fiorentino da una madre
zingara: clandestina la madre, clandestino fin dalla nascita il figlio. La prigione dove forse
finiranno è la risposta di un paese che non si cela dietro l´eugenetica e che non ha né i
mezzi né l´ipocrisia della beneficenza svizzera. Il governo in carica ha raccolto una
investitura popolare anche su questo punto e ha dato segno di volerla tradurre in misure
concrete: parole che vogliono suonare rassicuranti - carcere, tolleranza zero, condanne
esemplari - alimentano ogni giorno la crescente sindrome di paura e di odio di un paese
spaventato.
E se domani... - se domani, in Italia, il primo ministro canadese trovasse qualcuno
disposto a imitarlo, se qualcuno dicesse alto e forte che la differenza culturale è un valore?
Il manifesto 29-06-08

LO SPUNTO
Il lungo esodo
Geraldina Colotti
Secondo i dati dell'Unione europea, i rom sono il popolo che più subisce discriminazioni nel
Vecchio continente. Non trovano casa, né lavoro, hanno grandi difficoltà a portare i loro figli a
scuola soprattutto se si spostano. E la loro aspettativa di vita è dieci volte inferiore alla media
europea. Quello rom è il popolo più transnazionale che esista - secondo dati del Consiglio
d'Europa sarebbero circa 10 milioni sparsi in tutto il mondo - ma è anche quello che catalizza lo
stesso tipo di discriminazioni, sotto ogni bandiera: in ogni contesto, quando la situazione
politica o economica si fa difficile per le classi popolari, per loro si ripete un destino di
persecuzioni secolari. L'unica parentesi - nei soli 70 anni in cui le classi dominanti hanno avuto
vita dura in certe parti del mondo - è stata per loro quella dell'ex-Unione sovietica, nei primi
tempi della rivoluzione bolscevica e nella ex-Jugoslavia di Tito. Tempi in cui in nome di
un'uguaglianza non formale, ai rom sono stati garantiti quei diritti basilari che oggi si vedono
negati dappertutto.
Nei paesi dell'ex-area socialista, però i rom furono le prime vittime del processo di
balcanizzazione: quel modello che a Bush piace esportare nel pianeta. Nel '99, dopo la guerra
della Nato contro la Serbia, l'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck) ha espulso circa 100.000
rom, col pretesto che fossero colonne dell'esercito serbo. Dopo quella pulizia etnica, oggi, dei
120.000 che vivevano in Kosovo prima del '99, ne restano solo 30.000 circa.
Ma siccome anche quello di spaccare il vaso per poi aggiustare i cocci con un «imperialismo
caritatevole» è un business che funziona, nel 2005 il Programma delle nazioni unite per lo
sviluppo (Pnud) e la Ue con il sostegno della Banca mondiale, hanno lanciato un piano di
assistenza per quelle aree in preda alla barbarie del «tutti contro tutti»: il decennio per
l'integrazione dei rom che intendeva favorire l'accesso all'educazione, al lavoro, alla salute e
alla casa - quel «misero» corredo di diritti che quelle aree senza rispetto per le «libertà e le
differenze» comunque garantivano - in nove paesi dell'Europa dell'est e dei Balcani. Più di tre
anni dopo, però, gli esperti sono costretti a registrare il fallimento di quei piani, soprattutto
perché gli stati non perseguono politiche di «vera integrazione». Una tendenza che si riscontra
in quasi tutti i paesi d'Europa, a dispetto dei fiumi di parole spesi sul rispetto delle «differenze»
e di un multiculturalismo incapace, però, di coniugare il dibattito sul riconoscimento pubblico
della diversità culturale e identitaria in quello, più ampio, della rappresentanza e della giustizia
sociale.
La lingua romani dei rom italiani - scrive Santino Spinelli - contiene imprestiti persiani, armeni,
greci, serbo-croati», e vocaboli dei dialetti italiani: testimonianza del lungo esodo e della loro
ibridazione. Per ricordare a chi torna lombrosianamente a «misurare» le identità, che
misurando il patrimonio genetico di chi risiede da lungo tempo in qualche luogo si riscontrano
le differenze genetiche ma non quelle che corrispondono ai confini degli stati .
L’Unità 27-06-08
L’impronta del razzismo
Dijana Pavlovic

Schedatura etnica

Egregio signor Maroni, ministro dell’Interno, Lei annuncia che verranno «censiti» i bambini
rom, ma ci rassicura non sarà una «schedatura etnica», un semplice «censimento che
riguarderà tutti i nomadi che vivono in Italia, minori compresi».
Che io sappia, quando si fa un censimento questo riguarda tutti i cittadini dello Stato, lo si fa
secondo certe modalità uguali per tutti e con finalità chiare a tutti. Ma Lei per censimento
intende forse entrare in un campo con 70 poliziotti, carabinieri, vigili urbani in assetto
antisommossa e un furgone della polizia scientifica per rilevare le impronte digitali alle
cinque di mattina della famiglia Bezzecchi, 35 cittadini italiani, senza precedenti penali?
Questo è ben altra cosa. Si chiama schedatura etnica e lo sappiamo bene perché l’abbiamo
già vissuto nel passato. E dunque è in atto una schedatura su base etnica che vuol dire che si
sta creando un archivio parallelo. A cosa servirà l’archivio Rom? Nel passato, l’archivio che
aveva creato l’«Ufficio di polizia per zingari» di Monaco, che aveva schedato ed arrestato
più di 30.000 Rom tra il ’35 e il ’38, è passato all’Rkpa di Berlino, cioè alla Centrale di
polizia criminale del Reich, sotto il controllo diretto di Himmler, il quale l’8 dicembre ’38
ha emanato il Zigeunererlass, decreto fondamentale nella storia dello sterminio zingaro,
perché ha stabilito che, «in base all’esperienza e alle ricerche biologico-razziali, la questione
zingara andava considerata una questione di razza». Ma, se possibile, mi inquieta di più il
Suo annuncio che i primi a essere schedati saranno i minori e se sorpresi a elemosinare
saranno sottratti ai loro genitori. Un vero e proprio atto di violenza e discriminazione che
nessuna questione di sicurezza può giustificare, tanto più se si considera che dei 152.000
rom presenti in Italia, secondo lo stesso ministero degli Interni, la metà ha meno di 16 anni.
Senza tener conto che in Italia sotto i 14 anni non si è punibili e che in questo modo si
criminalizza un intero popolo, senza distinzione. Come accade con gli adulti, così anche le
migliaia di bambini Rom che vanno a scuola, che cercano faticosamente di aprirsi una
strada verso un futuro «normale», per Lei sono pericolosissimi criminali da schedare e da
tenere d’occhio. Non è anticostituzionale, illegale e contro la Convenzione dell’ONU sui
diritti dei fanciulli? Ma a Lei dovrebbe importare della legge e del diritto, oppure è solo
importante solleticare il ventre del Suo popolo? Prendersela con dei bambini, anche se
rubano o chiedono l’elemosina è molto più facile che avere a che fare con la più potente
organizzazione criminale, la ’ndranheta, che è padrona del territorio negli ordinati vialetti
della sua Varese, come in tutta la Lombardia e il nord Italia. Secondo i dati della
commissione antimafia e dell’Eurispes questi bravi adulti hanno un fatturato annuo di 36
miliardi di euro (altro che finanziarie di Tremonti), tra traffico di droga, appalti, traffico
d’armi e altri sciocchezze certo molto meno gravi dei furtarelli di qualche ragazzino. Ma
questo avveniva anche pochi anni fa: cosa c’era di più facile di prendersela con ebrei e
zingari? Nessuno di loro reagiva e l’ORDINE era garantito.
Certo, Lei quando ci annuncia queste cose, sorridendo serafico dai salotti tv parlando di
sicurezza, forse non pensa ai forni crematori che invece molti Suoi simpatici seguaci in
camicia verde invocano impunemente nelle ronde e negli agguati agli «zingari», ma forse a
nuove forme di campi di concentramento sì. Mi fa venire i brividi la Sua rassicurazione che
questo serve a garantire ai bambini rom «condizioni dignitose» in piena attuazione dei patti
di sicurezza di alcune città. In questi ghetti moderni uomini, donne e bambini di etnia rom,
che siano cittadini italiani, comunitari o no, verranno sottoposti alla segregazione di un
regime speciale che viola qualunque norma di diritto, di umanità e perfino di buon senso e
nega un futuro dignitoso ai nostri bambini.
La Repubblica 01-07-08
Lettera a Napolitano
Le maestre degli scolari zingari: un colpo
all´integrazione
TEA MAISTO

ROMA - Sono scese in difesa dei loro alunni rom: tredici maestre della scuola
elementare D´Antona-Biagi, periferia sud di Roma, hanno preso carta e penna e hanno
scritto al ministro dell´Interno Roberto Maroni un appello che oggi invieranno anche al
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: «Vogliamo esprimere tutta la nostra
solidarietà ai nostri alunni e la più sentita riprovazione per il disegno di legge che
prevede il censimento dei rom e sinti presenti sul territorio italiano, tramite la rilevazione
delle impronte digitali come in uso per i criminali». La scuola elementare conta circa una
trentina di bambini rom su 500 e la paura di queste maestre è che «il disegno di legge
che prevede il censimento tramite impronte digitali non solo degli adulti ma, ancor
peggio, dei bambini, non possa ottenere altro che l´effetto di un incrudimento dei
rapporti di convivenza sulla base di una percezione e timore della non accettazione da
parte della società». «Abbiamo una tradizione di accoglienza che dura ormai da anni -
spiega Gabriella Riggio, una delle maestre firmatarie -. Questa decisione è un grosso
passo indietro. Si vanifica tutto quello che abbiamo fatto e vuol dire far sentire i nostri
alunni ancora più emarginati». Sì, perché alla D´Antona-Biagi non ci sono problemi di
integrazione o di razzismo. «Quando quest´anno un bambino rom è partito per il campo
scuola - continua la maestra - i genitori dei suoi compagni italiani di classe hanno
provveduto a tutto, anche alla valigia. Non ci sono problemi tra i bambini italiani e i
piccoli di etnia rom e non si sono mai presentati problemi di sicurezza, ne tantomeno
furti. Da sempre noi insegnanti parliamo di integrazione e spieghiamo le altre culture».
Da qui la richiesta delle maestre: «Ci appelliamo al ministro Maroni affinché riveda
questa norma senza precedenti in Europa». Infine, una richiesta provocatoria: essere
schedati insieme ai loro scolari rom.
Liberazione 04-07-08

La comunità di Sant'Egidio denuncia il "censimento" dei nomadi. "Avvenire" invece corteggia


Maroni

«Religione: ortodosso. Etnia: Rom» Tornano le schedature


per razza

Fulvio Fania
Religione: ortodossa. Etnia: rom di Serbia. Lo zingaro è schedato, marchiato per razza. Nulla di
simile si era mai visto dall'epoca delle leggi razziali. La Comunità di Sant'Egidio mostra alla stampa
la copia di quel documento di una settimana fa. Proviene da Napoli, campo rom della Centrale del
latte. L'intestazione è ufficialissima: "Commissario delegato per l'emergenza insediamenti nomadi
nella Campania". C'è tutto: la foto, le impronte digitali, il numero di passaporto, i dati anagrafici e
due caselle che sovvertono i principi costituzionali con l'indicazione dell'etnia e del credo religioso.
Non la cittadinanza, sia chiaro, ma precisamente la razza. Quelli di Sant'Egidio hanno reperito negli
archivi storici un documento analogo: risale al regime fascista di Vichy in Francia.
Il governo ha il coraggio di definire una tale schedatura "censimento", come se si trattasse di
un'innocua e anonima rilevazione Istat. Qualche rom si è illuso che quella registrazione potesse
valergli un permesso di soggiorno. E invece si è candidato all'espulsione.
Così avanza minacciosa l'epoca Maroni. Nella comunità cattolica trasteverina, che da anni svolge
attività sociale tra gli zingari, non escludono denunce legali contro questa pratica di polizia. Hanno
deciso però di non contrapporsi pregiudizialmente a tutte le iniziative del governo confutandole
piuttosto nel merito. Vorrebbero confrontarsi su una «piattaforma di buonsenso» e per questo si
sforzano di prendere in parola il ministro degli Interni il quale, mentre impone le impronte digitali
ai bimbi rom, sostiene di farlo nel loro interesse. La Comunità di Sant'Egidio cerca almeno di
mitigare gli effetti dell'operazione anti-rom. Di questi tempi gli interlocutori "sociali" sono quelli
che sono e dunque anche un buon rapporto a Roma con il prefetto Mosca pare abbia evitato - così
spiegano - che nella Capitale si verificassero schedature come quella di Napoli. «La sintonia con
Mosca - ci dice il portavoce Mario Marazziti - è su basi giuridiche», «non sulla simpatia personale».
La decisione del governo di schedare i rom di tre città italiane «non è un censimento», attaccano
Marazziti e Marco Impagliazzo, presidente della Comunità. Che censimento è una rilevazione
limitata ad una porzione del territorio e solo a coloro che vivono nei campi mentre metà dei rom e
sinti in Italia abita negli alloggi? Le dimensioni sono note da tempo: complessivamente i "nomadi"
sono 130-150 mila, lo 0,25% della popolazione italiana. Per metà sono nostri connazionali di antico
insediamento; i balcanici sono circa 70mila tra cui i romeni, ultimi arrivati e cittadini comunitari.
«La prescrizione di rilievi segnaletici obbligatori su base etnica - attaccano a Sant'Egidio - è
chiaramente discriminatoria». Non parliamo poi delle impronte digitali per i bambini. Chi può
credere che servano ad accertare l'identità dei genitori? I casi drammatici di sfruttamento esistono,
ma vanno trattati dal Tribunale dei minori, come avviene per tutti. Per l'identificazione anagrafica
nei campi non c'è bisogno di pratiche umilianti e inefficaci. Invece si corre dietro alle paure
irrazionali. «La questione rom non è un'emergenza nazionale», insiste Marazziti, se non sul versante
opposto: la speranza di vita per un neonato zingaro è di 20-25 anni più corta rispetto ad un italiano
medio. «Una condanna a morte», la definiscono i cattolici di Sant'Egidio.
Domandiamo: vi risulta che il Papa abbia parlato di immigrati e rom durante i suoi incontri con
Berlusconi e col sindaco di Roma Alemanno? Ovviamente non si può sapere. Si conoscono invece
le dure condanne dei provvedimenti del governo espresse dalla fondazione Migrantes, dalla Caritas
e dal Pontificio consiglio per i migranti. Intanto anche il presidente delle Acli Andrea Olivero
denuncia la schedatura razziale dei nomadi. Ma proprio ieri il quotidiano dei vescovi Avvenire ha
fatto masticare amaro questa parte del mondo cattolico. Ha pubblicato infatti una lunga intervista al
ministro Maroni, ancora furioso per l'attacco al governo sferrato da Famiglia cristiana . «Non sono
un Erode», ribatte il leghista generosamente evidenziato nel titolo. Il giornale, benevolo, lo descrive
seduto nel suo studio «sobrio» tra statuette di elefantino - poco padane - e accanto ad un cesto di
frutta fresca. Natura morta e intervista comoda in cui Maroni spiega che vuole togliere i bimbi rom
dai campi-lager.
Nelle gerarchie evidentemente c'è chi non sopporta certi impeti sociali contro il governo. Il vescovo
di Crotone Domenico Graziani ha scelto il sito web della Milizia di San Michele Arcangelo per
regolare i conti con Famiglia cristiana : «Ma che ne sanno loro?», sbotta il prelato, quello è
«buonismo cattolico», dimenticano che «la sinistra cavalca la tigre dell'immigrazione clandestina»
mentre le impronte ai bimbi rom «servono a dare loro un'identità chiara». Bravo Maroni.
La Comunità di Sant'Egidio si preoccupa invece per quei rom nati in Italia figli o nipoti di cittadini
della Jugoslavia, un paese che non esiste più. Vengono espulsi e poi rispediti indietro perché non si
sa dove mandarli, non hanno cittadinanza italiana visto che la nostra normativa è ferma ancora alla
discendenza di sangue. Andrebbe cambiata o si potrebbe addirittura riconoscerli come cittadini
dell'Europa unita. Nel frattempo - chiede la Comunità - si conceda loro almeno lo status di apolide.
Liberazione 3-07-08
E Maroni accusa il gip: «Hai fermato un'azione di polizia»

Verona, legale dei rom accusa:


«Figli sottratti ingiustamente»
Laura Eduati
«Non sono i rom a rubare i bambini, sono i tribunali italiani a rubarli ai rom». La durissima
accusa proviene dall'avvocato Luciano Biason, legale degli otto rom croati accusati di utilizzare i
propri figli per compiere furti negli appartamenti.
Due degli indiziati, marito e moglie, sono stati scarcerati dal gip di Verona per scarsità di prove e
ora si sono rivolti al Tribunale per i minorenni di Venezia per riavere i loro figli, un bambino di
sei mesi e una bimba di nove anni, momentaneamente affidati ad una casa famiglia insieme con
gli altri quattro piccoli protagonisti della vicenda. Il divieto di contattare i genitori è assoluto, ed è
stata avviata la procedura di abbandono di minore e maltrattamenti.
Due dei bambini sottratti sono neonati di 5 e 8 mesi, tolti alle madri Vesna Dordevic e Veselinka
Radulovic nonostante stessero ancora allattando. Per Bason, accorso da Roma, si tratta di «un atto
di violenza» immotivato in quanto esistono delle strutture carcerarie attrezzate per accogliere
donne con figli molto piccoli. Per Vesna Dordevic, poi, ormai non si può più parlare di carcere in
quanto la donna è stata prima fermata, poi scarcerata, dunque riportata in carcere in base alla
sentenza del Tribunale di Firenze che la condannava per furto, e ieri uscita definitivamente grazie
all'indulto.
Restano invece in carcere i due rom catturati in Piemonte, i cugini Branko e Marko Sulic, il gip ha
convalidato il fermo; e così anche per Dragan Sulic, che si trovava già nel penitenziario di
Vicenza per altri reati.
Non si placa la polemica sull'annullamento del fermo per quattro degli otto rom, deciso dal gip
veronese Giorgio Piziali secondo il quale il provvedimento sarebbe stato «piegato ad altri fini», e
cioè si sarebbe deciso di incarcerare i rom sull'onda della presunta emergenza nomadi sbandierata
dal governo. E per quanto riguarda le presunte violenze sessuali minacciate dai genitori ai figli
per indurli a commettere i furti, per il gip si tratta soltanto di «mere espressioni linguistiche rudi e
volgari» alle quali non avrebbero fatto seguito dei reali abusi.
«I bambini in questione non presentano segni di maltrattamento ed alcuni frequentavano la
scuola» aggiunge l'avvocato Bason, che oggi tornerà a chiedere al Tribunale veneziano «la
restituzione» dei minori.
Sul fronte opposto, Roberto Maroni accusa il gip Piziali di aver vanificato il lavoro della polizia
attraverso la scarcerazione dei rom e per il governatore del Veneto Giancarlo Galan l'episodio
dimostrerebbe il bisogno di una seria riforma della giustizia.
Rimangono dubbi sul clamore dato all'inchiesta, proprio nei giorni in cui il governo viene
criticato anche a livello internazionale per le impronte digitali ai bambini rom. Servirà del tempo
per scoprire se si tratta di un buco nell'acqua, ma nel frattempo Luciano Bason, specializzato nella
difesa dei rom, avverte che «si stanno moltiplicando i casi di sottrazione di bambini rom ai
genitori, anche se condannati per semplice furto». E cita l'esempio di una donna nomade giudicata
dal tribunale di Tivoli, in cella per furto, alla quale erano stati tolti tre figli, uno dei quali di
appena venti giorni.
Liberazione 03-07-08
«Siamo tutte e tutti Rom»
«Siamo tutte e tutti Rom». E' la parola d'ordine con cui l'Arci, invita a partecipare il prossimo
lunedì ad una raccolta volontaria di impronte.
«E' già iniziata la schedatura e la rilevazione delle impronte digitali dei rom, minori compresi, nei
campi nomadi - afferma in una nota il responsabile immigrazione dell'Arci, Filippo Miraglia - con lo
scopo di "censire" quanti vi risiedono. Una misura fortemente voluta dal ministro Maroni,
nonostante l'indignazione con cui è stata accolta da gran parte dell'opinione pubblica». «Forti
perplessità sulla legittimità di un simile provvedimento - ricorda Miraglia - ha espresso anche il
Commissario europeo ai diritti umani. Associazioni laiche e cattoliche, italiane e internazionali,
intellettuali, artisti, giornalisti, politici hanno denunciato il razzismo di questa misura giudicata un
grave vulnus della democrazia e della Convenzione per la tutela dei diritti del fanciullo. Un atto
discriminatorio e persecutorio».
«E' necessario - sottolinea quindi il responsabile immigrazione dell'Arci - dare visibilità, anche con
azioni simboliche, alla nostra indignazione. Il 7 luglio, a Roma, in Piazza Esquilino, dalle 17 alle 20,
l'Arci, col sostegno dell'Aned, organizzerà una 'schedaturà pubblica e volontaria, raccogliendo le
impronte digitali delle cittadine e cittadini italiani che condividono la nostra protesta. Centinaia di
impronte che invieremo al ministro con un messaggio: "siamo tutte e tutti rom". Con noi, a farsi
"schedare", ci saranno anche Moni Ovadia, Andrea Camilleri, Dacia Maraini, Ascanio Celestini e
tanti altri. A tutte le forze politiche di opposizione, alle forze democratiche, alle associazioni, ai
media, ai singoli - conclude Miraglia - chiediamo di aiutarci a fermare questo scempio della vita
civile e democratica del nostro paese, in cui il razzismo è ormai pratica di governo».

Roma, Arci e Antigone al campo nomadi


Mentre a Roma lunedì prossimo in concomitanza al Consiglio comunale straordinario sulla sicurezza
Antigone e Arci promuovono una «Riunione straordinaria di rappresentanti delle istituzioni locali
contro il razzismo» presso il campo rom di via Luigi Candoni alla Magliana Vecchia. «Oggi esiste
una emergenza razzista. Ci deve essere una assunzione democratica di responsabilità di chi ha un
ruolo istituzionale - ha dichiarato Luigi Nieri, assessore al bilancio Regione Lazio- per questo lunedì
andiamo in un campo rom». Interverranno, oltre allo stesso Nieri, Giulia Rodano (assessore alla
cultura Regione Lazio), Alessandra Tibaldi (assessore al lavoro Regione Lazio), Fliberto Zaratti
(assessore all'ambiente Regione Lazio), Augusto Battaglia (consigliere Regione Lazio), Enrico
Fontana (consigliere Regione Lazio), Enzo Foschi (consigliere Regione Lazio), Enrico Luciani
(consigliere Regione Lazio), Giuseppe Mariani (presidente commissione lavoro Regione Lazio),
Anna Pizzo (consigliere Regione Lazio), Claudio Cecchini (assessore alle politiche sociali provincia
di Roma) Cecilia D'Elia (assessore alla cultura Provincia di Roma), Massimiliano Smeriglio
(assessore al lavoro della Provincia di Roma), Massimiliano Massimiliani (presidente commissione
politiche sociali Provincia di Roma), Andrea Catarci (presidente Municipio XI Roma), Susi Fantino
(presidente Municipio IX Roma), Sandro Medici (presidente Municipio X Roma).
La Repubblica 04-07-08
SCHEDATURA
lapsus

STEFANO BARTEZZAGHI

«Questa non è una pipa», scrisse il pittore René Magritte sotto l´immagine di una pipa. «Questa non è una
schedatura», dice il ministro Maroni di un certo suo provvedimento: e la carica surrealista non è minore. Si
registreranno dati personali e li si conserverà presso appositi archivi: in quale senso ciò può non essere una
schedatura?
Malgrado legga più volentieri partiture di musica soul che testi di Wittgenstein, il ministro Maroni ha avuto
un´intuizione di filosofia del linguaggio: ha capito che il problema è lessicale. Costruire archivi di dati
individuali va bene, schedare va male: cosa importa che nel mondo in cui le pipe sono pipe le due operazioni
coincidano perfettamente? Quello è il mondo di cui si occupa la Caritas.
Negando l´innegabile il ministro Maroni ci dice che tale registrazione sarà un´operazione neutra, mentre la
schedatura neutra non lo è mai. Non lo è mai di fatto, però, e non di nome. E così, adeguando la sua almeno
apparente bonarietà caratteriale ai duri compiti di un ministro di Polizia, finisce per ricordarci la scena in cui il
conte Max affonda un pezzo di pane nel piatto per pulirlo e nel contempo afferma: «però questo non si deve
fare».
Liberazione 03-07-08
Bologna, allarme razzismo dalle scuole di italiano
per stranieri
«Sempre più migranti, da qualche mese, hanno paura di uscire di casa per andare al lavoro e con
incredulità e sconforto raccontano, nelle nostre scuole, quotidiane storie di discriminazione». La denuncia
arriva da Bologna, dalle scuole di italiano per stranieri (Associazione Ya Basta!, Aprimondo Centro
Poggeschi, Cgil-Centro lavoratori stranieri, Scuola della Chiesa Metodista di Bologna, Famiglie Insieme,
Sim). «Intendiamo esprimere la nostra preoccupazione, comune a insegnanti e studenti - spiegano - per
la campagna politica e mediatica contro migranti, regolari e irregolari, che criminalizzando l'immigrazione
clandestina, insinua un sentimento generale di diffidenza e paura nei confronti degli stranieri»
L’unità 03-07-08

Dalla parte dei bambini. Anche rom


Luigi Cancrini
I bambini nomadi di cui ricordo di più le storie sono quelli che abbiamo accolto e curato al
Centro Aiuto al Bambino Maltrattato e Famiglia. Avevano subito abusi sessuali documentati
purtroppo dalle malattie veneree che avevano contratto. Vivono oggi in famiglie che li
hanno adottati al termine di processi di cura lunghi e pazienti. Hanno vite sane e normali
perché un numero importante di persone competenti si sono occupate di loro. Delle loro
vicende e del loro recupero. Come dovrebbe accadere per tutti i bambini che vivono
situazioni di difficoltà.
Ho pensato più volte in questi giorni a questi bambini mentre ascoltavo la freddezza ostile
di un ministro della Repubblica deciso a “tutelare” l’infanzia che vive nei campi dei nomadi
con il più classico dei procedimenti di polizia, la schedatura attraverso le impronte digitali.
Chiedendomi che rapporto ci sia fra la rilevazione delle impronte e la tutela dei bambini.
Chiedendomi se il ministro sa di cosa parla quando usa parole più grandi di lui come “tutela
dei bambini”.
Immaginiamo, per rispondere alla prima di queste domande, l’ufficio di polizia che
custodisce le impronte dei minori rom. Le userà, consultando uno schedario, di fronte ad un
furto avvenuto in casa del ministro o di un amico del ministro o di una persona comunque di
cui il nostro ministro vuole tutelare i beni. Collegare le impronte lasciate nella casa del
derubato ad un nome, ad un bambino fornirà forse un aiuto alle indagini anche se è facile
pensare che il mandante o i mandanti dei furti non incontreranno difficoltà particolari
nell’addestrare i bambini all’uso dei guanti. A nulla serviranno le impronte, invece, nel caso
di cui tanto si parla dei bambini che mendicano o che soffrono altri tipi di violenze. Perché?
L’esperienza del Centro Antimendicità del Comune di Roma, quella degli Enti che si
occupano quotidianamente dell’inserimento scolastico e della salute dei bambini Rom,
quella più specifica dei Centri che si occupano dei bambini (rom e non rom, italiani ed
extracomunitari) che subiscono altri tipi di violenze e quella complessiva dei Tribunali per i
Minorenni o di abuso dimostra con chiarezza, su migliaia di casi, che identificare il bambino
che si vuole tutelare non è mai difficile. Lui/lei sa bene chi è e lo dice e i suoi famigliari, pur
negando o minimizzando le violenze, vengono sempre a cercarlo ed a rivendicare il loro
diritto ad averlo/a con loro. Nei rari casi in cui la situazione è così grave da metter loro
paura semplicemente fuggono. Aprendo le strade all’apertura di una procedura di
abbandono e di adottabilità.
Difficile, per chi ha esperienza diretta di questo tipo di situazioni, pensare a degli esperti che
abbiano suggerito a Maroni di dire pubblicamente che il suo provvedimento è rivolto alla
tutela dei bambini rom. La sua sembra la battuta difensiva di chi, avendo urlato contro
persone oggetto di pregiudizio da parte dei suoi elettori più ottusi, cerca di difendersi dalle
critiche che inevitabilmente gli piovono addosso. L’unico precedente che so trovare è quello
del nazismo che giustificava l’uccisione dei pazienti psichiatrici e degli handicappati gravi
dicendo, ai famigliari che protestavano, che lo si faceva per il loro bene, per evitare loro
“inutili” sofferenze. Il cinismo che traspare da questo tipo di giustificazione, del resto, è il
correlato naturale del razzismo che ispirò allora Hitler ed i suoi e che ispira oggi l’iniziativa
politica di un movimento che non è eversivo solo quando parla di scendere in piazza con i
fucili. La convinzione di essere figlio di una razza superiore (ariana o padana) e di poter, per
questo motivo, giudicare, insultare, sottoporre a procedure umilianti coloro che a questa
razza superiore non appartengono si trasforma in una forma pericolosa (e spregevole) di
terrorismo ideologico nel momento in cui non è oggetto solo dei discorsi da osteria delle
persone con la camicia verde ma anche, che lui lo sappia o no, delle azioni di un uomo di
governo. Quelle che andrebbero chieste a gran voce in questa situazione in un Paese civile
sono le dimissioni di un ministro che tradisce in modo indecente la costituzione cui ha
giurato fedeltà: con le dita incrociate dietro la schiena, magari, come pare abbiano fatto
spesso i ministri padani.
Quello di cui poi parleremo ancora un giorno, se un giorno ancora di Politica si riuscirà a
parlare, è l’insieme dei provvedimenti necessarii per tutelare sul serio quelli fra i bambini
rom (e non rom) che vivono situazioni in cui quella che a loro è negata è soprattutto
l’infanzia. Permettendomi io di ricordare, a chi dice che nessuno lo aveva mai fatto, che per
due volte ho proposto insieme ad altri parlamentari della Commissione Infanzia, in sede di
discussione sulla Finanziaria per il 2007 e per il 2008, emendamenti centrati sul
finanziamento di progetti specifici di intervento per l’integrazione dei bambini che vivono
in contesti (come i campi nomadi) di particolare difficoltà e che la piccola cifra stanziata per
questo scopo dal Governo di Prodi è stata subito cancellata da quello di Berlusconi: con il
provvedimento che aboliva l’Ici. Quali che siano le nostre opinioni politiche, quello che non
andrebbe dimenticato mai è il principio di realtà ed è il principio di realtà a dirci che tutelare
i bambini che vivono in situazioni di grande difficoltà economica, culturale e sociale è
possibile solo se si finanziano dei progetti per farlo. Mettendo in campo gli uomini e i
mezzi, le competenze professionali e le generosità necessarie per aiutarli a vivere.
L’estate è arrivata e i bambini senza problemi stanno già in vacanza. Il fatto che i più poveri
ed i più sfortunati se ne stiano lì nei campi aspettando che i rappresentanti di un paese
democratico si occupino di loro solo per identificarli rilevando le loro impronte fa male a
me ed a molti altri ma dovrebbe far male soprattutto a chi, godendosi le sue ville ed i suoi
paradisi privati, pensava e pensa di poter porre riparo ai problemi del paese con dei
provvedimenti che sono semplicemente indecenti. Dall’alto, evidentemente, di un orgoglio
mal riposto e di una stupidità che non teme confronti.
La repubblica 27-06-08
Il monito di monsignor Vittorio Nozza: i bambini vanno difesi e accuditi, non trattati come
criminali

La protesta del direttore della Caritas "Metodi


polizieschi, ricordano anni bui"

Eravamo già perplessi sulle misure contenute nel pacchetto sicurezza ma ora si sta davvero passando
il limite

ORAZIO LA ROCCA

ROMA - «I bambini non vanno criminalizzati e, tantomeno, sottoposti a procedimenti polizieschi come
può essere il prelevamento delle impronte digitali secondo quanto vuol fare il governo per i piccoli rom.
I bambini, al di là di differenze sociali, politiche, religiose ed etniche, vanno presi in carico, accuditi,
accompagnati. L´annunciato provvedimento governativo è inconcepibile, pericoloso, assurdo». Il
severo monito arriva da monsignor Vittorio Nozza, direttore della Caritas Italiana - l´ente preposto agli
interventi di solidarietà della Conferenza episcopale italiana - secondo il quale l´idea avanzata dal
ministro degli Interni Roberto Maroni di prelevare le impronte dei bambini rom «evoca per di più scenari
inquietanti».
Monsignor Nozza, dov´è il pericolo? Il ministro Maroni in fondo assicura che intende solo fronteggiare
l´accattonaggio minorile...
«Le Caritas diocesane che ieri ad Assisi hanno concluso il convegno nazionale hanno già ampiamente
espresso le loro perplessità su un pacchetto sicurezza che prevede tra l´altro l´uso dell´esercito nelle
strade. Una presenza, quella militare, che rischia di innescare un meccanismo di lotta di classe e di
portare ad un allargamento di situazioni di conflittualità. Per la sicurezza ci vuol ben altro. Ma ora con i
bambini rom si sta peggiorando: i piccoli hanno bisogno di altre attenzioni, non di essere sottoposti al
prelevamento delle impronte o a misure poliziesche prive di senso».
Ma per i bambini rom costretti all´accattonaggio occorrerà pur fare qualche cosa. Non le pare?
«Certamente. Ma questo problema non si risolve con il prelevamento forzato delle impronte, una
pratica che evoca scenari inquietanti, razziali, che credevamo ormai consegnati alla storia. I bambini,
senza nessuna distinzione di etnia, di politica o religione, vanno accuditi, accolti, difesi. Non
criminalizzati».
Eppure, malgrado le denunce, non sono pochi i piccoli nomadi che chiedono l´elemosina nelle
metropolitane o, peggio ancora, sono violentati e costretti a rubare. Che cosa bisogna fare per aiutarli?
«Non criminalizzandoli, senza coercizioni poliziesche, perché le prime vittime sono proprio loro, i
bambini rom indotti dagli adulti a mendicare o a commettere furti su commissione. La piaga
dell´accattonaggio infantile va combattuta; su questo come Caritas nazionale, diocesane e parrocchiali
da sempre siamo in prima linea per aiutare chi vive nel bisogno e denunciare chi sfrutta. Ma se si vuole
veramente dare una mano concreta a questi piccoli, servono politiche più sensibili alla solidarietà, con
programmi di potenziamento per la scuola, la casa, l´accoglienza. Non certo con una campagna di
sicurezza impostata, tra l´altro, sul prelevamento delle impronte».
L’unità 2-07-08

Caritas: sulle impronte non collaboriamo


Uno studio sugli stranieri a Roma: sfatare il pregiudizio non c’è il clandestino cattivo e il
lavoratore buono

di Luciana Cimino
Checché ne dicano, a Roma l'immigrazione è sana. Lo evidenziano i risultati dall'indagine
«Le condizioni di vita e di lavoro degli immigrati nell'area romana» della Caritas diocesana
di Roma che nel 2007 ha somministrato un questionario a un campione di 900 persone di 69
nazionalità. Il quadro che emerge non è quello fosco e delinquenziale presentato dalla
destra: l'immigrato della porta accanto è «istruito, laborioso, poco incline al consumo,
economicamente autosufficiente». E nonostante le avversità che incontra all'ingresso nel
nostro paese, è «sempre più attaccato all'Italia e aperto alla solidarietà». Il 66% infatti, oltre
a sostenere con le rimesse i familiari in patria, dichiara di aiutare, anche economicamente,
altri immigrati che si trovano in difficoltà, non solo connazionali. Questo perché l'arrivo in
città (e la conseguente ricerca di un alloggio e di un lavoro) e la richiesta dei documenti
rimangono momenti critici. Circa la metà del campione (il 50,6%) ha usufruito di un
provvedimento di regolarizzazione (nel 98 o nel 2000), se si aggiunge un 10% di
ricongiungimenti familiari, allora è chiaro che, «la maggior parte di quelli che consideriamo
inseriti ha attraversato un percorso d'irregolarità giuridica». «Attenti alle generalizzazioni –
avverte Salvatori Geraci, estensore del rapporto – non esiste la dicotomia immigrato buono
con permesso di soggiorno e cattivo senza: sono sempre le stesse persone prima o dopo il
decreto flussi». Altro pregiudizio da sfatare: l'80% ha un lavoro (ma è a nero in un sesto dei
casi), «non esiste quindi- si legge nell'indagine – una massa di fannulloni che grava sul
sistema italiano, ma dei lavoratori scarsamente tutelati». Nonostante l'altro livello
d'istruzione (l'80% è diplomato), la maggior parte sono impiegati nell'edilizia o come
collaboratori domestici ma a Roma tanti (il 13,5%), ed è un buon segno, sono dediti a
occupazioni intellettuali o nell'ambito socio-sanitario. Circa i due terzi si ritengono tutto
sommato soddisfatti del loro tenore di vita. Sono consumatori attenti, che, se potessero
comprerebbero casa in città (53.1%) o l'auto. La preoccupazione maggiore per gli immigrati
romani è costituita, infatti, dal costo dell'affitto.
«Da più parti invocano una "immigrazione buona" ma in città c'è già - ha spiegato Mons. Di
Tora, direttore della Caritas di Roma – non è né ricca, né depressa, assolutamente
"normale"». «Molto utile», per il presidente della Provincia, Nicola Zingaretti, l'indagine
presentata ieri. «Aiuta a conoscere l'altro, un concetto questo molto attuale» a fronte del
«dibattito sulla percezione dell'insicurezza delle persone». E proprio su questo i curatori del
rapporto hanno posto l'attenzione. «Il censimento dei rom tramite impronte digitali è
un'operazione da condannare eticamente, la sicurezza è ben altro», ha detto il direttore della
Caritas Italiana, Vittorio Nozza annunciando che «non ci sarà alcuna collaborazione con le
istituzioni in tal senso».
Luciana Cimino
Il manifesto 28-06-08
LA BANALITÀ DEL MALE MINORE
Annamaria Rivera
Chissà quanti hanno potuto vedere il film di Eyal Sivan e Rony Brauman, Un spécialiste.
Portrait d'un criminel moderne, basato sulle immagini realizzate durante il processo ad
Eichmann. Più che dal libro famoso di Hanna Arendt, al quale il film si ispira, è da queste
immagini che emerge in modo pregnante la mostruosa banalità del male: Eichmann,
responsabile dal 1941 al '45 del rastrellamento, dell'evacuazione e del trasferimento verso i
lager di ebrei polacchi, sloveni e gitani d'Europa, ci è restituito dalle sequenze del processo
come un ometto normale, mediocre, ben educato, che di eccessivo ha solo la fissazione
burocratica e la propensione conseguente a tradurre in eufemismi abomini e crimini sommi: il
rastrellamento è un «problema tecnico», la deportazione è la «questione-trasporti», le morti
nei vagoni blindati nient'altro che «deplorevoli inconvenienti», gli intoppi nella macchina della
deportazione «inadeguatezze ed errori» da correggere.
È a quelle immagini che ho pensato leggendo le dichiarazioni minimizzanti del ministro
dell'interno e dei suoi collaboratori a proposito della schedatura e delle impronte digitali
riservate ai Rom, bambini compresi, cioè di un provvedimento che somiglia alle schedature
razziste dei regimi nazifascisti, finalizzate a costruire archivi per l'individuazione, segregazione,
concentramento, deportazione delle minoranze. «Vogliamo che i bambini vivano una vita
normale, in condizioni decenti, senza topi, senza essere obbligati all'accattonaggio o a peggio
ancora», dichiara Maroni. E Mantovano, di rincalzo: «La norma sulle impronte è finalizzata a
identificare, se si perde un bambino, chi siano i suoi genitori». Tutto normale, no? Che c'è da
gridare allo scandalo?
Perché l'Unicef, il Consiglio d'Europa, il Garante della privacy, l'Aned, la Tavola valdese, Amos
Luzzatto, qualche esponente dell'opposizione, per fortuna raro e flebile, e i soliti scalmanati
difensori dei «nomadi» s'indignano tanto? Certo, Maroni non è Eichmann, non avendone
neppure la meticolosità e l'aspirazione al rigore amministrativo. Ma le misure che propone e
l'ideologia con cui le giustifica - esattamente quella del «male minore», di cui parlava Hanna
Arendt - dovrebbero suscitare l'allarme corale dei cittadini democratici. Non è così. È almeno
dal 1991, cioè dal trattamento alla cilena dei profughi albanesi nello stadio di Bari, che governi
di centro-destra e di centro-sinistra compiono atti e misure razziste banalizzandoli e
giustificandoli dietro formule burocratiche. E una buona parte della società civile reagisce con
l'indifferenza, la rimozione o l'ideologia degli «italiani, brava gente». Il razzismo è un sistema
che si costruisce cumulativamente, una «banalità» dopo l'altra. Credo che oggi, con il governo
di destra-destra e con la saldatura fra razzismo «popolare» e razzismo istituzionale, siamo
giunti al suo compimento sistemico. La sinistra è indebolita dalla batosta elettorale, si dice,
non ce la fa a reagire. Che reagisca, allora, chiunque ha a cuore la difesa dei diritti umani o la
sorte dei bambini: che ognuno chieda di essere schedato insieme ai Rom.
L’Unità 27-06-08
Zingari
Furio Colombo
Uno strano errore è stato commesso e ripetuto dai diversi schieramenti che, nel corso di 15
anni, si sono opposti, spesso con tollerante mitezza all’impero di Berlusconi (nel senso di
tutti i soldi e tutte le televisioni con cui fa politica). È stato l’errore di dire e pensare che
Roberto Maroni fosse il più umano e normale dei leghisti, niente a che fare con vergognose
figure come Borghezio e Gentilini.
Un errore grande. Non c’è alcuna differenza fra Maroni e Borghezio o Gentilini. Il ministro
degli Interni di un Paese democratico che ordina di prendere le impronte digitali di migliaia
di bambini italiani o ospiti dell’Italia, solo perché quei bambini sono Rom, è fuori dalla
nostra storia di paese libero. È estraneo allo spirito e alla lettera della nostra Costituzione, è
ignaro del fascismo da cui ci siamo liberati e di cui ricordiamo con disgusto, fra i delitti più
gravi, l’espulsione dei bambini italiani ebrei dalle scuole italiane.
È stato uno dei peggiori delitti perché quella umiliazione spaventosa a cui sono stati
sottoposti i più piccoli fra i nostri concittadini ebrei, alla fine ha generato lo sterminio. Il
ministro degli Interni non è così giovane e così ignaro, per quanto la sua formazione sia
immersa nella barbara e claustrofobica visione leghista.
Il ministro dell’Interno sa, e non può fingere di non sapere che obbligare i bambini di un
gruppo etnico (molti radicati in Italia da decenni, alcuni da secoli) alle impronte digitali
vuol dire lacerare la nostra vita, spaccare e isolare dal resto del Paese una parte di coloro che
vivono e abitano con noi. Vuol dire indicare a tanti, che hanno più o meno la sensibilità
morale del ministro, “gli zingari” compresi “i bambini zingari” come estranei, reietti e degni
di espulsione. Chi è indicato come “da escludere” diventa per forza qualcuno da
perseguitare.
Si noti un particolare davvero disgustoso e non accettabile: l’impronta verrà presa prima di
tutto e più facilmente ai bambini che vanno a scuola e verranno che marchiati di fronte ai
compagni. E sarà una umiliazione grave per la Polizia italiana. L’ideologia conta poco e
nessuno, salvo xenofobia e razzismo, conosce uno straccio di ideologia della Lega. Ma la
decisione di sottoporre i bambini di un gruppo selezionato come nemico all’umiliazione
delle impronte digitali è una decisione fascista.
Mi impegno a tentare con le mie prerogative di parlamentare di impedirlo. Chiedo ai
colleghi Deputati e Senatori che si riconoscono nella Costituzione di volersi unire per
difendere i bambini Rom, l’onore della nostra Polizia, ciò che resta della nostra civiltà
democratica.
furiocolombo@unita.it
Il manifesto 28-06-08
L'ATTIVISTA SINTA
«Coinvolgere i rom non perseguitarli come nel fascismo»
Giacomo Russo Spena
«La discriminazione contro di noi è accettata e condivisa, non fa neanche più scandalo». Eva
Rizzin, trentenne nata ad Udine, è una delle tante sinte italiane. «Stiamo qui dal 1400 - precisa
- Nomade è infatti un termine improprio, la maggior parte di noi è sedentaria». Laureata con
una tesi sulla sua comunità e dottorata sui fenomeni dell'antiziganismo, oggi lavora con
l'associazione articolo 3, un gruppo che difende «tutte le minoranze discriminate». Rom, ebrei,
omosessuali e migranti.
Che ne pensa della proposta di Maroni di schedare con le impronti digitali i bambini
dei campi?
Mi inorridisce. E' una proposta demagogica, discriminante, persecutoria. Di stampo razzista. Ci
riporta indietro nella storia: durante la II guerra mondiale sono stati sterminati dai nazisti dai
400 ai 600 mila rom e sinti. Per motivi razziali siamo stati seviziati, gasati nei campi di
concentramento e usati come cavie per esperimenti medici. Solo perché «zingari». Eravamo
indegni di esistere. E l'Italia ha contribuito a questo massacro: già nei primi anni del regime
fascista infatti è iniziata la persecuzione dei rom. Oggi ci risiamo. Con leggi non molto diverse.
Ma il ministro dice che il suo intervento è mirato a tutelare i bambini.
Macché. Lui alimenta solo quell'antiziganismo che nel paese ha raggiunto livelli drammatici. Dal
2005 c'è stata un'escalation incredibile: tra sgomberi dei campi, episodi di violenza gratuita
come Napoli, per finire ora alla negazione dei diritti. Mi auguro che quella di Maroni sia solo
una provocazione senza seguito, perché proposte del genere possono minare la sicurezza di
tutti. Sono altri gli strumenti per risolvere delle problematiche realmente esistenti.
Che pensa delle tante le voci sollevate contro la sua ordinanza?
Mi confortano. C'è bisogno di unità e sostegno in questa fase: qualsiasi persona a prescindere
dalle appartenenze deve manifestare oggi il proprio dissenso. Se crede nello stato di diritto e
nei valori della democrazia. Lancio una campagna provocatoria: chiedere a tutti gli adulti di
affiancare i bambini dando anche loro le impronte digitali. Sarebbe un forte segnale politico.
Poi spero che le indignazioni degli organismi italiani e internazionali facciano cambiare idea al
governo. Esistono strumenti finanziari e normativi dell'Unione Europea, capaci di trovare le
giuste soluzioni. Basterebbe applicarli. Ma l'Italia non lo fa.
Interventi di che tipo?
Sono previsti servizi di mediazione interculturale in collaborazione con enti locali e istituzioni.
Inoltre si stabiliscono dei diritti primari da dare ai rom, come la casa e l'istruzione. In Italia
invece la gente si indigna per le condizioni disumane in cui crescono i bambini nei campi, senza
far pressioni per trovare loro una soluzione alternativa. Un giusto alloggio. I campi nomadi
infatti sono un'invenzione tutta italiana: la maggior parte di noi vuole il rispetto del diritto
all'abitare.
Esiste però un problema di bambini che non vengono mandati a scuola.
Solo in piccola parte. Quelli che non ci vanno sono impossibilitati. Tra sgomberi forzati,
comportamenti discriminatori e barriere, come la sostenibilità dei costi e la distanza
dell'istituto, la scuola diventa impossibile. Comunque la maggioranza dei bambini inizia il ciclo
formativo. La scolarizzazione è una chiave importante per l'emancipazione delle future
generazioni. Ma bisogna costruire una scuola che riconosca la cultura dei bambini sinti: nelle
classi esistono tuttora forme di segregazione.
Ha delle ricette per contrastare le politiche razziste del governo?
Politiche efficaci si ottengono solo creando una relazione coi rom e sinti. Come suggerisce
l'Europa. Invece c'è un'assoluta ignoranza su di noi: si pensa che il furto e l'accattonaggio
siano caratteristiche della nostra cultura. Assurdo. Conoscenza, confronto, dialogo e
partecipazione sono gli strumenti per sconfiggere i pregiudizi. In questo momento esiste un
forte attivismo delle comunità rom, ripartiamo da lì.
La repubblica 26-06-08
Le impronte
L´infanzia
L´ex presidente dell´Ucei: "È un processo di schedatura costituzionalmente scorretto"
Luzzatto: "C´è un segno razzista timbrati ed esclusi
come noi ebrei"
Inaccettabile prendere le impronte ai bimbi di un gruppo etnico, significa considerarli ladri
congeniti
La norma di Maroni mi ricorda quando da piccolo non potevo andare a scuola e mi
indicavano per strada
ALESSANDRA LONGO

ROMA - «Sono stato bambino e non potevo andare a scuola con gli altri. Ricordo che mi
indicavano con il dito: "Mamma, guarda, quello è un giudeo!". Sono cose successe 70 anni
fa, cose che mi hanno segnato la carne e la memoria. Cose che non dimenticherò mai per
quel che ancora mi resta da vivere. Prendere le impronte ai bambini Rom, come vorrebbe
Maroni, significa compiere una schedatura etnica. E questo è totalmente inaccettabile».
Amos Luzzatto è a Firenze, a presentare il libro dei suoi 80 anni: «Conta e racconta.
Memorie di un ebreo di sinistra». L´Italia che lo circonda gli piace sempre meno e
quest´ultima notizia lo turba profondamente.
Luzzatto, che cosa sta succedendo al nostro Paese? Anni fa sarebbe venuta in mente ad un
governo una proposta del genere?
«C´è un razzismo latente nella cultura italiana, dovuto purtroppo ad un´insufficienza
culturale. Ciclicamente si manifesta. Ricordo di essere stato a Palazzo Chigi quando,
durante un precedente governo Berlusconi, venne fuori l´idea di schedare tutti gli immigrati.
Ero presidente dell´Unione delle Comunità ebraiche e dissi che, se le prendevano a loro,
avrebbero dovuto prenderle anche a noi. Mi spiegarono che non era un´iniziativa mirata ma
solo l´inizio di un processo di identificazione generalizzato. Forse fiutarono l´aria. Alla fine,
non ne fecero nulla. Io sono rimasto a quell´episodio».
Adesso non sembra che ci sia alcun imbarazzo. Si evoca esplicitamente la schedatura di
bambini.
«Infatti quest´ipotesi è di gran lunga peggiore. Prendere i polpastrelli dei piccoli di un certo
gruppo etnico significa considerarli ladri congeniti, prevedere che diventeranno dei
delinquenti e commetteranno dei reati. E´ evidente e inaccettabile il segno razziale di questa
iniziativa».
Immagino le ricordi qualcosa.
«Sì, mi ricorda il mio essere bambino, bollato, timbrato, come giudeo di cui non fidarsi».
Come finirà?
«Non credo che sia costituzionalmente corretto un processo di schedatura su queste basi
chiaramente discriminatorie».
Le armi della legge e quelle della parola...
«Sì, da ebreo esprimo tutta la mia riprovazione».
Si può parlare di nuovo fascismo?
«Direi piuttosto di razzismo. La Lega è una destra populista».
Dove porta la strada della schedatura ai piccoli rom?
«Si comincia così e poi si va avanti con l´allontanamento dalle scuole, le classi differenziate,
le discriminazioni diffuse. Questo pesa terribilmente sul vissuto di un bambino che si sente
trattato diversamente dai suoi coetanei, vive come un appestato, carico di ossessioni e
nevrosi. E´ una ferita che dura una vita».
L´Italia di oggi, quella che si sente rappresentata dal governo Berlusconi, sembra aver preso
questa direzione.
«Esattamente la direzione contraria agli obiettivi di integrazione che vogliono dire soprattutto
rispetto delle tradizioni e delle culture altrui».
Luzzatto, la gente che non condivide che cosa deve fare? Chiedere, provocatoriamente,
come fece lei a suo tempo, che vengano prese le impronte a tutti?
«Noi allora reagimmo così. Certo, in questo caso, sarebbe fuori luogo coinvolgere nella
protesta i bambini ebrei. I bambini, tutti i bambini, sono, fino a prova contraria, innocenti e
devono essere protetti dalla crudeltà degli adulti».
Com´è quest´Italia?
«Un Paese che ha perso la memoria».
L’unità 03-07-08
MONI OVADIA«Ci siamo dimenticati che hanno avuto lo stesso destino degli ebrei?»
«Contro i rom, barbarie intollerabile»
di Rossella Battisti / Roma
Ha la voce grave, Moni Ovadia, per una volta non ha voglia di scherzare nemmeno un po’.
Non è il tempo, non è il luogo, mentre l’Italia sta precipitando nell’imbuto «della barbarie di
prendersela con i rom, con i più derelitti, con gli ultimi». Ma davvero, dice Moni, «Maroni
crede che gente come Borghezio, Calderoli o Salvini abbiano sentimenti di tenerezza verso i
bambini rom?». Dal palco del Palasport a Villorba, due passi dalla Treviso diventata
rancorosa e ostile verso gli «altri», c’era anche Ovadia l’altro ieri, e Marco Paolini e
Albanese e Bebo Storti, chiamati a raccolta dal giornalista Gian Antonio Stella per parlare
di quando gli «zingari erano gli italiani», con 27 milioni di emigranti, quattro dei quali
clandestini. Razze, sorta di oratorio civile e comizio di civiltà, ha parlato a quattromila
persone nel palasport dato a disposizione da Benetton in un «clima bellissimo, caldissimo».
Tra monologhi, riflessioni e canzoni, «cercando di riattivare processi di civiltà in questa
barbarie dilagante che non si può più tollerare». Ovadia ha scelto una canzone, sostando poi
a lungo sulla riflessione di smetterla con la configurazione dell’ebreo di corte, «quello
carino, con lo zucchetto, con il quale ci si fa fotografare insieme per farsi assolvere del
passato». Si fa i carini con gli ebrei e e le carinerie al governo di Israele, che ormai è armato
fino ai denti, e dunque dalli allo zingaro e al nero... Ma davvero ci siamo dimenticati -
continua Moni - che rom e ebrei hanno avuto lo stesso destino? Che sono 500mila i rom
morti nelle camere a gas solo perché non hanno trovati altri?
E ancora, l’affondo più doloroso è per un’Italia dalla memoria corta, cortissima, che
dimentica che dopo la seconda guerra mondiale erano 743 i criminali di guerra italiani
reclamati da africani, slavi, albanesi e greci e nessuno è stato portato davanti ai tribunali
«solo perché c’è stata la Resistenza antifascista». I comunisti hanno riportato la libertà in
Italia con il sangue dei partigiani, ricorda Ovadia, mentre i fascisti italiani sono stati
complici dei nazisti nello sterminare gli innocenti. Troppo facile ricordare le foibe
dimenticando quello che c’è stato prima. Troppo semplice dare la colpa ai rom,
dimenticando che «i veri criminali sono italiani e si chiamano Toto Riina e Provenzano».
Memoria corta, coscienza sporca: caro Moni, come resistere? «Con tutti i mezzi,
manifestazioni, chiamando a raccolta le persone perbene. Ho chiesto all’Arci di indire una
marcia per il 7 luglio». Una marcia per chi ha il sogno di vivere in un paese civile, dove si
accoglie il disagiato, dove non si emanano leggi sadiche contro chi rappresenta la vera
ricchezza del futuro. «L’Europa ha bisogno degli emigranti, sono la sua ricchezza, invece di
criminalizzarli e schiavizzarli nei campi di pomodoro...». Non una mobilitazione politica,
ma per radunare tutte le persone perbene che hanno a cuore i diritti umani.
Al Pd, l’artista chiede una «voce forte e ferma», perché il nome «democratico» è legato alla
Costituzione democratica. Basta con le facilonerie, le distrazioni, la mondanità, ammonisce.
Torniamo alla «parte sana» come la chiamava Berlinguer e creiamo alleanze su questa base.
Il corriere della sera 2-07-08
Impronte, i pm dei minori «Odiosa forma
razziale»
Manganelli: il 30% dei reati compiuti da clandestini
Nuova polemica sulla proposta di Maroni di prendere le impronte ai bimbi rom:
contrari i magistrati per i minori
MILANO — Non piace ai magistrati la decisione del ministro dell'Interno Maroni di far prendere
le impronte digitali dei minorenni rom. «È un sistema mai usato, nemmeno per i minori italiani
o stranieri più esposti al rischio, una forma di odiosa discriminazione razziale», dichiara il
presidente dell'Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia, Maria Rita
Verardo, presidente del tribunale per i minorenni di Lecce, per la quale il sistema «non tutela i
giovani rom da possibili forme di sfruttamento criminale ». Mentre, invece, «essi avrebbero
bisogno di migliori condizioni di vita e di più integrazione ». Un sondaggio dell'Eurobarometro
sulla discriminazione nell'Unione svela che gli italiani sono i più a disagio con i rom, al punto
che il 47% degli intervistati lo è alla sola idea di averne uno come vicino, contro una media Ue
del 24%. Spesso a causa dell'ignoranza che porta a considerare tutti gli zingari, compresi quelli
italiani, non come un popolo nomade, ma al pari degli immigrati clandestini, il 30% dei quali,
come ha riferito il capo della polizia Antonio Manganelli, «sono autori di reati».
I magistrati prendono una posizione di «totale dissenso» contro le impronte «forzate» in una
nota del direttivo dell'Aimmf in cui parlano di «preoccupazione per la continua violazione dei
diritti primari dei minori nomadi» e chiedono che, per contrastare l'immigrazione clandestina, il
governo non dimentichi «i diritti dei minori» i quali, tutti e senza distinzione, devono essere
protetti «per principio costituzionale e per solenni impegni internazionali».
«Ci vorrebbe più chiarezza, ma sembra una misura demagogica per rassicurare i cittadini
alimentando il timore nei confronti del diverso», sostiene Laura Laera delegato per il Nord
dell'associazione. «Siamo alla criminalizzazione della marginalità», aggiunge per poi chiedersi
se «quello dei rom sia un problema così rilevante in Italia, visto che ci sono sempre stati e che
molti sono nati qui». Venti anni da giudice minorile, Laera spiega che «le impronte ai minori
sono sempre state prese, ma dopo che avevano commesso reati ». Secondo il magistrato, se è
normale «un'attività di identificazione », non lo «è un'operazione che, fatta su tutti coloro che
sono in un campo nomadi, suona come attività discriminatoria ». Franco Occhiogrosso,
presidente del Centro di documentazione e analisi infanzia e adolescenza del tribunale per i
minori di Bari, spera che almeno, se proprio bisogna farlo, per evitare che i bambini subiscano
traumi «le impronte vengano prese in modo che sembri un gioco». Se il sistema schedatura-
impronte, riflette Occhiogrosso, «è l'unico per l'individuazione, non si capisce perché debba
riguardare solo i nomadi e non tutti gli altri minori stranieri non accompagnati ». Per i 150 mila
rom che si stima siano in Italia «non c'è bisogno del sospetto che commettano reati, ma di
case, tutela sanitaria, istruzione e opportunità di integrazione. Senza che, per tutto questo,
rinuncino alla loro cultura. Il loro popolo, vittima con 500 mila morti del nazismo, sta morendo
giorno dopo giorno».
Il documento
«Preoccupazione per la continua violazione dei diritti primari dei minori nomadi»
Giuseppe Guastella
Il Corriere della Sera 2-07-08
Il regista

Olmi: «Copiamo le riserve-modello degli


indiani»

MILANO — Ermanno Olmi, 77 anni il 24 luglio, il regista ( L'albero degli zoccoli, Il mestiere
delle armi, I centochiodi, ecc.) che a settembre, alla Mostra del Cinema di Venezia, riceverà il
Leone d'oro alla carriera (glielo consegnerà Adriano Celentano), dice che «tutto questo mi
mette una profonda inquietudine ».
«Tutto questo» è la questione rom e la proposta del ministro Maroni di schedare, attraverso le
impronte digitali, i bambini nomadi. Olmi, uomo di dichiarata fede cattolica e regista, come
dicono i critici, sempre attento al mondo degli umili, domanda: «Mi piacerebbe sapere dal
ministro Maroni se quei ragazzi che vanno in giro a dare la caccia ai rom, che incendiano i loro
accampamenti, come è successo a Napoli, sono stati individuati e schedati».
Non se ne ha notizia.
«Ecco, se non è stato fatto, iniziamo da loro. E proseguiamo con tutti quei ragazzi italiani che
disturbano la quiete, che imbrattano i muri delle città, che consumano droga e
che sono protagonisti di comportamenti violenti. Chi è favorevole alla schedatura dei bambini
rom, convinto che così si impedirebbe loro di andare a rubare, dovrebbe essere d'accordo con
la mia proposta. Schediamo tutti i giovani italiani, dalla scuola materna all'università, per
evitare che tengano comportamenti contro la legge».
L'ha proposto anche un altro ministro leghista, Calderoli: schediamo tutti gli italiani.
Ma la sua è stata una provocazione.
«La mia non lo è, lo dico sul serio. Calderoli ha ragione. Schedandoci tutti eviteremmo ai quei
bambini lo choc della discriminazione, di sentirsi subito dei sospettati. Anzi, aggiungo che noi
genitori italiani siamo più colpevoli dei genitori rom. Loro crescono i figli nella miseria e
nell'indigenza, noi no. Eppure anche i nostri figli delinquono».
Schediamo tutti?
«Mi domando se viviamo in una società che vuole essere civile oppure che ha perso il senso
della civiltà, che significa saper convivere nel rispetto di tutti».
Chi vuole prendere le impronte digitali dice che sono i rom i primi a non voler
convivere nel rispetto degli altri. L'operazione condotta a Verona con il fermo di una
banda rom che obbligava i bambini a compiere furti conferma questa tesi.
«Che tra quella gente, che tra i loro bimbi ci sia una buona percentuale con propensioni
ladresche è una realtà sotto gli occhi di tutti. Ma anche tra i giovani non rom c'è una forte
propensione a non rispettare la legge. Mettiamo che le dichiarazioni del ministro Maroni
abbiano un valore, di cui dubito, non posso che essere totalmente contrario. In passato la
comunità intellettuale ha giustificato azioni che ricordano quella proposta da questo governo. È
successo con gli ebrei, anche loro erano considerati pericolosi, dei nemici».
Sul tema sicurezza percepita dai cittadini il governo, Lega in particolare, ha raccolto
parecchi voti. L'opinione pubblica sente come reale il problema rom.
«Una volta le zingare leggevano la mano, poi sono state sostituite dai maghi in televisione. Gli
uomini facevano ballare gli orsi nelle fiere e nei circhi, ma gli animalisti l'hanno impedito. Altri
vivevano di piccolo artigianato, anche quello spazzato via dalle nuove dinamiche dell'economia.
Alla fine uno deve sopravvivere, anche attraverso il furto».
Campi rom. A Venezia, il sindaco Cacciari ne farà costruire uno nuovo e più
accogliente. Altrove si fanno intervenire le ruspe per spazzare via tutto perché i
campi impediscono l'integrazione e favoriscono l'illegalità. Secondo lei?
«Campo è un brutto termine, mi piacerebbe parlare di riserve perché si dovrebbe fare come
nelle riserve indiane. In ogni città, dare dei territori ai rom dove poter vivere secondo le loro
tradizioni ma responsabilizzando i capi. Renderli responsabili del comportamento di tutti».
Il manifesto 04-07-08
IMPRONTE AI ROM
Da Milano a Roma, i prefetti scaricano il ministro Maroni
Stefano Milani
Città che vai impronta che trovi. A Napoli esclusivamente ai maggiori di quattordici anni, a
Milano solo se strettamente necessario, a Roma è bandita e si preferisce la foto. Il ministro
Maroni chiedeva uniformità nelle operazioni di censimento dei campi nomadi, ma i prefetti
rispondono picche, invocando autonomia di gestione. E così ognuno ha il suo «modello». Nel
capoluogo campano, dove sono già stati censiti oltre 600 i nomadi, le impronte vengono prese
solo agli over 14. A Milano le schedature sono cominciate da marzo e finora i minori controllati
sono 165, ma nessuna impronta è stata ancora raccolta, assicura il prefetto Gian Valerio
Lombardi perché «finora non ce n'è stato bisogno». Nella capitale, invece, il censimento partirà
solo dal prossimo 10 luglio ma la ricetta del prefetto Carlo Mosca è ben nota: niente dita
sporche d'inchiostro per i piccoli rom, al massimo fotosegnalazioni.
«Non è accettabile che possano essere fatte discriminazioni. - ha ribadito anche ieri il prefetto
capitolino - Per i bambini non bisogna arrivare all'identificazione con le impronte digitali. Se ci
sono dei sospetti sull'identità di un minore, bisogna chiarirla attraverso i rilievi che sono
previsti per tutti, indistintamente, dalla legge». A Roma, al fianco delle forze dell'ordine ci sarà
la Croce Rossa, mettendo in campo una cinquantina di persone, e che ieri ha proposto al
prefetto di adottare il sistema già utilizzato dai suoi operatori in Albania: censire tutti i
maggiori di 14 anni munendoli di una sorta di scheda nella quale riportare nome, cognome,
età, provenienza e, dal punto di vista sanitario, vaccinazioni effettuate e patologie significative.
Grandi i numeri aspettano il censimento dell'Urbe: oltre 9.000 i nomadi e 70 i campi, tra cui 50
abusivi (in cui vivono 2.500 persone) e 20 regolari.
Ma sull'utilizzo delle impronte le polemiche non si placano. Secondo la comunità di Sant'Egidio
si tratta di provvedimenti «discriminatori» giustificati da uno stato di emergenza «inesistente».
L'organizzazione cattolica rispolvera il famigerato regime di Vichy, che durante la seconda
guerra mondiale appoggiò in Francia i nazisti, per commentare una delle schede del
censimento avviato a Napoli, dove oltre ai dati personali e all'impronta digitale, vengono
indicati anche religione ed etnia della persona. Anche le Acli vanno all'attacco: «Non possiamo
assistere innocentemente al ritorno della discriminazione su base etnica».
Da Bruxelles, intanto, il commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Thomas
Hammarberg, ha inviato al governo italiano un memorandum, che contiene «osservazioni e
raccomandazioni sulle principali preoccupazioni concernenti il rispetto dei diritti umani legate
ad alcune iniziative legislative prese dal governo in queste ultime settimane». Lunedì prossimo
il Parlamento europeo discuterà della «proposta di istituire una banca dati sui rom avanzata in
Italia», e che la portavoce del ministro Maroni si è subito affrettata a smentire.
Il manifesto 29-06-08
ALBUM ITALIANO
«E ora schedateci tutti». Una campagna per i rom
La proposta dell'Aned raccoglie adesioni. Le associazioni antirazziste si mobilitano
Giacomo Russo Spena
Prelevare le impronte digitali ai bambini rom? Inammissibile. Un atto razzista. Se il
provvedimento andrà avanti «daremo anche le nostre». Come gesto di protesta e indignazione.
Il mondo dell'associazionismo prepara la contestazione al ministro Maroni e alla sua ordinanza
che punta a «censire» gli abitanti dei campi nomadi. Anche i minori.
Così sono bastate poche ore affinché l'appello dell'Aned, associazione nazionale ex deportati,
trovasse subito un gran consenso. «Se schedate rom e sinti, schedate anche noi - si legge - Il
procedimento del governo richiama procedure razziste utilizzate dai regimi nazifascisti durante
il secolo scorso». Già altre dichiarazioni di questo genere erano circolate, ma nessuna aveva
avuto un seguito. Questa, invece, sta facendo nascere una campagna nazionale. Tante persone
infatti stanno firmando l'appello e si dicono pronte a mobilitarsi. Obiettivo: dare un segnale,
per «risvegliare le coscienze».
A spiegare in concreto l'iniziativa dell'Aned ci pensa Pupa Garribba, ebrea censita del '38 dal
regime mussoliniano: «Il giorno in cui il campo viene schedato abbiamo intenzione di
presentarci sul posto e dare anche le nostre impronte digitali. Basta sapere in anticipo la data
del censimento». Una mobilitazione di massa e pacifica volta a dar sostegno ai rom e a
lanciare un messaggio all'opinione pubblica. «Appello condivisibile e giusto che
sottoscriveremo», è il commento che va per la maggiore nel mondo dell'associazionismo. «E'
un modo per arrestare il razzismo istituzionale», afferma Antigone che poi punta il dito contro
il «grave silenzio» del Pd sulla questione.
Non manca però nel mondo del sociale chi, pur guardando «con simpatia» la proposta
dell'Aned, preferisce intervenire in altri modi, magari «vigilando quotidianamente all'interno dei
campi». Come nel caso della Caritas. Intanto l'Arci prepara per il 7 luglio un'iniziativa in due
luoghi «dello sterminio e del razzismo di massa» contro gli ebrei durante la II guerra mondiale:
a Portico d'Ottavia (Roma) e al binario 21 della stazione di Milano. Previsti spettacoli e dibattiti
in cui si raccoglieranno in appositi banchetti le impronte digitali. Di tutti. Verranno poi inviate al
Viminale. «Maroni nel distinguere tra buoni e cattivi finisce per colpire tutti, è in malafede -
spiega Filippo Miraglia dell'Arci - Ormai si è superato ogni limite, rievocare le leggi razziali non
è eccessivo». Parole forti che non trovano il plauso di Renzo Gattegna, presidente dell'Unione
comunità ebraiche (Ucei), il quale pur attaccando le scelte del ministro, preferisce non far
confronti col passato: «Ci vuole senso delle proporzioni». Le associazioni sono comunque
compatte nel dire no al provvedimento del governo e sono pronte a contrastarlo. Anche
«dando» le proprie impronte digitali.
L’Unità 29-06-08
Impronte ai bimbi rom Rivolta del mondo cattolico
Sant’Egidio parla di «antizingarismo» assimilabile alla piaga dell’antisemitismo. I Valdesi
lanciano l’allarme sulla tutela delle minoranze. Anche la Fondazione Migrantes della Cei
alza la voce. «Si continua ad annunciare lo smantellamento dei campi rom, senza indicare
sotto quale tetto essi possano trovare rifugio». Insomma, dal mondo cristiano una bocciatura
senza appello delle politiche sulla sicurezza.
«Norme discriminatorie e inutili»
Bimbi rom, la rivolta dei cristiani
di Roberto Monteforte / Roma
«Papa Giovanni Paolo II in occasione del grande Giubileo del 2000 ha chiesto perdono a
nome della Chiesa agli zingari per le tante discriminazioni subite nel corso della storia. E gli
Stati? Hanno dimenticato che c’erano anche rom e sinti nei campi di concentramento? Se
oggi è maturata una diffusa consapevolezza negativa di cosa sia l’antisemitismo, non mi
pare che ci sia nulla di simile a proposito di quello che possiamo definire l’”antigitanismo”,
un atteggiamento di ostilità verso gli zingari a prescindere dal loro comportamento, in base
alla loro sola natura di “zingari”». Lo mette subito in chiaro Paolo Ciani che per la
Comunità di sant’Egidio si occupa del rapporto con le comunità rom e sinti. «Solidarietà,
politiche concrete di integrazione e soprattutto conoscenza diretta del mondo rom e sinti per
superare i tanti stereotipi negativi che circolano su queste comunità, considerate “diverse” e
quindi in blocco socialmente “pericolose”. mentre sono tantissime, ma poco conosciute in
Italia le esperienze positive di integrazione». È questa la ricetta per contrastare la crescente
xenofobia e garantire vera sicurezza. E non solo secondo la Comunità di sant’Egidio o delle
associazioni cattoliche impegnate nel sociale. Dice no ai provvedimenti del governo e in
particolare contra la «schedatura etnica» la «moderatora» della Tavola valdese, pastora
Maria Bonafede che guida una Chiesa di minoranza in Italia e proprio per questo sente «la
pesante responsabilità di riaffermare principi fondamentali e irrinunciabili della società
civile a difesa di una minoranza, quella rom che «porta su di sé le ferite di pregiudizi». Ma è
la Chiesa cattolica, lo stesso Vaticano a protestare.
Dopo la denuncia fermissima dell’arcivescovo Renato Marchetto, segretario del Pontificio
Consiglio della pastorale per i migranti, che ha espresso «disagio e tristezza» per le misure
che colpiscono i bambini rom, vi è stata ieri la presa di posizione altrettanto netta della
Fondazione Migrantes della Cei. Con una nota ha giudicato i provvedimenti paventati
contro i rom non solo «restrittivi e discriminatori» ma anche «inefficaci». La premessa è che
è brutto il clima che si respira in Italia. Con forte preoccupazione - osserva la nota - «si
registra il persistere, anzi l'estendersi di un clima di tensione. In questo contesto si stanno
predisponendo misure intese a rimuovere le paure degli italiani, si è invece convinti che
queste misure, oltre ad essere inefficaci, vadano in direzione contraria». Per l’organismo
della Cei i provvedimenti «destano allarme ed agitazione generale con la previsione di
tempi burrascosi per tutti: per chi ne è fatto bersaglio diretto, per chi con maggiore o minore
insistenza li ha reclamati e per tutta la nostra società italiana». È una bocciatura sonora di
tutta la strategia per la sicurezza messa in campo dal governo Berlusconi ed anche in
Europa. «Si continua ad annunciare lo smantellamento dei campi Rom senza indicare sotto
quale tetto essi possano sopravvivere; di voler tradurre una irregolarità amministrativa in un
reato da inserire nel codice penale e prolungare, sia pure sotto copertura comunitaria, fino a
18 mesi la reclusione e poi la drastica espulsione di grandi masse di lavoratori che con un
filo di speranza sono in cerca di una qualche regolarizzazione; si vuole compromettere di
fatto le vie di accesso a chi chiede asilo o protezione umanitaria; si preannuncia, da parte del
Parlamento Europeo, la possibilità di reclusione ed espulsione anche dei minori non
accompagnati e, da parte italiana, il prelievo delle impronte digitali ai bambini Rom».
«Tutto questo non significa smorzare le paure e dare tranquillità alla nostra gente - conclude
Migrantes -, ma porre le premesse per riesumare una specie di xenofobia o peggio di
discriminazione razziale, di cui anche in Italia si è fatta amara esperienza e della quale non
si sa chi possa beneficiarne», con il rischio che immigrati e rom diventino facile «capro
espiatorio» dei mali e dissesti della nostra società che hanno ben più profonde radici.
Il Corriere della Sera 04-07-08
Impronte, Sant'Egidio minaccia denunce
contro il Viminale
Maroni all'Unicef: schedatura non indiscriminata

La Lega: un disegno di legge per istituire un referendum nei comuni in cui devono nascere
campi nomadi
ROMA — Il Prefetto Carlo Mosca squadra la fotocopia che giunge da Napoli, mostra una scheda
di identificazione di un rom redatta il 26 giugno. Vi figurano oltre ai dati anagrafici le voci
religione (ortodossa) ed etnia (rom di Serbia). A recapitare la scheda a Roma, cuore delle
polemiche sulla manovra delle impronte, sono stati i volontari della Comunità di Sant'Egidio
che al mattino hanno annunciato il loro secco no a un censimento basato sulle impronte.
«Valuteremo azioni giudiziarie. Siamo anche pronti a manifestare davanti alla Camera. Con lo
striscione "Prendiamoci per mano e non per le impronte..."», hanno spiegato il portavoce della
Comunità Mario Marazziti e il presidente Marco Impagliazzo. A sera il Prefetto, invitato nei
giardini della Sinagoga per una cerimonia a cui prende parte anche il sindaco Gianni Alemanno,
squadra la scheda e dice: «No, quella che sta preparando la Croce Rossa per noi e che
vareremo domani (oggi per chi legge, ndr) non sarà così, non avrà queste voci. A noi basta il
fotosegnalamento, nient'altro». Gli fa da spalla il rabbino capo di Roma, il professore Riccardo
Di Segni, noto battutista, che aggiunge: «Beh, se proprio la vogliamo dire tutta, in questa
scheda manca solo l'orientamento sessuale e poi siamo al completo... ».
Insomma, ancora indietro tutta. Un'aria che arriva anche al Viminale, dove fa da test l'incontro
tra l'Unicef Italia, guidata dal presidente Vincenzo Spadafora, e il ministro Maroni. «Incontro
cordiale e approfondito », ha detto Spadafora. «Ci ha consentito di valutare i provvedimenti
che in alcuni punti rispondono alle priorità sollecitate dall'Unicef per l'integrazione e la
scolarizzazione dei minori». Il ministro ha chiarito che si tratta di rilievi segnaletici che non
sempre si traducono in rilievi di impronte digitali e soprattutto che tali rilevazioni «non saranno
estese in modo indiscriminato a tutti i bambini rom».
Sant'Egidio, contestando il carattere «discriminatorio» dei provvedimenti, ha voluto precisare
che «se nel corso degli accertamenti di identità si dovessero presentare situazioni di minori
poco chiare, si dovrà ricorrere semmai al Tribunale dei Minori...», ha concesso Marazziti. Resta
l'accusa di atti discriminatori. «Per il decreto legge del 2003 esiste una discriminazione diretta
quando, a causa della sua razza o origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente
di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga ». Intanto i parlamentari
della Lega pensano a un disegno di legge che istituisca un referendum nei comuni in cui
devono nascere campi nomadi.
Il documento Certificato
Ecco il questionario per il censimento dei nomadi.
Cerchiate di rosso le voci del documento che si riferiscono alla religione e alla etnia, oggetto
della polemica politica Paolo Brogi
Il manifesto 01-07-08

SAVE THE CHILDREN


Prendere le impronte digitali ai bambini rom è tutt'altro che una misura a loro difesa e «rischia
di produrre l'effetto contrario, discriminandoli e spingendoli ancora più ai margini e
nell'invisibilità». Save the Children, organizzazione che da anni lavora in Italia con bambini e
ragazzi dei campi nomadi, è tornata a condannare le misure annunciate dal ministro
dell'Interno, Roberto Maroni. «Chiediamo e raccomandiamo al ministro Maroni, come già fatto
con i suoi predecessori, di mettere subito in atto alcune misure che possono realmente offrire
protezione e opportunità ai minori rom», ha dichiarato Valerio Neri, direttore generale di Save
the Children Italia. In particolare, l'organizzazione chiede all'esecutivo investimenti e politiche
per «promuovere l'inserimento lavorativo e abitativo dei rom e il superamento dei campi e
della segregazione abitativa», affinché le famiglie «non siano indotte dall'estrema indigenza a
mandare i minori in strada». Il ricorso alle impronte digitali è una misura «inutile e non
necessaria«, ha continuato, «non solo perché non contribuisce in modo significativo alla
protezione dei minori, ma soprattutto perché li discrimina rispetto a tutti gli altri bambini e può
spingere eventuali sfruttatori a tenerli nascosti e ancora più segregati». Neri ha inoltre
evidenziato l'importanza dell'istruzione e dell'inserimento lavorativo per i ragazzi rom e
l'impiego di educatori vicini per età ed esperienze vissute ai minori rom». Soltanto così, ha
concluso, si potra' «veramente contribuire a migliorare le condizioni di molti minori rom
mettendoli al riparo da fenomeni di sfruttamento e dal rischio di finire in attività illegali».
Il manifesto 27-06-08
SCHEDATURA DEI ROM Critiche alla proposta di Maroni anche dall'Europa: «Iniziativa che
richiama il passato»
Stop del Garante alle impronte
L'Autority: «Rischio di discriminazione». Ma il Viminale insiste: «Andiamo avanti»
Carlo Lania
ROMA
Le critiche e le preoccupazioni piovute da più parti sulla sua proposta di schedare i bambini
rom non sembrano preoccuparlo più di tanto. Anzi. Ieri Roberto Maroni ha ribadito l'intenzione
del governo di «andare fino in fondo», «perché - ha spiegato il ministro degli Interni - questa è
la strada giusta per garantire i diritti dei minori». Ma le certezze del Viminale rischiano di
infrangersi pesantemente davanti ai dubbi avanzati dal Garante della privacy, che nell'idea di
prendere le impronte ai minori rom vede pesanti problemi di discriminazione. E forti critiche
alla schedatura arrivano anche da Unione europea, opposizione e associazioni, con la
maggioranza rimasta da sola a difendere la proposta.
La nota emessa dall'Autority guidata da Roberto Pizzetti è molto prudente, ma la formalità del
linguaggio non nasconde le preoccupazioni suscitate dall'iniziativa di Maroni. Come prima cosa
è stata richiesta ai prefetti di Roma, Milano e Napoli - già nominati commissari straordinari per
i rom - di informazioni sulla normativa in vigore e sulle modalità con cui intendono procedere
per prendere le impronte ai bambini. In attesa delle risposte, però, nell'Ufficio del Garante non
si può fare a meno di mettere in evidenza i rischi dell'iniziativa. E le perplessità riguardano vari
aspetti del problema. Prendere le impronte a dei bambini, e perdipiù rom, viola infatti il
principio di dignità, non discriminazione per etnia e di tutela dei minori. «In pratica - si ragiona
all'Autority - si impone a un bambino un marchio indelebile che gli rimarrà per tutta la vita.
Anche quando avrà 50 anni, qualcuno potrebbe rinfacciargli di aver vissuto in un campo».
Ma non basta. Quello che il ministro definisce «censimento» dei piccoli rom, per il Garante
sarebbe una schedatura, priva perdipiù di una base normativa. La legge oggi prevede infatti
che le impronte di una persona possano essere prese solo in casi ben determinati, come
l'ingresso in carcere o perché sospettata di aver commesso un reato. Non indiscriminatamente,
o comunque per una fascia sola della popolazione perché vive in un campo. Attualmente, poi,
mancano specifiche indicazioni su chi conserverebbe le impronte, dove e soprattutto per
quanto tempo. Tutti punti che Maroni nel suo annuncio non ha spiegato, ma sui quali invece il
parere del Garante è obbligatorio.
Infine c'è un altro punto su cui l'Autority vuole fare chiarezza, e riguarda la nomina dei
commissari anti-rom. Nomina, si fa notare, fatta con una delibera della Protezione civile in
seguito a una dichiarazione di stato d'emergenza fatta su una legge del 1992 che riguarda
terremoti, alluvioni e ogni altro evento particolare che potrebbe comportare problemi
particolari per l'ordine pubblico. Una procedura anomala che non è sfuggita al Garante.
Maroni per adesso prosegue dritto per la sua strada, e definisce le critiche ricevute finora come
«immotivate» e «fondate su pregiudizi e scarsa conoscenza». Rilevare le impronte ai nomadi,
ha spiegato anche ieri il ministro, serve «a dare loro un'identità e a garantire condizioni di vita
decorose, cosa che non hanno oggi in molti campi nomadi abusivi». Una certezza che il titolare
del Viminale non condivide però con l'Unione europea. «Sono molto preoccupato, questi sono
metodi che richiamano misure prese nel passato e che hanno portato alla repressione dei
rom», ha detto ieri Thomas Hammarberg, commissario i diritti umani del Consiglio d'Europa,.
«Non vedo - ha proseguito - perché queste misure debbano essere adottate solo per i rom. E
sono ancora più preoccupato perché le colpiranno giovani e bambini, con potenziali effetti
traumatici per loro». Anche dal Pd arrivano espliciti riferimenti al passato, con il ministro
ombra degli Interni Marco Minniti che parla di «iniziativa che evoca una odiosa
discriminazione» e al capogruppo al Senato Anna Finocchiaro che domanda: «Cosa
succederebbe se alle parole 'bambini rom' sostituissimo 'bambini ebrei'? Credo che il ministro
debba riflettere bene prima di fare certi annunci».
Stronca la proposta anche Henry Scicluna, coordinatore del consiglio europeo per le attività e i
diritti dei rom: «Fare un censimento per sapere quanti bambini vivono nelle città è una buona
cosa - ha osservato - ma in nessun paese vengono prese le impronte».
L’Unità 03-07-08
L’Europa avverte l’Italia «No a differenze su base
etnica»
di Paolo Soldini / Roma
È confermato: la Commissione europea chiede «chiarimenti» al governo italiano
sull’iniziativa di registrare le impronte digitali dei bambini rom. Ne ha dato notizia Antonia
Carparelli, capo dell’ufficio brussellese cui è approdato (o meglio: approderà quando
Maroni e il resto del governo la smetteranno con l’indegna melina di queste ore) il dossier, e
cioè l’Unità inclusione e aspetti sociali dell’immigrazione della Direzione Generale che fa
capo al commissario Vladimir Špidla. Ieri, insieme con la Direttrice generale della DG
Sanità Paola Testori Goggi e con il rappresentante della Commissione a Roma Pier Virgilio
Dastoli, la dott. Carparelli era a Roma per presentare alla stampa italiana l’Agenda sociale
europea, un pacchetto di misure contro la povertà e le discriminazioni che
contemporaneamente veniva illustrato a Bruxelles. Il tutto un paio d’ore prima che il
ministro Maroni si recasse alla Camera a rispondere a un’interrogazione presentata
sull’argomento nel question time e, con una ostinazione degna di cause ben più nobili,
ripetesse la «gravissima imprecisione» (eufemismo per non dire balla astronomica) secondo
cui l’ordinanza per l’«identificazione» dei bimbi nomadi non violerebbe «alcuna norma o
direttiva europea».
In realtà ne viola un bel numero, e soprattutto, in modo evidentissimo, quella su cui si basa
l’intera politica anti-discriminazioni dell’Unione europea, e cioè la direttiva 2000/43/CE,
che ha valore di legge in tutti gli stati dell’Unione e che proibisce espressamente all’art. 1
comma 3 «qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata sulla razza o l’origine etnica»
(forse sarebbe utile se Maroni e i suoi pappagalleschi epigoni questa frase se la appuntassero
su un taccuino). Il ministro, alla fine del question time, ha anche trovato modo di accendere
il suo personale fronte di fuoco con la magistratura attaccando il gip di Verona che ha
scarcerato l’altro giorno dei nomadi accusati di aver spinto i figli a rubare. «Continueremo a
indagare - ha detto - e controlleremo, ma di più non possiamo fare: siamo nelle mani della
giustizia».
Intanto potrebbe cominciare, il ministro dell’Interno, a controllare la coerenza delle sue
proprie esternazioni. Alla Camera infatti ha pensato di fare una furbata sostenendo che c’era
stato un «equivoco dei giornali» (il Gran Capo docet) e che le misure riguarderebbero non
solo i piccoli rom, ma «tutti gli abitanti dei campi nomadi abusivi». Il che però contrasta con
quello che Maroni stesso ha più e più volte asserito, e comunque non salva la frittata. Infatti,
pure se il ministro per essere coerente ordinasse per assurdo il rilevamento delle impronte
digitali di tutti quelli che in Italia sono senza un domicilio ufficiale, italiani o no,
incapperebbe in una pratica discriminatoria altrettanto illecita. Non solo rispetto alla
normativa Ue ma anche sotto il profilo della Costituzione italiana.
Insomma, più parla e più si mette nei guai da solo. Giustamente i rappresentanti della
Commissione, ieri, gli hanno tolto ancora una volta da sotto i piedi il tappeto che il ministro
leghista va strapazzando in malo modo da giorni. Dastoli ha messo in evidenza quello che
l’«Unità» aveva già scritto ieri, e cioè che il riferimento alla «pratica europea» dietro la
quale Maroni aveva cercato di nascondersi riferendosi a un regolamento che effettivamente
prevede il prelievo delle impronte digitali anche ai minori è un’altra delle sue - come dire? -
«gravi imprecisioni». Il regolamento 380 serve a rendere univoci i criteri di elaborazione dei
permessi di soggiorno per gli extracomunitari. Riguardano in minima parte i rom, che
all’80% nel nostro paese sono italiani o cittadini comunitari, e non riguardano in alcun
modo, ovviamente, i «nomadi». Intanto Špidla, al Barleymont, ribadiva che le norme
europee sono «chiare»: «Non si possono stabilire differenze sulla base dell’etnicità».
Rispondendo poi a chi gli chiedeva se «è preoccupato» per quanto avviene in Italia, il
commissario ha aggiunto che, mentre attende ancora comunicazioni ufficiali, le notizie
provenienti da Roma delineano un quadro teoricamente «grave» e «sono tali che sarà
importante seguirne gli sviluppi».
Che succederà ora? Il governo italiano, prevedibilmente, continuerà a fare melina e prenderà
tutto il tempo possibile per fornire i «chiarimenti» richiesti. A meno che non diventi di per
sé punibile la manifesta reticenza del gabinetto Berlusconi (il che però potrebbe avvenire
abbastanza presto se le schedature cominceranno ad essere sistematiche e se la
Commissione reitererà inascoltata la sua richiesta di spiegazioni), le istituzioni europee non
possono adire in proprio alla Corte di Giustizia. Lo può fare però, ricordavano ieri i
rappresentanti della Commissione, qualsiasi cittadino europeo, sulla base dell’art. 13 del
Trattato in vigore. È ciò che sta già avvenendo in queste ore.
Corriere della sera 28-06-08

L'intervista «I nomadi sono comunitari? Ma non sappiamo chi vive in quegli


insediamenti»

Maroni: andremo fino in fondo Basta con le


stravaganze di Bruxelles
Il ministro: non è una schedatura, contro di noi moralismo ipocrita

ROMA — Le critiche? «Moralismo finto e ipocrita». L'Unione europea? «La nostra posizione è in
linea con le decisioni prese in sede comunitaria». Rilancia il ministro dell'Interno Roberto
Maroni finito sotto attacco per l'ordinanza che impone di prendere le impronte ed effettuare
fotosegnalazioni nei confronti dei nomadi, bambini compresi. E ribadisce: «Andremo fino in
fondo con il censimento, così come con tutte le altre misure. Sono stato eletto per risolvere il
problema della sicurezza e lo farò senza farmi condizionare da polemiche immotivate e
infondate».
Un portavoce della commissione europea ha detto che l'identificazione attraverso le
impronte non si può fare.
«Innanzitutto non si tratta di un portavoce. A parlare è stato un qualsiasi funzionario che non
aveva nessun titolo per farlo e ha espresso solo un'opinione personale tant'è vero che la
commissione europea attraverso il portavoce di Barrot ha dovuto smentire. Avevo incaricato il
mio consigliere diplomatico di presentare una protesta formale, però c'è stata la smentita e
dunque l'incidente è chiuso».
In realtà è stato precisato che la commissione non ha espresso giudizi perché non è
consuetudine commentare gli annunci e le opinioni dei ministri degli Stati membri.
Scusi ma l'ordinanza non è già operativa?
«È in vigore dal 30 maggio scorso. E rispetta, oltre alle leggi italiane, anche le direttive
europee».
C'è una direttiva che consente i rilievi segnaletici per i minori?
«Esiste il regolamento numero 380 del 18 aprile 2008 approvato in sede Gai, dunque dai
ministri dell'Interno e della Giustizia europei, che prevede l'obbligo di prendere le impronte
digitali a tutti gli extracomunitari a partire dai 6 anni prima del rilascio del permesso di
soggiorno».
I nomadi non sono cittadini extracomunitari.
«Noi non sappiamo chi vive nei campi regolari né tantomeno in quelli abusivi. Non conosciamo
la nazionalità degli occupanti e dunque dobbiamo censirli proprio per sapere se facciano parte
dell'Ue o se invece arrivino da altri Paesi».
Il portavoce dice che si accerterà la compatibilità delle misure con la legislazione
europea, lei è sicuro che ci sarà il via libera?
«Eravamo nella stessa situazione quando abbiamo presentato il pacchetto sicurezza, ma poi
abbiamo trasmesso gli atti al presidente Barrot e non c'è stato alcun rilievo. Ha ragione
Berlusconi quando dice che i commissari europei e ancor di più i loro portavoce dovrebbero
informarsi prima di parlare. Adesso si capisce meglio perché l'Irlanda ha votato contro l'Ue».
Meglio starne fuori?
«Non dico questo, ma certo queste continue voci dal sen fuggite inopportunamente e
soprattutto false danno ai cittadini un'immagine dell'Europa di chi complica le cose invece che
risolverle. Lunedì affronterà la questione anche con il ministro del-l'Interno francese. La
Francia sta per assumere la presidenza, esternerò anche a lui la mia posizione: intemperanze
verbali e stravaganze non possano essere più tollerate».
Anche l'opposizione e le organizzazioni umanitarie sono contrarie. Per lei non conta?
«Io voglio porre fine allo sconcio di vedere tanti bambini che vivono in condizioni disumane,
l'unico modo per ottenere questo risultato è capire chi sono facendo un censimento delle
presenze. Devo sapere la nazionalità, le parentele, la composizione delle famiglie. Soltanto in
questo modo posso dare loro un documento e fissare le regole per sapere chi può rimanere e
chi invece non ha i requisiti».
Però in questo modo si ottengono le impronte e le fotosegnaletiche anche di chi non
ha commesso alcun reato.
«Abbiamo verificato che nei tribunali e nelle procure minorili chi ha meno di 18 anni e deve
essere affidato a un istituto perché è senza famiglia viene sottoposto ai rilievi proprio per
ricostruire la sua identità. Esattamente la procedura che stiamo portando avanti noi».
Dunque si creerà una sorta di «banca dati preventiva» per cercare gli autori di
eventuali delitti. Le pare normale?
«Io devo essere in grado di sapere chi c'è in Italia, dove abita, che cosa fa, che cosa farà nei
prossimi mesi. Non è un mistero che i bambini sfruttati per compiere reati vengano spostati da
una città all'altra proprio per sfuggire ai controlli».
Allora perché si arrabbia tanto a sentir parlare di «schedatura»?
«Perché questo termine ha un significato negativo e invece il nostro obiettivo, lo ripeto, è
tutelare i minori».
L'Unicef continua a chiederle provocatoriamente per quale motivo non farlo anche
per i minori italiani.
«Vorrei ricordare che gli italiani vengono iscritti all'anagrafe appena nati. In questo caso
parliamo invece di sconosciuti che vivono in condizioni indecenti. È un dovere civico
proteggerli, è un diritto delle istituzioni sapere chi vive a casa nostra ».
Fiorenza Sarzanini
Il manifesto 03-07-08

SICUREZZA La norma nella legge di riforma dei servizi segreti. Insorgono le associazioni: stato
di diritto violato
E Sarkozy vuole schedare i ragazzini «futuri delinquenti»
Anna Maria Merlo
PARIGI
E' l'ultima novità in materia di schedature, introdotta quasi di nascosto nell'ambito della
riforma dei servizi segreti francesi: sul Journal Officiel del 1° luglio è diventata legge la
possibilità di schedare dei ragazzini dai 13 anni in su, anche se non hanno commesso nessun
reato grave, ma sono considerati potenzialmente pericolosi dalla polizia. «Passibili di
minacciare l'ordine pubblico», dice il testo. La Lega dei diritti dell'uomo ha protestato ieri,
contro un «livello di sorveglianza incompatibile con lo stato di diritto» nella Francia di Sarkozy,
tra i droni che sorveglieranno le banlieues, il carcere a vita per chi ha già scontato la pena ma
è considerato potenzialmente ancora pericoloso per la società e le schedature massicce dei
cittadini, adesso persino dei bambini. Per La lega dei diritti dell'uomo il programma, che porta
il nome femminile di Edvige, «stigmatizza i ragazzini come futuri delinquenti». Anche per la
Licra (Lega contro il razzismo e l'antisemitismo) il livello di sorveglianza applicato oggi in
Francia è «incompatibile con lo stato di diritto». Il Cnil, la Commissione nazionale su
informatica e libertà, ha emesso ieri «forti riserve», anche perché nel testo pubblicato sulla
Gazzetta ufficiale non vengono indicati dei limiti temporali di questa schedatura di minorenni,
che la persona potrà così portarsi dietro tutta la vita. Il Cnil ha solo ottenuto, per i minorenni,
che non ci siano incroci con altri tipi di schedature. Edvige conterrà una serie di dati di
carattere personale: dallo stato civile all'indirizzo e la fotografia, fino alle caratteristiche fisiche,
i segni particolari e di comportamento.
La schedatura dei bambini potenzialmente delinquenti arriva due giorni dopo le dichiarazioni
della ministra della giustizia, Rachida Dati, sull'eventualità di schedare le «bande» di giovani.
Dati in realtà non ha nessuna competenza in questo settore, che dipende dal ministero degli
interni. Qui affermano di non essere al corrente. Ma la donna, che oltre ad essere ministra
della giustizia è anche sindaco dell'elegante VII arrondissement di Parigi, ha avuto incontri con
il prefetto della regione parigina, in seguito ai disordini sotto la Tour Eiffel avvenuti la scorsa
settimana. Durante la grande festa parigina per la fine del Bac (l'esame di maturità), bande di
banlieue hanno aggredito e rubato, suscitando la protesta degli abitanti del quartiere. Secondo
il ministero della giustizia l'idea di schedare le bande risale ai tempi in cui Sarkozy era ministro
degli interni. Oltre a puntare il dito contro la generalizzazione delle schedature dei cittadini, i
critici ironizzano anche sul fatto che raccogliere informazioni degne di fiducia su strutture
effimere come le bande giovanili è praticamente impossibile. «Ci sono delle leggi in questo
paese - afferma un alto funzionario facendo riferimento alle norme del Cnil - non si può fare
tutto quello che si vuole». Nei fatti, poi, le bande più strutturate sono già schedate dai servizi.
La sventura dei Rom:echi di Mussolini
La compulsione del rilevamento delle impronte digitali della popolazione Rom in
Italia è l’ultimo esempio della crescente attitudine repressiva nei confronti delle
minoranze ed un minaccioso ricordo delle politiche della dittatura fascista.un articolo
di Peter Popham.

Plight of the Roma: echoes of Mussolini


The compulsory fingerprinting of Italy's Gypsy population is the latest example of the country's
increasingly repressive attitude towards minorities – and an ominous reminder of the policies of the
former Fascist dictator. Peter Popham reports

Friday, 27 June 2008

Fingerprint the lot of them: the idea had the satisfying smack of firm government. Now the Italian
government was doing something tough; something long overdue.

The Interior Minister, Roberto Maroni, a leader of the rabble-rousing Northern League – close allies
of Silvio Berlusconi on the government benches – has explained his next step in his assault on the
"emergenza di sicurezza", the "security emergency": fingerprinting all Gypsies.

It was the only way, he told a parliamentary committee on Wednesday, for Italy to guarantee "to
those who have the right to remain here, the possibility of living in decent conditions." For this
purpose the Roma – those with Italian nationality and those without, EU citizens and those from
outside the Community – will all have their fingerprints taken. And the rule will even apply to
Gypsy children – for reasons that to many of Mr Maroni's supporters must have sounded obvious:
"to avoid phenomena," as he put it, "such as begging". The new measures, he said, were
indispensable "in order to expel those who do not have the right to stay in Italy".
For anybody not swept up in the wave of anti-Roma fury, the campaign has a strong whiff of
Mussolini and Hitler about it.

The task of counting and identifying the residents of Italy, citizens or otherwise, who happen to
belong the most despised minority in Europe is, in fact, already under way.

Giovanna Boursier, an Italian journalist, found one small camp where the count had already taken
place on the furthest southern outskirts of Milan. "There is not even a bar where one could ask the
way," she wrote in Il Manifesto, "but once you scramble up a hill you see the roofs of the huts.
There are about 10 of them, along with the caravans, dotted around the outskirts, under flyovers and
high-tension wires. Around 40 Roma lived here."

They told her that the police arrived at dawn, woke everybody up, surrounded the camp and flooded
it with lights and then went from home to home, demanding identity documents and photographing
them. All the residents were Italian citizens. It made no difference. "This wasn't a census," protested
a Roma called Giorgio. "This was an ethnic register."

Fingerprinting was the detail they omitted – lacking, at that point, the power to do it. But Mr
Maroni has now set about remedying that.

Italy's "security emergency" is a strange and distracting phenomenon which has been brewing up
slowly for the past decade as economic growth slowed to a stop. It intensified dramatically with the
admission of Romania and Bulgaria to the EU in January of last year, and now bulks so large that it
was the biggest factor in Mr Berlusconi's election victory and continues to dominate the media. It
led to the decision last week to allow police numbers in the big cities to be augmented by up to
3,000 troops.

The issue is strange and distracting because it does not seem to exist, either statistically or as a fact
of personal experience. Crime is not a big deal in Italian cities. There is no epidemic of burglary,
mugging, bag-snatching, rape. Italy remains a country where it is pretty safe to walk the streets. Yet
the government is behaving as if this were Colombia. And Colombia with a very special difference:
that the supposedly soaring rate of crime is the work of one particular ethnic group, known as
"nomadi rom."

Gypsies or Roma are visible in Italian cities as in the rest of Europe, and their number has
increased. In Rome your subway journey may be made slightly less enjoyable by their accordions
and violins and the appeals of their begging. Your eyes may be offended by the sight of them
fishing in the waste bins, or hauling stuff home for recycling. Rome is so badly policed that small,
utterly miserable squatter camps have sprung up in many places. They are a disgrace – unhygienic,
unaesthetic – and have no place in a civilised modern country. But as the source of a "security
emergency"?

Giovanni Maria Bellu, a La Repubblica journalist and an expert on Italy's minorities, said the
problem was one of misunderstanding. "Most Italians make no distinction between Italian Roma
and those who arrived from Yugoslavia during that country's break-up," he said. "And many Italians
think that 'Rom' is an abbreviation of 'Romanian' – and since the arrival of Romania in the EU there
has been a large influx of Romanians. People conflate these separate things. There have been crimes
committed by Romanians – and people confuse these with the Rom, and the Rom end up being
blamed for everything.
"Security was the over-riding theme of the general election, which is why this conflated Roma-
Romanian theme became so big, and a part of the left is very timid about confronting the problem.
The security emergency itself is a myth: there has been no increase in the number of rapes, for
example – in fact, the number has declined. But when a single case occurs it is splashed on the front
page of certain papers for a double reason: it increases the climate of fear; and it damages the
centre-left, which is perceived as being weak on security."

Italy's Roma paranoia spilled on to the world's front pages on 13 May, when a woman in a suburb
of Naples called Ponticelli alleged that a Roma girl had tried to steal her baby. The community
erupted in fury, and thugs belonging to the Camorra crime syndicates threw petrol bombs into the
local gypsy squatter camp, driving out the inhabitants and burning the place to the ground.
Suddenly there was no avoiding the fact: the Italian hatred for the Roma had taken a dramatic new
turn.

But the origin was an ancient fear, rooted not in fact but legend. Mr Bellu said: "There is nothing in
police records to support the idea that Roma have stolen babies. It's just a legend. But one that still
has people in its grip."

Marco Nieli, the president of Opera Nomadi, the most important organisation representing Italy's
Roma, said: "The first Roma arrived in Italy in 1400 and have been here ever since, and are Italians
in every respect. The real problem is one of crass ignorance: if someone says that Roma steal
babies, the political parties reflect and amplify this nonsense. This way all the problems are swept
under the carpet."

Thomas Hammerberg, European commissioner for human rights, visited a big Roma camp in Rome
earlier this month. "I visited Casalino 900 camp, where 650 or so Roma live," he said. "There was
no electricity, no water. It was a very bad slum."

And the fear of the "ethnic register" was already rampant, he said, "due to what happened to them in
the past in Germany and elsewhere. They also raised the question, why us? Why not others? Many
of those in the camp I visited had been in Italy for 40 years; they came over from Yugoslavia, some
of them still have problems with identity papers, squeezed between the old and the new country. If
you've been in a country for 40 years, are you still a foreigner? This talk about fingerprints was
another reminder that their status has never been settled.

"The basic problem of Roma is widespread in Europe: housing, health, education, employment,
political representation... But for a long time in Italy the Roma have been a symbol of something
that is unwanted.

"The Nazis and the Fascists used the same methods of singling them out in the 1930s. It's not
surprising that they are frightened."

A pocket dictator and the Manifesto of Race

Racism is often seen as intrinsic to fascism, but the inventor of the ideology, Benito Mussolini, was
brought around to the Hitler obsession with race late in his career and after a great deal of arm-
twisting.

Jews had lived in Italy for centuries without persecution. The community in Rome, though confined
to the historic ghetto area for many centuries, has the longest uninterrupted history of any Jewish
community in the world. In Mussolini's Italy, upper middle- class Jews continued to live and
prosper without persecution – until 1938.

In that year Mussolini introduced his Manifesto of Race, closely modelled on the Nazi Nuremberg
laws, which stripped Jews of their Italian citizenship, the right of Jewish children to go to school
and of adults to work in the government or the professions.

Traditional Italian tolerance and/or indifference towards Jews meant that many were sheltered
during those years, but after the fall of Rome, when Mussolini moved to the town of Salo on Lake
Garda and was set up by the Nazis as the pocket dictator of the Republic of Salo, deportations of
Jews to the death camps began in earnest.

And what of Italy's Roma during the grim final years of Mussolini's rule? Some 1.6 million Roma
died in Germany and elsewhere during the Holocaust, a proportionately greater genocide than that
suffered by the Jews.

The history of their treatment under Mussolini is a subject that contemporary Italian historians have
been loath to look into, according to Marco Nieli, president of the Italian Roma organisation Opera
Nomadi.

"It's a fact that there were concentration camps for Roma in Italy during the Fascist period, and it's
also a fact that thousands of Roma died in them of hunger, cold and over work," he claimed.
"Studies are now under way to discover the extent of the suffering that took place."
Il manifesto 3-07-08
LA STORIA
Dal campo alle case Ora Alemanno li vuole sgomberare
Giacomo Russo Spena
ROMA
Ha gli occhioni verdi. Espressivi. Emmanuel, sette anni tra poco, è nato in una baracca ma da 4
anni vive in una casa. Lì ha la sua dimensione. «Non voglio ritornare a vivere nelle roulotte»,
dice, ascoltando il suggerimento della mamma. Su di lui e la sua numerosa famiglia incombe
però lo sgombero. Al posto della sua abitazione vogliono costruire l'impianto dei mondiali di
nuoto 2009. Il sindaco di Roma Alemanno li vorrebbe mandare insieme agli altri rom al centro
«d'accoglienza» di Castel Romano, un posto sovraffollato (ci vivono quasi mille persone) in
condizioni igienico-sanitarie precarissime. Di nuovo in un campo. Ma loro non ne vogliono
sentir parlare: «Non ci vogliamo muovere da qui». In una fase in cui si parla di censimenti,
impronte digitali, di «vergognosa vivibilità» all'interno delle baraccopoli a Roma si vuole porre
fine ad una esperienza di rilancio sociale e di inserimento di 44 persone, tra cui 23 minori.
La famiglia Ciznic (così si chiama), del ceppo rom Khorakhanè, arriva dalla Bosnia a Milano
attorno alla metà degli anni '60 e poi da lì «veniamo cacciati» in varie città: Genova, Bolzano,
e, infine, Roma. Nella capitale vanno a stanziarsi nel '88 al campo nomadi di Vicolo Savini,
vicino Ponte Marconi. «Abbiamo passato anni terribili - riferisce Vezna - Vivevamo in baracche
in cui pioveva dentro e senza servizi». «C'era un bagno, ogni cento persone. E ogni tanto
mancava anche l'acqua», aggiunge Bruce. Numerosi gli incendi generati da piccole stufe usate
alla «buona»: alcune persone, tra cui minori, ci rimettono anche la vita. «Anche la nostra
baracca ha preso fuoco, per fortuna non c'era nessuno di noi dentro», esclamano.
Quell'episodio fa scattare una molla. La voglia di andar via da lì e di riqualificare uno stabile, di
proprietà comunale, abbandonato da decenni, nei pressi del campo.
Nel 2004 lo occupano e lo ristrutturano. «Ci siamo venduti la casa che avevamo in Bosnia»,
spiega l'anziana mamma per investire tutto sui lavori di bonifica. Verranno a costare più di 100
mila euro. Iniziano a pagare regolarmente al comune le indennità relative all'occupazione (104
euro al mese). «Lo abbiamo fatto per i nostri figli - afferma Sacir, alias Zorro - il nostro futuro
è in questo paese. Ci sentiamo cittadini italiani». Tutta la famiglia è regolare, qualcuno ha
anche richiesto la cittadinanza. C'è chi fa il commesso, chi lavora in sartoria, chi ha
un'associazione di musica tradizionale rom. E i bambini? «Prima quando stavamo al campo
quasi nessuno andavano a scuola», ricorda Zorro. Ora, invece, «sono tutti scolarizzati». E
adesso lo sgombero richiesto dal Commissario Straordinario per i Mondiali di nuoto 2009, col
nulla osta di Alemanno. «È necessario salvaguardare questa esperienza di autorecupero»,
dichiara il consigliere provinciale dell'Arcobaleno Peciola che si sta occupando della vicenda.
«D'altra parte - continua - la stessa delibera 110 prevede il recupero di edifici dimessi e il
cambio di destinazione d'uso». Così la comunità rom ha chiesto un incontro urgente al Comune
per fermare l'ordinanza di sgombero. Ma se non ci fossero, come possibile, i margini di
trattative, «accettiamo solo il passaggio da casa a casa - afferma Vezna - non vogliamo
ritornare nei campi». Come darle torto.

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