Sei sulla pagina 1di 16

George Orwell o l'impossibile neutralità

George Orwell in una caricatura di Levine

di Charles Jacquier
Un profilo profondo, chiaro e stimolante di un grande intelletto, quello
di George Orwell, che operò soprattutto nella prima metà del XX
secolo, ed in prevalenza nella sua parte soprattutto più tragica, quella
dell'età del totalitarismo trionfante, è ricavato non tanto da uno studio
particolare dedicato all'autore sotto forma di saggio, quanto a tre
superbe recensioni dedicate ai quattro volumi di opere saggistiche
edite in Francia tra il 1995 ed il 2002, al celebre giornalista, scrittore e
polemista inglese.

Anche l'analisi di opere remote edite dall'editoria in generale può


trasformarsi quindi in un momento di discussione critica acuta e
penetrante ma soprattutto stimolante, come l'autore di esse, Charles
Jacquier, ha saputo fare magistralmente. Un grande esempio di
divulgazione di tematiche all'insegna della denuncia dell'autoritarismo
nelle sue varie forme e dimensioni, un esempio soprattutto di difesa di
un autore dalla grandissima statura morale prima ancora che
intellettuale, soprattutto alla sua tenacia ed alla sua coerenza.

[Recensione ai quattro volumi editi in Francia della raccolta di saggi, articoli,


lettere Di George Orwell, presso le Éditions Ivrea/Éditions de l'Encyclopédie
des Nuisances]
In un breve saggio stimolante [1],
Jean-Claude Michéa si era
meravigliato dell'assenza di una
traduzione francese dei Collected
Essays, Jounalism and Letters di
George Orwell, quando il nostro
autore era considerato un classico del
nostro tempo. Al di là di uno stretto
problema "tecnico", questa assenza
testimoniava, secondo lui,
"dell'incapacità della critica dominante
(...) ad afferrare l'esatto valore
dell'opera teorica di Orwell". L'autore
si riproponeva dunque di studiare in
se stessa questa incapacità e
concludeva: "ciò che l'epoca non
ammette, è che si possa essere allo stesso tempo un nemico deciso
dell'oppressione totalitaria, un uomo che vuole cambiare la vita
senza per questo fare del passato tabula rasa e soprattutto un
amico fedele dei lavoratori e degli umili".

Da allora, sono apparsi


successivamente i due primi
volumi della loro traduzione
che permette al pubblico
francese di aver accesso
direttamente a quest'opera
imponente.
Sfortunatamente, questa
pubblicazione è lungi
dall'aver avuto l'eco che
meritava ed anche questo
ha un significato che
bisognerebbe studiare in se
stesso, come ne ha uno l'invenzione di uno pseudo caso Orwell.
Grazie ad un giornalista alla ricerca di scoop, una lettera privata ad
un'amica è diventata la sedicente prova che Orwell avrebbe offerto
spontaneamente ai Servizi segreti britannici una lista nera di
scrittori sospettati di essere dei criptocomunisti (The Guardian, 11
luglio 1996). Tradotto nella lingua della nostra triste epoca, ciò
diventa, dopo aver
prontamente attraversato la
Manica: "Orwell una spia
anticomunista", "Quando Orwell
denunciava al Foreign Office i
'criptocomunisti'", oppure
"Brother Orwell"! [2].

Una trasmissione di France


Culture della serie stranamente
chiamata "Una vita, un'opera" è
venuta a completare questa
campagna di calunnie,
apportandovi un tocco del più bell'effetto in cui l'ignoranza e la
cattiva fede rivalizzavano soltanto con il grottesco e l'ignobile... È
stato risposto a questa campagna con un opuscolo intitolato George
Orwell devant ses calomniateurs [George Orwell di fronte ai suoi
calunniatori], Editions Ivrea/Editions de l'Encyclopédie des
nuisances, 1997).

La traduzione della lettera di


Orwell alla sua amica Celia
Kirwan, all'origine di questa
disgustosa manipolazione ,
permette di colpo di ridurre a
nulla la pretesa prova
archivistica della "delazione"...
L'opuscolo si dedica in seguito a
presentare ed a smontare il
meccanismo di queste pretese
rivelazioni. Gli attacchi contro
Orwell rivelano per gli autori
dell'opuscolo che la "disonestà
intellettuale" dell'epoca, specie di fenomeno spontaneo illustrato dai
salariati dei media che pretendono di "decostruire" la verità quando
essi la fanno invece a pezzi e la rendono inudibile ed
incomprensibile. Al contrario, la questione essenziale dovrebbe
essere: "l'analisi che fa Orwell del totalitarismo non avrebbe
qualche validità nella società mondiale in cui viviamo?".
Infine, si può anche riposizionare il
caso nel suo contesto francese. Se
la maggior parte dei media hanno
preso il rischio, a disprezzo di ogni
verosimiglianza di riprendere e
amplificare le pretese rivelazioni
del Guardian, non è forse perché
essi si inscrivono nell'elaborazione
in corso di una specie di
politicamente corretto "con i colori
della Francia" in cui la questione
dello stalinismo occupa un posto di
scelta come lo mostrano
d'altronde i dibattiti ricorrenti
intorno all'utilizzazione degli archivi sovietici. Se come scrive Louis
Janover, "Il PC è di nuovo politicamente corretto, perché
indispensabile al buon funzionamento di una macchina
parlamentare che avrebbe tendenza ad incepparsi", il fatto di
sminuire Orwell al rango di un delatore di bassa lega, "era un modo
di mostrare che era anch'egli eguale ad altri nell'infamia" [3].
Calunnia evidente, ma voce spesso efficace allo scopo di ridurre la
portata della critica sociale sempre attuale di un autore che non ha
ancora trovato il suo posto nel pubblico francese al di fuori di un
riferimento frequente ed il più delle volte errato, al suo 1984...

Ma conviene lasciar perdere questo


caso, per quanto significativo possa
essere per la meteorologia intellettuale
che impongono i media, per prendere
un po' di aria fresca da Saggi. Il primo
volume si estende su un periodo lungo,
contrassegnato dall'affermazione della
vocazione di scrittore di Eric Blair, nato
il 25 giugno 1903 a Mitihari nel
Bengala; suo padre era un funzionario
all'Agenzia dell'Oppio dell'Indian Civil
Service. Nel 1912, la sua famiglia si
stabilirà definitivamente in Inghilterra e,
nel 1917, Eric Blair entra come borsista
all'Eton College. Nel 1922, Eric Blair si
arruola nella polizia imperiale delle
Indie in Birmania. Darà le dimissioni
all'inizio del 1928 per dedicarsi a
delle inchieste sulla vita dei più
poveri nei quartieri diseredati di
Londra, poi di Parigi.
Parallelamente, pubblica i suoi
primi articoli di scrittore
professionale. A partire da questo
momento, la biografia di Eric Blair
si confonde con l'opera di George
Orwell [4].

Quando numerosi scrittori della sua generazione sono, durante gli


anni trenta, affascinati dall'URSS, considerata rappresentante della
"patria dei lavoratori" ed il "socialismo in costruzione", Orwell
sfugge a questo tropismo dominante e preferisce un'esperienza
diretta dei problemi sociali a fianco degli emarginati e dei
disoccupati, poi un'inchiesta presso i lavoratori nelle regioni
industriali in crisi del Nord dell'Inghilterra. L'adesione di Orwell al
socialismo passa dunque attraverso "una specie di comunione
originaria operata nell'ordine sensibile" (J.-C. Michéa) presso le
classi lavoratrici e va affermandosi definitivamente con il suo
impegno in Spagna. A partire dalle esperienze operaie e spagnole di
Orwell, quasi contemporanee a quelle di Simone Weil, sarebbe
interessante tentare una comparazione tra lo scrittore inglese e la
filosofa francese. Pierre Pachet ha, inoltre, sottolineato che la
"combattività virile" di Orwell gli ricordava Simone Weil [5], senza
insistere sulle altre ragioni di un possibile accostamento tra queste
due personalità che, entrambe, si richiamano alla cultura politica
dell'estrema sinistra antistaliniana degli anni trenta.

Fine del 1936, dopo aver acquistato il manoscritto di The Road to


Wigan Pier [La strada di Wigan Pier], George Orwell parte per la
Spagna. Il paese è lacerato dalla guerra civile dopo il fallito
tentativo di colpo di Stato fascista del 18 luglio contro la
Repubblica. Il 30 dicembre, a Barcellona, si arruola nella milizia del
Partido Obrero de Unification Marxista (P-O.U.M.), una formazione
comunista dissidente animata dai fondatori del movimento
comunista spagnolo e radicata soprattutto in Catalogna [6]. È
inquadrato nel contingente dei volontari di lingua inglese
dell'Indipendent Labour Party e parte per battersi con la sua unità
sul fronte di Aragona. Successivamente, scriverà che se fosse stato
un po' più al dentro dei fatti, avrebbe scelto di battersi "a fianco
degli anarchici". Tentato per un po' di
raggiungere i volontari che si battono per la
difesa di Madrid, assiste alle giornate di
Barcellona del maggio 1937 in cui si
affrontano gli anarchici ed il P.O.U.M., da
una parte e gli stalinisti ed i loro alleati
dall'altra. Nel giugno del 1937, il P.O.U.M. è
posto fuorilegge, i suoi dirigenti arrestati e,
tra di loro, Andrès Nin è assassinato poco
dopo da sicari del NKVD, dopo essere stato
calunniato dalla stampa stalinista che lo
tratta come agente di Franco e di Hitler,
ripetendo le accuse deliranti dei processi di
Mosca [7]. Da parte sua, Orwell, di ritorno
dal fronte, è ferito alla gola da un cecchino.
È durante la sua convalescenza che
apprende della messa fuorilegge del P.O.U.M. Braccato dalla polizia
stalinista, riesce a raggiungere la frontiera francese con la sua
compagna.

Oltre al P.O.U.M., gli stalinisti


hanno di mira soprattutto gli
anarchici, prima forza del
movimento sociale spagnolo e
l'insieme del processo
rivoluzionario: "quando il potere
ha cominciato a sfuggire agli
anarchici per essere afferrato dai
comunisti ed i socialisti di destra,
il governo ha potuto rimettersi in
sella, la borghesia rialzare la testa
e si è visto riapparire,
praticamente immutata, la vecchia divisione della società tra ricchi
e poveri. Da quel momento, tutte le decisioni prese (...) hanno teso
a disfare ciò che era stato fatto nei primi mesi della evoluzione". Al
suo ritorno in Inghilterra, comincia a scrivere Homage to Catalogna
e si scontra con la maggioranza della sinistra inglese. Quest'ultima,
in nome dell'antifascismo, si colloca dietro le politiche del Fronte
popolare nate per impulso di Stalin ed Il Komintern dal 1934-35,
con una virata a 180° e l'abbandono della precedente politica di
"classe contro classe", responsabile dell'avvento di Hitler al potere
in Germania.
L'esperienza spagnola di Orwell va simultaneamente affermando il
suo impegno socialista e la sua opposizione radicale allo stalinismo.
Allo stesso tempo, tocca con mano l'importanza della menzogna e
della falsificazione nella propaganda totalitaria. Durante tutto
questo periodo, Orwell si riconosce nelle correnti rivoluzionarie
antistaliniste che rifiutano la socialdemocrazia e lo stalinismo, senza
cadere nel bolscevismo di Trotsky, ma contrariamente alla maggior
parte di essi, pone, anche prima della firma del patto nazi-sovietico,
la questione della democrazia nella rivoluzione. Così, nell'agosto
1938, si augura un "movimento rivoluzionario autentico", " ma non
ripudiando (...) i valori essenziali della democrazia". Proposito
reiterato ed assolutizzato alcuni mesi dopo quando scrive: "Ciò che
decide di ogni cosa, è la messa al bando della democrazia". Dopo la
firma del patto nazi-sovietico del 23 agosto 1939, Orwell
comprende che "non c'è terza via tra resistere a Hitler o capitolare
davanti a lui" e condanna "gli intellettuali che affermano oggi che
tra democrazia e fascismo non ci sia differenza", cioè gli stalinisti
ed i loro compagni di strada obbligati ad abbandonare il discorso
antifascista per giustificare in un linguaggio pseudo estremista
l'alleanza di Stalin con Hitler.

In un saggio su Charles Dickens, Orwell riafferma "che bisogna


essere dalla parte dell'oppresso, prendere la parte del debole contro
il forte" e che, se "l'uomo della strada vive sempre nell'universo
psicologico di Dickens", quasi tutti gli intellettuali "si sono allineati
con una forma di totalitarismo o un'altra". Il suo ritratto di Dickens
può dunque essere letto come quello di Orwell stesso quando egli
scrive: "È il volto di un uomo che non smette di combattere
qualcosa ma che si batte alla luce del sole, senza paura, il volto di
un uomo animato da una rabbia generosa- in altri termini quello di
un liberale del XIX secolo, un’intelligenza libera, un tipo di individuo
egualmente esecrato da tutte le piccole ortodossie ripugnanti che si
contendono oggi il controllo dei nostri spiriti".
Il secondo volume ricopre un arco di
tempo molto più breve in cui dominano
quasi esclusivamente le preoccupazioni
legate allo svolgimento della Seconda
Guerra mondiale. Orwell si afferma per
essere, nel corso delle pagine, come uno
dei rari scrittori di questo periodo avente
una concezione al contempo politica e
morale degli avvenimenti. Rifiuta i discorsi
beati ed ottimisti sul Progresso, perché,
dalla guerra del 1914-1918, si sa che
quest'ultimo "era alla fine sfociato sul più
grande massacro della storia": "La Scienza
non si era impegnata che ad inventare
degli aerei da bombardamento e dei gas
tossici, mentre l'Uomo civilizzato si
rivelava, nell'ora del pericolo, pronto a comportarsi nel modo più
atroce di qualsiasi selvaggio". Reagendo a questo trauma, numerosi
scrittori soccombettero alla tentazione della forza ed al fascino per
il dinamismo dei totalitarismi fascista, nazista o stalinista, tutti
eminentemente moderni [8]. Lungi dal cedervi o da ignorarli,
Orwell comprese che l'origine di quest'attrazione proveniva dalla
"falsità della concezione edonista della vita" che aveva conquistato
la quasi totalità del pensiero "progressista" occidentale e rifiutò
l'opposizione di prima del 1914 tra Progresso e Reazione, illustrata
da un H. G. Wells, per comprendere la natura ed i rischi dei pericoli
futuri. Davanti alla catastrofe, bisognava oramai "ritrovare il corso
della storia" e "riscoprire la tragedia" per bloccare la marea
montante delle pulsioni emotive sulle quali si appoggiavano le
dittature.

Durante questi anni cupi, le prese di posizione di Orwell sono


sempre espresse in funzione di una doppia preoccupazione: una
valutazione quanto più realistica possibile dei rapporti di forza che
non dimentica mai i fini morali del suo impegno politico ed il
sentimento eminentemente tragico di una storia recante le stigmate
delle guerre mondiali e dei totalitarismi. Per il suo Omaggio alla
Catalogna, La fattoria degli animali, 1984 e molti saggi ed articoli
politici, Orwell potrebbe figurare accanto agli autori di un genere
letterario comparso tra le due guerre, il libro politico, che egli
stesso definiva come un "lungo libello che unisce la storia e la
critica politica", prima di citare come esempi i nomi di Franz
Borkenau, Arthur Koestler, Arthur Rosenberg, Hermann
Rauschning, Ignazio Silone e Leone Trotsky".

Orwell, preservato dalla sua nazionalità, ne


fa l'esperienza in Spagna. Ritornando sul suo
impegno spagnolo in uno dei testi più forti di
questa raccolta, Orwell esprime la posizione
che era la sua nel 1936 e lo sarà per tutto il
corso della Seconda Guerra mondiale:
"Quando si pensa alla crudeltà, all'infamia,
alla vanità della guerra (...) si è sempre
tentati di dire: "I due campi si equivalgono
per l'infamia. Rimango neutrale". Ma nella
pratica, non si può restare neutrali e non vi
è guerra il cui esito sia perfettamente
indifferente. Quasi sempre uno dei campi
incarna più o meno il progresso e l'altro la
reazione". Dicendo ciò, Orwell non dimentica
che il campo delle "democrazie" comprende la dittatura di Stalin e
dei paesi che sottopongono le loro colonie ad un feroce
sfruttamento, ma ha capito che il principio fondamentale dell'azione
politica è di fare una scelta, "non tra il bene ed il male, ma tra due
mali", il male minore permettendo di "lavorare alla costruzione di
una società in cui la rettitudine morale sarebbe ancora possibile".

Poiché Orwell è innanzitutto uno scrittore, è


molto spesso nelle sue critiche letterarie che
egli esprime al meglio il fondo del suo
pensiero sulla crisi e la tragedia del mondo
moderno e l'atteggiamento più giusto e più
onesto per farvi fronte, malgrado tutto. Così
nel suo bel articolo su Letteratura e
totalitarismo, nel suo tentativo di delimitare
una delimitazione tra arte e propaganda, nei
suoi giudizi sulla letteratura di lingua
inglese. Come non citare la conclusione della
sua recensione al Diario di Julien Green:
"Ma ciò che è simpatico in questo diario, è la
fedeltà a se stesso, il rifiuto di vivere con il
proprio tempo. È il diario di un uomo civile.
Un mondo nuovo sta per nascere, un mondo in cui non avrà posto.
È troppo chiaroveggente per lottare contro di esso; ma non fingerà
di marlo. Poiché ciò è esattamente ciò che fanno tutti i giovani
intellettuali di questi ultimi anni, la sincerità spettrale di questo libro
è profondamente commovente. Ha il fascino dell'inutile, fascino così
desueto da sembrare nuovo".

Naturalmente, succede ad Orwell di sbagliarsi


nelle sue analisi, soprattutto quando ripete,
all'inizio della guerra, che il suo paese non
potrà resistere all'aggressione nazista che
grazie ad una rivoluzione socialista. In fatto
di rivoluzione, l'Inghilterra conoscerà le
esperienze laburiste del dopoguerra che
segneranno un cambiamento certo, senza
incarnare la rottura socialista che Orwell
aveva intravisto nei primi mesi della
rivoluzione spagnola. Ma di tali errori di
previsione, d'altronde relativi, non
costituiscono l'essenziale! Se si dovesse
scegliere una breve frase per far apprezzare e
rispettare George Orwell, uomo e scrittore,
conservando nel contempo per lo spirito il valore dei suoi scritti,
sarebbe senz'altro nella sua trascrizione di un dialogo con Stephen
Spender in cui scrive: "Ma dove vedo che le persone come noi
capiscono meglio la situazione dei pretesi esperti, non è nel loro
talento di predire degli eventi specifici, ma per le loro capacità di
afferrare in quale specie di mondo viviamo". Afferrare in quale
specie di mondo viviamo, non fingere di amarlo e rimanere fedeli a
se stessi, questi sono i principi essenziali che Orwell ha messo in
pratica nel corso della sua vita contro i professionisti della
menzogna e della calunnia...

Nel novembre del 1943, George Orwell diede le


proprie dimissioni dal suo posto alla Sezione
indiana del Servizio orientale della BBC che
occupava dall'inizio del mese di aprile del 1941
[9]. Lo stesso mese, entra come responsabile
delle pagine letterarie a Tribune, il settimanale
della sinistra laburista. Vi scrive più o meno
regolarmente settantun cronache intitolate "As I
please" [A modo mio] sino all'aprile del 1947. Il
settimanale, diretto da Aneurin Bevan, gli lasciò
completamente libertà nel trattare come voleva
i soggetti da lui scelti, in particolare la natura del socialismo o
contro il regime stalinista quando l'alleanza con l'URSS smussa
tutte le critiche. Vi elabora anche i temi principali del suo più
famoso romanzo. È infatti in una delle sue cronache letterarie che
egli scrive la frase spesso citata come emblematica in 1984: "La
cosa più terribile nel totalitarismo non è che commetta delle
'atrocità', ma che distrugga la nozione stessa della verità oggettiva:
pretende di controllare il passato così come il futuro" (4 febbraio
1944). Nel 1947, scriverà al momento del decimo anniversario di
Tribune che, anche se è lontano dall'essere perfetto, è "il solo
settimanale che compia nel momento attuale un reale sforzo per
essere allo stesso tempo progressista ed umano- detto altrimenti
per combinare una vera politica socialista con il rispetto della libertà
di espressione e di parola ed un atteggiamento civile verso la
letteratura e l'arte". Orwell collabora anche al Manchester Evening
News dove consegna, ogni giovedì, delle recensioni di libri, così
come anche all'Observer. Scrive anche una "lettera da Londra" a
Partisan Review (New York) dal gennaio 1941.

Parallelamente, pubblica anche dei saggi sul "Il popolo inglese" il


nazionalsimo, "l'immunità artistica" di Salvador Dalì, i romanzi di
James Hadley Chase, ecc. Ma soprattutto, scrive Animal Farm, la
sua favola antitotalitaria alla quale pensava da molti anni. Il
manoscritto è terminato nel febbraio 1944, ma non sarà pubblicato
che diciotto mesi più tardi presso Secker & Warburg dopo essere
stato rifiutato da diversi grandi editori inglesi per motivi
manifestamente politici. Questa edizione dei Saggi contiene dunque
logicamente diversi testi che sono dedicati a questo libro, in
particolare due prefazioni ad Animal Farm, una all'edizione ucraina
che spiega che "niente ha più contribuito a corrompere l'ideale
socialista iniziale che di credere che l'Unione sovietica fosse un
paese socialista"; l'altra, rimasta inedita sino al 1995, sulla censura
contro la quale si era urtata il suo manoscritto e dove si interrogava
su questo fatto: "l'attuale generalizzazione di modi di pensare
fascisti non deve essere attribuita in una certa misura
all'"antifascismo" di questi dieci ultimi anni ed all'assenza di scrupoli
che l'ha caratterizzato?"

Alla lettura di questi scritti, non si può che essere colpiti dalla
lucidità e dall'onestà serena con le quali George Orwell giudica degli
avvenimenti del suo tempo. È non soltanto uno degli analisti e dei
testimoni più sicuri dei drammi degli anni trenta e quaranta, ma
anche un critico sempre attuale delle traversie più inquietanti delle
società moderne (nichilismo, distruzione della morale comune,
corruzione del linguaggio, ecc.) al di là anche del fallimento delle
società che si pretendono socialiste di cui è stato, totalmente
isolato e a controcorrente, uno dei critici più eminenti.

Lasciamolo concludere sulla responsabilità degli intellettuali in un


passaggio tipico del suo stile: "So che gli intellettuali inglesi hanno
ogni genere di motivo per la loro viltà e disonestà ed non ignoro
nessuno degli argomenti con l'aiuto dei quali si giustificano. Ma che
ci risparmino almeno almeno i loro inetti distici sulla difesa della
libertà contro il fascismo. Parlare di libertà non ha senso che a
condizione che sia la libertà di dire alle persone ciò che non hanno
voglia di sentire. Le persone ordinarie condividono ancora
vagamente quest'idea ed agiscono di conseguenza. Nel nostro
paese (...), sono i liberali che hanno paura della libertà e gli
intellettuali che sono pronti a tutte le ingiurie contro il pensiero".

Con questo ultimo tomo dei Saggi di George Orwell termina


un'impresa editoriale che era iniziata nel 1995 sotto l'egida di due
coraggiose piccole case editrici [10]. Ricoprenti gli ultimi anni di
vita dello scrittore inglese, questo periodo vede la pubblicazione
nell'agosto del 1945, dopo diciotto mesi di contrattempi e di rifiuti,
di La fattoria degli animali che incontra un grande successo e
permette al suo autore di essere libero, per la prima volta nella sua
vita, da preoccupazioni finanziarie. Dall'anno successivo, inizia a
lavorare alla redazione di 1984, continuando una collaborazione
episodica con la stampa inglese ed americana, pubblicando
soprattutto una cronaca in Tribune, il settimanale della sinistra
laburista sino all'aprile 1947. È a partire da questo anno che la sua
salute peggiora: uno specialista diagnostica una tubercolosi,
malattia che lo stroncherà il 21 gennaio 1950.

Durante questi anni, Orwell si dedica innanzitutto alla redazione di


1984 che apparirà nel giugno del 1949, ma, nonostante le
devastazioni della malattia, non rinuncia per questo a scrivere
articoli, resoconti, saggi, così come corrispondenza con i suoi
conoscenti. Vi ritroviamo i temi salienti della sua opera.
Innanzitutto una concezione esigente della letteratura che lo porta
ad una critica senza concessione degli scrittori e dei libri notevoli
del suo tempo, ma anche a confrontarsi con dei classici come Swift
o Tolstoj. Prova un profondo orrore davanti alla corruzione del
linguaggio, soprattutto a causa delle abitudini del pensiero
totalitario. Allo scopo di opporvisi sottolinea: "Per esprimersi in una
lingua chiara e vigorosa, bisogna pensare senza timore e colui che
pensa senza timore non può essere politicamente ortodosso".

Il suo rifiuto del compiacimento degli intellettuali per tutte le forme


di totalitarismo si accompagna logicamente con una lucidità-
eccezionale per il suo tempo- sull'URSS di Stalin che egli considera
come l'antitesi assoluta di un socialismo autentico. Infine,
intraprende una critica radicale della sottocultura di massa (sport,
industria del tempo libero). Se i primi temi sono presenti in ogni
tappa della sua opera, l'ultimo assume per noi una particolare
acutezza perché annuncia con alcuni decenni di anticipo l'orrore
mercantile e la decerebrazione mediatica in cui siamo
quotidianamente immersi. Così, in un testo sui "luoghi di
divertimento", egli sottolinea che "l'uomo non rimane umano
soltanto se dedica nella propria vita un ampio spazio alla semplicità,
mentre la maggior parte delle invenzioni moderne [...] tendono ad
indebolire la sua coscienza, a smussare la sua curiosità e, in senso
generale, a farlo regredire verso l'animalità".

Ciò che caratterizza innanzitutto Orwell, è il rifiuto, allo stesso


tempo etico e politico, di seguire la strada degli intellettuali
sottomessi ai potenti di ogni genere per rimanere verso e contro
tutto un eretico: "Nessuna pia banalità [...] non cambia nulla al
fatto che uno spirito venduto sia uno spirito venduto".

Charles Jacquier

Fondazione Andreu Nin


George Orwell, Essais, articles, lettres, Volume I (1920-1940), Volume
II (1940-1943) Paris, Éditions Ivrea/Éditions de l'Encyclopédie des
Nuisances, 1995 & 1996, Georges Orwell ou l'impossible neutralité,
Commentaire, n° 83, automne 1998, p. 857-860 (Éditions Plon).

George ORWELL, Essais, Articles, Lettres, vol. III (1943-1945),


Paris,Éditions Ivrea/Éditions de l’Encyclopédie des nuisances,1998,
544 p. Compte-rendu des Essais III, Bulletin de liaison des etudes sur
les mouvements revolutionnaires, 2e annee, n° 2, avril 1999
George Orwell, ESSAIS, ARTICLES, LETTRES, Volume IV (1945-1950)
Paris, Éditions Ivrea-Éditions de l'Encyclopédie des Nuisances, 2001,
646 p. Compte rendu des Essais vol. IV, Le RIRe (Reseau
d'Informations aux Rferafractaires), n° 45, mai-juin 2002

[Traduzione di Ario Libert]

Note

(1) Jean-Claude Michéa, Orwell, anarchiste tory, Castelnau-le-Lez,


Climats, 1995.

(2) Libération, 15 luglio 1996; Le Monde, 13 luglio 1996; L’Histoire,


ottobre 1996. Orwell aveva rosposto in anticipo a tali considerazioni
quando scriveva: "non amo le risatine sprezzanti, le calunnie, le
frasi che si ripetono a pappagallo e l'adulazione servile che vige nel
mondo letterario inglese- e forse anche nel vostro" (Essais, II, p.
288).

(3) Louis Janover, Nuit et brouillard du révisionnisme, Editions


Paris-Méditerranée, 1997, p. 37-38.

(4) Bernard Crick, Georges Orwell. Une vie, Balland, 1982.

(5) La Quinzaine littéraire, n° 697, 15-31 luglio 1996, p. 15.

(6) Victor Alba, Histoire du P.O.U.M., Champ libre, 1975.

(7) Cfr. il documentario spagnolo di Ricardo Beles, Opération


Nikolaï, ed anche Stéphane Courtois e Jean-Louis Panné, "L’ombre
portée du NKVD en Espagne", in Aa. Vv., Le Livre noir du
communisme, Robert Laffont, 1997, p. 365-386.

(8) Cfr., Peter Reichel, La Fascination du nazisme, Editions Odile


Jacob, coll. Opus, 1996.
(9) En 1997, le stesse edizioni hanno pubblicato un'eccellente
opuscolo George Orwell devant ses calomniateurs. Quelques
observations, replicando ad una campagna mediatica mirante a
farlo passare per una spia ed un delatore.

(10) Segnaliamo che gli stessi hanno anche pubblicato la traduzione


del più importante libro di Gunther Anders, L’Obsolescence de
l’homme (Sur l’âme à l’époque de la deuxième révolution
industrielle), tr. it.: L'uomo è antiquato, Boringhieri, Torino, 2003.

Link al post originale:


George Orwell ou l'impossible neutralité

LINK all'articolo incriminato apparso sul Guardian


Blair's babe. Did love turn Orwell into a government stooge?

Potrebbero piacerti anche