negli Eroici furori di Giordano Bruno Le varie versioni del mito di Atteone Eroe beotico, figlio dellapicoltore Aristeo e di Autnoe 1 di Tebe, Atteone venne allevato dal centauro Chirone e divenne abile nelluso delle armi, un cac- ciatore valentissimo che percorreva il dominio territoriale di Artemide, sua pro- tettrice. Secondo una delle versioni del mito, lorgoglio lo spinse a rivaleggiare con la dea fino a considerarsi migliore di lei nella caccia, e ad avere addirittura lau- dacia di proporre ad Artemide di sposarlo. Unaltra versione racconta, invece, che Atteone si vant di riuscire a superare Artemide nel tiro con larco e per questo venne punito; altre ancora che egli volesse usarle violenza, oppure che sorprendesse la vergine nuda mentre faceva il bagno, in mezzo alle ninfe sue compagne. Irata, Artemide scaten la furia dei cinquanta cani di Atteone contro il loro stesso padrone, trasformato in cervo, che fin cos sbranato 2 . Nella letteratura classica, si pu dire che questo mito rientri nella tipologia di quelli che vedono protagonisti degli uomini puniti dagli dei per aver peccato di u briv, ossia di tracotanza. In Apuleio (Metamorfosi, II, 4), in particolare, la vicenda viene interpretata come emblema della punizione riservata alla curiosit indiscreta. Non accadr lo stesso in Bruno: tuttaltro. Bruno, infatti, prende spunto dal racconto mitico ovidiano, riproducendone i particolari con una certa fedelt, ma ne risemantizza gli elementi costitutivi per approdare a una lettura originale e funzionale allesplicazione delle sue teorie filosofiche. 1 Mitica figlia di Cadmo, re di Tebe, e di Armonia. Fu moglie di Aristeo e madre di Atteone; quando questi, mutato in cervo, fu dilaniato dai propri cani, err a lungo per le selve nella vana ricerca dei suoi miseri resti. 2 Cfr. la novella di Boccaccio su Nastagio degli Onesti (Quinta giornata, novella VIII). 53 Il pensiero di Bruno Bruno si rif ad Anassagora nel ritenere che ogni cosa sia in ogni cosa. La sua cosiddetta nova filosofia si basa sulle concezioni dellinfinit delluniver- so e dellesistenza di mondi innumerabili. Egli ritiene che la Vita segua dei cicli sempiterni e che proceda per mutazione vicissitudinale, ma che nulla ritorni mai uguale nella ruota del tempo: per questo, la vita individuale viene ad assu- mere delle caratteristiche di estrema unicit e assoluta originalit. Bruno convinto di essere stato investito di una missione, cio di dover restaurare lantica verit dellantichissima sapienza (che egli fa risalire ai sacer- doti egizi), ma sa anche di doverla rinnovare col suo contributo unico e origina- le, adeguato ai tempi nuovi. In questa sua opera di riforma, egli si sente profondamente solo, ma rassegnato alla solitudine perch ritiene che le umi- liazioni, le invidie, i sospetti, gli odi e le gelosie di cui fatto oggetto siano parte organica della sua azione di Mercurio, di messaggero degli dei, destinato a riportare la luce della verit dopo secoli di tenebre. Questo , dunque, lamaro calice che tocca in sorte allangelo della luce, ovvero allanimo eroico, per- ch secondo la concezione ermetica che Bruno tiene sempre presente il pas- saggio dalle tenebre alla luce non mai lineare n indolore, ma si svolge attra- verso tempeste e pestilenze. Ciliberto individua, nellopera di Bruno, una serie di coppie oppositive (velare/svelare, parlare/ammutolire, camminare/zoppicare, vedere/accecarsi, volare/interrarsi) dalle quali affiora, con chiarezza, limmagine che Bruno ha di se stesso e della sua funzione mercuriale: riscoprire dopo secoli di decaden- za, di vecchiaia il volto della natura; spingere gli uomini a conoscerlo e ad ammirarlo; consentire a ciascuno di guardare in faccia la realt, esprimendola senza infingimenti e falsit, spezzando gli specchi deformanti dellabitudine e dellignoranza 3 . Allontanandoli dallanimalit in cui sono precipitati, il Nolano riavvicina, dunque, gli uomini alla divinit, schiudendo loro la via ai gesti eroici e nobili in cui consiste la dignit umana stessa, e rendendoli liberi intellettual- mente e in relazione ai comportamenti civili e religiosi. Ritorna spesso in Bruno il tema del volo, delle ali, delluccello (nel De monade egli si paragona a un gallo), in cui il filosofo si identifica riprenden- do temi ermetici; sempre Ciliberto fa notare che, come lUlisse dantesco, anche Bruno spicca un folle volo, ma verso la Sapienza, non verso la follia; anzi, pi precisamente, verso la Sapienza attraverso la follia intesa come furor (da ci il titolo Eroici furori). Maria Panetta 3 Cfr. M. CILIBERTO, Introduzione a G. BRUNO, Dialoghi filosofici italiani, Milano, Mon- dadori, 2005, p. XXIX. 54 In questo senso, nella sua polemica contro lasinit di certe interpretazioni della tradizione ebraico-cristiana quella paolina, agostiniana e luterana (Bruno preferisce riconoscere i meriti e le opere delluomo piuttosto che proclamare il primato della iustitia sola fide) , il Nolano arriva a rovesciare in chiave parodi- ca e grottesca il dettato evangelico, anche stravolgendo le ultime pagine dellElogio della follia, nelle quali lamato Erasmo cita le Epistole ai Corinzii, laddove Paolo raccomanda la stoltezza quale fonte necessaria in vista della sal- vezza, invitando: chi di voi sembra sapiente, divenga folle per essere sapien- te. Si fa riferimento, qui, al tema della sapienza, centrale nei Furori: sapiente per Bruno colui che, conscio del fatto che la vicissitudine (cio il moto dei contrari) governa tutte le cose, sa che ogni stadio della vita destinato a non durare in eterno e dunque affronta ogni giorno senza disincanto n entusiasmo, eppure, al tempo stesso, con disincanto ed entusiasmo insieme. Tema centrale in tutta la produzione di Bruno anche quello della vista, degli occhi, del vedere, tanto che il termine cieco viene adoperato per lo pi in accezione negativa, tranne che nei Furori, perch litinerarium mentis in deum passa attraverso uno stadio di accecamento, testimoniato dallesperien- za dei nove ciechi che compaiono nel dialogo. Aprire gli occhi, nel pensiero del Nolano, sta per liberare sia la potenza sensibile sia quella intellettiva, osservan- do in modo nuovo tutta la realt. I filosofi vengono a rappresentare, dunque, gli occhi della societ, cio adoperando una terminologia platonica i suoi guardiani e i suoi nocchieri. La cecit coincide, invece, nel pensiero bruniano, con lannientamento delle differenze e il conseguente misconoscimento del merito individuale a favore di certa neutralit e bestiale equalit 4 . Gli Eroici furori Gli Eroici furori sono com noto uno dei dialoghi italiani scritti e pub- blicati da Bruno nel periodo in cui soggiorn in Inghilterra (1585) e constano di dieci dialoghi in cui gli interlocutori Cicada e Tansillo (proprio il poeta Luigi Tansillo) procedono nel loro ragionamento attraverso un commento a testi lirici di Bruno e di altri autori (tra i quali Tansillo stesso). Il mito di Atteone compare nel Quarto dialogo della Prima parte dellopera, incentrato sullamore eroico, che tende al sommo bene, e sulleroico intelletto, che tende alla verit assoluta. Tansillo commenta, nel dialogo, alcuni versi che si rifanno consapevolmente a Ovidio, ma attraverso la mediazione della canzone petrarchesca Nel dolce tempo della prima etade (RVF 23, vv. 147-160), e li illu- Appunti sul mito di Atteone negli Eroici furori di Giordano Bruno 4 Ivi, p. LII. 55 stra spiegando che Atteone rappresenta in essi lintelletto intento alla caccia della divina sapienza, allapprension della belt divina 5 , impresa ardua nella quale intelletto e volont agiscono di comune accordo. In ossequio alle teorie di Ficino, si esalta il potere metamorfico della vo- lont, simboleggiata dai mastini, e quello dellintelletto, rappresentato dai veloci veltri: lazione combinata di entrambi, assieme allamore dellintelletto umano per la bont e per la bellezza divina 6 (difficilmente comprensibile), rie- sce a convertire lindividuo nelloggetto desiderato, cio il cacciatore Atteone nella caccia. Il cacciatore-intelletto converte le cose apprese in s e, in un primo tempo rapito fuori di s dalla bellezza divina, diviene poi preda, cio si accorge che, avendo contratta in s quella bellezza 7 , non ha bisogno di cercare fuori di se stesso la divinit. Atteone, dunque, da quel chera un uom volgare e commune, dovien raro et eroico, ha costumi e concetti rari, e fa estraordinaria vita 8 . Dice Bruno: qua finisce la sua vita secondo il mondo pazzo, sensuale, cieco e fantastico; e comincia a vivere intellettualmente 9 ; e prosegue: non cosa naturale n con- veniente che linfinito sia compreso, n esso pu donarsi finito: percioch non sarrebbe infinito 10 . Luomo non pu, dunque, trasfondersi totalmente nella sostanza divina, ma a volte individui eccezionali, avventurandosi per vie solita- rie e inesplorate, attraverso il furore eroico e solo se godono del beneficio divino (cio se la divinit si offre benignamente al loro sguardo), possono innalzarsi alle cose sublimi e protendersi verso la verit. Il mito di Atteone in Ovidio Bruno, nei suoi Eroici furori (Parte prima, Quarto dialogo), parla di Diana (e non di Artemide) 11 : ci potrebbe essere una riprova del fatto che egli abbia assunto come punto di riferimento Ovidio per la sua rielaborazione e la sua re- interpretazione di questo mito. Maria Panetta 5 Cfr. BRUNO, Dialoghi filosofici italiani, cit., p. 819. 6 Cfr. P. SABBATINO, Atteone e Diana. Leroico intelletto e la divina bellezza, in ID., Giordano Bruno e la mutazione del Rinascimento, Firenze, Olschki, 1993, pp. 115-157. 7 Di origine platonica la similitudine venatoria del cane che insegue la bellezza o la verit, similitudine divulgata dal neoplatonismo fiorentino anche in sedi poetiche, come dimostra un passo della Selva seconda di Lorenzo de Medici (ott. 24-25). 8 Cfr. BRUNO, Dialoghi filosofici italiani, cit., p. 821. 9 Ibidem. 10 Ivi, p. 824. 11 Da notare lambiguit per cui Artemide/Diana la dea della caccia ma anche la protet- trice degli animali. 56 Il poeta latino 12 sostiene che la tragedia che si abbatt su Atteone fu colpa della sorte (fortunae crimen [...] non scelus, vv. 141-142) e parla di errore (error, v. 142) del cacciatore. Tale errore si trasforma, invece, in Bruno in consapevole scelta, anzi in ricerca sofferta. Atteone vaga per il bosco non certis passibus (v. 175; tradotto forse non proprio felicemente a caso nelledizione Einaudi). Non conosce i luoghi e viene condotto dal destino (sic illum fata ferebant, v. 176) nella grotta sacra a Diana, ove la dea si sta rinfrescando dopo la caccia, in compagnia delle sue ninfe: egli le sorprende senza vesti. Le ninfe si stringono tutte intorno a Diana per proteggere il suo corpo dallo sguardo di Atteone e il viso della dea simpor- pora (vv. 183-185). Allora Diana, non avendo a portata di mano le frecce, getta acqua sul viso del giovane e gli dice in tono minaccioso e vendicativo: ora ti lecito narrare di avermi vista senza veli, se riuscirai a farlo! (ovvero sempre che tu riesca a farlo!; vv. 192-193) 13 . A questo punto comincia la metamorfosi in cervo di Atteone: le sue membra vengono trasformate e alla fine tocco poetico di rara grazia Ovidio dice: Additus et pavor est (v. 198: tradotto E aggiunse la timidezza; letteralmen- te: Fu aggiunta anche la timidezza). In questo particolare si pu notare una sorta di vendetta anche psicologica di Diana, la cui timidezza stata violata e che risponde trasformando il suo caccia- tore in una preda timida come un cervo. Si potrebbe qui prefigurare lidea bruniana (di ascendenza platonica e ripresa notoriamente da Petrarca) del cac- ciatore che diviene preda anche nel senso che viene ad assomigliare alla sua preda, cio che simmedesima con loggetto del suo amore fino al punto di confondersi con esso. La timidezza del volto di Diana, dunque, trapassa sul muso del cervo-Atteone, diviene elemento costitutivo della sua nuova animalit. Proseguendo: Atteone a un tratto si vede riflesso nellacqua e nota le sue corna (v. 200), ne diviene consapevole; il simbolo dello specchio viene evocato (Diana- Luna infatti immagine della luce riflessa del Sole). Secondo Nuccio Ordine, nel dialogo di Bruno Atteone compie un cammino irto verso la divina sapienza, ma solo nellincontro con Diana riflessa nelle acque capisce che ci che stava cercan- do dentro di lui, che la divinit tanto bramata non al di fuori di chi la cerca 14 . Pertanto, comprendere significa trasformarsi nelloggetto della venazione 15 . Appunti sul mito di Atteone negli Eroici furori di Giordano Bruno 12 Cfr. OVIDIO, Metamorfosi, con uno scritto di I. Calvino, a cura di P. Bernardini Marzolla, Torino, Einaudi, 1994, III, vv. 131-259. Si citer sempre da questa edizione. 13 La traduzione di Bernardini Marzolla meno letterale: E ora racconta di avermi visto senza veli, se ci riesci! (cfr. Metamorfosi, cit., p. 101). 14 N. ORDINE, La soglia dellombra. Letteratura, filosofia e pittura in Giordano Bruno, prefazione di P. Hadot, Venezia, Marsilio, 2003, p. 141. 15 Ivi, p. 142. 57 Atteone non pu pi proferire parola, in quanto cervo; riesce solo a emettere un gemito, e delle lacrime scorrono per il suo volto ormai divenuto un muso di animale. Rimane titubante, in preda alla vergogna e alla paura; a quel punto lo avvistano i suoi cani e la loro turba al completo lo insegue, cupidine predae (v. 225: per la brama di preda). Nel caso di Bruno si rovescia la situazione (il cacciatore bramoso di preda diviene cacciato avidamente egli stesso), ma non nel caso di Ovidio perch nel- lautore latino la scoperta della preda-Diana per Atteone assolutamente casua- le e involontaria. I cani inseguono il cervo Atteone per rupes scopulosque adituque carentia saxa, quaque est difficilis, quaque est via nulla (vv. 226-227: tradotto da Bernardini Marzolla per rupi e dirupi e rocce inaccessibili, per dove la via difficile, per dove una via non c). In Bruno come se questo elemento dellinaccessibilit della via venisse anticipato alla fase della caccia (e non dellinseguimento da parte dei cani) per- ch la strada di Atteone, del furioso, non per tutti, non praticabile da tutti: quindi, linaccessibilit coincide pi con la strada del cacciatore Atteone alla ricerca della sua preda che non con quella del cacciatore ormai trasformato in cervo che fugge i suoi stessi cani. Atteone vorrebbe farsi riconoscere dai suoi cani, costretto a fuggire ma quasi incredulo che i suoi fidi servitori possano addirittura rincorrerlo e attaccarlo: ci pu essere interpretato come una prefigurazione della solitudine di cui, per Bruno, preda il furioso, individuo eccezionale, che si erge sulla statura degli altri esseri umani e compie da solo il suo cammino aspro e irto di difficolt, per pochi eletti. I cani raggiungono Atteone e cominciano a fare strazio delle sue carni, mentre egli rivolge intorno sguardi supplici e imploranti e fa rimbombare i noti gioghi di tri- sti lamenti che non sono n umani n animali (Gemit ille, sonumque,/ etsi non hominis, quem non tamen edere possit/ cervus, habet, vv. 237-239; Lui geme, e lo fa con dei suoni che, anche se non sono umani, pure un cervo non li emetterebbe, traduce ledizione Einaudi). Ecco un elemento di consonanza tra Ovidio e Bruno: il furioso un essere a met tra umano e divino. Bruno stesso si sente una creatura angelica, votata alla missione di liberare lumanit dallignoranza e di farla uscire dal periodo di crisi e decadenza nel quale si cacciata senza rimedio. I compagni di caccia di Atteone, ignari, aizzano i cani e invocano il suo nome lamentando che non assista allo spettacolo della preda straziata dai segu- gi. Ma Atteone presente e si sente ancora pi solo (Vellet abesse quidem, sed adest; velletque videre/ non etiam sentire canum fera facta suorum, vv. 247- 248; Lui vorrebbe certo non esserci, ma c; e vorrebbe assistere, non anche sentire la ferocia dei suoi cani, traduce Bernardini Marzolla). Dunque, il furioso, nel momento della sua immersione nel mistero che cerca, ancora pi solo. Gli altri lo vedono ma non lo riconoscono perch conti- Maria Panetta 58 nuano ad adoperare gli occhi come tramiti di conoscenza sensibile, mentre Atteone muto per gli umani e per gli animali ma attinge ormai a una cono- scenza intellettuale dalla quale tutti gli altri sono esclusi. Solo lui consapevole della sua stessa presenza, seppure in modo lacerante e doloroso 16 . Si dice che lira di Diana non fu sazia (ira [...] satiata, v. 252) che quando, per le numerose ferite, Atteone mor: questa la conclusione dellepisodio ovidiano. Interpretazioni del mito venatorio Un filone dellesegesi dantesca riconduce alla punizione di Atteone la pena degli scialacquatori descritta nel canto XIII dellInferno (Pietro Alighieri, lOttimo). Su questa linea si colloca anche Boccaccio nelle Esposizioni sopra la Comedia: coloro, li quali di ricchezza, per lor male adoperare, vengono in estrema povert, siano continuamente afflitti e stimolati, anzi nelle coscienze loro stracciati da amarissime rimorsioni del lor bestialmente aver gittato quello che dovea [...] sostentare e aiutare 17 . In generale, nellallegorismo venatorio della letteratura duecentesca e trecen- tesca, la caccia per lo pi immagine figurata del peccato, delle sue insidie oppure delle lacerazioni che esso produce nella coscienza 18 . Nella vicenda ovidiana, lemblematica successione di colpa e punizione pu essere facilmente interpretata come figurazione morale, nella quale la caccia inevitabilmente peccaminosa che si ritorce sul cacciatore limmagine del pec- cato che si ritorce sul peccatore nei tormenti che, simili ai cani di Atteone, ne lacerano la coscienza. In Petrarca 19 (Nel dolce tempo della prima etade, RVF 23, cio la cosiddetta canzone delle metamorfosi; Una candida cerva, RVF 190) ritroviamo la figu- Appunti sul mito di Atteone negli Eroici furori di Giordano Bruno 16 Cfr. A. CORSANO, Il pensiero di Giordano Bruno nel suo svolgimento storico, Firenze, Sansoni, 1940, p. 225: Atteone il cacciatore divenuto preda, che consegue lappagamento assoluto della infinita sua brama solo a condizione di perdere la sua personale determinatezza per intera, crudele lacerazione e dissoluzione delle membra sue. Motivo, questo, antipetrar- chista. 17 Cfr. G. BOCCACCIO, Esposizioni sopra la Comedia di Dante, a cura di G. Padoan, in ID., Tutte le opere, vol. VI, Milano, Mondadori, 1965, p. 633. 18 Cfr. G. BRBERI SQUAROTTI, Selvaggia dilettanza. La caccia nella letteratura italiana dalle origini a Marino, Venezia, Marsilio, 2000, pp. 329-363. 19 Cfr. M.P. ELLERO, Allegorie, modelli formali e modelli tematici negli Eroici furori di Giordano Bruno, in La rassegna della letteratura italiana, XCVIII, s. VIII, n. 3, 1994, pp. 38-52: il saggio si concentra sullelaborazione bruniana di paradigmi petrarcheschi, sottoli- neando come la trasgressione del mito sia rovesciata in valore positivo quale emblema in chiave erotica della volont di sapere. 59 ra del cervo, sebbene riferita al poeta e non a Laura, ma Laura a sua volta appa- re (RVF 23) come fera bella et cruda, in una significativa metamorfosi della dea del mito, che adombra, in perifrasi, lemblema animale associatole nel sonetto. In entrambi i sonetti il poeta si assimila alloggetto del suo desiderio: in ci probabilmente da riconoscere il principio di ascendenza platonica delli- dentificazione dellamante con lamata, che Petrarca enuncer nel Triumphus Cupidinis con unimmagine che sfrutta ancora una volta un riferimento venato- rio: So de la mia nemica cercar lorme, e temer di trovarla; e so in qual guisa lamante ne lamato si transforme. (TC III 160-162). Lallegoria di Atteone mostra allora non una condanna, bens il culmine di unascesa e una potenziale compenetrazione: il poeta si trasforma in cervo, specchio di quella fera bella et cruda che Laura, altrove dichiaratamente rappresentata come candida cerva. Nella Comedia delle ninfe fiorentine (III 17-18), nella descrizione del suo incontro con le ninfe e dellinnamoramento, il giovane cacciatore Ameto viene identificato da Boccaccio con Atteone nella sua metamorfosi bestiale, perch in tal modo si allude inequivocabilmente al suo stato ancora ferino e selvaggio. A quel punto della sua storia spirituale, Ameto la fiera, il bruto sprofondato nella sensualit della caccia e imbestiato tanto da ritrovarsi cervo preda dei cani della passione e degli appetiti carnali, e lacerato nella coscienza dai tormenti e dalle pene della colpa. Per Brberi Squarotti, nel dialogo Degli eroici furori, lempio cacciatore tebano diviene leroe positivo del furor della filosofia, lemblema pi completo e pregnante dei processi della conoscenza intesa come deificatio, come morte a se stessi per amore, come annullamento dellio contingente che permette il con- tatto intellettuale con il divino 20 . Bruno, per rappresentare leros filosofico assume il tema simbolico convenzionale della poesia damore, che per viene letto e ridefinito in base alla nuova cornice etica ed epistemologica. Questa opera di ridefinizione si sviluppa direttamente come chiosa e commento di testi poeti- ci petrarchisti, secondo la prassi di Lorenzo, Pico, Benivieni e Bembo, che avevano gi abbondantemente sviluppato una allegoresi dottrinale e morale degli stereotipi amorosi lette- rari, con limplicita e ovvia autorizzazione dellesempio dantesco del Convivio 21 . Maria Panetta 20 Cfr. BRBERI SQUAROTTI, Selvaggia dilettanza, cit., p. 348. 21 Ibidem. 60 Quindi, si tratterebbe di una sublimazione programmatica dellamore fisico e spirituale della tradizione in appetito intellettuale 22 . Bruno recupera, dunque, il mito venatorio ovidiano attraverso le versioni della letteratura erotica, ma, per trasfigurare lamante cacciatore nellemblema della tensione trascendente al sapere, Bruno lo associa a un altro sostrato simbo- lico e lo collega a unaltra tradizione, a lui ben presente e particolarmente vici- na, nella quale la caccia era limmagine della speculazione, della sete di cono- scenza e in generale dellattivit teoretica e gnoseologica. Decisiva, per lac- quisizione di questa ulteriore simbologia venatoria, la mediazione del neopla- tonismo ficiniano 23 , sempre a giudizio di Brberi Squarotti: per provarlo baste- rebbe leggere la pagina del commento al Simposio di Marsilio Ficino in cui, come chiosa e amplificazione della definizione platonica di Eros come caccia- tore formidabile (Thereuts deins), viene sviluppata in forma di metafora le- quazione fra la caccia e il furor della filosofia 24 . Conclusioni Atteone rappresenta lamore per la conoscenza, che guida il filosofo a com- piere unesperienza eccezionale, un percorso straordinario verso lunione con la natura unigenita, verso labbraccio impossibile con linfinito. Questo amore frutto di unimpossibilit a priori condannato a essere frustrato, e la tensione poetica trova alimento proprio in questo processo di negazione, nella predeter- minata inafferrabilit delloggetto desiderato. DAltro canto, per, pi si inse- gue la preda invano, pi il desiderio delloggetto aumenta, tantopi che il furio- so si infiamma, s, per le cose conosciute e viste, ma anche per quelle ignote e mai viste. Nel furioso convivono, dunque, la consapevolezza della propria finitudine e la necessit di rifiutare ogni conoscenza parziale 25 . Egli dissipa, senza riguar- do, ogni energia fisica e materiale per aprirsi a una nuova vita, tutta immersa in una dimensione intellettuale. Come la farfalla, egli attratto dalla luce, dalla fiamma che pu togliergli in un momento lesistenza. Ma, nonostante ci, desi- dera svanire nelle fiamme dellardore amoroso. Appunti sul mito di Atteone negli Eroici furori di Giordano Bruno 22 Ivi, pp. 348-349. 23 Ivi, p. 349. 24 Cfr. M. FICINO, El libro dellAmore, VI, X 8-13. Per una lettura dellAtteone bruniano attenta alle implicazioni platoniche e neoplatoniche, cfr. W. BEIERWALTES, Atteone. Su un sim- bolo mitologico di Giordano Bruno, in ID., Pensare lUno. Studi sulla filosofia neoplatonica e sulla storia dei suoi influssi, trad. di M.L. Gatti, introduzione di G. Reale, Milano, Vita e Pensiero, 1992 2 , pp. 360-368. 25 Cfr. N. ORDINE, La soglia dellombra, cit., p. 140. 61 Lincontro con Diana e lo smembramento provocato dai cani trasformano in maniera radicale lesistenza del mitico cacciatore, che da uom volgare e com- mune, dovien raro et eroico. Proprio nella perdita della vita si configura la nascita a una nuova vita, il vivere intellettualmente. Diana, la dea della contemplazione, rappresenta la natura infinita attraverso cui si manifesta la divinit assoluta, incarnata nella luce di Apollo. E soltanto nellincontro con Diana, Atteone scopre che quella divinit che tutto in tutto, che anima ogni cosa, gli appartiene, parte di lui e dal di dentro lo vivifica, come dal di dentro vivifica tutto ci che esiste. Dietro una terminologia impregnata di neoplatonismo, il Nolano assimila di fatto il mondo intelligibile alluniverso infinito 26 . Lunica conoscenza possibile per luomo quella concepita nellorizzonte umbratile della natura. Lo sforzo di Atteone, infatti, si risolve in una visione straordinaria, concettuale, che permette a un essere finito, attraverso un percorso eroico, di contemplare per un momento linfinit delluniverso 27 . Maria Panetta 26 Ivi, pp. 142-143. 27 Ivi, p. 143. 62