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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

INCONTRO DI STUDI

Il contenzioso civile in materia di successioni e divisioni

Roma, 17 19 ottobre 2011

RELAZIONE

Tecniche di conduzione del giudizio di divisione tra teoria e prassi.

Maria Luisa Rossi giudice del tribunale di Roma

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1 Premessa.
Nellanno 2005, stato presentato, davanti alla Corte di Appello di Campobasso, un ricorso per lequa riparazione per leccessiva durata di un processo di divisione ereditaria. Iniziato nel 1962, il processo di primo grado terminato nel 2004. Nel corso dei 42 anni di durata della causa, vi sono state 155 udienze istruttorie, sono stati nominati sei consulenti tecnici, che hanno provveduto al deposito della relazione in termini oscillanti tra i 169 e i 4925 giorni, sono decedute tre delle parti originarie ed anche un avvocato, la sentenza stata pubblicata nel settembre 2004. Stremate, le parti non hanno osato proporre appello. Il processo di Teramo, di certo, rappresenta un caso limite; tuttavia, le cause di divisione, e quelle di beni caduti in successione in particolare, sono naturalmente destinate a permanere per un tempo maggiore sui nostri ruoli. La complessit dellistruttoria sulle domande che quasi sempre precedono la richiesta di scioglimento della comunione, la necessit di espletare indagini tecniche (con le immancabili critiche, osservazioni e chiarimenti), il ricorso alla sentenza non definitiva (a volte pi duna nel corso del giudizio) per decidere delle numerose questioni preliminari e, infine, i tempi delle procedure di vendita allincanto, appaiono incompatibili con una breve durata del processo e inducono a ritenere che il precetto dellart. 111 Cost. debba essere, per questo tipo di giudizi, diversamente calibrato. In queste controversie, inoltre, interferiscono le vicende personali delle parti che, come nel contenzioso dei rapporti familiari e in quello del lavoro, si legano fortemente alle questioni giuridiche, determinando la nascita della controversia e condizionandone lo svolgimento e la conclusione. Come ben sappiamo, infatti, nelle divisioni ereditarie entrano pesantemente in gioco i conflitti non risolti nellambito familiare, gli antichi rancori, le gelosie fra fratelli, cos come quelle tra ex coniugi sono condizionate dalle battaglie gi disputate, o ancora in corso, davanti al giudice della separazione e del divorzio. Tuttavia, ritengo che il tentativo di conciliazione, a dispetto della modifica dellart. 183 cpc, sia un passaggio obbligato (seppure

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impegnativo per tempi ed energie da investire) per questo tipo di controversie: il contatto con le parti, il recupero della trattazione orale del procedimento, la possibilit di interloquire con gli altri soggetti del processo e, a volte, di riuscire ad entrare nel conflitto per risolverlo, senza sacrificare la dignit di nessuna delle parti, rappresenta uno dei rari momenti in cui il giudice civile pu allontanare da s lo spettro della incombente burocratizzazione della funzione. E certamente vero che per fare un buon processo di divisione occorre un tempo non breve; ma ci non implica che i tempi di definizione non si possano controllare anche al fine di arginare comportamenti apertamente o velatamente dilatori di chi , ad esempio, nel godimento dei beni comuni e non intende rinunciare alla propria posizione di vantaggio rispetto agli altri condividenti. Nel 2006 le sezioni unite della Cassazione, pronunciandosi sul giudizio di divisione ereditaria, hanno chiarito che le caratteristiche del relativo procedimento rappresentate dalla necessit di porre fine alla comunione con riferimento all'intero patrimonio del de cuius non sono di per s sufficienti a giustificare deroghe alle preclusioni tipiche stabilite dalla legge per il normale giudizio contenzioso. (Nella specie, sono state dichiarate inammissibili, ai sensi dell'art. 167, secondo comma, c.p.c. le domande di nullit o di simulazione dirette a far rientrare determinati beni nell'asse ereditario proposte, per la prima volta, in sede di discussione del progetto divisionale sentenza n. 14109 del 20 giugno 2006). Lo studio del fascicolo, fin dalla prima udienza, ed il controllo costante del procedimento da parte del giudice, possono aiutare a contenere i tempi di durata del processo. Pu risultare particolarmente utile, in particolare, la redazione di schematici appunti sulle domande ed eccezioni introdotte dalle parti, con la evidenziazione delle questioni in diritto che possono o debbano essere decise in via preliminare o che, comunque, non necessitano di istruttoria. Gli appunti sulla causa, anche se stringati, costituiscono una guida per percorrere con maggiore speditezza il contenuto delle memorie dellart. 183 sesto comma e spunti utili per la redazione della motivazione sia delle ordinanze istruttorie che della sentenza.

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Per ragioni di brevit, non essendo possibile analizzare, nel tempo a disposizione, tutti i passaggi del procedimento divisorio, mi soffermer solo su alcuni degli aspetti delle problematiche che, pi di frequente, il giudice si trova ad affrontare nel corso della istruttoria.

2 QUESTIONI DA ESAMINARE NELLA FASE INIZIALE DEL GIUDIZIO


2.1 LA CERTIFICAZIONE IPOCATASTALE VENTENNALE

Prima di ogni altra indagine, il giudice deve accertare lesistenza della comunione, per poter poi valutare lintegrit del contraddittorio. Pu essere utile, nella prima udienza di comparizione, rammentare, con espressa indicazione nel verbale, lonere, a cura della parte pi diligente - giacch linteresse alla divisione prescinde dalla posizione processuale assunta nel giudizio - di depositare la certificazione ipocatastale ventennale ovvero la relazione notarile sostitutiva in relazione agli immobili da dividere. La prova della titolarit della compropriet e della integrit del contraddittorio si pone come prius imprescindibile rispetto alla fase istruttoria del giudizio e come un onere a carico delle parti. Cos come onere delle parti indicare i beni dei quali si chiede la divisione. Spesso, le parti chiedono al tribunale di accertare la consistenza dellasse ereditario ovvero dei beni comuni. Ma la tendenziale finalit del giudizio di divisione di porre fine allo stato di comunione con riferimento all'intero patrimonio relitto del de cuius non pu prescindere dal fatto che: a) il giudice non pu andare alla ricerca di beni da ritenere inclusi nel patrimonio relitto dal de cuius e non indicati dalle parti come elementi della massa ereditaria da dividere; b) il giudice, senza una domanda della parte, non pu considerare come facenti parte della comunione ereditaria beni la cui esistenza risulta acquisita al giudizio, ma che, in base ad un titolo formalmente valido, devono considerarsi estranei al patrimonio relitto dal de cuius. (sezioni unite 2006 cit.)

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Ci posto, nel caso di inottemperanza allonere probatorio, che rende inutile il prosieguo della fase istruttoria, il processo deve avviarsi a conclusione. In questi casi, le risposte dei vari uffici giudiziari non sono uniformi. Per evitare una pronuncia di rigetto nel merito, consentire la riproposizione della domanda senza necessit di appellare, evitare il rischio della formazione del giudicato, il Tribunale di Roma ha ritenuto di adottare una pronuncia di improponibilit della domanda. Si tratta di una soluzione che pu non soddisfare pienamente in punto di diritto, ma che rappresenta una sorta di compromesso tra la sanzione per linerzia processuale e la necessit di tutelare le parti e il diritto di queste di sciogliere la comunione ed ottenere la quota che loro spetta. Questa soluzione passata al vaglio della locale corte di appello, che ha ritenuto di condividere lorientamento del giudice di primo grado, rilevando che la decisione trova fondamento, oltre che sulla regola generale

secondo cui la divisione pu essere domandata soltanto da ciascuno dei coeredi (articolo 713 c.c.) ovvero dei comunisti (articolo 1111 c.c.), sicch l'esistenza della menzionata qualit costituisce indispensabile condizione dell'azione, la cui ricorrenza va verificata d'ufficio, sul principio dell'universalit della divisione, del quale espressione l'articolo 784 c.p.c., ove stabilito che le domande di divisione ereditaria e di scioglimento di qualsiasi altra comunione debbono essere proposte in confronto di tutti gli eredi o condomini e dei creditori opponenti se vi sono, avuto riguardo al disposto dell'articolo 1113 c.c. Di guisa che, incombendo dunque sul giudice adito con la domanda di divisione la doverosa verifica officiosa, per un verso, della qualit di coerede-comunista in capo a colui il quale formula la domanda, nonch, per altro verso, dell'integrit del contraddittorio, con riguardo a tutti i possibili litisconsorti necessari, indispensabile che la parte attrice depositi la documentazione a tal fine necessaria: la medesima documentazione, in breve, che occorre al creditore procedente (oltre al titolo esecutivo) per sottoporre ad esecuzione forzata immobiliare i beni del debitore alla stregua di quanto previsto dall'articolo 567 c.c., ossia l'estratto del catasto, nonch i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all'immobile pignorato effettuate nei venti anni anteriori alla trascrizione del pignoramento, o, altres, un certificato notarile attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari. Documentazione, quella indicata, per l'appunto necessaria a verificare che le parti stiano dividendo beni effettivamente ed oggettivamente propri (e non semplicemente beni tra le parti incontestatamente propri) e che non vi siano altri soggetti titolari della qualit di litisconsorti necessari. (Corte di appello Roma

n.2480/11).

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Tuttavia, alla pronuncia di improponibilit si deve pervenire solo quando le parti, bench avvertite dal giudice, che deve lealmente dirigere il procedimento, si rendano inadempienti. I tempi per lacquisizione della documentazione potrebbero non essere compatibili con i termini dellart. 183 c.p.c., soprattutto nei casi in cui vi sia una pluralit di beni situati in luoghi diversi. In queste ipotesi, il ritardo pu essere scusabile e , per questo, opportuno consentire alle parti il deposito della documentazione anche oltre la scadenza del secondo termine dellart. 183, entro la data delludienza per la decisione sulle istanze istruttorie e, comunque, prima di conferire lincarico al consulente tecnico dufficio. Lesigenza di assicurare alle parti una risposta di merito che valga a risolvere il conflitto rispetto ad una sbrigativa pronuncia, in rito, che si risolve in denegata giustizia, deve ritenersi assolutamente prevalente. Altre soluzioni sono state adottate da altri uffici giudiziari. Ad esempio, alcuni giudici del Tribunale di Napoli, nei casi di mancanza della documentazione che provi il titolo della contitolarit dei beni, pronunciano sentenza di rigetto della domanda. Questa decisione, rigorosa in linea di diritto, conduce, per, per quanto sopra si detto (rischio di giudicato nel merito), a risultati che potrebbero precludere la possibilit di chiedere lo scioglimento della comunione e di esercitare il relativo diritto potestativo. Altri distinguono tra la mancata produzione del titolo di propriet (non potendo ritenersi sufficienti n il testamento, n la denuncia di successione, n la certificazione catastale ) che conduce al rigetto e la mancanza delle visure ipocatastali che impedisce laccertamento della presenza di iscrizioni o trascrizioni sui beni. In questo caso, non vi sono ostacoli ad una pronuncia di divisione ma la sentenza potrebbe non essere opponibile ad eventuali creditori ed aventi causa. Nella ipotesi di impugnazione della sentenza definitiva che abbia negato il diritto di procedere allo scioglimento della comunione, in caso di accoglimento del gravame, le successive operazioni divisionali dovranno svolgersi dinanzi al giudice dappello, non rientrando questa tra le ipotesi di rimessione della causa al giudice di primo grado ex artt. 353 e 354 c.p.c.. (Cass. n. 733/82). Va da ultimo osservato che lelemento caratterizzante ai fini del litisconsorzio necessario di cui allart. 784 c.p.c. la partecipazione alla

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comunione (contitolarit dei diritti comuni) e non la qualit di erede in s considerata; ne deriva che, nell'ipotesi di cessione di quota ereditaria, litisconsorti necessari nel giudizio di divisione sono i cessionari e non gli eredi ceduti, i quali, essendo usciti dalla comunione ereditaria e non pi partecipandovi, sono privi di legittimazione in ordine alla divisione (Cass. n. 5281 del 06 agosto 1983 ; Cass. n. 12242 del 06 giugno 2011 ). Diversa lipotesi di cessione di diritti su singoli beni. In questo caso, infatti, non si verifica alcun effetto di scioglimento della comunione, neppure parziale, ma i diritti ceduti continuano a far parte della

stessa comunione, restando l'acquisto del terzo subordinato all'avveramento della condizione che essi in sede di divisione siano assegnati al coerede che li abbia ceduti (v. Cass. 10 marzo 1990, n. 1966; Cass. 1 luglio 2002, n. 9543 ed anche Cass. 15 giugno 1988 n. 4092): tale condiviso orientamento comporta dunque che se un coerede pu alienare a terzi in tutto od in parte la propria quota, tanto produce effetti reali se ed in quanto l'acquirente venga immesso nella comunione ereditaria, mentre in caso diverso la vendita avr solo effetti obbligatori, salvo che la vendita del singolo bene non abbia avuto a presupposto un atto di scioglimento della comunione ereditaria, anche implicito in ordine a tale bene.(Cass. n. 3385 del 15 febbraio 2007 ).

2.2 CREDITORI E AVENTI CAUSA

La norma dellart. 784 cpc litisconsorzio necessario dettata per le divisioni ereditarie e per le domande di scioglimento di qualsiasi comunione , indica quali consorti necessari, oltre ai condividenti, i creditori opponenti, se vi sono. La disposizione va letta in combinato con la norma dellart. 1113 cod.civ. che disciplina lintervento nella divisione dei creditori ed aventi causa. La ratio della norma dellart. 1113 cod.civ. sta nella esigenza di tutelare i creditori e gli aventi causa di un condividente che dalla divisione potrebbero avere un danno se al loro debitore o dante causa venisse assegnata una porzione di valore inferiore rispetto al valore della relativa quota indivisa oppure un bene diverso rispetto a quello di cui il dante causa abbia disposto. Dalla necessit di mantenere intatta la garanzia patrimoniale, a seconda dei casi, generica o specifica, per quanto riguarda i creditori oppure il proprio acquisto, per quanto attiene agli aventi causa,

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deriva l'interesse ad intervenire nella divisione per controllare la regolarit delle operazioni divisorie . Il primo comma dellart. 1113 cod.civ. riguarda i creditori e gli aventi causa da un condividente, che non fondino il loro diritto su un titolo iscritto o trascritto in data antecedente alla trascrizione della divisione; questi soggetti possono intervenire nella divisione a proprie spese. A norma del terzo comma, invece, devono essere chiamati ad intervenire i creditori e gli aventi causa che siano conosciuti o conoscibili perch muniti di titolo iscritto o trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda di divisione. Lart. 1113 cod. civ. riguarda le iscrizioni e trascrizioni sulla quota indivisa di uno solo dei condividenti. Lipoteca iscritta contro il comune dante causa dei condividenti o costituita da tutti i comunisti (per un debito di terzi, di uno o di tutti i partecipanti alla comunione) non pu mai essere pregiudicata dalla divisione, qualunque sia lipotesi divisoria cui si pervenga. Lipoteca continua a gravare per lintero credito su tutta la cosa se questa assegnata ad uno solo dei condividenti e, in caso di divisione materiale, il creditore potr promuovere lesecuzione nei confronti dei vari comproprietari, procedendo sempre per lintero, come se la divisione non fosse avvenuta (art. 2809 cod. civ.). Il creditore ipotecario che, chiamato nel giudizio di divisione a norma dell'art. 1113, terzo comma, cod. civ., non ritenga di partecipare al giudizio, non assume la qualit di litisconsorte e, pertanto, non necessaria la integrazione del contraddittorio nei suoi confronti nelleventuale giudizio di appello. In proposito, spiega la Corte, la tutela processuale dellinteresse del creditore a prevenire, in generale, atti fraudolenti di disposizione del patrimonio, riconosciutogli dalla norma dell'art. 2901 cod. civ. e, in particolare, allorquando trattasi di credito garantito dalla ipoteca su beni indivisi, a far s che il diritto reale di garanzia costituito sulla quota di uno dei partecipanti alla comunione, produca concretamente gli effetti suoi propri nelle varie ipotesi previste dall'art. 2825 cod. civ., si esaurisce del tutto con il mancato intervento, quale indice di disinteresse per il processo divisionale (Cass. 6 luglio 2001 n.7485).
2.3 LA TRASCRIZIONE DELLA DOMANDA DI DIVISIONE

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Alla previsione dellart. 1113 cod. civ. collegata la questione della trascrizione della domanda giudiziale di divisione. La trascrizione della domanda un onere per le parti e non requisito di procedibilit; ai sensi dellart. 2646 cod. civ., essa rileva ai fini della opponibilit della divisione nei confronti dei terzi. In difetto di trascrizione della domanda giudiziale di divisione, gli effetti divisori non saranno opponibili ai creditori ed aventi causa che avranno iscritto o trascritto lacquisto anche dopo linizio del giudizio e fino alla trascrizione del provvedimento giudiziale che chiude il processo. La trascrizione della domanda giudiziale di divisione esime i partecipanti alla comunione dall'onere di chiamare in giudizio i loro aventi causa che abbiano trascritto il proprio titolo posteriormente e i creditori che abbiano trascritto anche posteriormente l'opposizione di cui all'art. 1113 cod. civ., ma non rende inefficace l'ipoteca iscritta successivamente, in quanto non opera leffetto di prenotazione. E stato opportunamente evidenziato che la trascrizione della domanda giudiziale di divisione non rileva ai fini di quanto previsto dallart. 2644 cod. civ. Ed invero, attesa la natura dichiarativa della divisione, per cui la propriet esclusiva dei beni assegnati al condividente non rappresenta il risultato di un trasferimento delle quote indivise degli altri condomini, ma si considera acquisita al patrimonio del condividente sin dal momento in cui la comunione sorta, la pubblicit della divisione non pu essere disposta per gli effetti di cui allart. 2644 c.c. Lart. 2644 c.c. non potrebbe trovare applicazione nei conflitti tra lassegnatario di un determinato bene e chi avesse acquistato diritti da altro condividente sullo stesso bene. Se, infatti, latto di alienazione anteriore alla divisione esso, in base allart. 757 c.c., sottoposto alla condicio iuris della assegnazione del bene al disponente e quindi medio tempore non neppure trascrivibile. Se lalienazione (da parte di un condividente diverso dellassegnatario) successiva alla trascrizione, lacquirente avente causa da un soggetto che non avrebbe alcun titolo per costituire o trasferire il diritto in virt dellefficacia dichiarativa della divisione; e tale vizio non pu essere sanato dalla trascrizione. Gli effetti della trascrizione della domanda di divisione vanno dunque individuati, oltre che in relazione allosservanza dellonere della

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continuit, in relazione allart. 1113 c.c. Lart. 2646 cod. civ. tutela, infatti, gli aventi causa da uno o pi condomini che abbiano trascritto il loro titolo prima della trascrizione della divisione, i creditori ipotecari di uno o pi condividenti che abbiano iscritto ipoteca sulle quote indivise o su beni determinati e i creditori chirografari che abbiano trascritto lopposizione prevista dallart. 1113 cod. civ. Nel caso in cui i condividenti non trascrivano la domanda giudiziale, la divisione non sar opponibile ai soggetti sopra indicati.

3 QUESTIONI RELATIVE AI BENI OGGETTO DELLA COMUNIONE


3.1 MASSE PLURIME

Nello stesso giudizio pu essere chiesto lo scioglimento di beni provenienti da titoli diversi. Lammissibilit del cumulo nel medesimo giudizio stata pi volte affermata dalla Corte di Cassazione. Tuttavia, altrettanto consolidato il principio per cui quando i beni in godimento comune provengono da titoli diversi non si realizza ununica comunione, ma tante distinte comunioni quanti sono i titoli di provenienza; ciascuna massa costituisce quindi unentit patrimoniale a s stante. Dunque, i diritti di ciascun condividente vanno valutati con riferimento a ciascuna comunione e, nellambito di ciascuna di esse, debbono essere risolti tutti i problemi particolari relativi alla formazione dei lotti, alla comoda divisibilit, alla collazione, etc.(Cass. 3014/81, Cass. 13009/07). E per possibile procedere ad una sola divisione, piuttosto che a tante divisioni per quante sono le masse, purch tutte le parti vi consentano e la volont delle stesse risulti da un atto scritto (atto pubblico o scrittura privata ), non essendo sufficiente un comportamento tacito, una mera acquiescenza, una non contestazione avverso la richiesta di uno scioglimento unitario (fra le pi recenti, Cass.314/09 e 3029/09). Il problema si pone, con frequenza, nei casi in cui le parti intendano regolare la successione di entrambi i genitori. Ed ancor pi frequente il caso in cui le distinte successioni abbiano ad oggetto i medesimi beni (o per la contitolarit originaria dei beni in capo ad entrambi i de cuius,

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ovvero perch la seconda successione, in ordine cronologico, ha ad oggetto esclusivamente la quota dei beni della prima successione). In questa ipotesi, si pu richiamare il principio espresso da Cass. 1962/66 nulla vieta che - ove le parti non abbiano regolato convenzionalmente le La definizione di tutto il complesso dei rapporti tra i coeredi (nei casi in cui non vi siano da risolvere questioni ulteriori che attengano alla integrit della quota riservata o alla necessit di operazioni di collazione ) sembra una soluzione di buon senso che pu prescindere dalla formale proposizione di due distinte domande di divisione.

rispettive ragioni - entrambe possano essere sciolte contestualmente, anche allo scopo di evitare, per quanto possibile, l'eccessivo frazionamento dei beni stessi.

3.2 IMMOBILI ABUSIVI

Tra i compiti da affidare al consulente tecnico dufficio v quello di accertare la regolarit urbanistica ed edilizia dei beni. La sanzione di incommerciabilit dei beni realizzati contra legem opera, infatti, anche nei giudizi di scioglimento di comunione (anche ereditaria, giudiziale o contrattuale) in quanto si tratta di atti inter vivos e non si pu consentire alle parti di ottenere, allesito di un giudizio, gli effetti sostanziali vietati allautonomia privata. Secondo Cass. 17 gennaio 2003 n.630, Anche in tema di scioglimento della comunione di diritti reali, disciplinata dall'art. 1111 cod. civ., si applica la nullit prevista dall'art. 17 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 con riferimento a vicende negoziali "inter vivos" relative a beni immobili privi della necessaria concessione edificatoria. Tale nullit ha carattere assoluto (ed quindi rilevabile d'ufficio e deducibile da chiunque vi abbia interesse) in quanto quel regime normativo, sancendo la prevalenza dell'interesse pubblico alla ordinata trasformazione del territorio rispetto agli interessi della propriet e mirando a reprimere ed a scoraggiare gli abusi edilizi, limita l'autonomia privata e non d alcun rilievo allo stato di buona o mala fede dell'interessato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza della Corte d'Appello che aveva rigettato la domanda di divisione giudiziale della comunione di un appezzamento di terreno sul quale erano stati realizzati manufatti abusivi). Va per rilevato che

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a)

il problema si pone per gli immobili costruiti dopo il 1 settembre 1967. Per quelli anteriori il problema di documentarne la regolarit urbanistica non rilevante in quanto lart. 40 della l. 28 febbraio 1985 n. 47, ancora vigente, prevede, per le opere iniziate anteriormente al 1 settembre 1967, che, in luogo degli estremi della licenza edilizia, pu essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l'opera risulti iniziata in data anteriore al 2 settembre 1967. per gli immobili realizzati tra il 1 settembre 1967 e il 17 marzo 1985, data di entrata in vigore della legge 47, lart. 40, a differenza dellart. 17, relativamente agli immobili realizzati in epoca anteriore allentrata in vigore della legge, non contempla tra gli atti vietati anche lo scioglimento delle comunioni, le quali possono quindi essere dichiarate, anche in assenza di concessione edilizia (sul punto, si vedano Cass. n.15133/01 che, in motivazione , precisa: non pu restare senza rilievo il fatto che nel

b)

caso in esame si tratta di scioglimento di comunione ereditaria, poich la norma che si assume violata, pur riguardando anche gli atti di "scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti", limita espressamente il proprio campo oggettivo di applicazione ai soli "atti tra vivi", lasciando, quindi, al di fuori tutta la categoria degli atti mortis causa. invero, evidente che, come esattamente osservato da autorevole dottrina, la divisione ereditaria, pur attuandosi dopo la morte del de cuius, costituisce l'evento terminale della vicenda successoria e, quindi, rispetto a questa non pu considerarsi autonoma. Tale rilievo trova conferma nel dato positivo offerto dall'art. 757 cod. civ., che assegna efficacia retroattiva alle attribuzioni scaturenti dall'atto divisionale.; si veda pure Cass. n.14764/05 e la pi recente Cass. n.2313/10).

c)

Ove l'immobile sia stato realizzato dopo il 18 marzo 1985 e risulti abusivo, esso sar indivisibile, perch incommerciabile, ai sensi dellart. 46 dpr 380/01 che ha abrogato e sostituito lart. 17 della legge 47/85 ( Nullit degli atti giuridici relativi ad edifici la cui costruzione abusiva sia iniziata dopo il 17 marzo 1985: Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante,

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gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servit). Tuttavia, non ogni abuso edilizio determina lincommerciabilit del bene. La sanzione deve ritenersi riferita alle ipotesi di assenza della concessione o di totale difformit dalla stessa, perch la normativa prevede espressamente queste due sole ipotesi.

3.3 IMMOBILE ADIBITO A CASA CONIUGALE ED ASSEGNATO AD UNO DEI CONIUGI IN SEDE DI SEPARAZIONE

Va premesso che recentemente, con la sentenza n. 4757 del 2010, la Corte di Cassazione ha affermato che Il passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale (o l'omologazione di quella consensuale), che rappresenta il fatto costitutivo del diritto ad ottenere lo scioglimento della comunione legale dei beni, non condizione di procedibilit della domanda giudiziale di scioglimento della comunione legale e di divisione dei beni, ma condizione dell'azione. Conseguentemente, la domanda proponibile nelle more del giudizio di separazione personale, essendo sufficiente che la suddetta condizione sussista al momento della pronuncia. Alcuni commentatori, prendendo spunto dalla pronuncia hanno auspicato la possibilit di una rapida definizione anche della domanda di divisione proposta nel giudizio di separazione personale. Decisa, con sentenza parziale, la domanda di separazione e favorito il passaggio in giudicato della stessa (che sar raggiunto assai spesso per acquiescenza, laddove entrambe le parti abbiano formulato domanda di separazione), si pu giungere alla pronuncia finale, anche sulla divisione, quando la condizione dellazione ovvero la fattispecie di scioglimento si perfezionata. Ed invero, nei casi (pi frequenti) nei quali il patrimonio comune dei coniugi costituito esclusivamente dallimmobile adibito a casa coniugale, la soluzione auspicata risulta pienamente condivisibile: senza oneri ulteriori derivanti dalla introduzione di un altro giudizio, senza ritardare la pronuncia relativa allo scioglimento del vincolo

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personale, allesito di un accertamento che si profila estremamente semplice e rapido (accertare il valore di mercato e la eventuale divisibilit), le parti potrebbero raggiungere la definizione complessiva dei rapporti e ridurre i rischi di incremento del contenzioso inevitabilmente collegati alla permanenza della comunione. Ci posto, nella fase istruttoria, il giudice deve porsi il problema della valutazione del bene che sia stato assegnato ad uno dei coniugi in sede di separazione o divorzio. Va, infatti, ricordato che il provvedimento di assegnazione della casa coniugale in compropriet, in sede di separazione o divorzio, non dostacolo alla richiesta di scioglimento della comunione, ma pu incidere solo sul valore di mercato del bene. Le modifiche della legge 54 del 2006 e, in particolare, la introduzione dell'art.155 quater cod. civ., con la espressa previsione dellassegnazione del godimento tenendo prioritariamente conto dellinteresse dei figli, hanno confermato la connessione tra affidamento dei figli ed assegnazione della casa coniugale. La Corte ha precisato che il godimento della casa familiare finalizzato alla tutela della prole in genere e non pi all'affidamento dei figli minori, mentre, in assenza di prole, il titolo che giustifica la disponibilit della casa familiare, sia esso un diritto di godimento o un diritto reale, del quale sia titolare uno dei coniugi o entrambi, giuridicamente irrilevante e quindi, in assenza di figli, il giudice non potr adottare con la sentenza di separazione un provvedimento di assegnazione della casa coniugale (nella specie, la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito, il quale, in assenza di figli, ha negato che si potesse disporre in ordine all'assegnazione della casa coniugale, ed ha rinviato alle norme sulla comunione ed al relativo regime per l'uso e la divisione, essendo detta abitazione di propriet comune di entrambi i coniugi Cass. 24 luglio 2007 n. 16398). La connessione determina la inopponibilit del provvedimento disposto su accordo delle parti in sede di giudizio di separazione, in assenza di figli minori o maggiori non autosufficienti, sia ai terzi acquirenti, sia al coniuge non assegnatario. Con la recente pronuncia 4735 del 25 febbraio 2011, la Corte ha ribadito che l'opponibilit ancorata all'imprescindibile presupposto che il coniuge assegnatario della casa coniugale sia anche affidatario della prole, considerato che in caso di

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estensione dell'opponibilit anche all'ipotesi di assegnazione della casa coniugale come mezzo di regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, si determinerebbe una sostanziale espropriazione del diritto di propriet dell'altro coniuge, in quanto la durata del vincolo coinciderebbe con la vita dell'assegnatario. (Nella specie la Corte ha confermato la pronuncia di merito che, in accoglimento della domanda di divisione, constatata la non comoda divisibilit dell'immobile e l'assenza di domande di assegnazione, aveva disposto la vendita all'incanto, dopo aver accertato l'inopponibilit al terzo, futuro acquirente, del provvedimento di assegnazione, peraltro trascritto successivamente alla domanda di divisione)( sulla finalit dellassegnazione, vedi pure Cass. 20 aprile 2011 n.9079). A contrario, nellipotesi di assegnazione della casa coniugale conseguente allaffidamento di figli minori o in caso di convivenza con figli maggiorenni non autosufficienti , il bene gravato da un vincolo ( diritto personale di godimento: Cass.5455/03; Cass.4719/06) che sicuramente incide sul valore di mercato, posto che il bene non del tutto libero. Con riferimento a bene comune gravato da provvedimento di assegnazione in sede di separazione o divorzio, il problema che maggiormente ha impegnato linterprete quello della opponibilit del provvedimento ai terzi acquirenti. Dopo varie oscillazioni della giurisprudenza, e allesito di un acceso dibattito dottrinale sul punto, con la sentenza n. 11096 del 2002 le sezioni unite della Cassazione, hanno affermato che il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, opponibile, ancorch non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell'assegnazione, ovvero - ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto - anche oltre i nove anni. Il contrasto si era formato a seguito delle pronunce n. 10977 del 1996 e n. 7680 del 1997, da un lato, e la sentenza n. 4529 del 1999, dall'altro: nelle prime due pronunce si era infatti affermato che l'onere della trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare di cui all'art. 155 c.c., ai fini della sua opponibilit al successivi acquirenti, riguardava, in analogia con la normativa vigente in materia di scioglimento del matrimonio ed ai sensi dell'art. 1599 c.c., la sola assegnazione ultranovennale, salva restando l'opponibilit del

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provvedimento non trascritto nei limiti del novennio. La pronuncia del 1999 invece aveva affermato che la previsione di opponibilit della locazione di immobili al terzo acquirente nel limite temporale suindicato in difetto di trascrizione, contenuta nell'art. 1599 c.c. (secondo cui le locazioni di beni immobili non trascritte non sono opponibili al terzo acquirente, se non nei limiti di un novennio dallinizio della locazione), costituisce disposizione eccezionale non estensibile in via analogica ad altri istituti, e segnatamente all'assegnazione della casa familiare, trattandosi di fattispecie non riconducibile n analoga alla locazione, e che d'altro canto la genericit del richiamo all'art. 1599 c.c. contenuto nell'art. 6 comma 6 della legge sul divorzio - applicabile anche in materia di separazione personale, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 454 del 1989 - non consente di estendere allistituto in discorso la disciplina relativa alle locazioni. La pronuncia delle sezioni unite del 2002 frutto di una articolata ricostruzione dellistituto, della valutazione della portata delle modifiche legislative intervenute (art. 6 comma 6 della legge sul divorzio) e della logica che ha ispirato gli interventi del legislatore e della Corte Costituzionale (sent. 454/84). La Corte ha evidenziato che la opponibilit al terzo acquirente ai sensi dellart. 1599 cod. civ. rappresenta uno strumento di tutela dell'assegnatario nelle ipotesi di alienazione a terzi dell'immobile da parte dell'altro coniuge proprietario. Il quadro complessivo di riferimento analiticamente ripercorso nella motivazione della pronuncia - conduce a ravvisare nel richiamo all'art. 1599 c.c. contenuto nella norma dellart. 6 della legge sul divorzio, la precisa

volont del legislatore di assimilare ai meri fini della trascrizione il diritto dell'assegnatario a quello del conduttore, cos attribuendo all'istituto un quoziente di opponibilit ai terzi, anche a prescindere dalla trascrizione: peraltro la limitazione di detta assimilazione al solo piano degli e ffetti nel confronti dei terzi vale a rendere non rilevanti al fini in discorso le insopprimibili differenze - che appaiono particolarmente valorizzate nella sentenza n. 4529 del 1999 - in ordine alla natura, alla funzione ed alla durata tra assegnazione e locazione. Ci vale a dire che il legislatore della riforma, operando un bilanciamento, secondo valori etici e criteri socio economici, tra l'interesse del gruppo familiare residuo, e specificamente dei figli minorenni o anche maggiorenni tuttora non autosufficienti, a conservare l'habitat domestico, e quello di natura patrimoniale di tutela dell'affidamento del terzo, oltre quello pi generale ad una rapida e sicura circolazione dei beni, ha ravvisato come elemento di composizione tra le diverse istanze i n conflitto la limitazione nel tempo, in difetto di trascrizione, dell'opponibilit ai terzi del provvedimento di assegnazione. In particolare, l'esigenza di assicurare l'effettivit del godimento

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dell'assegnatario, dando attuazione concreta ad una pronunzia diretta ad incidere - secondo le argomentazioni innanzi svolte - non solo o non tanto sul bene attribuito, ma sulla qualit della vita e sulla serenit dei soggetti deboli del nucleo familiare in crisi, ha chiaramente indirizzato la scelta legislativa ad una tutela avanzata della posizione di detti soggetti rispetto alle contrapposte esigenze innanzi richiamate, accordando al coniuge assegnatario un titolo legittimante comunque opponibile al terzo successivo acquirente, senza soluzione di continuit dal momento dell'emissione del provvedimento, cos da porlo al riparo da iniziative dell'altro coniuge proprietario idonee a frustrare anche immediatamente la statuizione del giudice.

Il principio stato riaffermato dalle successive sentenze n. 12296 del 2005, n.9181 e n. 18574 del 2004 e dalla sentenza n. 4719 del 3 marzo 2006 che , in particolare, ha statuito che il provvedimento opponibile, nei suddetti termini, al terzo acquirente dell'immobile non soltanto la sentenza che definisce il giudizio di separazione o di divorzio, ma anche quello provvisorio (anch'esso comunque trascrivibile), pronunziato dal presidente del tribunale ai sensi dell'articolo 708 c.p.c. e L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 8, e successive modifiche. Ove, infatti, si escludesse il provvedimento , la scelta legislativa sarebbe facilmente eludibile se il provvedimento presidenziale provvisorio di assegnazione della casa coniugale non fosse opponibile e trascrivibile. Ci premesso, se indubbia la rilevanza del vincolo nel rapporto verso i terzi, si pone il problema se il provvedimento di assegnazione, e dunque la riduzione di valore del bene stesso, rilevi nella ipotesi in cui uno dei coniugi avanzi domanda di assegnazione per intero nella propria quota nellambito del giudizio di divisione. Mentre con la decisione n. 11630 del 17 settembre 2001 la Corte lo ritenne irrilevante, con la conseguenza che lassegnazione avrebbe dovuto essere disposta considerando il bene come libero ai fini della sua valutazione economica, con la pi recente sentenza del 15 ottobre 2004 n. 20319, la Corte ha mutato indirizzo concludendo nel senso che il vincolo implica sempre e comunque una decurtazione del valore del bene, e ci ancorch lattribuzione del bene vada in favore del coniuge assegnatario. Osserva la Corte, in particolare, che L'assegnazione della casa familiare a uno dei coniugi, al quale l'immobile non appartiene in via esclusiva, instaura un vincolo (opponibile anche ai terzi comunque per nove anni e senza limite di tempo in caso di trascrizione: cfr., tra le altre, Cass. 2 aprile 2003 n. 5067) che oggettivamente comporta una decurtazione del valore della propriet, totalitaria o parziaria, di cui titolare l'altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane astretto, come i suoi eventuali aventi causa, fino a quando il provvedimento non venga in ipotesi modificato. dunque

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giuridicamente corretto, in sede di divisione, tenere conto di tale decurtazione, come si fatto con la sentenza impugnata, indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena propriet all'uno o all'altro coniuge (o posto in vendita, nel caso di non frazionabilit in natura del patrimonio comune).

L'entit della riduzione una questione di merito rimessa al Giudice. Considerato quanto sopra si detto in relazione al legame tra assegnazione della casa coniugale e affidamento dei figli, tenuto conto della attuale situazione socio-economica che, ottimisticamente, fa presumere, al compimento del 30, il passaggio dalla dipendenza totale dai genitori allautosufficienza, il fattore di correzione del valore del bene potr essere individuato tenuto conto della et dei figli affidati, e di altre eventuali situazioni specifiche di fatto che le parti avranno cura di allegare. Quindi, calcolato il valore del diritto di abitazione in relazione allet del titolare del diritto di godimento (sulla base delle tabelle per lusufrutto ) lo si ridurr, in proporzione al numero di anni necessari al raggiungimento dei 30 anni da parte dei figli.

3.4 BENI NON COMODAMENTE DIVISIBILI RICHIESTA DI ASSEGNAZIONE PLURALITA

Sono numerose le pronunce della Corte sul concetto di comoda divisibilit e sulle soluzioni divisorie che, in ordine prioritario, il codice indica in caso di accertata indivisibilit. E parimenti fermo il principio per cui il problema della indivisibilit si pone solo allorquando oggetto della comunione siano un solo immobile indivisibile ovvero immobili in numero tale da non poter soddisfare tutti i condividenti. Quando la massa dividenda costituita, invece, da beni sufficienti a garantire la formazione di tante porzioni quanti sono i condividenti, senza la necessit di procedere a conguagli eccessivi che sostanzialmente alterino la composizione dei lotti, nessuna rilevanza assume il problema della materiale divisibilit dei singoli beni (Cass. 217/66; Cass. 7700/94) E frequente il caso in cui il Giudice deve decidere a quale dei condividenti assegnare il bene ai sensi dellart. 720 cod. civ. in presenza di una pluralit di richieste.

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Innanzitutto, va precisato che la richiesta di attribuzione pu essere fatta dal procuratore in quanto non si tratta di un atto di disposizione del diritto, ma una mera modalit di realizzazione della divisione e, processualmente, una specificazione della domanda che, come tale non richiede uno specifico mandato, inerendo al petitum sostanziale del giudizio divisorio ed essendo rivolta a porre fine allo stato di comunione (Cass 2630/90). In relazione ai criteri che la norma dellart. 720 cod.civ. indica allinterprete, sfogliando i repertori della giurisprudenza, si trae il convincimento che si andato affermando, in tempi pi recenti, un indirizzo che riconosce al giudice il potere di discostarsi dal criterio legale della quota di maggior valore, purch dia conto, con esauriente motivazione, delle ragioni della scelta e dellapprezzamento che egli ha fatto della singola questione sottoposta al suo esame. Ed invero, mentre in epoca pi risalente, la Corte ha ritenuto possibile la deroga al criterio legale preferenziale solo in presenza di seri e gravi motivi attinenti allinteresse delle parti, di recente appare prevalente lindirizzo contrario compiutamente illustrato nella sentenza Cass. 13 maggio 2010 n.11641: Nell'esercizio del potere di attribuzione dell'immobile
ritenuto non comodamente divisibile, il giudice non trova alcun limite nelle disposizioni dettate dall'art. 720 cod. civ., da cui gli deriva, al contrario, un potere prettamente discrezionale nella scelta del condividente cui assegnarlo, potere che trova il suo temperamento esclusivamente nell'obbligo di indicare i motivi in base ai quali ha ritenuto di dover dare la preferenza all'uno piuttosto che all'altro degli aspiranti all'assegnazione (cos esaminando i contrapposti interessi dei condividenti in proposito), e si risolve in un tipico apprezzamento di fatto, sottratto come tale al sindacato di legittimit, a condizione che sia adeguatamente e logicamente motivato.

Dai motivi attinenti allinteresse delle parti peraltro di difficile individuazione, attesa la sussistenza di un evidente contrasto di interessi dettato dalle confliggenti richieste di assegnazione lattenzione si spostata sui contrapposti interessi. Con la sentenza n. 24053 del 2008, ad esempio, la Corte ha confermato la pronuncia del giudice di secondo grado che aveva assunto come criterio discriminante quello dell'interesse personale prevalente di un condividente, privo di un'unit immobiliare da destinare a casa familiare, rispetto al titolare della quota maggiore che disponeva di altra abitazione. Con la successiva n.22857 del 2009 , la Corte ha confermato la sentenza di merito che - in un giudizio di divisione tra fratelli relativo ad un immobile proveniente dall'eredit paterna - aveva assegnato il bene alla sorella titolare di una quota minore, valorizzando il

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fatto che ella abitava nell'immobile da svariati anni e che non ne possedeva un altro nello stesso luogo, mentre i fratelli vivevano all'estero e uno di loro era proprietario di un altro immobile di sette vani nel medesimo paese.

Ma forse il caso pi frequente, e che richiede maggiore attenzione, quello del conflitto tra richieste di condividenti per quote di pari valore. In questa ipotesi, il giudice che deve effettuare la scelta, senza poter fare affidamento su alcun criterio legale di riferimento, libero di far ricorso anche a criteri extragiuridici da richiamare ed illustrare nella motivazione. Sul punto, deve osservarsi che in base allart. 720 cod.civ., la vendita rappresenta lextrema ratio del processo divisorio ed quindi esclusa la possibilit di superare il conflitto tra pi condividenti con la vendita del bene all'asta ( Cass. 5679/04). In assenza di specifiche allegazioni delle parti - che possono rappresentare particolari esigenze di vita o professionali, od anche morali, come pure le loro differenti condizioni patrimoniali - pu essere prudente il ricorso ad un criterio obiettivo come quello della priorit temporale della richiesta, unito ad una valutazione complessiva del comportamento tenuto dalle parti nel corso del procedimento. In queste ipotesi, sussistendo contrasto fra le parti, lassegnazione potr avvenire solo con la sentenza. Laddove, invece, non vi siano contestazioni in ordine al diritto alla divisione, sulle quote e sulla indivisibilit del bene, nonch sulla richiesta di assegnazione avanzata da uno dei condividenti, il Giudice pu procedere con ordinanza ai sensi dellart. 785 cpc.

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4 VENDITA DEI BENI DESTINAZIONE DEL RICAVATO


La vendita pu essere disposta con ordinanza, se non sorgono questioni sul diritto alla divisione, sullentit delle quote e sulla indivisibilit del bene, oppure, in caso di contestazioni, con sentenza. Sulle modalit della vendita, gli artt. 787 e 788 c.p.c. effettuano un rinvio generalizzato alle norme in tema di espropriazione forzata. Una volta disposta ed eseguita la vendita, il ricavato deve essere distribuito tra i vari condividenti. Nellipotesi in cui la distribuzione dei beni avvenga, in parte, attraverso lassegnazione per intero ad uno o pi condividenti e, in parte, attraverso la vendita, lattribuzione in natura deve avvenire unitamente alla ripartizione del prezzo derivante dalla vendita dellaltro immobile. Lattribuzione del bene indivisibile si realizza, infatti, nel momento finale del giudizio di divisione, quando il giudice provvede a distribuire lintera sostanza nelle varie porzioni. Solo dopo la vendita si pu stabilire qual il valore delle singole quote, rapportate sullintera massa, e, di conseguenza, quale leventuale eccedenza che gli assegnatari d evono versare agli altri condividenti. In presenza di pignoramento di una quota indivisa, la somma spettante dalla ripartizione del ricavato non potr essere attribuita direttamente ai creditori intervenuti, come spesso da questi ultimi richiesto intervenendo nel giudizio (in quanto dovranno essere rispettate le regole della distribuzione nellambito della procedura esecutiva) n al condividente esecutato. Il danaro andr depositato su un libretto bancario vincolato allordine del giudice dellesecuzione. Nellipotesi di bene gravato da ipoteca, ove lo stesso venga assegnato a condividente diverso dal debitore, la garanzia si sposter sul conguaglio in danaro (art. 2825 quarto comma cod. civ.) ed opportuno, anche in questo caso, che si attuino le dovute cautele (ad esempio, deposito del conguaglio su un libretto bancario a cura dellassegnatario). In ogni caso, sia che limmobile venga assegnato ad altro condividente sia che venga venduto a terzi, il bene deve essere libero da pesi e quindi va ordinata la cancellazione dellipoteca (poich per il principio della

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retroattivit della divisione viene meno il potere del condividente di concedere lipoteca). Diversamente, in caso di ipoteca iscritta nei confronti di tutti i condividenti, se il bene deve essere venduto, va necessariamente chiamato in giudizio il creditore ipotecario. In questa ipotesi se i condividenti non ritengano di pagare il debito per cancellare liscrizione ipotecaria, il bene dovr essere posto in vendita gravato da ipoteca.

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5 SORTEGGIO DEI LOTTI


Non frequente che si giunga al sorteggio dei lotti. Pi frequente infatti limpugnazione della sentenza che ha deciso le questioni preliminari controverse e che contiene il progetto divisionale, predisposto dal c.t.u. e fatto proprio dal t ribunale, ovvero da questo riformulato sulla base di fondate contestazioni delle parti. Lart. 729 cod. civ. stabilisce che lassegnazione delle porzioni eguali (la porzione la quota ideale tradotta in quota reale) fatta mediante sorteggio. Al sorteggio per pu procedersi solo quando la sentenza che ha pronunciato lo scioglimento della comunione e stabilito i lotti passata in giudicato (art. 791 cpc). Non devono sussistere, fra le parti, questioni controverse la cui decisione possa influire sul contenuto delle porzioni: leffettiva attribuzione delle porzioni, tramite il sorteggio e il successivo decreto di assegnazione, realizza, infatti, la finalit del procedimento divisorio. Pu essere utile indicare, nella motivazione della sentenza, la possibilit, per le parti, di depositare istanza congiunta di fissazione delludienza per le operazioni di sorteggio, in caso di acquiescenza alla sentenza.

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6 SENTENZE NON DEFINITIVE O DEFINITIVE


Il giudizio di divisione pu dirsi esaurito o con lordinanza con la quale, in mancanza di contestazioni delle parti, si dichiara esecutivo il progetto divisionale, ovvero, in caso di disaccordo, con il compimento delle operazioni tutte di divisione, che si esauriscono o con lassegnazione delle porzioni fra i compartecipi ovvero con la sentenza di approvazione di un progetto in cui sono indicate porzioni eguali, cui deve seguire, al passaggio in giudicato della sentenza stessa, il sorteggio dei lotti (Cass. 4080/86 ; Cass. 3788/94). Prima di raggiungere lo scopo (laccertamento del diritto di ciascun condividente ad una quota ideale e la sua trasformazione in un diritto di propriet esclusiva su una corrispondente porzione di beni) nel processo devono essere decise le questioni controverse che si pongono con carattere di pregiudizialit rispetto alla divisione (qualit di erede nella divisione ereditaria, qualit di compartecipe nella comunione ordinaria, entit delle quote, usucapione del bene comune, eccezioni sollevate con riferimento alle ipotesi previste dagli artt. 713, 714 e 1111 e 1112) o che riguardano la vendita dei beni ; parimenti vanno decise, e anchesse con sentenza, le ulteriori questioni che vengono introdotte nel giudizio di divisione pur essendo da questa distinte (impugnazione testamento, riduzione della quota riservata, resa del conto). Le pronunce sulle questioni preliminari con sentenza producono, inevitabilmente, un allungamento dei tempi del processo, ma devono ritenersi un passaggio obbligato del percorso processuale, perch consentono al giudice di disporre solo e soltanto quegli accertamenti di carattere tecnico indispensabili ai fini del decidere e di evitare di gravare le parti di ulteriori oneri per indagini che potrebbero rivelarsi del tutto inutili. Tutte le sentenze che risolvono questioni incidentali nel corso del giudizio sono non definitive, definitiva solo la sentenza che produce leffetto di assegnare le porzioni di tutti i beni del compendio cos realizzando lo scopo del giudizio divisorio (Cass.n. 11293 del 10 novembre 1998; Cass. 7 marzo 2007 n.5203: Nel giudizio di divisione
ereditaria, costituisce sentenza definitiva soltanto quella che scioglie la comunione rispetto a tutti i beni che ne facevano parte, mentre le eventuali

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sentenze che concludono le singole fase del procedimento hanno carattere strumentale e natura di sentenza non definitiva e sono, come tali, suscettibili di riserva di gravame ai sensi dellart. 340 cod. proc. civ.

La granitica posizione della Corte , sul punto, risale al 6 agosto 1945 (sentenza n.705). La dottrina ha variamente criticato lorientamento giurisprudenziale, ma la Corte ha sempre resistito alle critiche rimarcando il profilo della unitariet del processo che, pur caratterizzato da una pluralit di fasi, tuttavia volto al raggiungimento di un unico risultato, ossia laccertamento del diritto di ciascun condividente ad una quota ideale dell'asse ereditario e la sua trasformazione in un diritto di propriet esclusiva su una corrispondente porzione di beni. Pertanto, finch tali scopi non siano stati integralmente raggiunti, le eventuali sentenze che concludono le singole fasi hanno carattere solo strumentale e non possono considerarsi definitive rispetto al giudizio nel suo complesso (Cfr. Cass., 6 luglio 1977 n. 2983). La sentenza che, dopo aver deciso ogni questione in ordine al diritto e alle modalit della divisione, rimette ad una fase successiva le operazioni di sorteggio delle quote, non realizzando, quindi, direttamente la concreta attribuzione dei beni ai singoli condividenti invece definitiva. In questo caso, infatti, non sono ipotizzabili, secondo lo schema normativo del procedimento divisionale, ulteriori momenti del processo che possano determinare linsorgere tra le parti di questioni di merito diverse da quelle risolte dalla sentenza. Osserva la Corte ( sentenza n. 7129/2001. ): La principale finalit cui deve rispondere il giudizio divisorio che, procedendosi

allo scioglimento della comunione, sia assicurata la formazione di porzioni di valore attuale corrispondente alle quote di partecipazione, esigenza cui si provvede facendo precedere la formazione delle porzioni - che possono avere ad oggetto parti del bene comune, ma anche somme di denaro, pur se non comprese nella massa dividenda come nell'ipotesi del conguaglio - dalla stima dei beni e, se questa risulti effettuata in epoca di troppo antecedente alla decisione, facendo eseguire una nuova stima del bene in relazione al suo attuale effettivo prezzo di mercato. Peraltro, una volta che a tale adempimento siasi proceduto in sede istruttoria e, quindi, siasi provveduto a dichiarare con la sentenza, anche implicitamente, l'intervenuto scioglimento della comunione ed a determinare le porzioni da assegnare a ciascuno dei condividenti in proporzione alle rispettive quote di partecipazione, eventualmente disponendo altres per il successivo sorteggio ove a tale modalit debba farsi ricorso in sede attuativa ex art. 729 CC, con il passaggio in giudicato di tale sentenza il detto risultato conseguito e, come pi non sussiste la comunione dei beni ma solo sussistono ormai le porzioni formate con i beni che ne costituivano l'oggetto, in tal guisa determinate, cos queste sono insuscettibili di modifica in ragione di

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circostanze di fatto sopravvenute, in quanto la divisione ha avuto luogo, si esaurita, e la composizione delle porzioni rimane cristallizzata al momento in cui la sentenza che l'ha stabilita diviene incontrovertibile ed i suoi effetti immutabili. Peraltro, dalla lettura dellart. 791 cpc si evince che la procedura di

estrazione a sorte dei lotti si pone al di fuori del processo divisionale, in quanto presuppone un provvedimento inoppugnabile o un giudicato. E invece non definitiva la sentenza che, accertato il diritto allo scioglimento della comunione ed accertata la indivisibilit dellimmobile, ne dispone la vendita. In questa ipotesi, infatti, lo scopo del giudizio non affatto realizzato, dovendosi tener conto, tra laltro, del fatto che, fino alla emissione del decreto di trasferimento allacquirente, il condividente potrebbe fare richiesta di assegnazione del bene per intero nella propria quota ai sensi dellart. 720 cod. civ. Dopo la pronuncia non definitiva il processo prosegue per effetto dellesecutivit immediata dell ordinanza contenente le disposizioni per lulteriore prosieguo del giudizio. Il contenuto della sentenza non definitiva pu essere modificato solo dalla sentenza di appello, ma non dalla sentenza definitiva che chiude il giudizio. In caso di impugnazione immediata e di accoglimento dellappello avverso una sentenza che abbia riconosciuto il diritto alla divisione, tutti gli atti e i provvedimenti dipendenti dalla sentenza riformata compresa leventuale approvazione del progetto divisionale per mancanza di contestazione (giacch le contestazioni sul diritto alla divisione non sono dostacolo al passaggio alla successiva fase di formazione delle quote Cass. 3636/07) sono travolti.

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7 INCIDENTI CAUTELARI NEL PROCESSO DIVISORIO


Non infrequente il ricorso durgenza ex art. 700 cpc per chiedere limmissione nel possesso esclusivo di un determinato bene facente parte della comunione. Merita di essere segnalata, sul punto, lordinanza del Tribunale di Roma del 25 febbraio 2003 (est. Tedesco) che ha rigettato il ricorso evidenziando che il condividente, che pure ha diritto ad una quota in natura, non pu considerarsi titolare di un diritto predeterminato avente ad oggetto lassegnazione delluno o dellaltro dei beni compresi nella comunione o lattribuzione di una somma di danaro e quando chiede la divisione pu aspirare solo ad un risultato generico consistente nel conseguimento di una quantit di ricchezza, in natura o per equivalente, pari al valore della sua quota. Va parimenti respinto il ricorso ex art. 1105 cod.civ., che va proposto con le forme del rito camerale, come espressamente indicato dalla norma. Ampia e consolidata giurisprudenza di legittimit ha affermato lammissibilit del sequestro giudiziario nel corso del giudizio divisorio (Cass. n. 13546 del 21 dicembre 1992 ). Il ricorso alla misura cautelare pi frequente nei casi in cui la domanda di scioglimento della comunione subordinata allaccoglimento di altre domande. Sussiste una situazione controversa dalla cui decisione pu scaturire una statuizione di condanna alla restituzione o al rilasciodi cosa a qualsiasi titolo pervenuta nella disponibilit di altri, ad esempio nel caso di riduzione della donazione richiesta da un legittimario leso , ovvero in caso di azione diretta ad ottenere la dichiarazione di nullit di una disposizione testamentaria, il cui accoglimento comporti la condanna del detentore alla restituzione dell'immobile oggetto della disposizione medesima (Cass. 19 ottobre 1993 n.10333, vedi pure Cass. 11 settembre 1989 n. 3923). In ipotesi di sussistenza dellulteriore elemento richiesto dalla norma dellart. 670 cpc, ovvero la necessit di amministrazione dei beni e di conservazione dei frutti che i beni stessi sono potenzialmente in grado di assicurare , non rileva leventuale trascrizione della domanda, in quanto la misura cautelare volta al conseguimento di provvedimenti, relativi

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alla custodia e alla gestione del bene, non garantiti dalla trascrizione( Cassazione civile sez. II, 28 aprile 1994, n. 4039).

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