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Zazen

Monaco Zen di scuola St ad Arashiyama , Kyoto nella classica postura dello zazen. Con il termine zazen () si intende un vasto insieme di significati attualmente riferiti, per lo pi, all'ambito delle scuole Zen giapponesi sviluppatesi dalla corrente buddhista nata in Cina tra il quinto e il VI secolo e nota a partire dal IX secolo con il nome generico di Chanjia (), "scuole/famiglie/case del Chan", nome adottato per la prima volta -pare- dal famoso ed eclettico monaco e studioso cinese Zongmi () (780-841)[1]

Indice

1 Origini del termine

2 Zazen nel Buddhismo o 2.1 Il come interiore o 2.2 Il come del corpo 3 Le difficolt della postura 4 Zazen non buddhista o 4.1 In Italia 5 Note 6 Collegamenti esterni

Origini del termine


Con ogni probabilit gli ideogrammi cinesi letti "zazen" in giapponese e traslitterati "zuochan" in cinese, sono stati usati affiancati per la prima volta dal monaco buddhista Kang Senghui, originario della Sogdiana, quando tra il secondo e il III secolo tradusse in cinese il Stra del sedersi nel dhyna col titolo Zuochan jing, . Il termine zuochan/zazen/ fu comunque certamente usato anche da Kumarajiva , attorno al 402, quando inaugur la scuola di traduzioni di testi di Chang'an (ora Xi'an) traducendo il Stra del samdhi del sedersi nel dhyna col titolo cinese di Zuchn snmi jng, ( T.D. 614) . L'origine logica di questa accoppiata di ideogrammi va ricercata in un intento simbolico e pratico assieme: noto che il buddhismo cinese una nuova forma di buddhismo che nasce dall'incontro verificatosi tutto all'interno della cultura cinese, ovvero: tra cinesi- del buddhismo indiano con l'insieme della cultura sviluppatasi in Cina tra il VI secolo a.C. e l'inizio dell'era volgare. In particolare dal rapporto intimo tra lo studio e la pratica delle scuole Mdhyamika e Yogacr/Vijnavda o Cittamtra (letteralmente: mente matrice) consumato in ambiente daoista, nacque quella che in seguito fu detta "scuola Chan". Nel daoismo, e in particolare lo troviamo in Zhuangzi VI, esisteva , zuowang, "sedersi nell'oblio" oppure: "sedersi nel dimenticare" e anche: "sedersi (e) dimenticare", espressione il cui primo carattere , zuo, (za in giapponese). Contemporaneamente era chiaro che la pratica principe che proveniva dall'India col buddhismo era quella detta dhyna in sanscrito (jhna in pli ), termine che in cinese fu traslitterato con il segno , letto chan'na, in seguito abbreviato in "chan", in giapponese letto "zen". I due ideogrammi e rappresentavano quindi il senso e il simbolo dei due "genitori" di quella che sarebbe poi stata la scuola chan/zen. Porli insieme rappresent contemporaneamente il segno del nuovo e il legame con gli antenati.

Buddhismo

Mahyna Paesi

Bhutan Cina Corea Giappone Tibet Vietnam Mongolia

Insegnamenti
Bodhisattva Bodhicitta Vacuit Karu Natura di Buddha Praj Trikaya Buddha Eterno Mdhyamika Vijnavda Triplice verit Zhgun Zazen Daimoku

Sutra
Prajpramit Sutra del Loto Avatasaka Mahyna Mahparinirva Vimalakrti Lakvatra Ratnaka Tathgatagarbha Sadhinirmocana

Maestri
Ngrjuna ryadeva Asanga Vasubandhu Kumrajva Zhy Bodhidharma Saich Eisai Dgen Nichiren

Scuole
Sanlun Faxiang Tiantai Huayan Chan Terra Pura Sanron Hosso Kegon Tendai Zen Nichiren
vedi disc.

mod.

Zazen nel Buddhismo


All'interno della religione buddhista zazen occupa un posto particolare. I testi che sono stati scritti in merito ne sottolineano la lunga tradizione, ponendo al contempo in discussione la stessa definizione della pratica. Se vero che gli apici della tradizione mistica indiana e della saggezza elusiva del Dao si erano potute "guardare negli occhi" significava che nessuna delle due poteva avocare, in esclusiva, un

certificato d'appartenenza della nuova scuola, che sarebbe stata, allora, "n questa n quella", al difuori di ogni trasmissione verbale e perci dottrinale. Eihei Dgen esprime con molta lucidit questa concezione in un paio d'occasioni, in Shbgenz Bendwa, , e in Shbgenz Butsud dove, tra l'altro, dice: "La virt e lessenza della Via dei Buddha stata trasmessa senza che se ne perdesse neppure una briciola. stata trasmessa dal Paradiso Occidentale [l India al Paradiso Orientale [la Cina attraversando migliaia di chilometri e per quasi duemila anni dal tempo del Buddha sino ai giorni nostri. Coloro che sono inconsapevoli di ci, chiamano "scuola zen" lo shbgenz nehanmyshin, ["custodia della visione della realt autentica del cuore nella libert senza limiti"], che stato correttamente trasmesso dai Buddha e i patriarchi. Costoro chiamano patriarchi zen i patriarchi. Definiscono monaci zen o studenti zen i praticanti. Chiamano s stessi 'seguaci dello zen'. Sono foglie e rami nati dalla radice di una visuale stereotipata. In India ed in Cina, sin dai tempi antichi, non mai stato chiamato zen". Si parla del "senza nome" per cui anche l'uso dell'appellativo "zen" totalmente inappropriato.

Il come interiore
Le prime descrizioni dello zazen/zuochan, o quantomeno dell'esperienza interiore relativa all'essere semplicemente seduti, sono frasi icastiche, sorta di slogan che caratterizzano filoni di insegnamento. Passiamo cos attraverso il "non v n spirito (mente) n Buddha" di Niutou ("Testa di bue") Frng[2] per arrivare al suo opposto, l'esortazione "essere spirito, essere Buddha" che fa capo al grande Mazu Daoyi[3] . Transitando per Shitou ("Testa di pietra") Xiqian[4] che riguardo alla propria esperienza interiore disse: Il vasto cielo non ostacola le bianche nuvole fluttuanti. Ricordiamo, poi, il "brillare in silenzio"[5] avocato da Hongzhi Zhengjue[6]. Per arrivare, nel XIII secolo al "liberarsi di corpo e mente: corpo e mente liberati"[7] di Tiantong Rujing e Dgen. In tempi pi recenti abbiamo avuto "aprire le mani del pensiero"[8] , di Uchiyama Ksh e "fare zazen la fine di tutto" [9] il noto "motto" del suo predecessore Sawaki Kd. Dalla fine del IX secolo, in Cina, si compilano dei manuali relativi a come sia possibile attuare concretamente nella nostra vita quello che nel Dasheng Qixinlun, o Trattato del risveglio della fede nel Mahyna[10], il pi importante componimento del buddhismo cinese, viene detto "processo di scioglimento dell'identit nell'assoluto". Nel 1103 Changlu Zongze compila un codice monastico chiamato Chanyuan Qinggui[11] , Le pure regole per il giardino/monastero chan, nel quale vi una sezione chiamata Zuochanyi, , Il rito/forma dello zazen, dove viene spiegato come si pratica lo zazen: un testo breve, efficace, chiaro. Dgen ne viene in possesso durante la sua permanenza in Cina, tornato in Giappone compone il Fukanzazengi , La forma dello zazen che invito universale, che nella prima stesura praticamente identico al Zuochanyi, a parte alcune frasi di minor interesse che Dgen omette. Nella seconda stesura la parte pi importante, che riguarda l'esperienza interiore di chi siede in zazen, viene sostituita da Dgen con una frase famosa, che compare anche nel Jingde chuandeng lu, La raccolta della trasmissione della lampada dell'era della virt luminescente[12]. La prima frase, quella presa dal Zuochanyi, : "Quando compare un pensiero siatene subito consapevoli; non appena ne sarete coscienti scomparir. Se rimarrete a lungo dimentichi degli oggetti, sarete naturalmente unificati. Questa l'arte dello zazen". La seconda versione, nota nella letteratura come Il non pensiero di Yueshan : "Sedete in modo solidamente immobile, pensate il non pensare[13]. Come pensare il non pensare? Non pensando[14]. Questa l'arte dello zazen". Quest'ultima versione, definitiva per il Fukanzazengi, compare pressoch invariata nello Shbgenz Zazengi[15], e nello Shbgenz Zazenshin, , gli altri due manuali di zazen che Dgen ci ha lasciato. Possiamo quindi dire che in queste due frasi (quella di Changlu Zongze e quella sul "non pensiero di Yueshan") contenuta la sintesi della descrizione del processo interiore detto zazen, una sintesi che lega assieme la storia del Chan e

quella dello Zen. Un'altra rappresentazione dello zazen, molto interessante perch pur dicendo la stessa cosa capovolge la prospettiva, la troviamo in Shbgenz Bussh, , dove Dgen, in relazione a Ngrjuna, ne descrive lo zazen con le parole "essere corpo"[16]. molto importante, tuttavia, comprendere che zazen non una tecnica per realizzare un desiderio, uno strumento come altri che possa farci ottenere o raggiungere qualche cosa: uno stato mentale, un risultato. Se cos fosse saremmo lontani dalla concezione spirituale della gratuit. Zazen realizzazione spirituale stessa, il fine o, pi dinamicamente, la messa in atto del fine. Per questo Dgen, nella IV sezione dello Eihei Kroku, dice: "Lo zazen stesso la forma del risveglio". Infine, e qui appare il volto ottimista dello zen, nello Shbgenz Zazengi Dgen lo definisce "la porta del dharma alla gioia ed alla serenit". Questa espressione accompagna lo zazen da sempre, compare gi nel capitolo intitolato Sukhavihra[17] del Sutra del Loto, poi nel citato Zuochanyi di Changlu Zongze ed infine in Dgen. A ciascuno dato verificarla con la propria esperienza.

Il come del corpo


Sebbene zazen non si impari attraverso le parole ma vivendolo giorno per giorno assieme a chi in quell'arte gi esperto, vi , da secoli, una minuziosa descrizione di come debba porsi il corpo affinch lo zazen sia tale:

Ci si siede sul cuscino tondo e si incrociano le gambe. Il piede destro sulla coscia sinistra, il piede
sinistro su quella destra. la posizione detta del loto. [...] Tenete il collo eretto e fate rientrare leggermente il mento. Le labbra e i denti sono chiusi senza essere contratti; la lingua poggia contro il palato, in modo che non vi sia aria n saliva nella bocca. Raddrizzate la testa come se voleste perforare il soffitto. Le spalle sono invece rilassate, sciolte da ogni tensione. (Uchiyama Ksh, Seimei no jitsu butsu [18])

La posizione con le gambe incrociate o in modo completo [kekkafuza], o in modo incompleto


[hankafuza]. [...] Siedi eretto, senza inclinare n a destra, n a sinistra, n avanti, n indietro. Le orecchie devono essere in linea con le spalle, il naso deve essere in linea con lombelico. La lingua riposa contro il palato. Le mascelle e le labbra sono chiuse senza sforzo. Tieni sempre gli occhi aperti. Respira tranquillamente attraverso il naso. (Eihei Dgen, Fukanzazengi [19])

Le difficolt della postura


Di carattere attuale per il lettore occidentale la problematica legata alle difficolt di mantenere, o di raggiungere, una corretta posizione incrociando le gambe anche per periodi di tempo limitati. Nel suo trascorrere nei secoli e nelle culture la prima volta in cui lo zazen si insedia in una cultura nella quale da molte generazioni andata perduta l'abitudine di sedersi a livello pavimento, una cultura dove l'uso generalizzato delle sedie ha fatto perdere a (quasi) tutti i suoi membri adulti l'elasticit naturale delle gambe, quell'elasticit necessaria per sedersi nella posizione del loto o del mezzo loto. evidente allora che, soprattutto per il fatto che si tratta di un problema generale, tale difficolt deve essere affrontata con la massima attenzione da chiunque si ponga nella posizione di "offrire" lo zazen: a seconda di come tale problematica verr affrontata e impostata, di gran lunga diversi saranno gli esiti del rapporto con la pratica di tutti coloro che vi si avvicineranno. Non possibile dare indicazioni onnicomprensive sul come ovviare alle difficolt derivanti da corpi che hanno perso l'elasticit necessaria a trascorrere lunghi periodi a gambe incrociate. Le condizioni di partenza di ciascuno, le sue esigenze, la sua determinazione sono diverse caso per caso, inoltre vi

un certo numero di persone che, a causa di patologie o traumi, non riusciranno mai a sedersi incrociando le gambe. Anche a causa della relativa novit del problema -lo zazen praticato in Occidente da circa cento anni, da meno di 50 a livello diffuso- in Italia non vi sono pubblicazioni specialistiche sull'argomento, a parte un libretto -edito da L'Equi-Librista- non distribuito nelle librerie, dal titolo Sedersi in Pace[20]. Tuttavia importante notare che la posizione di zazen composta da una certa forma e tale forma prevede che le gambe si trovino nella posizione detta del loto o in quella del mezzo loto. altrettanto importante considerare che una volta entrati nel grande fiume della pratica si naviga tutti assieme nella medesima direzione anche se indubbio che la corrente centrale, profonda, veloce e costante diversa da quella prossima alle rive, dove frequenti sono le fermate e le esitazioni. Cos ognuno, nel tendere al meglio, al proprio posto senza che manchi nulla. Elemento fondamentale della pratica quello di non imporsi alcunch, di non sforzarsi per essere consapevoli in qualche modo o di qualche cosa, senza interferire in ci che ci accade durante lo zazen stesso, n tanto meno imporci che qualcosa accada o si verifichi e neppure restare nell'attesa che si realizzino delle aspettative prefigurate a priori.

Zazen non buddhista


Esiste unaltra dinamica, profondamente diversa da quella sino a qui tratteggiata, un'inattesa peculiarit che caratterizza in particolare questa pratica del buddhismo e autorizza, quindi, a ritenerla particolarmente neutra o, volendo, pura: quando si associa alle sfere religiose di una cultura in grado di porle in movimento, in un certo senso di ottimizzarle, fornendo loro un come, un verso nel realizzare una qualit spirituale elevata. Al punto che, da molti, quel come, il verso proposto viene percepito vivificante la propria religione. A questo proposito, tra gli esempi possibili, ricordiamo che negli Stati Uniti d'America vi sono rabbini che consigliano lo zazen ai loro fedeli, ovviamente non per invitarli a diventare buddhisti[21]. Analoga scelta troviamo da tempo in ambienti cattolici americani ed europei dove molte sono le situazioni in cui sono sacerdoti -pi di rado le monache- ad organizzare e praticare lo zazen. Oltre a situazioni ponte dalle caratteristiche uniche, quali Raimon Panikkar e Thomas Merton[22], l'esempio storico pi significativo quello del gesuita Hugo Makibi Enomiya-Lassalle, 1898-1990: La verit che se un cristiano [] pratica intensamente lo Zazen, dopo qualche tempo vede letteralmente accendersi all'improvviso le verit cristiane e le parole delle scritture[23].

In Italia
A Gallarate, il padre gesuita Carlo De Filippi animatore del gruppo Areazen Omega, continua la tradizione di padre Lassalle di cui stato discepolo. Lesperienza del padre saveriano Luciano Mazzocchi[24], concretizzatasi nella comunit La Stella del Mattino, prosegue da decenni e acquista segni di un orizzonte nuovo, anche per lapprovazione vaticana di tale esperienza-laboratorio sin dal suo inizio. Sono esempi nei quali permane la chiara distinzione tra diverse religioni ed il consapevole utilizzo delle realizzazioni delluna per rivitalizzare laltra; no n sono tentativi di sincretismo strisciante ma riconoscimenti della purezza di una pratica spirituale che, con attenzione, mantiene la sua validit in diversi contesti.

Note
1. ^ Un'altra versione sull'origine del termine Chanjia la troviamo nel Dizionario del Buddhismo, curato da Philippe Cornu, dove si afferma che la scuola Chan: Secondo fonti

tardive depoca Song, sarebbe stata definita cos da Nanquan Puyuan, VIII secolo. Cfr. Cornu p.111. 2. ^ 594-657, in giapponese Gozu Hy, discepolo del quarto patriarca cinese del filone centrale delle scuole Chan, Dayi Daoxin (580-651). 3. ^ 709-788, in giapponese Baso Ditsu, forse la pi grande figura del Chan. 4. ^ 700-790, in giapponese Sekit Kisen, secondo la tradizione considerato l'autore del Can Tong Qi, Comprendendo luno e molteplice, in giapp. Sandkai. Dalla sua discendenza si origin la scuola Caodong/St. 5. ^ mo cha, mokush in giapponese. Spesso questa espressione viene erroneamente tradotta con "illuminazione silenziosa" oggettivando una fantasia: "l'illuminazione" in quanto ente. 6. ^ 1091- 1157, in giapponese Wanshi Shgaku. 7. ^ In giapponese: shin jin datsu raku, datsu raku shin jin, ovvero: . 8. ^ In giapponese: atama no tebanashi, ovvero: . 9. ^ In giapponese: zazen shitara oshimai, ovvero: . 10. ^ , pi noto nella lettura giapponese di Daij Kishinron. 11. ^ Che contiene, tra l'altro, le regole per Il rito/cerimonia del t e dell'acqua calda. 12. ^ Compilato da Yongan Daoyan nel 1004, la prima delle cinque raccolte dette "Della trasmissione della lampada". 13. ^ Oppure: -Penso il non pensiero-. Oppure ancora: -Penso l'impensato-. 14. ^ Oppure: -Non pensare-. 15. ^ Si noti che "zazengi" la lettura giapponese di "zuochanyi", Dgen mantenendo nello Shbgenz quel titolo conferma il suo apprezzamento per l'opera di Changlu Zongze. 16. ^ Cfr. Eihei Dgen, Bussh la natura autentica, a c. di Jis Giuseppe Forzani, Edizioni Dehoniane Bologna, 1999, ( ISBN 8810808053 ) p. 57. 17. ^ Nel Sukhavihra, Confortevole serenit (cap. XIII dal sanscrito, XIV nella versione cinese), si fa pi volte riferimento alla gioia serena insita nella vita dei bodhisattva che si dedicano profondamente alla pratica. 18. ^ da Seimei no jitsu butsu (), di Uchiyama Ksh, successore di Sawaki Kd alla guida di Antaiji , traduzione di Giuseppe Jis Forzani, fonte: lastelladelmattino.org 19. ^ dal Fu kan zazen gi () di Eihei Dgen, traduzione di Giuseppe Jis Forzani, fonte: lastelladelmattino.org 20. ^ Sedersi in pace. La forma dello zazen che "invito universale" accessibile a tutti? di Paolo Sacchi & Roberto Kengaku Pinciara 21. ^ Cfr. Alberto Flores DArcais, USA, il boom degli ebrei-buddhisti, quotidiano La Repubblica , 14 maggio 2006 22. ^ T.Merton, Lo zen e gli uccelli rapaci, Garzanti, Milano 1999 23. ^ Cfr. H.E.Lassalle, Zen e spiritualit cristiana, Edizioni Mediterranee , Roma 1995, p. 34 24. ^ Cfr. L. Mazzocchi, Delle onde e del mare, Ed. Paoline, Cinisiello Balsamo, 2006

Collegamenti esterni

Come si fa zazen, di Uchiyama Ksh Fukanzazenji, La forma dello zazen che invito universale, di Eihei Dgen Come praticare zazen - Consigli sulla postura Sedersi in Pace. La forma dello zazen che "invito universale" accessibile a tutti? Un approfondimento sulle difficolt fisiche nell'assumere e mantenere la posizione a gambe incrociate e sulle possibili soluzioni. Tora Kan Zen Dojo Studio dei Koan Zen

(IT) La Meditazione come Via

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