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Facoltà di Scienze della

Comunicazione

Master Universitario di II livello in


“Knowledge Management”

Ipotesi di sviluppo di un sistema di knowledge management per la


condivisione e diffusione della conoscenza tra gli operatori di una
piccola azienda operante nel settore della prevenzione e
protezione della salute e della sicurezza sul lavoro

Allievo
Stefano Fiaschi
matricola 844732

Anno accademico 2008/2009


Indice

......................................................................................................................................................1
Indice............................................................................................................................................2
Introduzione.................................................................................................................................3
1. Il contesto di riferimento..........................................................................................................4
1.1 Riferimenti normativi in materia di prevenzione e protezione della salute e della sicurezza:
lo Stress Lavoro-Correlato. .................................................................................................4
1.2 Dalla valutazione del rischio da SLC alla promozione del Benessere Organizzativo...........6
1.3 Il committente della ricerca: Ecoformat Srl ..........................................................................8
Obiettivi...............................................................................................................................10
Processi................................................................................................................................10
Persone.................................................................................................................................12
Struttura...............................................................................................................................13
Tecnologia............................................................................................................................15
1.4 Considerazioni conclusive...................................................................................................15
2. Le opzioni teoriche di riferimento.........................................................................................16
2.1 Dati, informazioni, conoscenza, competenze: un confronto................................................16
I dati.....................................................................................................................................16
Le informazioni....................................................................................................................17
La conoscenza......................................................................................................................18
La competenza.....................................................................................................................19
Il mercato della conoscenza.................................................................................................20
2.2 Il Knowledge Management..................................................................................................23
Il KM e le ICT.....................................................................................................................26
L’approccio giapponese al KM............................................................................................29
Dinamiche fiduciarie per la condivisione della conoscenza................................................34
2.3 Potenzialità e scenari del “Web 2.0”....................................................................................36
Internet: da “vetrina” a “piattaforma sociale”......................................................................38
Dal Browsing al Feed Reader..............................................................................................40
Dall’HTML a Ajax...............................................................................................................41
Dal sito personale al Blog....................................................................................................42
Dal CMS a WIKI.................................................................................................................43
3. L’ipotesi progettuale..............................................................................................................43
Destinatari............................................................................................................................43
Obiettivi...............................................................................................................................43
Soluzione proposta...............................................................................................................45
Servizi a supporto ...............................................................................................................46
Bibliografia................................................................................................................................51
Schema del D.Lgs 81/2008........................................................................................................54
Introduzione

Il presente lavoro intende illustrare una ipotesi progettuale per lo


sviluppo di un sistema di condivisione delle conoscenze professionali e la
creazione di un ambiente collaborativo online a supporto dalla comunità
professionale costituita dal personale di una azienda di recente
costituzione, caratterizzata dalla multidisciplinarietà del proprio ambito di
attività (la valutazione dei rischi da stress lavoro-correlato, ai sensi dell’art.
28 del D.lgs 81/2008), dalla eterogeneità delle professionalità coinvolte, e
dal particolare assetto organizzativo che si è data.
Il lavoro si articola in tre parti.
Nella prima, verrà effettuata una ricognizione del contesto di
riferimento - esterno, relativamente agli aspetti normativi e disciplinari che
regolano e definiscono le caratteristiche della sicurezza sul lavoro rispetto
al cosiddetto Stress Lavoro-Correlato (SLC) - ed interno, relativo cioè alle
caratteristiche strutturali e funzionali di Eco-Format Srl, un’azienda di
recente costituzione, operante del settore della valutazione dei rischi.
La seconda parte presenta una sintesi dei contributi relativi al tema
della gestione della conoscenza e del web 2.0 come “ambiente” tecnologico
a supporto di pratiche di comunicazione e condivisione tra comunità di
utenti che condividono interessi
La terza presenta una ipotesi progettuale per lo sviluppo di un
ambiente collaborativo online dedicato agli operatori dell’azienda
esaminata.
1. Il contesto di riferimento

1.1 Riferimenti normativi in materia di prevenzione e


protezione della salute e della sicurezza: lo Stress Lavoro-
Correlato.

L’emanazione del recente Testo Unico in materia di prevenzione e


protezione della salute e della sicurezza (Decreto Legislativo 9 aprile
2008, n. 811) ha inteso riformare, riunire ed armonizzare le varie
disposizioni dettate da numerose precedenti normative in materia di
sicurezza e salute nei luoghi di lavoro - succedutesi nell'arco di quasi
sessant’anni - al fine di adeguare il corpus normativo all'evolversi della
tecnica e del sistema di organizzazione del lavoro.
La struttura del decreto è tesa alla riaggregazione in un testo unico
(assai ponderoso*) la maggior parte delle norme generali e speciali in
materia di sicurezza sul lavoro, e predisponendo poi una nutrita serie di
allegati tecnici che ricomprendono le specifiche degli obblighi di sicurezza,
individuando i vari soggetti responsabili e provvedendo alla descrizione
delle misure gestionali e degli adeguamenti tecnici necessari per ridurre i
rischi lavorativi. In calce a ciascun titolo sono indicate le sanzioni in caso di
inadempienza.

Ai fini del presente lavoro, l’elemento di novità più rilevante è


caratterizzato dall’introduzione, all’articolo 28 comma 1, dell’obbligo per il
datore di lavoro di procedere alla valutazione di tutti i rischi presenti
in azienda, ivi compresi (oltre ai fattori di tipo fisico, biologico e
chimico) quelli di natura psicosociale - ossia quelli presuntamente e
pretesamente derivanti dall’organizzazione del lavoro e dalle relazioni
interpersonali che esso genera, caratterizzati, in particolare, dall’esercizio
del potere direttivo, decisionale, disciplinare e perciò tali da ripercuotersi
negativamente sulla integrità (fisica o, più significativamente, psicologica)
del lavoratore esponendolo a disagi psichici e patologie cliniche.
A tal riguardo, il D.lgs 81/2008 recepisce espressamente quanto
stabilito dall’Accordo Europeo dell’8 ottobre 2004 sul cosiddetto “stress
lavoro-correlato” (SLC). Secondo tale accordo, lo SLC è definibile come
«uno stato, che si accompagna a malessere e disfunzioni fisiche,

1
Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 101 del 30 aprile 2008 - Suppl. Ordinario n. 108.
psicologiche o sociali ed che consegue dal fatto che le persone non si
sentono in grado di superare i gap rispetto alle richieste o alle attese nei
loro confronti»

In modo analogo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (W.H.O.,


2003) definisce lo SLC come «la costellazione di reazioni che si verificano
in presenza di richieste lavorative non appropriate alle conoscenze,
competenze ed abilità dei lavoratori, e che mettono alla prova le loro
capacità di farvi fronte». Tali reazioni possono manifestarsi a diversi livelli:
• fisiologico, con l’incremento della frequenza cardiaca e della
pressione arteriosa, l’iperventilazione, la secrezione di ormoni dello
stress e la produzione di adrenalina e cortisolo.
• emotivo, con stati di nervosismo e di irritazione;
• cognitivo, con la riduzione delle capacità di attenzione e di
concentrazione;
• comportamentale, con la messa in atto di comportamenti
aggressivi e impulsivi ed il verificarsi di errori.

Tuttavia, l’accordo europeo allarga sensibilmente l’ambito di


analisi, nella misura in cui stabilisce (al punto 4) che «l’individuazione di
un problema di stress da lavoro può avvenire attraverso un’analisi di fattori
quali l’organizzazione e i processi di lavoro (pianificazione dell’orario di
lavoro, grado di autonomia, grado di coincidenza tra esigenze imposte dal
lavoro e capacità/conoscenze dei lavoratori, carico di lavoro, ecc.), le
condizioni e l’ambiente di lavoro (esposizione ad un comportamento
illecito, al rumore, al calore, a sostanze pericolose, ecc.), la
comunicazione (incertezza circa le aspettative riguardo al lavoro,
prospettive di occupazione, un futuro cambiamento, ecc.) e i fattori
soggettivi (pressioni emotive e sociali, sensazione di non poter far fronte
alla situazione, percezione di una mancanza di aiuto, ecc.)
Il riferimento implicito va alla definizione che l’Organizzazione
Internazionale del Lavoro (1986) ha dato dei cosiddetti “rischi
psicosociali”, quali rischi emergenti dall’interazione tra contenuto del
lavoro, gestione ed organizzazione del lavoro, condizioni ambientali e
organizzative da un lato, e le esigenze e competenze dei lavoratori
dipendenti dall’altro. Similmente, Cox e Griffiths (1995) - tra gli altri -
definiscono i rischi psicosociali come «quegli aspetti di progettazione del
lavoro e di organizzazione e gestione del lavoro, nonché i rispettivi contesti
ambientali e sociali che dispongono del potenziale per dar luogo a danni di
tipo fisico, sociale, psicologico».
L’accordo europeo prefigura, infine, l’insieme delle misure di
contenimento e risoluzione delle situazioni di rischio da SLC eventualmente
riscontrate. Tali misure comprendono:
• interventi di gestione e di comunicazione, in grado di chiarire
gli obiettivi aziendali e il ruolo di ciascun lavoratore, di assicurare
un sostegno adeguato da parte della direzione ai singoli individui e
ai team di lavoro, di portare a coerenza responsabilità e controllo
sul lavoro, di migliorare l’organizzazione, i processi, le condizioni e
l’ambiente di lavoro;
• interventi di formazione dei dirigenti e dei lavoratori, per
migliorare la loro consapevolezza e la loro comprensione nei
confronti dello stress, delle sue possibili cause e del modo in cui
affrontarlo, e/o per adattarsi al cambiamento;
• interventi di informazione e consultazione dei lavoratori e/o
dei loro rappresentanti, in conformità alla legislazione europea e
nazionale, ai contratti collettivi e alle prassi.

Una volta definite, tali misure dovrebbero essere implementate nel


contesto di una politica aziendale specifica in materia di stress e/o
attraverso misure specifiche mirate per ogni fattore di stress individuato
(con una priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di
protezione individuale), e riesaminate regolarmente per valutarne
l’efficacia e stabilire se utilizzano in modo ottimale le risorse disponibili e
se sono ancora appropriate o necessarie.

1.2 Dalla valutazione del rischio da SLC alla promozione del


Benessere Organizzativo

Da quanto detto al paragrafo precedente, emerge chiaramente la


natura sistemica del fenomeno SLC, nella misura in cui la sua
rilevazione contempla l’analisi congiunta di elementi strutturali, funzionali,
culturali e relazionali, all’interno dei contesti lavorativi. Ad esempio, uno
studio dell’European Agency for Safety and Health at Work (2000) ha
individuato dieci fattori di rischio psicosociale connessi sia alle
caratteristiche intrinseche del lavoro sia a quelle relative ai contesti
organizzativi (vedi Tabella 1)
RISCHI LEGATI AL CONTENUTO DEL LAVORO
Categoria Condizioni di definizione del rischio
Problemi inerenti l’affidabilità, la disponibilità,
Ambiente di lavoro ed
’idoneità, la manutenzione o la riparazione di strutture
attrezzature
ed attrezzature di lavoro
Monotonia, cicli di lavoro brevi, lavoro
Pianificazione dei compiti frammentato o inutile, sottoutilizzo delle
capacità, incertezza elevata
Carico di lavoro eccessivo o ridotto, mancanza di
Carico/ritmo di lavoro controllo sul ritmo, livelli elevati di pressione in
relazione al tempo
Lavoro a turni, orari di lavoro senza flessibilità,
Orario di lavoro
orari imprevedibili, lavoro prolungato
RISCHI LEGATI AL CONTESTO LAVORATIVO
Categoria Condizioni di definizione del rischio
Scarsa comunicazione, scarso supporto nella
Funzioni e Cultura organizzativa soluzione dei problemi e lo sviluppo personale,
scarsa definizione degli obiettivi organizzativi
Ambiguità e conflitti di ruolo, responsabilità di
Ruolo nell’organizzazione
altre persone
Incertezza nella carriera, promozione
insufficiente o eccessiva, bassa retribuzione,
Progressione della carriera
insicurezza lavorativa, scarso valore sociale
attribuito al lavoro
Ridotta partecipazione al processo decisionale,
Autonomia decisionale/controllo
mancanza di controllo sul lavoro
Isolamento fisico o sociale, rapporti limitati con i
Rapporti interpersonali sul lavoro superiori, conflitto interpersonale, mancanza di
supporto sociale
Richieste contrastanti tra casa e lavoro, scarso
Interfaccia casa/lavoro appoggio in ambito domestico, problemi di
doppia carriera
Tabella 1 : Adattato da European Agency for Safety and Health at Work (2000)

Pare emergere e consolidarsi dunque, anche in ambito organizzativo,


una concezione di “salute” come stato generale di benessere, piuttosto che
semplice “assenza di disturbi” (WHO, 1986). Un ambiente lavorativo sano
si connoterebbe pertanto per la presenza di azioni che promuovano
attivamente il benessere lavorativo e riducano le condizioni negative2.

In quest’ottica, un intervento di valutazione dello SLC nei contesti


lavorativi dovrebbe essere orientato, più che al contenimento di situazioni

2
La crescente sensibilità verso la promozione della salute e del benessere negli ambienti
di lavoro ha condotto tra l’altro alla recente definizione delle Linee-Guida Europee per la
Gestione del Rischio Psicosociale sul Lavoro (PRIMA-EF, 2008), redatte dall’O.M.S, allo
scopo di fornire una cornice entro cui promuovere politiche e buone prassi per la gestione
dei rischi psico-sociali nelle imprese dell’UE.
problematiche, alla prevenzione del rischio e alla promozione del
“Benessere Organizzativo”.
Proposto a partire dal 1981, tale termine indica tutti quegli elementi
fisici e psicologici direttamente correlati alla sicurezza e all’igiene sul
lavoro, che possono influenzare la salute dei lavoratori e le loro prestazioni
lavorative. In particolare, secondo l’Osservatorio Italiano sulla Benessere
organizzativo (OISOrg), si intende per Benessere Organizzativo «l’insieme
dei nuclei culturali, dei processi e delle pratiche organizzative che animano
la dinamica della convivenza nei contesti di lavoro promuovendo,
mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di benessere
fisico, psicologico e sociale delle comunità lavorative»3.
Più operativamente, un’organizzazione “in salute” sarebbe capace, nel
suo complesso, di promuovere e mantenere condizioni di benessere e
qualità della vita elevate per la propria comunità lavorativa se è capace di
predisporre ambienti confortevoli, sensibilizzare alla sicurezza lavorativa,
promuovere collaborazione e gestire la conflittualità interna, porre obiettivi
chiari e sviluppare processi di efficienza organizzativa, promuovere
innovazione e garantire equità organizzativa.

1.3 Il committente della ricerca: Ecoformat Srl

L’introduzione dello SLC quale ulteriore elemento di valutazione ai fini


della sicurezza sul lavoro ha comportato un conseguente riposizionamento
dei servizi offerti dalle varie aziende operanti nel settore.

Ai fini del presente lavoro, si citerà il caso della società Eco-Format


Srl, in Roma, presso i cui uffici ho svolto una breve esperienza di stage,
nel cui ambito ho condotto una serie di attività di osservazione,
affiancamento alle attività lavorative, ed interviste semistrutturate ai vari
attori organizzativi per la rilevazione delle loro necessità e la formulazione
della proposta progettuale.
La società nasce nel 2006 come spin-off della società Eco-Consult
S.r.l., operante nell’ambito della valutazione tecnica dei rischi e promozione
della sicurezza negli ambienti di lavoro. In particolare, a valle
dell’emanazione della Legge n. 123 del 20074, il nuovo soggetto
organizzativo ha inteso qualificarsi come società specializzata nella

3
Avallone, Bonaretti (2003), pag. 42
4
Legge 3 Agosto 2007 , n. 123 “Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul
lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia”
consulenza per la promozione del Benessere Organizzativo e la sicurezza
sul lavoro all’interno delle organizzazioni produttive, offrendo servizi di
analisi e valutazione dei rischi da SLC, ed interventi di sviluppo
organizzativo.

Per procedere ad una descrizione più dettagliata delle caratteristiche


di questa società, utile anche ai fini della identificazione degli obiettivi della
proposta oggetto del presente lavoro, si è scelto di adottare un criterio di
analisi improntato al modello socio-tecnico5 (vedi Figura 1), modello
secondo il quale ogni sistema produttivo viene determinato parimenti da
variabili sia tecniche che sociali, non costituendo la “tecnologia” l’unico
elemento determinante un certo modello organizzativo.

Figura 1 : le componenti di un sistema sociotecnico

In altre parole, secondo questo approccio ogni assetto organizzativo


risulta determinato dai seguenti fattori :
a) Obiettivi organizzativi, espressi in termini di Produttività,
Posizionamento competitivo sul mercato, Innovazione di
prodotto/processo, Responsabilità sociale
b) Persone, gli attori concreti (e le loro caratteristiche) che
realizzano processi, usano tecnologie e formano strutture, svolgono
professioni, ecc..
c) Processi, l’insieme delle attività lavorative indispensabili che le
persone realizzano per perseguire un certo obiettivo organizzativo.

5
Il concetto di “sistema socio-tecnico” è stato elaborato a partire da una ricerca condotta
da E. Trist (1951) sulla riorganizzazione tecnologica in una miniera di carbone e le sue
conseguenze sul lavoro degli operai.
d) Strutture, l’insieme delle relazioni sociali (relativamente) stabili
tra le persone che compongono una organizzazione. È l’insieme dei
ruoli e del come questi ruoli interagiscono tra di loro.
e) Tecnologie, l’insieme delle infrastrutture tecnologiche, delle
tecniche, degli strumenti, dei metodi, delle macchine, delle
applicazioni indispensabili per la realizzazione dei processi.
Secondo questo modello di analisi, la tecnologia è capace di
accelerare (o frenare) una organizzazione, ma non è l’elemento
principale: sono invece le persone, capaci o meno di usare una
certa tecnologia, che innovano e modificano una organizzazione.

Obiettivi
A fianco di quelli di economico, Eco-Format Srl - proprio in quanto
società di recente costituzione - si pone naturalmente degli obiettivi di
posizionamento strategico, volendo acquisire rapidamente un’identità
sociale che la qualifichi e distingua dagli altri competitors presenti sul
mercato. Coerentemente, l’azienda intende valorizzare alcuni elementi
innovativi, relativi sia ai servizi offerti (quali ad es., il Benessere
Organizzativo) che ai processi con cui tali servizi vengono erogati (vedi
punto successivo), dando infine grande risalto anche ai temi di
responsabilità sociale (quali ad es., la progettazione partecipata,
l’accessibilità dei servizi erogati, la declinazione dei propri interventi anche
in ottica di genere e di integrazione multiculturale)

Processi
Come già accennato, le attività finalizzate alla valutazione dei rischi da
SLC offerte da Eco-Format seguono un approccio improntato alla
prevenzione primaria, mirando cioè non solo all’individuazione e
contenimento di situazioni problematiche, ma anche alla prevenzione dai
rischi e alla promozione del Benessere Organizzativo. In linea con tale
approccio, e in rispetto a quanto previsto dal D.lgs 81/2008 (Sezione VII),
tali attività prevedono il coinvolgimento e la partecipazione di tutti i
membri dell’organizzazione. Infine, viene data grande rilevanza alla forte
contestualizzazione di ogni intervento agli specifici contesti organizzativi,
adeguando i livelli di analisi alle singole situazioni e sviluppando proposte
di intervento che rispondano alle effettive condizioni dell’organizzazione.
Più operativamente, le attività di indagine si articolano in sei fasi logiche:
1. Start-up. Vengono effettuati degli incontri preliminari con il Datore
di Lavoro (DL), i Responsabili del Servizio di Prevenzione e
Protezione (RSPP) e i Rappresentanti dei Lavoratori per la
Sicurezza (RLS) per effettuare una prima ricognizione del contesto
organizzativo di riferimento, in vista della definizione puntuale
dell’intervento. Sono richieste all’azienda informazioni relative alla
propria struttura ed organizzazione funzionale (quali
Organigramma, DVR vigente, Piano Formativo Aziendale, Manuale
Qualità e/o procedure extra documento qualità, Tassi di
assenteismo e turnover relativi all’ultimo anno) sulle quali viene
condotta una Desk Analysis. Vengono concordate le modalità di
informazione e coinvolgimento di tutti i lavoratori, prevedendo
eventuali incontri di diffusione sulle finalità ed azioni della ricerca, e
predisponendo del materiale informativo da diffondere all’interno
dell’azienda. Si procede infine alla ricognizione dei vari reparti e dei
cicli produttivi dell’azienda.
2. Rilevazione dei dati quantitativi. In base al cronoprogramma
delle attività concordato, si organizzano delle sessioni di
somministrazione del questionario di rilevazione del Benessere
Organizzativo6. La somministrazione avviene collettivamente, in
gruppi di circa 20 persone, in presenza di uno psicologo a
disposizione dei lavoratori per eventuali dubbi in merito alla
compilazione. La somministrazione viene preceduta dalla
presentazione degli obiettivi ed attività dell’intervento, e dalla
sottoscrizione tra le parti di un modulo di consenso informato
relativo alle modalità di trattamento ed analisi dei dati raccolti, a
tutela dell’anonimato dei rispondenti ai sensi del Decreto Legge
N°196/03. Il questionario richiede circa un’ora per la compilazione,
e viene riconsegnato dai lavoratori in busta chiusa.
3. Restituzione preliminare. I risultati preliminari emersi dall’analisi
statistica dei questionari vengono presentati, rigorosamente in
forma aggregata, alla Committenza e al RSPP. Vengono in questa
fase discusse le criticità ed le aree di sviluppo emerse,
concordando eventuali incontri di approfondimento con i lavoratori
6
Per la rilevazione delle dimensioni del Benessere Organizzativo è il Questionario
Multidimensionale sul Benessere Organizzativo (MOHQ - Multidimensional Organizational
Health Questionaire), strumento sviluppato dall’Osservatorio Italiano sulla Benessere
organizzativo (OISOrg), sperimentato e validato nel corso del 2003 su un campione di
34.000 lavoratori . Tale strumento consente di monitorare le dimensioni del Benessere
Organizzativo nei contesti lavorativi, nel suo complesso e/o per singoli settori,
evidenziando le aree di maggior benessere e quelle di criticità, rendendo quindi "visibili"
aspetti organizzativi sui quali è auspicabile o necessario un intervento di miglioramento e
sviluppo.
4. Approfondimento qualitativo. L’approfondimento qualitativo
delle percezioni di rischio e delle dinamiche culturali specifiche di
ciascuna unità organizzativa aziendale viene ottenuto mediante
sessioni di Focus Group di circa 75 minuti, coinvolgendo piccoli
gruppi afferenti a team di lavoro omogenei. Ai partecipanti viene
pertanto chiesto di confrontarsi rispetto alle proprie esperienze
lavorative quotidiane in riferimento ai risultati emersi dalla
rilevazione quantitativa, al fine di individuare i modelli culturali che
orientano l’agire organizzativo e le rappresentazioni del contesto
lavorativo condivise dalle varie famiglie professionali interne
all’organizzazione.
5. Redazione del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR). La
redazione del DVR specifico per i rischi da SLC descrive in modo
articolato i risultati emersi dall’indagine, indicando contestualmente
i relativi interventi correttivi e/o migliorativi più opportuni. Vengono
inoltre indicate le modalità di diffusione dei risultati dell’indagine a
tutti i destinatari dell’intervento.
6. Follow-up. A distanza di 6 mesi dall’intervento viene valutata
l’opportunità di organizzare un incontro di follow-up per monitorare
il grado di implementazione degli interventi segnalati, e i
cambiamenti riscontrati nelle dinamiche comportamentali dei
lavoratori.

Persone
Allo stato attuale, la società è costituita da sei persone:
• un amministratore delegato, che ricopre lo stesso ruolo anche
nella società-madre (costituendo così l’elemento di continuità tra le
due realtà aziendali), e che al attualmente svolge la maggior parte
delle attività commerciali e di accounting;
• una responsabile amministrativa, anch’essa afferente alla
società-madre, che gestisce le pratiche amministrative e finanziarie
di entrambe le società;
• una addetta al marketing e comunicazione, di recente
ingresso, che si occupa delle comunicazioni aziendali esterne e
affianca l’AD della gestione del network di clienti e partner;
• tre psicologi, che hanno maturato le loro precedenti esperienze
professionali in differenti contesti lavorativi (negli ambiti della
formazione, della ricerca e dell’intervento psicosociale)
collaborando anche con enti universitari e specialistici per l’analisi
organizzativa e la promozione della salute. All’interno della società
analizzata, ciascun psicologo svolge una funzione aziendale
specifica, assumendo la responsabilità della Progettazione
Formativa, della Valutazione e Ricerca, e dei Servizi Informativi.
In considerazione della multidisciplinarietà delle attività svolte
(soprattutto in riferimento alla Fase di “Start-up”, esposta al punto
precedente) il personale di Eco-Format ha tuttavia la necessità di avvalersi
sistematicamente anche della collaborazione di uno staff di tecnici
specializzati (tra i quali Ingegneri, Chimici, Medici, Giuslavoristi) afferenti
alla società-madre.

Struttura
L’interazione sistematica e il reciproco scambio di expertise tra i
professionisti delle due società (oltre alla presenza di due figure
professionali appartenenti ad entrambe le realtà organizzative), configura
una situazione di “network d’impresa” (Soda, 1998), configurazione
peraltro tipica di imprese di piccola e media dimensione e che consente di
conseguire vantaggi competitivi tramite la realizzazione di economia di
scala e di scopo7.

Figura 2 : struttura organizzativa a matrice

7
Un esempio è costituito dalla integrale realizzazione, da parte del personale di Eco-
Format, delle attività previste dal progetto di ricerca “IV fattore: studio sui fattori psico-
sociali di protezione e di prevenzione del rischio nelle aziende private per la promozione
del benessere organizzativo.”, assegnato Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale
(D. M. 22 dicembre 2006, pubblicato nella GU n. 86 del 13-4-2007) alla A.T.S. costituita
da Sapienza - Università di Roma (Facoltà di Psicologia 2) ed Eco-Consult.
Sul fronte interno, l’azienda esaminata non si è dotata ancora di un
organigramma formale, e tuttavia la struttura organizzativa di fatto è
riconducibile a una configurazione di tipo “matriciale” (vedi Figura 2).
Oltre allo svolgimento dei ruoli organizzativi descritti al punto precedente,
ciascun professionista presta infatti la propria attività a specifici progetti, la
cui responsabilità è affidata ad un altro soggetto organizzativo. Inoltre,
gran parte delle attività di valutazione del rischio da SLC richiedono una
frequente presenza presso le aziende clienti, con la conseguente scarsa
presenza contemporanea di tutti gli attori organizzativi all’interno della
sede operativa della società.

Come noto, le strutture matriciali richiedono al personale un forte


impegno a lavorare in situazioni organizzative continuamente nuove, la cui
caratteristica fondamentale non è la stabilità organizzativa, ma al contrario
la temporaneità permanente. In particolare, due sono i problemi
caratteristici:
a) la doppia autorità indica che gli appartenenti a tale struttura
hanno più capi, il che può essere vantaggioso in termini di
flessibilità della risposta aziendale alle esigenze del mercato, ma
comporta difficoltà nella gestione delle risorse umane dovuta a
conflitti tra l'ottica di progetto e quella funzionale.
b) l'equilibrio dei poteri tra il manager funzionale risulta molto più
instabile, comportando l’esigenza di adottare modalità gestionali
“lasche” (Weick, 1976) ma pervasive, almeno in parte indipendenti
dalle competenze personali dei vari attori organizzativi, per
garantire la continuità e la qualità del coordinamento e
pianificazione all’interno delle stesse aziende.
Tale configurazione organizzativa ha anche possibili conseguenze
negative sul fronte dello sviluppo del senso di appartenenza e – più in
generale – del consolidamento di una cultura organizzativa8 coesiva, la
cui importanza è rappresentata dal fatto che i modelli culturali e le
rappresentazioni del contesto lavorativo condivise dalle varie famiglie
professionali interne all’organizzazione sono in grado di orientare l’agire
organizzativo (Schein, 1985).

8
«l’insieme coerente di assunti fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto o
sviluppato imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di
integrazione interna, e che hanno funzionato abbastanza bene da poter essere considerati
validi, e perciò tali da poter essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di
percepire, pensare e sentire in relazione ai quei problemi» (Schein, 1985)
Tecnologia
La dotazione tecnologica della società è l’asset organizzativo
maggiormente carente, essendo attualmente costituito soltanto da una
semplice intranet locale e da un sistema di posta elettronica aziendale.
Mentre le cause di ciò sono ricondotte dagli attori in gran parte alla
recente costituzione della società stessa, dai colloqui intercorsi è emersa
chiaramente la necessità per i vari professionisti, a fronte anche delle
caratteristiche strutturali dell’azienda e degli obiettivi dati, di dotarsi
rapidamente di una infrastruttura tecnologica più articolata.

1.4 Considerazioni conclusive.

Per realizzare con efficacia ed efficienza le proprie attività, Eco-Format


è chiamata a disporre di un patrimonio di conoscenze condivise e di
professionalità coerenti relative a vari ambiti disciplinari, quali la normativa
europea, nazionale e regionale relativa a salute e sicurezza sul lavoro,
diritto del lavoro, e ordinamento del Mercato del Lavoro; modelli di analisi
strutturale e funzionale dei contesti lavorativi (Qualità, analisi
organizzativa, ecc…); linee guida e principi di buone tecniche relative alla
valutazione dei rischi in ambito lavorativo; modelli di riferimento teorici e
protocolli di intervento per la ricerca psicologico-sociale; metodi e
strumenti di analisi quantitativa e qualitativa dei dati nella ricerca sociale.
A fronte di un contesto organizzativo caratterizzato da un certo livello
di dispersione geografica e professionale, pertanto, c’è la necessità di
capitalizzare e diffondere le conoscenze professionali necessarie all’efficace
raggiungimento degli obiettivi aziendali.
Mentre sul fronte della comunicazione esterna, ad esempio, è
attualmente in corso la definizione di una brochure aziendale e la
macrostruttura di un sito web, sul fronte dell’assetto organizzativo e
gestionale interno è necessaria l’adozione di un sistema di condivisione di
pratiche e conoscenze professionali, che consenta ed incentivi le persone a
condividere piuttosto che accentrare, a distribuire piuttosto che a
centralizzare, a divulgare il sapere piuttosto che a celarlo per acquisire
potere.
Tale assetto si avvale di soluzioni per la generazione e la gestione
della conoscenza (knowledge management), di attività di formazione e
aggiornamento professionale continue, e di strumenti tecnologici finalizzati
a favorire la comunicazione e la condivisione tra i professionisti. La
presentazione delle opzioni teoriche adottate dal presente lavoro è oggetto
del paragrafo successivo.

2. Le opzioni teoriche di riferimento

2.1 Dati, informazioni, conoscenza, competenze: un


confronto.

Il concetto di conoscenza, proprio per la sua natura intangibile, è


stato oggetto di molte analisi che hanno portato a diverse definizioni. Un
elemento tuttavia su cui c’è un primo, generale consenso, consiste nel
fatto che la conoscenza non coincide né con i dati né con le informazioni,
anche se per sua natura si trova in relazione con entrambi. Prima di
affrontare il tema della conoscenza e della sua gestione efficace, pare
dunque opportuno presentate sinteticamente le definizioni base di questi
tre concetti per poi successivamente delinearne i confini e le zone di
contatto.

I dati
Costituiscono un insieme di accadimenti oggettivi e distinti riferiti ad
un evento, registrazioni delle attività e dei risultati ottenuti. La gestione dei
dati presenti in un’azienda, sino a poco tempo fa, era quasi sempre
effettuata da sistemi informativi a livello centrale (archivio cartaceo o
database). Nel tempo la gestione dei dati si è fatta sempre meno
centralizzata, nel tentativo di renderli disponibili ai suoi dipendenti (e non
solo) attraverso i vari strumenti informatici a disposizione.
In ogni caso, i dati, di per sé, sono poco più che simboli, segni
semplici o complessi che, pur contenendo potenzialmente in sé (nel loro
complesso) delle informazioni, pure non sono capaci di renderle esplicite.
Fondamentalmente cioè, un database ha come obiettivo la raccolta di dati
per gestire il business nel suo svolgersi quotidiano, con caratteristiche
fortemente operative. Anche i database management system più
performanti consentono quindi solo un accesso veloce e immediato ai dati,
ma non li rendono intelligibili.
Le informazioni
Una mole notevole di dati non facilita peraltro le operazioni di ricerca
e di presa di decisione perché non forniscono un significato univoco agli
eventi che descrivono, in quanto ne possono descrivere unicamente una
parte molto ristretta. Mentre quindi i dati rappresentano una preziosa
“materia prima” a cui attingere, la loro trasformazione in informazioni
dipende dalle attività di selezione e strutturazione effettuate rispetto ad un
contesto. Tra tali attività, Davenport e Prusak (1998) indicano:
• contestualizzazione, è conosciuto l’obiettivo per il quale sono
stati raccolti;
• categorizzazione, sono conosciute le loro unità di analisi e i loro
componenti chiave;
• calcolo, i dati sono stati analizzati matematicamente o
analiticamente in modo da ricavarne informazioni;
• correttezza, verificare se ed in che modo i dati siano corretti,
ovvero siano stati rimossi errori e quanto concorrano utilmente alla
costruzione di informazioni;
• concentrazione, i dati vengono riassunti in forma concisa.

E tuttavia, il possesso delle informazioni non è ancora garanzia


sufficiente di una definizione efficace e gestione efficiente di un certo piano
di azione, caratteristiche tipiche invece della conoscenza. A tal proposito, la
Tabella 2 anticipa le principali differenze tra informazione e conoscenza.
Tabella 2 : differenze tra informazione e Conoscenza

La conoscenza
Il concetto di conoscenza è stato oggetto di numerose e differenti
definizioni. Sorge (2000), ad es., la definisce come «un insieme di
informazioni tra loro correlate che può essere acquisito sul piano logico e
dell’esperienza».
Davenport e Prusak (1998) la definiscono piuttosto come «una
combinazione fluida di esperienza, valori, informazioni contestuali e
competenza specialistica, che fornisce un quadro di riferimento per la
valutazione e l’assimilazione di nuova esperienza e nuove informazioni.
Essa origina e viene applicata attraverso i conoscitori. Nelle organizzazioni
la conoscenza risulta legata non solo ai documenti, ma anche alle
procedure e ai processi organizzativi, alle pratiche e alle norme”.

Questa seconda definizione ha il merito di enfatizzare la maggior


aderenza della conoscenza all’azione, (aspetto che ci porterà, al punto
successivo, a trattare delle competenze) e di attribuire un ruolo centrale
alle relazioni interpersonali e contestuali esistenti tra gli attori
organizzativi, i “conoscitori”. Queste relazioni sono, evidentemente,
caratterizzate e influenzate da fattori quali il grado di fiducia, la simpatia,
l’interesse a cedere determinate informazioni – elementi da tenere in
considerazione per garantire una corretta circolazione e comprensione
delle informazioni stesse. All’interno dei contesti organizzativi, le
informazioni circolano attraverso reti che potremmo definire, mutuando
una terminologia tecnologica, di tipo soft e hard. Le reti soft non sono
definibili facilmente, in quanto non formalizzate e visibili, e peraltro
risultano determinate da esigenze specifiche e limitate a singoli scambi
comunicativi (come ad es., le chiacchiere durante una pausa caffè). Le reti
di scambio di informazioni di tipo hard dispongono invece di una
infrastruttura dedicata, visibile nella struttura dell’azienda e definite da
caratteristiche e limiti di accesso precisi (caselle di posta elettronica, cavi,
computer, portali ecc…) progettati per essere utilizzati in maniera
continuativa e strutturata dal personale dell’azienda.

Considerare la conoscenza dal punto di vista della sua accessibilità,


infine, rende possibile una ulteriore distinzione, come suggerito da Michael
Polany (1979), tra:
• Conoscenza tacita: accessibile indirettamente e con difficoltà solo
attraverso la formalizzazione della conoscenza e l'analisi delle
abitudini, fortemente personale e legata alle abilità individuali è
difficilmente formalizzabile e trasferibile in maniera diretta.
• Conoscenza esplicita: prontamente accessibile ed organizzata
con strumenti ad hoc, e trasmissibile attraverso il linguaggio
formale e sistematico.
Il famoso passaggio degli Autori “possiamo conoscere più di ciò che
possiamo esprimere” intende evidenziare che la parte di conoscenza che
noi riusciamo a sapere di possedere e che riusciamo ad esprimere (ovvero
la conoscenza esplicita) è solo una parte di tutta la conoscenza che
possediamo in noi (sotto forma di conoscenza tacita).

In quest’ottica, dunque, la conoscenza non risiede solo nei documenti


aziendali, ma anche nelle procedure e nei processi organizzativi, nelle
pratiche e norme - formalmente ed informalmente seguite dal personale.
In una parola: essa ha origine ed è applicata nella testa di chi
conosce, coinvolgendo direttamente le credenze e la cultura di ciascun
“conoscitore”.
Anche la conoscenza deriva da un processo trasformativo condotto a
partire dalle informazioni :
• il confronto tra l’informazione in una specifica situazione e altre
situazioni conosciute;
• le conseguenze, ossia le implicazioni che l’informazione ha
rispetto alle decisioni e alle azioni;
• le connessioni tra la presente informazione e le altre;
• la conversazione, che permette di sapere cosa le altre persone
pensano di questa informazione.

La competenza
Se nel passato le imprese potevano contare su una conoscenza
consolidata ed approfondita dei consumatori, le loro abitudini di acquisto,
le modalità più opportune per fidelizzarli ed interagire con loro ecc., oggi la
situazione è affatto diversa. Identità dei consumatori mutevoli, e relativi
comportamenti di acquisto volatili, rendono di fatto impossibile la
definizione di strategie orientate al mercato traguardate sul lungo termine.
Più che una basata sui “bisogni che è in grado di soddisfare”, appare
più opportuno per l’impresa adottare una visione basata su “cosa è capace
di fare al meglio”. Ciò ha portato all’emergere di un nuovo paradigma di
strategia d’impresa, denominato approccio basato sulle risorse (Butera, F.,
Donati, E., Cesaria, R., 1997), che ritiene che le competenze, le capacità,
le abilità e gli assetti strategici, forniscano all’impresa una fonte di
vantaggio competitivo sostenibile e stabile. Secondo il paradigma basato
sulle risorse, ogni impresa è quindi un insieme caratteristico di risorse e
competenze molto differenziate, e la ricerca di un vantaggio competitivo
richiede la formulazione ed implementazione di una strategia che riconosca
e sviluppi le proprie caratteristiche distintive.

Nella classica definizione di Boyatzis (1982), la competenza è «una


caratteristica intrinseca di un individuo, causalmente collegata ad una
performance efficace o superiore nella mansione». Spencer e Spencer
(1995) riconducono le caratteristiche intrinseche alle motivazioni, i tratti
stabili della personalità, la visione o immagine di sé, le conoscenze
tecniche e la capacità cognitive e comportamentali. Altrettanto
classicamente, la competenza è considerata la risultante di tre
componenti:
• conoscenze, intese come sapere specifico richiesto dalla
professione, acquisite tramite una combinazione di istruzione,
formazione ed esperienze professionali;
• capacità, intesa come saper fare, l’insieme delle abilità connesse
all'applicazione professionale delle conoscenze in un determinato
ruolo;
• comportamenti, intesi come saper essere, l'insieme dei
comportamenti messi in atto dall'individuo inserito in un ruolo
specifico.

Sarebbero dunque le competenze le componenti in grado di sostenere


e guidare effettivamente il realizzarsi delle più importanti leve gestionali
delle organizzazioni quali la selezione, la pianificazione e lo sviluppo, la
formazione, la valutazione delle prestazioni.

Il mercato della conoscenza


La stessa centralità della “competenza” all’interno del sistema-
azienda, pone questo asset strategico al crocevia di interessi e dinamiche
contrapposte. Infatti, gli individui hanno l'obiettivo di:
• fare il punto sulle proprie competenze e chiarire i propri obiettivi
professionali;
• pianificare un proprio percorso professionale coerente con le
possibilità e i vincoli aziendali;
• rafforzare la propria capacità di reagire positivamente ai
cambiamenti lavorativi.
Di converso, l'organizzazione ha la necessità di:
• favorire la convergenza tra i piani delle persone e quelli aziendali,
ottimizzando l'uso delle risorse;
• migliorare la conoscenza delle proprie risorse umane, il potenziale
disponibile e le competenze trasferibili;
• sviluppare un presidio dei percorsi di carriera e delle competenze.

I due obiettivi sono evidentemente contrapposti, con gli individui


interessati ad enfatizzare il riconoscimento del loro valore e sulle loro
possibilità di crescita, e l'organizzazione a porre invece l’accento sulle
condizioni del proprio successo, sulle sue possibilità di generare un
differenziale competitivo rispetto ai propri competitor.
Ciò configura, anche per delle risorse squisitamente immateriali quali
le competenze, una situazione di scambio negoziale regolamentato, un
“mercato”.
Si tratta, evidentemente, di un mercato sui generis e con alcuni
caratteristici elementi di inefficienza - quali l’incompletezza e l’asimmetria
delle conoscenze presenti sul mercato, e la loro difficile localizzazione.
Diversamente da altri mercati, infatti, può risultare difficile individuare il
“giusto” fornitore, o raggiungerlo effettivamente dopo averlo individuato.
Alcuni fornitori possono possedere le migliori competenze ma non essere in
grado di esprimere in modo articolato la loro conoscenza tacita.
viceversa, altri possono possedere una conoscenza eccessivamente
specializzata, personale o troppo limitata perché a essa sia riconosciuto un
sufficiente valore di mercato. Altri fornitori ancora, possono autoescludersi
dal mercato perché ritengono di poter ottenere maggiori vantaggi
dall’accumulazione che non dalla condivisione. In ogni caso, la valutazione
della qualità della merce, e del suo valore, prima del suo acquisto può
risultare estremamente difficile. A questo proposito, alcuni autori
evidenziano l’importanza di prevedere in ogni sistema di KM una
knowledge map, una mappa delle conoscenze che mettesse in relazione i
singoli individui che formano una organizzazione con le competenze da
questi possedute. Si tratterebbe di un modulo deputato al duplice scopo di
consentire l'identificazione dei depositari delle competenze (conoscenza
tacita), e di realizzare un modello dell'organizzazione medesima,
necessaria al modulo di modellazione dei processi per assegnare
all'esecutore più idoneo, ciascuno dei singoli task che formano il processo.
Se si considera il problema delle condivisione delle conoscenze
nell’ottica di un mercato, si trae l’impressione che le prime esperienze di
implementazione di sistemi di Knowledge Management fossero state
fondate sull’ipotesi utopistica che la conoscenza possa essere trasferita
senza generare attrito o divergenze tra gli attori, e che gli individui che
condividono la conoscenza non siano interessati a ciò che potrebbero
acquistare o perdere in tali transazioni. Qualora non percepiscano
un’equità adeguata nel processo di scambio, gli individui possono invece
ravvisare dei pericoli nel trasferire quote del proprio sapere, e
conseguentemente evitare di contribuire alla costruzione delle
“competenze organizzative”.

La strategia vincente dovrebbe essere impostata sulla ricerca di


un’integrazione ottimale dei due obiettivi, attraverso un equilibrio dinamico
che consenta al “singolo” di migliorare le proprie competenze e la propria
crescita professionale con la consapevolezza che il proprio saper fare
contribuisce a determinare le competenze distintive dell'organizzazione.
La condizione necessaria per realizzare l'integrazione dei due obiettivi
è rappresentata ancora una volta da una forte cultura d'impresa, grazie
alla quale è possibile far coincidere l'individualità dell'azienda con
l'individualità dei suoi membri. Una cultura organizzativa diffusa e
condivisa, “forte”, è in grado di creare un ambiente interno caratterizzato
da elevata efficienza dinamicità nello scambio di competenze. Infatti, se è
vero che per le conoscenze e competenze acquistate al di fuori di
un’organizzazione il riconoscimento è pressoché unicamente di tipo
monetario, lo scambio di tali risorse all’interno dei confini organizzativi non
necessariamente deve essere regolato dalle sole leve economiche. Esistono
infatti altre forme di riconoscimento quali :
•la Reciprocità: ciascun “fornitore di conoscenza” (o, citando
Davenport e Prusak, “conoscitore”) confida nella disponibilità dei suoi
“acquirenti” a cedere la loro conoscenza in una successiva circostanza,
qualora egli si trovasse a sua volta nella posizione di acquirente.
•la Reputazione di un individuo, come “fornitore affidabile di
conoscenza”, utile ad aumentare negli altri attori organizzativi la
convinzione della sua disponibilità a condividere conoscenza esperta in
situazioni simmetriche, configurando così una sorta di “credito di
conoscenza”.
2.2 Il Knowledge Management

La seconda metà degli anni Novanta ha visto l’emergere, nel mondo


del business, di un tema per certi aspetti già affrontato nel mondo
accademico: il sapere come oggetto d’analisi nelle organizzazioni
economiche.
Tuttavia, conoscenza e apprendimento sono temi che hanno sempre
interessato l'uomo. Come sottolinea Wiig (1997), già le confraternite di arti
e mestieri ed il sistema apprendista-maestro che hanno dominato nel
periodo medievale erano basati su alcuni dei principi che sono oggi il
fondamento del KM. Lungo tutta l’era preindustriale, in un contesto storico
caratterizzato da lavori a basso contenuto intellettuale, e grande stabilità
del mercato del lavoro, la prima forma di trasmissione del sapere si basava
sull'osservazione del lavoro di un maestro, il quale si preoccupava di
trasmettere la propria conoscenza ai suoi apprendisti. Questo scambio non
era mediato generalmente da nessun'altra persona o istituzione ed
avveniva in maniera diretta tra maestro ed apprendente.
La prima rivoluzione industriale non ha modificato sostanzialmente
questo scenario e, nonostante la proliferazione delle industrie e la
conseguente necessità di maggiore specializzazione, il modello
apprendista-maestro, continuò a prevalere adattandosi alle nuove
esigenze.
Nel tempo però, il progressivo avanzamento tecnologico ha reso la
componente umana del processo industriale sempre più marginale,
spostando le sue competenze dalla realizzazione materiale dei beni ad
attività di controllo o di tipo intellettuale (quali ad es., la progettazione). È
in questa fase storica, la seconda metà del XX secolo, che viene introdotto
con successo l’espressione “lavoratore della conoscenza”:
«Alla vigilia della seconda guerra mondiale gli operai semiqualificati che
lavoravano alla catena di montaggio costituiscono il nucleo centrale
della forza lavoro americana. Oggi questo nucleo centrale è costituito da
lavoratori intellettuali che applicano al lavoro produttivo non tanto
l’abilità manuale o la forza muscolare, quanto le idee, i concetti e le
informazioni» (Drucker, 1969)

Il processo di intellettualizzazione del lavoro diventa inarrestabile,


tanto che in Italia Butera, Donati e Cesaria (1997) possono affermare:
‹‹Le industrie a più alta crescita negli anni '90 (microelettronica,
biotecnologie, telecomunicazioni robot e computer) sono industrie
brainpower, che non dipendono dalla disponibilità di risorse naturali e
che possono essere localizzate in qualsiasi parte del pianeta. L'unica
fonte di vantaggio competitivo per queste industrie è oggi e sarà sempre
di più la creazione e la capacità d’applicazione delle conoscenze nei
processi economici».

Fiorisce una letteratura, che tenta di illustrare ed esemplificare un


tema piuttosto astratto (la gestione della conoscenza), ma ancor di più
pone le condizioni per la creazione di tutta quella strumentazione
necessaria al manager sia attraverso la creazione di un linguaggio
manageriale per parlare di conoscenza aziendale (a partire dalla diffusione
dell’etichetta “Knowledge Management”) sia, e forse soprattutto, creando
una serie di presupposti fondamentali per l’adozione da parte del
management di un nuovo approccio alla gestione d’impresa, enfatizzando il
ruolo strategico della comunicazione, dello scambio informativo e
soprattutto della cooperazione tra gli individui come leva per le pratiche di
condivisione della conoscenza.

La maggior parte degli autori definisce il Knowledge Management


come: «l’insieme dei processi che permettono di identificare, catturare,
organizzare, e distribuire conoscenza» (Von Kroegh, 1999), ovvero come
l’insieme delle attività finalizzate a: «identificare, gestire e valorizzare cosa
l'organizzazione sa o potrebbe sapere: skills ed esperienze delle persone,
archivi, documenti e biblioteche, relazioni con i clienti e fornitori, e altri
materiali archiviati in database elettronici» (Davenport, 2000)

In generale, l’obiettivo del knowledge management è quello di


migliorare l’efficienza dei gruppi collaborativi esplicitando e mettendo in
comune la conoscenza che ogni membro ha maturato durante il suo
percorso professionale. In tal senso il KM si configura come la concreta
possibilità di rendere espliciti i saperi, le informazioni, le competenze insite
nelle risorse che lavorano all’interno di un’azienda permettendo ad altri di
acquisirle. Le infrastrutture e i progetti di KM sono generalmente
caratterizzati da :
•la creazione di un’infrastruttura di comunicazione (Intranet) diffusa e
capillare per abilitare la comunicazione laterale;
•l’adozione di tool di supporto all’interazione on-line (discussion
groups, chat,…) per favorire la socializzazione e l’esplicitazione dei
saperi taciti delle comunità;
•la creazione di repository strutturati e condivisi (knowledge bases e
enterprise knowledge portals) dove l’intelligenza organizzativa raccoglie,
organizza e diffonde il sapere esplicitato dalle comunità;
•la nomina di knowledge manager, il cui compito è di facilitare
l’interazione comunitaria e l’alimentazione delle knowledge base;
•la creazione di tassonomie o sistemi categoriali aziendali per
rappresentare in maniera codificata (esplicita) il sapere;
•la creazione di processi di contribuzione che vedono il singolo
membro dell’organizzazione autoesplicitare il suo sapere tacito,
principalmente mediante la codificazione del suo contributo secondo la
tassonomia aziendale.

Figura 3 : un semplice schema del processo teorico di KM

Nonostante il KM goda ormai di una fama internazionale e sia al


centro delle attività di molte aziende, tuttavia, il KM non sembra aver
prodotto risultati di grande rilievo. La maggior parte delle volte, esso ha
significato la creazione o l’aggiornamento di grandi intranet aziendali con
l’aggiunta, a volte marginale, di un qualche sistema o applicazione per la
gestione di workflow documentali, repository o discussion group. Nella
pratica, sembrano permanere tuttora irrisolte alcune ambiguità di fondo,
legate al rapporto del KM con le ICT, alla considerazione della conoscenza
come risorsa (relativamente) indipendente dalle persone che la creano, e
nella liquidazione delle complessità insite nel processo di scambio di risorse
conoscitive.
Il KM e le ICT

Le richieste rivolte ai diversi software possono essere riassunte in


quattro tipi di operazioni: raccogliere, elaborare, distribuire e
immagazzinare dati, e gli strumenti informatici hanno permesso la
razionalizzazione del lavoro e la riduzione dei costi di gestione. Ma
soprattutto hanno permesso l'accumulo, la gestione, l'indicizzazione e la
distribuzione delle informazioni con una velocità e diffusione
assolutamente inimmaginabili.
I sistemi informativi camminano di pari passo con i cambiamenti
organizzativi che a loro volta seguono i processi culturali. Soffermarsi a
descrivere come la tecnologia abbia tentato di dare risposta all’esigenze
delle imprese ci aiuta a comprendere le modalità con cui le informazioni
vengono acquisite, gestite ed elaborate e quindi di definire come possono
favorire la diffusione della conoscenza. In una prima fase di sviluppo, le
tecnologie hanno favorito la gestione dei processi maggiormente
strutturati, ovvero quelli che possono essere eseguiti in maniera ripetitiva
trattando dati poco complessi. Lo sviluppo delle soluzioni cercava di
prendere in considerazione le caratteristiche delle aziende e di adattarvisi
quanto più possibile. In tale periodo l’innovazione ha riguardato
l'automazione delle attività di raccolta, archiviazione e reperimento dei dati
di natura operativa. Gli elementi principali di questi sistemi sono i
database che favoriscono la gestione organizzata dei dati.
La seconda fase di sviluppo dei sistemi informatici è stata
caratterizzata dall'integrazione di applicazioni operative con quelle di tipo
gestionale e direzionale. I sistemi informatici divengono integrati,
rimangono sempre orientati ai dati, ma gli archivi non sono ridondanti e la
gestione delle informazioni è centralizzata. La costituzione di un sistema
informatico integrato è molto più complessa in quanto è necessaria una
corretta definizione della struttura nel suo insieme e quindi delle
interrelazioni fra i diversi settori. L’attenzione degli sviluppatori si sposta
dai database ai datawarehouse.

In genere tali sistemi finiscono però col diventare “cattedrali nel


deserto”, disertati dagli utenti che, nonostante le petizioni di principio, non
ne capiscono l’utilità. Il limite di tali infrastrutture di KM è architetturale in
senso lato: esse presumono infatti un processo di produzione
codificazionediffusione del sapere che non trova riscontro nella natura
distribuita dei processi cognitivi. Secondo queste architetture, sia in senso
tecnologico sia in senso organizzativo, i membri dell’organizzazione
producono durante il loro lavoro un sapere tacito che viene reso sociale
nell’interazione comunitaria, codificato e depurato attraverso l’opera del
knowledge manager e quindi diffuso al resto dell’organizzazione. In questo
senso, mentre da un lato le infrastrutture di KM inseguono l’illusione di una
rappresentazione omogenea, unitaria e non ambigua del sapere
organizzativo, dall’altro lo svolgersi della vita organizzativa produce
continuamente sistemi di saperi locali spesso incommensurabili tra loro ma
dal cui incontro occasionale nasce l’opportunità dell’innovazione.

La scarsa contribuzione a sistemi centralizzati e codificati (knowledge


base) può allora essere spiegata anche dal fatto che un sistema di codifica
unitario dei contributi non è adeguato alla molteplicità dei modelli
interpretativi cui i diversi membri dell’organizzazione afferiscono (un
esempio è dato dalla proliferazione e dall’eterogeneità semantica dei
sistemi categoriali presenti nelle intranet aziendali). Questo tipo di
classificazione, tassonomica, crea una serie di nuove criticità (Quintarelli,
2005), in quanto :
•le risorse informative catalogate possono non rientrare perfettamente
in una (e una sola) categoria;
•i sistemi tassonomici di categorizzazione richiedono l’adozione e l’suo
coerente di uno schema - che quanto più è robusto e consistente, tanto
più risulta rigido e resistente ai cambiamenti che ogni corpus scientifico
inevitabilmente affronta;
•tale sistema di classificazione, quanto più scientificamente rigoroso,
risulta essere potenzialmente lontano dal modo con cui l’utenza finale
(non esperta) organizza la propria conoscenza.
Un sistema categoriale oggettivo e unico è per definizione privo di
significato e pertanto semanticamente non accessibile ai membri delle
diverse comunità aziendali. Il più delle volte tali sistemi, più che essere
oggettivi, sono il portato di una comunità specifica, a volte della comunità
che gestisce l’infrastruttura di KM, altre volte del top management. Di fatto
viene fatto passare sotto un’aurea di oggettività un qualche cosa di
potentemente soggettivo: il modello interpretativo di chi ha prodotto il
sistema categoriale. Sistemi di tipo “2.0” danno invece agli utenti finali la
possibilità di utilizzare forme diverse – personali - di organizzazione dei
contenuti, etichettando (tagging) liberamente le risorse informative in
funzione dei loro scopi e competenze.
La terza generazione di soluzioni ICT per il KM dovrà piuttosto
orientarsi verso l’apprendimento, considerare l’organizzazione come un
sistema multidisciplinare e multidimensionale in cui non è più sufficiente
governare i processi operativi, gestionali e direzionali, ma è necessario
analizzare e ripensare criticamente i propri successi e insuccessi, rivedere
in modo continuativo i propri indirizzi strategici e le routine consolidate,
porre attenzione a tutti i segnali provenienti dall'ambiente. Un processo
che reputa necessario sperimentare innovazioni tecniche e organizzative
che vengono alimentate da processi di coinvolgimento dei lavoratori per la
produzione e la diffusione della conoscenza.
La produzione dei saperi non potrà più coincidere con il processo di
accumulazione dei contenuti (processo che può invece essere pensato
come centralizzato e indipendente da chi li ha prodotti), ma piuttosto con
quello di negoziazione dei modelli interpretativi che, come detto, è
necessariamente sociale e distribuito. In questo senso diremo che
l’organizzazione, letta da un punto di vista orientato alla conoscenza, è
adesso raffigurabile come una costellazione di comunità, ovvero di saperi
locali, che riproducono localmente e in modo distribuito i propri repertori
cognitivi al fine di adeguare la propria capacità di dare senso alle
situazioni. Tali saperi, anche quando codificati, avranno significato solo
all’interno del sistema di assunzioni di ciascuna comunità. Elementi
distintivi dei nuovi sistemi informativi sono rappresentati dai web services
e dai sistemi di comunicazione e partecipazione con e tra gli utenti.

A questo punto la distinzione è evidente: le ICT sono soltanto uno


degli strumenti che il KM utilizza per raggiungere i suoi obiettivi. Denham
Grey (1998) presenta le principali differenze tra l’Information Management
e il Knowledge Management. L’Information Management è incentrato
sugli oggetti, ossia i dati e le informazioni e ha come obiettivo quello di
garantire accesso, sicurezza, diffusione e immagazzinamento di
informazioni esplicite. I core concept di quest’approccio sono l’efficienza, la
velocità, i costi, lo spazio di immagazzinamento, la precisione e il recupero
dei dati. Il Knowledge Management è invece incentrato sulle persone e
sul pensiero critico, le idee innovative, le relazioni, le competenze e la
collaborazione. Supporta le comunità e l’apprendimento individuale e di
gruppo, incoraggia l’allineamento delle conoscenze, la condivisione di
esperienze, di best practices, ma anche di fallimenti. Al contrario
dell’Information Management, non è focalizzato sulla tecnologia, anche se
la utilizza per migliorare la comunicazione, per condividere contesti e
negoziare i significati.
Se l'analisi, l'indicizzazione e la diffusione sono ormai affermate e
facilmente realizzabili anche grazie agli strumenti offerti dall'IT, sono la
creazione e la condivisione della conoscenza a risultare la chiave di svolta
per un KM efficace.

L’approccio giapponese al KM
Uno dei contributi classici nell’ambito del Knowledge Management ci è
offerto da Nonaka e Takeuchi (1995), le cui suggestioni ci sembrano
particolarmente pertinenti al contesto aziendale analizzato (vedi paragrafo
1.3).
Partendo dal presupposto che la conoscenza sia incapsulata e creata
nei singoli individui, e successivamente sistematizzata all’interno della rete
di conoscenze dell’organizzazione stessa per una sua capillare diffusione,
gli Autori indicano quali condizioni favoriscano tale processo di creazione e
circolazione delle conoscenze. Riprendendo Polanyi (1979), Nonaka e
Takeuchi distinguono la conoscenza in “tacita” ed “esplicita”, intendendo la
prima come soggettiva e definendola esperienziale, simultanea e
analogica, la seconda oggettiva, razionale, sequenziale e digitale.

Tabella 3 : Differenze tra Conoscenze tacite ed esplicite

Queste due dimensioni della conoscenza sono complementari, ed è


proprio attraverso la loro continua interazione che si crea e si diffonde la
conoscenza, mediante un processo che gli Autori chiamano conversione di
conoscenza, processo articolato in quattro differenti modalità che formano
a formare la cosiddetta spirale della conoscenza.
1. la Socializzazione o conoscenza simpatetica: è il processo di
conversione di conoscenza tacita in conoscenza tacita e può aver luogo
tramite processi di osservazione, imitazione e scambio di esperienze (come
nel caso riportato dagli Autori dell’osservazione di un cuoco per creare una
macchina impastatrice automatica). La socializzazione è favorita dalla
costruzione di un campo di interazione, in cui i membri di
un’organizzazione possono scambiarsi esperienze e condividere modelli
mentali, producendo anche abilità condivise;
2. L’esteriorizzazione o conoscenza concettuale: è il processo di
conversione di conoscenza tacita in conoscenza esplicita, che avviene
attraverso l’uso di metafore e analogie. L’esteriorizzazione è supportata dal
dialogo, in cui l’uso di metafore e analogie permette ai colleghi di lavoro di
comunicare conoscenze tacite, per loro natura difficili da trasferire;
3. la combinazione o conoscenza sistemica: è il processo di
conversione di conoscenza esplicita in conoscenza esplicita, attraverso
documenti, manuali, database, ma anche riunioni, innescata dalla «messa
in rete di conoscenza» nuova e consolidata, riconfigurando la quale si può
creare nuova conoscenza (espressa ad es. in nuovi prodotti o servizi);
4. L’interiorizzazione o conoscenza operativa: è il processo di
conversione di conoscenza esplicita in conoscenza tacita attraverso
l’apprendimento tramite esperienza, in cui le esperienze vengono
interiorizzate dagli individui sotto forma di modelli mentali o know-how.

conoscenza
implicita esplicita
implicita

Esteriorizzazione
Socializzazione
Conoscenza

esplicita

Interiorizzazione Combinazione

Figura 4 : la spirale della conoscenza (Nonaka e Takeuchi, 1995)

Il movimento a spirale vuole evidenziare il continuo e dinamico


processo di interazione tra conoscenza tacita ed esplicita, in cui le distinte
modalità di conversione sono innescate da diversi fattori scatenanti:
1. l’intenzione, ossia la propensione dell’organizzazione a realizzare i
propri obiettivi, espressa dalle strategie. Dal punto di vista della
conoscenza, l’intenzione consiste nel concettualizzare una vision relativa
alla conoscenza che si vuole sviluppare, e nel creare il sistema
manageriale in grado di implementarla;
2. l’autonomia degli individui: in un sistema del organizzativo, gli
individui sviluppano autonomamente idee originali e le diffondono, si auto-
organizzano definendo autonomamente i propri compiti, per raggiungere
obiettivi che realizzino l’intenzione dell’organizzazione;
3. la fluttuazione e il caos creativo, che interrompendo la routine e
gli schemi cognitivi di riferimento dei membri dell’organizzazione,
permettono la messa in discussione dei punti di vista, favorendo il dialogo
e quindi la creazione di nuovi concetti, tramite esteriorizzazione. Il caos
può non solo essere legato ad una crisi esterna, ma essere indotta
intenzionalmente dal management, per stimolare i lavoratori ad adottare
schemi cognitivi alternativi.
4. la ridondanza di informazioni, che può essere indotta attraverso
la job rotation del personale, per sviluppare le loro competenze e
conoscenze professionali. Sessioni di brainstorming e reti di comunicazione
formali e informali (ad es., le chiacchiere informali durante le pause di
lavoro) possono costituire altrettanti strumenti per creare ridondanza.
5. la varietà dei requisiti, ossia la diversità di esperienze degli
individui che lavorano ad uno stesso progetto. Attraverso una struttura
piatta e flessibile, è possibile garantire l’accesso di ogni settore, ma anche
di ogni singolo attore organizzativo, a molteplici e differenti tipi di
informazioni e abilità, in modo da permettere ai lavoratori di far fronte alle
più svariate situazioni e circostanze che l’azienda può incontrare.

Tutti i livelli dell’organizzazione, ognuno con il proprio ruolo, devono


ovviamente contribuire alla creazione delle precondizioni atte ad avviare
un processo di conversione della conoscenza.
Nello specifico, gli Autori indicano tre livelli di responsabilità:
•la Front Line, che ha il ruolo di accumulare, ma anche di generare
conoscenza tacita ed esplicita;
•il Middle Management, che da un lato presiede alla trasformazione
della conoscenza tacita in esplicita e viceversa, dall’altro funziona da
“ponte” fra Top Management e Front Line;
•il Top Management, che ha il ruolo di definire l’intenzione
organizzativa, la vision di riferimento alle varie attività operative.
Secondo gli Autori, il modello gestionale ideale per favorire il processo
di creazione di conoscenza descritto e per estenderlo a tutti i livelli
organizzativi è quello Middle Up Management. In questo modello, la
conoscenza proviene da tutti i livelli organizzativi e non soltanto dall’alto
(topdown), né soltanto dal basso (bottomup).
Sul piano strutturale, infine, le organizzazioni di tipo burocratico
(Funzionale) favoriscono maggiormente la combinazione e
l’interiorizzazione, ma penalizzano l’iniziativa del singolo e non sono
abbastanza flessibili di fronte alla complessità; strutture organizzate in
task-force (Divisionale) invece, favoriscono lo scambio di conoscenza
tacita e la sua conversione in esplicita, ma, essendo troppo legate al
compito per cui sono state progettate, non consentono una diffusione delle
conoscenze alla totalità dei membri dell’organizzazione. Gli Autori
individuano pertanto una terza configurazione organizzativa che
massimizzi gli aspetti positivi delle prime due: l’ipertesto (Matriciale) , in
cui gli individui possano muoversi in diversi strati interconnessi con la
stessa flessibilità con cui ci si muove navigando in un ipertesto.

In un contributo successivo, Nonaka (2001) articola in altra forma i


concetti sopra espressi, utilizzando due nuovi concetti: quello di «ba» e,
soprattutto, quello di «care».
Il ba è il luogo e il tempo in cui avviene la creazione di conoscenza.
L’Autore ne individua quattro forme:
11. originating ba, il mondo reale in cui gli individui condividono
sentimenti, emozioni, esperienze e modelli mentali, e nel cui contesto
si verifica principalmente la socializzazione;
22. dialoguing ba, il luogo dell’interazione tra pari, e in cui si verifica
principalmente l’esteriorizzazione, dove gli individui dialogano tra loro
e condividono, così, i modelli mentali altrui e riflettono anche sui
propri, convertendo modelli e skills in termini e concetti comuni;
33. systematizing ba, il luogo della collaborazione strutturata
(facilitata dall’information technology e da strumenti quali reti internet
e intranet, groupware, database, ecc.), in cui si verifica
principalmente la combinazione;
44. exercising ba, il luogo dell’interiorizzazione, caratterizzato da una
interazione di tipo formativo, in cui una funzione di “training” aiuta a
sviluppare e consolidare determinati schemi mentali.

Ai fini del nostro discorso, è utile rimarcare soprattutto la rilevanza


che il ba attribuisce alla socializzazione, e alla relazione interpersonale,
come strumento di trasmissione di conoscenza tacita, quindi di nuova
creazione di conoscenza all’interno dell’organizzazione.

Il care, è un concetto riassuntivo di una serie articolata di elementi


quali la fiducia, l’affetto, il commitment e - più in generale, l’“atmosfera” a
supporto del trasferimento di conoscenza tacita tra colleghi di lavoro, tutto
ciò che alimenta le relazioni (non solo lavorative) tra i membri di
un’organizzazione, ed è una delle condizioni fondamentali per la
costruzione e il mantenimento di un ba.
Secondo l’Autore, nelle organizzazioni in cui il care verso gli altri non è
un valore condiviso, i membri tendono:
•a livello individuale, ad impadronirsi della conoscenza (seizing): ciò
significa che un basso grado di care non facilita il trasferimento di
conoscenza, quanto il possesso egoistico della stessa, come forma di
potere anziché di servizio alla collettività. In organizzazioni di questo
tipo, la scarsa condivisione di valori penalizza la proattività e l’accesso
all’aiuto altrui. L’individuo è lasciato da solo nella sua attività di sviluppo
della conoscenza e nell’assolvimento dei compiti;
•a livello sociale, a negoziare la conoscenza (transacting) secondo
regole e procedure formali piuttosto che da relazioni personali di tipo
informale, in quanto l’expertise è stabilita dalla burocrazia, che regola
anche il flusso di conoscenza. In un simile conteso, sono gli “esperti” che
legittimano la conoscenza sociale, che è soprattutto di tipo esplicito e
che la trasferiscono strategicamente, tenendo riservate, a volte,
determinate conoscenze ai fini del mantenimento del proprio potere.

Nelle organizzazioni ad alto grado di care, invece, i membri tendono:


•a livello individuale, a concedere conoscenza (bestowing): gli attori
organizzativi formano una rete sociale che supporta sempre il singolo
nello svolgimento dei suoi compiti. L’individuo che si trova in difficoltà
rispetto alla realizzazione di un task non ha mai timore di chiedere aiuto,
perché il care è un valore condiviso dall’organizzazione, ed è previsto
che gli altri membri, accessibili ad ogni livello, cerchino di sviluppare
assieme a lui nuova conoscenza e nuove soluzioni.
•a livello sociale, a mantenere insita, permanente, la conoscenza
(indwelling): i membri sono propensi ad aiutarsi e indulgenti verso gli
errori e i tentativi successivi dei colleghi, perché condividono lo stesso
valore dell’ “imparare” per risolvere effettivamente i compiti e non per
guadagnare potere. La cooperazione continua, favorendo l’instaurarsi di
reciproci sentimenti positivi tra i membri, che percepiscono l’ambiente
come supportivo, sostituisce la burocrazia. Qui non si condivide
conoscenza per rispondere alle regole, ma perché si è mutuamente
interessati a raggiungere uno scopo comune.

Il contributo di Nonaka al KM, in conclusione, risulta estremamente


suggestivo e prezioso, in quanto mette in evidenza come non possa
esistere un management della conoscenza efficace se non esiste anche un
management della fiducia, possibile solo se si conoscono analiticamente le
dinamiche relazionali e culturali dei contesti organizzativi reali.

Dinamiche fiduciarie per la condivisione della conoscenza


Nonostante le previsioni ottimistiche degli analisti e le promesse di
performance dei consulenti e dei software vendors, i sistemi di KM non
sembrano essersi mostrati all’altezza delle aspettative suscitate. L’ipotesi,
più volte accennata in questo lavoro, è che gli ostacoli incontrati dalla
effettiva circolazione e condivisione della conoscenza riguardino non tanto
gli strumenti e le modalità per conservarla, gestirla, permetterne l’accesso
e diffonderla, quanto piuttosto la rete di relazioni sociali all’interno
dell’organizzazione e, in particolare, i rapporti di fiducia instaurati con gli
altri attori sociali.

A questo proposito, Dove (1999) considera la mancanza di fiducia


come il principale ostacolo al lavoro della conoscenza e indica la fiducia
come l’elemento essenziale di tutte le relazioni lavorative, in assenza del
quale non esisterebbe ’impegno, la cooperazione, il lavoro della
conoscenza. L’Autore indica tre stadi di sviluppo progressivo della
fiducia (vedi Figura 5).

Figura 5 : i tre stadi di sviluppo della fiducia (Dove, 1999)

Nel primo stadio interviene la fiducia basata sul calcolo


economico: la fiducia è mantenuta per paura dei costi di una relazione o
di una reputazione danneggiata. Nel secondo stadio interviene la fiducia
basata sulla conoscenza, ossia la fiducia prodotta da costante
interazione, che crea una storia, una base di informazioni sufficiente a
prevedere il comportamento altrui: l’altro diventa familiare. Infine, il terzo
stadio è fondato sull’empatia, ossia su una fiducia basata
sull’identificazione di ciascun individuo con gli scopi e i valori dell’altro,
di cui interiorizza bisogni e desideri, al punto di agire nel suo interesse.

Jones e George (1998) osservano come, all’inizio di un’interazione


sociale, ciascun agente coinvolto attui una sorta di “sospensione del
giudizio”, considerando l’altro affidabile a priori, e comportandosi come se
condividesse i suoi stessi valori. Questa fiducia “di default” può innescare
una relazione fiduciaria, influenzando positivamente sia la cooperazione sia
lo scambio di conoscenza, ma in maniera ed intensità diverse a seconda
che si tratti di fiducia condizionata o incondizionata. La conditional trust
è lo stato fiduciario che spinge gli agenti a interagire fintantoché ognuno si
comporta correttamente con l’altro (Tit for Tat). Essa già consente un
corretto svolgersi delle interazioni tra i membri della stessa organizzazione
e favorisce il verificarsi di transazioni e relazioni future, poiché, se gli tutti
agenti si comportano appropriatamente, non svilupperanno l’un l’altro
sentimenti negativi, anzi si giudicheranno reciprocamente affidabili e
prevedibili. Tuttavia, anche se la conditional trust supporta il
perseguimento di un obiettivo comune, essa non riesce a ridurre
l’eventuale inibizione a chiedere aiuto in situazioni ritenute dagli attori
potenzialmente rischiose. Inoltre, essa non consentirebbe nemmeno
l’emergenza e il trasferimento delle conoscenze tacite, poiché queste – per
loro natura - non possono essere spiegate o tradotte in regole e routines,
ma si trasferiscono principalmente attraverso interazioni sociali. La
unconditional trust, invece, è fondata sulla condivisione di valori comuni,
rafforzata peraltro da ogni interazione di scambio: più gli agenti
interagiscono, più si rendono conto di condividere valori comuni, quindi
continuano ad interagire perché hanno avuto prova empirica
dell’affidabilità dell’altro e del fatto che egli crede nei loro stessi valori.

Una posizione più articolata è espressa infine da Adler (2001), laddove


sostiene che la forma organizzativa ideale per favorire lo scambio di
conoscenza non sia né il Mercato, fondato sul prezzo, né la Gerarchia,
fondata sull’autorità, bensì la Comunità, fondata sulla fiducia. La “fiducia”
auspicata da Adler non è quindi quella tradizionalmente analizzata da
economisti e sociologi, ritenuta poco stabile e più facile da distruggere che
da creare. D’altra parte, laddove le basi della fiducia siano poste nella
familiarità e nella consuetudine, le imprese così fondate rischiano di
diventare elitarie e simili a “clan”, con forti svantaggi per una condivisione
libera. È necessaria, piuttosto, una forma moderna di fiducia, definita
dall’Autore “riflessiva” - aperta, inclusiva, democratica e basata più su
“integrità” e “competenza” che sulla “lealtà”. Questa forma di fiducia potrà
favorire il knowledge sharing, se sarà bilanciata sia da regole gerarchiche
che coordinino la divisione orizzontale e verticale del lavoro per stabilire
l’equità e la stabilità, sia da regole di mercato per garantire la necessaria
flessibilità.

2.3 Potenzialità e scenari del “Web 2.0”

A cavallo del duemila si iniziò a parlare della crisi di internet e delle


ridotte potenzialità di sviluppo delle reti web. Per l’intero arco degli anni
novanta si erano create una serie di aspettative di guadagno per le
imprese che investivano nell’ecommerce che non hanno poi trovato
riscontro nei fatti. Nel 2004, in una sessione di brainstorming durante una
conferenza tra O'Reilly e MediaLive International, Dale Dougherty fece
notare che - tutt’altro che “crollata” - la rete era più importante che mai,
con nuove interessanti applicazioni e siti nascenti. Inoltre, le società che
erano sopravvissute al collasso, sembravano avere alcune caratteristiche in
comune. Si coniò il termine “WEB 2.0” proprio per segnare il cambiamento
in atto ed iniziare a definire gli elementi che stavano caratterizzando il
successo di nuove applicazioni.
Segnare il passaggio da una versione 1.0 ad una 2.0 non è semplice
poiché si tratta di realtà non distinguibili nettamente, che hanno
funzionalità piuttosto simili e che si intrecciano e intersecano
costantemente. Probabilmente ciò che contraddistingue il Web 2.0 è il
concetto di utente e il ruolo che questo ultimo gioca all’interno della rete,
reso meno passivo e con una sempre più elevata capacità di interagire,
partecipare e collaborare attraverso applicazioni e servizi disponibili.
Secondo Wikipedia, uno dei maggiori simboli di riferimento per il WEB
2.0, si sta assistendo ad una transizione strisciante del World Wide Web da
una semplice collezione di siti web ad una piattaforma in grado di offrire
servizi e applicazioni agli utenti finali. Le applicazioni Web 2.0 usano una
combinazione di tecniche e applicazioni disponibili in rete da tempo quali
API ‘web services’, Ajax, Web syndication, RSS, Folksonomies e social
networking. Queste applicazioni permettono ai naviganti della rete di
pubblicare usando strumenti web-based di tipo sociale e collaborativo quali
i CMS, i blogs e i wiki o di costruire i propri network sociali utilizzando
strumenti come del.icio.us, linkedin ecc.

Il Web 2.0 può essere considerato come una piattaforma partecipativa


che trasforma il Web da una estensione del sistema dei mass-media
(basato sul broadcasting dei contenuti) a uno spazio basato sul contributo
e sul ruolo dell’utente, quindi un fenomeno sociale e contemporaneamente
tecnologico (Scotti, Sica, 2007). La difficoltà di definire questo nuovo
approccio verso la rete è legata al continuo mutamento all’alternarsi di
sistemi che assumono più o meno rilevanza. Ciò che sorprende è il numero
sempre maggiore di persone che partecipano e si aggregano mettendo a
disposizione il proprio tempo e le proprie conoscenze.
Secondo tali autori originariamente il web è stato usato come modo
per visualizzare documenti ipertestuali statici (creati con l’uso del
linguaggio HTML); questo approccio può essere definito come WEB 1.0. In
seguito, grazie all’integrazione con data base e all’utilizzo di sistemi di
gestione di contenuti (CMS, Content Management System), internet si è
evoluta con siti dinamici in cui la visualizzazione dei contenuti ha assunto
caratteristiche diverse a seconda del comportamento del lettore (WEB
1.5).
L’utilizzo di linguaggi di programmazione come Javascript, di elementi
dinamici e dei fogli di stile (CSS) per gli aspetti grafici, permette già in
questo stadio di creare delle vere e proprie applicazioni WEB che si
discostano dal vecchio concetto di semplice ipertesto e che puntano a
somigliare alle tradizionali applicazioni per computer.
E’ questo il sostrato tecnologico che dà la spinta ai progetti tipici del
WEB 2.0, un sostrato tuttavia del tutto equivalente a quello del WEB 1.5
(l’infrastruttura di rete continua ad essere costruita dai protocolli TCP/IP e
http e l’ipertesto è ancora il concetto alla base delle relazioni tra i
contenuti). La differenza sta nell’approccio con il quale gli utenti (non più
meramente “lettori”) si rivolgono al WEB, approccio che passa dalla
semplice consultazione (seppure supportata da efficienti strumenti di
ricerca, selezione, aggregazione) alla possibilità di contribuire popolando il
WEB ed alimentandolo con propri contenuti.
Internet: da “vetrina” a “piattaforma sociale”
Da un punto di vista più operativo parliamo di WEB 2.0 nel momento
in cui non abbiamo più solo portali “vetrina”, in cui un WEB designer ed un
WEB Editor hanno creato un sito statico anche se aggiornabile, ma che può
essere fruito dall’utente solo passivamente, ma assistiamo alla diffusione
ed all’utilizzo da parte di una quota crescente di utenti di “piattaforme
sociali”.
Gli esempi di piattaforme sociali basate sulle relazioni tra utenti per la
condivisione di contenuti digitali sono innumerevoli: si va da “My Space”
ad uno degli esempi più riusciti di costruzione sociale on line della
conoscenza rappresentato da “Wikipedia”, all’ormai citatissimo anche sui
media tradizionali “You Tube”.
Secondo la Nielesen/Net Ratings (Nielesen/Net Ratings, 2007), la data
che fa proprio da spartiacque rispetto al passaggio dal WEB 1.0 al WEB 2.0
è il Gennaio 2007: all’inizio del 2007, per la prima volta, sul totale degli
utenti internet, la quota di utenti che utilizzano le modalità del WEB 2.0 ha
superato quella degli utenti che utilizzano internet secondo le modalità
tradizionali.
A gennaio il 56% dei navigatori italiani, pari a 11 milioni 380 mila
persone, hanno visitato almeno una volta i siti del Web 2.0. Questi utenti
mostrano dati di consumo della rete più elevati rispetto alla media (27 ore
e 50 minuti contro le 18 ore e 36 minuti della media), in virtù del frenetico
bisogno di collegarsi assiduamente alla rete (44 collegamenti mensili
contro i 29 della media).
La categoria My.Internet si colloca in termini di visitatori unici al sesto
posto tra le categorie di siti più visitati, appena sotto la categoria dei siti di
News e Information, con un traffico superiore ai siti di eGovernment e di
eCommerce.
Tra le tipologie di siti Web 2.0 Nielsen//NetRatings ha individuato 8
categorie: le Communities, con 8 milioni di utenti, sono la categoria più
visitata seguita da vicino dai Giants, che raggruppa i 3 siti che hanno
trainato il fenomeno divenendo marchi noti globalmente: Wikipedia, My
Space e specialmente YouTube. Questi siti hanno superato i 7 milioni di
visitatori a gennaio, con crescite in alcuni casi a 4 cifre nel corso degli
ultimi 12 mesi.
In comparazione con i principali paesi europei, gli italiani si
posizionano al quinto posto con il 37% di utenti sul totale dei navigatori
per questi 3 siti. In testa la Spagna (43%), seguita da Regno Unito (42%),
Francia (41%) e Germania (39%).
I siti di Blog, con 4,4 milioni di utenti si collocano in terza posizione,
seguiti dai siti che consentono di ricercare, scaricare e proporre alla rete
video, con oltre 3 milioni di persone dedite a queste attività. Altre iniziative
destinate ad esplodere in breve tempo sono quelle dei siti di sharing e
hosting fotografico, come Flickr, o dei siti legati ai motori di ricerca
“umani”, come Yahoo! Answers. Un discorso a parte meritano i cosiddetti
siti di Virtual Life, nei quali è possibile creare per sé stessi (SecondLife e
Habbo) o per i propri animali domestici (NeoPets) una vita parallela. Tali
iniziative stanno avendo uno sviluppo vertiginoso, non tanto in termini di
utenti unici (a gennaio i visitatori di Second Life dall’Italia sono stati poco
più di 50.000) ma per il maggior tempo speso in questi territori paralleli
dai navigatori My.Internet: oltre 40 minuti è il tempo medio trascorso al
mese.
L'audience di chi usa il Web 2.0 nel nostro Paese è sostanzialmente
maschile, nella fascia di età fra i 18 e i 34 anni. Dividendo per classi di età
e genere, Nielsen//NetRatings rileva alcuni dati che permettono di
individuare il sito Web 2.0, tra gli oltre 75 osservati, preferito da ciascun
gruppo. Le donne scelgono Neopets, gli under 18 il sito Habbo, i giovani
tra i 18 e i 24 anni Second Life mentre gli over 50 preferiscono Webshots e
altri siti per la pubblicazione di fotografie digitali o per la ricerca di
informazioni.
Il My.Internet è trainato da un gruppo di 5 milioni e 300 mila utenti,
gli heavy users, particolarmente attivi nell’utilizzo di queste applicazioni e
nella creazione di contenuti personali (User Generated Contents).

Dal Browsing al Feed Reader


Uno dei concetti fondamentali del WEB 2.0 riguarda sicuramente la
modalità di fruizione dei contenuti.
Mentre prima il metodo tradizionale per fruire di contenuti internet era
il semplice browsing, ossia la navigazione attraverso un applicativo
(internet explorer ad es.), oggi si è diffusa sempre più la pratica di inserire
FEED Reader nelle piattaforme presenti in rete tramite RSS (Really simple
syndaction).
RSS è un formato per la distribuzione di contenuti sul Web. Fu lanciato
per la prima volta da Netscape. Si trattava di un formato derivato da RDF
(un linguaggio generico per rappresentare informazioni su Web) per la
gestione dei contenuti del portale My Netscape Network: il formato
permetteva la visualizzazione sul portale di headline e link relativi a notizie
pubblicate su altri siti e rese disponibili attenendosi a specifiche ben
precise. Fu subito un grande successo: in breve, centinaia di fornitori di
contenuti aderirono all'iniziativa e il portale My Netscape poté beneficiare
di una vasta raccolta di notizie a disposizione dei propri utenti registrati.
Nel frattempo, lo stesso formato (e le sue variazioni successive) fu
adottato progressivamente dalla comunità dei blogger: i post di un blog
potevano essere facilmente esportati in RSS, in modo da essere resi
disponibili a servizi di raccolta di contenuti. La popolarità dei blog è forse
una delle ragioni principali del successo di RSS: migliaia di weblog
iniziarono a produrre contenuti in RSS e iniziarono a proliferare siti che
raccoglievano una selezione di post dai blog più seguiti (i cosiddetti blog
aggregator) e programmi per fruire i contenuti di un blog direttamente sul
proprio desktop o su altri dispositivi (RSS reader). Oggi RSS è lo standard
de facto per l'esportazione di contenuti Web. I principali siti di
informazione, i quotidiani online, i fornitori di contenuti, i blog più popolari:
tutti sembrano aver adottato il formato RSS. Gli utenti possono oggi
accedere a migliaia di feed RSS: alcuni siti (directory) raccolgono i
riferimenti agli innumerevoli feed RSS disponibili sul Web. Un'applicazione
in grado di interpretare un documento RSS ne effettua il parsing, ovvero
una scansione del documento che individua i tag e isola i diversi elementi,
per poi convertire i contenuti decodificati nel formato utile all'obiettivo: ad
esempio un feed reader può estrarre i titoli di tutti gli elementi item per
visualizzare la lista degli articoli di un giornale online, mentre un
aggregatore Web può estrarre i contenuti del feed per convertirli in
linguaggio HTML e incorporarli all'interno delle proprie pagine. Un feed
reader è un programma in grado di effettuare il download di un feed RSS
(è sufficiente che l'utente indichi al programma l'URL del feed), effettuarne
il parsing e visualizzarne i contenuti in base alle preferenze dell'utente.
(fonte: Wikipedia)

Dall’HTML a Ajax
HTML (acronimo per Hyper Text Mark-Up Language) è un linguaggio
usato per descrivere i documenti ipertestuali disponibili nel Web. Tutti i siti
web presenti su Internet sono costituiti da codice HTML, il codice che è
letto ed elaborato dal browser, il quale genera la pagina come noi la
vediamo. L'HTML non è un linguaggio di programmazione, ma un
linguaggio di markup, ossia descrive il contenuto, testuale e non, di una
pagina web. Punto HTML (.html) o punto HTM (.htm) è anche l'estensione
comune dei documenti HTML. È stato sviluppato alla fine degli anni '80 da
Tim Berners-Lee al CERN di Ginevra. Verso il 1994 ha avuto una forte
diffusione, in seguito ai primi utilizzi commerciali del web. HTML è un
linguaggio di pubblico dominio la cui sintassi è stabilita dal World Wide
Web Consortium (W3C), e che è basato su un altro linguaggio avente scopi
più generici, l'SGML. Durante gli anni l'HTML ha subito molte revisioni e
miglioramenti, che sono stati indicati secondo la classica numerazione
usata per descrivere le versioni dei software. Attualmente l'ultima versione
disponibile è la versione 4.01, resa pubblica il 24 dicembre 1999. Da
allora, da parte del W3C non è stata manifestata alcuna intenzione di
apportare ulteriori modifiche all'HTML, poiché verrà presto sostituito dai
nuovi linguaggi XHTML ed XML.
Ajax, acronimo di Asynchronous JavaScript and XML, è una tecnica di
sviluppo web per creare applicazioni web interattive. L'intento di tale
tecnica è quello di ottenere pagine web che rispondono in maniera più
rapida, grazie allo scambio in background di piccoli pacchetti di dati con il
server, così che l'intera pagina web non debba essere ricaricata ogni volta
che l'utente effettua una modifica. Questa tecnica riesce, quindi, a
migliorare l'interattività, la velocità e l'usabilità di una pagina web.
Dal sito personale al Blog
Il termine blog è la contrazione di web-log, ovvero "traccia su rete". Il
fenomeno ha iniziato a prendere piede nel 1997 in America; il 18 luglio
1997, è stato scelto come data di nascita simbolica del blog, riferendosi
allo sviluppo, da parte dello statunitense Dave Winer del software che ne
permette la pubblicazione (si parla di proto-blog), mentre il primo blog è
stato effettivamente pubblicato il 23 dicembre dello stesso anno, grazie a
Jorn Barger, un commerciante americano appassionato di caccia, che
decise di aprire una propria pagina personale per condividere i risultati
delle sue ricerche sul web riguardo al suo hobby. Nel 2001 è divenuto di
moda anche in Italia, con la nascita dei primi servizi gratuiti dedicati alla
gestione di blog. La struttura è costituita, solitamente, da un programma
di pubblicazione guidata che consente di creare automaticamente una
pagina web, anche senza conoscere necessariamente il linguaggio HTML;
questa struttura può essere personalizzata con vesti grafiche dette
template (ne esistono diverse centinaia). A differenza, quindi, del sito
personale, il blog permette a chiunque sia in possesso di una connessione
internet di creare facilmente un sito in cui pubblicare storie, informazioni e
opinioni in completa autonomia. Ogni articolo è generalmente legato ad un
thread, in cui i lettori possono scrivere i loro commenti e lasciare messaggi
all'autore. Il blog è un luogo dove si può (virtualmente) stare insieme agli
altri e dove in genere si può esprimere liberamente la propria opinione. È
un sito (web), gestito in modo autonomo dove si tiene traccia (log) dei
pensieri; quasi una sorta di diario personale. Ciascuno vi scrive, in tempo
reale, le proprie idee e riflessioni. In questo luogo cibernetico si possono
pubblicare notizie, informazioni e storie di ogni genere, aggiungendo, se si
vuole, anche dei link a siti di proprio interesse: la sezione che contiene
links ad altri blog è definita blogroll. Tramite il blog si viene in contatto con
persone lontane fisicamente ma spesso vicine alle proprie idee e ai propri
punti di vista. Con esse si condividono i pensieri, le riflessioni su diverse
situazioni poiché raramente si tratta di siti monotematici. Si può esprimere
la propria creatività liberamente, interagendo in modo diretto con gli altri
blogger. Un blogger è colui che scrive e gestisce un blog, mentre l'insieme
di tutti i blog viene detto blogsfera o blogosfera (in inglese, blogsphere).
All'interno del blog ogni articolo viene numerato e può essere indicato
univocamente attraverso un permalink, ovvero un link che punta
direttamente a quell'articolo. In certi casi possono esserci più blogger che
scrivono per un solo blog. In alcuni casi esistono siti (come Slashdot) simili
a blog, però sono aperti a tutti. Alcuni blog si possono considerare veri e
propri diari personali e/o collettivi, nel senso che sono utilizzati per
mettere on-line le storie personali e i momenti importanti della propria
vita. In questo contesto la riservatezza, il privato, il personale va verso la
collettività (fonte: Wikipedia)

Dal CMS a WIKI


Per la gestione dei contenuti sono sempre stati utilizzati CMS –
Content Management System, in grado di classificare le informazioni e
pubblicarle, poi, sul WEB. Tutto ciò avviene in modo unidirezionale:
l’amministratore o l’editor pubblicano le informazioni, l’utente non può far
altro che fruire delle informazioni. Questa modalità di comunicazione è
stata superata dalla modalità wiki. Wiki è un sito web (o comunque una
collezione di documenti ipertestuali) che permette a ciascuno dei suoi
utilizzatori di aggiungere contenuti, come in un forum, ma anche di
modificare i contenuti esistenti inseriti da altri utilizzatori. Il termine wiki
può anche riferirsi al software collaborativo utilizzato per creare un sito
web.

3. L’ipotesi progettuale

Destinatari
A fronte delle necessità emerse in sede di analisi delle caratteristiche
organizzative e funzionali della società Eco-Format Srl (vedi paragrafo
1.4), è possibile individuare due classi di destinatari del sistema proposto.
I destinatari diretti sono costituiti dal personale interno ad Eco-Format
Srl, che potranno utilizzare gli strumenti proposti per consolidare e
condividere le proprie competenze professionali, per uniformare la propria
operatività, e per supportare la creazione di una cultura organizzativa
coesa.
È possibile inoltre estendere alcuni degli strumenti proposti verso i
clienti attuali o potenziali, che vanno così a costituire i destinatari
indiretti della soluzione di seguito descritta.

Obiettivi
Davenport e Prusak osservavano già nel 1998 che un software di
knowledge management difficilmente può influire sul comportamento delle
persone e sull'uso che queste fanno della conoscenza che il sistema rende
loro disponibile. A fronte di questa, e delle altre osservazioni presentate
lungo il presente lavoro, sembra che il disegno di un sistema di KM efficace
possa essere cercato nella direzione di delineare un sistema che sia in
grado - oltre che di gestire, accumulare, e diffondere le conoscenze - di
intercettare le conoscenze quasi-esplicite, o addirittura tacite, incapsulate
nello svolgimento delle normali attività lavorative da parte dei vari attori
organizzativi. Ciò significa poter creare un ambiente “easy” - facilmente
utilizzabile ma - anche e soprattutto - informale, dove le persone possano
farsi ri-conoscere (costituendo così, bottomup, una knowledge map
aziendale), mantenere una relazione con i colleghi anche in ambiti non
immediatamente pertinenti alle attività lavorative (stimolando così la
costituzione di un legame di fiducia basata sull’identificazione), partecipare
alla realizzazione dei compiti lavorativi secondo tempi e modalità personali
(grazie all’utilizzo di strumenti collaborativi sincroni e asincroni), dare e
ricevere aiuto su questioni attinenti le proprie attività in base alla propria
expertise più che solo in base al proprio ruolo organizzativo, e –
certamente – anche divertirsi. Sono questi i principi informatori dei più noti
social network9. Non si nasconde quindi che l’impostazione generale del
sistema da noi proposto ricalca in gran parte quelli caratteristici dei più
popolari social network, Facebook10, Youtube11 e Wikipedia12 su tutti.
9
«ambienti relazionali online, in cui sono raccolti dati descrittivi delle persone (profili), e
che permette ai membri che vi si sono iscritti di indicare ad altri con chi desiderano
entrare (o sono già) in contatto. I “dati descrittivi” e i “dati relazionali”, una volta
analizzati permettono di ricostruire la mappa delle relazioni di un singolo individuo
all’interno del network» (Adam Seifer, dal brevetto di Friendster, 2003).
10
Facebook è nato nel 2004 dalla mente di Mark Zucherberg, con l’intento iniziale di
mettere in contatto gli studenti di Harvard, per poi estendersi (febbraio 2006) alle grandi
aziende, infine (settembre 2006) a chiunque abbia più di 13 anni. In Italia, nel 2008, c'è
stato un vero e proprio boom di accessi: nel mese di agosto si sono registrate oltre un
1.300.000 visite, con un incremento annuo del 961%. Attualmente, il sito conta oltre 175
milioni di utenti in tutto il mondo ed è valutato più di 16 miliardi di dollari. (Fonte:
Wikipedia)
11
Youtube è un sito web dedicato alla condivisione di video tra i suoi utenti. Nato nel
2005, fino al 2008 è stato il sito web che ha presentato il maggior tasso di crescita. La
sua popolarità è così grande, che si stima che nel 2007 il sito abbia occupato la stessa
larghezza di banda occupata dall’intera Internet nell’anno 2000. Nel giugno 2006 l'azienda
ha comunicato che quotidianamente venivano visualizzati circa 100 milioni di video, con
65.000 nuovi filmati aggiunti ogni 24 ore, per un valore economico di 1,65 miliardi di
dollari – cifra a cui Google l’ha acquistato nell’ottobre 2006.
12
Wikipedia è un'enciclopedia online, multilingue e liberamente consultabile, fondata
sulla convinzione che ciascuno possiede delle conoscenze che può condividere con gli altri.
La sua caratteristica principale consiste nella natura collaborativa della sua redazione:
chiunque può creare istantaneamente un lemma o modificarne uno esistente. È perciò
molto difficile che uno specifico articolo abbia un unico autore, anzi più spesso è il frutto
del lavoro di decine, talvolta centinaia di persone che condividono le proprie conoscenze
per modificarne e migliorarne il contenuto. Il risultato è un perenne "lavoro in corso", che
cresce sempre e tende a migliorarsi attraverso una costante e diffusa attività di “peer
reviewing”. Il progetto, nato il 15 gennaio 2001 in inglese, nell'arco di soli quattro mesi ha
visto nascere altre 13 edizioni (tra cui quella in italiano), e ad oggi è uno dei 50 siti più
Rispetto a questi esempi, date le finalità di gestione e diffusione di
conoscenze professionali, il sistema proposto dovrebbe assegnare un
elemento di maggior (seppur non esclusiva) focalizzazione sulle attività
concretamente realizzate all’interno del contesto organizzativo che lo
ospita.
Infine, volendo rispondere anche alle necessità di dotarsi di un
sistema destinato alla comunicazione esterna, la soluzione proposta
dovrebbe poter gestire agilmente la produzione e la distribuzione di
contenuti strutturati , destinati alla fruizione online da parte dei destinatari
indiretti.

Soluzione proposta
Si propone di sviluppare un ambiente collaborativo online dedicato al
personale di Eco-Format Srl a supporto dello svolgimento delle loro attività
professionali quotidiane e dello sviluppo di un cultura organizzativa
condivisa. Il nome identificato per il progetto, provvisoriamente, è
“Safety-K”, inteso come risorsa “chiave” per il presidio delle attività di
sviluppo della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Dal punto di vista tecnologico, la soluzione proposta sé basata su
Joomla, un progetto opensource nato nel 2005, rilasciato gratuitamente, di
CMS (Content Management System) per la realizzazione di siti internet
dinamici in ambiente x-AMP (Apache, MySQL, PHP, in ambienti Linux o
Windows). Sua caratteristica principale è la modularità: la comunità degli
sviluppatori ha reso disponibile nel tempo numerose funzionalità: forum,
gallerie di immagini, gestione di files/documenti per il download, faq,
gestione di moduli contatto avanzati, weblinks, gestione banner, gestione
richieste di assistenza (trouble tickets) e molti altri ancora.
Inoltre, Joomla consente di creare soluzioni estremamente flessibili e
personalizzabili, creando più livelli di amministrazione del sito e
assegnando all’utenze differenti livelli di accesso ai contenuti del sito.
Infine, Joomla possiede alcuni moduli specificatamente studiati per la
realizzazione di siti web accessibili (ai sensi della Legge n. 04/2004)
potendo così erogare servizi e fornire informazioni anche a categorie di
utenti che necessitano di modalità particolari di fruizione dei contenuti
web.

popolari al mondo, con più di 3 milioni di lemmi disponibili, scritti da quasi un milione di
utenti.
Servizi a supporto
Mentre nella sezione pubblica del sito (aperta alla fruizione di utenti
non registrati) saranno implementati i servizi standard di tipo informativo
(relativi alla presentazione dei servizi offerti e delle metodologie adottate,
alla localizzazione degli uffici, alla composizione dello staff, ecc..) e di
marketing (promozione eventi, modulo di richiesta contatto, ecc…), la
sezione privata del sito (dedicata ai membri interni di Eco-Format Srl)
prevederà l’implementazione di una serie di strumenti volti al
coordinamento e alla realizzazione collaborativa delle attività lavorative.

Figura 6 : Struttura logica del sito Safety-K

Nell’ipotesi progettuale, i servizi da implementare consistono in un


sistema di condivisione documentale online, per garantire un accesso
“24/7” alla documentazione di interesse comune, consentendo anche il
download sui computer locali dei vari materiali predisposti per una più
comoda consultazione e la stampa.
Ogni risorsa informativa presente sul sito sarà ordinata secondo
criteri tassonomici atte a favorirne l’organizzazione e la rintracciabilità.
Tali criteri potranno includere riferimenti alle fasi del processo lavorativo di
pertinenza, ai ruoli professionali coinvolti, alla tematica trattata. Tuttavia,
per contemperare ai limiti che qualunque sistema classificatorio ex-ante,
per quanto raffinato, intrinsecamente comporta, verrà implementato un
parallelo sistema parallelo di tagging di tipo folksonomico. Una
folksonomia (neologismo, attribuito a Thomas Vander Wal, derivante
dalle parole “folk” – popolo - e “sonomy” - contrazione di tassonomia)
consiste appunto in un set non predeterminato di termini che un gruppo di
utenti utilizza per etichettare i contenuti. In quanto tale, essa non prevede
un rapporto gerarchico tra etichette, né una loro predefinita e rigida
relazione. All’aumentare del numero delle persone che contribuiscono a
tale operazione di “classificazione del senso comune”, aumenta l’accordo
relativo ad alcune categorie rispetto ad altre (che tuttavia non vengono in
ogni caso cestinate). Considerato che gli organizzatori dell'informazione
sono di solito gli utenti finali, la folksonomia produce risultati che riflettono
in maniera più definita l'informazione secondo il modello concettuale della
popolazione in cui tali informazioni vengono consultate.
Per favorire l’emergenza di conoscenze tacite dalla confronto degli
utenti, il sistema sarà dotato di un Forum di discussione, sorta di
“bacheca telematica” dove ospitare i contributi su un determinato tema di
discussione. Ogni contributo al forum è indirizzato a tutti i partecipanti
(una forma di comunicazione definita “molti-a-molti”) o a sottogruppi
dedicati, e lo sviluppo del discorso può quindi essere considerato il
prodotto di un’interazione di cui tutti sono in qualche misura autori. La
struttura dei messaggi è ramificata: con il progredire degli scambi si
formano "grappoli" di messaggi legati da uno stesso filo conduttore, o
argomento di discussione (“thread”). Questi strumenti sono molto flessibili,
consentendo tra l’altro modalità di aggregazione dei contenuti, potendo
così presentare a utenti con livelli di accesso superiori una sorta di sintesi
dei contributi prodotti ai livelli inferiori.
Ogni contributo presente nel Forum potrà essere valutato nella sua
rilevanza dagli altri utenti, grazie a un sistema di ranking, consentendo
sia di sfruttare l'intelligenza collettiva della comunità professionale di
appartenenza per organizzare bottomup la massa di contributi inseriti
(quelli più votati e commentati hanno maggiore visibilità), sia di elicitare la
definizione di una knowledge map, consentendo agli utenti di
«partecipare» attivamente alla produzione dell'informazione, non solo di
subirla passivamente, e identificando infine gli utenti che abbiamo ricevuto
votazioni più alte, rafforzando tra l’altro un maggior senso di
appartenenza alla comunità professionale
La sistematizzazione dei vari contributi progressivamente inseriti in un
thread può realizzarsi tramite la redazione di un documento finale. Per
questo, molto utile risulterà un ulteriore servizio messo a disposizione del
sistema “Safety-K”, un wiki. Gli applicativi di tipo “Wiki” si presentano agli
utenti come un normale sito web, permettendo però a ciascuno dei suoi
utilizzatori, direttamente ed in tempo reale, di aggiungere contenuti o di
modificare i contenuti inseriti da altri utenti.
L’orientamento generale del sistema “Safety-K” al supporto della
collaborazione online è concretizzato dalla proposta di sviluppo di altri due
strumenti collaborativi, finalizzati alla gestione condivisa in remoto dei
progetti, che consentano di gestire online le attività da svolgere, di
assegnare task alle risorse, definire scadenze, impostare priorità e di
tenere sempre sotto controllo i progressi del progetto. I sistemi di
videoconferenza consentono invece l'interazione sincrona (in audio,
video e dati) fra due o più soggetti collegati online. Più esigenti in termini
di risorse richieste (dipendono infatti dalla disponibilità di apparati
hardware che supportino la cattura, la codifica, e la trasmissione di dati
audio e video, e di una connessione a “banda larga”), oltre a consentire la
condivisione di testi ed altro, ricreano virtualmente una situazione “faccia-
a-faccia”, con la sua ricchezza in termini di comunicazione non verbale. Tali
sistemi sono indicati, ad esempio, per svolgere riunioni o sessioni di
brainstorming online, o - pur con alcune cautele - per gestire focus group
virtuali.
Infine, il sistema “Safety-K” prevede un insieme di strumenti atti ad
informare in tempo reale gli utenti sugli aggiornamenti presenti sul sito,
sito che deve costituire un efficace punto di riferimento unico per le loro
attività lavorative e di aggiornamento. Risponde a questo obiettivo
l’implementazione di un Blog per la pubblicazione in tempo reale di
messaggi, informazioni o link ad altri siti. La struttura dei Blog è
sequenziale, con i vari interventi (detti “post”) pubblicati in ordine
cronologico inverso. Similmente ai Forum, le notizie possono ospitare
commenti e dare vita così a veri e propri dibattiti on line. Diversamente da
questi, però, i post possono essere pubblicati soltanto dal gestore del Blog
o da utenti abilitati (in questo caso, il contributo deve essere generalmente
approvato dal moderatore per la sua effettiva pubblicazione). In sostanza
pertanto, i Blog offrono simultaneamente tre cose: un'informazione, la sua
fonte originale, una serie di commenti su quella informazione. Queste
caratteristiche li rendono simili ad un “diario di bordo”, particolarmente
adatti a tracciare, ad esempio, la storia di un progetto avviato, potendo al
contempo raccogliere impressioni e giudizi da parte dei soggetti
interessati. In questo modo diventano straordinari aggregatori di
comunità.
Tuttavia, la necessità di poter essere aggiornati in tempo reale di
aggiornamenti o modifiche nelle risorse informative presenti sul sito, da
parte di utenti dislocati sul territorio e spesso lontani da una sede fisica
precisa, rende necessario l’adozione di sistemi informativi evoluti, capaci di
raggiungere l’utente, non limitandosi più alla mera raggiungibilità. Per
raggiungere tale scopo, è possibile impostare flussi di comunicazione
discendenti di tipo “push”, capaci cioè di spingere le informazioni verso il
destinatario, come ad esempio le Newsletter periodiche, o gli SMS.
Accanto ai questi servizi “classici”, risulta particolarmente utile la
tecnologia RSS (acronimo di Really Simple Syndication), linguaggio
standard che permette di distribuire i contenuti di un sito, e di riaggregarli
e presentarli sotto altre forme. Standard de facto per l'esportazione di
contenuti Web, utilizzato soprattutto dai blog grazie a questa tecnologia
l’utente ha la possibilità di accedere (tramite syndication) a tutte le notizie
provenienti da varie fonti di proprio interesse da un unico punto d'accesso
(un aggregatore, che può essere un software locale o un altro sito web),
evitando dunque di dover visitare uno per uno i siti da cui provengono le
notizie stesse (magari solo per scoprire che non ci sono stati
aggiornamenti dopo la sua ultima visita) .

Figura 7 : struttura logica degli utenti previsti dal sistema

In conclusione della descrizione delle funzionalità ipotizzate, è


opportuno ricordare che l’adozione di soluzioni ICT non comporta
necessariamente investimenti onerosi. Come nel caso proposto, infatti, è
possibile utilizzare soluzioni “Open Source”, e le infrastrutture tecnologiche
richieste (ad eccezione, come detto, della videoconferenza) sono
generalmente piuttosto modeste. Dotarsi di un insieme di servizi online
non è però sufficiente. È necessario piuttosto fornire uno “spazio di lavoro”,
impostare e gestire l'ambiente virtuale affinché divenga un luogo vero di
socializzazione e apprendimento. Definire ruoli precisi e competenze
professionali strutturate per la gestione di questi servizi è la vera voce di
costo rilevante, così come rappresenta un grande “investimento” la volontà
di investire tempo ed energie nella promozione di una cultura della
condivisione e del confronto.
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Schema del D.Lgs 81/2008
*
Il D.Lgs 81/2008 è formato da 306 articoli suddivisi nei seguenti titoli:
• Titolo I - (art. 1-61) Principi comuni (Disposizioni generali, sistema istituzionale, gestione
della previdenza nei luoghi di lavoro, disposizioni penali)
• Titolo II (art. 62-68) Luoghi di lavoro (Disposizioni generali, Sanzioni)
• Titolo III (art. 69-87) Uso delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione
individuale (Uso delle attrezzature di lavoro, uso dei dispositivi di protezione individuale,
impianti e apparecchiature elettriche)
• Titolo IV (art. 88-160) Cantieri temporanei o mobili (Misure per la salute e sicurezza nei
cantieri temporanei e mobili, Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle
costruzioni e nei lavori in quota, sanzioni)
• Titolo V (art. 161-166) Segnaletica di salute e sicurezza sul lavoro (Disposizioni generali,
sanzioni)
• Titolo VI (art. 167-171) Movimentazione manuale dei carichi (Disposizioni generali,
sanzioni)
• Titolo VII (art. 172-179) Attrezzature munite di videoterminali (Disposizioni generali,
obblighi del datore di lavoro, dei dirigenti e dei preposti, sanzioni)
• Titolo VIII (art. 180-220) Agenti fisici (Disposizioni generali, protezione dei lavoratori
contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro, protezione dei lavoratori dai rischi
di esposizione a vibrazioni, protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a campi
elettromagnetici, protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a radiazioni ottiche,
sanzioni)
• Titolo IX (art. 221-265) Sostanze pericolose (protezione da agenti chimici, protezione da
agenti cancerogeni e mutageni, protezione dai rischi connessi all’esposizione all’amianto,
sanzioni)
• Titolo X (art. 266-286) Esposizione ad agenti biologici (obblighi del datore di lavoro,
sorveglianza sanitaria, sanzioni)
• Titolo XI (art. 287-297) Protezione da atmosfere esplosive (disposizioni generali, obblighi
del datore di lavoro, sanzioni)
• Titolo XII (art. 298 - 303) Disposizioni diverse in materia penale e di procedura penale
• Titolo XIII (art. 304 - 306) Disposizioni finali

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