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Il web 2.0 a supporto dei processi decisionali inclusivi.

di Stefano Fiaschi

Il Web 2.0 a supporto dei processi decisionali inclusivi


(Stefano Fiaschi)
1
Indice
Il web 2.0 a supporto dei processi decisionali inclusivi...............................................................................................................................................................1
Premessa................................................................................................................................................................................................................ ......3
La democrazia partecipativa................................................................................................................................................................................ ............3
Le ICT e il Web 2.0 come “luogo” a supporto dei processi partecipativi..................................................................................................................................5
Conclusioni..................................................................................................................................................................................................................10
Box.............................................................................................................................................................................................................
...............13
Infografia...........................................................................................................................................................................................................
.........16

Il Web 2.0 a supporto dei processi decisionali inclusivi


(Stefano Fiaschi)
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“L’obiettivo è di connettere tutti i villaggi del mondo a Internet.
Solo così avremo la democrazia digitale”.
(Kofi Annan, World Summit on the Information Society, Tunisi, 16 novembre 2005)

L’individuazione di forme di partecipazione attiva dei cittadini alle


scelte relative ai loro contesti di vita, è un tema che negli ultimi è
andato assumendo rilievo crescente in tutta Europa.
Le rivolte delle banlieues francesi e le manifestazioni in Val di
Susa contro la TAV, alla fine del 2005, hanno mostrato in maniera
eclatante come sia sempre più critico escludere la pressione che la
società civile, nelle sue svariate articolazioni, vuole esercitare sulla
sfera politica, rivendicando il proprio diritto all’autodeterminazione
anche attraverso forme di aperto conflitto.
Ma, al di là di queste esasperate reazioni, sono ormai
frequentissime1 le mobilitazioni delle popolazioni locali contro opere
che, per quanto di interesse pubblico, si ritiene possano avere effetti
negativi sul territorio in cui verranno costruite. Tanto che il termine
utilizzato nei paesi anglosassoni per definire questo comportamento
sociale, “NIMBY” (acronimo per “Not In My Back Yard”, in italiano
"Non nel mio cortile") è ormai entrato nel lessico quotidiano.

Per superare diffidenze e opposizioni, da più parti vengono


auspicate azioni ed iniziative di informazione e comunicazione basate
sulla trasparenza e sul dialogo, sulla negoziazione e sulla partnership.
È necessario cioè creare un clima di fiducia reciproca tra le istituzioni
e il territorio, con l'obiettivo di rendere i cittadini partecipi, e non meri
antagonisti, alle decisioni pubbliche.

È questo il tema centrale della democrazia partecipativa,


pratica che si basa sull’idea che la partecipazione alla “cosa pubblica”
abbia per suoi attori tutti i cittadini - sia individualmente, sia tramite
le entità associative di cui sono membri - in quanto specificatamente
interessati alle conseguenze delle decisioni prese sul proprio territorio
(Allegretti, 2006). Questo approccio, che vanta ormai anche in Italia
numerose sperimentazioni di rilievo, condotte a livello di

1 Vedi Box 1: le dimensioni della sindrome ‘NIMBY’

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amministrazioni locali (come ad esempio nel Comune di
Grottammare2, nel XI Municipio del Comune di Roma3), è emerso con
forza dopo il Social Forum del 2002 a Firenze4 sulla scorta delle
esperienze condotte a Porto Alegre tra il 1989 e il 2004.

Il nucleo delle pratiche partecipative consiste innanzitutto nello


stimolare la popolazione, attraverso campagne di sensibilizzazione
che avvicinino i cittadini ai problemi sociali e politici che li riguardano
più da vicino; in secondo luogo nel diversificare i “luoghi
decisionali” a seconda della possibilità delle persone, e
nell’adeguarli - nella struttura e nel linguaggio – in funzione dei loro
bisogni, non solo materiali ma anche e soprattutto in termini identitari
e relazionali.
Il coinvolgimento dei cittadini è auspicato in ogni tappa dei
processi decisionali pubblici - a partire dalla consultazione iniziale
includendo la possibilità di presentare iniziative e proposte, fino al
coinvolgimento diretto nelle operazioni di risoluzione dell’intervento
(come nel caso della definizione partecipata del bilancio degli enti
territoriali), idealmente prolungandosi anche alla valutazione e al
controllo dell’operato delle istituzioni e dei risultati delle decisioni
(come nel caso dei programmi di riqualificazione urbana).

La partecipazione è ritenuta elemento determinante nella


costruzione e nello sviluppo di una comunità competente,
capace di promuovere se stessa - partendo da un’analisi matura dei
bisogni e delle risorse, attraverso un processo di riconoscimento e di
riconsegna delle capacità di cambiamento e di trasformazione che le
sono proprie. In ultima analisi , ciò significa valorizzare il “senso di
appartenenza e di identificazione, di riconoscimento di sé in
un'identità collettiva, che si esprime nel sentimento di coinvolgimento
e di responsabilità sociale” (Gelli, 2005).

Nonostante il numero crescente di esperienze e di pubblicazioni


in tale ambito5, tuttavia, permangono numerose perplessità e critiche

2 “Grottammare Partecipativa”, processo attivo dal 1994


[http://www.comune.grottammare.ap.it/]
3 “Municipio Partecipato” [http://www.municipiopartecipato.it/]
4 Social Forum Firenze [http://www.mir.it/]
5 Nel 2004, ad esempio, il Dipartimento della Funzione Pubblica ha pubblicato “A Più
Voci”, un manuale per gli amministratori che vogliano adottare un metodo di
attuazione dei processi decisionali inclusivi.

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in merito alla sua legittimità6 ed efficacia.
Su quest’ultimo aspetto, molte delle obiezioni sollevate riguardo
la possibilità di una reale e fattiva partecipazione dei singoli individui
alla “cosa pubblica” fanno riferimento ad alcuni limiti invalicabili al
loro coinvolgimento (Moro, 1998), ovvero:
1. i singoli individui sono incapaci di superare i propri
interessi particolari e di cogliere il senso dell’interesse
generale.
2. i cittadini non hanno il tempo per occuparsi di questioni
politiche;
3. mancano gli spazi adeguati per partecipare concretamente
alle attività della comunità;
4. i cittadini non dispongono né delle informazioni né delle
competenze necessarie per affrontare problemi complessi;

Ora, mentre il senso della prima critica appare sempre più


strumentale alla luce delle riflessioni condotte dai teorici
dell’economia civile7 (che hanno cominciato a mettere in discussione
il paradigma dell’egoismo razionale, tipico dell’analisi economica
classica, a favore di una concezione della persona come portatrice di
una razionalità del “noi”, we-rationality), le altre critiche mettono
complessivamente in risalto il problema dell’individuazione dei
modi per gestire al meglio il flusso di informazioni e della
creazione delle condizioni affinché tutti possano accedere alle
informazioni, esprimere il proprio punto di vista, e discutere
secondo regole chiare e funzionali.

Un contributo alla risoluzione di tale problema può venire dalla


descrizione delle caratteristiche delle ICT e di quell’insieme di
approcci e servizi innovativi che viene definito “Web 2.0”.

Le ICT e il Web 2.0 come “luogo” a supporto dei processi


partecipativi
Attraverso gli strumenti ed i servizi ICT (quali email, forum,
newsgroup, …) è infatti possibile abbattere molte barriere spazio-
temporali, consentendo uno scambio di informazioni caratterizzato da
velocità (tempi ridotti dalla preparazione del messaggio alla sua

6 Vedi Box 2: le basi di legittimità della democrazia partecipativa.


7 Per una rassegna dei contributi in questo ambito si rimanda a Bruni (2006).

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ricezione), economicità (il costo unitario per atto comunicativo
rimane pressoché invariato indipendentemente dai numero dei
destinatari) ed ubiquità (l’informazione è raggiungibile ovunque ci si
trovi).
Inoltre, la pubblicazione online della documentazione di rilevo
pubblico può favorire l’accesso alle informazioni necessarie,
consentendo così una più comoda e approfondita consultazione
(tramite il download su computer locali dei vari materiali), e limitando
le annose difficoltà di reperire documenti, spesso dispersi nei vari
uffici di competenza o il cui conseguimento è comunque condizionato
da vari vincoli (anche di tipo fisico).

Tuttavia, la semplice disponibilità delle informazioni si mostra


inadeguata per una cittadinanza digitale attiva e competente, che
presuppone l’assimilazione delle informazioni da parte dei cittadini, e
il loro costante aggiornamento. Infatti, la massa enorme e dispersiva
di informazioni disponibili in internet “in qualsiasi momento, per
qualsiasi persona, in qualsiasi luogo” per essere efficacemente
utilizzata - deve poter essere prima, identificata, elaborata e
distribuita.
Il “Web 2.0”8 consiste in tecnologie e servizi (per lo più già
esistenti, ma rielaborati, integrati ed utilizzati secondo un approccio
diverso), volti alla creazione, rielaborazione ed aggregazione di
contenuti personali (quali, ad esempio, contributi per la definizione
degli ambiti di intervento per una amministrazione, opinioni sugli
interventi proposti dall’amministrazione) in modo distribuito e
collettivo, ed alla loro condivisione, classificazione e
diffusione.

8 Una definizione puntuale e condivisa di “Web 2.0” non esiste, al punto che “It can
mean different things to different people, depending upon their state of mind”
(Maney, 2005). Per una descrizione dei principi che lo ispirano, si rimanda a O'Reilly
(2005).

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Figura 1: mappa mentale dei principi alla base del web 2.0
(Fonte: O'Reilly, 2005)

Una delle implicazioni di questo nuovo approccio consiste nello


sviluppo di sistemi informativi che raggiungano l’utente, non
limitandosi più alla mera raggiungibilità.
Gli strumenti di tipo informativo risultano infatti strategici
quando sia opportuno informare i cittadini dell’avvio di processi
decisionali di interesse pubblico, nella consapevolezza di quanto siano
importanti le attività di outreaching per l’ampliamento della base di
partecipanti ai lavori.
Accanto ai servizi classici (come la mailing list), risulta
particolarmente utile la tecnologia RSS (acronimo di Really Simple
Syndication), linguaggio standard che permette di distribuire i
contenuti di un sito, e di riaggregarli e presentarli sotto altre forme.
Standard de facto per l'esportazione di contenuti Web, utilizzato
soprattutto dai blog9 grazie a questa tecnologia l’utente ha la
possibilità di accedere (tramite syndication) a tutte le notizie
provenienti da varie fonti di proprio interesse da un unico punto
d'accesso (un aggregatore, che può essere un software locale o un
altro sito web), evitando dunque di dover visitare uno per uno i siti da
cui provengono le notizie stesse (magari solo per scoprire che non ci
sono stati aggiornamenti dopo la sua ultima visita)10.
9 Vedi Box 3: il blog
10 In base allo stesso principio, in Italia è previsto l’invio di SMS a tutta la
popolazione per “motivi di ordine pubblico, igiene, sanità pubblica o per l’arrivo di

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Questo meccanismo naturalmente non preclude la necessità di
dover procedere ad attività mirate di information retrievalling, a
supporto delle quali esistono ormai molteplici motori di ricerca,
seppure diversamente performanti in relazione a completezza (i
risultati riportano tutti i documenti pertinenti) e precisione (i risultati
riportano solo i documenti pertinenti). Per limitare la dispersività dei
risultati di una ricerca di tipo “generalista”, e limitare il conseguente
informational overload, nel corso del tempo si sono sviluppati banche
dati tematiche che presentano raccolte documentali, ordinate secondo
tassonomie atte a favorirne l’organizzazione e la rintracciabilità.
Questo tipo di classificazione crea tuttavia una serie di nuove
criticità (Quintarelli, 2005), in quanto :
•le risorse informative catalogate possono non rientrare
perfettamente in una (e una sola) categoria;
•i sistemi tassonomici di categorizzazione richiedono l’adozione e
l’suo coerente di uno schema - che quanto più è robusto e
consistente, tanto più risulta rigido e resistente ai cambiamenti che
ogni corpus scientifico inevitabilmente affronta;
•tale sistema di classificazione, quanto più scientificamente
rigoroso, risulta essere potenzialmente lontano dal modo con cui
l’utenza finale (non esperta) organizza la propria conoscenza.

Sistemi di tipo “2.0” danno invece agli utenti finali la possibilità di


utilizzare forme diverse – personali - di organizzazione dei contenuti,
etichettando (tagging) liberamente le risorse informative in funzione
dei loro scopi e competenze.
Una folksonomia (neologismo, attribuito a Thomas Vander Wal,
derivante dalle parole “folk” – popolo - e “sonomy” - contrazione di
tassonomia) consiste appunto in un set non predeterminato di termini
che un gruppo di utenti utilizza per etichettare i contenuti. In quanto
tale, essa non prevede un rapporto gerarchico tra etichette, né una
loro predefinita e rigida relazione.
All’aumentare del numero delle persone che contribuiscono a tale
operazione di “classificazione del senso comune”, aumenta l’accordo

calamità naturali” (Garante della privacy, Comunicato stampa del 04/11/2004),


come avvenuto in occasione dei funerali di Papa Giovanni Paolo II. Tuttavia, tale
modalità “aggressiva” di informazione non è scevra da complicazioni di ordine legale
in merito alla tutela dei dati personali, così che la stessa modalità, utilizzata dalla
Presidenza del Consiglio per l’invito al voto in occasione delle elezioni europee del
2004, è stata deprecata.

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relativo ad alcune categorie rispetto ad altre (che tuttavia non
vengono in ogni caso cestinate)
Considerato che gli organizzatori dell'informazione sono di solito
gli utenti finali, la folksonomia produce risultati che riflettono in
maniera più definita l'informazione secondo il modello concettuale
della popolazione in cui tali informazioni vengono consultate.

Il ricorso agli strumenti telematici risulta efficace anche durante


la realizzazione delle attività partecipative.
Sono ormai disponibili molti strumenti di tipo collaborativo, in
grado cioè di gestire flussi di comunicazione orizzontale (tra i
partecipanti ad una stessa attività) per condividere saperi, diffondere
esperienze, e "trattenere" la conoscenza prodotta.
Uno strumento classico in tal senso è rappresentato dai Forum
di discussione, sorta di “bacheca telematica” dove ospitare i
contributi degli utenti su un determinato tema di discussione. Ogni
contributo al forum è indirizzato a tutti i partecipanti (una forma di
comunicazione definita “molti-a-molti”), e lo sviluppo del discorso può
quindi essere considerato il prodotto di un’interazione di cui tutti sono
in qualche misura autori. La struttura dei messaggi è ramificata: con
il progredire degli scambi si formano "grappoli" di messaggi legati da
uno stesso filo conduttore, o argomento di discussione (“thread”).
Questi strumenti sono molto flessibili, consentendo tra l’altro modalità
di aggregazione dei contenuti, potendo così presentare a livelli
decisionali superiori (come, ad esempio, un Comune) una sintesi dei
contributi prodotti ai livelli inferiori (come ad esempio, un Quartiere).
Ma ancor più utili appaiono i servizi di tipo “2.0”, come gli
applicativi di tipo “Wiki” (il cui esempio forse più noto è costituito da
Wikipedia11). Questi strumenti si presentano agli utenti come un
normale sito web, permettendo però a ciascuno dei suoi utilizzatori,
direttamente ed in tempo reale, di aggiungere contenuti o di
modificare i contenuti inseriti da altri utenti. I Wiki rappresentano cioè
uno spazio aperto a tutti e modificabile in tutto e per tutto da ogni
collaboratore, dando così la possibilità di costruire conoscenza
attraverso il contributo di ogni persona collegata in rete, senza vincoli
o controlli (se non in termini di fiducia e competenza dei redattori).

11 Vedi Box 4: Wikipedia

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L’ultima critica relativa alla fattibilità delle pratiche partecipative
presentata, faceva riferimento alle “competenze” necessarie per
sostenerle.
È certo che un fenomeno così impegnativo come la democrazia
partecipativa non possa realizzarsi in un sol colpo, richiedendo
piuttosto un sostegno continuo da parte delle istituzioni, ed una
altrettanto assidua presenza dei singoli individui e delle associazioni
chiamate a formarli, sollecitarli , sostenerli.

Le tecnologie e i servizi web, soprattutto di approccio “2.0”


possono certamente offrire un prezioso supporto a questo processo,
ad esempio limitando in parte (ma più verosimilmente, spostando su
altri livelli) il problema dell’accesso alle tecnologie informatiche.
Esiste purtroppo una forte disomogeneità in questo senso; non
solo tra Paese e Paese nel mondo, ma anche all’interno di uno stesso
Stato.
Un’indagine del 2005 a cura del Censis, ad esempio, indicava
l’utilizzo di Internet in Italia come fenomeno di nicchia, con solo 20
milioni di utenti. Risultava poi una fascia maggioritaria esclusa dalla
Rete, costituita in prevalenza da pensionati e casalinghe - cioè da
coloro che sono al di fuori del mondo del lavoro. Da un punto di vista
demografico, dei 20 milioni di navigatori il 70% rientrava nella fascia
d'età fino a 29 anni per scendere gradualmente fino al 7% per la
fascia d'età oltre i 64 anni. Fattori quali età, status socioeconomico,
livello di scolarizzazione, etnia, genere, abilità psicomotoria, e
localizzazione geografica, sono responsabili di questa nuova forma di
emarginazione che, in un’economia governata dalle informazioni, di
fatto chiude qualsiasi possibilità di recupero economico e di
integrazione nel tessuto produttivo. Il fenomeno del “digital divide” è
così rilevante che, a partire dal 2000, la Comunità Europea ha
predisposto una serie di Piani di Azione volti ad arginare tale
problema.
Mentre è compito delle amministrazioni centrali e locali
aumentare le iniziative volte a favorire la penetrazione delle ICT nella
popolazione, ed aumentare i punti di accesso informatico gratuiti e
distribuiti sul territorio (ad esempio, nelle biblioteche comunali, nelle
sedi di Quartiere, …), lo sviluppo di software distribuito come
servizio web (SaaS, “Software as a Service”) - tipico dell’approccio
“2.0”- può contribuire a “liberare” la partecipazione dei singoli utenti,
sciogliendoli dal vincolo di dover acquistare diversi pacchetti software.

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Si aprono tuttavia nuovi fronti critici.
Ad esempio, nello scenario tratteggiato nel presente articolo
diventa necessario promuovere e consolidare nella popolazione le
necessarie competenze d’uso degli stessi strumenti telematici.
Ogni mezzo di comunicazione ha infatti proprie specificità12, che è
necessario conoscere per un suo uso efficace in riferimento ai propri
interlocutori. Inoltre, il fatto che gli scambi comunicativi si svolgano
prevalentemente in forma scritta, se da un lato favorisce un processo
di esplicitazione di conoscenze spesso “tàcite” e può superare molti
vincoli legati alla comunicazione faccia-a-faccia, dall’altro rappresenta
un vincolo - nella misura in cui richiede la capacità individuale di
articolare chiaramente (e rapidamente) le proprie idee.
Mentre non mancano iniziative finalizzate all’alfabetizzazione
informatica del personale delle amministrazioni pubbliche (come i
corsi volti al conseguimento della certificazione ECDL13), è necessario
promuovere ulteriormente iniziative simili rivolte alle fasce deboli
della popolazione, che rischiano altrimenti di sperimentare nuove
forme di esclusione sociale.
Anche per queste ragioni, è doveroso ricordare che gli strumenti
tecnologici presentati sono utilizzabili come integrazione, e mai in
alternativa, agli strumenti partecipativi tradizionali.

È necessario, infine, promuovere una cultura della


condivisione e del confronto. Non basta rendere disponibili le
informazioni, facilitarne la rintracciabilità, consentirne tecnicamente la
modifica, supportare i processi comunicativi tra gli utenti.
Da un punto di vista sostanziale, e indipendentemente dalla
opportunità offerte dalle tecnologie, è fondamentale creare spazi e
modalità di confronto aperto e costruttivo tra i cittadini e le
istituzioni, chiedere feedback e realizzare effettivamente quanto
deciso collettivamente.
È spiacevole constatare come la pubblica amministrazione –
giustamente così impegnata nella digitalizzazione dei propri servizi e
nella semplificazione delle proprie modalità comunicative – sembri
ancora piuttosto indietro nell’instaurare un rapporto dialogico effettivo

12 Vedi Box 5: la “netiquette”


13 La Patente Europea del Computer (European Computer Driving Licence) è una
certificazione diffusa in tutto il mondo che attesta la capacità nell'uso del computer.
Referente nazionale delle certificazioni ECDL è l’AICA, Associazione Italiana per
l'Informatica e il Calcolo Automatico [www.aicanet.it].

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con i propri utenti, rapporto che nelle comunità di internet costituisce
invece la regola.
Dalla connotazione spesso antagonista di molte manifestazioni di
piazza (spontanee o meno), traspare piuttosto una crescente
insofferenza dei cittadini verso una modalità di ascolto delle loro
necessità e richieste limitato alla sola ricerca del consenso. All’interno
di un contesto sempre più globalizzato, le persone appaiono sempre
meno disposte a delegare ai propri rappresentanti attività decisionali
le cui ricadute impattino direttamente sul proprio territorio e sulla
qualità della vita della propria comunità di riferimento.

È comprensibile una certa resistenza culturale da parte degli


apparati istituzionali nel cambiare i propri processi decisionali e nel
ridefinire la propria vision, passando da una impostazione basata
sull’autorità ad una impostata alla catalizzazione di iniziative collettive
(Bobbio, 2004). Come riuscire a “reinventare l’amministrazione”,
traghettandola verso nuovi sistemi di interlocuzione con i propri
utenti, è però un tema molto delicato e complesso, che travalica gli
obiettivi del presente contributo.

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Box

Box 1: le dimensioni della sindrome ‘NIMBY’

I dati riportati dal Nimby Forum per il 2005, indicano 190 infrastrutture e
impianti italiani oggetto di contestazioni. Nel 2006 ne sono stati censiti 171.
Le contestazioni prendono di mira soprattutto le tipologie di impianti
legate al ciclo di trattamento dei rifiuti (65% degli impianti contestati). Gli
impianti maggiormente contestati risultano essere i termovalorizzatori. Seguono
gli impianti del comparto elettrico (22%), e le infrastrutture (8%, altre tipologie
5%).
A livello di macroaree, gli impianti contestati si concentrano al nord (55%),
scendono decisamente al centro (27%) e si riducono moltissimo al sud e nelle
isole (rispettivamente 10 e 8%).
La principale motivazione delle opposizioni territoriali riguarda i timori per
la salute (18% dei casi), seguita dagli effetti sull’ambiente (17% dei casi) e dal
peggioramento della qualità della vita (6% dei casi).

Box 2: le basi di legittimità della democrazia partecipativa.

Il paradigma della democrazia partecipativa pare confliggere


sostanzialmente con i meccanismi della democrazia rappresentativa (Moro, 1998).
Tuttavia, essa appare in piena sintonia con i principi fondamentali
dell’ordinamento giuridico italiano (Allegretti, 2006), al punto da essere
espressamente nominata nell’art. 3 della Costituzione, ove la repubblica si
pone il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Obiettivo che viene peraltro ribadito anche nell’art. 118, dove l’autonomia
dei governi locali viene indirizzata a favorire “l'autonoma iniziativa dei cittadini,
singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base
del principio di sussidiarietà”.
Al livello normativo inferiore, l’istituto della partecipazione è regolato da
molte leggi (come ad esempio la L. 142/1990 e la L. 328/2000) che hanno
introdotto forme più ampie di inclusione nei processi decisionali, dove non sono
coinvolte solo le amministrazioni pubbliche, ma anche soggetti privati (imprese,
associazioni, singoli cittadini)
A livello europeo, il principio della democrazia partecipativa è
espressamente finalizzata a mantenere “un dialogo aperto, trasparente e regolare
con le associazioni rappresentative e la società civile” (art. I-47 della
Costituzione Europea, in corso di ratifica)

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Box 3: il blog

Il Blog è uno strumento che consente la pubblicazione in tempo reale su un


sito web di messaggi, informazioni o link ad altri siti. La struttura dei Blog è
sequenziale, con i vari interventi (detti “post”) pubblicati in ordine cronologico
inverso.
Similmente ai Forum, le notizie possono ospitare commenti e dare vita così
a veri e propri dibattiti on line. Diversamente da questi, però, i post possono
essere pubblicati soltanto dal gestore del Blog o da utenti abilitati (in questo caso,
il contributo deve essere generalmente approvato dal moderatore per la sua
effettiva pubblicazione).
In sostanza pertanto, i Blog offrono simultaneamente tre cose:
un'informazione, la sua fonte originale, una serie di commenti su quella
informazione. Queste caratteristiche li rendono simili ad un “diario di bordo”,
particolarmente adatti a tracciare, ad esempio, la storia di un progetto avviato,
potendo al contempo raccogliere impressioni e giudizi da parte dei soggetti
interessati. In questo modo diventano straordinari aggregatori di comunità.

Box 4: Wikipedia

Si tratta di un'enciclopedia online, multilingue e liberamente consultabile,


fondata sulla convinzione che ciascuno possieda delle conoscenze che può
condividere con gli altri. La sua caratteristica principale consiste nella natura
collaborativa della sua redazione: chiunque può creare istantaneamente un
lemma o modificarne uno esistente. È perciò molto difficile che uno specifico
articolo abbia un unico autore, anzi più spesso è il frutto del lavoro di decine,
talvolta centinaia di persone che condividono le proprie conoscenze per
modificarne e migliorarne il contenuto.
Il risultato è una “beta perenne”, un lavoro costantemente in progress che
cresce sempre e tende a migliorarsi attraverso una costante e diffusa attività di
“peer reviewing”. I redattori di Wikipedia sono studenti, insegnanti, esperti o
semplici appassionati di un qualche argomento, ognuno dei quali contribuisce
liberamente nel proprio campo d'interesse. L’unico vincolo posto è quello di
tendere verso un punto di vista neutrale, incoraggiando pertanto le persone con
opinioni diverse a confrontarsi e a lavorare insieme per rendere gli articoli
equilibrati e condivisi.
Il progetto, nato 15 gennaio 2001 in inglese, nell'arco di soli quattro mesi ha
visto nascere altre 13 edizioni (tra cui quella in italiano), e ad oggi è uno dei 50
siti più popolari al mondo, con più di 3 milioni di lemmi disponibili, scritti da quasi
un milione di utenti.
[http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale]

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Box 5: la “netiquette”

Valga per tutti l’esempio della “netiquette”, ovvero di quell’insieme di regole


che disciplinano il comportamento di un utente di Internet nel rapportarsi agli altri
utenti attraverso risorse quali newsgroup, mailing list, forum o e-mail in genere.
Tali norme (il cui rispetto non è imposto da alcuna legge) specificano una
serie di accorgimenti che il “buon” utente deve mettere in atto nel rapportarsi agli
altri, come ad esempio:
•leggere i messaggi già presenti prima di cominciare a porre i propri quesiti
o proposte;
•rispondendo ad un precedente messaggio, evidenziare i passaggi rilevanti
del messaggio originario, allo scopo di facilitare la comprensione da parte di
coloro che non lo hanno letto;
•inviare messaggi sintetici e che descrivano in modo chiaro e diretto il
problema o la propria posizione.
Il mancato rispetto della netiquette comporta una generale disapprovazione
da parte degli altri utenti della Rete, solitamente seguita da un isolamento del
soggetto e talvolta dalla richiesta di sospensione di alcuni servizi da questi
utilizzati per compiere atti contrari ad essa.

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(Stefano Fiaschi)
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Albert, M. (2003), Parecon. Milano, Il Saggiatore.

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(Stefano Fiaschi)
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(Stefano Fiaschi)
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