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inclusivi.
(Stefano Fiaschi, Fabrizio Quintili)
Prologo.
Los Angeles, 1969. Sullo schermo di due computer compare per la prima volta la
parola “login”, che sancisce il successo del collegamento a distanza tra due
calcolatori. È nata Arpanet, la prima rudimentale rete di computer.
Venaus (Torino), ore 3:30 del 6 dicembre 2005. Da una trentina di automezzi delle
forze dell'ordine scendono un migliaio tra agenti e carabinieri in assetto
antisommossa, che caricano i manifestanti che hanno formato un presidio istituito
da coloro che sono contrari alla TAV in Val di Susa1. Alcune persone rimangono
ferite.
Perché citare questi due eventi apparentemente così lontani tra loro?
Il primo evento parla di un’innovazione ormai entrata nella nostra quotidianità. Il
secondo parla di un progetto di interesse collettivo e di un processo gestito non
adeguatamente - un esempio tra tanti che testimonia la necessità di rendere efficaci
i processi di inclusione sociale.
Trovare un "link" tra i due eventi è l'obiettivo di questo articolo. Ci proponiamo,
cioè, di suggerire come sia possibile sfruttare il web e le Tecnologie
dell’Informazione e della Comunicazione (ICT) a supporto dei processi di inclusione
sociale. La sfida, quindi, è capire come usare in maniera finalizzata una serie di
strumenti già disponibili per favorire il coinvolgimento e la partecipazione dei
cittadini nelle scelte dell’amministrazione pubblica.
È doveroso tuttavia far presente che questa ipotesi non è scevra da complicazioni di ordine legale. Dopo
l’invito al voto inviato ad ogni numero mobile italiano da parte della Presidenza del Consiglio in
occasione delle scorse elezioni europee, il Garante della privacy (Comunicato stampa del 04/11/2004) ha
infatti ricordato che "la normativa sulla protezione dei dati personali consente l’uso di questi strumenti di
comunicazione solo per ragioni di ordine pubblico, igiene, sanità pubblica o per l’arrivo di calamità
naturali". Considerazioni che hanno portato ad approvare l’utilizzo della stessa modalità in occasione dei
funerali di Papa Giovanni Paolo II. Le soluzioni potrebbero consistere nella esplicita richiesta di un
riferimento telefonico mobile alle comunità (su base locale), o su una delibera in deroga alla normativa
sulla privacy.
I sistemi di videoconferenza consentono invece l'interazione sincrona (in audio,
video e dati) fra due o più soggetti collegati online. Più esigenti in termini di risorse
richieste (dipendono infatti dalla disponibilità di apparati hardware che supportino la
cattura, la codifica, e la trasmissione di dati audio e video, e di una connessione a
“banda larga”), oltre a consentire la condivisione di testi ed altro, ricreano
virtualmente una situazione “faccia-a-faccia”, con la sua ricchezza in termini di
comunicazione non verbale. Tali sistemi sono stati utilizzati, ad esempio, per
svolgere sessioni di brainstorming online, o - pur con alcune cautele - per gestire
focus group virtuali.
I Blog, infine, consentono la pubblicazione in tempo reale su un sito web di
messaggi, informazioni o link ad altri siti. La struttura dei Blog è sequenziale, con i
vari interventi (detti “post”) pubblicati in ordine cronologico inverso. Similmente ai
Forum, le notizie possono ospitare commenti e dare vita così a veri e propri dibattiti
on line. Diversamente da questi, però, i post possono essere pubblicati soltanto dal
gestore del Blog o da utenti abilitati (in questo caso, il contributo deve essere
generalmente approvato dal moderatore per la sua effettiva pubblicazione). In
sostanza pertanto, i Blog offrono simultaneamente tre cose: un'informazione, la sua
fonte originale, una serie di commenti su quella informazione. Queste
caratteristiche li rendono simili ad un “diario di bordo”, particolarmente adatti a
tracciare, ad esempio, la storia di un progetto avviato, potendo al contempo
raccogliere impressioni e giudizi da parte dei soggetti interessati. In questo modo
diventano straordinari aggregatori di comunità.
Conclusioni
Giunti alla conclusione di questa sintetica rassegna, è opportuno ricordare che
l’adozione di soluzioni ICT non comporta necessariamente investimenti onerosi.
Sono disponibili infatti molte soluzioni “Open Source”, e le infrastrutture
tecnologiche richieste (ad eccezione, come detto, della videoconferenza) sono
piuttosto modeste.
Dotarsi di un insieme di servizi online non è però sufficiente. È necessario piuttosto
fornire ai partecipanti uno “spazio di lavoro”, impostare e gestire l'ambiente virtuale
affinché divenga un luogo vero di socializzazione e apprendimento. Affidare la
I costi decisamente inferiori hanno reso possibile ad esempio, il coinvolgimento di gruppi molto più
ampi, e per sessioni molto più lunghe rispetto ai focus group tradizionali. Di contro, le dinamiche dei
gruppi virtuali e le specificità della CMC (Computer Mediated Communication) rendono i risultati delle
due modalità non equiparabili tra di loro.
Si tratta di software rilasciato con un tipo di licenza per la quale il codice sorgente è “aperto”, lasciato
cioè a disposizione degli utilizzatori perché lo possano personalizzare ed adattare alla proprie esigenze.
Per sua natura, pertanto, si tratta in genere di software gratuito.
gestione di questi servizi a personale qualificato (tutor online) con competenze
psicologico-sociali e tecnologiche rappresenta la vera voce di costo rilevante.
Il cerchio si chiude…
Eravamo partiti dalla narrazione di due eventi apparentemente slegati l'uno
dall'altro: la nascita delle tecnologie di rete, e la repressione da parte delle
istituzioni nei confronti dei "rivoltosi" in Val di Susa. In tutto il mondo queste
tecnologie sono già utilizzate abitualmente da chi vuole prendere parte attivamente
alle scelte della propria collettività, far sentire la propria voce, diffondere le proprie
idee e organizzare (eventualmente) un movimento che le rappresenti. La sfida per
le Amministrazioni, soprattutto a livello locale, consiste nel prenderne atto e
cogliere le opportunità offerte da questi “nuovi” strumenti. Occorre cominciare a
sviluppare una sperimentazione in tal senso, sia per prendere confidenza con i
mezzi, sia per sviluppare le opportune metodologie, ma soprattutto per cominciare
a promuovere il necessario cambiamento culturale che porti a vedere la democrazia
partecipativa come una risorsa piuttosto che come un attacco al potere
istituzionale.
BIBLIOGRAFIA
Bobbio, L. (a cura di) (2004), A più voci. Amministrazioni pubbliche, imprese,
associazioni e cittadini nei processi decisionali inclusivi. Napoli, Edizioni Scientifiche
Italiane.
Moro, G. (1998), Manuale di cittadinanza attiva. Roma, Carocci
Martini, E. R., Sequi, R. (1988), Il lavoro nella comunità. Roma, La Nuova Italia
Scientifica.
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