Sei sulla pagina 1di 5

“The Fountain” è un'odissea sulla lotta millenaria di un uomo per salvare la donna che ama.

Il suo epico
viaggio ha inizio nella Spagna del XVI secolo, dove Tomas Creo (Hugh
Jackman) inizia la sua ricerca dell'Albero della Vita, una pianta leggendaria
che si racconta possa donare la vita eterna a chi ne beve la linfa.

Come scienziato nella nostra epoca, Tommy Creo cerca disperatamente di


trovare una cura per il cancro che sta uccidendo la sua amata moglie Isabel
(Rachel Weisz). Viaggiando attraverso lo spazio profondo come astronauta
nel XXIV secolo, Tom comincia a comprendere i misteri della vita che lo
hanno consumato per più di un secolo”. XVI° secolo. Tomas, il
“conquistador” lotta per proteggere la regina Isabella da un feroce nemico
che la perseguita. XXI° secolo. Lo scienziato Tommy Creo cerca
disperatamente una cura per salvare la moglie Izzi, malata terminale di
cancro. XXVI° secolo. Tom esplora l'universo rinchiuso in una bolla che
contiene l'Albero della Vita, ossessionato dal fantasma di Izzi e dal
desiderio di ridarle la vita. Le tre storie convergono in un'unica disperata
ricerca, il raggiungimento dell'immortalità che passa attraverso il
ritrovamento della Fontana della Giovinezza.

“The Fountain”, in italiano “L'Albero della Vita”, è il


terzo lungometraggio del regista cult Darren
Aronofsky, newyorchese che ha esordito con “Pi - Il
Teorema del Delirio” (1998) e ha trovato il grande
successo con il folgorante “Requiem for a Dream”
(2000). Un soggetto pretenzioso, folle, debordante,
che Aronofsky è riuscito a comprimere in in soli 97
minuti. Tre vicende si alternano per tutta la durata del
film attorno un tema centrale molto attuale: la
disperata quanto vana lotta contro la morte e
l'aspirazione all'immortalità. Organizzato su tre livelli
temporali che si compenetrano e si interscambiano in
continuazione, il film basa molta della sua forza sulla girandola vorticosa di effetti visivi realizzati con le
tecniche più disparate mixando trucchi profilmici, digitale e effetti speciali volti a ottenere immagini astratte
(che spesso sfociano in una ipertrofia kitsch).

"Abbiamo bevuto il soma, siamo diventati immortali, Giunti alla luce, abbiamo trovato gli dei. Chi può
nuocerci oramai, quali pericolo può raggiungerci, O Soma immortale! (...)
Bevanda che è penetrata nelle nostre anime,
Immortale in noi mortali” (RgVeda VIII, 48).

Durante il secondo millennio a.C., le popolazioni degli Ari - gli Ariani, appartenenti
alle ondate di migrazioni indeuropee - penetrarono dal nord asiatico l'attuale
regione del Pakistan, riversandosi nella valle dell'Indo e nell'India del nord. Gli Ari
avevano composto degli inni sacri, i Veda, che divennero la letteratura religiosa
di riferimento dell'Induismo. Nel primo dei quattro Veda, il RgVeda, un folto
numero di inni è dedicato al dio Soma e alla bevanda del soma, una sostanza
inebriante (le divinità vediche Indra e Agni facevano largo uso della Soma fino a
inebriarsene raggiungendo una esperienza di estasi detta “tapas”).

In seguito, il dio Soma verrà identificato con la Luna, alle cui varie fasi è
associato il consumo rituale della “amrita” (in sanscrito “immortale” o “non-
morto”), l' “ambrosia”, l'essenza stessa del Soma divino, l' “acqua della vita
eterna”, il premio più ambito da demoni e dèi. Secondo gli inni vedici, il soma cresce in montagna, è rosso,
succoso e carnoso, non ha foglie, radici, semi o fiori, accresce la forza, la saggezza e il potere di veggenza,
esalta l'energia fino all'entusiasmo, fino all'ebbrezza sacra. La composizione di questa droga però è ignota:
si suppone che nella bevanda divina entrassero diversi ingredienti come il latte, la farina, il miele, l'acqua, poi
mescolati con il succo ottenuto pestando in un mortaio una pianta magica; il succo veniva distillato per tre
volte nello stesso giorno, al mattino, a mezzogiorno e alla sera. Ma ciò che rendeva il soma un liquore sacro
non era tanto la composizione chimica, quanto il rituale che veniva eseguito dal sacerdote brahmano
incaricato di officiare e che veniva accompagnato da formule magiche, da canti, inni e dalla consacrazione al
dio Indra. Alcuni studiosi propendono per una droga stimolante, usata dai guerrieri prima della battaglia,
derivata dalla piante di Efedra, oppure ottenuta da miscugli di Cannabis, Oppio, ed Efedrina. Altre ipotesi
parlano di rabarbaro, o “asclepias acidas”, oppure di una bevanda il cui componente principale era del miele.
Lo studioso Gordon Wasson (“Soma The Divine Mushroom of Immortality”) vi riconobbe l'Amanita Muscaria,
fungo usato in particolare in Siberia nei riti sciamanici.

La Soma, nei testi sacri delle religioni dell'Iran, gli Avesta, viene descritta
col nome di “Haoma”, termine che indica sia una pianta che la relativa
divinità (l'offerta di haoma è il centro del rituale mazdeo, come l'offerta di
soma è il centro di quello vedico). Secondo la leggenda, quattro sono i
mortali che prima di Zarathushtra spremettero l'haoma “per il mondo dei
corpi” - dice l' Hôm Yasht - e questi quattro generarono figli possenti,
l'ultimo dei quali fu Zarathushtra stesso. Vi sono parecchi haoma, come
ad esempio quello celebrato in Airyanem Vaêjô da Zarathushtra che non
è lo stesso dell'haoma bianco (gaokerena) celato nel mare Vouru-kasha
(che nell'ora della risurrezione darà l'immortalità ai risorti), che a sua
volta non è la stessa pianta dell'haoma dorato bevuto dal sacerdote.

Senza parlare dell'haoma divino, il “santo Haoma, che allontana la


morte”. Di tale haoma, che cresce solo in alta montagna, i Parsi
seccavano gli steli per poi pestarli in un apposito mortaio rituale, indi
miscelati con acqua (mentre tra gli Indù vengono spremuti freschi tra
due o più pietre). In ambedue i casi per ricavarne a quanto pare un
succo acre bevuto o da solo o con aggiunta di altre sostanze. Secondo
Darmesteter vi sono tre forme differenti di haoma: l'haoma d'oro che
cresce in alto (berezañtem) è l'haoma-pianta che è nella mano del
sacerdote; l'haoma invigorente, che fa crescere il mondo (frâshmîm
frâdat-gaêthem) è l'haoma-dio (Izad Hôm); l'haoma che allontana la morte (dûraoshem) è l'haoma bianco
(Gaokerena) che dona l'immortalità.

Secondo molti studiosi, l' “hôm” è un albero che cresce in Persia, nelle montagne dello Shirwân, del Gilân,
assomiglia all'erica ed ha foglie simili a quelle del gelsomino. Italo Pizzi ha parlato di “una pianta che i
botanici chiamano asclepias acida ovvero cynanchum viminale” e che cresce “nei campi del Gilân, intorno a
Yazd, nel Mâzandarân, e reca fiorellini gialli”. Secondo Jean Varenne, l'haoma originario è stato in seguito
sostituito da surrogati (parâ-hôm) come l'Ephedra vulgaris usata dai Parsi di Bombay. Analogamente,
secondo Martin Haug “i Brahmani usano gli steli del Pûtika, che è un sostituto del soma originale”. Riguardo
al Pûtika (o Pûtîka), il Monier-Williams conferma che è un sostituto del Soma spesso indicata come “rohisha”
(una sorta di erba profumata) forse identificabile nella Guilandina Bonduc.

L'idromele (“mead” in inglese, “met” in tedesco) è forse il fermentato più antico del mondo. La ricetta base
richiede semplicemente miele, acqua e lievito, ma vi sono innumerevoli
varianti, ciascuna con il proprio nome: “braggot” (miele e malto),
“melomel” (miele e frutta), “metheglin” (miele e spezie) etc. La parola
idromele, contenente la parola greca “ydor” (acqua) e “mèli” (miele), ha
un corrispondente poetico-runico che è “medu”, che racchiude le rune
“man” (uomo), “eh” (cavallo), “dag” (giorno nel punto più alto), “uri” (da
“uro”, forza primitiva). Il significato poetico è: “magia del potere della
trasformazione primordiale”.

Tra le bevande sacre, l'Idromele è la più sacra, dono degli Dei per
eccellenza; la sua origine celeste deriva dal polline dei fiori, dal lavoro
dell'ape, simbolo sacro della trasformazione e della poesia, dall'Acqua di
una fonte, simbolo della linfa vitale della Madre Terra. In passato, più che
al simbolismo poetico, la valenza sacra dell'Idromele era data dal potere
estatico che permetteva di uscire dal normale livello di percezione per passare ad una condizione di estatica
inebrianza.

Numerosi i racconti ed i miti su questa bevanda sacra. Odino, per ottenerla, si trasformava in serpente e poi
in aquila; in altre leggende, è Thor a sottrarre ai giganti la mitica bevanda. Le origini antiche della bevanda
sono confermate dal ritrovamento in un vaso di una sedimentazione di una bevanda fermentata, cui era stato
aggiunto del miele (questa tomba, situata ad Egtved, risale all’età del bronzo). Nell'area celtico-germanica,
l'uso rituale dell'idromele era conosciuto nell'antichità, ma è accertato che il suo significato religioso sia
giunto nei territori slavo-illirici per venire poi assimilato dai Greci e dai Pannoni che adoravano Dioniso. Le
tribù dell'Illiria, nelle loro feste facevano largo uso dell'idromele mischiato alla birra per raggiungere stati di
ebbrezza e identificarsi con la divinità. In terra celtica, l'uso sacrale dell'idromele avveniva nelle quattro feste
Samain (1 Novembre), da cui deriva Halloween, Imbolc (1 Febbraio), Beltaine (1 Maggio), Lugnasad (1
Agosto) e nelle feste in occasione dei solstizi e degli equinozi. Il potere aggregante ed il significato mistico
della bevanda è confermato dall’importanza del ruolo sociale delle feste. Il valore dell'individuo, come unico
irripetibile, e l'importanza della parola data erano alla base del “Patto”, di volta in volta stipulato con la tribù,
con gli Dei o con altri individui. Per questo, alla festa, massima ricorrenza sociale e spirituale, era d'obbligo
la presenza e la riconferma sacrale del Patto che avveniva con la bevanda mistica (tratto da Alfonso di Nola,
“Bevande Mistiche”).

L'Aloe, tra le molte piante di questo pianeta, vanta una affascinante


storia millenaria, testimoniata da molti testi antichi che ne documentano
l'uso e le caratteristiche terapeutiche. Definita pianta dell'immortalità
dagli antichi Egizi, essa veniva piantata presso l'entrata delle piramidi
per indicare il cammino dei Faraoni verso la terra dei morti; era utilizzata
come ingrediente nella preparazione di sostanze per l'imbalsamazione
(un caso per tutti, il Faraone Ramses II), sia in Egitto sia nell'antica
Mesopotamia, ma era coltivata soprattutto ad uso terapeutico. Sempre
gli antichi Egizi, inventori del clistere, la utilizzavano come purgante,
associandola ad altre erbe. Persino la Bibbia fa riferimento più volte a
questa pianta. Ad esempio, nel Vangelo di Giovanni (19:39), leggiamo
che Nicodemo realizzò una miscela di mirra e aloe per preparare il corpo
di Gesù per la sepoltura, e nei Salmi (45:8), le vesti dei Re sono profumate di mirra e aloe. Si sa, inoltre, che
gli antichi Assiri ingerivano il succo di “Sibaru” o “Siburu” (Aloe) per risolvere i disagi dovuti all'ingestione e
alla formazione di gas intestinali. Non fu difficile per gli Assiriologi, identificare l'Aloe, nella decifrazione dei
testi cuneiformi, sulle tavolette d'argilla ritrovate durante gli scavi in quella che doveva essere la biblioteca
del re Assurbanipal (“Dizionario Botanico Assiro” di Thompson), laddove si poteva leggere: “Le foglie
assomigliano a foderi di coltelli”.

Nella cultura Maya, l' “Hunpeckin-ci” (Aloe) era considerato un meraviglioso rimedio per il mal di testa; il
succo si preparava mediante infusione, e veniva bevuto diluito con acqua, mentre le donne Maya
strofinavano il gel (dal forte gusto amaro) sui seni per imporre lo svezzamento ai loro bambini. Nel 1° secolo
a.C., sia Dioscoride, medico greco al servizio dell'Impero Romano, che Plinio il Vecchio, autore del famoso
trattato “Historia Naturalis”, descrivevano gli usi terapeutici del succo d'Aloe per curare ferite, disturbi di
stomaco, stipsi, punture d'insetto, mal di testa, calvizie, irritazioni della pelle, problemi orali ed altri disagi.
Molto più tardi, anche Cristoforo Colombo, durante il viaggio verso il Nuovo Mondo, annotava nel suo diario:
“Todo està bien, hay Aloe a bordo”. Sicuramente, diverse civiltà e vari popoli attribuirono a questa pianta
anche poteri magici: ad esempio, secondo un testo cuneiforme accadico di oltre 4000 anni fa, l'Aloe, posta
davanti all'ingresso di molte case, in particolar modo di nuova costruzione, assicurava lunga vita e prosperità
ai suoi residenti; ancora oggi, in Egitto è considerata protettrice e portatrice di felicità se collocata presso le
abitazioni. Ancora oggi, la si può trovare all'interno dei negozi: qualcuno crede, infatti, che essa protegga il
nucleo familiare assorbendo le energie negative portate da alcuni visitatori; un fiocco rosso attorno alla
pianta, poi, serve ad invocare l'amore, mentre uno verde ad invocare la fortuna; in alcuni rituali, inoltre, è
ancora utilizzata per il suo “potere energetico”.

Ai nostri giorni, dopo essere stata relegata ad un posto di second'ordine, com'è avvenuto per la maggior
parte delle piante medicinali a causa di un uso generalizzato dei farmaci moderni, l'Aloe è tornata a far
parlare di sé, in particolar modo a partire dal 1851, quando due ricercatori, Smith e Stenhouse isolarono un
principio attivo con proprietà lassative che essi chiamarono Aloina. Nel 1935, Creston Collins e suo figlio
rivelarono, in un rapporto divenuto poi celebre, il possibile utilizzo dell'Aloe per sopperire agli effetti
devastanti delle radiazioni; così, da quel momento, molti scienziati presero in considerazione uno studio più
approfondito di questa pianta. Il termine Aloe (“Allo eh” in arabo, “Halal” in ebraico, “Alo hei” in Cina, Aloe nei
paesi occidentali) deriva dalla radice greca “Als” o “Alos”, che significa sostanza amara, salata come l'acqua
del mare. I suoi fiori vanno dal bianco-verdastro, per esempio, dell'Aloe Integra dello Swaziland che fiorisce
da ottobre a dicembre; dal rosa-aranciato dell'Aloe Zebrina (distribuita in Botswana, Namibia, Angola e
Zimbabwe), con fioritura da gennaio a marzo e da novembre a dicembre, secondo il clima, al rosa più
intenso, con tendenza al rosso, dell'Aloe Peglerae presente in Magaliesberg, Witwatersberg (Petroria), con
fioritura da luglio ad agosto.
Nella mitologia greca, l'ambrosia, il cibo degli dei, usciva da uno dei
corni di Amaltea (le “cornu copiae” o corni dell'abbondanza), mentre
dall'altro usciva la bevanda degli dei, il nettare. Ambrosia e nettare
davano agli dei l'immortalità e l'eterna giovinezza. La parola deriva dal
greco “a-” (“non”) e “mbrotos” (“mortale”), cioè immortale. Le fonti
dell'ambrosia si trovavano nel leggendario Giardino delle Esperidi:
alcune colombe erano incaricate di andare a prenderla per portarla agli
dei. Alcune poesie indicano Demetra come la preparatrice sia
dell'ambrosia che del nettare.

“Allora il padre mandava gli déi beati


che vivono in eterno,
tutti, uno dopo l'altro. A turno
giungendo la invocavano, e le
offrivano molti magnifici doni,
e i privilegi che desiderasse ottenere
fra gli immortali...”

È tutt'oggi oggetto di dibattito tra gli


studiosi, la composizione del
“kykeon” (ciceone), che veniva consumato durante i Misteri Eleusini,
antichi riti religiosi che si celebravano nel santuario di Demetra,
nell'antica città greca di Eleusi. Nell' “Inno Omerico a Demetra”, alla dea
viene offerta “una coppa di vino dolce come miele”, ma essa la rifiuta
affermando esplicitamente che “in verità, le era vietato bere il rosso vino”,
e comanda le venga offerto il kykeon. L'inno riporta la seguente
composizione del ciceone: “acqua, farina d'orzo, mescolandovi la menta
delicata”. Nella vasta letteratura dedicata ai Misteri Eleusini, il ciceone è
stato frequentemente descritto come una bevanda narcotica a base di
oppio o una bevanda alcolica (nell'arte greca, il papavero da oppio è una pianta frequentemente
rappresentata in associazione con Demetra, dea della Terra).

Nel 1978, Wasson, Hofmann e Ruck proposero la segale


cornuta come ingrediente
base del ciceone. Sulla
segale cornuta cresce l'
“ergot”, un fungo parassita,
di numerose specie di
graminacee selvatiche e
coltivate, che produce
derivati dell'acido lisergico,
per lo più tossici, ma alcuni
psicoattivi e dalle proprietà
simili a quelle dell'LSD (che è un composto ricavato proprio da questi
alcaloidi). I Greci sarebbero stati dunque tecnologicamente in grado di
ricavare una pozione allucinogena e non tossica dalla segale cornuta. L'
“orzo” della ricetta eleusina sarebbe quindi stato, segretamente,
“ergotato”. W.H. Roscher pensa che sia “nettare” che “ambrosia”
identificassero tipi di miele, ed in questo caso il loro potere di conferire
immortalità sarebbe da attribuire al supposto potere curativo e
purificante del miele stesso (il ché rimanda all'idromele, che altro non è
che miele fermentato). Altri studiosi, tra cui Danny Staples, mettono in
relazione l'ambrosia alla Amanita Muscaria.

Secondo la Bibbia, la via che conduce all'Albero della Vita (e alla fonte
dell'immortalità) è guardata da una coppia di cherubini, due angeli armati
di una spada fiammeggiante. Secondo la tradizione orale, i due
Cherubini possiedono l'uno un volto maschile e l'altro un volto femminile.
Essi rappresentano le due polarità fondamentali dell'esistenza, così
come si esprimono sui piani più elevati della consapevolezza. Con il
graduale ravvicinamento e riunificazione di tali principi, questi angeli
cessano di essere i “guardiani della soglia”, il cui compito consiste nell'allontanare tutti coloro che non hanno
il diritto di entrare, e diventano invece i pilastri che sostengono la porta che ci riconduce al Giardino
dell'Eden.

(Pubblicato su Ecplanet 18-03-2007)

LINKS

BACCHANALIA

BACCHANALIA 2

BACCHANALIA 3

EPIFANIA

Potrebbero piacerti anche