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Essere prima di poter essere.

Spunti ontologici nellultimo Schelling

1. Sar chi voglio. Richiesto da Mos di qualificarsi, il Dio biblico si battezza ontologicamente con quellio sono colui che sono (Es 3, 14) in cui il secondo Schelling vede non una risposta ironicamente ed evasivamente tautologica, ma la futurizione e la libert metaontologica proprie dellassoluto inteso non come sostanza ma come pura relazione (SW X: 260) o newtonianamente come dominatio, come ci la cui indipendenza dallessere non andrebbe mai confusa con una provvisoria incompletezza. Per Dio essere dunque poca cosa, e infatti, se gi il merito delluomo non sta mai nellessere semplicemente, nel perseverare in ci che gi , bens nel separarsi dal proprio essere, innalzandosi a qualcosa di intellettualmente e moralmente superiore, a maggior ragione ci dovr valere per Dio come causa libera e intelligente, dalla cui definizione di Signore dellessere si ricava anzi che limita lessere, assoggetta il reale allideale e, comunque, sempre in grado di sciogliersi dallincantesimo dellessere (SW X: 266). Di pi: prima di trovare il proprio fine e riposo nelluomo (originario), Dio abbandonerebbe lessere al suo divenire naturale dallinconscio al conscio, condannandolo, a causa delloscillazione tra essere e non-essere, a un vero e proprio Schmerzensweg, in cui infatti la creatura trova doloroso tanto essere quanto non-essere, tanto portare le catene dellessere quanto non portarle (SW X: 267). Se la vera realt suprema consiste in ci, nellessere essente e restare potenza dellessere, e se chi corre il pericolo di perdersi nellessere non libero (SdW: 132), se libero significa dunque poter-essere altro, oggettivarsi in forme diverse restando tuttavia soggetto, e cio non identificandosi in nessuna di esse, libero in senso proprio sar allora solo Dio appunto in quanto sopraessente e sopraesistente. Del resto, dicendo sono colui che sono, o meglio sar colui che sar, il Signore dellessere non intende affermare n che diverr ci che in qualche modo gi (non dice, infatti, io sar colui che sono), n che rester quel che gi (non dice, infatti, io sono colui che sar), bens che sar tutto ci che vorr essere1, ossia quella volont priva doggetto e quindi assolutamente trascendente oltre che assolutamente libera in cui consiste infatti il nome JHWH, formato non per caso da puri soffi impronunciabili (SW VIII: 272-3). Questa futurizione ontologica ovviamente correlata alla convinzione secondo cui ci che si rivela sempre un prodotto e non qualcosa dimmediato, implica cio un fondo su cui e in cui manifestarsi. Ne conseguir che il vero Dio non il primo Dio, quello originario e solo relativamente unico che precedette la differenziazione mitologica, ma solo il secondo, assolutamente unico perch divenuto, innalzatosi sul fondo di quello arcaico, naturale e immemoriale (el olam, Elohim) grazie alla separazione dal contenuto immediato della coscienza, la quale infatti solo ora, emancipatasi dalliniziale stordimento religioso, pu chiamare Dio per nome (JHWH appunto). Ora, se per lontoteologia schellinghiana fosse tutta qui, oppure se la valorizzassimo solo perch, in apparente antitesi alla millenaria tendenza giudaico-cristiana (Heidegger compreso) a identificare Dio con lessere, sembra talvolta incline a pensare Dio come lessente (das Seyende) piuttosto che come lessere (das Seyn) visto che con essere sindicherebbe solo lastrazione di unastrazione, qualcosa di tanto inconcepibile di per s quanto il bianco senza qualcosa di bianco (SW X: 215, n.)2 , faremmo comunque ben poca strada. Lasciamo quindi, provvisoriamente, questa
Cfr. J.-F. Courtine, Estasi della ragione. Saggi su Schelling, trad. it. a cura di G. Strummiello, Milano 1998, pp. 258-9. 2 Ibid., pp. 253 sgg.
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rapida anticipazione di alcuni dei temi ontoteologici di Schelling, che possiamo fin da ora reputare fondati su tacite ipostatizzazioni e spregiudicati usi linguistici, ambiguit semantiche e interferenze assiologiche eticamente e antropologicamente connotate, per partire da capo, vale a dire da una pi complessiva discussione del suo ruolo nella storia dellontologia. 2. La verit: non dentro ma fuori. Per mitigare la legittima sorpresa suscitata dallinserimento di Schelling tra gli ontologi di rango non baster certo rammentare la sua costante critica intuizionistica al logicismo, converr sottolineare piuttosto quella drammatica apertura del vecchio filosofo alla realt che, com noto, gener fin troppe aspettative tra gli antihegeliani e gli hegeliani di sinistra (Kierkegaard, Bakunin ed Engels su tutti), i quali si attendevano da colui che si auspicava una filosofia efficace in quanto aderente alla realt unanalisi critica dello Stato e della Chiesa e non certo una filosofia del mito e della rivelazione, i quali inoltre, come Kierkegaard ammette, gioivano al solo sentir nominata la parola realt e ben presto si scoprirono delusi se non ideologicamente truffati. Si tratta del passaggio dalla dottrina della scienza alla scienza vera e propria, ossia dal mero movimento del concetto, caratteristico di quella filosofia che ora definisce negativa (filosofia, in certo qual modo ancora trascendentale, del che cosa) e in cui arruola ogni altra filosofia (compresa la propria), alla filosofia positiva intesa come filosofia del che, come quellesperienza superiore della realt un aggettivo da cui dipende ovviamente ogni eventuale applicabilit di tale dottrina in un ambito fenomenologico extrateologico che fu solo incoativamente presente nella giovanile filosofia della natura3, e secondo la quale ogni oggetto [dovrebbe] venir spiegato a partire da se stesso, in modo che possano essere trovate e scoperte con e in esso tutte le ragioni genetiche del suo divenire e nascere (SW XII: 671), in modo, detto altrimenti, che ogni svolgimento (che sia delle figure naturali o di quelle mitologiche) si mostri indipendente dal volere e dal pensare dellumanit. Che si voglia definire storica o positiva o magari empiristica la sua ultima filosofia, quel che chiaro che essa tematizza una forza attiva responsabile dellintero movimento ontologico, ancorch irrimediabilmente anteriore, se non del tutto opposta, alla ragione, promuovendo un empirismo filosofico secondo cui il filosofo, lungi dallavere benefici dalla ritrazione interioristica e/o trascendentale, pensa solo in seguito alla diretta intuizione di ci che veramente esiste, anzi solo se abbandona il proprio luogo e si pone fuori di s, se si desoggettivizza in una condizione di non-sapere in cui convergono istanze non meno realistiche che mistiche. Nulla di strano, allora, nel fatto che Schelling dia il benservito allontologia e alla metafisica scolastica (quella di Wolff, per capirci), declassata a disordinata e incompleta raccolta di definizioni che, scimmiottando il metodo geometrico, crede di possedere quei concetti di per s e indipendentemente dagli oggetti, inconsapevole del fatto che per la vera scienza, per la scienza che incomincia dal principio, gli oggetti [devono] essere tanto a priori quanto i loro concetti (SW X: 63). Le spetterebbe tuttal pi unutilit meramente propedeutica, per il fatto che, come filosofia meramente ragionante, razional-soggettiva, essa concede nello stesso tempo una certa libert di pensiero e di uso dellintelletto, la quale potrebbe avere un effetto tanto pi benefico, in quanto questa maniera di filosofare la sola conforme e adatta alla grande maggioranza delle persone (SW X: 71), meritandosi peraltro giustamente, come anodina filosofia di senso comune, il severo disprezzo delle filosofie successive, pi personali e scientificamente avvertite. Unoccasione in pi per Schelling per denunciare linsufficienza di ogni sistema che riduca tutto a meri rapporti razionali ed esclude libert e personalit, che ci ammannisca un sapere in cui il pensiero non si eleva mai al di sopra di s e progredisce unicamente allinterno di se stesso, laddove
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Che sarebbe allora una parte della filosofia positiva, poi integrata dal passaggio alla processualit anche nel mondo spirituale o storico (GpP 1832/3: 467).

noi esigiamo di elevarci al di sopra del pensiero, per essere liberati dal tormento del pensiero da ci che superiore al pensiero (SW X; 168-9). Il che significa che, non diversamente dalluomo comune, anche il professionista del pensiero ravvisa nel pensiero (astratto) un autentico tormento, uno stato rarissimo, passeggero, anzi uno stato innaturale (SW X: 10), da cui converrebbe allontanarsi quanto prima, tanto pi che ci di cui luomo ha bisogno non di porsi dentro se stesso, ma di porsi fuori di s (SW IX: 229-30). 3. Pu un idealista avere unontologia? Che la verit sia allesterno e non allinterno del soggetto considerazione che non pu per valere per il primo Schelling, il cui rifiuto trascendentalista del dogmatismo che fa dellessere qualcosa di originario e il conseguente movimento dal sapere (massimamente dallautocoscienza) come condizione di possibilit allessere lo inducono, da un lato, a respingere ogni presunta oggettualit dellio assoluto, cio dellincondizionato principio della materia e del pensiero, e dallaltro a identificarlo per con lessere, perch, se tutto ci che (nel senso proprio della parola ), solo in virt della direzione a se stesso (SW I: 369), ossia identit autoriferita, sar essere (Sein) solo lio inobbiettivabile, in quanto lassoluto esser-posto datosi a se stesso nellintuizione intellettuale, e non certo il mondo fenomenico, condizionato e non diretto a se stesso, dotato soltanto di esistenza (Dasein) e quindi poco al di sopra del singolo fenomeno, che non ha se non realt effettiva (Wirklichkeit). Questa prima differenziazione ontologica va per incontro a una prima revisione nel momento in cui al principio dellio subentra quello di uno spirito (Geist) che diviene incessantemente. L azione si rivela qui ontologicamente superiore alla cosa, nel senso che, poich qualsiasi riempimento dello spazio solo un grado dellattivit, e ogni cosa soltanto un grado determinato di attivit con il quale lo spazio viene riempito (SW III: 375), una modificazione di unattivit variamente limitata, al mondo oggettuale non spetter che una realt derivata e meramente conferita4. Se c un essere in senso proprio, questo non sar allora nientaltro che una continua-efficace attivit della natura, che estinta nei suoi prodotti (SW III: 13), un essere eternamente in lotta e mai essente (SW IX: 27), rispetto al quale lessere come permanenza non se non illusione (il che spiega anche il perch del miracolo dellarte come unica sensibilizzazione possibile dellessere come assoluto inoggettivabile). Ma nel volgere di pochi anni, nella cosiddetta filosofia dellidentit, lessere assoluto, inteso comeidentit assoluta, ridiventa un immutabile estraneo a qualsiasi divenire, in perfetta corrispondenza con una ragione desoggettivizzata e assurta a modalit con cui lidentit assoluta conosce se stessa. Ne consegue che ogni ente sar identit assoluta se assolutamente considerato (nella sua essenza), ma unicamente un conoscere dellidentit assoluta se relativamente considerato (nella sua forma). Di pi: non essendo altro che una mera differenza quantitava di soggettivo e oggettivo allinterno di un Indifferenzpunkt, un elemento di una serie causal-temporale condannata alla cattiva infinit perch costituita da elementi finiti allinfinito, svincolati dallassoluto e che solo per unillusione prospettica risultano ontologicamente causa ed effetto di altro da s, il singolo ente non avrebbe a rigore neppure un vero essere. Ne risulta che, mentre sul piano dellarchetipo si ha un autentico collasso delle categorie ontologiche (le idee valgono infatti qui come universa e come di mitologici, caratterizzate dalla coincidenza di particolare e universale, essere e significato, possibile e reale), su quello ectipo le cose finite sono bens ma, siccome il fondamento del loro essere va visto in una caduta dallinfinito, pi propriamente non-sono se paragonate al vero essere dellidea: un po come le macchie solari lesempio di Schelling , che sono il nonvisto, un non-reale (un po come i fatti negativi dellodierna ontologia) percettivamente positivizzato solo in rapporto alla visione della luce solare. Se questa unontologia,
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Cfr. H. Zeltner, Schelling, Stuttgart 1954, p. 284.

allora unontologia in cui il mondo della finitezza e la temporalit in certo qual modo svaniscono, non essendo se non lesito della difettivit dello sguardo umano. Ben diversamente significativa lontologia presupposta da quellorientamento che, a partire dallo scritto sulla libert del 1809, desemplifica lessere per personificarlo, ravvisandovi lunit dellessere come esistenza o realt e dellessere che, come Grund del primo, relativamente non-esistente nel suo carattere di mera potenzialit un non esistente o fondamento che, mentre Dio possiede perfettamente, resta in certo qual modo esterno agli esseri finiti e pu pervertirsi in forza autonoma5. In questa prima articolazione della dottrina delle (tre) potenze misuriamo il transito dalla filosofia della natura, ove le potenze sono solo i diversi gradi di esplicitazione fenomenica di ununica forza, alla cosiddetta filosofia delle et del mondo, in cui si spiega come, nello svilupparsi del passato della personalit divina, i princpi siano alternativamente non-essenti (in potenza) e essenti (in atto) fino a generare n un vero sopra n un vero sotto [] bens soltanto una ruota incessante, un moto rotatorio che non si estingue mai (SW VIII: 264), ossia quel particolare essere che, in analogia con la (bhmiana) Rad der Geburt, per la sua perenne instabilit non davvero mai se non quando lintervento non necessitato della quarta potenza (dellapotenziale sovraessente, che decide di automanifestarsi) sostituisce al vuoto moto rotatorio un accadere dotato di un vero principio e di una vera fine veri. Pur senza indulgere nel birignao tipico dei commenti che intendono emulare labissalit del filosofo di Leonberg, indiscutibile che gi questa sommaria incursione nei temi della cosiddetta filosofia della libert suscita un problema ineludibile. Quale spazio ontologico resta a una filosofia che strappa al reale ogni sostanzialit e permanenza, che, quasi fosse la biografia a posteriori della causa suprema, riduce ogni cosa a un divenire teogonico tanto libero da essere infondato? Intendiamoci: se lontoteologia schellinghiana inutilizzabile, lo a causa non dei contenuti specifici della filosofia positiva (mtologia, rivelazione), i quali non di rado appaiono anzi semplicemente due ambiti di prova, ancorch euristicamente rilevanti nella loro relativa estraneit alla filosofia razionale, del nuovo metodo scientifico, bens del suo pi complessivo impegno teologico ad assorbire lintera realt nella sua causa assoluta. Il che non toglie che sia pur sempre possibile valorizzare in modo relativamente autonomo da questo vincolo limpegno antisolipsistico e antilogicistico con cui Schelling cerca, per dirla con le sue parole, una filosofia che non sostituisce [pi] alla connessione reale la mera filigrana del concetto (SW XII: 672), che segue loggetto nel suo autosviluppo e muove dallesperienza, o addirittura entra nellesperienza stessa e diventa, per cos dire, tuttuno con essa (SW XIII: 128), in modo che sia loggetto stesso a spiegare se stesso. 4. Verso unontologia deflazionistica. Come si detto e come ancor meglio si vedr, per Schelling non c tutto, ovviamente solo nel senso eminente di essere e secondo una differenziazione assiologica tanto fondamentale quanto problematica. dunque unontologia deflazionistica a guidarlo, pur se con motivazioni diverse, sia nella fase trascendental-idealistica e dellidentit sia in quella dellempirismo filosofico. Eppure non sarebbe difficile ricavare dalla gi menzionata distinzione tra una filosofia che dimentica lesistente concreto per ci che pu essere, e una filosofia che invece si rivolge allessere quale liberamente e fattualmente si dato e si d, la prova dellesemplare conversione allempirismo di un idealista gi da molto tempo insoddisfatto dellamputazione fichtiana della realt, e infatti voltosi, a differenza del suo primo maestro, a due concreti come la natura e larte, intesi come

Cfr. M. Vet, Le fondement selon Schelling, Paris 1977 e T. Griffero, Grund ed Existenz. Classicit e melanconia alla luce della teoria dei princpi di Schelling, in C. Tatasciore (a cura di), Dalla materia alla coscienza. Studi su Schelling in ricordo di G. Semerari, Milano 2000, in particolare pp. 253-259.

concretizzazione positiva, rispettivamente, dello spirito universale e del genio6. Non si pu tuttavia passare sotto silenzio che dietro ai rimproveri mossi nel 1806 alla visione fichtiana della natura, che puntando tutto sulla sua moralizzazione sarebbe unilateralmente economico-teleologica7 e quindi incapace di vedervi quella ragione diffusa che, estranea alla conoscenza discorsivo-sintetica, garante viceversa dellidentificazione del conoscere con il vivere8, vi un realismo del tutto particolare. Infatti, se vero che, giusta la ripresa della plotiniana prosopopea della natura, lammutolire del discorso davanti alla vita loperazione suprema che la filosofia deve compiere, dato che levidenza riconducibile a una sorta di apparire interno della natura a se stessa, dellessere allessere e ogni parola aggiunta la distrugge9, pur vero che dietro allesordio del duraturo ideale dellautomanifestarsi del positivo in un corrispondente occhio interno che coincide con la vita e la genesi10 e che il sapere assoluto (filosofico), troviamo non solo la sfiducia naturalistica di Hume11 e poi anche di Jacobi verso la ragione argomentante, ma anche una sorta di empirismo dellassoluto sfociante nella teodicea ovviamente del tutto estraneo allempirismo. Quando leggiamo affermazioni indubbiamente realistiche come le seguenti la vera filosofia deve parlare di ci che esiste, ossia della natura reale, della natura che (SW VII: 30); essere verit e verit essere. Ci che il filosofo pensa e di cui parla deve essere, perch devessere vero. Ci che non , non vero (ibid.) , non dobbiamo mai dimenticare che loggetto della filosofia reale non qui solo la realt sensibile, ma anche e a maggior ragione Dio stesso come garante dellesistenza del mondo e della ragione che vi diffusa. Visti questi precedenti, se ne conclude che anche il tardo realismo schellinghiano trova nellempiria il suo punto davvio e lexplicandum ma, diversamente dal positivismo, non certo la sua fonte; che perviene induttivamente allessere muovendo dallente reale-finito, ma assumendo questultimo solo come il prius logico in vista dellacquisizione del prius reale. Ma se la svolta empiristica quanto meno controversa, indubbia invece quella ontologica, dato che qui la filosofia stessa come scienza dei princpi a essere definita la scienza dellente e a essere considerata la sola risposta possibile alla domanda antropologica sul perch esista qualcosa anzich il nulla. Durante tutto il quarantennio di pressoch totale silenzio editoriale Schelling nutre appunto lambizione di costruire una scienza i cui princpi siano quelli non del pensiero ma dellessere12, senza che ci implichi una regressione alla metafisica prekantiana, ma anzi capitalizzi proprio la contraddittoria concezione che induce Kant a pensare alla cosa in s ora come a una x indipendente dalla conoscenza, ora come a un qualcosa che non pu non esistere visto che causa limpressione sensibile. Incapace di aprirsi allesperienza di un che irriducibile alla ragione e condizionata dallerrore (estremizzato dallex-amico Hegel) di confondere negativo e positivo, tutta la filosofia precedente sarebbe stata
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Solo la mancata comprensione di questo costante e pressoch esclusivo interesse per la positivit che si tratti di arte, di natura o di rivelazione religiosa spiega linterpretazione di J. Schmidt, Die Geschichte des Genie-Gedankens in der deutschen Literatur, Philosophie und Politik, 1750-1945, I, Darmstadt 1988, p. 396, in termini di feticizzazione dellinteresse schellinghiano per lopera anzich per la produttivit artistica.

Il fondamento di qualsiasi mediocrit spirituale appunto lassenza di quellintuizione grazie a cui la natura ci appare vivente per se stessa [] poich ogni potere risanante risiede solo nella natura. Solo questa il vero antidoto allastrazione (SW VII: 19).
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Cfr. F. Moiso, Unit e identit nel tardo Fichte, in V. Melchiorre (a cura di), Luno e i molti, Milano 1990, pp. 371404. 9 Ibid., pp. 378-379. 10 Ibid., p. 382. 11 Cfr. F. Moiso, Vita natura libert. Schelling (1795-1809), Milano 1990, p. 16: allineludibilit dellalternativa humiana [tra scetticismo e realismo; NdA] in un discorso filosofico identificante verit e connessione vivente che probabilmente occorre far risalire tratti cospicui dell empirismo e della positivit presenti in tutta la filosofia di Schelling. 12 Cos A. Franz, Philosophische Religion. Eine Auseinandersetzung mit den Grundlegungsproblemen der Sptphilosophie F. W. J. Schellings, Amsterdam-Atlanta 1992, p. 87.

solo negativa, mentre la sfida sarebbe quella di conquistare non [] il mero essere [ma] lessere che o esiste (SW X: 215), di aggirare trascendentalismo e naturalizzazione empirica13 individuando proprio in Dio il ricercato principio dellessere, in assenza del quale nulla sarebbe quel che (n il pensiero n lessere) e nella coscienza del quale, che lo voglia o no, luomo sempre immerso, essendo per natura lessere-che-pone-Dio, colui che non tanto ha quanto coscienza del divino. La nuova religione auspicata da Schelling e dalla sua cerchia fin dallepoca del Systemprogramm si declina ora nella forma di una religione filosofica che detto in estrema sintesi da un lato indaghi il modo in cui il pensiero giunge al principio (divino), dallaltro muovendo proprio da questo principio mostri in che senso la religione mitologica e quella rivelata non siano se non una progressiva manifestazione del divino. 5. Il fallimento (annunciato) della filosofia negativa. Il migliore svolgimento di una vita consacrata alla filosofia potrebbe consistere nel partire con Platone e finire con Aristotele (SW XI: 380). Cos, citando nellincompiuta Darlegung der reinrationalen Philosophie le proprie stelle polari (SW XI: 391), Schelling universalizza il proprio percorso dalla poesia filosofica alla scienza, reinterpretata extrafilologicamente in una prospettiva platonizzante (perch non si comprende Aristotele se ci si ferma a lui; SW XI: 382) e comunque ontologicamente valorizzata in antitesi al soggettivismo raziocinante post-cartesiano e alla kantiana regolativit anti-metafisica. Sintetizzando in certo qual modo il metodo dialettico di ascesa allassoluto (Platone) e la portata ontologica del principio assoluto (Aristotele), egli vede legittimato il metodo induttivo con cui la filosofia puramente razionale tra laltro paradossalmente costretta, a differenza di ogni altra scienza (dotata di un proprio oggetto specifico), a indagare un oggetto impossibile, vale a dire quellente in generale che (nominalisticamente) non esiste n esprimibile, presentandosi piuttosto sempre solo come lattributo di qualcosa daltro , escludendo sperimentalmente varie ipotesi, giunge a mettere in luce il processo che pone capo allente, e cio i princpi o potenze che costituiscono lentit dellente e che non a torto sono stati paragonati per struttura e funzione alle espressioni sortali14. La filosofia negativa quindi certamente unontologia, ma unontologia ancora totalmente condizionata dal pensiero. Seppur fondamentale, lesperienza testimonia qui infatti non che cosa sia reale e che cosa non lo sia, ma soltanto che cosa sia possibile o meno nel pensiero, non tanto quindi lessere reale quanto le possibilit che bisogna necessariamente pensare (SW XI: 304) rispetto allente, compresa quella sensazione (Gefhl) che non ci permette di attribuire a queste possibilit una collocazione diversa da quella dichiarata (SW XI: 304) e che, come principio di non-contraddizione, costituisce la legge di tutto lente (SW XI: 305), intelligibile non meno che sensibile. Non diversamente, lente universale nella cui acquisizione si concludono le trecento pagine schellinghiane di questo torso non che il tutto, che si produce con necessit nel pensiero e perci solo nellidea, non realmente (SW XI: 313), qualcosa di ben diverso dallassoluto come puro atto impensabile spettante alla filosofia positiva. Lesito della filosofia puramente razionale non sarebbe dunque altro che lidea della realt, la possibilit di Dio e del mondo quale la si deve pensare quando si astrae dal che e ci si rivolge unicamente al che cosa. Pur non limitata allente quanto la matematica e libera di indagare la sostanza nel senso pi alto della parola (SW XI: 377), proprio come la matematica la filosofia negativa non andrebbe oltre il possibile essere-cos di una cosa, che del tutto indipendente dallesistenza della cosa, e si dimostrerebbe altres estranea, in quanto scienza (aristotelicamente) solo
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Cfr. H. J. Sandkhler in F. W. J. Schelling, Das Tagebuch 1848, hg. von H. J. Sandkhler, Hamburg 1990, pp. LV sg. 14 Cfr. T. Buchheim, Eins von Allem. Die Selbstbescheidung des Idealismus in Schellings Sptphilosophie, Hamburg 1992, p. 36, n. 24.

delluniversale, allindividualit e quindi anche al principio assoluto, pi disponibile al sentimento, infatti, che al concetto. Nonostante questo fallimento programmatico rispetto alla realt della scienza puramente razionale, varr la pena cercare di capire che cosa non possiamo non pensare quando pensiamo lesistente. Quali siano cio in estrema sintesi ed evitando tutte le prevedibili complicazioni enfatizzate dalla ricerca le potenze, ossia i principi costitutivi (scoperti dal pensiero) dellente in generale e quindi anche di Dio, nella misura in cui anchegli compie in s il movimento del venire alla presenza che proprio di ogni ente intramondano15. Posto che lesistente sia A, la prima potenza 1) non sar che puro poter-essere (-A), il primum cogitabile16 e il puro soggetto dellessere (ma nel senso di mera sup-positio, di Grund o base di una potenza superiore), che Schelling interpreta come un volere originario ancora inattivo, come un sostrato infondato-indeterminato quanto lo era lapeiron pitagorico-platonico e quindi come causa solo quantitativo-materiale che di per s come nulla17. Ma perch lente si delinei occorre che si aggiungano 2) una seconda potenza [+A nel senso di -(-A) ovviamente], che agisca come causa qualitativo-formale su quel sostrato delimitandone linformit e quindi oltrepassandolo (e per Schelling lessenza stessa dellente di oltrepassarsi), nonch la terza 3), ossia il soggetto-oggetto (A), che non affatto la loro somma, ma ci che, essendo uno e medesimo in entrambe e portando cos alla costituzione dellinesauribile molteplicit di forme del puro ente (SW XI: 391), vale come causa finale, come quellente in virt di se stesso (il poter-essere essente come tale; SW XIII: 235) che deve essere. Rappresentando la materia dellente, cio delluniversale (SW XI: 291), queste tre potenze (-A, +A, A, ma anche poter-essere, necessit-di-essere, dover-essere) in cui Hartmann vedr riassunte le articolazioni rispettivamente platonica (indeterminato, determinato, autodeterminantesi), aristotelica (causa materiale, formale, finale)18 e hegeliana (esser-in-s, esser-fuori-dis, esser-presso-di-s) cooperano come quegli di etruschi che nascono e decadono solo insieme, sono ci attraverso cui il pensiero fa sorgere processualmente lente (ma, ricordiamolo ancora, non nella realt), per solo se postula anche una quarta causa (efficiente), che nel garantire la cooperazione delle precedenti non va intesa come un quarto elemento, bens come qualcosa (A) che eccede tale processo e rientra in un ordine totalmente diverso, non afferendo semplicemente allente, n identificandosi con Dio (pena la sua retrocessione a causa immanente tra le altre). Schelling vi vedr piuttosto lanima, ossia quellelemento divino-immateriale che, come anima prima del mondo e poi dei singoli enti, conferisce lessere a tutti i concreta, cio alle idee quali produzioni del pensiero necessario (SW XI: 411).

6. Scienza dellesperienza: dal quid al quod. Schelling senzaltro convinto di poter rivoluzionare col proprio appello allesperienza la storia della filosofia, superando anche lidealismo, il cui indubbio merito sarebbe stato quello di indagare il fondamento dellesistenza degli oggetti e non solo di cercarne i predicati appropriati alla maniera della metafisica prekantiana, ma il cui limite fu quello di non poter andare oltre la conoscenza razionale a priori di che cosa o pu essere, ossia di quellessenza delle
J.-F. Courtine, Estasi della ragione, cit., p. 191. La prima cosa che devo pensare senza alcun dubbio il soggetto dellesistenza, il quale non ancora lente, bens solo il principio dellessere, il suo primo punto dattrazione (SW X: 303). Questo primum cogitabile non tanto il primo oggetto del pensiero quanto il suo primo ingrediente, un indeterminato a cui il pensiero si rifiuta per di anteporre qualcosa (SW XI: 302), perch se il pensiero non cominciasse appunto con una sottrazione (steresis), con unassenza di determinazioni (che non equivale a un nulla bens a un puro poter-essere), ma con una determinazione, non sarebbe neppure pensiero. Cfr. T. Buchheim, Eins von Allem, cit., pp. 118 sgg. 17 Cfr. J.-F. Courtine, Estasi della ragione, cit., p. 184. 18 Cfr. N. Hartmann, La filosofia dellidealismo tedesco, trad. it. di B. Bianco, a cura di V. Verra, Milano 1972, p. 160, che per identifica erroneamente +A con la causa efficiente.
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cose (quid) che rimarrebbe immutata anche se quella cosa non esistesse affatto nel mondo. Sottolineando con forza da un lato il fatto che si ottengono cos solo enti apparenti, la cui esistenza si esaurisce nellessenza (nel concetto), si perviene cio a una scienza della ragione che equivale a un completo deserto di ogni essere (SW XIII: 76) e che appare pertanto legittima, rivelandosi unindispensabile via daccesso alla filosofia positiva19, solo quando non finge (come in Hegel) di essere altro da ci che , spacciando un movimento solo logico per un movimento oggettivo, e dallaltro che solo lesperienza a insegnarci che qualcosa esiste davvero (il quod), che unontologia positiva concerne unicamente fatti che nella loro accidentalit spaziotemporale sono concettualmente inanticipabili, egli vuole in conclusione dimostrare proprio su di s la tesi secondo cui la filosofia tedesca avrebbe introiettato listanza empiristica, senza mai diventare per empirismo. Paradossalmente, la filosofia negativa allora una scienza riuscita solo quando fallisce, quando, sfociando nel costante rovesciamento della ragione (SW XIII: 152), si dichiara incapace di qualsiasi conoscenza reale e si esaurisce nel rinviare alla filosofia positiva, un po come accadeva nel culti eleusini ai piccoli Misteri, il cui senso ultimo era di rinviare ai grandi Misteri successivi. Giunta a un uno che, pur essente, non cessa di essere fonte dellessere, che insieme semplice e molteplice nella sua qualit di perfetta spiritualit, la filosofia razionale pu ben arrestarsi, perch ora si rovescia e perde lipoteticit che necessariamente le veniva dal supporre che si dia (sorga) un essere o un ente. In altri termini: quanto fin qui era il prius, e cio la dialettica delle potenze che ci ha condotti allo spirito, appare ora come il posterius, da cui si pu prescindere avendo avuto un valore solo strumentale, laddove lo spirito ora il prius rispetto alle potenze. Ma il momento di vagliare con maggiore attenzione limpegno ontologico della filosofia positiva, intesa come quella Denkform che, parzialmente anticipata nella speculazione giovanile dalla tesi dellirriducibilit dellorganismo alle categorie meccanicistiche e pi generalmente dal primato assegnato allintuizione (intellettuale o della ragione), antepone il reale esperito alla mera ipoteticit del pensiero, il positivo al negativo, pur ammettendo di dovervi passare, cos come Dante sale al cielo solo attraverso linferno. Siccome il fatto reale che esperiamo prima di poterci chiederci che cosa essa sia, la cui esistenza ci precede per quanto presto vi arriviamo (si pensi a quando sentiamo chiaramente che qualcosa in noi non va, pur senza minimamente conoscere la patologia responsabile e addirittura se si tratti di una patologia)20, non potr essere, in quanto azione, che un rivelarsi, dato che rivelarsi agire, cos come ogni agire un rivelarsi (SW VIII: 306), allora la positivit della filosofia consister proprio nella capacit di vedere nella realt il frutto di una libera azione irriducibile alla ragione e alla necessit. A Schelling interessa sapere e non solo pensare niente di meno che lorigine di tutte le cose. Solo un sapere pi che pensante, sintetico e non tautologico (com invece nella filosofia negativa, condannata in certo qual senso a trattare oggetti virtuali)21, pu dunque placare la domanda ontologica, riconducendo lente non tanto a unubiqua razionalit conoscibile a priori, quanto a una decisione libera dellassoluto, il cui opposto quindi sempre possibile, un po come apprendiamo la volont di un uomo esclusivamente da ci che effettivamente fa. Volta alla dimostrazione a posteriori del fondamento volontaristico dellessere attuale, dellassoluta, trascendente ed esuberante libert (SW XIII: 256) con cui lo spirito si manifesta integralmente (secondo lorganicistica identit di parte e tutto) in ciascuna forma ontologica, senza peraltro mai arrestarvisi, la filosofia positiva deve tutto al fallimento di quella solo razionale e alla silenziosa ignoranza, alla quasi braminica assoluta inspirazione del
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Quanto pi il negativo veniva formulato in maniera pura, tanto pi fortemente doveva elevarsi dinanzi a esso il positivo (SW XIII: 86). 20 Cfr. T. Buchheim, Eins von Allem, cit., pp. 17-18. 21 Ibid., p. 68.

pensiero (SW XIII: 252) che secondo Schelling ne sarebbe la logica conclusione. Ma lafasia estatica non qui lunico rischio, giacch questa ontoteologia, radicata nella libert sovraempirica e nella volont automotivante secondo la tesi che lessere originario il volere e non c altro essere che il volere (SdW: 169, ma cfr. anche SW VII: 350), finisce per legittimare anche delle quanto meno discutibili (volontaristiche) scorciatoie metodiche, su tutte lillusione che sia possibile aggirare i limiti del cosiddetto empirismo regressivo assegnando a una non meglio precisata volont filosofica22, affine per extraconcettualit allaltrettanto necessario sentimento artistico e scientifico per la totalit, la capacit di risalire dalla realt esperibile non solo al Dio che si relaziona creazionisticamente-logicamente al mondo ma al Dio assolutamente libero. Un punto di partenza volontaristico che, tra laltro, non che unipotesi euristica in attesa di una dimostrazione progressiva, e quindi a rigore infinita, da parte della filosofia positiva non tanto di un principio ontologico astratto lastrazione nel vivo dellesperienza equivalendo per Schelling a una svalutazione23 , bens di una persona (divina) di cui esperiamo lestrinsecazione solo a cose fatte. Le difficolt non riguardano allora solo la filosofia negativa, al cui approccio a priori della realt sensibile sfugge necessariamente una realt pura irriducibilmente anteriore, ma anche quella positiva, che, se deduce a priori il mondo dal principio, per condannata nella sua non dogmaticit a rincorrere asintoticamente la dimostrazione a posteriori di tale principio, visto che il regno della realt non compiuto, ma qualcosa che va continuamente incontro al proprio compimento (SW XIII: 131). 7. Quale esperienza? A prescindere ora dalla controversa questione circa leventuale autonomo movimento della filosofia positiva (scienza suprema, descendens), che se per un verso sembra infatti necessariamente introdotta dalla (dallo scacco della) negativa (scienza prima, ascendens), per laltro, muovendo dal volere, pare poter incominciare puramente di per s, anche solo con la semplice affermazione: io voglio ci che sopra lessere, che non il semplice ente, ma qualcosa di pi che questo, il signore dellessere, in altri termini avere un inizio assoluto e certo di se stesso (SW XIII: 93) dal momento che non esige alcuna fondazione, la cui natura esclude anzi ogni fondazione (SW XIII: 161) , una cosa certa, ed che questa positivit necessita di unindagine ulteriore. Schelling parla talvolta anche di filosofia storica, intendendo con ci di certo non a) una filosofia che tragga il proprio sapere dalla materia storica nel senso generico della parola, ma neppure b) una filosofia della storia nel senso tradizionale o, peggio ancora, c) una filosofia che si risolva in storia della filosofia. Pensa piuttosto a una filosofia tanto concreta quanto la storia, non per caso reputata superiore alla politica, perch mentre in questa si tratta in gran parte dellimpotente che cosa, la storia si occupa del reale compimento, dellonnidisponente che (Plitt III: 223), a una filosofia, nella fattispecie, che valorizzi il cristianesimo anzitutto come religione orientata a ci che Cristo ha fatto pi che detto, per poi tematizzare quella storia superiore-divina (ierostoria) che ha ben poco a che vedere con la storiografia e in cui a contare levento tanto inanticipabile da suscitare meraviglia (e proprio nellinanticipabilit teorica fin da giovane Schelling aveva individuato la specificit della storia) e incomprensione razionale24. Una precisazione simpone: filosofia cristiana non equivale qui, come molti critici credono, a filosofia religiosa o, peggio ancora, a
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Il primo concetto in filosofia pu essere solo oggetto di un volere. Solo in questo modo essa pu essere una scienza che inizia assolutamente dal principio (GpP: 396). 23 Persino il termine uomo, se lo adoperiamo per ci che per noi la cosa suprema e pi cara, pu risultare offensivo. Nessuno di noi vuole essere definito mediante una categoria puramente generale, e ha ben diritto che ci non accada (GpP:465).

Cfr. F. Moiso, Temporalit e filosofia positiva in Schelling, Annuario filosofico, 6 (1990), p. 323: Il Cristianesimo appare infatti oggetto e autorit perch esso per la filosofia anzitutto storia, tempo, successione, che la ragione non pu darsi da s.

filosofia rivelata, giacch essa, quanto meno nelle intenzioni, non fa della rivelazione, che pure molto avrebbe insegnato alla filosofia, un presupposto storico esterno e tanto meno una verit inconcussa pena la fine della filosofia come scienza prodotta in modo totalmente libero (SW XIII: 139), la cui stessa esistenza, daltronde, dimostra con chiarezza linsufficienza della fede , ma un oggetto da comprendere in maniera autonoma e indipendente, anche se, non diversamente dalla natura e dalla storia, al di fuori della logica. Per lo pi Schelling parla per di scienza dellesperienza, solo che con esperienza non intende affatto a) la certezza del mondo sensibile, ossia n lesperimento, che da sempre ritiene governato e reso possibile solo dalla teoria (cfr. ad es. SW V: 341), n quella autorit dellesperienza comune, che ci assicura dellesistenza e della natura delle cose sensibili, cos come della nostra propria esistenza esteriore e interiore, e delle sue determinazioni sia costanti sia mutevoli (SW XI: 261) autorit, questultima, che insieme a quella dei princpi universali e della ragione costituisce la fonte della metafisica scolastica, e ci perch lesperienza del reale attuale, ad esempio del corporeo, va preliminarmente distinta, per quanto apparentemente ognuno vi si sottometta ciecamente, da ci che, per sua natura e in modo eminente, esperienza reale solo nella misura in cui implica anche il sovrasensibile. N intende b) il grado immediatamente superiore al sensismo rappresentato dallempirismo mistico (teosofismo), il quale, enfatizzando il bisogno di unesperienza diretta del sovrasensibile, porrebbe in effetti la medesima esigenza sentita dalla filosofia positiva (e si sa quanto Schelling abbia mutuato da Bhme e da Oetinger), ma in un modo immediato-intuitivo che non ha nulla di metodico e quindi di scientifico, che, pretendendo di saltare il negativo, muore infine di una inevitabile consunzione spirituale (SW X: 176). E ovviamente non ha in mente neppure c) lesperienza che si consuma nel pensiero, e che tuttal pi impronta lambito logico-negativo della scienza, ancorch talvolta sia costretto a riconoscere che, citando lesempio del principio di non contraddizione, occorre pensare realmente per fare esperienza del fatto che non si pu pensare il contraddittorio (SW XI: 326). Talvolta con empirismo Schelling sembra pensare perfino a una scienza del significato interiore delle cose. Se fatti possono dirsi in senso generale anche gli oggetti specifici delle varie scienze, il fatto vero sar per sempre qualcosa di interiore (SW X: 227), ad esempio in una battaglia lo spirito del generale e in un libro ci che il lettore vi comprende; qualcosa che si acquista grazie allesperienza, non esclusa quella che si ottiene ripercorrendo sperimentalmente la successione tuttaltro che casuale dei sistemi filosofici. Ma non proprio tale successione, paradossalmente, a sancire la vittoria del soggettivo sulloggettivo, e quindi dellepistemologia sullontologia, dato che il viceversa renderebbe impossibile la scienza stessa? Non del tutto, perch anche la graduale soggettivazione delloggettivo, il fatto cio che B diventi A, senza cessare del tutto di essere B, in virt dellazione limitante di un principio superiore (ideale, maschile) su un altro principio illimitato (reale, femminile), presuppone a giudizio di Schelling pur sempre loggetto e quindi non invalida i diritti dellontologia. Non li invalida il trascendentalismo, giacch il soggetto conoscente ha necessariamente come suo presupposto loggetto conoscibile (SW X: 229), e in fondo il conoscente non meno un ente di quanto lo sia il conosciuto, e neppure il dualismo cartesiano, che infatti, mentre infrange con la de-ontologizzazione della corporeit il tacito accordo di senso comune che secondo Schelling lega il filosofo al suo pubblico e gli prescrive di spiegare il mondo senza amputazioni idealisticamente condizionate, non fa altro che trasferire lintero peso ontologico sul soggetto, dovendo in ultima analisi confessare di non poter sfuggire allessere, che intendev[a] evitare e per cos dire aggirare (come un nemico) (SW X: 233). Ma lammissione di un mondo ontologicamente autonomo non va oltre. Bench il soggetto e loggetto siano, ossia vedano limitata la loro originaria illimitatezza da un principio opposto allessere e che,

proprio per questo, lo limita (SW X: 236), bench proprio per questo lintelligenza del soggetto abbia una corrispondenza nellintelletto oggettivo deposto nelle cose, il conoscibile non pu certo per Schelling dirsi esistente nel senso alto ed eminente con cui lo si dice del conoscente, al quale infatti si rapporta anzi come un relativo nonessere. Significativo comunque che lidealismo appaia qui redento dal suo tradizionale nichilismo ontologico, il condizionamento soggettivo delloggetto non inficiando affatto la realt ontologica delloggetto, perch anzi la cosa con queste determinazioni soggettive appunto la vera cosa, giacch se le sottraggono tali determinazioni, essa non pi in generale una cosa (SW X: 240). Facendo dellesperienza della realt in senso proprio qualcosa che altro sia dalla banale empiria sia dal pensiero ma come convive questesigenza con ricorrente ammissione che ogni essere presente nellesperienza ha in s delle determinazioni logiche dellintelletto, senza le quali esso non sarebbe rappresentabile (SW XIII: 127)? , Schelling pensa a un prius assoluto e non solo relativo (quale sarebbe la potenza, destinata a trapassare nellessere), oltre che assolutamente trascendente in quanto da nulla costretto a produrre lessere reale; un prius che non nel suo cominciamento assoluto (assolutamente al di l dellesperienza), ma certamente nella successione condizionata unicamente dal suo volere potrebbe essere dimostrato empiricamente (a posteriori), dal momento che, a differenza della verit logica, a comprovare questa volont sarebbero unicamente le sue conseguenze fattuali. Pensa cio a unesperienza che provi la divinit di quel prius che esso Dio e, dunque, che Dio esiste (SW XIII: 129), e che, dimostrando che anche il prius stesso esiste proprio nel modo in cui labbiamo compreso, cio che Dio esiste (ibid.), lasci essere il prius come prius, conoscendolo a partire da ci che a esso segue, ma non in modo tale che questo seguente preceda (ibid.), dove evidentemente a posteriori significa soltanto per posterius. Non possiamo per nasconderci la problematicit dellinferenza schellinghiana, secondo cui se il necessariamente esistente Dio, allora abbiamo questa e questaltra conseguenza quel che vogliamo dire che a, b, c, ecc. diventano allora possibili; ora, secondo la nostra esperienza a, b, c, ecc. esistono per realmente e quindi conclusione necessaria il necessariamente esistente realmente Dio (SW XIII: 169; corsivo nostro). sempre antipatico infierire sulle sviste logiche del passato, ma sia chiaro, per limitare i danni di questa evidente fallacia25 dellaffermazione della conseguente (se p allora q, ma q quindi p), non basta certo enfatizzare il fatto che Schelling parli solo di possibilit delle conseguenze o pensi a dei fatti biblici che dimostrerebbero lagire divino perch, come la divinit presupposta, eccedenti la sfera concettuale26. Comunque sia, solo a questo punto chiara lintenzione teoretica schellinghiana. In sintesi: se la filosofia negativa empirismo a priori e quindi non vero empirismo, quella positiva , in quanto apriorismo empirico, il vero e proprio empirismo, vale a dire a) scienza a priori rispetto al mondo e b) scienza a posteriori rispetto a Dio, perch, attraverso un argomento ontologico invertito, essa procede non dallessenza allesistenza ma dallesistenza (infondata e infondabile) di Dio alla sua essenza o idea, trasformando cos lassolutamente trascendente, paradossalmente scoperto nellestasi della ragione, nellassolutamente immanente (ossia, fatto contenuto della ragione) (SW XIII: 170), portandolo al pensiero e, solo cos, rendendolo veramente Dio.

8. Lessere prima del poter-essere. Cos suonano le formule messe in circolazione da Schelling. Sar meglio lasciarle perdere, per precisare piuttosto come la filosofia non sia solo, genericamente, ontologia, come il suo oggetto, che lunica tra le scienze a non trarre dallesperienza, da altre scienze superiori o magari dal caso, non sia tanto
P. C. Hayner, Reason and existence. Schellings philosophy of history, Leiden 1967, pp. 105, 171. Cfr. T. Buchheim, Eins von Allem, cit., pp. 22-23; A. White, Schelling. An introduction to the system of freedom, New Haven/London 1983, p. 166.
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lente stesso, quanto lente in modo totale [], non potenza, bens tutto atto, pura realt effettiva (SW XIII: 149); in altri termini ci che, diversamente da quanto a causa della composizione di potenza e atto solo parzialmente conoscibile, totalmente conoscibile, oltre che totalmente degno di conoscibilit, in quanto totalmente ente, ossia atto puro, privo di non-essere. Il supremo, a cui anche se solo nel concetto perviene la filosofia negativa, dunque latto puro o potenza-di-essere rovesciata (SW XIII: 156), in cui, lungi dallesserci un passaggio dalla potenza allatto, la potenza il posterius e latto il prius. Per dirla con Schelling: se dunque egli esiste, pu essere lesistente solo in, e per cos dire, prima di se stesso, cio prima della sua divinit (SW XIII: 158), prima del suo e a maggior ragione di ogni altro concetto. Di questo actus purissimus o realt tanto originaria da essere priva di potenzialit precedenti, di questo essere incondizionatamente necessario, tanto anteriore a ogni essere e pensiero da echeggiare il kantiano abisso della ragione umana (KrV, B 641) ma non identificabile con loggetto specifico del mistico, che non saccontenta affatto del che, ma vuole conoscere estaticamente anche il che-cosa (SW XIII: 163; nota) , non possibile predicare lessere in senso attributivo, perch lesistenza, che in ogni altra cosa appare come laccidentale, qui lessenza. Il quod si trova qui al posto del quid (SW XIII: 162). E neppure possibile averne unidea, ovviamente se pensiamo allidea nel senso della potenzialit (filosofia negativa) e non allidea rovesciata, lidea in cui la ragione posta fuori di s (SW XIII: 162-3) che caratterizza la filosofia positiva. Si tratta di partire non dal concetto, ma dal meramente esistente in cui nullaltro sia pensato che appunto il meramente esistente [] per vedere se da esso si pu giungere alla divinit (SW XIII: 158), provare cio la divinit di ci che, essendo il puramente e necessariamente esistente, anche lindubitabile, dal momento che dubbio solo ci che potenza o scaturito dalla potenza dessere e quindi costantemente in pericolo di non essere, in breve risalire dallatto (essere) a priori alla sua potenza (essenza) come divinit. Non stupisce allora che il pensiero e la ragione, per natura circoscritti al possibile, ammutoliscano al cospetto del puramente esistente e si scoprano del tutto secondari rispetto allessere: perch nel suo sviluppo privo di libert, il pensiero non sa nulla di una decisione, di unazione o perfino di un atto (SW XIII: 173), perch non per il fatto che si d un pensare, infatti, si d un essere, ma perch c un essere, si d un pensare (SW XIII: 162), il quale altrimenti rischierebbe la stasi, dato che ci che una volta ha avuto inizio nel semplice pensiero pu anche solo procedere nel semplice pensiero e non arrivare mai pi in l dellidea (SW XIII: 162). Si arriverebbe dunque alla realt effettiva solo muovendo dalla realt effettiva anteriore a ogni possibilit. Ma una realt anteriore a ogni possibilit non qualcosa di incomprensibile? Certamente incomprensibile se la si vuole afferrare col concetto (pena il ridurlo da necessario a possibile) e domandandosi se possa esistere e quale sia la sua essenza (visto che qui il che-cosa segue il che), ossia con un pensiero che si pretende anteriore allessere ma per Schelling linizio del pensiero non mai a sua volta un pensiero bens una realt in atto , mentre perfettamente immaginabile (e daltronde attestata nella tradizione aristotelico-tomista) se se ne vede lanalogia con quegli atti quotidiani che, secondo Schelling, diciamo originali in quanto non derivano da un concetto precedente e ne inferiamo la possibilit solo a partire dalla loro realt attuale. Suggestivo, ma assai discutibile sia per la sua verosimile dipendenza dalla logomachia estetica della genialit, sia perch lindividuazione del potenziale pare qui successiva solo per difetto epistemico e non per una sua qualche intrinseca posteriorit, lesempio non doveva bastare nemmeno a Schelling se, per ovviare al legittimo sospetto che il principio come puro atto, non scaturendo dal superamento della potenza, ne conservi tutta laccidentalit, sente il bisogno di reintrodurre nellimmemoriale (e immobile) atto puro un contrasto capace di sottrarlo alla sua cieca eternit, alleternit del semplice esistere, per giungere alleternit dellessere

essenziale (Wesen), alleternit dellidea (SW XIV: 342). Provocandolo e offrendogli qualcosa da volere, questo contrasto lo avvia alla condizione di Signore tanto di ci che ancora non esiste, quanto dellessere originario che evidentemente non padroneggiava, lo trasforma da essere necessario solo in atto e pertanto sempre passibile di tornare a essere mera possibilit sotto lazione del sopravveniente in essere necessariamente necessario, [] natura necessaria (SW XIV: 348). Che vi si veda il condizionamento razionalistico a ricondurre lassolutamente accidentale al necessario o una necessit non rafforzata ma indebolita, cio [] una necessit doppiamente accidentale27, questo cavilloso raddoppiamento della necessit non esprime se non il fatto che Dio la libert di oltrepassare il proprio essere cieco e immemoriale, rendendolo liberamente voluto. Peccato che alla legittima domanda circa il motivo per cui egli vorrebbe superare e poi ricostituire il proprio essere necessario attraverso il mondo (gi, perch tra quel superamento e questa ricostituzione sta il mondo nella sua interezza) (SW XIV: 352-3), non si trova di meglio che rispondere chiamando in causa la felicit con cui egli crea, e non per se stesso, con cui non ha propriamente niente a che fare essendo a priori certo di s, ma per qualcosa daltro: unidea che, se segnala vistosamente come lattivismo moderno viva della stigmatizzazione dellimproduttivo motore immobile aristotelico (di certo non pu esserci nulla di pi penoso che pensare incessantemente solo se stesso e quindi a se stesso) (SW XIV: 352), nondimeno suona evasiva se non fideisticamente condizionata. 9. Lesistenza ineludibile. ovvio che si tratta di una condanna senzappello della tradizionale prova ontologica. In verit, oscillando nella sua analisi tra il rifiuto di ci che in essa degrada Dio a oggetto, unificando semplicemente lideale e il reale precedentemente disgiunti dalla riflessione, e il desiderio di darne una reinterpretazione nel senso dellidentit intuita di essenza ed esistenza, Schelling giunge revocare la necessit del passaggio dal pensiero allesistenza, fondandovi la distinzione stessa tra negativo e positivo28, solo nel momento in cui si vede spinto al positivo dalla crescente insoddisfazione per un Dio concepito come aseitas razionalmente risolvibile e accoglie senza riserve lavvertenza kantiana a non vedere necessariamente implicata lesistenza nellideale trascendentale (cui non pu non giungere la ragione spinta dal contingente al necessario), a considerare lesistenza non come mero predicato (logico) bens come posizione, acquisizione sintetica (KrV: B 620 sgg., ma anche KdU 76, nota). Solo a questo punto gli appare chiaro che la prova cartesiana dimostra non che Dio esiste, ma solo che, se esiste, allora esiste necessariamente. Ci che invece si tratta di dimostrare non che Dio esiste, ma che lesistente Dio, il che induce Schelling in un certo senso a partire sia dai fenomeni29 sia da un quod che, per la sua esenzione dal quid, medusizza la ragione, esigendo, quale conseguenza della meraviglia che si prova dinanzi allessere che tutto domina (SW XIII: 165), lidea fuori della ragione o idea rovesciata (SW XIII: 171, 162) del puramente esistente, detto altrimenti un autentico salto, che, come non ha nulla di mistico implicando pur sempre unestasi della ragione, sancisce la bancarotta non di qualsiasi ontologia, ma solo di quella formale. Al centro dellontologia dellultimo Schelling, pur tra mille sfumature e revisioni, troviamo in ultima analisi lidea che a meravigliare, anzi a medusizzare, sia non la ragione ma il puramente esistente, aconcettuale e quindi irriconducibile al possibile e con ci alla razionalizzazione logica, ci che, in altri termini, subito reale, comincia con lessere (SW XIV: 338) e si impone alla ragione giunta necessariamente in ritardo.
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C. Ciancio, La libert di Dio nellultimo Schelling, in C. Tatasciore (a cura di), Dalla materia alla coscienza. Studi su Schelling in ricordo di Giuseppe Semerari, Milano 2000, p. 383. 28 Cfr. X. Tilliette, Attualit di Schelling, a cura di N. De Sanctis, Milano 1972, p. 107. 29 Ibid., p. 111.

Unidea, quella della trascendenza dellessere sul pensiero, che pu ben essere indipendente da precisi presupposti teologici, visto che ad attestarla basta in fondo lesperienza quotidiana dellirriducibilit della sfera reale a quella logica. Ora, se nello spiegarla un filosofo cristiano come Schelling non pu ovviamente prescindere dallipotesi creazionista e dalla tentazione di ricondurre il regno del possibile alla ragione divina, ci non significa affatto che unontologia della libert debba necessariamente sfociare in quella retorica abissale e tragicista che nellestatica possessione ontologica della coscienza ravvisa un volto sfingeo e misterioso, che folgora e soggioga il pensiero con lo scorcio di segrete e insondabili profondit30. A patto naturalmente che con la convertibilit di essere e libert31 non si pensi necessariamente Dio bens il mondo reale, e che la non-necessit di tale mondo non sia necessariamente spiegata come lesito di unazione personale, a patto, per dirla in breve, che la meontologia, che sempre accompagna lontologia, non si traduca automaticamente in un discorso fideistico ed extrascientifico. Ma, per restare a Schelling, la cosa pi intrigante forse il fatto che proprio il suo quasi ossessivo tentativo di rimuovere il possibile e lo status inevitabilmente contingente sia dellesistente sia della razionalit (se il mondo logico, lo per Schelling infatti solo perch fu gettato nel logico), riveli ex contrario il ruolo assolutamente centrale svolto nella sua filosofia complessiva dalla nozione di possibilit, non da ultimo nel suo legame intrinseco con quella di materia. Si vedano le acute riflessioni che non qui ovviamente possibile esaminare in dettaglio sullambiguit immanente al poter-essere, che esiste solo quando ignora se stessa, proprio come certe qualit umane, che sussistono a loro volta solo nel non sapere di se stesse (SW XIII: 225), e diventa fatalmente lopposto in seguito allautoconsapevolezza, sulla sua estraneit alla scienza nonch sul suo essere, rappresentando il nulla indispensabile allattrazione dellente, la fonte di ogni insoddisfazione e perci sempre qualcosa di sinistro. Ma si pensi, soprattutto, allinsufficiente distinzione tra le varie accezioni di possibilit (logica, materiale, reale) e tematizzazione del carattere squisitamente mentale del possibile. Nellosservare che la realt, essendo lesito di una decisione, avrebbe pur sempre potuto essere altra da ci che , se non addirittura del tutto diversa, Schelling non sembra avvertire come problematico il fatto peraltro correttamente segnalato laddove, escludendo che la materia sia tale originariamente, vi vede unicamente la retroproiezione della realt effettiva che lindividuazione di possibilit non esistenti, non attualizzate, dipende solo dal pensiero, pi precisamente dalla possibilit di immaginarle e darne una descrizione linguisticamente consistente, che non , detto altrimenti, se non una variabile dipendente e parassitaria dalla realt, lesito di una valutazione differenziale del reale, introdotta ex post nel reale per dotarlo di una provenienza e quindi anche di un passato. Posto, allora, che lo stato ontologico del possibile sia fondamentalmente mind-dependent32, non tanto uno stato del mondo quanto un carattere della realt stessa (a essa successivo), non ricadr lintera filosofia positiva, nella sua struttura ontoteologica, nella sfera di quella negativa perch solo raziocinante? Rischia cos Schelling di confermare, suo malgrado, lipotesi secondo cui la sola ontologia possibile quella negativa, oppure pone le basi per una metafisica o ontologia riunificata nel segno di una riedizione della teoria delle potenze? Una domanda che intenzionalmente lasciamo aperta e la cui risposta necessita di un ulteriore, ma qui impossibile, approfondimento dellontologia modale dellultimo Schelling.

L. Pareyson, Ontologia della libert. Il male e la sofferenza, Torino 1995, p. 406. Ibid. p. 21. 32 Cfr. N. Rescher, The ontology of the possibile, in M. J. Loux (ed.), The possible and the actual. Readings in the metaphysics of modality, Ithaca-London 1979, pp. 166-181, e pi ampiamente Id., A theory of possibility, Oxford 1975.
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2) Il vincolo tradizionale che sembra legare il possibile al pensabile non sembra creare problemi a Schelling Ma: possibile nel senso logico a) che la sua affermazione non implica contraddizioni, che nulla esclude e quindi uguale in linea di principio a ogni cosa, comportando per la diversit da s e quindi rendendo obliquo il riferimento. Fin qui abbiamo la possibilit unicamente come funzione finzionale di un mondo. Ma la possibilit, non pi solo logica ma materiale bA ci saggiunga la possibilit c) reale, nella sua duplice caratteristica di possibilit che un certo reale sia o agisca in un certo modo e di possibilit (controfattuale) che il reale sia altro da quello che . 3) Ma il possibile non costituisce affatto un regno ontologico accanto a quello della realt, trovandosi a rigore solo nel pensiero.

Sigle
GgP = Grundlegung der positiven Philosophie. Mnchner Vorlesung (1832-33), Hg. von H. Fuhrmans, Torino 1972. SdW = System der Weltalter. Mnchener Vorlesung 1827/28 in einer Nachschrift von Ernst von Lasaulx, hg. und eing. Von S. Peetz, Frankfurt a. M. 1990. SW = Smmtliche Werke, hg. von K. F. A. Schelling, Stuttgart 1856-61.

La prima potenza in cui al pensiero si presenta lessente privo di fondamento la potentia existendi, il cui passaggio allessere non affatto necessario nel senso costrittivo del termine ma dipendente dalla sua naturale volont di compierlo; la seconda potenza dellessente il dover-essere, che fa s che non si tratti di un cieco essere ma di un essente nella sua compiutezza Il che per significa che lUno, duplice nella sua unit, padroneggia se stesso in quanto il se stesso che potenza dessere viene limitato dal se stesso che il puramente esistente. SW II 44-45: un Dio in cui lidea preceda latto un Dio che non pu creare; vale semmai che da Dio scaturiscono contemporaneamente gli oggetti reali e le loro idee (reale contemporaneamente alla conformit allo scopo): idee contemporanee al reale. Nel delineare come laspirazione a una vita saggia implichi la credenza nella presenza della saggezza anche nella vita, Schelling sottolinea esplicitamente che il soggetto conoscente deve presupporre anche nelloggetto della sua conoscenza una certa conoscenza, che dunque il reale possiede una sua razionalit immanente, ma subito dopo declina questa corrispondenza tra conosciuto e conoscente nei termini trascendentalistici secondo cui loggetto porterebbe in s la forma e limpronta del conoscenteil presupposto di una realt e di un divenire dotati di saggezza indispensabile a chi voglia ordinare la propria vita saggiamente (XIII: 203). detto altrimenti una scienza del pensiero necessario, che inizia da se stesso e in s progredisce, ma nel contempo si realizza immediatamente nellesperienza che si pu considerare lunica vera ontologia (SW XIII: 111). Ma una rettifica positiva della filosofia negativa non potrebbe limitarsi semplicemente ad esigere che quanto la ragione concepisce come meramente possibile, senza peraltro poterne provare da s lesistenza presente (lesistenza di questa o quella cosa), venga poi legittimato nella sua realt attuale dal mondo sensibile, dalla fede nella sua autorit? Vediamo. Ricevendo una impressione, noi ci rappresentiamo anzitutto lesistenza di qualcosa in generale, il quod, e solo in un secondo tempo pensiamo il suo quid, ossia che cosa sia loggetto della nostra rappresentazione Del resto, a rigore lempirismo non esclude affatto il sovrasensibile, giacch evidente che, ad esempio, lintelligenza agente, pur essendo conoscibile solo a posteriori e quindi empiricamente, non come tale propriamente accessibile al senso, cio un sovrasensibile conoscibile sensibilmente (attraverso i suoi atti), qualcosa di propriamente inaccessibile al senso, ma non certo come ci che lo attualmente e che per non eccede il circolo dellesperienza possibile. Tutto sta a capire come senso ed esperienza non coincidano e come la causa dellesperibile non sia necessariamente lastratto inesperibile. Se si d esperienza solo dove vi siano deliberazione e azione (laddove ci che pone il puro pensare privo di vera libert), si tratta di valutare se possa darsi un empirismo metafisico. Riflettiamo: anche se gli si pu attribuire una sorta di eternit secondaria rispetto a Dio quale Herr des Seins, a cui coeterno essendo necessario porlo insieme a Dio (appunto di per s impensabile senza rapporto con lessere), lessere per tanto assiologicamente quanto (paradossalmente) ontologicamente dotato di un essere proprio, distinto e ovviamente inferiore a quello di Dio. vero che solo se Dio , e

tuttavia prima di ogni determinazione, che necessariamente viene da Dio, pur sempre qualcosa, quanto meno un vero nulla, materia capace delle tre determinazioni suddette ma di per se stessa priva di esse e perci puro gioco della libert divina (SW X: 275). Ma questa tesi solo un passaggio, bisognoso di rettifica in quanto ancora ammette qualcosa che (concettualmente?, tradizionalmente?) a rigore inammissibile, e cio che la causa suprema abbia ancora qualcosa fuori di s (anche se non extra bens praeter), abbia cio un presupposto, il quale viceversa sparisce se si ammette che abbiamo Dio soltanto e che Dio stesso, mediante il solo suo volere, a manifestarsi ora come 1) illimitato (essere cieco), ora come 2) limitato (ci che nega quellessere cieco), infine come 3) ci che posto come spirito. Dio latto, lunit che passa nellintero processo. Ma anche quello di causa assoluta, pur essendo per noi il solo concetto possibile di Dio (come creatore e signore delle cose), non affatto il suo concetto supremo, implicando una relazione verso qualcosa che almeno possibile; la sua assoluta indipendenza meglio espressa dal concetto di sostanza che ha in s, volendolo, la potenza di essere lillimitato (B), di essere ci che nega B, ecc. I princpi prima scoperti mediante unanalisi empirica (SW X: 280) si tramutano ora in potenze immanenti a Dio, dalle quali peraltro dobbiamo a rigore prescindere se vogliamo pensare Dio non in relazione ma nella sua solo volont, o meglio dobbiamo concepirle come potenze non sostanziali (ne verrebbe per lui una necessit di agire) bens in tutto e per tutto dipendenti solo dalla sua volont, come potenze che non esistono in lui gi come potenze ma che vengono poste in essere, anche solo come potenze, solo dalla sua volont (egli soltanto le rende potenze, esse non lo sono) (SW X: 286), e perci sono sue determinazioni immanenti. N lessere come eterno correlato n le potenze come possibilit che si offrono a Dio resistono allanalisi schellinghiana e al suo voler restar (filosoficamente) fedele allidea di una creazione assolutamente libera e senza presupposti, di una creazione (ex nihilo) non preceduta neppure da un non-esistente inteso come me on, da una semplice potenza (interna o esterna a Dio che sia), che a sua volta deriva dal vero nulla (ouk on). Ma qui, dovendo spiegare come Dio sia il prius delle potenze stesse e quindi il prius assoluto, lempirismo lascia gi il posto al sovraempirico. Se ne ricava che empirismo equivale a indagine regressiva sino a Dio?? speculare significa per Schelling cercare una possibilit grazie a cui la scienza raggiunge uno scopo mediante ipotesi in attesa di conferma, il che non rende affatto ipotetica lintera filosofia positiva, che dimostrando la realt di tutto ci che consegue a quella ipotesi, toglie appunto a questa ipotesi stessa ogni ipoteticit (SW XIV: 346) Se potenza dessere e essere attuale sono accomunate dal possibile (il secondo infatti presuppone in permanenza quella potenza dessere che dellessere che ora ha la negazione), differenziandosi cos decisamente dal puramente esistente,

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