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PREPARAZIONE PSICOLOGICA ALLA DIFESA

PERSONALE
L'apprendimento di tecniche di autodifesa
sostanzialmente inutile senza un adeguato training
psicologico.
In questo articolo chiariamo il perch.
Ultimo aggiornamento 23/10/2008

Non basta girare armati,


apprendere un'arte
marziale, aver frequentato
un corso di autodifesa per
poter dire "mi so
difendere".
Chi dice cos,
semplicemente, non si
mai trovato veramente nei
guai e sta coltivando
pericolose oltre che false
sicurezze.
Non basta allenarsi
duramente, magari per
anni, a tirare pugni e calci
ad una sacco, o fare
sparring con i compagni in
palestra.
Non basta nemmeno munirsi di armi varie (legali o meno) per essere in grado di difendersi.
Perch quando si affronta la realt, magari rappresentata da un vero picchiatore da strada o da un
bandito armato, lo scenario per il quale credevamo di essere preparati, cambia totalmente.
E cos leggiamo i casi di istruttori di arti marziali, o comunque di praticanti avanzati, come cinture
nere o simili, i quali nel momento della verit, magari nel sottopassaggio della stazione, hanno
sperimentato un'umiliante incapacit di reagire efficacemente. Subendone le conseguenze, chiaro.
Le performance di alcuni portatori di armi, poi, sono al limite del grottesco, visto che qualcuno
riuscito a spararsi su un piede nel convulso tentativo di tirare fuori l'arma.
Certi portatori di coltello, o di spray accecante, nemmeno sono riusciti a estrarre dalla tasca il
marchingegno, disorientati e shockati com'erano.
Alcuni sotto l'effetto del panico, si sono addirittura dimenticati di averlo appresso, salvo
ricordarsene a cose finite...
Cos' successo quindi?
Perch persone tecnicamente preparate a difendersi (almeno sulla carta) hanno dato una prova cos
deludente?
La risposta complessa e risiede tanto nell'aspetto per cos dire "cognitivo" che in quello
psicofisico e caratteriale della vittima.
1. Per quanto riguarda il primo punto, quello cognitivo, il pi delle volte mancata la
conoscenza dei rituali di attacco del combattente da strada e il fattore sorpresa ha giocato a
sfavore della vittima.

In palestra, difficilmente vengono affrontati questi argomenti: prima di un combattimento ci


si saluta, a volte ci si da la mano, poi inizia un duello leale, con tanto di regole ed un arbitro
che garantisce sul loro rispetto.
Per strada, chiaramente, non cos. La prima regola che non ci sono regole e poi il rituale
che porta allo scontro il pi delle volte coperto, subdolo.
Se non conoscete questo rituale, vi trovate a chiedervi se quello ha veramente intenzione di
attaccarvi, e mentre ve lo chiedete vi arriva un pugno in faccia che vi stende.
Nelle palestre, cos come nei corsi di autodifesa, troppo spesso si allenano le persone a
reagire all'aspetto "fisico" dell'aggressione. L'istruttore dir "Ecco, lui vi afferra cos, voi vi
girate e colpite col gomito...", per fare un esempio.
Non dico che sia sbagliato tecnicamente. Il problema, semmai, quello di agire prima di
dover reagire e ci possibile solo giocando d'anticipo, capendo al volo che tipo di
avversario vi trovate di fronte ed in che modo agir.
Purtroppo, nessun delinquente vi attaccher dandovi il tempo di reagire.
Per fare questo ricorrer alla sorpresa e per avere la sorpresa dalla sua parte, ricorrer
all'inganno. Per questo un ruolo importantissimo dato dalla lettura ed interpretazione del
linguaggio del corpo, l'unico in grado di darci indizi attendibili sulle vere intenzioni
dell'altro.
L'incapacit di riconoscere i segni premonitori di un attacco, far s che la vittima, magari
reduce da mesi di allenamento in palestra, si trovi KO ancora prima di realizzare che
l'aggressione in corso.
2. Il secondo punto la sostanziale impreparazione dei pi nel fronteggiare le reazioni
psicofisiche legate alla paura.
Vivere al riparo della societ civile, o almeno nella presunzione che sia cos, ha di fatto
ridotto la nostra abitudine a fare i conti con questa emozione primaria. Il risultato che,
quando ci imbattiamo in situazioni di pericolo, non abbiamo pi schemi adeguati per farvi
fronte.
Allora normale sperimentare paralisi e indecisioni che possono risultare disastrose quando,
invece, sarebbero richieste reazioni immediate e risolutive.
Le persone che cadono vittime degli eventi, facilmente rimangono disorientate e bloccate a
causa dei sintomi fisiologici che si accompagnano alla paura intensa: dispnea, tachicardia,
tremori, secchezza delle mucose, limitazioni del capo visivo (il cosiddetto "effetto tunnel"),
rigidit dei movimenti, fino alla paralisi, ecc.
Addestrare una persona a combattere la paura non facile, soprattutto perch ognuno di noi
reagisce in modo diverso alle diverse situazioni di pericolo e perch ognuno di noi ha una
soglia di sopportazione diversa rispetto agli eventi stressanti. Cos ci sono persone che
precipitano nel panico di fronte a stress moderati, come il parlare in pubblico, e altri che
sembrano reagire con freddezza a situazioni di rischio estremo.
Un'altra complicazione data dal fatto che per imparare a vincere la paura l'unico mezzo
realmente valido ... Quello di provare paura pi e pi volte, in modo da diminuire la nostra
sensibilit verso quest'emozione primaria. Una sorta di "vaccinazione", quindi, che passa
attraverso la presa di coscienza delle nostre reazioni di fronte al pericolo.
Va da s che praticamente impossibile riprodurre in un corso di autodifesa la situazione di
stress emotivo che si genera durante un'aggressione, senza far correre seri rischi all'allievo.
L'addestramento a vincere la paura rappresenta quindi una delle sfide pi ardue per chi si
occupa di formare le persone all'autodifesa.
3. Il terzo punto, ma non per importanza, legato agli aspetti caratteriali ed educativi della
persona.
In questo senso, il combattente da strada ha caratteristiche ben precise e non possederle
rappresenta uno svantaggio incolmabile, quando si deve combattere per la vita.
E' inutile possedere un'arma, avere il miglior addestramento tecnico, sapere controllare la

paura se poi, al momento della verit, esiterete perch vi ripugna vedere schizzare il sangue
dal naso del vostro avversario, oppure vi fa ribrezzo l'idea di infilargli un dito in un occhio
per cavarglielo.
Purtroppo, un protocollo di autodifesa efficace, specialmente quando esiste un forte divario
di forze come nell'autodifesa femminile, prevede quasi esclusivamente tecniche "sporche",
se non proprio da voltastomaco.
Saper coltivare nell'allievo un'aggressivit feroce e priva di inibizioni, il cosiddetto "killer
instinct", il compito pi difficile e delicato di un istruttore. Infatti non si tratta di
trasformare persone miti e socievoli in assassini abbruttiti, ma si tratta di far s che l'allievo
sappia scatenare la propria furia in modo finalizzato, ovvero in un contesto in cui la sua
sopravvivenza a rischio.
Come intuibile si tratta di un compito arduo, sempre in bilico tra il rischio di fornire un
training troppo blando e quello di trascendere, creando nuovi e pericolosi disadattamenti
sociali e psicologici.
Come dicevo nessun corso di autodifesa in grado di fornire soluzioni convincenti per imparare a
fare tutto questo.
Alcuni istruttori sostengono di addestrare e non allenare. La differenza evidente: chi allena pensa
ai muscoli e ai riflessi, che addestra pensa alle situazioni e alle circostanze.
In un caso o nell'altro quasi nessuno pensa alla singola persona e al suo personalissimo modo di
rispondere alla paura, alla sua capacit di utilizzare al meglio le sue risorse oppure al suo rimanere
interdetta e non riuscire a reagire.
Questi istruttori continueranno imperterriti a insegnare le loro tecniche per cavare occhi, castrare a
pedate stupratori usciti dall'ombra, disarmare mani armate di coltello (evito ogni commento,
diventerei volgare...) o di pistola (idem come prima...), magari tenteranno di rendere "realistico" il
loro allenamento (o "addestramento" secondo i pi convinti) inondando i loro allievi di adrenalina
allo stato puro, ottenuta con ritmi forsennati o colpi sferrati a piena forza, come se correre il rischio
di un infarto in palestra fosse lo stesso di una coltellata in metropolitana, di un pestaggio in strada, o
di un "vero" stupro...
No, non la stessa cosa e non lo sar mai.
Il panico una cosa seria, e non lo si otterr mai in un contesto "amico", dove tutti sono pronti a
farsi intorno a me per soccorrermi nel caso in cui dovessi soccombere all'allenamento (o
addestramento) "realistico".
Nessuno in grado di riprodurre in modo legale un contesto che sia lontanamente realistico in una
palestra: ci vorrebbero le vie di uscita chiuse a chiave ed un istruttore sadico munito di machete, e
gli schizzi di sangue sulle pareti.
Allora forse si, chi ne uscisse vivo, tutto d'un pezzo e non definitivamente traumatizzato, potrebbe
dire "Si... Ora so cos' la paura, e so come reagire ad essa..."
Ma questa fantasia.
In un mondo ideale, l'istruttore dovrebbe essere una specie di mentore in grado di rinforzare ed
allenare anche gli strati emotivi e psicologici che stanno sotto ai muscoli dell'allievo.
Ci sono persone che hanno una reazione allo stress pi accentuata di altri e che quindi hanno pi
difficolt a gestire gli stati di paura.
Altre persone sono vissute fino ad oggi in un ambiente iperprotettivo e non hanno sviluppato un
adeguato spirito di iniziativa. E' naturale che persone cos si trovino in difficolt quando la
situazione diventa critica e la capacit di improvvisazione pu fare la differenza.
In ultimo, c' un aspetto di fragilit ed insicurezza che rende pi difficile a certe persone ad
affermare il proprio diritto di esistere e di affermarsi nelle relazioni con gli altri (specialmente le
donne).
Un allenamento "realistico" dovrebbe essere orientato a questi aspetti meno "muscolari" ma non
meno essenziali, se l'obiettivo formare alla sopravvivenza e non la riscossione della retta mensile.

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