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Chang
i fondamenti dello
studio del pianoforte
È UN LIBRO DI
ALGG@K<I
:FEJLCK@E>
PUBLISHING COMPANY
I Fondamenti dello Studio del Pianoforte
di Chuan C. Chang
Giammai nessuna parte del presente libro potrà essere riprodotta, memorizzata in un sistema che ne permetta
l’elaborazione, né trasmessa, in qualsivoglia forma e con qualsivoglia mezzo elettronico o meccanico, né potrà
essere fotocopiata, registrata o riprodotta in altro modo, senza previo consenso scritto dell’Editore, tranne nel
caso di brevissime citazioni contenute in articoli o recensioni.
PREFAZIONE
Hanon, scritta da nessun altro che Hanon stesso (si veda la Sezione
III.7H del Capitolo Uno). Se si dovesse fare un sondaggio dei metodi di
studio raccomandati da un gran numero di insegnanti di pianoforte, che
non hanno letto questo libro, molti sarebbero in contraddizione e sa-
premmo subito che non possono essere tutti giusti. Inoltre, siccome non
ci sono libri di testo, non avremmo idea di cosa contenga un ragionevo-
le e completo insieme di istruzioni. Nella pedagogia del pianoforte lo
strumento più essenziale per lo studente – un insieme di istruzioni ele-
mentari su come studiare – è stato fondamentalmente inesistente fino
alla scrittura di questo libro.
Non realizzai quanto fossero rivoluzionari questi metodi fin quando
non terminai la prima edizione. Inizialmente sapevo solo che essi erano
migliori di quelli che avevo usato precedentemente: avevo ottenuto ri-
sultati buoni, ma non notevoli. Ho fatto esperienza del mio primo ri-
sveglio dopo aver finito il libro: fu allora che lo lessi veramente ed ap-
plicai sistematicamente i metodi, sperimentandone l’incredibile efficien-
za. Quale fu, quindi, la differenza tra il solo sapere le parti del metodo e
leggerle? Nello scrivere il libro dovetti prendere le varie parti e siste-
marle in una struttura organizzata che soddisfacesse uno scopo specifico
e che non mancasse di componenti essenziali. Come scienziato qualifi-
cato sapevo che organizzare il materiale in una struttura logica era
l’unico modo per scrivere un manuale utile (si veda la Sezione 2 del Ca-
pitolo Tre). È ben noto, nella scienza, che la maggior parte delle scoper-
te vengono fatte scrivendo i rapporti di ricerca, non conducendola. Fu
come se avessi avuto tutti i pezzi di una automobile, ma senza un mec-
canico che li montasse correttamente e li regolasse non sarebbero stati
molto utili come mezzo di trasporto. Qualunque fossero le ragioni esat-
te dell’efficacia del libro, mi convinsi del suo potenziale di rivoluzionare
l’insegnamento del pianoforte (si veda la Sezione Testimonianze) e deci-
si di scrivere la seconda edizione. La prima non era neanche un libro
onesto: non aveva né un indice né una bibliografia, l’avevo scritto in
fretta in quattro mesi nel tempo libero tra i vari lavori. Dovetti chiara-
mente condurre una ricerca più approfondita per riempire qualsiasi la-
cuna e per passare accuratamente in rivista la letteratura. Dovevo, ad
esempio, soddisfare i requisiti di un vero approccio scientifico allo stu-
dio del pianoforte (si veda il Capitolo Tre). Decisi anche di scrivere
questo libro sul mio sito web, in modo che potesse essere caricato men-
tre la ricerca procedeva e qualsiasi cosa venisse scritta fosse immediata-
mente disponibile al pubblico. Come ormai tutti sappiamo, un libro su
internet ha molti altri vantaggi, uno di questi è che non c’è bisogno di
un indice analitico perché si può fare una ricerca per parola. Ne è venu-
PREFAZIONE 5
to fuori che questo libro sta diventando uno impegno pionieristico nel
fornire istruzione gratuita attraverso internet.
Perché questi metodi di studio sono così rivoluzionari? Per avere ri-
sposte dettagliate si deve leggere il libro e li si devono provare. Nei pa-
ragrafi seguenti cercherò di presentare una visione d’insieme di come
vengano raggiunti questi risultati miracolosi e di spiegare brevemente
perché funzionano.
Iniziamo con lo specificare che nessuna delle idee fondamentali di que-
sto libro nasce da me: sono state inventate e re-inventate da qualsiasi
pianista di successo, non so quante volte, negli ultimi duecento anni.
o
L’infrastruttura è stata costruita usando gli insegnamenti del M Yvonne
Combe, l’insegnante delle nostre due figlie che sono diventate abili pia-
niste (hanno vinto molti primi premi in competizioni per pianoforte, en-
trambe hanno orecchio assoluto e passano un sacco del loro tempo libe-
ro a comporre musica). Altre parti sono state raccolte dalla letteratura e
dalle mie ricerche usando internet. Il mio contributo è quello di aver
messo insieme le idee, averle organizzate in una struttura e aver fornito
alcune spiegazioni del perché funzionano. Questa comprensione è criti-
ca affinché il metodo abbia successo. Il pianoforte è stato spesso inse-
gnato come una religione – si doveva aver fede che se si fosse seguita
una certa procedura, suggerita da un “maestro” insegnante, avrebbe
funzionato. Un tipico esempio è il modo in cui insegnava la Whiteside
(si veda nei Riferimenti). Questo libro è diverso: un’idea non è accetta-
bile finché lo studente non capisce il perché funziona. Trovare la giusta
spiegazione non è facile perché non la si può semplicemente tirar fuori
dal nulla (sarebbe sbagliato) – per arrivare alla spiegazione corretta si
deve avere sufficiente esperienza in quel particolare campo del sapere.
Fornire una spiegazione scientifica corretta filtra via automaticamente i
metodi sbagliati. Questo potrebbe spiegare il perché gli insegnanti di
pianoforte esperti, la cui cultura è strettamente concentrata sulla musica,
possano essere in difficoltà nel fornire la spiegazione giusta e le loro de-
lucidazioni siano spesso sbagliate anche per metodi di studio corretti.
Ciò può fare più male che bene perché non solo crea confusione, ma
uno studente intelligente concluderebbe che il metodo non possa fun-
zionare; è anche un modo veloce per l’insegnante di perdere tutta la
credibilità. A questo proposito è stata preziosa, nello scrivere questo li-
bro, la mia carriera/cultura di fondo nel risolvere problemi industriali,
nelle scienze dei materiali (semiconduttori, ottica, acustica), nella fisica,
nell’ingegneria meccanica, nell’elettronica, nella biologia, nella chimica,
nella matematica, nei rapporti scientifici (ho pubblicato oltre 100 articoli
nelle maggiori riviste scientifiche), eccetera.
6 PREFAZIONE
Quali sono quindi alcune di queste idee magiche che si suppone rivo-
luzionino l’insegnamento del pianoforte? Iniziamo con il fatto che
quando si guarda l’esecuzione di un famoso pianista questi può suonare
cose incredibilmente difficili, ma le fa sempre sembrare facili. Come fa?
Il fatto è che per lui sono facili! Molti dei trucchi per imparare trattati
qui sono quindi metodi per rendere facili le cose difficili. Non solo faci-
li, ma spesso banalmente semplici. Questo si ottiene esercitando le due
mani separatamente ed esercitandosi su segmenti brevi, a volte fino an-
che a solo una o due note. Non si possono rendere le cose più semplici
di così! I pianisti esperti riescono anche a suonare in modo incredibil-
mente veloce – come ci si esercita per riuscire a suonare velocemente?
Semplice! Usando l’“attacco ad accordo” – un modo, anche per pianisti
principianti, di muovere tutte le dita simultaneamente facendo si che,
per certe combinazioni di note, possano suonare infinitamente veloce.
Non c’è sicuramente bisogno di alcuna velocità più alta di infinitamente
veloce! Si veda “Insiemi Paralleli” nella Sezione II.11 del Capitolo Uno.
Il termine “insieme parallelo”, sebbene l’abbia coniato qui, è solo uno
strano sinonimo di “accordo” (uso “accordo” in senso lato per indicare
più note suonate contemporaneamente). Tuttavia “accordo” non era
una scelta buona quanto “insiemi paralleli” perché avevo bisogno di un
termine che descrivesse meglio il movimento delle dita (la connotazione
è che le dita si muovono in parallelo) e tra i musicisti “accordo” ha un
significato definito più strettamente. Ci vuole sicuramente esercizio per
riuscire ad unire degli insiemi paralleli veloci e produrre musica, ma al-
meno ora abbiamo una solida procedura bio-fisica per sviluppare le con-
figurazioni neuro-muscolari necessarie a suonare velocemente. In que-
sto libro ho elevato gli esercizi per gli insiemi paralleli ad un livello mol-
to speciale perché possono essere usati sia come strumento diagnostico
per scoprire le debolezze tecniche sia come un modo per risolverle. In
pratica gli esercizi per gli insiemi paralleli possono fornire soluzioni pra-
ticamente istantanee alla maggior parte delle insufficienze tecniche.
Questi non sono esercizi per le dita nel senso di Hanon o Czerny, ma, al
contrario, sono il più potente insieme singolo di strumenti per una rapi-
da acquisizione della tecnica.
Anche con i metodi qui descritti potrebbe sorgere la necessità di stu-
diare passaggi difficili centinaia di volte, qualche volta fino a diecimila,
prima di riuscire a suonarli con facilità. Ora, se si dovesse studiare una
tipica sonata di Beethoven a – diciamo – metà tempo (la si sta solo im-
parando), ci vorrebbe circa un ora per suonarla tutta. Ripeterla diecimi-
la volte richiederebbe quindi trent’anni, o metà di una vita, se si avesse
– diciamo – un’ora al giorno per esercitarsi e se si studiasse solo questa
PREFAZIONE 7
I.1 - Obiettivo
L’obiettivo di questo libro è presentare i metodi migliori per studiare
pianoforte. Questi metodi sono talmente efficaci che se tutti li usassero
il numero di pianisti preparati sarebbe più del doppio e di conseguenza
la domanda di pianoforti, insegnanti ed accordatori sarebbe maggiore.
Imparare questi metodi significa, per gli studenti di pianoforte, dimi-
nuire il tempo dedicato allo studio del pezzo, che consiste in una buona
parte della loro vita pianistica, ed aumentare il tempo disponibile a fare
musica invece di lottare con i problemi tecnici. Molti studenti passano
il 100% del loro tempo ad imparare nuovi pezzi e, siccome si tratta di
un processo lungo, non rimane tempo per imparare l’arte di fare musi-
ca. Questa triste situazione è di grande impiccio nello sviluppo della
tecnica perché essa si sviluppa suonando pezzi finiti. Il nostro obiettivo
è rendere il processo di apprendimento talmente veloce che miriamo a
dedicare il 10% del tempo di studio ad imparare il pezzo ed il 90% a fa-
re musica, massimizzando al tempo stesso lo sviluppo della tecnica.
Gli studenti che hanno studiato pianoforte nei conservatori e negli i-
stituti musicali dovrebbero trovare familiare la maggior parte del mate-
riale contenuto in questo libro. Sfortunatamente sono relativamente
18 I - I NTRODUZIONE
forza o della resistenza atletica. Molti studenti pensano allo studio del
pianoforte come ad ore di maratone delle dita perché nessuno gli ha
mai insegnato la definizione giusta di tecnica.
La precedente definizione ci dice che una volta imparato qualcosa (co-
me una scala), suonarla e risuonarla non migliora materialmente la
tecnica ed è uno dei processi di apprendimento più errati. Dobbiamo
capire la nostra anatomia ed imparare, con l’uso degli strumenti trattati
qui, come scoprire ed acquisire la tecnica giusta. Questo risulta essere
un compito praticamente impossibile per il cervello umano medio, a
meno che non venga dedicato ad esso l’intera vita sin dall’infanzia.
Anche in questo modo la maggioranza non riuscirà. Molti studenti di
pianoforte non hanno la più vaga idea della complessità dei movimenti
delle dita, delle mani e delle braccia. I principianti vedono solo i polpa-
strelli davanti a loro ed è qui che iniziano i loro problemi. Fortunata-
mente i tanti geni venuti prima di noi hanno fatto le scoperte più im-
portanti (altrimenti non sarebbero stati degli esecutori così grandi). Per
questo gli studenti dei conservatori apprendono la tecnica velocemente
queste istituzioni hanno una storia di dimestichezza con questi metodi.
Sorprendentemente questo libro è la prima raccolta piuttosto completa
delle regole fondamentali.
Un’altra idea sbagliata riguardo alla tecnica è quella per cui una volta
che le dita diventano abbastanza abili si può suonare qualunque cosa.
Quasi ogni passaggio diverso è una nuova avventura: deve essere im-
parato da zero. I pianisti esperti sembrano capaci di suonare praticamen-
te di tutto perché: (1) hanno studiato praticamente di tutto e (2) sanno
come imparare velocemente cose nuove. Acquisire la tecnica potrebbe
quindi sembrare, all’inizio, un compito arduo per via del numero quasi
infinito di passaggi diversi — come si fa ad impararli tutti? Questo pro-
blema è stato in larga misura risolto: ci sono ampie classi di passaggi
(come le scale) che compaiono spesso, sapere come suonarli coprirà
una gran parte dei passaggi delle composizioni.
Una delle prime cose di cui parleremo nel seguito sono degli strata-
gemmi per imparare così potenti da permettere di acquisire la tecnica u-
sando dei procedimenti generalizzati da applicare a praticamente ogni
passaggio. Questi stratagemmi garantiscono la via più veloce verso la
scoperta dei movimenti ottimali (di dita, mani, braccia) per suonare il
passaggio. Ci sono due motivi per cui è necessario fare le scoperte per
conto proprio: primo, ci sono talmente tanti passaggi diversi che non si
possono elencare tutti i modi di suonarli; secondo, i bisogni di ognuno
sono diversi. L’insieme di regole di questo libro deve perciò servire so-
I.3 - TECNICA VS. MUSICA 21
sedersi) dovrebbe essere tale per cui i gomiti, se spinti in dentro, non
tocchino il corpo. Non ci si sieda al centro, ma sul bordo anteriore.
L’altezza e la posizione dello sgabello sono più critiche quando si suo-
nano accordi forti. Si può, di conseguenza, provare la correttezza della
posizione suonando più forte possibile due accordi sui tasti neri. Gli
accordi sono Do2#-Sol2#-Do3# (5,2,1) per la mano sinistra e Do5#-
Sol5#-Do6# (1,2,5) per la destra. Si prema forte, con tutto il peso delle
braccia e delle spalle, inclinandosi leggermente in avanti per produrre
un suono risonante ed autoritario. Ci si assicuri che le spalle siano
completamente coinvolte: i suoni forti e solenni non si possono produr-
re con solo mani e avambracci, la forza deve arrivare dalle spalle e dal
corpo. Se si è comodi allora lo sgabello e la posizione dovrebbero esse-
re corretti.
pezzo (125 misure); altre 6 misure vengono ripetute 4 volte, quindi im-
parare solo 10 misure ci permette di suonare il 70% del pezzo. Usando
i metodi di questo libro il 70% di questo pezzo può essere memorizzato
in meno di mezz’ora perché queste misure sono piuttosto facili. L’ap-
plicazione di questo metodo fissa automaticamente nella memoria le se-
zioni che si studiano. Tra queste misure ripetute ci sono due interru-
zioni non semplici, quando si riusciranno a suonare in maniera soddi-
sfacente, usando i metodi descritti più avanti, si uniranno alle ripetizio-
ni e voila! si sa suonare e si è memorizzato l’intero pezzo. Indubbia-
mente la chiave per impararlo è avere la padronanza dei due difficili in-
termezzi, affronteremo la questione nelle sezioni successive. Uno stu-
dente con due anni di lezioni dovrebbe essere in grado di imparare le
50 diverse misure richieste da questo pezzo in 2÷5 giorni e riuscire a
suonarlo per intero a velocità ed a memoria. A questo punto
l’insegnante è pronto a lavorare sul contenuto musicale della composi-
zione, quanto ci vorrà dipenderà dal livello musicale dello studente. In
termini di musicalità non si finisce mai veramente nessun pezzo.
Qui terminano i preliminari: siamo ora pronti ad iniziare le lezioni ve-
ramente eccitanti. Il segreto di acquisire velocemente la tecnica sta nel
conoscere alcuni trucchi per ridurre i passaggi da difficili ed impossibili
non solo a suonabili, ma anche a banalmente semplici. Ci imbarche-
remo nel magico viaggio nel cervello dei geni che scoprirono modi in-
credibilmente efficaci di esercitarsi al pianoforte!
che questi metodi possono essere mille volte più veloci di quelli in-
tuitivi.
(3) Tutti noi sappiamo quanto sia dannoso suonare un passaggio più
velocemente di quanto la propria tecnica permetta. Tuttavia, più è
piccolo il segmento che si sceglie, più velocemente lo si può suonare
senza effetti deleteri. Inizialmente i segmenti brevi più comuni che
si sceglieranno saranno di una misura o meno, spesso solo due note.
Scegliendo segmenti così brevi si può portare a velocità in soli pochi
minuti praticamente qualsiasi combinazione difficile di note. Si
può studiare perciò per la maggior parte del tempo alla o oltre la velo-
cità finale, cioè nella situazione ideale perché fa risparmiare così tan-
to tempo. Nel metodo intuitivo ci si esercita per la maggior parte
del tempo a bassa velocità.
saltare lo studio a mani separate? C’è una semplice verifica per fare
questo: si può saltare lo studio a mani separate solo se si riesce a suo-
nare in questo modo a proprio agio, rilassati e con precisione a velocità
maggiore di quella finale. È di solito meglio portare la velocità a mani
separate almeno una volta e mezzo più in alto della velocità finale.
Generalmente non è difficile farlo e può essere un sacco divertente per-
ché si riesce a vedere il rapido miglioramento del proprio livello di abi-
lità. Ci si potrà perciò ritrovare a studiare a mani separate molto più di
quanto strettamente necessario e lo si userà di certo per tutta la vita.
Ciascuna mano deve, alla fine, imparare la propria abilità tecnica indi-
pendentemente dall’altra (non si vorrà di sicuro che una dipenda
dall’altra). Il modo più rapido di acquisire questa abilità tecnica è im-
parandola separatamente: ciascuna da sola è già abbastanza difficile,
provare ad impararle insieme sarebbe molo più complicato e consume-
rebbe tempo. La tecnica di dito/mano si acquisisce con lo studio a ma-
ni separate, si ha poi solo bisogno di imparare a coordinarle studiando
a mani unite.
misura 9 (dito 2) che è la stessa della prima nota della misura 8, perciò
usando il Do come congiunzione, si può ripetere ciclicamente la misura
8 per un buon allenamento che eviti perdite di tempo. Questa misura
si dice essere “auto-ciclica” (si veda “Ciclicità”, Sezione III.2, per altri
dettagli sulla ciclicità). Le misure 9 e 10 come unità sono anch’esse au-
to-cicliche. Siccome tutte le sezioni difficili sono nella destra, si trovi
del materiale per esercitare la sinistra, anche da un pezzo diverso, in
modo da dargli un riposo periodico quando si scambiano le mani.
all’accelerare la discesa del tasto. Il metodo del peso del braccio assicu-
ra che si sfrutti l’accelerazione di gravità per controllare il tono.
L’efficacia della “meccanica accelerata” è controversa perché ci sono
eccellenti pianoforti senza questa caratteristica. Ovviamente è più im-
portante che il pianista sappia controllare questa accelerazione.
Il dito deve essere “sistemato” al momento dell’impatto in modo da
premere il tasto e decelerare la caduta, ciò richiede una breve applica-
zione di forza. Questa va tolta non appena il tasto raggiunge la fine
della sua discesa ed è necessario rilassarsi completamente in modo da
sentire la forza di gravità tirare il braccio verso il basso. Si appoggi la
mano sui tasti con la sola forza di gravità che li tiene premuti. Ciò che
si è appena fatto è stato di premere i tasti con il minor sforzo possibile,
è questa l’essenza del rilassamento.
I principianti suoneranno gli accordi con troppe forze non necessarie
e non controllabili con precisione. L’uso della forza di gravità per far
scendere la mano permette di eliminare tutte le forze o tensioni respon-
sabili di far atterrare alcune dita prima di altre. Potrebbe sembrare
una curiosa coincidenza che la forza di gravità sia proprio la forza giu-
sta per suonare il pianoforte. Non è una coincidenza. Gli esseri umani si
sono evoluti sotto l’influenza della forza di gravità, le nostre forze per
camminare, sollevare, eccetera, si sono evolute per coincidere esattamen-
te con essa. Il pianoforte, evidentemente, venne costruito per pareggia-
re queste forze. Si ricordi che la quantità di forza necessaria a suonare
gli accordi è grossomodo uguale a quella fornita dalla gravità – non si
sbattano quegli accordi irrigidendo le mani, molte cose andrebbero fuo-
ri controllo! Sarebbe una buona idea se i principianti, o chi avesse svi-
luppato l’abitudine di irrigidire le mani nel suonare gli accordi, si eser-
citassero un po’ alle cadute per diverse settimane, o anche mesi, ogni
volta che studiano; dovrà senza altro essere inserito nella pratica quoti-
diana. Tutto questo significa che si riuscirà a sentire l’effetto della gra-
vità sulle mani, mentre si suona, solo quando si sarà veramente rilassa-
ti. Alcuni insegnanti enfatizzeranno il rilassamento al punto da negare
tutto il resto finché non viene raggiunto un rilassamento “totale”, que-
sto è forse un po’ esagerato – riuscire a sentire la forza di gravità è un
criterio necessario e sufficiente per il rilassamento.
Le cadute eliminano anche il bisogno di bilanciare la quantità di moto
(si veda la Sezione IV.6). Quando la mano suona il pianoforte, la
quantità di moto del tasto verso il basso è fornita da quella della mano
stessa. Questo slancio verso il basso deve essere compensato dal resto
del meccanismo umano che sta suonando, che dovrebbe fornirne uno
II.11 - GLI INSIEMI PARALLELI 37
Sarà necessario leggere la Sezione III.7 per apprendere come usare gli
insiemi paralleli per acquisire rapidamente la tecnica. L’introduzione di
cui sopra sul suonare parallelo è parte di una breve descrizione e di fat-
to è un po’ fuorviante. Il suonare parallelo descritto prima è quello
detto “a fase bloccata” ed è il modo più facile per iniziare, ma non è
l’obiettivo ultimo. Per poter acquisire la tecnica è necessaria la comple-
ta indipendenza delle dita, non le dita a fase bloccata. Suonare dito per
dito del tutto indipendentemente è detto suonare serie. Il nostro obiet-
tivo, quindi, è suonare serie velocemente. Nel metodo intuitivo si ini-
zia suonando serie lentamente e si cerca di aumentarne la velocità.
Suonare parallelo non è un obiettivo in sé, ma è la via più rapida verso
il suonare serie velocemente. Queste questioni sono spiegate nella Se-
zione “Esercizi per gli insiemi paralleli”. L’idea di questi esercizi è quel-
la di controllare prima se si riesce a suonare “infinitamente veloce”, si
rimarrà sorpresi nello scoprire che non si può sempre fare, anche solo
due note, e di fornire un modo di esercitare solo quegli insiemi di cui si
ha bisogno per quella particolare tecnica. Quest’ultima sarà acquisita
quando si riuscirà a suonare l’insieme parallelo controllando ogni nota
a qualsiasi velocità.
Certamente suonare parallelo con dimestichezza non garantisce in sé
il suonare correttamente. Ci si arriva giusto più velocemente, almeno
si sale a velocità in modo da avere meno passi da compiere per poter
arrivare ai movimenti corretti. Vale a dire, anche suonando parallelo
con successo ci sarà ancora bisogno di effettuare un po’ di altri esperi-
menti per poter gestire l’intero passaggio. Siccome il metodo qui de-
scritto permette di fare centinaia di prove in pochi minuti, questa spe-
rimentazione può essere condotta relativamente in fretta. Applicando il
metodo misura-per-misura, ognuna impiegherà meno di un secondo a
velocità: in cinque minuti ci si può quindi esercitare trecento volte!
Questo è il motivo per cui non si può fare a meno di un buon inse-
gnante: può indirizzare rapidamente verso i movimenti giusti e saltare
gran parte della sperimentazione. Avere un insegnante non significa
però che si smetterà di sperimentare, ma solo che la sperimentazione
sarà più efficiente. Fare esperimenti dovrebbe essere una parte fissa di
ogni seduta di studio – un’altra ragione del perché studiare a mani se-
parate ha così valore. Sperimentare è abbastanza difficile a mani sepa-
rate ed è praticamente impossibile a mani unite!
Suonare parallelo non risolve tutti i problemi, risolve principalmente
quelli del materiale contenente volate, arpeggi e accordi arpeggiati.
II.12 - IMPARARE E MEMORIZZARE 41
Gli studenti che suonano con un sacco di stress si accorgeranno che es-
so non c’è più quando, all’improvviso, suonare a velocità diverrà facile.
Quelli a cui non è stato insegnato ad eliminare lo stress pensano che sia
questo il punto in cui hanno acquisito nuova tecnica. In realtà la loro
tecnica è lentamente migliorata fino al punto in cui hanno iniziato a ri-
lassarsi. Il rilassamento ha permesso alla tecnica di migliorare di più ed
il miglioramento ha permesso un ulteriore rilassamento. Questo ciclo a
retroazione è ciò che ha permesso una tale magica trasformazione. La
trasformazione stessa è stata quindi indotta principalmente dal rilas-
samento, è perciò ovviamente meglio iniziare senza stress. Allora,
quindi, come ci si rilassa?
Ci sono numerosi esempi in questo libro, così come in molti altri, che
istruiscono a “coinvolgere l’intero corpo” senza altri suggerimenti su
come fare. Una parte di questo coinvolgimento, a volte la più grossa,
deve essere il rilassamento. Il cervello umano è in molti modi uno
sprecone: usa generalmente la maggior parte dei muscoli del corpo an-
che per i compiti più semplici. Quando il compito è difficile il cervello
tende a bloccare il corpo in una massa di muscoli tesi. Per potersi rilas-
sare bisogna fare un tentativo consapevole (che coinvolge l’intero cor-
po) di spegnere i muscoli non necessari. Non è facile perché va contro
la tendenza naturale del cervello e bisogna esercitarsi a farlo proprio
come si fa nel muovere le dita per premere i tasti. Rilassarsi non signi-
fica quindi “lasciar andare tutti i muscoli”, significa che quelli non ne-
cessari sono rilassati anche quando quelli necessari stanno lavorando a
pieno regime. Per raggiungere questa capacità è necessaria molta prati-
ca.
Non si dimentichi di rilassare le varie funzioni del corpo, come respi-
rare e deglutire periodicamente. Alcuni studenti interrompono il respi-
ro quando suonano passaggi impegnativi perché i muscoli per suonare
sono ancorati al petto. La Sezione 21 più avanti spiega come usare il
diaframma per respirare correttamente. Se la gola è secca dopo una
dura seduta di studio, significa che ci si è dimenticati di deglutire. Tutti
sintomi di stress.
Il metodo delle cadute spiegato sopra è un eccellente modo di eserci-
tarsi al rilassamento. Si studino le cadute con un solo dito, scegliendo
dita diverse ogni volta. Usando il pollice il polso deve essere basso (ma
non troppo perché è necessario suonare con la punta); usando il migno-
lo il polso dovrebbe essere leggermente più alto; una via di mezzo u-
sando le altre dita. Il polso leggermente più alto dà al mignolo più po-
tenza, meno stress e diminuisce il bisogno di alzare il quarto dito. Non
II.14 - COME RILASSARSI 45
gliato in quello che si sta facendo, è ora di smettere e lasciare che il mi-
glioramento post studio prenda in mano la cosa.
Ci sono molti tipi di miglioramento post studio a seconda di cosa non
permette di avanzare. Uno dei modi in cui questi si manifestano è nella
durata, che varia da giorni a mesi. I tempi più brevi sono associati al
condizionamento, come l’uso di movimenti o muscoli prima non usati,
o a problemi di memoria. Tempi medi, di diverse settimane, possono
essere associati alla crescita di nuovi nervi o nuove connessioni tra ner-
vi, come nel suonare a mani unite. Se si sono sviluppate brutte abitu-
dini potrebbe essere necessario smettere di suonare quel pezzo per mesi
finché non si sarà persa quella brutta abitudine, un’altra forma di mi-
glioramento post studio. In molti casi simili non è possibile identificare
il colpevole, la miglior cosa da fare è perciò non suonare il pezzo ed
impararne di nuovi perché far questo è il modo migliore di cancellare le
brutte abitudini.
Si deve fare tutto correttamente per massimizzare il miglioramento
post studio. Molti studenti non conoscono le regole e possono di fatto
negarlo, con il risultato che quando provano a suonare il giorno dopo il
pezzo viene peggio. Molti di questi errori hanno origine nell’uso sbaglia-
to dello studio lento e veloce: nelle sezioni seguenti parleremo delle re-
gole sulla scelta della corretta velocità di studio. Chiaramente ci sarà
bisogno, per incoraggiare il miglioramento post studio, di ripetere il
movimento qualche centinaio di volte durante ogni esercitazione e que-
ste ripetizioni devono essere corrette, qualsiasi movimento non neces-
sario o stress minerà al miglioramento. L’errore più comune, commes-
so dagli studenti, è suonare velocemente prima di finire la seduta.
L’ultima cosa da fare prima di terminarla dovrebbe essere il più giusto
e miglior esempio di ciò che si vuole ottenere, altrimenti il migliora-
mento post studio risulta confuso e viene negato. I metodi di questo
libro sono ideali per questo tipo di miglioramento principalmente per-
ché enfatizzano lo studio delle sole note che non si riescono a suonare.
Suonare a mani unite lentamente e aumentare la velocità per grandi se-
zioni non solo condiziona il miglioramento post studio in modo insuffi-
ciente, ma lo confonde del tutto. Una volta che un certo modello viene
sufficientemente condizionato si può passare ad altri modelli e tutti in-
sieme subiranno un miglioramento post studio contemporaneo.
Fare uso del miglioramento post studio è un’arte a sé. Nello studiare
giorno per giorno si deve quindi fare attenzione a quali tipi di pratica
portano al migliore possibile. Se c’è una sezione che non migliora in
modo rilevante durante lo studio, si saprà che sarà necessario dipende-
50 II - PROCEDURE E SSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE
È chiaro che una persona che aumenta la velocità sta avendo a che fa-
re con una sconcertante fila di “andature” intermedie (e movimenti
dannosi) prima di arrivare all’unico movimento finale. Inoltre lo stu-
dente può aver bisogno di disimparare i lenti metodi precedenti per poter
essere in grado di studiare quelli nuovi. Questo è specialmente vero se
le due mani sono state bloccate insieme da un lungo studio a mani uni-
te. Cercare di disimparare è uno dei compiti più frustranti, stressanti e
perditempo che ci siano nello studio del pianoforte.
Un errore comune è l’abitudine a sostenere o alzare la mano. Suo-
nando molto lentamente la mano potrebbe venire sollevata nell’inter-
vallo di tempo tra le note quando il suo peso non è necessario. Au-
mentando la velocità questo “sollevare” coincide con il momento in cui
si deve premere il tasto successivo: queste azioni si elidono risultando
in una nota mancata. Un altro errore comune è agitare le dita libere:
mentre suona con le dita 1 e 2, lo studente potrebbe agitare in aria di-
verse volte le dita 4 e 5. Questo non presenta alcuna difficoltà finché il
movimento non viene accelerato a tal punto da non esserci più il tempo
di farlo. In questa situazione, a velocità più elevate, le dita libere non
smettono automaticamente di agitarsi perché i movimenti sono stati ra-
dicati da centinaia o anche migliaia di ripetizioni. Il problema è che
molti studenti che usano lo studio lento in genere non si rendono conto
di queste brutte abitudini. Sapendo come suonare velocemente non si
corrono rischi a suonare lentamente, in caso contrario bisogna stare at-
tenti a non imparare le brutte abitudini del suonare lentamente o si fi-
nirà per sprecare un enorme quantità di tempo. Questo spreco è dovu-
to al fatto che per ogni passata ci vuole così tanto. I metodi di questo
libro evitano tutti questi svantaggi.
pensare avanti, rispetto a ciò che si sta suonando, si possono alle volte
prevenire imprecisioni e difficoltà in arrivo e si ha il tempo di prendere
i dovuti accorgimenti.
II.18 - La Diteggiatura
Usando la diteggiatura indicata sulla musica di solito non si sbaglierà.
Non seguendo la diteggiatura indicata probabilmente ci si procurerà
più facilmente un sacco di problemi. La diteggiatura elementare è di
solito ovvia e non viene indicata sugli spartiti, tranne nei libri per prin-
cipianti. Alcune diteggiature segnate potranno sembrare scomode
all’inizio, ma sono lì per un motivo che spesso non è ovvio finché non
si arriva a velocità o non si suona a mani unite. Seguire la diteggiatura
indicata è, per i principianti, un’esperienza di apprendimento per impa-
rare quelle più comuni. Un altro vantaggio di usare la diteggiatura
indicata è che si userà sempre la stessa. Non avere una diteggiatura
fissa rallenterà di gran lunga il processo di apprendimento e darà pro-
blemi dopo, anche quando si è imparato il pezzo. Se si dovesse cam-
biare diteggiatura ci si assicuri di usare sempre quella nuova. È una
buona idea segnare la modifica sulla musica, può essere molto frustran-
te tornarci mesi dopo e non ricordare quella bella diteggiatura che si
era trovata.
Comunque non tutte le diteggiature suggerite sugli spartiti sono ade-
guate per tutti: si potrebbero avere mani grandi o piccole, si potrebbe
essere abituati a diteggiature diverse per il modo in cui si è imparato, si
potrebbe avere un diverso insieme di abilità tecniche, si potrebbe essere
uno di quelli che eseguono i trilli meglio usando 1,3 piuttosto che 2,3.
La musica dei diversi editori può avere diteggiature diverse.
La diteggiatura può avere, per gli esecutori di livello avanzato, una
profonda influenza sull’effetto musicale che si vuole proiettare. Fortu-
natamente i metodi qui descritti si adattano bene al rapido cambio della
diteggiatura. Si facciano tali modifiche prima di iniziare a studiare a
mani unite perché una volta incorporate diventano molto difficili da
cambiare. Di converso, alcune diteggiature sono facili a mani separate,
ma diventano difficili a mani unite. Si faccia quindi attenzione a con-
trollarle a mani unite prima di accettare definitivamente qualsiasi cam-
biamento.
56 II - PROCEDURE E SSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE
L’abuso di questi pedali può aiutare solo uno studente la cui tecnica sia
gravemente carente.
Balbettare è dovuto allo studio a singhiozzo nel quale lo studente si
ferma e suona da capo una sezione ogni volta che commette un errore.
Se si commettesse un errore si continui sempre a suonare, non ci si fer-
mi per correggerlo. Si prenda semplicemente nota mentalmente di dove
era e si suoni la sezione successiva per vedere se si ripete. In questo ca-
so si scelga un segmento breve che lo contiene e vi si lavori sopra. Una
volta presa l’abitudine di suonare attraverso gli errori si può progredire
verso il livello successivo in cui vengono anticipati (si sentono arrivare
prima che accadano) e si prendono provvedimenti per evitarli come ral-
lentare, semplificare la sezione o solo mantenere il ritmo. Se il ritmo
non viene spezzato la maggior parte degli ascoltatori non ci fa caso e di
solito non li sente neanche.
La cosa peggiore delle brutte abitudini è che richiedono così tanto
tempo per essere eliminate, specialmente se sono a mani unite. Pertanto
niente accelera il tasso di apprendimento quanto conoscerle tutte e pre-
venirle prima che siano radicate. Ad esempio, il momento per preveni-
re il balbettio è l’inizio delle lezioni di pianoforte. Se si insegna a que-
sto punto a suonare attraverso gli errori, diventa naturale farlo ed è
molto facile. Insegnarlo ad uno studente che balbetta è un compito
molto difficile.
Un’altra brutta abitudine è quella di sbattere sul pianoforte senza ri-
guardo alla musicalità. Accade spesso perché lo studente è talmente
assorto nello studio che dimentica di ascoltare i suoni che escono dallo
strumento. Questo si può prevenire coltivando l’abitudine di ascoltarsi
sempre quando si suona. Ascoltarsi è più difficile di quanto molti rea-
lizzino perché molti studenti spendono le loro fatiche nel suonare non
lasciando nulla per ascoltare. Ci sono poi quelli con le dita deboli, una
cosa più comune tra i principianti e che si corregge più facilmente di chi
sbatte troppo forte.
Una brutta abitudine è quella di suonare sempre alla velocità sbaglia-
ta: troppo velocemente o troppo lentamente. La velocità giusta è de-
terminata da tanti fattori, inclusa la difficoltà del pezzo rispetto all’abili-
tà tecnica, le aspettative del pubblico, le condizioni del pianoforte, quale
pezzo precedeva o seguirà, eccetera. Alcuni studenti potrebbero tende-
re ad eseguire pezzi troppo velocemente per il loro livello di abilità,
mentre altri sono timidi e suonano troppo lentamente. Questo non va-
le solo per le esecuzioni in pubblico, ma anche per lo studio: suonare
64 II - PROCEDURE E SSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE
gnifico cambio di tono del pedale del piano. Nella maggior parte dei
casi le proprietà originarie del martello si possono facilmente ripristina-
re con una semplice intonazione (pettinatura e punzonatura).
Le insicurezze riguardanti le condizioni dei martelli sono in parte re-
sponsabili del motivo per cui l’uso del pedale del piano sia così dibattu-
to, dato che molti pianisti concertisti lo usano solo per suonare delica-
tamente. Come mostrato nella Sezione su “L’Intonazione dei Martelli”,
il trasferimento di energia dal martello alla corda è più efficiente quan-
do il movimento della corda è ancora piccolo. Un martello compatto
trasferisce la maggior parte della sua energia in questo raggio, per que-
sto si possono trovare così tanti vecchi grandi pianoforti a coda leggeri
come piume. Martelli soffici (sullo stesso pianoforte, senza cambiare
nient’altro) renderebbero la meccanica molto più pesante. Il motivo è
che, con un punto di impatto più soffice, la corda si alza molto di più,
rispetto alla sua posizione originaria, prima che l’energia inizi a trasfe-
rirsi. In questa posizione il trasferimento di energia è meno efficiente
ed il pianista deve spingere più forte per produrre un qualche suono. Il
peso effettivo del tasto è ovviamente controllato solo parzialmente dalla
forza richiesta per premerlo in quanto dipende anche da quella richiesta
per produrre una certa quantità di suono. In altre parole il tecnico del
pianoforte deve trovare un compromesso tra rendere il feltro del mar-
tello sufficientemente soffice da produrre un tono piacevole e sufficien-
temente duro da produrre un suono adeguato. In tutti i pianoforti,
tranne quelli di alta qualità, il feltro del martello deve essere un po’ du-
ro in modo da produrre suono a sufficienza e da rendere la meccanica
agile, questo rende difficile suonare delicatamente e può, a sua volta,
giustificare l’uso del pedale del piano dove altrimenti non andrebbe u-
sato.
Nella maggior parte dei pianoforti verticali il pedale del piano provo-
ca lo spostamento dei martelli (più vicini alle corde) restringendone co-
sì il movimento e diminuendo il volume di suono. Diversamente dai
pianoforti a coda, in quelli verticali non si possono produrre suoni forti
quando il pedale del piano è abbassato. Un vantaggio di questi piano-
forti è la possibilità di una pressione parziale di questo pedale, ci sono
pochi verticali in cui funziona in modo analogo a quello dei coda.
Nei pianoforti a coda moderni il pedale del piano fa spostare l’intera
meccanica verso destra di metà della distanza tra le corde (della stessa
nota nella sezione a tre corde). Questo fa sì che il martello colpisca so-
lo due delle tre note provocando una fortuita trasformazione nel carat-
tere del suono. Il movimento orizzontale non deve essere della distan-
68 II - PROCEDURE E SSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE
do quindi il timbro del suono. Quando vengono colpite tre corde ci sa-
rà di conseguenza un suono immediato percussivo accompagnato da un
più delicato suono a seguire.
Si noti che il suono immediato ha due componenti: il rumore iniziale
associato al rumore bianco del colpo del martello, che produce un gran
numero di onde non stazionarie e vibrazioni non armoniche, ed il suc-
cessivo suono immediato creato principalmente dai modi normali. Pro-
babilmente è questo picco di suono iniziale ad essere il più dannoso alle
orecchie perché il volume istantaneo del suono di questo impatto può
essere piuttosto alto, specialmente con martelli usurati che rilasciano la
maggior parte della propria energia durante l’impatto iniziale. Si veda
“L’Intonazione dei Martelli” nella Sezione 7 del Capitolo Due per i
dettagli sull’interazione tra martelli usurati e corde. Nei pianoforti con
tali martelli può essere saggio chiudere il coperchio (come la maggior
parte dei loro proprietari probabilmente già fa a causa degli effetti
dolorosi alle orecchie). Certamente niente supera una corretta intona-
zione dei martelli.
Le spiegazioni precedenti sono ovviamente di gran lunga semplificate.
Anche l’articolo di Scientific American indicato nei Riferimenti è del
tutto inadeguato a spiegare il vero funzionamento di un sistema a tre
corde. L’articolo tratta principalmente i movimenti di una corda e ana-
lizza l’interazione tra due corde nei casi semplificati ideali. Un vero si-
stema a tre corde non viene analizzato. La maggior parte delle analisi
delle corde vibranti si preoccupa dei movimenti trasversali perché sono
i più visibili e spiegano l’esistenza della fondamentale e delle armoni-
che. Sebbene i nodi non trasmettano movimenti trasversali, lo fanno le
forze di tensione. L’analisi nella Sezione “L’Intonazione dei Martelli”
rende chiaro che le forze di tensione non si possono ignorare perché
sono molto più grandi di quelle trasversali e possono ben dominare
l’acustica del pianoforte. Inoltre la conclusione tratta sopra sui modi
normali dipende in gran parte dalla costante di accoppiamento: con co-
stanti di accoppiamento piccole il sistema diventa una sovrapposizione
di movimenti accoppiati e disaccoppiati che permettono molti più modi.
L’analisi di cui sopra fa perciò assaporare solo qualitativamente quello
che potrebbe accadere e non dà una descrizione né quantitativa né
meccanicamente corretta di un vero pianoforte.
Questo tipo di comprensione dell’acustica del pianoforte ci aiuta a tro-
vare il modo corretto di usare il pedale. Abbassandolo prima di
suonare una nota il “rumore bianco” iniziale ecciterà tutte le corde cre-
ando un soffice roboare di sottofondo. Mettendo il dito su una qual-
II.24 - IL PEDALE DEL PIANO, IL TIMBRO E I MODI NORMALI DELLE CORDE VIBRANTI 71
preciso a mani unite a bassa velocità, che può sempre essere fatto – an-
che prima che la parte a mani separate sia pronta. La cosa importante
qui è che si facciano solo degli esperimenti e non ci si abitui ai movi-
menti a mani unite fin quando non si è sicuri di avere tutta la tecnica
necessaria a mani separate. Ad esempio, la precisione degli accordi e
dei salti si può sviluppare meglio a mani separate. Studiare volate ve-
loci, accordi o salti a mani unite è minacciosamente difficile e non c’è
bisogno di crearsi tali difficoltà.
Ecco allora un suggerimento di procedura per imparare a mani unite.
Si supponga che la velocità finale sia 100. Prima si memorizzi e si im-
pari a mani separate ad 80 o anche a 100 (tutto il pezzo, o una sezione
grande di almeno diverse pagine; a questo punto non è necessario che
sia perfetta), potrà richiedere due o tre giorni. Si inizi poi a mani unite
tra 30 e 50. Gli obiettivi a mani unite sono: memorizzare e assicurarsi
che diteggiatura, posizioni delle mani, ecc. funzionino. Tutto questo
potrà richiedere un altro giorno o due. Sarà in generale necessario fare
qualche modifica come quando le mani si scontrano o quando una de-
ve passare sopra/sotto l’altra, eccetera. Si lavori successivamente a ma-
ni separate sulle sezioni difficili fino a velocità oltre 100. Quando si
riuscirà a suonare a proprio agio tra 120 e 150 si sarà pronti per inizia-
re studiare seriamente a mani unite. La velocità di studio a mani unite
deve essere variata; non appena ci si inizia a confondere, si ripulisca la
confusione suonando a mani separate. In generale si alternerà tra mani
unite e separate per giorni, se non settimane, con lo studio a mani unite
che prende progressivamente il sopravvento. Nel migliorare a mani
unite si mantenga sempre lo studio a mani separate ben al di sopra per-
ché questo è il miglior modo.
Possiamo ora capire il motivo per cui alcuni studenti hanno problemi
quando provano a imparare pezzi troppo difficili studiando principal-
mente a mani unite. Il risultato è un pezzo non suonabile, pieno di
stress, di muri di velocità e di brutte abitudini che bloccano completa-
mente qualsiasi miglioramento perché i movimenti problematici sono
radicati. Quando accade questo, nessuna quantità di studio sarà
d’aiuto. Per contro, usando i metodi di questo libro non c’è niente di
troppo difficile (ragionevolmente). Nonostante ciò, non è ugualmente
una buona idea affrontare pezzi troppo al di sopra del proprio livello di
abilità, a causa della tremenda quantità di studio a mani separate che
sarebbe necessaria prima di poter iniziare lo studio a mani unite. Molte
persone sarebbero impazienti e inizierebbero a mani unite o abbando-
nerebbero le mani separate prematuramente finendo per procurarsi
problemi in ogni caso.
II.25 - LE MANI UNITE: FANTAISIE IMPROMPTU DI CHOPIN 77
II.26 - Riassunto
Con questo si conclude la sezione base. Si ha ora l’essenziale per con-
cepire procedure che permettano di imparare praticamente qualsiasi
nuovo pezzo. Questo è l’insieme minimo di istruzioni di cui si ha biso-
gno per incominciare. Si noti che la semplicità di ciascun argomento
nasconde tuttavia le infinite possibilità che essi presentano. È impor-
tante capire che ogni procedura può avere miriadi di usi, che è necessa-
rio imparare continuamente queste nuove applicazioni quando le si in-
contra e che si devono tenere gli occhi aperti alle nuove possibilità. Si
prenda come esempio lo studio a mani separate: non è giusto un meto-
do per imparare rapidamente, ma è uno strumento utile per esercitarsi
duramente quanto si vuole senza rischiare di farsi male; per sostituire
la memoria di mano con una memoria più stabile su cui poter dipende-
re per recuperare dai vuoti di memoria; per aiutare ad analizzare una
composizione ed i concetti sottostanti che la semplificano; per bilancia-
re le mani in modo che una non sia più debole dell’altra; eccetera. Nel-
la Sezione III esploreremo ulteriori usi dei passi elementari ed introdur-
remo altre idee su come risolvere alcuni problemi comuni.
III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO
DEL PIANOFORTE
B) Cos’è Il Ritmo?
Il ritmo è l’infrastruttura (ripetitiva) del tempismo della musica.
Quando si legge del ritmo (si veda Whiteside) esso sembra un aspetto
misterioso della musica che solo i “talenti nati” sono in grado di espri-
mere o che forse sia necessario esercitarlo tutta la vita come i batteristi.
Più spesso, invece, il ritmo giusto è semplicemente una questione di
contare con precisione e di leggere correttamente la musica, specialmen-
te le indicazioni di tempo. Non è così facile come sembra: le difficoltà
spesso sorgono perché la maggior parte delle indicazioni sul ritmo non
vengono scritte esplicitamente in ogni punto dello spartito, ma è una
delle cose che appaiono solo una volta all’inizio (ci sono troppe di que-
ste “cose” per elencarle qui, come ad esempio le differenze tra walzer e
mazurca). In molti casi la musica viene di fatto creata manipolando
queste variazioni ritmiche in modo che il ritmo sia uno degli elementi
più importanti. In breve, gran parte delle difficoltà ritmiche nasce dal
non leggere la musica correttamente. Accade spesso quando si cerca di
leggere a mani unite: ci sono semplicemente troppe informazioni da e-
laborare ed il cervello non può pensare anche al ritmo, specialmente se
la musica richiede abilità tecnica. Quell’errore di lettura iniziale diven-
ta poi parte della musica che si studia.
Se il ritmo è così importante, quale guida si deve seguire per poterlo
sviluppare? Ovviamente si deve trattare il ritmo come un argomento di
studio separato, per iniziare è quindi necessario un programma specia-
le. Durante lo studio iniziale di un pezzo, quindi, si riservi un po’ di
tempo per lavorare sul ritmo. Un metronomo, specialmente uno con
caratteristiche avanzate, può essere d’aiuto nel farlo. Si deve prima
controllare due volte che il proprio ritmo sia coerente con l’indicazione
di tempo. Questo non può essere fatto mentalmente neanche dopo che
si riuscirà a suonare il pezzo – si deve rivedere lo spartito e controllare
ogni nota. Troppi studenti suonano un pezzo in un certo modo sem-
plicemente “perché suona bene”: non si può fare così. Si deve control-
III.1 - IL TONO, IL RITMO E LO STACCATO 89
lare sullo spartito che ciascuna nota abbia l’accento giusto ed attenersi
rigorosamente all’indicazione di tempo. Solo allora si potrà decidere
quale interpretazione ritmica è la migliore per suonare e dove il compo-
sitore ha inserito violazioni alle regole fondamentali (molto raro); più
spesso il ritmo dato dall’indicazione di tempo è strettamente corretto,
ma suona contro-intuitivo. Un esempio di questo è il misterioso “ar-
peggio” all’inizio della Appassionata di Beethoven, Op. 57. Un arpeg-
gio normale (come Do Mi Sol) inizierebbe con la prima nota accentata
(Do, in battere). Beethoven, tuttavia, inizia ogni misura con la terza
nota dell’arpeggio (la prima misura è incompleta e contiene le prime
due note dell’“arpeggio”); questo forza ad accentare la terza nota, non
la prima, se si segue l’indicazione di tempo correttamente. Quando
viene introdotto il tema principale nella misura 35, scopriamo il motivo
di questo strano “arpeggio”: è semplicemente una forma invertita e
schematizzata (semplificata) del tema. Beethoven ci ha preparati psico-
logicamente al tema dandoci solo il ritmo! È questo il motivo per cui lo
ripete dopo averlo alzato di un curioso intervallo – ha semplicemente
voluto essere sicuro che riconoscessimo l’insolito ritmo. Un altro e-
sempio è nella Fantaisie Impromptu di Chopin: la prima nota della de-
stra (misura 5) deve essere più delicata della seconda, si riesce a trovare
almeno un perché? Sebbene questo pezzo sia in tempo doppio, potreb-
be essere istruttivo studiare la destra come un 4/4 per assicurarsi che
non vengano enfatizzate la note sbagliate.
Quando si inizia a mani separate si controlli attentamente il ritmo.
Lo si controlli di nuovo quando si inizia a mani unite. Se il ritmo è
sbagliato di solito la musica diventa impossibile da suonare a velocità.
Quando si hanno difficoltà insolite nell’arrivare a velocità è quindi
una buona idea controllare il ritmo. Di fatto l’interpretazione sbaglia-
ta del ritmo è una delle ragioni più comuni dei muri di velocità e del
perché si hanno problemi a mani unite. Se si commettono errori ritmici
nessuna quantità di studio permetterà di arrivare a velocità. Questa è
una delle ragioni per cui il delineare funziona: semplifica il compito di
leggere correttamente il ritmo, quando si delinea ci si concentri sul rit-
mo. Inoltre, quando si comincia a mani unite per la prima volta, si po-
trebbe avere più successo esagerando il ritmo. Il ritmo è un’altra ra-
gione per cui non si dovrebbero provare pezzi troppo difficili. Se non
si ha la tecnica sufficiente non si riuscirà a controllarlo e la mancanza di
tecnica imporrà un ritmo sbagliato creando perciò un muro di velocità.
Si vada poi in cerca dei segni speciali per il ritmo come sf o i segni di
accento. Infine ci sono situazioni in cui la musica è priva di indicazioni
e si deve semplicemente sapere cosa fare o ascoltare una registrazione
90 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
C) Lo Staccato
Lo staccato è definito come il modo di suonare in cui il dito viene rapi-
damente fatto rimbalzare via dal tasto in modo da produrre un breve
suono senza sostenimento. È in qualche modo sbalorditivo come la
maggior parte dei libri sull’imparare il pianoforte parli di staccato senza
mai definirlo! Questo paragrafo ne dà una definizione abbastanza
completa. Suonando staccato il paramartello non viene coinvolto e gli
smorzatori silenziano il suono immediatamente dopo che la nota viene
suonata. Ci sono due notazioni per lo staccato: quello normale (punti-
no) e quello duro (triangolo). Nello staccato normale lo spingitore vie-
ne di solito rilasciato, in quello duro il dito del pianista si sposta giù e
su più velocemente e generalmente lascia il tasto prima. Nello staccato
normale, quindi, la discesa del tasto può essere a circa metà corsa, ma
in quello duro è di solito meno della metà. In questo modo lo smorza-
tore ritorna sulla corda più velocemente ottenendo una nota di durata
minore. Siccome il paramartello non viene coinvolto il martello può
“rimbalzare” rendendo complicate le ripetizioni ad una certa velocità.
Se quindi si dovessero avere problemi negli staccato ripetuti rapida-
mente non se ne prenda subito la colpa – potrebbe essere proprio la
frequenza alla quale il martello rimbalza nel modo sbagliato. Cam-
biando velocità, quantità di discesa del tasto, ecc. si potrebbe riuscire
ad eliminare il problema. Per poter suonare bene lo staccato è chiara-
mente utile sapere come funziona il pianoforte.
Lo staccato si divide generalmente in tre tipi a seconda di come viene
suonato: (1) di dito, (2) di polso, (3) di braccio. Il tipo 1 viene suonato
principalmente tenendo la mano ed il braccio fermi con il dito che ese-
gue un movimento di trazione; il tipo 2 è neutro (né trazione né spinta)
e viene suonato principalmente con il polso; il tipo 3 viene di solito
suonato meglio con una spinta in cui l’atto di suonare ha origine nel
braccio. Nel passare da 1 a 3 si aggiunge più massa alle dita: quindi 1
fornisce lo staccato più leggero ed è utile per note singole e delicate, 3
fornisce la sensazione più pesante ed è utile nei passaggi forte e negli
accordi con molte note e 2 è una via di mezzo. In pratica la maggior
parte di noi usa una combinazione di tutti i tre. Alcuni insegnanti non
approvano l’uso dello staccato di polso preferendo principalmente lo
staccato di braccio; è tuttavia probabilmente meglio avere una scelta tra
92 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
al suo centro). Il più piccolo contrarsi del dito, perciò, coinvolge tutti
questi muscoli. Non esiste il solo movimento del dito – qualsiasi movi-
mento delle dita coinvolge l’intero corpo. La riduzione dello stress è
importante per rilassare questi muscoli in modo che possano assistere e
rispondere al movimento della punta delle dita. I principali movimenti
della mano vengono qui descritti solo brevemente, per ulteriori dettagli
si vedano i Riferimenti (Fink, Sandor).
Pronazione e Supinazione
La mano può essere fatta ruotare attorno all’asse dell’avambraccio. La
rotazione verso l’interno (pollice in basso) è detta pronazione e quella
verso l’esterno (pollice in alto) è detta supinazione. Questi movimenti
vengono eseguiti, ad esempio, quando si suonano i tremoli di ottava.
Ci sono due ossa nell’avambraccio: quello interno (il radio, collegato al
pollice) e quello esterno (l’ulna, collegata al mignolo). La rotazione del-
la mano avviene con la rotazione dell’osso interno su quello esterno (la
posizione di riferimento della mano è quella del pianista, con il palmo
rivolto in basso). L’osso esterno viene mantenuto in posizione dal
braccio. Quando la mano viene ruotata il pollice si muove quindi mol-
to di più del mignolo. Una rapida pronazione è un buon modo di suo-
nare con il pollice. Per suonare il tremolo d’ottava è facile muovere il
pollice, ma il mignolo può essere mosso rapidamente solo usando una
combinazione di movimenti. Il problema di suonare velocemente i
tremoli di ottava si riduce quindi al risolvere il problema di come muo-
vere il mignolo.
Spinta e Trazione
La spinta è un movimento di pressione verso il coperchio tastiera, ac-
compagnato, di solito, da un polso leggermente sollevato. Curvando le
dita il movimento di spinta fa sì che il vettore forza del movimento del-
la mano sia diretto lungo le ossa, questo aggiunge controllo e potenza.
La spinta è perciò utile per suonare gli accordi. La trazione è un mo-
vimento simile in allontanamento dal coperchio tastiera. In questi mo-
vimenti, quello totale può essere più grande o più piccolo della compo-
nente vettoriale verso il basso (la corsa del tasto) consentendo un con-
trollo maggiore. La spinta è una delle principali ragioni per cui la posi-
zione standard è quella ricurva. Si provi a suonare un accordo ampio,
con tante note, abbassando prima la mano direttamente in giù come
nelle cadute e poi usando il movimento di spinta. Si notino i risultati
superiori della spinta. La trazione è utile per alcuni passaggi legati e de-
licati. Di conseguenza, quando si studiano gli accordi, si sperimenti
104 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
nei passaggi molto veloci perché unisce i vantaggi delle posizioni ricur-
va e distesa.
L’utilità di queste varie posizioni rende necessario espandere la defini-
zione di “suonare a dita distese”: la posizione distesa dritta è solo un
caso estremo, ci sono numerose varianti tra la posizione totalmente
piatta che abbiamo definito all’inizio di questa sezione e la posizione ri-
curva. Oltre alla posizione a piramide si possono piegare le dita alla
prima articolazione dopo la nocca. Questa verrà chiamata la “posizione
a ragno”. Il punto importante qui è che l’ultima articolazione (la più
vicina all’unghia) deve essere completamente rilassata e deve esserle
permesso di raddrizzarsi quando si premono i tasti. La definizione ge-
neralizzata di suonare a dita distese è perciò che la terza falange sia
completamente rilassata e dritta. “Falangi” è il nome delle piccole ossa
dopo la nocca, sono numerate da uno a tre (il pollice solo uno e due) e
la terza falange è la “falange dell’unghia”. Chiameremo posizioni “a
dita distese” sia quella a piramide sia quella a ragno perché tutte e tre
condividono due importanti proprietà: la terza falange non è mai ricur-
va (è sempre rilassata) e si può suonare con il polpastrello. Da qui in
poi useremo questa definizione più ampia di dita distese. Anche se in
molte di queste posizioni le dita siano piegate, le chiameremo così per
distinguerle chiaramente dalla posizione ricurva. Gran parte della para-
lisi da curvatura deriva dal piegare la terza falange. Questo può essere
dimostrato piegando solo quest’ultima (se si riesce) e provando a muo-
vere rapidamente il dito. Faccio notare che ora il completo rilassamen-
to della terza falange è parte della definizione della posizione a dita di-
stese. Questa posizione semplifica i calcoli al cervello perché vengono
quasi del tutto ignorati i muscoli flessori. Ciò significa dieci muscoli in
meno da controllare e questi sono particolarmente scomodi e lenti; i-
gnorarli aumenta quindi la velocità del dito. Siamo arrivati a realizzare
che la posizione ricurva è del tutto sbagliata per suonare materiale di
livello avanzato. La posizione generalizzata a dita distese è necessaria
per poter suonare alle velocità richieste ai pianisti di livello avanzato.
Tuttavia, come descritto più avanti, ci sono alcune situazioni nelle quali
è necessario curvare rapidamente certe dita singole per raggiungere al-
cuni tasti bianchi ed evitare di colpire il coperchio tastiera con le un-
ghie. L’importanza della posizione generalizzata a dita distese non può
essere enfatizzata troppo perché è uno degli elementi chiave del rilas-
samento (che viene spesso completamente ignorato).
La posizione a dita distese fornisce molto più controllo perché il pol-
pastrello è la parte più sensibile del dito. Un’altra ragione per cui il
controllo aumenta è che una terza falange rilassata fa da ammortizzato-
112 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
dita distese questi muscoli non utilizzati vengono rilassati e non eserci-
tati e di fatto i loro tendini si stirano rendendo le dita più flessibili.
La posizione a dita distese è superiore a quella ricurva nella maggio-
ranza delle situazioni specialmente per la velocità, il legato, il pianissi-
mo, il fortissimo, il rilassamento, la sensibilità e la precisione. La per-
cezione errata che questa posizione faccia male alla tecnica nasce dal
fatto che potrebbe portare a brutte abitudini legate all’uso sbagliato de-
gli insiemi paralleli. Ciò accade perché suonare a dita distese è una
semplice questione di tenere le dita dritte e sbatterle giù sul pianoforte
suonando insiemi paralleli mascherati da volate veloci ed ottenendo
come risultato la mancanza di uniformità. Gli studenti principianti po-
trebbero usarla come un modo di suonare velocemente senza sviluppa-
re la tecnica. Possiamo evitare questo problema imparando prima la
posizione ricurva ed usando correttamente gli insiemi paralleli. Nelle
mie numerose comunicazioni con gli insegnanti ho notato che i migliori
di essi hanno dimestichezza con l’utilità delle posizioni a dita distese.
Questo è specialmente vero nel gruppo di insegnanti la cui linea di in-
segnamento riporta a F. Liszt e suggerisce che lui stesso fosse a favore
di queste posizioni. La possibilità che Liszt insegnasse la posizione a
dita distese è uno dei pochi casi documentati di Liszt che parla di detta-
gli tecnici. Di fatto è difficile immaginare l’esistenza di pianisti di livello
avanzato che non sappiano usare queste posizioni. Come dimostrazio-
ne, la prossima volta che si andrà ad un concerto, o si vedrà un video,
si faccia attenzione e si cerchino di individuare queste posizioni a dita
distese (completamente piatte, a piramide, a ragno e con la terza falange
completamente rilassata) – si scoprirà che ogni pianista formato le usa
estensivamente.
È ora abbondantemente chiaro che dobbiamo imparare a trarre van-
taggio da più posizioni delle dita possibile. Una domanda naturale da
porre è: “Qual è l’ordine di importanza di tutte queste posizioni? Qual
è la posizione ‘convenzionale’ da usare più spesso?” La più importante
è la posizione a ragno. Il regno degli insetti non ha adottato questa po-
sizione senza una buona ragione: ha scoperto, dopo centinaia di milioni
di anni di ricerca, che è quella che funziona meglio. Si noti che la diffe-
renza tra la posizione a ragno e quella ricurva può essere sottile, molti
pianisti che pensano di usare quest’ultima possono di fatto usare qual-
cosa che si avvicina ad una posizione a dita distese. La seconda posi-
zione più importante è quella piatta perché è necessaria per suonare gli
accordi ampi e gli arpeggi. La terza posizione più importante è quella
ricurva, quella a piramide è la quarta. Quest’ultima usa un solo musco-
III.4 - I MOVIMENTI DELLE MANI E DEL CORPO PER LA TECNICA 117
lo flessore per dito, quella a ragno due e quella ricurva li usa tutti più
l’estensore durante la discesa del tasto.
La precedente analisi sulle posizioni a dita ricurve è sostanziale, ma
non è per niente completa. In una trattazione più dettagliata dovrem-
mo parlare di come applicare la posizione a dita distese ad abilità speci-
fiche come il legato o come suonare due note con un dito controllan-
done ciascuna individualmente. Il legato di Chopin è stato documen-
tato come particolarmente speciale, così come il suo staccato. Que-
st’ultimo è collegato alla posizione a dita distese? Si noti che in tutte
queste posizioni si può trarre vantaggio dall’effetto elastico di una terza
falange rilassata, cosa che potrebbe tornare utile nel suonare staccato.
Abbiamo chiaramente bisogno di più ricerca per imparare come usare
le posizioni a dita distese. In particolare, c’è controversia sul fatto che
si debba suonare principalmente con la posizione ricurva ed aggiunger-
le quando necessario, come insegnato da gran parte degli insegnanti,
oppure vice versa, come faceva Horowitz e come consigliato qui. La
posizione a dita distese è legata anche all’altezza dello sgabello: è più
facile suonare con le dita distese se viene abbassato. Ci sono numerosi
resoconti di pianisti che scoprivano di poter suonare molto meglio con
sgabelli bassi (Horowitz e Glen Gould ne sono esempi). Sostenevano
di ottenere miglior controllo specialmente per i pianissimo e la velocità,
ma nessuno ha fornito una spiegazione del perché sia così. La mia
spiegazione è che una minore altezza dello sgabello ha permesso loro di
usare più posizioni a dita distese. Tuttavia non sembra esserci una
buona ragione di sedersi troppo in basso, come faceva Glen Gould,
perché si può sempre abbassare il polso per ottenere lo stesso effetto.
Riassumendo, Horowitz aveva delle buone ragioni per suonare a dita
distese e l’analisi di cui sopra suggerisce che una parte del suo elevato
livello tecnico possa essere stata raggiunta usando più posizioni a dita
distese rispetto agli altri. Il messaggio singolo più importante di questa
sezione è che dobbiamo imparare a rilassare la terza falange del dito ed
a suonare con la parte della punta sensibile al tocco. L’avversione, o
addirittura la proibizione, di alcuni insegnanti all’uso delle posizioni a
dita distese si scopre essere un errore: qualsiasi quantità di curvatura
inviterà infatti un qualche grado di paralisi. I principianti devono tut-
tavia imparare prima la posizione ricurva perché è necessaria per suo-
nare sui tasti bianchi ed è più difficile. Se gli studenti imparassero pri-
ma il più facile metodo a dita distese, potrebbero non imparare mai a-
deguatamente la posizione ricurva, che è più difficile. La posizione a
dita distese è una abilità necessaria per sviluppare la tecnica: è utile per
la velocità, per aumentare l’estensione della mano, per suonare più note
118 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
con lo stesso dito, per evitare infortuni, per “sentire i tasti”, per il lega-
to, per il rilassamento, per suonare pianissimo o fortissimo e per ag-
giungere colore. Sebbene la posizione ricurva sia necessaria, l’afferma-
zione “per suonare materiale tecnicamente difficile la posizione ricurva
è necessaria” è un mito fuorviante. Suonare con le dita distese ci per-
mette di usare molte posizioni delle dita utili e versatili. Ora sappiamo
come suonare tutti quei tasti neri e non mancare una singola nota!
o
Grazie, Signor Horowitz e M Combe.
pre sopra per passare. Questo rende più facile suonare a mani unite
perché tutte le dita di entrambe le mani vengono rinnovate. Oltre a
questo, il pollice può ora suonare i tasti neri. È grazie al gran numero
di semplificazioni, all’eliminazione dello stress causato da un pollice pa-
ralizzato e ad altri vantaggi trattati più avanti che vengono ridotti i po-
tenziali errori e diventa possibile suonare arbitrariamente veloce. Ci
sono certamente delle eccezioni: i passaggi lenti e legati, alcune scale
contenenti tasti neri, ecc. vengono eseguiti più comodamente con un
movimento simile al pollice sotto. Acquisire la tecnica necessaria al
metodo pollice sopra non è automatico: richiederà un certo minimo di
studio, altrimenti all’inizio porterà a scale incespicanti. Infatti molti
studenti che “sono cresciuti” usando solo il metodo pollice sotto passe-
ranno inizialmente un brutto periodo nel provare a capire come qual-
cuno possa suonare qualsiasi cosa pollice sopra. Questo è il più chiaro
indice del danno fatto dal non impararlo; per questi studenti il pollice
non è “libero” nel senso spiegato più avanti. Vedremo che un pollice
libero è un dito molto versatile. Non ci si disperi, comunque, perché si
scoprirà che tutti gli studenti del metodo pollice sotto sanno già come
suonare pollice sopra – è solo che non se ne rendono conto.
Con la sinistra si ha l’opposto della destra: il metodo pollice sopra
viene usato nella scala discendente. Se la destra fosse più abile della si-
nistra si facciano le esplorazioni necessarie per trovare le maggiori ve-
locità pollice sopra usando la destra finché non si decide esattamente
cosa fare e si usino poi quei movimenti nella sinistra. In questo modo
si potrà risparmiare un sacco di tempo. Prendere l’abitudine di usare la
mano migliore per insegnare all’altra è una buona idea. Naturalmente
se la sinistra fosse più debole della destra sarà necessario, alla fine, e-
sercitarla di più per farla stare al passo. La sinistra deve essere più for-
te della destra perché i martelli al basso sono più grandi e le corde sono
più massicce: questo rende la meccanica più pesante a velocità maggio-
ri.
Analizzeremo ora delle procedure per studiare scale veloci con il me-
todo pollice sopra. La scala ascendente di Do Maggiore con la destra
consiste negli insiemi paralleli 123 e 1234. Gli insiemi paralleli (si veda
la Sezione IV.2) sono gruppi di note che si possono suonare come un
“accordo” (tutte insieme). Si usi prima l’attacco ad accordo (si veda la
Sezione II.9) o gli esercizi per gli insiemi paralleli (Sezione III.7) per
raggiungere un veloce 123, con 1 sul Do4; poi si studi 1231 con il polli-
ce che va su e giù dietro al 3 che viene spostato via rapidamente non
appena il pollice scende. Gran parte del movimento laterale del pollice
si ottiene spostando la mano. L’ultimo 1 in 1231 è la congiunzione ne-
III.5 - SUONARE (VELOCEMENTE) LE SCALE E GLI ARPEGGI 127
cessaria della regola di continuità (si veda la Sezione I.8). Si ripeta con
1234, con 1 sul Fa4, e poi 12341 rinnovando l’ultimo 1 appena dietro al
4 e facendolo atterrare sul Do5. Ci si assicuri di suonare queste due
combinazioni molto rapidamente e scorrevolmente, completamente ri-
lassati. Si suonino le dita 234 vicine ai tasti neri per poter dare al polli-
ce più spazio per atterrare. Si colleghino poi i due insiemi paralleli per
completare l’ottava. Dopo essere riusciti a farne una, se ne facciano
due, eccetera.
Quando si suonano scale molto veloci i movimenti della mano/braccio
sono simili (ma non identici) a quelli di un glissando. Si noti che il
pollice può essere portato molto vicino al dito da passare (3 o 4) se vie-
ne tenuto appena dietro alle altre dita (quasi come nel pollice sotto). Il
movimento tipo glissando permette di portare il pollice anche più vici-
no al dito appena passato perché tutte le dita da 2 a 5 sono leggermente
rivolte all’indietro. Si dovrebbe riuscire a suonare in questo modo
un’ottava veloce (circa 1 ottava/secondo, non ci si preoccupi ancora
dell’uniformità!) dopo qualche minuto di esercizio. Si pratichi il rilas-
samento al punto da sentire il peso del braccio. Una volta abili con il
pollice sopra si dovrebbe scoprire che le scale lunghe non sono più dif-
ficili di quelle corte e che suonare a mani unite non è così difficile come
con il pollice sotto. Questo avviene principalmente perché con il polli-
ce sotto le contorsioni (del gomito, ecc.) sono più difficili all’inizio ed
alla fine delle scale lunghe (ci sono molte altre ragioni). È importante
sottolineare che non c’è mai un vero bisogno di studiare le scale a mani
unite e lo studio a mani unite fa più male che bene, finché non si diven-
ta piuttosto abili, principalmente perché a questo punto si perde un sac-
co di tempo nel farlo. C’è così tanto materiale urgente da studiare im-
mediatamente a mani separate che dovrebbe rimanere poco tempo per
lo studio a mani unite. Inoltre se ci si chiede: “Cosa ottengo studiando
a mani unite?” la risposta è “Quasi nulla”. Gli insegnanti più avanzati
(Gieseking) considerano lo studio delle scale a mani unite una perdita
di tempo. La capacità di suonare scale grandiose a mani separate è tut-
tavia una necessità.
Quando si suonano gli insiemi 123 o 1234 si sollevi il polso (anche
leggermente) per poter controllare con precisione l’angolo di fase
dell’insieme parallelo. Si passi poi al successivo abbassandolo per suo-
nare pollice sopra. Questi movimenti del polso sono estremamente pic-
coli, quasi impercettibili all’occhio non allenato, e diventano anche più
piccoli all’aumentare della velocità. Si può ottenere la stessa cosa ruo-
tando il polso in senso orario quando si suonano gli insiemi paralleli e
in senso antiorario quando si abbassa il pollice. Il movimento su e giù
128 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
diesis saranno sul Fa e sul Do, tre diesis su Fa, Do, Sol e così via. I
bemolli aumentano nell’ordine inverso in confronto ai diesis. Si veda
la tabella più avanti per le restanti scale maggiori ascendenti (si inverta
la diteggiatura per le scale discendenti).
B) Gli Arpeggi
Suonare correttamente gli arpeggi è tecnicamente molto complesso.
Questo li rende particolarmente adatti ad imparare alcuni importanti
movimenti della mano come la spinta, la trazione ed il “movimento a
ruota”. Il termine “arpeggio”, come viene usato qui, include gli accordi
arpeggiati e le combinazioni di passaggi brevi in arpeggio. Illustreremo
questi concetti usando la Sonata al Chiaro di Luna di Beethoven
(Terzo Movimento) per spinta e trazione e la Fantaisie Impromptu di
Chopin per il movimento a ruota. Si ricordi che la flessibilità delle
mani, specialmente al polso, è critica nel suonare gli arpeggi. La
complessità tecnica sorge dal fatto che nella maggior parte dei casi
questa flessibilità deve essere combinata con tutto il resto: spinta,
trazione, movimento a ruota, pollice sotto e pollice sopra. Una nota di
attenzione: la Sonata al Chiaro di Luna è difficile a causa della velocità
richiesta. Molte composizioni di Beethoven non possono essere
rallentate perché sono intimamente legate al ritmo. Questo movimento
richiede inoltre di “prendere” comodamente almeno una nona. Chi ha
mani più piccole avrà molta più difficoltà ad imparare questo pezzo
rispetto a chi ha un’estensione adeguata.
Il Metodo del Movimento a Ruota
(Fantaisie Impromptu di Chopin)
Per poter capire questo movimento si metta il palmo sinistro sui tasti
del pianoforte, con le dita allargate il più possibile (come i raggi di una
ruota). Si noti che le punte delle dita dal mignolo al pollice si dispon-
gono più o meno a semicerchio. Ora si metta il mignolo sul Do3 paral-
lelamente ad esso, si dovrà ruotare la mano in modo che il pollice stia
vicino al corpo. Si sposti poi la mano verso il coperchio tastiera in mo-
do che il mignolo lo tocchi e ci si assicuri che sia sempre rigidamente
aperta. Se l’anulare è troppo lungo e tocca prima si ruoti la mano a
sufficienza affinché il mignolo tocchi, ma lo si mantenga più parallelo
possibile al Do3. Ora si faccia girare la mano come una ruota in senso
136 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
Si inizi a studiare a mani unite dopo aver risolto tutti questi problemi
tecnici a mani separate. Non c’è bisogno di studiare usando il pedale
finché non si inizia a mani unite. Si noti che le misure 163-164 vanno
suonate senza di esso. L’applicazione del pedale alle misure 165-166,
darà loro significato. C’è la tendenza a studiare troppo ad alto volume
a causa del ritmo veloce. Non solo è musicalmente sbagliato, ma tecni-
camente dannoso. Studiare troppo forte può portare a stanchezza ed a
muri di velocità: la chiave per la velocità è il rilassamento. Sono le se-
zioni p che creano la maggior parte dell’eccitazione. Il ff della misura
33, ad esempio, è solo una preparazione al seguente p e di fatto ci sono
molto pochi ff in tutto il movimento. L’intera sezione dalla misura 43
alla 48 viene suonata p portando ad una sola misura, la 50, suonata f.
Laddove l’obiettivo durante lo studio a mani separate era di arrivare
rapidamente a velocità (o più veloce), studiare lentamente diventa di
capitale importanza quando si suona a mani unite. Si studi sempre a
mani unite leggermente più lentamente della propria velocità massima,
tranne quando si cicla. Si faranno progressi più veloci studiando ad
una velocità alla quale le proprie dita vogliono andare più veloci piut-
tosto che forzandole a suonare più rapidamente di quanto non riescano.
La scelta della velocità di studio a mani separate ed a mani unite è
quindi diametralmente opposta: l’obiettivo è la velocità a mani separate
e la precisione a mani unite. Non c’è bisogno di spingere per la veloci-
tà a mani unite perché (dopo aver studiato correttamente) questa è già
stata raggiunta a mani separate. In questo modo la velocità a mani uni-
te verrà automaticamente non appena le due mani si coordineranno.
Nello studio a mani unite si lavora per la coordinazione, non per la ve-
locità.
Infine, dopo aver studiato correttamente, si dovrebbero provare alcu-
ne velocità alle quali è più facile suonare velocemente che lentamente.
Questo è del tutto naturale all’inizio ed è uno dei migliori segni che la
lezione di questo libro è stata imparata bene. Certamente, una volta
diventati tecnicamente esperti, si dovrebbe poter suonare a qualunque
velocità con ugual facilità.
Il Pollice: Il Dito più Versatile
Un Esempio di Procedimento di Studio di Scale/Arpeggi
Il pollice è il dito più versatile: ci permette di suonare le scale, gli ar-
peggi e gli accordi ampi (se non lo si crede si provi a suonare una scala
senza il pollice!) La maggior parte degli studenti non impara ad usare
correttamente il pollice fino allo studio delle scale: è quindi importante
esercitarsi ad esse prima possibile. Ripetere la scala di Do Maggiore
III.5 - SUONARE (VELOCEMENTE) LE SCALE E GLI ARPEGGI 143
III.6 - Memorizzare
A) Perché Memorizzare?
Le ragioni per imparare a memoria sono così convincenti che sembra
stupido provare a giustificare la memorizzazione, ma mi si lasci citare
solo qualche esempio. I pianisti di livello avanzato devono suonare a
memoria a causa dell’alto livello di abilità tecnica che ci si aspetta da
loro. Praticamente tutti gli studenti (incluso chi non si considera un
memorizzatore) suonano a memoria i passaggi più difficili. I non-
memorizzatori possono aver bisogno dello spartito di fronte come sup-
porto psicologico e per avere piccoli indizi qua e là, ma di fatto suona-
no i passaggi difficili praticamente completamente dalla “memoria di
mano” (se stanno suonando bene, si veda più avanti). A causa di que-
sto bisogno di suonare a memoria, memorizzare si è sviluppato in una
procedura scientifica che si è intrecciata inseparabilmente con il proces-
so di studio del pianoforte. Memorizzare non è solo un ripetere qual-
cosa finché non si è in grado di suonarlo senza vedere lo spartito, ma è
un processo complesso di creazione, nel cervello, di associazioni con
cose che già si conoscono.
Memorizzare è un modo per imparare rapidamente nuovi pezzi. A
lungo andare i pezzi tecnicamente significativi si imparano molto più
velocemente memorizzando che usando lo spartito. Imparare a memo-
ria permette al pianista di iniziare ovunque nel mezzo di un pezzo: è un
metodo per recuperare dai blackout e dalle stecche ed aiuta a sviluppa-
re una migliore comprensione della composizione. Permette anche di
“suonare frammenti” (suonare piccoli estratti da una composizione),
una capacità molto utile nelle esecuzioni occasionali, nell’insegnamento
e per imparare ad eseguire in pubblico. Una volta memorizzate dieci
ore di repertorio, cosa prontamente fattibile, ci si renderà conto dei
vantaggi di non doversi portare dietro tutta quella musica e di dover
cercare in essa il pezzo o il frammento. Se si volesse saltare da fram-
mento a frammento, cercare nella pila di spartiti sarebbe poco pratico.
Nei pianoforti a coda il leggio della musica interferirebbe con il suono
146 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
essere buoni memorizzatori. Credo che sia dannoso per il cervello per-
ché è come dire che meno muscoli si usano e più forti si diventa perché
avanza più energia. Il cervello ha una capacità di memoria maggiore di
quanto chiunque possa riempirlo in una vita, ma se non si impara come
usarla non si trarranno mai benefici dal suo pieno potenziale. Ho sof-
ferto molto per il mio errore precedente: avevo paura di andare a gio-
care a bowling perché non riuscivo a tenere i punti a mente come tutti
gli altri. Da quando ho cambiato la mia filosofia in quella di provare a
memorizzare tutto, la mia vita è migliorata in modo spettacolare. Ora
provo a memorizzare anche la pendenza ed il tipo di rimbalzo della pal-
la di tutti i campi da golf su cui gioco. Questo può avere un grande ef-
fetto sul punteggio. Inutile dire che i corrispondenti vantaggi nella mia
carriera al pianoforte sono stati oltre il descrivibile.
La memoria è una funzione associativa del cervello. È quindi prati-
camente diametralmente opposta all’analogia con la memoria del com-
puter: più si memorizza più diventa facile memorizzare di più. I buoni
memorizzatori non sembrano “saturare” mai la loro memoria fino a che
i danni dell’età non riscuotono il loro pedaggio. Mettendo più materia-
le in memoria, il numero di associazioni aumenta geometricamente e
questo dovrebbe migliorare la memoria stessa. Così tutto quello che
sappiamo sulla memoria ci dice che memorizzare può solo essere un
vantaggio.
con l’ulteriore requisito che tutto quello che si fa durante queste proce-
dure di apprendimento sia fatto a memoria. Ad esempio, mentre si
impara un accompagnamento della sinistra misura per misura si memo-
rizzi quella misura. Siccome una misura è lunga tipicamente da 6 a 12
note memorizzarla è banale. Sarà poi necessario ripetere questi seg-
menti dieci, cento o anche oltre mille volte, in base alla difficoltà, prima
di saper suonare il pezzo – molte più ripetizioni di quelle necessarie per
memorizzare. Non si può far altro che impararle a memoria!
Abbiamo visto, nelle sezioni I e II, che la chiave per imparare rapida-
mente la tecnica è ridurre la musica a sottoinsiemi banalmente semplici;
queste stesse procedure rendono banale memorizzare questi sottoinsie-
mi. Memorizzare può far risparmiare una tremenda quantità di tempo
di studio: non è necessario guardare la musica ogni volta e si può stu-
diare un segmento della destra di una sonata di Beethoven e una sezio-
ne della sinistra di uno scherzo di Chopin a mani separate e saltare da
segmento a segmento come si desidera. Ci si può concentrare sull’im-
parare la tecnica senza la distrazione di doversi riferire sempre alla mu-
sica. La cosa migliore di tutte è che le numerose ripetizioni necessarie
per studiare il pezzo lo fisseranno nella memoria, senza costi aggiuntivi,
in un modo che nessuna altra procedura di memorizzazione potrà mai
fare. Queste sono alcune delle ragioni per cui memorizzare prima di
imparare è l’unico modo. Chiaramente andrebbe memorizzata qualsia-
si cosa valga la pena essere suonata.
C) Memorizzare e Mantenere
Un repertorio memorizzato richiede due investimenti di tempo: il primo
è per memorizzare il pezzo all’inizio ed il secondo è una componente di
“mantenimento” per impiantarlo nella memoria in modo permanente e
per imparare di nuovo qualunque sezione sia stata dimenticata. La se-
conda componente dovrebbe essere di gran lunga la più ampia durante
la vita di un pianista. Una qualunque analisi sulla memorizzazione sa-
rebbe quindi incompleta senza parlare del mantenimento. Esso, ad e-
sempio, limita l’ampiezza del repertorio perché dopo aver memorizzato
diciamo da cinque a dieci ora di musica, le esigenze di mantenimento
potrebbero precludere, in base alla persona, la memorizzazione di altri
pezzi. Ci sono diversi modi di estendere il repertorio oltre il limite di
mantenimento. Un modo ovvio è quello di abbandonare i pezzi me-
morizzati e di memorizzarli di nuovo dopo se necessario. Si scopre che
i pezzi memorizzati sufficientemente bene possono essere richiamati e ri-
puliti molto rapidamente anche se non li si è suonati per anni. Quasi
come andare in bicicletta: una volta imparato ad andarci ragionevol-
III.6 - MEMORIZZARE 149
mente bene non c’è mai bisogno di imparare di nuovo. Parleremo più
avanti delle diverse procedure di mantenimento che possono aumenta-
re molto il repertorio memorizzato.
Si memorizzino più pezzi possibile prima dei vent’anni. I pezzi impa-
rati in questi primi anni non vengono praticamente mai dimenticati e
anche se si dimenticassero sarebbero più facili da richiamare. Questo è
il motivo per cui si dovrebbero incoraggiare i più giovani a memorizza-
re tutto il loro repertorio. I pezzi imparati dopo i quarant’anni richie-
dono più impegno di memorizzazione e mantenimento, anche se molte
persone non hanno problemi a memorizzare nuovi pezzi dopo i sessan-
ta (seppur più lentamente di prima). Si noti la parola “imparare” nelle
frasi precedenti: non è necessario che siano stati memorizzati, quei pri-
mi pezzi si possono sempre memorizzare dopo con proprietà di riten-
zione migliori rispetto a quelli imparati o memorizzati ad un’età più a-
vanzata.
Ci sono certamente volte in cui non è necessario memorizzare, come
quando si vogliono imparare un gran numero di pezzi facili, special-
mente gli accompagnamenti, perché richiederebbero troppo per essere
memorizzati e mantenuti. Avendo un repertorio di cinque ore e volen-
do studiare solo un’ora al giorno ci vorranno cinque giorni solo per
suonarlo tutto una sola volta! Inoltre non si può fare mantenimento
suonando una volta sola. I pezzi che si possono leggere a prima vista e
suonare bene senza studio sono candidati a non essere memorizzati.
Chiaramente i pezzi difficili, che si devono studiare e ristudiare, si pos-
sono imparare più velocemente memorizzando; i pezzi facili tuttavia ri-
chiederebbero un investimento significativo di tempo per essere memo-
rizzati e non sprecando questo tempo si può allargare il proprio reper-
torio, specialmente perché si taglia sul tempo di mantenimento.
Un’altra classe di musiche che non dovrebbero essere memorizzate è il
gruppo di pezzi usati per esercitare la lettura a prima vista. Leggere a
prima vista è una capacità distinta e verrà trattata in un’altra sezione.
Tutti dovrebbero avere un repertorio memorizzato così come un reperto-
rio a prima vista per affinare quest’ultima capacità.
Se si riesce a suonare bene un pezzo, ma non lo si è memorizzato, po-
trebbe essere molto frustrante provare a memorizzarlo. A causa di que-
sta difficoltà troppi studenti sono convinti di non essere bravi a memo-
rizzare. Ciò accade perché una volta in grado di suonare a velocità
parte della motivazione dedicata al memorizzare, che deriva dal ri-
sparmio di tempo durante l’apprendimento iniziale del pezzo, se n’è
andata. L’unica motivazione rimanente è la comodità di eseguire a
150 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
D) Memoria di Mano
Una grossa componente della memoria iniziale è la memoria di mano
che viene dallo studio ripetuto. La mano va semplicemente avanti a
suonare senza che si ricordi veramente ogni nota. Sebbene parleremo
nel seguito di tutti i tipi di memoria conosciuti, inizieremo ad analizzare
prima la memoria di mano perché chiunque ne fa esperienza ed il pro-
cesso di memorizzazione diventa un processo di diversificazione degli
altri metodi di memoria. La “memoria di mano” ha due componenti:
un movimento di riflesso della mano proveniente dal toccare i tasti e
un riflesso nel cervello dovuto al suono del pianoforte. Entrambi ser-
vono come indizi alla mano per muoversi in modo pre-programmato.
Li uniremo, per semplicità, chiamandoli “memoria di mano”. Mostre-
remo più avanti che questa non è la forma di memoria che si vorrà u-
sare alla fine, ma è utile perché aiuta a memorizzare quando si studia il
pezzo. Non c’è quindi bisogno di evitare consciamente di usarla quan-
do si inizia a memorizzare un pezzo nuovo. Una volta acquisita non la
si perderà mai e più avanti vedremo come usarla per recuperare dai
blackout.
Il meccanismo biologico con il quale le mani acquisiscono la memoria
di mano non è del tutto compreso, ma la mia ipotesi è che vengano
coinvolte le cellule nervose al di fuori del cervello conscio, come ad e-
sempio quelle della colonna vertebrale. Il numero di cellule nervose
esterne al cervello è probabilmente confrontabile con il numero di quel-
le all’interno. Sebbene i comandi per suonare il pianoforte debbano
avere origine nel cervello è piuttosto probabile che i riflessi per suonare
rapidamente non percorrano tutta la strada fino a quello conscio. La
memoria di mano dovrebbe perciò essere un tipo di riflesso che coinvol-
ge molte tipologie diverse di cellule nervose. In risposta al suono della
prima nota il riflesso suona la seconda che stimola la terza, eccetera.
Questo spiega il perché quando ci si blocca la memoria di mano non
aiuta a ripartire a meno di non tornare indietro alla prima nota. Di fat-
III.6 - MEMORIZZARE 151
F) Rinforzare La Memoria
Uno degli espedienti più utili per ricordare è il rinforzo. Quando un
ricordo dimenticato viene richiamato è sempre ricordato meglio. Molte
persone si preoccupano di dimenticare. Il trucco è rigirare questa av-
versità in vantaggio. La maggior parte delle persone ha bisogno di di-
menticare e memorizzare di nuovo tre o quattro volte prima che qual-
cosa venga memorizzato permanentemente. Per riuscire ad eliminare le
frustrazioni dovute al dimenticare e per rinforzare la memoria si provi
156 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
G) Studiare a Freddo
Si esercitino “a freddo” (senza scaldare le mani) i pezzi memorizzati;
questo è ovviamente più difficile rispetto a studiare con le mani già cal-
de, ma esercitarsi sotto condizioni avverse è l’unico modo per rinforza-
re la propria capacità di suonare il pezzo. Questa capacità di sedersi
semplicemente e suonare a freddo con un pianoforte e in un ambiente
non familiari, o solo diverse volte al giorno quando si ha qualche minu-
to aggiuntivo, è uno dei vantaggi più utili di aver memorizzato i pezzi.
Lo si può fare dovunque lontano da casa quando lo spartito potrebbe
non essere disponibile. Si perderebbe un sacco di tempo se si dovesse
tutte le volte cercare la musica stampata da suonare a freddo. Eserci-
tarsi a freddo prepara a suonare occasionalmente (nei ritrovi, ecc.) sen-
za dover suonare l’Hanon per un quarto d’ora prima di poter eseguire
in pubblico. Suonare a freddo è un’abilità sorprendentemente facile da
coltivare ed è un buon momento per provare quei passaggi troppo dif-
ficili da suonare con le mani fredde e per studiare come rallentare o
semplificare sezioni difficili. Se si commettesse un errore, o si avesse
un blackout, non ci si fermi per tornare indietro, ma si provi a suonare
attraverso di esso o almeno a tenere il ritmo o la melodia.
Le prime poche misure, anche dei pezzi più semplici, sono spesso diffi-
cili da iniziare a freddo e richiederanno un esercizio aggiuntivo, anche
se sono state memorizzate bene. Gli inizi tecnicamente difficili sono
spesso i più facili da iniziare a freddo, non ci si faccia perciò trovare
impreparati da quella che sembra musica facile. È chiaramente impor-
tante studiare a freddo l’inizio di tutti i pezzi. Ovviamente non si parta
sempre dall’inizio: un altro vantaggio di memorizzare è che si possono
suonare piccoli frammenti ovunque nel pezzo e ci si dovrebbe sempre
esercitare a suonarne alcuni (si veda la Sezione III.14 su “Prepararsi Al-
le Esecuzioni in Pubblico ed Ai Saggi”).
H) Suonare Lentamente
Il modo singolo più importante per rinforzare la memoria è suonare
lentamente, molto lentamente, meno di metà della velocità finale. La
bassa velocità viene anche usata per ridurre la dipendenza dalla memo-
ria di mano e per sostituirla con la “vera memoria” (ne parleremo più
avanti). Quando si suona lentamente lo stimolo per richiamare la me-
moria di mano viene modificato e ridotto e quello del suono del piano-
forte viene anche materialmente alterato. Il più grande svantaggio di
suonare lentamente è l’impiego di un sacco del tempo di studio: se si
potesse suonare al doppio della velocità si studierebbe il pezzo due vol-
te più spesso nello stesso tempo, quindi perché suonare lentamente?
158 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
I) Tempismo Mentale
Quando si suona a memoria è necessario essere sempre mentalmente
avanti rispetto a ciò che si sta suonando in modo da poter pianificare
prima, avere il completo controllo, anticipare le difficoltà e regolarsi
rispetto alle mutevoli condizioni. Ad esempio, si vedrà spesso arrivare
una stecca e la si potrà aggirare usando uno dei trucchi trattati in que-
sto libro (si veda la Sezione III.9 sul ripulire un pezzo). Se non si pensa
avanti non si riuscirà a vedere un errore in arrivo. Un modo di eserci-
tarsi a farlo è suonare velocemente e poi rallentare. Suonando veloce-
mente si forza il cervello a pensare più rapidamente e, in questo modo,
quando si rallenta si è automaticamente avanti nella musica. Non si
può pensare avanti finché la musica non è ben memorizzata e quindi
provare a farlo migliora e controlla veramente la memoria.
Il modo migliore per suonare molto velocemente, ovviamente, è a
mani separate. Questo è un altro suo valido sottoprodotto e si resterà
sorpresi all’inizio da quello che suonare veramente veloce può fare al
cervello: è una esperienza completamente nuova. Siccome si deve an-
dare veramente veloce per poter battere il cervello, queste velocità non
si possono raggiungere facilmente a mani unite. In generale si coltivi la
capacità di distaccarsi mentalmente dalle note che si stanno suonando e
di vagare mentalmente in giro dovunque nella musica mentre si suona
una data sezione.
È necessario, infine, disfarsi della dipendenza dalla memoria di mano.
Ogni pianista di livello avanzato ha una procedura di memorizzazione
specificamente ritagliata su misura per lui. Questa potrebbe coinvol-
gere metodi di studio speciali (come trasporre un pezzo o anche scam-
biare le parti delle mani). Ci possono essere procedure specifiche per
ciascun compositore (si potrebbe suonare Mozart lentamente e Bach
delicatamente) e forse anche per ciascun pezzo; queste vengono dette
regole particolari. La maggior parte degli studenti di pianoforte non
passa abbastanza tempo a studiare e ad esercitarsi in questi metodi per
poter conoscere i dettagli delle procedure di memorizzazione avanzate o
delle regole particolari. Essi hanno bisogno di iniziare con alcune rego-
le generali, che ora esamineremo.
parte, la maggior parte della memoria è nel cervello, ma cosa c’è nel
nostro cervello conscio che consideriamo memoria? Ci sono almeno
cinque approcci fondamentali alla memoria: (1) memoria di mano,
(2) memoria musicale, (3) memoria fotografica, (4) memoria di tastiera,
(5) memoria teorica. Praticamente tutti usano una combinazione di
quasi tutti i tipi di memoria, sceglierne una come principio di memoria
più importante è tuttavia una buona idea.
Abbiamo già parlato precedentemente della memoria di mano. Ag-
giungiamo ora le altre in modo da avere una memoria più permanente
ed affidabile. Sebbene non ci sia bisogno di eliminare la memoria di
mano, questa non dovrebbe essere il principio di memoria principale
perché è troppo inaffidabile. Il nervosismo e qualunque cambiamento
dell’ambiente e della fisiologia del corpo possono modificarla.
La seconda è la memoria musicale nella quale la memoria si basa
sulla musica, la melodia, il ritmo, l’espressività, l’emozione, eccetera.
Questo approccio funziona al meglio per il tipo di persona musicale ed
emotiva che associa forti sensazioni alla musica. Andrà bene anche per
chi ha orecchio assoluto perché si potranno trovare le note sul piano-
forte dal ricordo della musica. Anche le persone a cui piace comporre
tendono ad usare questo tipo di memoria.
Il terzo approccio generale è l’uso della memoria fotografica. Si
memorizza l’intero spartito e lo si riproduce e legge mentalmente. An-
che chi pensa di non avere memoria fotografica può ottenerla eserci-
tandola abitualmente subito dall’inizio quando studia il pezzo. Molte per-
sone scopriranno che se sono diligenti in questa procedura dal primo
giorno (in cui iniziano con il pezzo) ci sarà solo una media di qualche
misura per pagina non memorizzata fotograficamente nel periodo in cui
si impara a suonare il pezzo in maniera soddisfacente. Un modo per
memorizzare in questa maniera è di seguire esattamente i metodi qui
indicati per la tecnica e la memoria, ma allo stesso tempo memorizzare
anche fotograficamente lo spartito, mano per mano, sezione per sezione
e misura per misura.
Un altro modo per ottenere la memoria fotografica è iniziare a memo-
rizzare il profilo generale: ad esempio quante righe ci sono in una pagi-
na e quante misure per riga; poi le note per misura, i segni di espressi-
vità, eccetera. Si inizi cioè con le caratteristiche grossolane e si aggiun-
gano gradualmente i dettagli. Si inizi la memorizzazione fotografica
memorizzando una mano alla volta. Si dovrà fare una precisa fotogra-
fia della pagine, inclusi i difetti e i segni estranei. Se si facesse fatica a
memorizzare certe misure, si disegni qualcosa di insolito (come una
III.6 - MEMORIZZARE 161
K) Il Mantenimento
Molti dei metodi usati per ripulire un pezzo finito sono applicabili al
mantenimento della memoria. Una delle attività noiose del manteni-
mento è il recupero delle sezioni dimenticate. Se si dimenticasse una se-
zione ci si potrebbe esercitare usando la memoria di mano per recupe-
rarla e per vedere se questo metodo (l’uso della memoria di mano) fun-
ziona. Si suoni ad alto volume e leggermente più velocemente per in-
164 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
La cosa importante per avere una buona memoria è che non si do-
vrebbe smettere di “suonare mentalmente” dopo aver memorizzato com-
pletamente il pezzo. C’è solo bisogno di farlo ogni tanto per mantener-
lo, quindi non dovrebbe essere una gran perdita di tempo.
Una eccellente verifica della vera memoria è provare a suonare il pez-
zo iniziando in un punto arbitrario. La maggior parte dei pianisti non
sarà in grado di iniziare semplicemente ovunque, come a metà di una
frase. Si dovrebbero provare a scoprire più punti di inizio possibile.
Questi sono di solito gli inizi dei segmenti brevi usati per imparare il
pezzo. Dopo aver spezzato una composizione in queste frasi, si provi a
suonarlo al contrario iniziando dall’ultima frase e andando verso l’ini-
zio. Spesso nel far questo si scopriranno molte interessanti relazioni
strutturali che prima non erano state notate.
Spero che il lettore afferri il messaggio che memorizzare e suonare un
repertorio sostanziale (da cinque a dieci ore) è molto più gratificante di
perdere tempo negli esercizi per le dita come l’Hanon. Se coloro che
studiano un sacco di esercizi usassero lo stesso tempo per mettere su un
repertorio, potrebbero alla fine averne uno piuttosto esteso e migliorare
anche la tecnica e la capacità di eseguire in pubblico.
Il mantenimento è necessario anche dopo aver memorizzato un nuovo
pezzo, perché memorizzare nuovi pezzi fa dimenticare quelli vecchi.
Ovvero, dopo aver messo un’altra tacca sulla cintura con un nuovo
pezzo, si torni indietro a quelli vecchi per vedere se sono ancora a po-
sto. Si possono identificare in questo modo quelle composizioni, come
le musiche di Bach o di Mozart, che potrebbero richiedere più mante-
nimento di altre. Questa consapevolezza può alleviare un sacco di fru-
strazione e senza di essa una persona che notasse di aver dimenticato
alcuni vecchi pezzi, dopo averne memorizzati di nuovi, potrebbe chie-
dersi se sia accaduto qualcosa alla memoria. Non si preoccupi – questo
è un fenomeno comune e naturale.
Si dovrebbe scoprire che le composizioni memorizzate usando i meto-
di di questo libro sono memorizzate molto meglio di quelle studiate u-
sando i metodi intuitivi, non importa da quanti anni si suonino. Se si
vuole migliorare la qualità della memoria di questi vecchi pezzi (studiati
usando i metodi intuitivi) si dovrà tornare indietro ed impararli di
nuovo a mani separate, eccetera. Questo è piuttosto gratificante dal
punto di vista di scoprire gli errori, di migliorare la tecnica e di miglio-
rare la memoria. Per le composizioni difficili non c’è altra scelta che
imparare di nuovo entrambe le mani separatamente, ma per i pezzi più
166 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
Giorno Quattro. Non c’è molto che si possa fare per velocizzare tec-
nicamente il primo pezzo dopo due o tre giorni. Si inizi, per diversi
giorni, studiando il N.8 a mani separate, poi a mani unite, a diverse ve-
locità a seconda del capriccio del momento. Non appena ci si sente
pronti si suoni a mani unite, ma si ritorni a separarle se si iniziano a fa-
re errori, ad avere vuoti di memoria o se si hanno problemi tecnici con
l’aumentare della velocità. Ci si eserciti a suonare il pezzo in segmenti
a mani unite. Si provi a partire dall’ultimo segmento piccolo ed a pro-
cedere all’indietro verso l’inizio.
Alcune parti saranno più facili mentre altre daranno problemi. Si iso-
lino i punti problematici e li si studino separatamente. Dovrebbe essere
facile perché si è studiato originariamente in segmenti. La maggior par-
te delle persone ha la sinistra debole, così portarla a due volte la veloci-
tà finale potrebbe presentare dei problemi. Ad esempio, le ultime quat-
tro note della sinistra nella misura 4: 4234(5), dove (5) è la congiunzio-
ne, potrebbero essere difficili da suonare velocemente. In questo caso
si dividano in tre insiemi paralleli (ci sono molti altri modi di farlo): 42,
423 e 2345 e si studino usando gli esercizi per gli insiemi paralleli. Si
portino prima a velocità praticamente infinita (quasi un accordo) e poi
si impari a rilassarsi a questa velocità suonando in rapide quartine (si
veda la Sezione III.7B). 423 non è un insieme parallelo perciò potrebbe
essere necessario suonarlo più lentamente degli altri. Si rallenti gra-
dualmente per sviluppare l’indipendenza delle dita. Si uniscano succes-
sivamente a coppie gli insiemi paralleli e infine si uniscano tutti insie-
me. Con questo, di fatto, si migliora la tecnica e perciò non accadrà da
un giorno all’altro. Si potrebbero vedere pochi miglioramenti durante
l’esercizio, ma si dovrebbe notare un miglioramento riconoscibile il
giorno dopo e molto miglioramento dopo qualche settimana. Il primo
giorno di miglioramento della tecnica le uniche cose su cui si può ve-
ramente lavorare sono il rilassamento e gli esercizi molto veloci per gli
insiemi paralleli.
Non appena si riesce a suonare l’intero pezzo a mani separate è im-
portante iniziare a suonarlo mentalmente, almeno a mani separate, lon-
tano dal pianoforte. Quando si riuscirà, si potrebbe provare a mani u-
nite, ma è sufficiente solo essere in grado di suonarlo a mani separate.
Non ci si fermi fin quando non si riuscirà a suonare mentalmente
l’intero pezzo a mani separate. Questo dovrebbe richiedere un giorno
o due. Molte persone se non completano questo compito ora non lo
faranno mai. Se si riesce potrebbe però diventare uno strumento molto
potente per la memorizzazione. Si dovrebbe riuscire ad imparare in
modo molto rapido a suonare molto velocemente mentalmente. Que-
174 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
sere suonati come tre tempi e non due (tre duine invece che due terzi-
ne). Questa indicazione di tempo scaturisce dalle tre note ripetute (ce
ne sono due nella misura 3) con valore tematico che marciano lungo la
tastiera nella caratteristica maniera di Bach. Quando le due mani si
scontrano alla misura 28, si sollevi la destra e si faccia scorrere la sini-
stra sotto di essa, entrambe suonino tutte le note. Se la collisione del
pollice dovesse dare problemi si potrebbe eliminare quello della destra
e suonare solo con quello della sinistra. Alla misura 36 ci si assicuri di
usare la diteggiatura corretta della mano destra: (5), (2,3), (1,4), (3,5),
(1,4), (2,3).
Parliamo infine dell’ultimo passo necessario per memorizzare: analiz-
zare la struttura o la “storia” che c’è dietro alla musica. Il processo di
memorizzazione sarebbe incompleto senza capire la storia che sta dietro
al pezzo. Useremo l’invenzione N.8. Le prime 11 misure contengono
l’“esposizione”. Qui la destra e la sinistra suonano fondamentalmente
la stessa cosa (con la sinistra ritardata di una misura) e viene introdotto
il tema principale. Il “corpo” consiste nelle misure da 12 a 28 dove i
ruoli delle due mani vengono inizialmente invertiti e la sinistra guida la
destra, il tutto seguito da alcuni intriganti sviluppi. Il finale inizia alla
misura 29 e porta il pezzo ad una fine ordinata con la destra che ri-
prende il suo ruolo originario. Si noti come il finale sia lo stesso della
fine dell’esposizione. Questo stratagemma è stato sviluppato ulterior-
mente da Beethoven che finisce diverse volte un pezzo e lo eleva a livel-
li incredibili.
Una volta completata questa struttura fondamentale si può iniziare ad
aggiungere delle rifiniture. Ad esempio, la maggior parte delle misure
richiede lo staccato in una mano e il legato nell’altra. Una volta analiz-
zate queste strutture ci si eserciti a suonarne ciascuna componente se-
paratamente. Se ne studi poi mentalmente ognuna inserendo più rifini-
ture e procedendo a memorizzare più dettagli.
Presentiamo ora alcune spiegazioni del perché sviluppare una tale
“storia” sia il migliore, e forse unico, modo affidabile di memorizzare in
modo permanente una composizione. Credo che questo sia il modo in
cui praticamente ogni grande musicista memorizzi la musica.
svegliato alla 5.30 con i miei 3 fratelli e 1 nonna, l’età dei miei fratelli
sono 7, 9 e 13, e mia nonna ha 89 anni e siamo andati tutti a letto alle
6.34” Questo è un algoritmo che si basa su un’esperienza di vita e su
numeri casuali “significativi”. La cosa intrigante è che l’algoritmo con-
tiene 38 parole molto più facili da ricordare dei 14 numeri. Di fatto si
sono appena memorizzate 132 lettere e numeri con più facilità rispetto
a 14 numeri! Lo si può facilmente verificare da sé. Si memorizzino
prima entrambi i 14 numeri (se si riesce, non è facile per me) e poi
l’algoritmo di cui sopra. Dopo ventiquattro ore si provino a scrivere i
numeri dalla memoria e dall’algoritmo, si scoprirà che l’algoritmo è
molto più facile e preciso. I buoni memorizzatori hanno tutti escogitato
algoritmi incredibilmente efficienti ed hanno coltivato l’abitudine di tra-
sferire rapidamente su di essi qualsiasi cosa da memorizzare. Si può fa-
re una cosa simile con la musica per pianoforte analizzando la storia
strutturale della composizione.
Si potrà ora capire come i memorizzatori possano memorizzare tante
pagine di numeri telefonici. Finiscono semplicemente per avere una
storia invece che una singola frase. Si noti che un vecchio di no-
vant’anni potrebbe non essere in grado di memorizzare un numero di
dieci cifre, ma si può sedere a raccontare storie per ore o anche giorni.
Non deve essere uno specialista di qualche tipo per farlo.
Allora, cosa c’è quindi nelle associazioni che ci permette di fatto di fa-
re qualcosa che altrimenti non potremmo fare? Forse il modo più sem-
plice di descrivere questa cosa è dire che le associazioni ci permettono di
capire la materia che si memorizza. Questa è una definizione molto u-
tile perché può aiutare chiunque ad andare meglio a scuola o riuscire
meglio in qualsiasi tentativo di imparare. Se si capisce veramente la fi-
sica, la matematica o la chimica non è necessario memorizzarla perché
non la si dimenticherà. Questo potrebbe sembrare non aver senso per-
ché abbiamo solo spostato la domanda da “Cos’è la memoria?” a
“Cos’è l’associazione?” e poi a “Cos’è la comprensione?” Se riuscissi-
mo a definire la comprensione non sarebbe privo di senso. La compren-
sione è un processo mentale di associazione di un oggetto nuovo ad al-
tri oggetti già familiari (più sono e meglio è). Ossia, il nuovo oggetto è
ora “significativo”. Questo spiega il perché la conoscenza della teoria
musicale è il miglior modo di memorizzare. La teoria musicale è l’algo-
ritmo perfetto a questo scopo perché aiuta a capire la musica.
Riusciamo anche a spiegare perché funziona la memoria di tastiera:
associa la musica ai particolari movimenti ed ai tasti che devono essere
suonati per creare la musica. Tutto ciò ci dice anche come ottimizzarla.
182 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
O) Riassunto
Per memorizzare si usino semplicemente le regole dell’apprendimento,
con l’ulteriore condizione di memorizzare tutto prima di iniziare a stu-
diare il pezzo. In questo modo si viene forzati a studiare dalla memo-
ria. È questo ripetere durante lo studio ad imprimere automaticamente
la memoria con poco impegno aggiuntivo rispetto a quello necessario
per imparare il pezzo. L’elemento più importante è la memorizzazione
a mani separate. Quando si memorizza qualcosa al di là di un certo
punto non lo si dimenticherà praticamente quasi mai più. Di converso
se non si arriva a quel punto non ha alcun senso memorizzare perché
alla fine lo si dimenticherà. L’unico modo di ritenere un pezzo memo-
rizzato è di non tornare mai indietro a suonarlo a vista. Anche suonare
a mani separate è un elemento cardinale nel mantenimento della me-
moria. Si dovrebbero avere due repertori: uno memorizzato e un altro
da leggere. La memorizzazione corretta porta con se un intero nuovo
mondo di abilità musicali (come suonare un pezzo partendo dovunque
nel mezzo o suonarlo mentalmente). Memorizzare è necessario per im-
parare rapidamente e bene, per suonare con espressività, per acquisire
tecnica difficile, per eseguire in pubblico, eccetera. Un repertorio me-
morizzato darà la sicurezza di essere un “vero” pianista. Molte di quel-
le imprese miracolose che Mozart si favoleggia abbia eseguito in pub-
blico sono in realtà alla portata della maggior parte di noi.
III.7 - Esercizi
A) Introduzione
La maggior parte degli esercizi pubblicati in letteratura non è utile a
causa di un opprimente numero di svantaggi (si veda la Sezione H).
Un’obiezione è che fanno perdere un sacco di tempo. Se ci si esercita
per poter suonare i pezzi difficili, perché non usare quel tempo per e-
sercitarsi sui pezzi stessi invece che sugli esercizi? Un’altra obiezione è
che la maggior parte degli esercizi è troppo ripetitiva e non richiede
musicalità, in questo modo si può spegnere il cervello musicale e que-
sto, secondo qualunque insegnante competente, è il modo peggiore di
studiare pianoforte. Studiare senza prestare attenzione è dannoso per-
ché si suppone che gli esercizi aumentino la resistenza, tuttavia, siccome
la maggior parte di noi ha un sacco di resistenza fisica per suonare, ma
III.7 - ESERCIZI 185
lelo e sono essenziali per acquisire rapidamente l’abilità tecnica con gli
insiemi paralleli, come spiegato ulteriormente nella Sezione C più avan-
ti. Le ripetizioni veloci sono ciò che permette di studiare rapidamente
gli insiemi paralleli perdendo meno tempo possibile. L’esercizio N.1
non è perciò solo un esercizio in sé, ma è qualcosa di cui si avrà bi-
sogno in quelli che seguono.
Se si incontrassero delle difficoltà negli esercizi dal N.1 al N.4 queste
dovrebbero essere facili da risolvere con i metodi delle sezioni da I a
III. Si dovrebbe riuscire a “passarli” in poche settimane di studio. Sic-
come si può lavorare su un certo numero di essi alla volta, l’intero in-
sieme degli esercizi dal N.1 al N.4 non dovrebbe richiedere più di qual-
che mese per essere portato a velocità, sebbene questo dipenda natu-
ralmente dal proprio livello di abilità tecnica. Come detto prima, non
si provi a studiarli tutti prima di averli “passati” perché ce ne sono
troppi e si avranno parecchie opportunità di studiarli nell’imparare
nuove composizioni. Il rilassamento, il controllo ed il tono sono più
importanti della velocità. Si provi a produrre il miglior suono di piano-
forte che si riesce – un suono che farà dire a qualcuno che passa: “Que-
sto è il suono di un pianoforte!”
Ovviamente il pianoforte deve essere capace di produrre un tale suo-
no e deve essere adeguatamente intonato, come spiegato nella Sezione
III.14 (Prepararsi alle Esecuzioni in Pubblico ed Ai Saggi) e nella Sezio-
ne 7 del Capitolo Due. L’intonazione del pianoforte è decisiva per una
corretta esecuzione di questi esercizi: sia per acquisire più rapidamente
nuove abilità tecniche sia per evitare di suonare in modo non musicale.
Questo perché è impossibile produrre toni musicali delicati (o potenti o
profondi) con martelli usurati che hanno bisogno di essere intonati.
Esercizio N.2
Insiemi paralleli di due dita. Si suoni 12 (pollice e indice della destra
su Do e Re) più veloce possibile, come note di passaggio. L’idea è di
suonarle rapidamente, ma sotto completo controllo. Ovviamente qui
saranno necessari i metodi delle Sezioni I e II. Ad esempio, se la destra
riesce ad eseguire facilmente un esercizio, ma uno correlato è difficile
per la sinistra si usi la destra per insegnare alla sinistra. Si studi con il
battere sull’1 così come sul 2. Quando questo sarà soddisfacente, si
suoni una quartina come nell’esercizio N.1: 12, 12, 12, 12. Anche qui
si porti la quartina a velocità, circa una al secondo. Si leghino poi quat-
tro quartine in successione. Si ripeta l’intero esercizio per ognuno degli
insiemi: 23, 34 e 45. Poi a scendere: 54, 43, eccetera. Sono valide tutte
le osservazioni su come studiare l’esercizio N.1. Se, ad esempio, si in-
192 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
to. Molti di questi incroci senza il pollice sono tuttavia di valore discu-
tibile perché sono raramente necessari.
Gli insiemi paralleli collegati sono i principali elementi di studio delle
Invenzioni a Due Voci di Bach. Si cerchi quindi in queste per trovarne
alcuni dei più inventivi e tecnicamente importanti. Spesso, come spie-
gato nella Sezione III.19C, per molti studenti è impossibile memorizzare
alcune composizioni di Bach e suonarle oltre una certa velocità. Que-
sto ha limitato la popolarità di suonare Bach e l’uso di questa risorsa di
grande valore per acquisire la tecnica. Quando vengono tuttavia tratta-
te in termini di insiemi paralleli e studiate seguendo i metodi di questo
libro, tali composizioni diventano di solito abbastanza semplici da im-
parare. Questo libro dovrebbe perciò aumentare enormemente la po-
polarità di suonare Bach. Si veda la Sezione III.19C per altre spiegazio-
ni su come studiarlo.
Il numero praticamente infinito di esercizi necessari dimostra come
quelli vecchi (come l’Hanon, che userò qui come rappresentativo di
quello che viene considerato il tipo “sbagliato” di esercizi) siano disa-
strosamente inadeguati. C’è un vantaggio, comunque, negli esercizi
Hanon consistente nel fatto che iniziano con le diteggiature e gli esercizi
più facili che si incontrano più spesso; sono, cioè, ben ordinati. Le pos-
sibilità che siano di poco aiuto quando si incontra un passaggio difficile
in un pezzo arbitrario sono comunque quasi il 100%. Il concetto di in-
sieme parallelo ci permette di identificare la serie di esercizi più sempli-
ce possibile tale da formare un insieme completo da applicare pratica-
mente a tutto quello che si potrebbe incontrare. Non appena questi e-
sercizi divengono leggermente complessi il loro numero diventa grande
in maniera inimmaginabile. Quando si raggiunge la complessità anche
del più semplice degli esercizi Hanon, il numero di possibili esercizi per
gli insiemi paralleli diventa intrattabile. Anche Hanon ha riconosciuto
questa inadeguatezza ed ha suggerito variazioni (come studiare gli eser-
cizi in tutte le possibili trasposizioni). Questo è sicuramente utile, ma è
carente di categorie intere come gli Esercizi N.1 e N.2 (i più elementari
ed utili) o le velocità incredibili che si possono raggiungere prontamen-
te con gli altri. Si noti che gli esercizi dal N.1 al N.4 formano un in-
sieme completo di esercizi puramente paralleli (senza congiunzioni).
Non manca nulla. Intervalli più grandi di quanto uno possa raggiun-
gere con un accordo mancano nell’elenco degli insiemi paralleli descritti
qui perché non si possono suonare infinitamente veloce e devono esse-
re classificati come salti. I metodi per studiare i salti sono trattati nella
Sezione F, più avanti.
196 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
vera” piuttosto che su “esercizi di musica”. Gli esercizi per gli insiemi
paralleli sono stati introdotti perché non è noto alcun metodo più velo-
ce per acquisire la tecnica. I pezzi tecnici come gli studi di Liszt, Cho-
pin o le Invenzioni di Bach non sono “esercizi di musica” in questo
senso. Gli esercizi per gli insiemi paralleli si devono usare nel seguente
modo:
(1) A scopo diagnostico: facendoli tutti sistematicamente si possono
scoprire le proprie forze e debolezze. Con il senno di poi sembra
ovvio che se si intende migliorare qualche aspetto tecnico è neces-
sario un buon strumento diagnostico, altrimenti sarebbe come an-
dare all’ospedale per un’operazione senza sapere che malattia si ha.
Secondo questa analogia medica esercitarsi con l’Hanon è come
andare all’ospedale e sottoporsi a tutte le operazioni più comuni a
prescindere dall’averne bisogno o meno. La capacità diagnostica è
più utile quando si studia un passaggio difficile: aiuta ad indivi-
duare quale dito è debole, lento, scoordinato, eccetera.
(2) Per acquisire la tecnica: le debolezze trovate in (1) possono ora es-
sere corrette usando precisamente gli stessi esercizi che le hanno
diagnosticate. Si lavora semplicemente sugli esercizi che hanno ri-
velato i problemi. In linea di principio questi esercizi non finiscono
mai perché il limite superiore della velocità e aperto. In pratica,
tuttavia, finiscono alla velocità di circa una quartina al secondo
perché poca musica, se alcuna, richiede velocità maggiori. Nella
maggior parte dei casi una volta aggiunta anche una sola congiun-
zione non si possono usare queste elevate velocità. Questo dimo-
stra la bellezza di questi esercizi, che permettono di esercitarsi a ve-
locità più alta di quella che sarà necessaria, dando così un margine
aggiuntivo di sicurezza e di controllo. Questi esercizi si dovrebbero
usare maggiormente nello studio a mani separate nel portare a ve-
locità oltre quella finale.
Le procedure (1) e (2) sono tutto ciò di cui si ha bisogno per risolvere
i problemi nel suonare materiale difficile. Una volta applicati a diverse
situazioni, prima “impossibili”, si otterrà la sicurezza che, ragionevol-
mente, niente è irraggiungibile.
A titolo di esempio si consideri uno dei passaggi più difficili del terzo
movimento della Appassionata di Beethoven, misura 63: l’accompa-
gnamento della sinistra alla volata culminante della destra ed i passaggi
simili che seguono. Ascoltando attentamente le registrazioni si scopre
che anche i pianisti più famosi hanno delle difficoltà con la sinistra e
tendono a partire lentamente per poi accelerare. Questo accompagna-
198 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
mento consiste negli insiemi paralleli composti (2.3, 1.5) e (1.5, 2.3) do-
ve 1.5 è un’ottava. Acquisire la tecnica necessaria si riduce semplice-
mente al perfezionare questi insiemi paralleli ed a collegarli. Provare
ad impararlo semplicemente suonandolo lentamente per poi accelerare
richiederebbe molto più tempo. Di fatto la semplice ripetizione non ga-
rantisce che alla fine si riesca perché provando ad accelerare diventa
una gara tra riuscirci e sviluppare un muro di velocità. Questo perché,
in questo esempio è difficile imparare anche un singolo insieme paralle-
lo ed unirli lo è anche di più. Quando perciò ne vengono uniti diversi,
lo studio della loro combinazione può impiegare una quantità di tempo
indefinita. Senza insiemi paralleli c’è una elevata probabilità di svilup-
pare abitudini stressanti e di creare muri di velocità ed una volta eretti
si può studiare una vita senza migliorare.
Riassumendo, gli esercizi per gli insiemi paralleli sono uno dei pila-
stri principali dei metodi di questo libro. Sono una delle ragioni della
rivendicazione secondo la quale non c’è niente di troppo difficile da
suonare, se si sa come studiarlo. Servono sia come strumento diagno-
stico sia come strumento di sviluppo della tecnica. Praticamente tutta
la tecnica dovrebbe essere acquisita durante lo studio a mani separate
usando gli insiemi paralleli per alzare la velocità e per guadagnare con-
trollo. Essi formano un insieme completo ed in questo modo si sa di
avere gli strumenti necessari. Si possono applicare immediatamente,
diversamente dall’Hanon, per aiutare quando si incontra un qualsiasi
passaggio difficile e permettono di esercitarsi a qualunque velocità, in-
cluse quelle molto più alte di cui si avrà mai bisogno. Sono ideali per
esercitarsi a suonare senza stress controllando il tono. In particolare è
importante prendere l’abitudine di far scivolare le dita sui tasti senten-
doli prima di suonarli, farle scivolare permette di controllare il tono e
sentire i tasti migliora la precisione. Passiamo ora a diversi altri esercizi
utili.
mente più grande della destra ed alcuni raggiungono di più usando 1.4
al posto di 1.5.
Un altro modo di stirare il palmo è mettere il destro sul dorso della
sinistra, con il braccio destro verso sinistra e il sinistro verso destra,
con i palmi rivolti al petto. In questa posizione si ha pollice contro pol-
lice e mignolo contro mignolo. Si spingano poi le mani una verso
l’altra in modo che il pollice ed il mignolo si spingano indietro a vicen-
da, stirando quindi il palmo. Per poter stirare i palmi senza piegare le
dita si blocchino queste ultime alla prima falange dalla nocca (falange
prossimale), non alla punta. Si ripeta poi la stessa procedura con la si-
nistra sulla destra. Uno stiramento regolare da giovani può fare una
notevole differenza quando si invecchia.
Si può risparmiare un sacco di tempo se si stira la mano usando il
bordo del pianoforte mentre si studia a mani separate con l’altra mano.
Quando si suonano degli accordi ampi il pollice dovrebbe essere in-
curvato leggermente all’indentro e non completamente stirato in fuori;
come tenere il pollice all’indentro possa far estendere di più la mano è
contro-intuitivo, ma accade a causa della particolare curvatura della sua
punta. Alcune delle difficoltà, nel suonare con precisione gli accordi,
hanno origine nel posizionamento della mano piuttosto che nell’esten-
sione o nel controllo delle dita. L’orientamento del palmo è critico spe-
cialmente per le mani piccole. Quando si suonano gli accordi si deve di
solito spostare la mano e questo spostamento deve essere molto preciso; è
questo il movimento di “salto” di cui parleremo più avanti. Sarà ne-
cessario sviluppare i movimenti di salto corretti così come l’abitudine di
sentire i tasti. Non si può semplicemente alzare la mano in alto sopra i
tasti, posizionare correttamente tutte le dita, sbatterle giù ed aspettarsi
di prendere tutte le note giuste nello stesso istante. I grandi pianisti
sembra facciano spesso così, ma come vedremo più avanti non lo fan-
no. Finché quindi non si sarà perfezionato il movimento di salto e non
si sarà capaci di sentire i tasti, qualunque problema nel suonare gli ac-
cordi (note mancanti o sbagliate) potrebbe non essere dovuto ad una
carenza di estensione o di controllo delle dita. Incontrare delle difficol-
tà nel suonare gli accordi e l’insicurezza nei salti sono un sicuro segno
che si devono imparare questi ultimi prima di pensare di riuscirci.
F) Esercitarsi ai Salti
Molti studenti vedono i pianisti famosi fare quei grandi e rapidi salti e
si domandano come mai non riescano a farli, indipendentemente da
quanto si esercitino. Questi grandi pianisti sembra saltino senza sforzo
e suonino note o accordi in modo fluido da posizione a posizione non
III.7 - ESERCIZI 203
te tutte le abilità tecniche qui elencate ci sarà un sacco di tempo per far-
lo anche alla velocità finale. Ci sono alcuni casi in cui non c’è tempo e
queste poche volte i salti si possono suonare con precisione se nella
maggior parte degli altri i tasti sono stati accuratamente trovati toccan-
doli.
La quarta componente dei salti è il distacco. Si prenda l’abitudine di
effettuare distacchi rapidi indipendentemente dalla velocità del salto.
Non c’è nulla di sbagliato nell’arrivare in anticipo. Anche quando si
studia lentamente ci si dovrebbe esercitare nei distacchi molto rapidi in
modo che questa capacità ci sia quando si accelera. Si inizi il distacco
con un piccolo scatto del polso in basso e di lato. Sebbene sia necessa-
rio arrivare giù dritti per suonare le note, non c’è bisogno di andare
dritti nel distacco. Ovviamente l’intera procedura di salto è progettata
per far arrivare rapidamente la mano a destinazione, con precisione ed
in modo riproducibile affinché ci sia un sacco di tempo per suonare giù
dritti e sentire i tasti.
L’elemento più importante su cui esercitarsi, una volta note le compo-
nenti di un salto, è accelerare il movimento orizzontale. Si resterà sor-
presi da quanto velocemente si possa spostare la mano in orizzontale se
ci si concentra solo su questo movimento. Si resterà anche meravigliati
da quanto la si riuscirà a muovere velocemente in soli pochi giorni di
esercizio – qualcosa che alcuni studenti non riescono mai ad ottenere in
una vita perché nessuno glielo ha mai insegnato. Questa velocità è ciò
che fornisce il tempo aggiuntivo necessario per assicurare una precisio-
ne del 100% e per includere senza sforzo le altre componenti del salto –
specialmente il sentire i tasti. Si eserciti questa abilità quando possibile
in modo che diventi naturale e che non sia necessario guardare le mani.
Una volta fluidamente incorporata nel proprio modo di suonare, gran
parte delle persone che guarderanno non noterà nemmeno che lo si sta
facendo perché lo si farà in una piccola frazione di secondo. Le mani si
muoveranno più velocemente di quanto l’occhio possa vedere, come fa
un mago esperto. Le posizioni a dita distese sono importanti nel far
questo perché con esse si può usare (per sentire i tasti) la parte più sen-
sibile delle dita e perché aumentano la precisione nel premerli, special-
mente quelli neri.
Ora che si conoscono le componenti di un salto le si ricerchino guar-
dando le esecuzioni dei pianisti concertisti. Si dovrebbe riuscire ad i-
dentificare ciascuna componente e si potrebbe restare sorpresi da quan-
to spesso sentano i tasti prima di suonarli e da come possano eseguire
queste componenti in un batter d’occhio. Queste abilità tecniche per-
III.7 - ESERCIZI 205
G) Altri Esercizi
Sono utili molti esercizi di stiramento dei grandi muscoli del corpo (si
veda Bruser). Un esercizio di stiramento dei muscoli che muovono le
dita può essere eseguito come segue. Si spingano le dita di una mano,
con il palmo dell’altra, verso l’avambraccio. Le persone hanno gradi di
flessibilità molto diversi ed alcuni saranno in grado di spingere le dita
completamente all’indietro fino a toccare l’avambraccio con le unghie
(180 gradi dalla posizione dritta normale!), altri riusciranno a spingere
solo circa 90 gradi (le dita indicano verso l’alto con il braccio orizzonta-
le). Questo esercizio stira i muscoli flessori. La loro capacità di stirarsi
diminuisce con l’età: è quindi una buona idea stirarli spesso durante la
propria vita per preservarne la flessibilità. Si pieghino le dita verso
l’avambraccio per stirare i muscoli estensori. Si possono eseguire que-
sti esercizi prima di suonare “a freddo”.
Nel Sandor e nel Fink (si veda la Sezione Riferimenti) ci sono molti
esercizi interessanti perché ognuno è scelto per dimostrare un particola-
re movimento della mano. Inoltre i movimenti vengono spesso illustra-
ti usando passaggi tratti da composizioni classiche di famosi composito-
ri.
freddo. Poche persone hanno problemi patologici tali da poter aver bi-
sogno di assistenza medica, nella maggior parte dei casi è la naturale
reazione del corpo all’ipotermia. In questo caso il corpo ritira il sangue
principalmente dalle estremità verso il centro per mantenersi caldo. Le
dita sono le più soggette al raffreddamento, seguite dalle mani e dei
piedi.
In questi casi la soluzione è, in linea di principio, semplice: c’è solo bi-
sogno di alzare la temperatura corporea. In pratica, però, non è sempre
così facile: in una stanza fredda anche alzare la temperatura corporea
molto in alto (con vestiti aggiuntivi), in modo da avere caldo, non sem-
pre elimina il problema. Chiaramente qualunque metodo per conser-
vare il calore può essere d’aiuto, sebbene potrebbe non risolvere com-
pletamente il problema. Sicuramente la cosa migliore da fare è alzare la
temperatura della stanza, altrimenti degli ausili comuni possono essere:
(1) immergere le mani in acqua tiepida, (2) usare un calorifero come
quelli portatili (da circa 1kW) che si possono puntare direttamente sul
corpo, (3) usare calze spesse, maglioncini, intimo termico e (4) usare
guanti senza dita (così da poter suonare il pianoforte indossandoli). Le
manopole sono probabilmente meglio dei guanti se si vogliono solo
mantenere le mani calde prima di suonare. Molti asciugacapelli non
hanno abbastanza potenza, non sono stati progettati per essere usati per
più di dieci minuti (senza pericolosi surriscaldamenti) e sono troppo
rumorosi per i nostri scopi.
Non è chiaro se sia meglio rimanere caldi sempre o solo quando si
studia pianoforte. Se si resta caldi tutto il tempo (ad esempio indos-
sando abbigliamento termico) il corpo potrebbe non rilevare l’ipotermia
e quindi mantenere il flusso di sangue. D’altra parte il corpo potrebbe
diventare più sensibile al freddo ed alla fine iniziare a reagire anche da
caldo, se la stanza è fredda. Ad esempio, indossando sempre guanti
senza dita le mani si potrebbero abituare a questo caldo e sentire molto
il freddo quando vengono tolti. L’effetto riscaldante di questi guanti
potrebbe scomparire quando le mani si abituano, quindi è probabil-
mente meglio indossarli solo quando si studia o appena prima di stu-
diare. Un argomento contrario è che indossarli sempre consenta di
suonare sempre il pianoforte senza riscaldamento o senza dover im-
mergere le mani nell’acqua calda. Ovviamente sarà necessario fare de-
gli esperimenti per vedere cosa funziona meglio nelle circostanze speci-
fiche.
Dita fredde di questo tipo sono chiaramente la reazione del corpo alle
basse temperature. Molte persone hanno scoperto che è utile immerge-
III.10 - LE MANI FREDDE, LE MALATTIE, GLI INFORTUNI, I DANNI ALL’ORECCHIO 221
B) Le Malattie
Alcune persone potrebbero pensare che un’innocua malattia, come un
raffreddore, possa permettere di studiare lo stesso al pianoforte. Di so-
lito non è così. È particolarmente importante per i genitori capire che
studiare pianoforte comporta un notevole impegno, specialmente per il
cervello, e, quando si è ammalati, di non trattare lo studio come un
passatempo rilassante. I più giovani non dovrebbero perciò studiare
pianoforte neanche con leggeri raffreddori, a meno che non lo vogliano
fare di spontanea volontà. Studiare pianoforte con la febbre potrebbe
far rischiare danni cerebrali. Fortunatamente la maggior parte delle
persone perde la voglia di farlo quando è anche leggermente malata.
Se si possa suonare il pianoforte da malati è anche una questione in-
dividuale. Suonare o meno è abbastanza chiaro al pianista; la maggior
parte delle persone sente lo stress di suonare anche prima che i sintomi
della malattia si palesino. Lasciare al pianista la decisione di suonare o
meno è quindi probabilmente più sicuro. Torna utile sapere che sentire
un’improvvisa stanchezza, o altri sintomi che rendono difficile suonare,
potrebbe essere un’indicazione che si sta incubando qualche malattia.
Il problema di non suonare durante una malattia è che se questa dura
più di una settimana le mani perdono una quantità considerevole di
tecnica. Forse gli esercizi che non sforzano il cervello (come le scale, gli
arpeggi e quelli tipo Hanon potrebbero essere opportuni in tali situa-
zioni).
222 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
D) I Danni All’Orecchio
I danni all’orecchio di solito avvengono in funzione dell’età: possono
esordire presto come a quarant’anni ed entro i settanta gran parte delle
persone ha perso un po’ di udito. La perdita dell’udito può accadere
per sovraesposizione a suoni intensi e può anche essere provocata da
infezioni o altre patologie. La persona può diventare sorda alle basse o
alle alte frequenze. Questo è spesso accompagnato da acufeni (fischi
risuonanti nell’orecchio). Le persone sorde alle basse frequenze tendo-
no a sentire un acufene basso, roboante, pulsante e quelle sorde alle al-
te frequenze tendono a sentire un gemito acuto. L’acufene può essere
causato da uno scatto incontrollato dei nervi di ascolto nella parte dan-
neggiata dell’orecchio; tuttavia ci possono essere molte altre cause. Si
veda nei Riferimenti per informazioni su internet riguardo alla perdita
dell’udito.
Sebbene la perdita dell’udito sia facilmente diagnosticata da un audio-
logo, le sue cause e la prevenzione dei danni non sono ben compresi.
224 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
A) La Registrazione Audio
La registrazione audio della musica del pianoforte è uno dei compiti
più impegnativi. Cose come i registratori a cassette per la voce non
funzioneranno perché il volume e la gamma di frequenze del pianoforte
va oltre la capacità della maggior parte dei sistemi di registrazione eco-
nomici sotto i mille dollari. Le attrezzature moderne sono sufficienti a
riprendere la maggior parte della gamma delle frequenze e qualunque
III.13 - VIDEOREGISTRARSI E REGISTRARSI 233
B) Le Videocamere
Le videocamere digitali sono migliori delle vecchie analogiche perché si
possono effettuare copie senza degradazione, forniscono più opzioni per
la modifica e si possono copiare direttamente su CD o DVD. Una vol-
ta iniziato a registrare si potrebbe voler mandare la registrazione ad al-
tre persone! Le videocamere analogiche sono comunque più a buon
mercato e vanno abbastanza bene. Il problema più grosso delle video-
camere è che hanno tutte dei motorini che fanno un rumore che viene
ripreso dal microfono interno. Si cerchi un modello che abbia un mi-
crofono esterno di buona qualità oppure un ingresso per microfono e
se ne compri uno di qualità a parte, produrrà risultati migliori rispetto a
quello interno. Ci si assicuri inoltre che l’AGC (controllo automatico
del guadagno) si possa disattivare. Si vuole registrare l’intera gamma
dinamica di ciò che si suona, specialmente della musica classica. Alcuni
AGC delle videocamere di fascia alta fanno un così buon lavoro che lo
si nota a malapena, ma si dovrebbe fare di tutto per disattivarlo perché
la gamma dinamica è una caratteristica così importante del pianoforte.
La maggior parte delle videocamere ha spinotti per collegarla alla tivù,
questo rende semplice la riproduzione. Sarà anche necessario un trep-
piede piuttosto stabile, uno leggero potrebbe scuotersi se si pesta vera-
mente al pianoforte.
III.14 - PREPARARSI ALLE ESECUZIONI IN PUBBLICO ED AI SAGGI 235
C) Preparare I Concerti
Anche le esecuzioni occasionali richiedono preparazione e studio. I
concerti richiedono di solito una rigorosa procedura abituale di prepa-
razione. Inizieremo a parlare delle esecuzioni informali e descriveremo
poi le procedure per i concerti perché il modo di affrontare le une o gli
altri può essere piuttosto diverso. Ci sono almeno due stadi nel pro-
238 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
E) Le Esecuzioni Occasionali
Parliamo ora delle esecuzioni occasionali: sono tipiche quelle nei negozi
di musica per provare i pianoforti, alle feste di amici, eccetera. Sono
diverse dai più formali concerti per via della maggiore libertà. Di solito
non c’è un programma fisso, si sceglie semplicemente ciò che sembra
appropriato al momento e di fatto potrebbe anche essere un’esecuzione
piena di cambiamenti ed interruzioni a metà strada. Il nervosismo non
è neanche un problema, ma all’inizio non è facile, nonostante questi fat-
tori allevianti. Una cosa che si può fare per cominciare facilmente è
suonare piccoli frammenti (segmenti brevi) dai vari pezzi che si cono-
scono. Si potrebbe iniziare con quelli facili e scegliere solo le sezioni
che suonano meglio. Se il frammento scelto non viene bene se ne co-
minci un altro, si faccia lo stesso se ci si blocca. Si può iniziare e smet-
tere in qualunque momento. Questo è un bel modo di fare esperimenti
242 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
per evitare l’errore deve essere eseguita durante saggio, si veda più a-
vanti.
Vanno inoltre evitati affaticamenti estremi come giocare una partita di
football oppure alzare o spingere qualcosa di pesante. Questo potrebbe
cambiare improvvisamente la risposta dei muscoli ai segnali del cervel-
lo e si potrebbe finire per commettere errori del tutto inaspettati quan-
do si suona al saggio. Sicuramente possono essere molto benefici
l’esercizio leggero, lo stretching, la ginnastica, il Tai Chi, lo yoga, ecce-
tera.
Nella settimana precedente il concerto si suoni sempre a media veloci-
tà, poi a bassa velocità prima di smettere. Se si è a corto di tempo, il
pezzo è particolarmente semplice o si è un esecutore esperto, si può so-
stituire alla bassa velocità quella media. In realtà questa regola è valida
per qualsiasi seduta di studio, ma è particolarmente critica prima di un
concerto. Suonare lentamente cancella qualunque brutta abitudine che
si possa aver acquisito e ristabilisce il rilassamento nel suonare. Quindi
quando si suona a media/bassa velocità ci si focalizzi sul rilassamento.
A volte diventa difficile rilassarsi suonando lentamente, un’altra valida
ragione per studiare a media velocità. Per definire medio o lento non
c’è un numero fisso (che indichi mezza velocità, bassa velocità, ecc.)
sebbene medio sia generalmente tre quarti e lento circa metà velocità
finale. In generale la velocità media è quella alla quale si riesce a suo-
nare a proprio agio, rilassati e con un sacco di tempo a disposizione.
La velocità lenta è quella per cui si deve prestare attenzione a ciascuna
nota separatamente. Se, esercitandosi, si commettesse qualche errore si
suoni sempre attraverso di esso, non ci si fermi per ricominciare. Lo si
deve sicuramente sempre fare, ma è specialmente importante prima dei
saggi. Si torni indietro a vedere se è stato un errore abituale solo dopo
aver suonato l’intero pezzo. Se così fosse, si studi solo il segmento che
lo contiene. Il momento migliore per imparare a suonare attraverso gli
errori è il primo giorno, quando si inizia la prima lezione di pianoforte.
Farlo diventa poi naturale e non è affatto difficile. Una volta presa
l’abitudine di “balbettare” ad ogni errore diventa quasi impossibile cor-
reggerla e ci si domanda come si possa suonare attraverso di essi.
I blackout sono diversi dagli errori e vanno trattati diversamente.
Non si provi mai a ripartire da dove è arrivato il blackout, a meno di
non sapere esattamente come farlo. Si riparta sempre da una sezione
precedente o successiva che si conosce bene (preferibilmente una suc-
cessiva perché non si possono correggere gli errori tornando indietro
durante un concerto).
III.14 - PREPARARSI ALLE ESECUZIONI IN PUBBLICO ED AI SAGGI 247
G) Durante Il Concerto
Il nervosismo è di solito peggiore appena prima di cominciare a suona-
re, una volta partiti si sarà talmente presi dall’esecuzione che verrà di
solito dimenticato e da lì in poi le cose miglioreranno. La consapevo-
lezza di questo può essere piuttosto rassicurante. Non c’è quindi nulla
di sbagliato nel cominciare a suonare appena ci si siede al pianoforte
per il concerto. Alcune persone ritardano la partenza aggiustando lo
sgabello o i vestiti in modo da avere il tempo di controllare il tempo i-
niziale, eccetera; anche questa procedura è accettabile perché rassicura
il pubblico che non si è troppo nervosi e non si ha nessuna fretta di ini-
ziare. Esercitarsi alle partenze diversi giorni prima del concerto è una
buona idea: si finga di essere al momento del concerto e si suonino le
prime misure ogniqualvolta se ne ha il tempo. Ci si eserciti in partico-
lare nelle prime linee più di ogni altra cosa. La maggior parte delle
persone si innervosisce più di quanto dovrebbe perché il livello di ner-
vosismo appena prima di suonare può essere così alto da aver paura
che un suo aumento impedirebbe di eseguire. Sapere che il nervosismo
diminuisce non appena si comincia a suonare eviterà che ciò accada.
Non si può assumere che non si faranno errori perché una tale assun-
zione provocherebbe più problemi. Si stia pronti a reagire correttamen-
te ad ogni errore, oppure, più importante, ad evitare gli errori immi-
nenti. È sbalorditivo quanto spesso si possa sentire un errore prima
che arrivi. Questo accade perché è probabile che sia già stato commes-
so molte volte prima. La cosa peggiore che fa la maggior parte degli
studenti quando commette errori, e quando ne sente arrivare uno, è
spaventarsi ed iniziare a suonare più lentamente e più delicatamente.
Una cosa del genere può portare al disastro. A questo punto del concer-
to si può ricevere aiuto da ovunque esso possa arrivare: sebbene la
memoria di dita non sia una cosa da cui si vuole dipendere, è questo il
momento di trarne vantaggio. La memoria di dita dipende da abitudi-
ne e stimolo – abitudine ad essersi esercitati molte volte e stimolo delle
note precedenti che portano alle successive. Per poter migliorare l’uso
III.14 - PREPARARSI ALLE ESECUZIONI IN PUBBLICO ED AI SAGGI 249
I) Dopo Il Concerto
Si rivedano i risultati e si valutino i propri punti di forza e di debolezza
in modo da poter migliorare la procedura di preparazione. In aggiunta
alla propria valutazione è necessario il riscontro dell’insegnante, del
pubblico, eccetera. Tutti devono sviluppare una “procedura di prepa-
razione ai concerti” perché è questo il segreto delle buone esecuzioni in
pubblico. Pochi studenti saranno in grado di suonare in maniera consi-
III.15 - L’ORIGINE ED IL CONTROLLO DEL NERVOSISMO 251
stente senza errori udibili, la maggior parte degli altri farà diversi errori
ogni volta che suona. Alcuni tenderanno a sbattere sul pianoforte,
mentre altri saranno troppo timidi. C’è una cura ad ogni problema: chi
commette errori probabilmente non ha ancora imparato a suonare ab-
bastanza musicalmente, gli si diano dei pezzi facili da eseguire, non per-
ché più facili tecnicamente, ma perché permetteranno di lavorare sulla
musicalità nel suonare e di uscire dalla tendenza alle stecche. Dovran-
no certamente imparare pezzi difficili, oltre a quelli facili, per sviluppare
la tecnica.
Come fatto notare altrove, suonare diversi concerti in fila è la cosa
più difficile da fare, ma se si dovesse proprio allora sarà necessario
condizionare i pezzi del concerto immediatamente dopo di esso. Si
suonino con poca o senza espressività, a velocità media e poi lentamen-
te. Se, durante il concerto, certi pezzi o sezioni non fossero venuti fuori
in modo soddisfacente, si potrebbe lavorare su di essi, ma solo per
segmenti brevi. Volendo lavorare sull’espressività a piena velocità lo si
faccia per segmenti brevi. Gli insegnanti esperti conoscono la difficoltà
di suonare di seguito e lo faranno fare di proposito organizzando saggi
in giorni consecutivi per rinforzare la capacità degli studenti di eseguire
in pubblico. Io sono tuttavia del parere che sia più importante allenare
lo studente a gustarsi l’esecuzione in pubblico piuttosto che dargli trop-
pi compiti difficili. La gioia di eseguire in pubblico non dovrebbe enfa-
tizzare il “mettere in mostra” le abilità tecniche suonando pezzi difficili,
ma si dovrebbe concentrare sul fare musica.
III.16 - Insegnare
Insegnare pianoforte è una professione difficile perché praticamente tut-
to ciò che si prova a fare contraddice qualcos’altro che dovrebbe essere
fatto. Se si insegna soltanto a leggere, lo studente finirà per non riusci-
re a memorizzare. Se si insegna a suonare lentamente e con precisione,
lo studente potrebbe non acquisire tecnica sufficiente in nessuna ragio-
nevole quantità di tempo. Se li si spinge troppo potrebbero dimenticare
tutto sul rilassamento. Se ci si concentra sulla tecnica lo studente po-
trebbe perdere la capacità di suonare in modo musicale. Si deve escogi-
tare un sistema che navighi tra tutti questi tipi di esigenze contradditto-
rie e che soddisfi lo stesso i desideri ed i bisogni individuali di ogni stu-
dente. Insegnare pianoforte è un compito erculeo non adatto a chi è
debole di cuore.
Gli insegnanti appartengono di solito ad almeno tre categorie in base
al tipo di studenti: ci sono insegnanti per principianti, per studenti di
livello intermedio e per quelli di livello avanzato. Questo rende diffici-
le per ciascuno di loro insegnare con successo indipendentemente dagli
altri. L’approccio che ha più successo coinvolge un gruppo di inse-
gnanti composto da tutte e tre le categorie: gli insegnanti sono coordi-
nati in modo tale che i loro insegnamenti siano mutuamente compatibili
e gli studenti vengano mandati dagli insegnanti appropriati. Oggigior-
no raggruppare insegnanti diversi è necessario perché i metodi di inse-
gnamento non sono convenzionali. Molti insegnanti per il livello avan-
zato si rifiutano di prendere studenti provenienti da certi altri perché
III.16 - INSEGNARE 257
quelli dei livelli più alti non appena pronti. Certamente la maggior par-
te degli insegnanti proverà a tenersi i migliori e ad insegnare a più stu-
denti possibile. Un modo di risolvere questo problema è unirsi in
gruppi costituiti da insegnanti di diverse specialità in modo da formare
una scuola abbastanza completa. Questo aiuta anche l’insegnante per-
ché rende molto più facile trovare gli studenti. Chi cercasse un inse-
gnante dovrebbe aver chiaro, da queste considerazioni, che è meglio
cercare gruppi di insegnanti piuttosto che insegnanti che operano indi-
vidualmente.
Gli insegnanti agli inizi hanno spesso difficoltà a trovare i loro primi
studenti. Unirsi ad un gruppo è un buon modo di incominciare. Inol-
tre molti insegnanti consolidati devono spesso rifiutare degli studenti
per mancanza di tempo, specialmente se hanno una buona reputazione
nella loro zona. Questi insegnanti sono una buona fonte di studenti.
Un modo di aumentare il bacino di potenziali studenti è offrirsi di an-
dare a casa loro ad insegnare. Quando un nuovo insegnante inizia,
questo potrebbe essere un buon approccio, almeno per i primi anni.
(6’-2” [1,88 m]) è ai limiti ed il B (6’-10” [2,08 m]), il C (7’-5” [2,26 m])
ed il D (9’ [2,74 m]) sono veri gran coda. Un problema nel valutare gli
Steinway è che la qualità all’interno di ciascun modello è molto variabi-
le, tuttavia c’è in media un significativo miglioramento nella qualità del
suono all’aumentare delle dimensioni.
Uno dei maggiori vantaggi dei pianoforti a coda è l’uso della gravità
come forza di ritorno dei martelli, nei verticali la forza di recupero vie-
ne fornita dalle molle di ripetizione. La forza di gravità è sempre co-
stante ed uniforme sull’intera tastiera laddove disomogeneità nelle mol-
le di ripetizione e l’attrito possono provocare una non uniformità nel
tocco dei tasti dei verticali. Questa è una delle proprietà più importanti
dei pianoforti di qualità ben intonati. Molti studenti sono intimoriti, ai
concerti ed alle competizioni, dall’aspetto degli enormi gran coda, ma
questi sono in verità più facili da suonare dei verticali. Una delle paure
che hanno è che la loro meccanica possa essere più pesante. Il peso del
tasto è però qualcosa che viene regolato dal tecnico che registra il pia-
noforte e può essere fissato a qualunque valore, indipendentemente dal
fatto che il pianoforte sia verticale o a coda. Gli studenti di livello a-
vanzato troveranno di certo più facile suonare pezzi impegnativi sui
coda, piuttosto che sui verticali, principalmente per la meccanica più
veloce e la maggior uniformità. Di conseguenza i coda possono far ri-
sparmiare un sacco di tempo quando si cerca di acquisire abilità di li-
vello avanzato. La ragione principale di ciò è la maggior facilità nello
sviluppo di brutte abitudini quando sui verticali si lotta con materiale
difficile. Questo materiale impegnativo è ancora più difficile sui piano-
forti elettronici (impossibile sui modelli privi di tasti pesati) perché non
hanno la robustezza e la reattività al tocco necessarie alle alte velocità.
Solo pochi pianoforti di marca mantengono il loro valore anche dopo
tanti anni. “Mantenere il valore” significa che il valore di rivendita sta-
rà dietro all’inflazione, non significa che non si possano vendere per
guadagnarci. Se perciò un pianoforte è stato comprato per mille dollari
e lo si è venduto per diecimila trent’anni dopo non si è tratto profitto se
l’inflazione durante questi anni è stata di dieci volte. Inoltre ci saranno
i costi di accordatura e manutenzione. Costa molto meno, ad esempio,
comprare uno Yamaha a coda da sette piedi nuovo di zecca ogni cin-
quant’anni che comprare uno Steinway e ripristinarlo completamente
sempre ogni cinquant’anni. A parte pochissime eccezioni, i pianoforti
non sono dei buoni investimenti, bisogna essere dei tecnici di pianofor-
te esperti per poter trovare degli affari nel mercato dei pianoforti usati e
per poterli rivendere guadagnandoci. Anche se si trovasse un affare del
genere, vendere pianoforti è un compito impegnativo che richiede tem-
270 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
po. Si consulti il libro di Larry Fine per ulteriori dettagli su come com-
prare un pianoforte. Anche per le marche più famose un pianoforte
appena comperato perde con la consegna il 20÷30% del suo prezzo
d’acquisto e nel giro di cinque anni si dimezza a metà del prezzo di uno
equivalente. Tutti i pianoforti si possono classificare, per quanto ri-
guarda il prezzo, in base al fatto se valga la pena o meno ricostruirli.
Quelli che vale la pena ricostruire costano circa il doppio. Praticamen-
te tutti i verticali e tutti i coda prodotti in massa (Yamaha, Kawai, ecc.)
non vengano mai ricostruiti perché costerebbe tanto quanto acquistarne
uno nuovo dello stesso modello. Ricostruire pianoforti del genere è
spesso impossibile perché il mercato ed i pezzi di ricambio non esisto-
no. I pianoforti che vale la pena ricostruire sono: Steinway, Bosendor-
fer, Bechstein, Mason e Hamlin, qualche Knabe e pochi altri. Parlando
grossolanamente, ricostruire un pianoforte costa circa un quarto di
comprarne uno nuovo ed il valore di vendita è circa la metà; per que-
sto motivo ricostruire questi pianoforti può essere conveniente sia per
chi ricostruisce che per chi acquista.
Comprare un pianoforte può essere un’esperienza provante per i non
iniziati, che comprino nuovo o usato. Se si riesce a trovare un vendito-
re dalla buona reputazione è certamente più sicuro comprare nuovo,
ma anche allora il deprezzamento iniziale sarà grande. Molti negozi af-
fittano pianoforti con un accordo secondo cui le rate verranno stornate
dal prezzo se si decide di tenerlo. In questo caso ci si assicuri di nego-
ziare il miglior prezzo prima di discutere i canoni d’affitto, si avrà poco
potere contrattuale. Si finirà con un prezzo iniziale maggiore e quindi,
anche dopo aver sottratto le rate, il prezzo finale non sarà un affare.
Molti venditori trovano costoso mantenere pronti ed intonati anche i
pianoforti più costosi, da questi è difficile provare il pianoforte suonan-
dolo. Comprare un pianoforte è quindi spesso una cosa “o la và o la
spacca”. Nel caso di pianoforti prodotti in massa, come Yamaha o
Kawai, la qualità di quelli nuovi tende ad essere uniforme, perciò si co-
nosce abbastanza ciò che si otterrà. La qualità del suono dei pianoforti
più costosi “fatti a mano” può variare notevolmente, è perciò più diffi-
cile comprarne uno buono.
Tutti i pianoforti nuovi hanno bisogno, dopo l’acquisto, di un anno di
attenzioni particolari e di una accordatura speciale per far sì che le cor-
de smettano di stirarsi e la meccanica ed i martelli si bilancino. La
maggior parte dei rivenditori proverà a minimizzare questi costi di ser-
vizio dei pianoforti nuovi dopo la consegna. Questo assumendo che il
pianoforte sia stato preparato in modo appropriato prima di essa. Mol-
ti rivenditori posticipano a dopo la consegna molta della preparazione
III.17 - I VANTAGGI E GLI SVANTAGGI DEI VERTICALI E DEI CODA 271
e, se il cliente non lo sa, omettono del tutto alcuni passi. A questo ri-
guardo i modelli meno costosi come Yamaha, Kawai, Petroff e pochi
altri possono essere più facili da comprare perché gran parte della pre-
parazione viene fatta in fabbrica. Un pianoforte nuovo avrà bisogno di
almeno quattro accordature il primo anno per poter stabilizzare lo sti-
ramento delle corde.
I buoni pianoforti usati sono difficili da trovare nei negozi perché
quelli suonabili vengono venduti per primi ed i magazzini rimangono
con un eccesso di quelli non suonabili. Ovviamente i migliori affari si
trovano tra le vendite private e i non iniziati avranno bisogno di assu-
mere un tecnico/accordatore che li aiuti nel mercato privato. Sarà an-
che necessaria un sacco di pazienza perché le buone occasioni private
non sono sempre presenti quando se ne ha bisogno. C’è una continua
domanda di buoni pianoforti ad un prezzo ragionevole, questo significa
che non è facile trovare affari nei posti ampiamente accessibili, come i
mercati di pianoforti su internet, perché quelli buoni vengono venduti
in fretta. Questi posti, al contrario, sono eccellenti per vendere. Il mi-
glior luogo per trovare buoni affari è la sezione apposita sui giornali,
specialmente nelle grandi zone metropolitane. La maggioranza degli
annunci esce il venerdì, il sabato e la domenica.
Tutti i pianoforti richiedono la manutenzione oltre alle regolari ac-
cordature. In generale, più è alta la qualità del pianoforte più è facile
notare il normale deterioramento da logorio e strappo ed è quindi più
richiesta la manutenzione. I pianoforti più costosi sono quindi più co-
stosi da mantenere. Le tipiche incombenze della manutenzione sono: il
livellamento dei tasti, la riduzione dell’attrito (ad esempio ripulendo i
piloti), l’eliminazione dei suoni estranei, l’intonazione e la pettinatura
dei martelli, il controllo degli innumerevoli fori, eccetera. Intonare i
martelli è probabilmente la procedura di manutenzione più trascurata.
Martelli consumati e duri possono provocare la rottura delle corde, la
perdita del controllo musicale (non fa bene allo sviluppo della tecnica) e
difficoltà nel suonare delicatamente. Rovinano anche la qualità com-
plessiva del pianoforte rendendolo stridulo e spiacevole da ascoltare.
Se la meccanica è sufficientemente logora potrebbe essere necessario un
lavoro generale di regolazione, il che vuol dire ripristinare tutti i pezzi
secondo le specifiche originali.
Nei vecchi pianoforti con corde visibilmente arrugginite il suono può
essere a volte migliorato in modo significativo sostituendole. Nel caso
le corde basse fasciate fossero molto arrugginite potrebbero svigorire le
relative note. Se queste note basse fossero deboli e senza suono soste-
272 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
verticali diventa più allettante. I coda sono migliori perché hanno una
meccanica più veloce, si possono accordare con più precisione, hanno
una gamma dinamica più ampia, hanno un vero pedale del piano, per-
mettono un maggiore controllo di espressività e tono (si può aprire il
coperchio) e si possono regolare in modo da dare più uniformità nota
per nota (usando la forza di gravità al posto delle molle di ripetizione).
Questi vantaggi sono tuttavia ancora minimi rispetto al talento, alla di-
ligenza dello studente ed ai corretti metodi di studio. I coda diventano
più desiderabili agli studenti di livello avanzato perché il materiale tec-
nicamente esigente è più facile da eseguire e per questi studenti la giu-
sta accordatura, intonazione e regolazione dei martelli deve essere una
componente essenziale dell’esperienza pianistica.
A) Imparare Le Regole
La prima “procedura” che si dovrebbe usare è quindi quella di seguire
il Capitolo Uno cominciando dall’inizio ed applicando i concetti ad una
composizione che si vuole suonare. L’obiettivo è di avere dimestichez-
za con tutti i metodi di studio disponibili. Si può scegliere un pezzo mai
suonato prima, ma la scelta migliore è probabilmente una composizione
già studiata un po’, in modo da focalizzarsi di più sull’imparare i meto-
di di studio piuttosto che la composizione. Si scelga un pezzo non
troppo lungo e non troppo difficile. Si legga rapidamente una volta
l’intero Capitolo Uno (o l’intero libro) prima di cominciare al pianofor-
te. Non si provi nemmeno ad imparare qualcosa la prima volta perché
questo libro contiene così tante idee e vengono descritte così concisa-
mente che la maggior parte delle persone ha bisogno di leggerlo diverse
volte. Si rimarrà sorpresi da come le idee chiave resteranno ben im-
presse nel cervello quando si legge qualcosa senza provare a memoriz-
zarne tutto il contenuto. Lo si legga la prima volta come se si stesse
leggendo un romanzo o qualche storia divertente e si saltino le sezioni
che si pensa abbiano troppi dettagli; dopo aver fatto passare una volta
per il cervello le idee principali sarà molto più facile capire l’inizio an-
che se non si ricorda la gran parte di quello che si è letto prima. Si a-
vrà anche una buona idea della struttura del libro e di come è organiz-
zato: tutti i fondamentali vengono presentati nella Sezione II del Capi-
tolo Uno ed i concetti più avanzati vengono trattati nella Sezione III.
Non c’è bisogno di studiare ciascun metodo fin quando non si diventa
bravi prima di passare al successivo. L’idea è di provarne ognuno di-
verse volte, capirne lo scopo ed avere un’idea grossolana di come ven-
gono raggiunti gli obiettivi. Ci si potrà sicuramente divertire nell’ap-
plicarli e finire per passare un sacco di tempo su qualche metodo parti-
colarmente gratificante. Non c’è niente di male nel farlo!
Una volta ottenuta un po’ di dimestichezza con la maggior parte dei
metodi saremo pronti a mettere a punto le procedure di studio. Per po-
terne progettare di generalmente utili assumiamo che sia passato un
anno di studio serio del pianoforte. Il nostro obiettivo è imparare
l’Invenzione N.4 di Bach.
gione principale per cui molti studenti finiscono per suonare così pochi
pezzi di Bach.
Le Invenzioni sono degli eccellenti pezzi tecnici da lezione. Hanon,
Czerny, ecc. hanno provato ad ottenere lo stesso fine usando quello
che pensavano fosse un approccio più semplice e sistematico, ma hanno
fallito perché hanno provato a semplificare qualcosa di infinitamente
complesso. Bach, al contrario, ha ficcato più lezioni possibile in ogni
misura, come dimostrato sopra. Hanon, Czerny, ecc. devono essersi
resi conto della difficoltà di imparare Bach, ma non erano a conoscenza
di buoni metodi di studio ed hanno provato a trovare metodi più sem-
plici per acquisire la tecnica seguendo il loro istinto intuitivo. Questo è
uno dei migliori esempi storici dei tranelli dell’approccio intuitivo.
Le Invenzioni possono sembrare innaturali perché furono composte
per insegnare abilità specifiche. Nonostante questi vincoli i pezzi da le-
zione di Bach contengono più musica di praticamente qualsiasi altra co-
sa mai composta e ce ne sono a sufficienza per soddisfare le necessità
degli studenti di ogni livello, inclusi i principianti. Se le Invenzioni fos-
sero troppo difficili, si consideri lo studio di un gran numero di delizio-
si (e considerevolmente eseguibili) pezzi da lezione più semplici compo-
sti da Bach. La maggior parte di essi si può trovare nel “Libro per ta-
stiera di Anna Magdalena Bach” (la sua seconda moglie). La maggior
parte dei libri ne conterrà solo una piccola selezione perché ce ne sono
talmente tanti. Siccome le Invenzioni sono pezzi da lezione, quasi tutte
le edizioni indicano la diteggiatura nei punti critici. Scoprire la diteg-
giatura, cosa estremamente importante, non dovrebbe quindi essere un
problema.
Le invenzioni furono composte assemblando segmenti ben definiti
lunghi di solito qualche misura. Questo li rende ideali per l’uso dello
studio segmentato a mani separate, un altro elemento chiave dei metodi
di questo libro. Questa e molte altre proprietà delle composizioni di
Bach le rende la musica ideale da imparare usando questi metodi ed è
piuttosto probabile che furono composte con essi in mente. Bach po-
trebbe essere stato consapevole della maggior parte del materiale di
questo libro!
Un’altra lezione importante delle Invenzioni di Bach sono gli insiemi
paralleli. La lezione tecnica principale di questa Invenzione N.4 è
l’insieme parallelo 12345, l’insieme elementare necessario per suonare
le scale e le volate. Bach, tuttavia, sapeva che un insieme parallelo sin-
golo è pericoloso, da un punto di vista tecnico, perché si può imbro-
gliare bloccando la fase senza acquisire alcuna tecnica. Per poter preve-
284 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
cessaria, perché se non si arriva a quella velocità si perde una della sue
lezioni più importanti.
Un pianista di livello intermedio dovrebbe essere in grado di conqui-
stare le difficoltà tecniche di questa Invenzione in una settimana circa.
Ora siamo pronti ad esercitarci a suonarlo come pezzo di musica! Si
ascoltino diverse registrazioni per poter avere un’idea di cosa può esse-
re fatto e di cosa si vuole fare. Si provino diverse velocità e si decida la
propria velocità finale. Ci si videoregistri mentre si suona e si veda se
il risultato è visivamente e musicalmente soddisfacente: di solito non lo
è e si scoprirà di voler apportare molti miglioramenti. Si potrebbe non
essere mai completamente soddisfatti anche dopo aver studiato questo
pezzo tutta la vita.
Per poter suonare in modo musicale si deve toccare ciascuna nota
prima di suonarla, anche se solo per una frazione di secondo. Far que-
sto non solo darà più controllo ed eliminerà gli errori, ma permetterà
anche di accelerare di continuo durante la discesa del tasto in modo che
lo stiletto del martello si fletta, quando viene colpita la nota, giusto del-
la quantità esatta. Si faccia finta che il tasto non abbia fondo e si lasci
che sia lui a fermare il movimento. Lo si può fare continuando a suo-
nare delicatamente. Questo viene chiamato “suonare in profondità nel
pianoforte”. Non si può “alzare alto il dito e sbatterlo giù”, come con-
sigliato da Hanon, ed aspettarsi di fare musica. Un tale movimento fa-
rà oscillare lo stiletto invece che farlo flettere e produrrà un suono im-
prevedibile e sgradevole. Quando si studia a mani separate si studi
quindi anche la musicalità. Si usi la “posizione a dita distese” della se-
zione III.4B. Si unisca a questo un polso flessibile. Si suoni il più pos-
sibile con i polpastrelli (parte opposta alle unghie), non con la punta os-
suta delle dita. Se ci si video-registra, la posizione a dita distese sem-
brerà da bambini e da dilettanti. Non si può suonare in modo rilassato
finché non si rilassano completamente i muscoli estensori delle prime
due o tre falangi delle dita da 2 a 5. Questo rilassamento è l’essenza
delle posizioni a dita distese. All’inizio si riuscirà ad includere tutte
queste considerazioni solo a bassa velocità, ma non appena si sviluppe-
rà la calma nelle mani si guadagnerà l’abilità di includerla a velocità più
alte. Di fatto, siccome queste posizioni delle dita permettono un com-
pleto rilassamento e controllo, si riuscirà a suonare a velocità molto più
elevate. Questa è una delle (molte) ragioni per cui la calma nelle mani
è così importante. Se non si è prestata attenzione al suonare con musi-
calità si dovrebbe sentire un cambiamento immediato della tonalità del-
la propria musica quando si adottano questi principi, anche a basse ve-
locità.
III.19 - LA PROCEDURA DI STUDIO “IDEALE” 287
Il tono ed il colore non hanno limiti, nel senso che una volta riusciti
diventa facile aggiungerne altro e la musica diventa veramente più faci-
le da suonare. D’improvviso si potrebbe scoprire di riuscire a suonare
l’intera composizione senza neanche un errore udibile. Questa è pro-
babilmente la più chiara dimostrazione dell’affermazione che non si
può separare la musica dalla tecnica. L’atto di produrre buona musica
rende veramente migliori pianisti e questo fornisce una delle spiegazio-
ni del perché si hanno giorni belli e giorni brutti – quando l’umore
mentale ed il condizionamento delle dita sono proprio giusti da poter
controllare tono e colore, si avrà un giorno bello. Tutto ciò ci insegna
che nei giorni brutti si potrebbe riuscire a “recuperare” provando a ri-
cordare i fondamentali di come si controllano tono e colore.
Qui finisce l’analisi dell’Invenzione N.4, torniamo ora alla procedura
di studio.
Si sta studiando da oltre un’ora e le dita volano: è il momento in cui
si può veramente fare musica! Si deve fare ogni sforzo per esercitarsi a
fare musica durante l’ultima mezz’ora del tempo dedicato allo studio.
Una volta messo su un repertorio abbastanza ampio si dovrebbe pro-
vare ad aumentare il “momento della musica” dal 50% al 90% del tem-
po. Si deve quindi consciamente dedicare alla musica questa porzione
della seduta di studio. Si suoni con tutto il cuore, il sentimento e
l’espressività che si riesce a mettere insieme. Trovare l’espressività mu-
sicale è molto difficile ed estenuante; inizialmente, quindi, richiederà
molto più condizionamento ed impegno di qualsiasi cosa si possa fare
con gli esercizi Hanon. Senza un insegnante gli unici modi conosciuti
per imparare la musicalità sono ascoltare le registrazioni ed assistere ai
concerti. Se è stato programmato di eseguire una particolare compo-
sizione nel prossimo futuro, la si suoni una volta lentamente o almeno
ad una velocità a cui ci si senta a proprio agio e si abbia il pieno con-
trollo, prima di passare a qualcosa di diverso. L’espressività non è im-
portante quando si suona lentamente prima di passare a qualcos’altro.
Imparare Bach è molto enfatizzato in questo libro. Perché? Perché la
musica di Bach scritta per lo sviluppo della tecnica è unica, nella pe-
dagogia del pianoforte, nel suo sano, completo, efficiente e corretto ap-
proccio all’acquisizione della tecnica – non c’è niente come lei. Ogni
insegnante esperto assegnerà qualche pezzo di Bach da studiare. Come
accennato prima l’unica ragione per cui gli studenti non imparano più i
pezzi di Bach è che senza i metodi di studio giusti sembrano così diffici-
li. Si possono dimostrare a se stessi i benefici delle lezioni di Bach im-
parando cinque delle sue composizioni tecniche ed esercitandosi ad esse
III.19 - LA PROCEDURA DI STUDIO “IDEALE” 289
per metà di un anno o più. Si torni poi indietro e si suonino i pezzi più
difficili che si erano studiati prima e si resterà sorpresi dalla grande faci-
lità e controllo acquisiti. Le composizioni di Bach furono progettate
per creare pianisti concertisti con una solida tecnica di base. Gli studi
di Chopin non furono progettati con in mente uno sviluppo tecnico
completo e graduale e molte delle composizioni di Beethoven possono
portare ad infortuni alle mani ed alle orecchie se non si viene corretta-
mente guidati (sembra abbiano danneggiato l’udito di Beethoven stes-
so). Nessuno di questi insegna come studiare. Le composizioni di
Bach emergono quindi sopra tutte le altre per lo sviluppo della tecnica.
Possiamo ora trarre pieno vantaggio, con i metodi di studio di questo
libro, dalle risorse di Bach, tristemente sotto-utilizzate nel passato.
Riassumendo, non c’è alcuna procedura di studio magica per impara-
re più velocemente. Solo i praticanti del metodo intuitivo, che non
sanno come insegnare i metodi di studio, hanno bisogno del concetto di
“procedura di studio abituale”: un misero sostituto dei metodi di studio
mancanti. Il concetto di procedura di studio abituale diventa un’idea
in qualche modo bizzarra per chi conosce i metodi di studio corretti.
Ad esempio, una tipica procedura di studio abituale potrebbe comincia-
re con esercizi Hanon che si possono comunque accelerare fino a velo-
cità ridicole applicando i metodi di questo libro. Una volta ottenuto
questo ci si comincia a domandare perché lo si sta facendo. Ora, cosa
si guadagna nel suonare questi pezzi Hanon ogni giorno ad una veloci-
tà ridicolamente alta? Invece di una procedura di studio convenzionale
si deve definire quali sono gli obiettivi della sessione di studio e sceglie-
re i metodi di studio necessari a raggiungerli. Di fatto, la procedura di
studio evolverà continuamente durante ciascuna seduta. La chiave nel
mettere a punto una buona procedura di studio è cioè una intima cono-
scenza di tutti i metodi. Quanto è diverso questo dalla procedura intui-
tiva descritta nella Sezione II.1! Basta! esercizi estensivi per le dita o
Czerny ed altri pezzi per il solo lavoro tecnico privo di musica. Basta!
sedute di studio strutturate piene di interminabili ripetizioni con il cer-
vello staccato. Basta! limiti di velocità, muri di velocità o il noioso stu-
dio lento con il metronomo. Il nostro metodo è puro conferimento di
poteri che ci permette di padroneggiare rapidamente il materiale tecnico
in modo da poterci focalizzare sulla musica ed anche imparare quanti
pezzi di Bach desideriamo.
290 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE
sia questa logica. La maggior parte della “teoria” oggi è una semplice
raccolta di varie proprietà di vera musica originale esistente. Non for-
nisce una teoria elementare sufficiente da permetterci di crearne, seb-
bene ci permetta di evitare trabocchetti e di estendere/completare una
composizione una volta che venga creato un motivo passabile. Sembra
quindi che la teoria musicale di oggi sia ancora molto incompleta. Spe-
riamo che analizzando ulteriormente la musica dei grandi maestri si
possa, lentamente, passo dopo passo, raggiungere l’obiettivo di svilup-
parne una migliore comprensione.
Infine è chiaro che le Invenzioni furono realizzate per sviluppare la
tecnica. La musica di Bach, tuttavia, non è stata usata in passato quan-
to avrebbe dovuto esserlo a causa della difficoltà di imparare a suonar-
la da parte degli studenti con poca dimestichezza con metodi di studio
efficienti. I metodi di questo libro dovrebbero eliminare queste difficol-
tà e permetterne un uso più diffuso, per una sana acquisizione della tec-
nica, di questa risorsa di grande valore. Spero che questa sezione abbia
illustrato la sinergia tra gli insegnamenti di Bach ed i metodi di questo
libro; essa permetterà a più studenti di trarre beneficio dalla musica più
grandiosa al mondo composta dal più grande insegnante al mondo.
IV. TEORIA M ATEMATICA
SULL’ESECUZIONE AL PIANOFORTE
La fase è la misura di dove si trova il dito rispetto alle altre dita. Sup-
poniamo di usare una funzione trigonometrica (seno, coseno, ecc.) per
descrivere il movimento del dito. Allora nella sua posizione di riposo il
dito è, diciamo, a zero gradi nello spazio di fase. Siccome sappiamo
come si suona il pianoforte, metteremo un po’ della nostra conoscenza
nella definizione di fase. Sollevare le dita dai tasti non è in generale il
modo giusto di suonare perciò definiamo lo zero della fase come la
posizione di riposo superiore. La posizione di fase zero dei tasti neri
sarà perciò più alta, della loro altezza, rispetto a quella di quelli bianchi.
Assumiamo inoltre che sollevando le dita dai tasti il movimento in più
non conti rispetto alla fase. Queste convenzioni si accordano con la
buona tecnica e semplificano anche la matematica. La fase di questi
movimenti si può quindi definire come: dito che preme a metà verso il
basso = 90 gradi; fino in fondo = 180 gradi; a metà risalendo = 270
gradi; e tornando in su alla posizione originaria = 360 gradi che è
anche di nuovo zero gradi. Ora, nel suonare parallelo se il secondo di-
to inizia a muoversi quando il primo è a 90 gradi ed il terzo quando il
primo è a 180 gradi allora si suoneranno le note quattro volte più velo-
cemente rispetto al suonarle serie alla stessa velocità delle dita. In que-
sto caso la differenza di fase tra le dita è di 90 gradi. Se questa venisse
ridotta a 9 gradi le note verrebbero suonate quaranta volte più veloce-
mente. Quest’esempio illustra la potenza del suonare parallelo per au-
mentare la velocità. In un accordo la differenza di fase è zero.
Suonare serie si può definire come un suonare parallelo in cui la diffe-
renza di fase tra dita successive è circa 360 gradi o in cui le fasi non so-
no in relazione tra loro. Il movimento della mano aiuta entrambi il
suonare serie e parallelo, ma in modo diverso. Aiuta a suonare serie
aggiungendo ampiezza, ma aiuta a suonare parallelo in maniera più ap-
prezzabile aiutando a controllare la fase. Possiamo cominciare a gene-
rare risultati utili usando queste semplici definizioni.
B) I Muri di Velocità
Assumiamo che una persona cominci a studiare un pezzo di musica
suonando all’inizio lentamente e principalmente serie perché è il modo
più facile (per ora ignoriamo gli accordi). Al graduale aumentare della
velocità delle dita incontrerà naturalmente un muro di velocità perché
le dita umane si possono muovere solo fino ad una certa velocità. Ab-
biamo così scoperto matematicamente un muro di velocità, ovvero
quello del suonare serie. Come abbattiamo questo muro? Abbiamo
bisogno di trovare un modo di suonare che non abbia limiti di velocità
e questo è il suonare parallelo: aumentiamo la velocità diminuendo la
IV.2 - LA TEORIA DEL MOVIMENTO DEL DITO NEL PIANOFORTE 299
riuscire a suonare con precisione gli accordi. Questo significa che ap-
plicando l’attacco ad accordo si deve riuscire a suonare l’accordo con
precisione prima di fare il passo successivo.
È chiaro che ci sono molti altri muri di velocità e ciascuno di essi, ed
il metodo per scalarlo, dipenderà dal tipo di movimento del dito o della
mano. Si potrebbe, ad esempio, ottenere una velocità infinita suonan-
do parallelo solo avendo un numero infinito di dita (diciamo per una
lunga volata). Sfortunatamente abbiamo solo dieci dita e spesso solo
cinque sono disponibili per un particolare passaggio perché le altre so-
no richieste per suonare altre parti della musica. Con una grossolana
approssimazione, se suonare serie permette di suonare ad una velocità
massima M allora si può suonare serie a 2M usando due dita, 3M con
tre, eccetera. La velocità massima è limitata da quanto si riescano a ri-
ciclare rapidamente queste dita. In realtà non è del tutto vero a causa
della conservazione della quantità di moto (permette di suonare più ve-
locemente) che sarà trattata separatamente più avanti. Ciascuno nume-
ro di dita disponibili darà perciò un diverso nuovo muro di velocità.
Siamo quindi arrivati a due nuovi risultati utili: (1) ci può essere un
qualsiasi numero di muri di velocità e (2) si può cambiare muro di ve-
locità cambiando diteggiatura. In generale più dita si possono usare in
parallelo prima di doverle riciclare e più veloce si può suonare. Met-
tendola diversamente: la maggior parte delle congiunzioni porta con sé
i suoi muri di velocità.
C) Aumentare La Velocità
Questi risultati ci forniscono anche la base matematica per spiegare il
ben noto trucco di alternare le dita quando si suona più volte la stessa
nota. Uno potrebbe a prima vista pensare che usare un solo dito sia
più facile e offra più controllo, ma quella nota si può suonare ripetuta-
mente più velocemente suonando parallelo e usando più dita possibile
in quella situazione, piuttosto che suonando serie.
La necessità di suonare parallelo fa distinguere i trilli come partico-
larmente difficili da suonare velocemente perché in generale devono es-
sere eseguiti con sole due dita. Se si provasse un trillo con un solo dito
si incontrerebbe un muro di velocità diciamo alla velocità M; se lo si
eseguisse con due dita il muro di velocità sarebbe a 2M (di nuovo igno-
rando la conservazione della quantità di moto). La matematica ci sug-
gerisce qualche altro modo di raggiungere velocità ancora più alte? Sì:
mediante il troncamento di fase.
Ciò che si può fare è abbassare il dito per suonare la nota e sollevarlo,
prima di suonare la nota successiva, solo quanto basta a ripristinare il
IV.2 - LA TEORIA DEL MOVIMENTO DEL DITO NEL PIANOFORTE 301
d’acqua molto più piccoli di 0,0001 cc, il complesso canonico del piani-
sta è piuttosto vicino alla condizione termodinamica.
Se il complesso canonico del pianista ha natura quasi termodinamica
quale conclusione possiamo trarre? Il risultato importante è che qual-
siasi punto singolo nello spazio dei parametri è del tutto irrilevante per-
ché la possibilità di riprodurre questo punto particolare è essenzialmen-
te zero. Da questo risultato possiamo trarre qualche conclusione im-
mediata:
Prima legge della pianodinamica: due persone non possono suonare
lo stesso pezzo di musica nello stesso identico modo. Un corollario di
questa prima legge è che la stessa persona, suonando due volte lo stesso
pezzo, non lo suonerà mai nello stesso identico modo.
E allora? Beh, questo significa che l’idea secondo cui ascoltare qual-
cuno suonare possa diminuire la creatività, a causa dell’imitazione
dell’artista, non è una idea percorribile perché non è mai possibile imi-
tare esattamente. Questo è veramente a sostegno della scuola di pen-
siero che rivendica che ascoltare un buon artista suonare non può far
male. Ciascun pianista è un artista unico, nessuno riprodurrà mai la
sua musica. Il corollario fornisce la spiegazione scientifica della diffe-
renza tra ascoltare una registrazione (che riproduce esattamente
un’esecuzione) e ascoltare l’esecuzione dal vivo che non potrà mai esse-
re riprodotta (se non registrando).
Seconda legge della pianodinamica: non potremo mai controllare
completamente ogni aspetto di come suoniamo un dato pezzo.
Questa legge è utile per capire come possiamo acquisire inconscia-
mente delle brutte abitudini e come, quando eseguiamo, la musica viva
di vita propria e sfugga, in qualche modo, al nostro controllo. Le po-
tenti leggi della pianodinamica prendono, in questi casi, il sopravvento
ed è utile conoscere i nostri limiti e le origini delle nostre difficoltà per
poterle controllare il più possibile. È veramente un pensiero che rende
umili rendersi conto che dopo un lungo e duro studio potremmo aver
acquisito un numero qualsiasi di brutte abitudini senza neanche sospet-
tarlo. Questo può di fatto fornirci la spiegazione del perché faccia così
bene suonare lentamente l’ultima volta alla fine della seduta di studio.
Suonando lentamente e con precisione si restringe enormemente lo
spazio di insieme e si escludono i movimenti “cattivi” lontani dallo spa-
zio dei movimenti “corretti”. Se questa procedura eliminasse davvero
le brutte abitudini e fosse cumulativa di seduta di studio in seduta, allo-
ra potrebbe fare un’enorme differenza, a lungo termine, nel tasso con
cui si acquisisce la tecnica.
IV.4 - LA FORMULA DI MOZART, BEETHOVEN E LA TEORIA DEI GRUPPI 305
perché troppo brevi per essere riconosciuti. Per questo motivo nor-
malmente non li notiamo, ma sono quasi certamente una costruzione
consapevole da parte del compositore. Il tema veniva poi modificato
due o tre volte e ripetuto di nuovo per produrre quello che il pubblico
avrebbe percepito come una melodia continua. Le modifiche consiste-
vano nell’uso di varie simmetrie matematiche e musicali come inver-
sioni, capovolgimenti, modifiche armoniche, furbo posizionamento de-
gli abbellimenti, eccetera. Le ripetizioni venivano aggregate a formare
una sezione e l’intera sezione veniva ripetuta. La prima ripetizione for-
nisce un fattore due, le altre modifiche un altro fattore da due a sei (o
più) e la ripetizione finale dell’intera sezione un altro fattore due, ovve-
ro 2x2x2 = 8, come minimo. In questo modo Mozart era in grado di
scrivere enormi composizioni con un minimo di materiale tematico.
Inoltre le sue modifiche al tema originario seguivano un ordine partico-
lare in modo da sistemare, in ogni composizione, certi umori o colori
della musica nella stessa sequenza.
A causa di questa struttura preordinata egli era in grado di trascrivere
le sue composizioni da dovunque nel mezzo o una voce alla volta per-
ché sapeva già dove sarebbe andata ogni parte. Non doveva scrivere
l’intera cosa fino a quando l’ultimo pezzo del puzzle non fosse stato
composto. Poteva anche comporre diversi pezzi contemporaneamente
perché avevano tutti la stessa struttura. Questa formula lo faceva sem-
brare molto più un genio di quanto in realtà fosse. Tutto ciò porta na-
turalmente alla domanda: quanto del suo presunto “genio” era sempli-
cemente un’illusione dovuta a queste macchinazioni? Non per dubitare
del suo genio – a questo ci pensa la musica! Tuttavia, molte delle ma-
gnifiche cose che fecero questi geni furono il risultato di stratagemmi
relativamente semplici e possiamo trarne vantaggio scoprendone i det-
tagli. Conoscere la formula di Mozart, ad esempio, rende più facile se-
zionare e memorizzare le sue composizioni. Il primo passo verso la
comprensione della sua formula è quello di riuscire ad analizzare le sue
ripetizioni, che non sono semplici repliche. Mozart usò il suo genio per
modificarle e camuffarle in modo che producessero musica e, cosa più
importante, in modo che non venissero riconosciute come tali.
Esaminiamo, come esempio di ripetizione, la famosa melodia dell’Al-
legro del suo Eine Kleine Nachtmusik. La melodia è quella che suo-
nava Salieri e che il pastore riconobbe all’inizio del film “Amadeus”.
Questa melodia è una ripetizione posta come domanda e risposta. La
domanda è una voce maschile che chiede: “Ehi, stai venendo?” La ri-
sposta è una voce femminile: “Ok, ok, sto venendo!” L’affermazione
maschile viene fatta usando solo due note a distanza di una quarta do-
IV.4 - LA FORMULA DI MOZART, BEETHOVEN E LA TEORIA DEI GRUPPI 307
minante, ripetuta tre volte (sei note) e la domanda viene creata aggiun-
gendo alla fine tre note a salire (questo sembra essere universale nella
maggior parte dei linguaggi: le domande vengono poste sollevando il
tono della voce alla fine). La prima parte è perciò costituita da nove
note. La ripetizione è una risposta in voce femminile perché l’altezza è
maggiore, viene realizzata di nuovo con due note e questa volta ad una
più dolce terza minore di distanza, ripetuta (indovinato!) tre volte (sei
note); è una risposta perché le ultime tre note si muovono dall’alto ver-
so il basso. Il totale è di nuovo nove note. L’efficienza con cui creò
questo costrutto è sorprendente. La cosa ancora più incredibile è come
dissimuli le ripetizioni in modo da non far pensare di che si tratta
quando si ascolta l’intera cosa. Praticamente tutta la sua musica può
essere analizzata in questo modo, essenzialmente per ripetizioni. Se
non si è ancora convinti, si prenda una sua qualsiasi musica, la si ana-
lizzi e si scoprirà questo modello.
Vediamo un altro esempio: la Sonata N.16 in La, K300 (o K331, quel-
la con il finale Alla Turca). L’unità base del tema iniziale è una nota da
un quarto seguita da una da un ottavo. La prima introduzione di que-
sta unità è camuffata dall’aggiunta della nota da un sedicesimo, seguita
dall’unità base. Viene quindi ripetuta due volte nella prima misura.
Dopo, nella seconda misura, viene traslata (in altezza) tutta la doppia
unità della prima. La terza misura è giusto l’unità base ripetuta due
volte. Nella quarta la prima unità viene nascosta di nuovo usando i
sedicesimi. Le misure 1-4 vengono poi ripetute nelle misure 5-8 con
modifiche minori. Da un punto di vista strutturale queste 8 misure
producono due lunghe melodie con lo stesso inizio, ma con finali diver-
si. Siccome vengono ripetute tutte le otto misure, Mozart ha fonda-
mentalmente moltiplicato per 16 la sua idea iniziale della prima misura!
Pensando in termini di unità base l’ha moltiplicata per 32. Va poi a-
vanti creando incredibili variazioni di questa unità base per produrre
l’intera sonata: il fattore moltiplicativo è quindi anche più grande.
Questo è ciò che si intende col dire che usa ripetizioni di ripetizioni: al-
lineando le ripetizioni delle unità modificate crea una musica finale che
suona come una lunga melodia a meno che non la si spezzi nelle sue
componenti.
Nella seconda metà di questa esposizione introduce poi delle modifi-
che all’unità base. Alla misura 10 aggiunge prima un abbellimento con
valore melodico, per camuffare la ripetizione, e poi introduce un’altra
modifica suonando l’unità base come terzina. Una volta introdotta
viene ripetuta due volte nella misura 11. La 12 è simile alla 4, una ri-
petizione dell’unità base, ma strutturata in modo tale da fare da con-
308 IV. TEORIA MATEMATICA S ULL’ESECUZIONE AL PIANOFORTE
Sappiamo tutti che Beethoven non aveva mai veramente studiato ma-
tematica avanzata, ma nonostante ciò ne incorpora nella sua musica
una sorprendente quantità a livelli molto alti. L’inizio della Quinta Sin-
fonia è un caso esemplare, ma di esempi come questo ce ne sono una
marea. Compose questa famosa sinfonia “usando” concetti come la
Teoria dei Gruppi e di fatto ha usato quello che i cristallografi chiama-
no Gruppo Spaziale delle trasformazioni simmetriche! Questo gruppo
regge molte tecnologie avanzate (come la meccanica quantistica, la fisi-
ca nucleare e la cristallografia) che sono alla base della rivoluzione tec-
nologica dei giorni nostri. A questo livello di astrazione un cristallo di
diamante e la Quinta Sinfonia di Beethoven sono la stessa cosa! Spiegherò nel
seguito questa notevole osservazione.
Il Gruppo Spaziale che usò Beethoven (lo chiamava sicuramente in
modo diverso) è stato applicato per caratterizzare cristalli come il silicio
ed il diamante. Sono le proprietà del gruppo stesso a permettere loro
di crescere senza difetti e per questo è alla base della loro esistenza.
Siccome i cristalli sono caratterizzati da questo gruppo, una sua com-
prensione fornisce una comprensione elementare dei cristalli stessi.
Questo fu perfetto per gli scienziati dei materiali che lavoravano a ri-
solvere problemi di comunicazione perché il Gruppo Spaziale fornì
l’infrastruttura dalla quale partire con i loro studi. Come quando i fisi-
ci dovevano guidare da New York a San Francisco ed i matematici die-
dero loro la cartina! È così che perfezionammo il transistor al silicio e
questo portò ai circuiti integrati ed alla rivoluzione dei computer.
Cos’è quindi il Gruppo Spaziale? Perché fu così utile nel comporre
questa sinfonia?
I gruppi vengono definiti da un insieme di proprietà. I matematici
scoprirono che i gruppi definiti in questo modo possono essere manipo-
lati matematicamente ed i fisici li trovarono utili: questi gruppi partico-
lari che interessarono i matematici e gli scienziati forniscono un percor-
so verso la realtà. Una delle proprietà dei gruppi è quella di consistere
in Membri ed Operazioni. Un’altra proprietà è che effettuando una
Operazione su un Membro si ottiene un altro Membro dello stesso
gruppo. Un noto gruppo è quello degli interi: -1, 0, 1, 2, ecc. Una
Operazione per questo gruppo è l’addizione: 2 + 3 = 5. Si noti che
l’applicazione dell’Operazione + ai numeri 2 e 3 porta ad un altro
Membro del gruppo: 5. Siccome le Operazioni trasformano un Mem-
bro nell’altro sono anche dette Trasformazioni. Un Membro del
Gruppo Spaziale può essere qualsiasi cosa in qualsiasi spazio: un ato-
mo, una rana, una nota in una dimensione spaziale musicale come al-
tezza, velocità o intensità. Le Operazioni del Gruppo Spaziale relative
IV.4 - LA FORMULA DI MOZART, BEETHOVEN E LA TEORIA DEI GRUPPI 311
riormente l’idea che doveva avere una comprensione intuitiva della te-
oria dei gruppi e distingueva consapevolmente tra gli spazi. Sembra
matematicamente impossibile che tutte queste concordanze dei suoi co-
strutti con la teoria dei gruppi siano capitate per caso ed è una dimo-
strazione virtuale che, in qualche modo, stesse giocando con questi con-
cetti.
Perché questo costrutto era così utile in questa introduzione? Forni-
sce certamente una piattaforma uniforme su cui mettere la sua musica.
Semplicità ed uniformità permettono al pubblico di concentrarsi solo
sulla musica senza distrarsi ed ha anche un effetto assuefante. Queste
ripetizioni subliminali (non si suppone che il pubblico sia a conoscenza
di questi trucchi) possono produrre un grande effetto emotivo. È come
nei trucchi magici – hanno un effetto molto più grande se non sappia-
mo come il mago li esegue, è un modo di controllare il pubblico senza
che lo sappia. Proprio come Beethoven aveva una comprensione intui-
tiva di questo concetto di gruppo possiamo tutti sentire che esiste un
qualche tipo di modello senza riconoscerlo esplicitamente. Mozart ot-
tenne un effetto simile usando le ripetizioni.
La conoscenza di trucchi come i gruppi è molto utile per suonare la
sua musica perché ci dice esattamente cosa si dovrebbe o non dovrebbe
fare. Un altro esempio lo si può trovare nel terzo movimento della sua
sonata Waldstein, dove l’intero movimento si basa su un tema di tre
note rappresentato da 155 (i primi Do Sol Sol, all’inizio). Fa la stessa
cosa con l’arpeggio iniziale del primo movimento dell’Appassionata con
un tema rappresentato da 531 (i primi Do Lab Fa). In entrambi i casi
se non si mantiene il battere sull’ultima nota la musica perde struttura,
profondità ed incitamento. Questo è particolarmente interessante nel-
l’Appassionata perché in un arpeggio di solito si mette il battere sulla
prima nota e molti studenti fanno davvero questo errore. Come nella
Waldstein, questo tema iniziale viene ripetuto in tutto il movimento e
viene reso sempre più ovvio con il suo progredire, ma per allora il pub-
blico ne è assuefatto e non si accorge neanche che sta dominando la
musica. Chi fosse interessato potrebbe guardare verso la fine del primo
movimento dell’Appassionata dove Beethoven trasforma il tema in 315
e lo eleva ad un livello estremo, e quasi ridicolo, alla misura 240. No-
nostante ciò, la maggior parte del pubblico non avrà idea di quale truc-
co egli stia usando, tranne il gustarsi il clima selvaggio che è ovviamen-
te estremo in maniera irragionevole, ma ormai porta con sé una miste-
riosa familiarità perché il costrutto è lo stesso e lo si è sentito centinaia
di volte. Si noti che questo clima perde molto del suo effetto se il pia-
314 IV. TEORIA MATEMATICA S ULL’ESECUZIONE AL PIANOFORTE
nista non tira fuori il tema (introdotto nella prima misura!) e non enfa-
tizza le note in battere.
Beethoven ci dice il motivo dell’inspiegabile arpeggio 531 all’inizio
dell’Appassionata quando questo si trasforma nel tema principale del
movimento alla misura 35, quando cioè scopriamo che l’arpeggio
all’inizio è una forma invertita e schematica del tema principale ed il
motivo per cui il battere è dove si trova. L’inizio di questo pezzo, fino
alla misura 35, è quindi una preparazione psicologica ad uno dei temi
più belli che compose. Ha voluto impiantare nel nostro cervello l’idea
del tema prima che lo ascoltassimo! Questa potrebbe essere una spie-
gazione del perché questo strano arpeggio viene ripetuto due volte
all’inizio usando una progressione illogica di accordi. Mediante un’a-
nalisi di questo tipo la struttura dell’intero primo movimento risulta
chiara e questo ci aiuta a memorizzare, interpretare e suonare corretta-
mente il pezzo.
L’uso di concetti tipici della teoria dei gruppi potrebbe essere giusto
un’altra dimensione che Beethoven intrecciò nella sua musica, forse per
farci sapere quanto fosse intelligente, nel caso non avessimo ancora col-
to il messaggio. Potrebbe, come non potrebbe, essere il meccanismo
con cui generò la sua musica. L’analisi di cui sopra ci dà perciò solo un
piccolo barlume dei processi mentali che la ispirarono. Il semplice uso
di questi trucchi scaturisce in musica oppure ci stiamo avvicinando a
qualcosa che Beethoven sapeva, ma non disse a nessuno?
A = kT (Eq. 1.1)
dove “d” sta per differenziale (questo è tutto calcolo differenziale con-
venzionale) e la soluzione dell’equazione differenziale è:
F) Cosa è La Musica?
La struttura della coclea vs. le scale e gli accordi musicali. Parametri:
tempismo (ritmo), altezza, modelli (linguaggio, emozioni), volume, ve-
locità. Elaborazione dell’informazione musicale nel cervello.
ciò che fanno meglio: insegnare a fare musica. Siccome questo è ciò
che hanno fatto finora, ci saranno solo piccole modifiche a come inse-
gnano. L’unico elemento nuovo è l’aggiunta di metodi di studio molto
veloci da imparare. Il cambiamento più grosso sarà, certamente, che
l’insegnante verrà liberato dal vecchio e lento processo di insegnare la
tecnica. Sarà molto più facile per loro decidere cosa insegnare perché
le difficoltà tecniche saranno molto meno d’impiccio. La qualità degli
insegnanti migliorerà drasticamente nel giro di poche generazioni di in-
segnanti/studenti e questo accelererà ulteriormente il tasso di appren-
dimento degli studenti futuri.
È ragionevole un aumento di cento volte della popolazione di piani-
sti ? Cosa farebbero? Non potrebbero certo essere tutti pianisti con-
certisti o insegnanti: cambierà la natura stessa di come vediamo il suo-
nare il pianoforte. Prima di tutto il pianoforte sarà diventato, per allo-
ra, il secondo strumento convenzionale per tutti i musicisti perché sarà
così facile da imparare che ci saranno pianoforti ovunque. La gioia di
suonare il pianoforte sarà per molti una ricompensa sufficiente. Il fan-
tastiliardo di amanti della musica, che poteva solo ascoltare le registra-
zioni, potrà ora suonare la propria musica – un’esperienza molto più
soddisfacente e gratificante. Come dirà chiunque sia diventato un pia-
nista formato, una volta arrivati a quel livello non si può che comporre
musica. Così una rivoluzione del pianoforte innescherebbe anche una
rivoluzione nella composizione e ce ne sarà una gran richiesta perché
molti pianisti non saranno soddisfatti di suonare “le stesse vecchie co-
se”. I pianisti comporranno musica per tutti gli strumenti grazie allo
sviluppo di tastiere con potenti software ed ogni pianista avrà sia un
pianoforte acustico sia una tastiera elettronica o uno strumento duale
(si veda più avanti). La grande offerta di tastieristi significherebbe inte-
re orchestre di tastiere. Un’altra ragione per cui il pianoforte divente-
rebbe universalmente popolare è che verrebbe usato come un metodo
per aumentare il QI dei neonati in crescita. La ricerca sul cervello rive-
lerà sicuramente che l’intelligenza può essere migliorata con la giusta
stimolazione cerebrale durante le prime fasi dello sviluppo. Siccome ci
sono solo due ingressi al cervello dell’infante, uditivo e visuale, ed il
primo è all’inizio molto più avanzato del secondo, la musica è lo stru-
mento più logico per influenzare il cervello durante il primo sviluppo.
Con tali enormi forze al lavoro il pianoforte stesso evolverà rapida-
mente. Primo, la tastiera elettronica si introdurrà sempre di più nel set-
tore del pianoforte. Le carenze dei pianoforti elettronici continueranno
a diminuire finché saranno indistinguibili dagli acustici. I requisiti tec-
nici saranno gli stessi a prescindere da quale strumento si usi. Per allo-
IV.6 - ARGOMENTI DI RICERCA FUTURA 325
I) Il Futuro dell’Istruzione
Internet sta ovviamente cambiando la natura dell’istruzione. Uno dei
miei obiettivi nello scrivere questo libro sul Web è di esplorare la pos-
sibilità di rendere l’istruzione molto più a basso costo di quanto non sia
stata finora. Guardando indietro ai giorni dell’istruzione primaria e del
college, mi meraviglio dell’efficienza dei processi educativi che ho at-
traversato. Nonostante ciò, la promessa di un’efficienza di gran lunga
maggiore, attraverso internet, è sbalorditiva in confronto. La mia espe-
rienza fin qui è stata molto educativa. Ecco alcuni dei vantaggi
dell’educazione basata su internet:
1) Nessuna più attesa per gli scuolabus o corse da lezione a lezione, di
fatto nessun altro costo per edifici scolastici e strutture correlate.
326 IV. TEORIA MATEMATICA S ULL’ESECUZIONE AL PIANOFORTE
A) Trattazione Matematica
Nella tabella 2.2a vengono mostrate tre ottave della scala cromatica. I
tasti neri sul pianoforte sono mostrati come diesis, ad esempio il diesis
dopo il Do rappresenta il Do#, ecc. e vengono mostrati solo nell’ottava
più alta. Ogni cambiamento di frequenza nella scala cromatica è detto
semitono ed una ottava ha 12 semitoni. Gli accordi maggiori e gli interi
che rappresentano i loro rapporti di frequenza vengono mostrati rispet-
tivamente sopra e sotto la scala cromatica. La parola accordo viene qui
usata per rappresentare due note il cui rapporto delle frequenze è un
intero piccolo. Gli interi più grandi di dieci, tranne i multipli di quelli
fondamentali, producono accordi che non sono prontamente riconosci-
bili dall’orecchio. In riferimento alla Tabella 2.2a l’accordo più ele-
mentare è l’ottava, nel quale la frequenza della nota più alta è doppia di
quella più bassa. L’intervallo tra Do e Sol è detto una quinta e le fre-
quenze di Do e Sol sono in rapporto di 2/3. La terza maggiore ha quat-
tro semitoni e la terza minore ne ha tre. Il numero associato ad ogni
accordo, ad esempio quattro nella quarta, è il numero dei tasti bianchi,
compresi i due agli estremi, nella scala di Do Maggiore e non ha altri
significati matematici. Si noti che la parola “scala” in “scala cromati-
ca”, “scala maggiore” e in “scala logaritmica o di frequenze” (si veda
più avanti) ha un significato completamente diverso, la seconda è un
sottoinsieme della prima.
come spiegato più avanti. Anche l’intero mancante 7 verrà spiegato più
avanti.
Il “Temperamento Equabile” della scala cromatica consiste in un “e-
quo” innalzamento di mezzo tono, o semitono, per ogni nota successiva.
Sono uguali nel senso che il rapporto tra le frequenze di due note adia-
centi è sempre lo stesso. Questa proprietà assicura che ogni nota sia
equivalente ad ogni altra (tranne per l’altezza). L’uniformità delle note
permette al compositore, o all’esecutore, di usare, come ulteriormente
spiegato più avanti, qualsiasi tasto senza incontrare brutte dissonanze.
In un ottava di una scala a Temperamento Equabile ci sono 12 semito-
ni uguali. Una ottava è un fattore due esatto in frequenza. Il cambio
12
di frequenza per un semitono è perciò dato da: semitono = 2 oppure:
1
( )
semitono = 2 12 = 12 2 = 1,05946 (Eq. 2.1)
Gli errori nelle terze sono i peggiori, oltre cinque volte l’errore degli
altri accordi, ma sempre solo circa l’1%. Nonostante questo sono
prontamente udibili ed alcuni aficionados del pianoforte le hanno gene-
rosamente battezzate “le terze rotolanti”, mentre in realtà sono disso-
nanze inaccettabili. Se vogliamo adottare la scala Equamente Tempera-
ta è un difetto con cui dobbiamo imparare a convivere. Gli errori nelle
quarte e nelle quinte producono battimenti di circa 1 Hz al Do Centra-
le, cosa scarsamente udibile nella maggior parte dei pezzi; la frequenza
dei battimenti tuttavia raddoppia ad ogni ottava superiore.
336 ACCORDARE IL PROPRIO PIANOFORTE
B) Temperamento e Musica
L’approccio matematico di prima non è il modo in cui fu sviluppata la
scala cromatica. I musicisti iniziarono con gli accordi e provarono a
trovare una scala musicale con un numero minimo di note che li pro-
ducessero. La richiesta di un numero di note minimo è ovviamente de-
siderabile perché determina il numero di tasti, corde, buchi, ecc. neces-
sari a costruire lo strumento musicale. Gli accordi sono necessari per-
ché se si vuole suonare più di una nota alla volta le note creerebbero
delle dissonanze spiacevoli all’orecchio a meno di non formare accordi
armoniosi. La ragione per cui le dissonanze sono così spiacevoli
all’orecchio può avere qualcosa a che fare con la difficoltà del cervello
ad elaborare informazioni dissonanti. È certamente più facile, in ter-
mini di memoria e comprensione, avere a che fare con accordi armo-
niosi piuttosto che con dissonanze. Alcune di esse sono quasi impossi-
2 - LA SCALA C ROMATICA ED I L TEMPERAMENTO 339
bili da risolvere per molti cervelli se le due note vengono suonate con-
temporaneamente.
Se il cervello è sovraccaricato dal compito di cercare di risolvere dis-
sonanze complesse, diventa impossibile rilassarsi e gustarsi la musica o
seguire l’idea musicale. Chiaramente qualsiasi scala deve produrre
buoni accordi se dobbiamo comporre musica complessa ed avanzata
che richiede più di una nota alla volta.
Abbiamo visto prima che il numero ottimale di note in una scala è ri-
sultato essere 12. Sfortunatamente non c’è nessuna scala di 12 note che
riesca a produrre accordi esatti ovunque. La musica suonerebbe meglio
se si potesse trovare una scala con accordi perfetti ovunque. Sono stati
fatti molti tentativi del genere, principalmente aumentando il numero
di note per ottava, specialmente usando chitarre ed organi, ma nessuna
di queste scale è stata accettata. Aumentare il numero di note per otta-
va con uno strumento come la chitarra è relativamente facile perché
tutto ciò che si deve fare è aggiungere corde e capotasti. Gli ultimi
schemi oggi concepiti comportano scale generate al computer nelle qua-
li ad ogni trasposizione vengono corrette le frequenze: questo schema è
detto accordatura adattiva (Sethares).
Il concetto più elementare necessario a capire i temperamenti è il ciclo
delle quinte. Per percorrere un ciclo di quinte si prenda una qualunque
ottava, si parta dalla nota più bassa e si salga in quinte. Dopo due
quinte si uscirà dall’ottava, quando ciò accade si scenda di un ottava e
si continui a salire in quinte stando sempre nella stessa ottava. Si faccia
questo per dodici quinte e si finirà sulla nota più alta del ottava! Ovve-
ro, se si parte dal Do4 si finirà sul Do5 ed è questo il motivo per cui
viene chiamato ciclo. Non solo, ma ogni nota che si tocca quando si
suona una quinta è una nota diversa, ciò significa che il ciclo delle
quinte tocca ogni nota una e una sola volta, una proprietà chiaramente
utile per accordare la scala e per studiarla matematicamente.
Gli sviluppi storici sono un argomento centrale nelle discussioni sul
temperamento perché la musica di un periodo è legata al temperamento
di quel periodo. Si dà credito a Pitagora di aver inventato, nel 550
AD, il “Temperamento Pitagorico” nel quale la scala cromatica viene
generata dall’accordatura in quinte perfette usando il ciclo delle quinte.
Le dodici quinte perfette del ciclo delle quinte non portano ad un fatto-
re due esatto: la nota finale che si ottiene non è perciò esattamente
l’ottava, ma è troppo alta in frequenza di una quantità detta “Comma
Pitagorica” che è di circa 23 cent (un cent è un centesimo di semitono).
Siccome una quarta più una quinta fa un’ottava, il temperamento Pita-
340 ACCORDARE IL PROPRIO PIANOFORTE
gorico risulta in una scala con quinte e quarte perfette tranne alla fine
dove si ottiene una dissonanza molto brutta. Viene fuori che accordare
per quinte perfette lascia le terze in brutto stato, un altro svantaggio del
temperamento di Pitagora. Se ora dovessimo accordare contraendo le
quinte di 23/12 di cent, finiremo con l’avere un’ottava. Questo è uno
dei modi di accordare una scala Equamente Temperata. Useremo in-
fatti proprio un tale metodo nella sezione sull’accordatura. La scala
Equamente Temperata era già nota circa cento anni dopo l’invenzione
del temperamento Pitagorico, non è quindi un temperamento moderno.
Dopo l’introduzione del Temperamento Pitagorico tutti quelli nuovi
sono stati tentativi di migliorarlo. Il primo metodo fu di distribuire la
Comma Pitagora tra le ultime due quinte. Un grosso sviluppo fu il
Temperamento Mesotonico in cui erano le terze ad essere giuste invece
delle quinte. Musicalmente le terze giocano un ruolo più importante
rispetto alle quinte perciò il Mesotonico aveva senso specialmente du-
rante l’era in cui la musica faceva un maggior uso di terze. Sfortuna-
tamente il Mesotonico ha una nota del lupo peggiore del Pitagorico.
La successiva pietra miliare è rappresentata dal Clavicembalo Ben
Temperato di Bach in cui fu scritta musica per vari Ben Temperamen-
ti: si trattava di temperamenti di compromesso tra Mesotonico e Pita-
gorico. Questo concetto funzionò perché l’accordatura Pitagorica fini-
va con note troppo crescenti e la Mesotonica troppo calanti. Inoltre il
Ben Temperato presentava la possibilità non solo di buona terze, ma
anche di buone quinte. Il più semplice Ben Temperato fu escogitato da
Kirnberger, uno studente di Bach. Il suo più grande vantaggio è la
semplicità. Tra i Ben Temperati i migliori furono inventati da Wer-
kmeister e Young. Se classificassimo grossolanamente le accordature
come Mesotoniche, Ben Temperate e Pitagoriche, allora il Tempera-
mento Equabile è un Ben Temperato perché non è ne crescente ne ca-
lante. Non c’è registrazione di quale temperamento usasse Bach, pos-
siamo solo indovinare i temperamenti dalle armonie delle sue composi-
zioni, specialmente il suo “Clavicembalo Ben Temperato”. Questi stu-
di indicano che essenzialmente tutti i dettagli sul temperamento erano
già stati risolti ai tempi di Bach (prima del 1700) e che lui usava tempe-
ramenti non molto diversi da quelli di Werkmeister.
Il violino pare abbia sfruttato il suo progetto unico per aggirare effica-
cemente i problemi di temperamento. Le corde libere sono ad interval-
li di quinta l’una dall’altra, così il violino si accorda naturalmente Pita-
gorico. Siccome le terze possono sempre essere suonate giuste, ha tutti
2 - LA SCALA C ROMATICA ED I L TEMPERAMENTO 341
4 - La Preparazione
Ci si prepari ad accordare togliendo il leggio in modo che le caviglie
siano accessibili (pianoforte a coda). La prossima sezione non richiede
ulteriore preparazione. È necessario silenziare tutte le corde laterali
delle corde triple dello “scomparto”, per poterlo “creare”, usando la
striscia silenziante in modo tale che quando si suona una qualsiasi nota
di questa ottava vibri solo la corda centrale. Si dovranno probabilmen-
te silenziare quasi due ottave in base all’algoritmo di accordatura. Si
provi prima l’intero algoritmo per determinare la nota più bassa e quel-
la più alta da silenziare. Si silenzino poi tutte le note in mezzo. Si usi la
344 ACCORDARE IL PROPRIO PIANOFORTE
parte finale arrotondata del manico della sordina, nei verticali, per
premere il feltro negli spazi tra le corde esterne delle note adiacenti.
5 - Cominciare
Senza un’insegnante non ci si può tuffare ad accordare. Si perderà ra-
pidamente lo scomparto e non si avrà idea di come tornare indietro.
Perciò si devono prima imparare/studiare alcune procedure di accorda-
tura in modo da non finire con un pianoforte non suonabile che non si
riesce a ripristinare. Questa sezione è un tentativo di arrivare al livello
in cui si potrebbe tentare una vera accordatura senza incappare in diffi-
coltà di questo tipo.
La prima cosa da imparare è cosa non fare per evitare di danneggia-
re il pianoforte, cosa non difficile. Se si tira troppo una corda questa
si spezza. Le istruzioni iniziali sono pensate per minimizzare la rottura
delle corde dovuta a mosse da dilettanti, per cui si legga attentamente.
Si pianifichi per tempo in modo da sapere cosa fare in caso una corda si
rompesse. Una corda spezzata di per sé non è un disastro in un piano-
forte, anche per lunghi periodi di tempo. È probabilmente saggio, co-
munque, condurre le prime prove appena prima di chiamare il proprio
accordatore. Una volta a conoscenza di come si accordano, la rottura
delle corde è un problema raro tranne nei pianoforti molto vecchi e u-
surati. Le caviglie vengono girate di quantità talmente piccole che le
corde non si rompono quasi mai. Un errore comune, fatto dai princi-
pianti, è di mettere la chiave nella caviglia sbagliata. Siccome girandola
non sentono alcun cambiamento, continuano a girarla finché la corda si
spezza. Un modo per evitarlo è iniziare sempre ad accordare calante,
come suggerito più avanti, e di non girare mai la caviglia senza ascolta-
re il suono.
La considerazione più importante per un accordatore alle prime armi
è di preservare la condizione del somiere. La pressione di quest’ultimo
sulle caviglie è enorme. Ora, non si deve mai fare, ma se ipoteticamen-
te si girasse la caviglia rapidamente di 180 gradi il calore generato
nell’interfaccia tra la caviglia e il somiere sarebbe sufficiente a cuocere il
legno ed alterarne la struttura molecolare. Chiaramente tutte le rota-
zioni delle caviglie devono essere condotte per incrementi piccoli e len-
ti. Se fosse necessario togliere una caviglia svitandola, la si ruoti solo di
un quarto di giro (antiorario) e si aspetti un momento per far dissipare
il calore dall’interfaccia; si ripeta poi la procedura in modo da evitare di
danneggiare il somiere.
5 - COMINCIARE 345
B) Impostare La Caviglia
Affinché l’accordatura regga è importante “impostare la caviglia” cor-
rettamente. Guardando la caviglia dall’alto, la corda arriva da destra
(nei coda – da sinistra nei verticali) e si arrotola intorno. Se quindi la si
ruota in senso orario si accorderà a crescere e viceversa. La tensione
della corda cerca sempre di farla ruotare in senso antiorario (calante).
Un pianoforte normalmente si scorda calante nel suonarlo. Siccome
348 ACCORDARE IL PROPRIO PIANOFORTE
I) L’Accordatura Armonica
Una volta soddisfatti della propria abilità di accordare gli unisoni si ini-
zi ad esercitarsi ad accordare in ottava. Se ne prenda una qualunque
vicino al Do Centrale e si silenzino le due note laterali superiori di cia-
scuna nota inserendo un cuneo tra di esse. Si accordi la superiore a
quella un’ottava sotto e viceversa. Come con gli unisoni si cominci vi-
cino al Do Centrale e si prosegua verso gli alti e poi verso i bassi. Si
ripeta lo stesso esercizio con le quinte, le quarte e le terze maggiori.
Dopo essere riusciti ad accordare armoniche perfette si provi a scor-
dare per vedere se si riesce a sentire la frequenza crescente dei batti-
menti nel deviare leggermente dall’accordatura perfetta. Si provino ad
identificare le varie frequenze di battimento specialmente di una e dieci
pulsazioni al secondo. Essere in grado di farlo tornerà utile dopo.
L) Cos’è Lo Stiramento?
L’accordatura armonica è sempre associata ad un fenomeno detto sti-
ramento. Le armoniche nelle corde del pianoforte non sono esatte per-
ché le corde reali attaccate ad estremità reali non si comportano mai
come le corde ideali matematiche. La proprietà di avere armoniche i-
nesatte è detta inarmonicità. La differenza tra la frequenza armonica
reale e quella teorica è detta stiramento. Sperimentalmente si scopre
che la maggioranza delle armoniche è crescente rispetto al valore teori-
co ideale, sebbene ce ne possano essere alcune calanti.
356 ACCORDARE IL PROPRIO PIANOFORTE
B) Kirnberger II
Si silenzino tutte le corde laterali dal Fa3 al Fa4. Si accordi il Do4 (Do
Centrale) al diapason.
6 - LE PROCEDURE DI ACCORDATURA E DI TEMPERAMENTO 361
Tutte le accordature fin qui sono giuste. Si accordi ora il La3 in mo-
do che Fa3-La3 e La3-Re4 abbiano le stesse frequenze di battimento.
Si accordi in ottave giuste fino alle note più alte e poi giù verso le note
basse iniziando dallo scomparto. In tutte queste accordature si accordi
solo una corda all’ottava, silenziando le altre, e poi si accordino queste
all’unisono con quella appena accordata.
Questo è un caso in cui violare la regola “si accordi una sola nota solo
ad un’altra”. Se la nota di riferimento è ad esempio una corda da tre
(accordata) la si usi così com’è senza silenziare nulla. Questo servirà
come verifica della qualità della propria accordatura. Se si dovessero
avere delle difficoltà nell’usarla per accordare una nuova corda singola,
allora l’accordatura all’unisono della nota di riferimento potrebbe non
essere abbastanza precisa e si deve tornare indietro a ripulirla. Certa-
mente se, dopo sforzi considerevoli, non si riescono ad accordare tre
contro una, non si avrà scelta che silenziarne due delle tre per poter
avanzare. Si starà tuttavia compromettendo grossolanamente la qualità
dell’accordatura. Quando tutte le note alte e basse saranno state ac-
cordate, le uniche corde stonate rimanenti saranno quelle silenziate per
creare lo scomparto. Si accordino queste all’unisono con le loro corde
centrali iniziando dalle note più basse e tirando via il feltro un’asola alla
volta.
C) Il Temperamento Equabile
Presento qui lo schema più facile e approssimativo per il Temperamen-
to Equabile. Degli algoritmi più precisi si possono trovare in letteratu-
ra (Reblitz, Jorgensen). Nessun accordatore che si rispetti userebbe
questo schema, tuttavia quando si diventa bravi con esso si possono
produrre dei temperamenti equabili decenti. Uno schema più completo
e preciso non darebbe necessariamente risultati migliori ai principianti.
Con i metodi più complessi un principiante potrebbe confondersi rapi-
362 ACCORDARE IL PROPRIO PIANOFORTE
damente senza avere idea di cosa abbia sbagliato, con il metodo qui il-
lustrato si può sviluppare rapidamente l’abilità di scoprirlo.
Si silenzino le corde laterali dal Sol3 al Do#5. Si accordi il La4 al
diapason La 440. Si accordi il La3 al La4. Si accordi in quinte contrat-
te dal La3 fino alle note non silenziate, si accordi poi un’ottava sotto e
si ripeta questo “su in quinte, giù di un’ottava” fino ad arrivare al La4.
Si partirà, ad esempio, con la quinta La3-Mi4 contratta, poi Mi4-Si4
contratta. La quinta successiva porterebbe oltre la nota silenziata più
alta, Do#4, perciò si accordi un’ottava sotto Si4-Si3. Tutte le ottave
sono ovviamente giuste. Le quinte contratte devono avere dei batti-
menti un po’ sotto 1 Hz all’inizio (in basso) delle corde silenziate e circa
1.5 Hz alla fine (in alto). Le frequenze di battimento delle quinte tra
queste note più basse e più alte dovrebbe aumentare dolcemente
all’aumentare dell’altezza.
Una quinta contratta si crea accordando calante dal giusto quando si
sale per quinte. Si può perciò iniziare dal giusto e poi accordare in ca-
lare per poter aumentare la frequenza dei battimenti fino al valore de-
siderato e simultaneamente creare lo scomparto correttamente. Facen-
do tutto perfettamente l’ultima quinta Re4-La4 dovrebbe essere una
quinta contratta con la frequenza di battimenti di 1 Hz senza alcuna ac-
cordatura. Allora si avrà finito. Si è appena fatto un “ciclo di quinte”.
Il miracolo del ciclo delle quinte è che accorda ciascuna nota una volta,
senza saltarne nessuna nell’ottava La3-La4!
Se la quinta finale Re4-La4 non fosse corretta si è commesso qualche
errore da qualche parte. In questo caso si inverta la procedura inizian-
do dal La4 scendendo per quinte contratte e salendo per ottave. Finché
non si raggiunge il La3, dove La3-Mi4 finale dovrebbe essere una quin-
ta contratta con una frequenza di battimento leggermente sotto 1 Hz.
Per scendere in quinte si crei una quinta contratta accordando in cre-
scendo dalla giusta. Questa manovra tuttavia non imposta la caviglia,
per poterlo fare correttamente si deve quindi stare troppo crescenti
all’inizio e poi diminuire la frequenza di battimento al valore desidera-
to. Scendere in quinte è perciò un’operazione più difficile rispetto a sa-
lire in quinte.
Un metodo alternativo è iniziare dal La ed accordare fino al Do sa-
lendo in quinte e controllando questo Do con un diapason. Se il Do è
crescente le quinte non erano abbastanza contratte e viceversa.
Un’altra variante è accordare in su dal La3 per quinte fino a poco oltre
metà e poi accordare in giù dal La4 sino all’ultima nota accordata sa-
7 - FARE PICCOLE RIPARAZIONI 363
B) Pulire I Piloti
Pulire i piloti può essere una procedura di manutenzione gratificante.
Possono avere bisogno di essere puliti se non lo si è fatto da dieci anni,
alle volte anche prima. Si premano lentamente i tasti per vedere se si
sente dell’attrito nella meccanica. Una meccanica senza attrito sembre-
rà come far scorrere un dito unto su un vetro liscio. Quando c’è attrito
sembrerà il movimento di un dito pulito su un vetro pulitissimo. Per
7 - FARE PICCOLE RIPARAZIONI 367
2 - L’Approccio Scientifico
Questo libro è stato scritto con il miglior approccio scientifico che sono
riuscito a mettere insieme usando ciò che ho imparato durante i miei
trentuno anni di carriera da scienziato. Sono stato coinvolto non sono
nella ricerca di base (ho ottenuto sei brevetti), ma anche nelle scienze
materiali (matematica, fisica, chimica, biologia, ingegneria meccanica,
elettronica, ottica, acustica, metalli, semiconduttori, isolatori), nella so-
luzione di problemi industriali (meccanismi di fallimento, affidabilità,
produzione) e nelle pubblicazioni scientifiche (ho pubblicato oltre cento
articoli nella maggior parte delle maggiori riviste scientifiche). Anche
dopo aver ottenuto il mio Dottorato in Fisica dalla Cornell University,
i miei datori di lavoro hanno dovuto spendere oltre un milione di dol-
lari per far avanzare la mia cultura durante la mia carriera. Riguar-
dando indietro tutta questa formazione scientifica è stata indispensabile
per scrivere questo libro. Questo bisogno di capire il metodo scientifi-
co suggerisce che la maggior parte dei pianisti avrebbe avuto delle diffi-
coltà se avesse provato a replicare i miei sforzi. Spiegherò ulteriormen-
te più avanti che i risultati degli sforzi scientifici sono utili a tutti, non
solo agli scienziati. Quindi il fatto che questo libro sia stato scritto da
uno scienziato significa che tutti dovrebbero essere in grado di capirlo
più facilmente rispetto ad un libro simile scritto da un non-scienziato.
Un obiettivo di questa sezione è spiegare questo messaggio
Imparare il pianoforte, l’algebra, la scultura, il golf, la fisica, la biolo-
gia, la meccanica quantistica, la muratura, la cosmologia, la medicina,
la politica, l’economia, ecc. – che cosa hanno in comune tutte queste
cose? Sono tutte discipline scientifiche e perciò condividono un gran
numero di principi fondamentali. Nella sezione seguente spiegherò
molti degli importanti principi del metodo scientifico e mostrerò come
siano necessari per poter produrre qualcosa di utile, come un manuale
per imparare il pianoforte. Questi requisiti per un tale manuale non
sono diversi da quelli necessari per scrivere un libro di testo avanzato
sulla meccanica quantistica: sono simili, sebbene i contenuti siano due
mondi a parte. Inizierò con la definizione di metodo scientifico perché
è così spesso mal compresa dalla gente. Descriverò poi i suoi contributi
nello scrivere questo libro. In questo processo indicherò dove storica-
mente l’insegnamento del pianoforte è stato scientifico o meno. Nelle
ultime centinaia di anni abbiamo avuto enorme successo nell’applicare
il metodo scientifico a praticamente tutte le discipline, non è il momen-
to di fare lo stesso con l’apprendimento/insegnamento del pianoforte?
2 - L’APPROCCIO SCIENTIFICO 373
A) La Ricerca
Un manuale sul suonare il pianoforte è essenzialmente un elenco di
scoperte fatte da qualcuno per risolvere alcuni problemi tecnici: è un
prodotto della ricerca. Nella ricerca scientifica si eseguono esperimenti,
si raccolgono dati e si scrivono i risultati in modo tale che altri possano
capire cosa è stato fatto e riprodurlo. Insegnare pianoforte non è diver-
so: si devono prima ricercare i vari metodi di studio, raccoglierne i ri-
sultati e scriverli in modo che altri possano trarne vantaggio. Sembra
banalmente semplice, ma se ci si guarda intorno questo non è ciò che è
accaduto nell’insegnamento del pianoforte. Liszt non ha mai scritto i
suoi metodi di studio. Il “metodo intuitivo” (come descritto in questo
libro) non richiede ricerca, è il metodo di studio meno informato.
Questo è il motivo per cui il libro della Whiteside ebbe così successo –
condusse della ricerca e ne registrò i risultati. Sfortunatamente non a-
veva formazione scientifica e fece un pasticcio con aspetti importanti
come una scrittura chiara coincisa (specialmente le definizioni) e l’orga-
nizzazione (classificazioni e relazioni). Chiaramente se potessimo cor-
reggere questa mancanza avremmo allora qualche speranza di applicare
metodi scientifici all’insegnamento del pianoforte. Ovviamente è stata
condotta una tremenda quantità di ricerca da parte di tutti i grandi pia-
nisti, sfortunatamente ne è stata documentata molto poca, cadendo vit-
time dell’approccio non scientifico alla pedagogia del pianoforte.
B) La Documentazione e La Comunicazione
L’obiettivo di primo piano della documentazione è la registrazione di
tutta la conoscenza nel campo – è una perdita incalcolabile che Bach,
Chopin, Liszt, ecc. non abbiano scritto i loro metodi di studio.
Un’altra funzione della documentazione scientifica è l’eliminazione de-
gli errori. Chiaramente un’idea corretta, anche enunciata da un grande
maestro, che venga tramandata oralmente dall’insegnante agli studenti
è suscettibile agli errori e del tutto non scientifica. Una volta scritta, ne
possiamo controllare l’accuratezza, togliere gli errori e aggiungere nuo-
ve scoperte. Ovvero la documentazione crea una via a senso unico nel-
la quale l’idea può solo migliorare in precisione col passare del tempo.
378 IL METODO SCIENTIFICO, LA TEORIA DELL’APPRENDIMENTO ED IL CERVELLO
Una scoperta che ha sorpreso anche gli scienziati è che circa la metà
delle nuove scoperte non viene fatta durante la ricerca, ma quando se
ne scrivono i risultati. Per questa ragione la scrittura scientifica si è e-
voluta in un campo con requisiti specifici progettati non solo per mini-
mizzare gli errori, ma anche per massimizzare il processo di scoperta.
È stato durante la scrittura di questo libro che ho scoperto la spiegazio-
ne dei muri di velocità: dovevo affrontare il fatto di scrivere qualcosa
su di essi ed ho iniziato in modo naturale a chiedermi cosa fossero e co-
sa li provocasse. È ben noto che una volta poste le domande giuste si è
sulla strada di trovare le risposte. In modo simile il concetto di insieme
parallelo è stato sviluppato per lo più durante la scrittura che durante la
ricerca (lettura di libri, conversazioni con insegnanti, uso di internet) e
la sperimentazione personale al pianoforte. Questo concetto era neces-
sario ogni volta che qualche procedura di studio dava problemi, diven-
ne perciò indispensabile verificarlo con precisione per poterlo usare ri-
petutamente in così tanti punti.
È importante comunicare con tutti gli altri scienziati che stanno af-
frontando un lavoro simile, per discutere apertamente qualsiasi nuovo
risultato. Il mondo del pianoforte è stato, a questo riguardo, comple-
tamente non scientifico. La maggior parte dei libri sul suonare il piano-
forte non ha neanche i riferimenti (compresa la prima edizione del mio
libro, perché scritto in un lasso di tempo limitato – questa lacuna è stata
colmata in questa seconda edizione) e raramente si basa sul lavoro pre-
cedente di altri. Gli insegnanti delle maggiori istituzioni musicali fanno
un lavoro migliore nel comunicare, rispetto agli insegnanti privati, per-
ché sono confinati in una situazione per cui non possono evitare di in-
contrarsi. La pedagogia del pianoforte in queste istituzioni è di conse-
guenza superiore a quella della maggior parte degli insegnanti privati.
Troppi insegnanti di pianoforte sono inflessibili riguardo all’adottare o
ricercare metodi di insegnamento migliori e sono spesso critici di qua-
lunque cosa si allontani dai loro metodi. Questa è una situazione molto
non scientifica.
Esempi di comunicazione aperta nel mio libro sono l’intrecciarsi di
concetti da: metodi del peso del braccio e del rilassamento (approccio
tipo Taubman), idee dai libri della Whiteside (critica degli esercizi tipo
Hanon e del metodo del pollice sotto), inclusione di vari movimenti
della mano descritti da Sandor, eccetera. Siccome internet è la forma
ultima di comunicazione aperta, il suo avvento può essere l’elemento
singolo più importante che permetterà alla pedagogia del pianoforte di
essere condotta scientificamente e di questo non c’è miglior esempio
che questo libro.
3 - COS’È I L M ETODO SCIENTIFICO? 379
C) Le Verifiche di Auto-Coerenza
Molte scoperte scientifiche vengono fatte come risultato della verifica di
auto-coerenza. Questi controlli funzionano come segue. Si supponga
di conoscere dieci fatti riguardo al proprio esperimento e di scoprire un
undicesimo fatto. Si ha ora la possibilità di verificare questo nuovo ri-
sultato con i vecchi e spesso questo controllo porterà ad una nuova
scoperta. In effetti una singola scoperta può potenzialmente portare a
dieci altri risultati senza ulteriore sperimentazione. I nuovi metodi di
questo libro, ad esempio, hanno portato ad un apprendimento molto
più veloce e questo ha suggerito che il metodo intuitivo debba contene-
re procedimenti di studio che in realtà lo frenano. Sapendo questo è
stato semplicemente una questione di trovare gli aspetti che rallentano i
progressi. Questa rivelazione delle debolezze del metodo intuitivo sa-
rebbe stata quasi impossibile se fosse stato l’unico noto. Si tratta di una
verifica di auto-coerenza perché se entrambi i metodi fossero stati cor-
retti sarebbero dovuti essere ugualmente efficaci. Un tale processo
mentale di verifica automatica dell’auto-coerenza di tutto ciò che si in-
contra può non essere naturale a tutti; come scienziato, tuttavia, l’ho
fatto consapevolmente per pura necessità durante tutta la mia carriera.
Le verifiche di auto-coerenza sono il modo più economico e rapido di
trovare gli errori e di fare nuove scoperte perché si ottengono risultati
senza fare altri esperimenti. Costa poco di più, tranne il tempo. Si può
ora vedere perché il processo di documentazione può essere così pro-
duttivo: tutte le volte che viene introdotto un nuovo concetto può esse-
re verificato rispetto a tutti gli altri conosciuti per ottenere potenzial-
mente nuovi risultati. Il metodo è potente grazie al gran numero di fat-
ti già noti. Assumiamo di poter contare queste verità note e che siano,
diciamo, mille. Una nuova scoperta significa allora che si possono veri-
ficare in modo incrociato mille nuove possibilità per altre scoperte!
Le verifiche di auto-coerenza sono importanti per eliminare gli errori
e sono state usate in questo libro per minimizzarli. Studiare lentamente
3 - COS’È I L M ETODO SCIENTIFICO? 381
D) La Teoria di Base
I risultati scientifici devono sempre basarsi su qualche teoria o principio
verificabile da altri. Molti pochi concetti stanno da soli indipendente-
mente da qualsiasi altra cosa. In altre parole qualsiasi cosa qualcuno
rivendichi funzionare è meglio abbia una buona spiegazione del perché,
altrimenti è sospetta. Spiegazioni come “con me ha funzionato” oppure
“la ho insegnata per trent’anni” o anche “questo è come faceva Liszt”,
semplicemente non sono abbastanza buone. Se un insegnante ha inse-
gnato un procedimento per trent’anni dovrebbe aver avuto un sacco di
tempo per scoprire il perché funziona. Le spiegazioni sono spesso più
importanti dei procedimenti che spiegano. Ad esempio lo studio a ma-
ni separate funziona perché semplifica un compito difficile. Una volta
stabilito questo principio di semplificazione si possono iniziare a cercare
più cose simili come accorciare i passaggi difficili o delineare. Un e-
sempio di spiegazione elementare è la correlazione tra la forza di gravi-
tà, il metodo del peso del braccio e la sua relazione col peso del tasto.
Entrambi la pesante mano del lottatore di sumo e quella leggera del ra-
gazzetto (si veda Capitolo Uno, Sezione II.10) devono ad esempio pro-
durre un suono di uguale intensità quando le mani vengono lasciate
cadere dalla stessa altezza in una caduta corretta. Questo è ovviamente
più difficile per il lottatore di sumo a causa della sua tendenza ad incli-
narsi sul pianoforte per poter fermare la pesante mano. La caduta cor-
retta è quindi per lui più difficile da eseguire. Capire questi sottili det-
tagli basati sulla teoria è ciò che porta alla corretta esecuzione di una
vera caduta. In altre parole, in una caduta corretta non ci si può incli-
nare sul pianoforte per fermare la mano se non dopo aver completato
la discesa del tasto; per realizzare questo gesto è necessario un polso
molto flessibile.
Ci sono sempre sicuramente alcuni concetti che resistono ad una
spiegazione ed è estremamente importante classificarli chiaramente co-
me “principi validi senza spiegazione”. In questi casi chi siamo noi per
382 IL METODO SCIENTIFICO, LA TEORIA DELL’APPRENDIMENTO ED IL CERVELLO
dire che sono validi? Possono essere considerati validi dopo aver stabi-
lito una registrazione inconfutabile di verifica sperimentale. Etichettarli
chiaramente è importante perché le procedure senza spiegazione sono
più difficili da applicare e sono soggette a modifiche se apprendiamo di
più e le capiamo meglio. La cosa più bella dei metodi che hanno buone
spiegazioni è che non è necessario farsi dire ogni dettaglio di come ese-
guire la procedura – possiamo spesso ricavarla da soli dalla compren-
sione del metodo.
Sfortunatamente la storia della pedagogia del pianoforte è piena di
procedure per acquisire la tecnica che non hanno supporto teorico di
base e che, nonostante ciò, hanno ottenuto ampia accettazione. Gli e-
sercizi Hanon ne sono un esempio illustre. Gran parte delle istruzioni
senza spiegazione del perché funzionano hanno poco valore in un ap-
proccio scientifico. Questo non solo per l’alta probabilità che queste
procedure possano essere sbagliate, ma anche perché è la spiegazione
che aiuta ad usare correttamente la procedura. Siccome non ci sono
basi teoriche dietro gli esercizi Hanon, quando ci esorta ad “alzare in
alto le dita” ed a “studiare un’ora al giorno” non abbiamo nessun modo
di sapere se questi procedimenti possono davvero aiutarci. In qualsiasi
procedura della vita reale è quasi impossibile a chiunque scrivere tutti i
passi necessari in tutte le circostanze, è la comprensione del perché fun-
ziona a permettere a ciascuno di modificarla per soddisfare i bisogni
specifici di situazioni individuali e mutevoli.
Gli insegnanti che usano il metodo intuitivo raccomanderanno ad e-
sempio di iniziare con precisione lentamente e di aumentare gradual-
mente la velocità, altri scoraggeranno il più possibile lo studio lento
perché è un tale spreco di tempo. Nessuno degli estremi è ottimizzato:
suonare lentamente nell’approccio intuitivo non è desiderabile perché si
potrebbero congelare movimenti che interferiscono con il suonare più
veloce; d’altro canto suonare lentamente, una volta in grado di farlo
velocemente, è molto utile per memorizzare e per praticare il rilassa-
mento e la precisione. L’unico modo di scegliere la velocità di studio
giusta è quindi capire in dettaglio il perché si sta scegliendo quella velo-
cità. In questa era di tecnologie dell’informazione e di internet non do-
vrebbe praticamente esserci più spazio per la fede cieca.
Questo non significa che non esistano regole senza spiegazione, dopo-
tutto ci sono ancora molte cose a questo mondo che non comprendia-
mo. Nel pianoforte la regola di suonare lentamente prima di smettere
ne è un esempio: ci deve essere una buona spiegazione, ma non ne ho
ancora sentita alcuna che considero soddisfacente. Il principio di esclu-
3 - COS’È I L M ETODO SCIENTIFICO? 383
sione di Pauli (due fermioni non possono occupare lo stesso stato quan-
tico) e il principio di indeterminazione di Heisemberg sono, nella scien-
za, esempi di regole che non si possono derivare da principi più pro-
fondi. Così è ugualmente importante capire qualcosa proprio come sa-
pere cosa non capiamo. I professori di fisica più colti sono quelli che
sanno citare tutte le cose che ancora non comprendiamo.
E) I Dogmi e L’Insegnamento
Tutti noi sappiamo che non si possono violare le regole che ci pare e
suonare ancora con musicalità, a meno di non avere le iniziali LVB. I
metodi di insegnamento dogmatici, così prevalenti nella pedagogia del
pianoforte, si sono evoluti in questo ambiente ristretto dalle difficoltà di
guidare gli studenti a produrre musica. L’approccio dogmatico è, per
metterla cinicamente, un modo conveniente di nascondere l’ignoranza
dell’insegnante spazzando tutto sotto il tappeto del dogma. Tutte le
grandi lezioni che ho sentito da artisti famosi sono piene di spiegazioni
scientifiche sul perché si dovrebbe o meno eseguire in un certo modo.
Non tutti i grandi esecutori sono tuttavia dei buoni insegnanti e non
tutti sono in grado di spiegare ciò che fanno. La lezione per lo studente
è che in generale non dovrebbe accettare nulla che non capisce e questo
tenderà ad alzare il livello di istruzione che riceve. Sono convinto che
anche l’interpretazione della musica, con il tempo, diverrà più scientifi-
ca proprio come l’alchimia alla fine si è evoluta nella chimica.
Sfortunatamente un approccio dogmatico all’insegnamento non è sem-
pre segno di un insegnante peggiore. Di fatto la tendenza sembra esser
opposta, probabilmente per ragioni storiche. Fortunatamente molti
bravi giovani insegnanti, specialmente quelli nelle grandi istituzioni, so-
no meno dogmatici – sanno spiegare. Col divenire più colti gli inse-
gnanti dovrebbero essere in grado di sostituire più dogmi con una com-
prensione più profonda dei principi sottostanti. Questo dovrebbe
migliorare significativamente l’efficienza e la facilità di apprendimento
degli studenti.
La maggior parte delle persone si rende conto che gli scienziati devo-
no studiare tutta la vita e non solo quando sono al college per prendere
la laurea. I più, tuttavia, non si rendono conto fino a che punto essi
dedicano il loro tempo all’istruzione, non solo imparando, ma anche
insegnando a tutti gli altri, specialmente ai loro compagni scienziati. Di
fatto, per poter massimizzare le scoperte, l’istruzione deve diventare
una passione quotidiana, travolgente. Uno scienziato diventa quindi
spesso più, diciamo, di un insegnante di pianoforte o di scuola a causa
del più ampio spettro di “studenti” che incontra, così come del più am-
384 IL METODO SCIENTIFICO, LA TEORIA DELL’APPRENDIMENTO ED IL CERVELLO
pio respiro delle materie che deve coprire. Quanto si debba sapere per
fare anche solo una piccola nuova scoperta è veramente sbalorditivo.
Una parte necessaria della documentazione scientifica deve perciò in-
cludere le più alte capacità di insegnamento. Un rapporto di ricerca
scientifica non è tanto la documentazione di ciò che è stato fatto, quan-
to un manuale di insegnamento su come riprodurre l’esperimento e su
come capire i principi sottostanti. Il metodo scientifico è quindi ideal-
mente progettato per insegnare ed è un metodo di insegnamento dia-
metralmente opposto a quello dogmatico.
F) Conclusioni
L’approccio scientifico è più di un modo preciso di documentare i risul-
tati di un esperimento: è un processo progettato per eliminare gli errori
e generare scoperte ed è, soprattutto, fondamentalmente un mezzo per
conferite potere all’uomo. Se fosse stato adottato prima, la pedagogia
del pianoforte sarebbe oggi certamente diversa. Internet accelererà si-
curamente l’adozione di approcci più scientifici all’apprendimento del
pianoforte.
4 - La Teoria Dell’Apprendimento
Non è strano che quando andiamo al college scopriamo che “Fonda-
menti dell’Apprendimento” non sia un corso obbligatorio (se esiste)? I
college e le università si suppone siano i centri dell’apprendimento. I
dipartimenti di psicologia hanno spesso corsi ad-hoc sulle abitudini di
studio, ecc., ma si penserebbe che la scienza dell’apprendimento sia una
delle cose primarie in ogni centro di apprendimento. Ho scoperto, nel-
lo scrivere questo libro, la necessità di pensare ad un processo di ap-
prendimento per derivare un’equazione, per quanto approssimata, del
tasso di apprendimento.
[…sezione incompleta…]
A) Il Sogno di Cadere
In questo sogno sto cadendo, non da un posto specifico verso un punto
particolare, ma decisamente cadendo in modo spaventoso. Sono del
tutto impotente nel fermare la caduta. Invariabilmente quando atterro
non mi faccio male. Non c’è dolore. Infatti, sebbene abbia colpito il
fondo, sembra come un atterraggio morbido. Il sogno termina non ap-
pena atterro. L’atterraggio morbido è particolarmente curioso perché
in qualsiasi caduta su quasi tutte le superfici in genere si finisce con
qualche tipo di disastro. Cosa potrebbe spiegare tutti i dettagli di que-
sto sogno? Ne ho scoperto la causa fisica quando un giorno mi sono
svegliato immediatamente dopo e mi sono reso conto che le ginocchia
erano cadute. Stavo dormendo sulla schiena con le ginocchia sollevate
e nel raddrizzare le gambe il peso delle coperte e delle gambe stesse ha
provocato lo slittamento dei piedi e la caduta delle ginocchia. La cadu-
ta delle ginocchia ha fatto creare al cervello il sogno di cadere!
All’inizio questa era solo una spiegazione ipotetica ed anche una pale-
semente stupida: perché il cervello non sarebbe riuscito a capire che le
ginocchia stavano cadendo? Una volta formulata l’ipotesi sono però
riuscito a verificarla tutte le volte che avevo il sogno (nell’arco di diver-
si anni) e l’ho fatto con successo diverse volte. Al risveglio potevo di-
stintamente ricordare che le ginocchia erano appena cadute. Il fatto
che cadano su un soffice letto spiega l’atterraggio morbido e, siccome
dopo non accadde nulla, il sogno termina. Perché sono impotente nel
386 IL METODO SCIENTIFICO, LA TEORIA DELL’APPRENDIMENTO ED IL CERVELLO
B) Impossibilità a Correre
Questo è un sogno molto frustrante. Voglio correre, ma non ci riesco.
Non ha importanza se qualcuno mi stia inseguendo o se voglio sempli-
cemente andare da qualche parte velocemente, non riesco a correre.
Quando si corre è necessario inclinarsi in avanti e quindi nel sogno cer-
co di farlo, ma senza riuscirci. Qualcosa quasi mi spinge all’indietro.
In sogno ho anche fatto il ragionamento che se non riesco a correre in-
clinandomi in avanti allora perché non inclinarmi e correre all’indietro?
In questo modo almeno potrei muovermi. Ciò che accade è che non
riesco neanche ad inclinarmi all’indietro, i piedi sono immobilizzati e
non faccio molti progressi né in avanti né all’indietro. Quando si corre
è necessario anche portare le ginocchia in avanti e in alto, in modo da
spingere indietro, ma non riesco a fare neanche questo. Cosa potrebbe
provocare una tale situazione mentre dormo? Ho scoperto la causa di
questo sogno dopo aver risolto quello della caduta perciò la spiegazione
è stata più facile da scoprire. La spiegazione è arrivata di nuovo appe-
na mi sono svegliato immediatamente dopo il sogno e mi sono ritrova-
to a pancia in giù, sullo stomaco. Eureka! Quando si sta a pancia in
giù non si può cambiare l’angolo del corpo rispetto al letto, non ci si
può inclinare in avanti. Non si possono neanche sollevare le ginocchia
perché c’è il letto di mezzo. Non ci si può inclinare all’indietro perché
la forza di gravità spinge in giù. Questo dimostra di nuovo che quando
si dorme non si ha molto controllo dei muscoli perché se si fosse svegli
sollevare le ginocchia non sarebbe così difficile, anche a pancia in giù.
Dopo aver trovato la spiegazione fui di nuovo in grado di verificarla
diverse volte: quando mi svegliavo ero a pancia in giù. A questo punto
ho iniziato a rendermi conto che forse la maggior parte dei miei sogni
aveva una spiegazione fisica. Tutta la cosa non ha tuttavia molto senso
– perché il cervello non avrebbe saputo che le ginocchia stavano ca-
dendo o che dormivo a pancia in giù? Come poteva fare un sogno così
complesso e ciononostante non essere in grado di capire cose così sem-
plici? Ed ancora, il cervello aveva escogitato una situazione falsa ed era
riuscito a farmela credere mentre dormivo.
5 - LA CAUSA DEI SOGNI ED I M ETODI PER CONTROLLARLI 387
E) Controllare I Sogni
La cosa sbalorditiva dello spiegare questi sogni è stato lo sviluppo di un
qualche controllo su di essi. Dopo essermi pienamente convinto che
ogni spiegazione era corretta questi sogni sono scomparsi! Non potevo
più prendermi gioco di me stesso. Pensare che le ginocchia che cadono
equivalga a cadere da un tetto o da un burrone è chiaramente un pren-
dersi in giro. Una volta capito il meccanismo, il cervello non si lascia
ingannare, sebbene sia abbastanza spento da farlo durante il sonno, ha
ancora abbastanza capacità di riconoscere la verità una volta risolto il
meccanismo.
Ingannare me stesso mi sembrava ancora in qualche modo inverosi-
mile. Dovevo trovare un esempio nella vita reale per potermi convin-
cere che questo tipo di inganno fosse possibile. Fortunatamente ne ho
trovato uno: è quello che fanno i maghi quando si guarda un trucco
5 - LA CAUSA DEI SOGNI ED I M ETODI PER CONTROLLARLI 389
A) Le Emozioni
Il subconscio controlla le emozioni in almeno due modi. Il primo è una
reazione rapida “combatti o fuggi” – una generazione istantanea di rab-
bia o paura. Quando sorge una situazione del genere si deve reagire
più velocemente di quanto si possa pensare, così la mente conscia deve
6 - U SARE I L C ERVELLO S UBCONSCIO 391