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Letteratura italiana Einaudi

Le cene
di Antonfrancesco Grazzini detto il Lasca
Edizione di riferimento:
a cura di Riccardo Bruscagli, Salerno, Roma 1976
Letteratura italiana Einaudi
Letteratura italiana Einaudi
La introduzzione al novellare 1
Prima cena 8
Novella prima 8
Novella seconda 16
Novella terza 22
Novella quarta 29
Novella quinta 34
Novella sesta 49
Novella settima 58
Novella ottava 65
Novella nona 72
Novella decima e ultima 76
Seconda cena 84
Introduzione 84
Novella prima 86
Novella seconda 101
Novella terza 119
Novella quarta 132
Novella quinta 155
Novella sesta 172
Novella settima 184
Novella ottava 196
Novella nona 206
Novella decima 215
Terza cena 226
Novella decima 226
Sommario
Novelle magliabechiane 268
[Novella I]. Della prima cena la nona favola 274
[Novella II]. Della seconda cena la nona favola 292
[Novella III] 319
iv Letteratura italiana Einaudi
Sommario
1 Letteratura italiana Einaudi
LA INTRODUZZIONE AL NOVELLARE
[1] Avevano gi gli anni della fruttifera incarnazione
dellaltissimo figliuol di Maria Vergine il termine passa-
to del MDXXXX, n si erano ancora al cinquanta con-
dotti nel tempo dunque che per vicario di Cristo e per
successore di Piero Pagolo terzo governava la santa Ma-
dre Chiesa, e Carlo quinto Cesare con eterna gloria al-
lentava e stringeva il freno allo antico imperio dellinvit-
to popolo di Marte, e i Galli erano costoditi e retti allora
da Francesco primo serenissimo re di Francia , [2]
quando nella generosa e bellissima citt di Firenze, l
nellultimo di gennaio, un giorno di festa doppo desina-
re, si trovarano in casa una non meno valorosa e nobile
che ricca e bella donna vedova quattro giovani de i pri-
mi e pi gentili della terra, per passar tempo e trattener-
se con un suo carnal fratello, che per lettere e per corte-
sia aveva pochi pari, non solo in Firenze, ma in tutta
Toscana; perci che, oltre laltre sue vert, era musico
perfetto, e una camera teneva fornita di canzonieri scelti
e dogni sorte di strumenti lodevoli; sappiendo tutti quei
gioveni, chi pi e chi meno, cantare e sonare.
[3] Ora, mentre che essi e colle voci e co i suoni at-
tendevano a darse piacere, si chiuse il tempo, e cominci
per sorte a mettere una neve s folta, che in poco dora
alz per tutto un buon sommesso; di maniera che i gio-
vani, ci veggendo, lasciato il sonare e l cantare, di ca-
mera suscirono, e in un bellissimo cortile venuti, si die-
ro a trastullarse colla neve. [4] La qual cosa sentendo la
padrona di casa, la quale era avvenevole e manierosa, le
cadde nellanimo di fare al fratello e a gli altri gioveni
uno assalto piacevole; e prestamente chiam quattro
gioveni donne, due sue figliastre, una sua nipote e una
sua vicina, tutte quattro maritate, che per varie cagioni
e per diversi rispetti si trovavano allora in casa seco, no-
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bili e belle tutte, leggiadre e graziose a meraviglia (le fi-
gliastre avevano i mariti loro, per negozi della mercatu-
ra, uno a Roma e laltro a Vinegia, quel della nipote era
in ufizio e quel della vicina in villa), e disse:
[5] Iho pensato, fanciulle mie care, che noi spaccia-
tamente ce ne andiamo in sul tetto e facciamo in un trat-
to, con tutte le fantesche insieme, un numero grandissi-
mo di palle di neve; e di poi alle finestre della corte ce ne
andiamo e facciamo con esse a quei gioveni che tra loro
combattano, una guerra terribile: essi si vorranno rivol-
gere e risponderci; ma, sendo di sotto, ne toccheranno
tante, che pur una volta si troverranno malconci .
[6] Piacque il parlar suo a tutte quante, s che di fatto
si misero in assetto, e colle fanti andatesene in sul terraz-
zo e indi sopra il tetto, con prestezza grandissima tre
vassoi e due gran paniere empierono di ben fatte e sode
palle, e chetamente ne vennero alle finestre che rispon-
devono sopra il cortile, dove i gioveni, mal governi, tra
loro combattevano ancora: e posato a pi dogni finestra
il suo vassoio o la sua paniera, saffacciarano a un tratto
succinte e sbracciate, e cominciarano di qua e di l a
trarre confusamente a i giovani; i quali quanto meno se
lo aspettavano, tanto pi parve loro il caso strano e me-
raviglioso. [7] E clti allo improvviso, in quel sbito, al-
zando il capo in su, non sappiendo risolverse, stavano
fermi e guardavano; s che di buone pallate toccarono
nelle tempie e nel viso, per lo petto e per tutta la perso-
na. Pur poi, veggendo che le donne facevano daddove-
ro, gridando e ridendo si rivolsero, e cominciarano in-
sieme una scaramuccia la pi sollazzevole del mondo:
ma i gioveni ne andavano col peggio, perch nel chinar-
se erano clti sconciamente, e nello schifare una palla,
laltra gli veniva a investire; e spesse volte avvenne che
alcuni di loro, sdrucciolando, caddero, onde otto o die-
ce pallate toccavano a un tratto; di che le donne faceva-
no meravigliosa festa: e per un terzo dora, quanto bast
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loro la neve, ebbero un piacere incomparabile. E di fat-
to, quella mancata, serrato le finestre se ne andarono a
scaldarse e a mutarse, lasciando i gioveni nella corte a
grido, tutti quanti imbrodolati e molli.
[8] I gioveni, veggendo sparite le donne e le finestre
serrate, subito, lasciato la impresa, se ne tornarano in ca-
mera; dove trovato acceso un buon fuoco, chi attese a
rasciugarse, chi a farse scalzare, chi se ne entr nel letto,
e furonvi di quelli che si ebbero a mutare per infino alla
camicia. Ma, poi che essi furon rasciutti e riscaldati, non
si potendo dar pace dello esser stati dalle donne cos
malconci, pensarano di vendicarsene; e di concordia
tornatisene chetamente nel cortile, sempierono tutti le
mani e l seno di neve, e, credendosi trovar le donne
sprovvedute intorno al fuoco, savviarano pian piano
per assaltarle e fare le loro vendette: ma nel salir la scala
non poterono tanto celarse, che da quelle non fussero e
sentiti e veduti; s che, corse in uno stante, serrarano
luscio della sala; onde i giovani, rimasti scherniti, se ne
ritornarono in camera. [9] E per chegli era gi restato
di nevicare, ragionavano dandare in qualche lato a spas-
so; e mentre che tra loro si disputava del luogo, comin-
ci per sorte, come spesse volte veggiamo che la neve si
converte in acqua, a piovere rovinosamente; di modo
che si risolverono di tarse quivi per la sera: e fatto porta-
re de i lumi, perch di gi sera rabbuiato, e raccendere
il fuoco, si dierono a cantare certi madrigali a cinque vo-
ci di Verdelotto e dArcadelte.
[10] Le donne, poi chelle ebbero scampato la mala
ventura, attendendosi a scaldare, si ridevano di coloro; e
nel ragionare insieme di cose piacevoli e allegre, udirono
per ventura i giovani cantare, ma non discernevano altro
che un poco darmonia; onde, disiderose dintender le
parole, e massimamente alcune di loro che se ne inten-
devano e se ne dilettavano, deliberarano, per consenti-
mento di tutte e daccordo che i gioveni si chiamassero:
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perci che tutti quanti, o per parentado o per vicinanza
o per amicizia, erano domesticamente soliti praticare in-
sieme; e cos la padrona fu fatta messaggera. [11] La
qual cosa i gioveni accettarono pi che volentieri, e colla
donna prestamente ne vennero contentissimi in sala, do-
ve dallaltre donne furono onoratamente e con grandis-
sima allegrezza e onest ricevuti. E, poi che essi ebbero
cantati sei od otto madrigali con sodisfacimento e piace-
re non piccolo di tutta la brigata, si misero a sedere al
fuoco; dove un di quei gioveni, avendo arrecato di ca-
mera un Centonovelle, e tenendolo cos sotto il braccio,
fu domandato da una di quelle donne che libro egli fus-
se: alla quale colui rispose essere il pi bello e il pi utile
che fusse mai stato composto.
[12] Queste disse sono le favole di messer Gio-
vanni Boccaccio, anzi di san Giovanni Boccadoro.
E bene rispose unaltra di loro santo mi piac-
que! , e sogghign.
E perch il giovane aveva bella voce e buona grazia
nel leggere, fu dintorno pregato che qualcuna ne voles-
se dire a sua scelta; ma egli ricusando, voleva che altri
leggesse prima: quando unaltra delle donne, ripigliando
le parole, disse che trre si dovesse una giornata; e cia-
scuno leggendo la sua, atteso che essi erano diece, ver-
rebbe a fornirse che a ogni uno toccherebbe la sua volta.
[13] Piacque assai la proposta di costei; e cos mentre
che si contendeva delle giornate, ch chi voleva la quin-
ta, chi la terza, altri la sesta, altri la quarta e chi la setti-
mana, venne voglia alla donna principale di mettere ad
effetto un pensiero challora allora le era venuto nella
fantasia. E senza dire altro, levatasi dal fuoco, se ne
and in camera, e fattosi chiamare il servidore di casa e
il famiglio, impose loro ordinatamente quel tanto che el-
la voleva che essi facessero; e tornatasene al suo luogo, l
dove ancora, tra la compagnia, della giornata si disputa-
va, con bella maniera e tutta festevole, cos prese a dire:
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[14] Poich la necessit, pi che l vostro senno o il
nostro avvedimento, valorosi giovini e voi leggiadre fan-
ciulle, ci ha qui insieme per la non pensata a ragionare
stasera intorno a questo fuoco condotti, io sono forzata
a chiedervi e pregarvi che mi facciate una grazia: voi uo-
mini, dico, perci che le mie donne, tanta fidanza ho
nella benignit e nella cortesia loro, so che non manche-
ranno di fare quel tanto che mi piacer .
[15] Per la qual cosa, i giovini promettendo tutti e
giurando di fare ogni cosa che per loro si potesse e che
le tornasse commodo, ella seguitando disse:
Voi udite come non pur piove, anzi diluvia il cielo; e
per la grazia che far mi devete sar che, senza partirvi
di qui altrimenti, vi degniate questa sera di cenar meco
domesticamente, e col mio fratello e amicissimo vostro
insieme: intanto la pioggia doverr fermarse; e quando
bene ella seguitasse, gi a terreno sono tante camere for-
nite, che molti pi che voi non ste vi alloggerebbero
agiatamente. [16] Ma intanto che lora ne venga del ce-
nare, ho io pensato, quando vi piaccia, come passare al-
legramente il tempo; e questo sar, non leggendo le fa-
vole scritte del Boccaccio, ancora che n pi belle n pi
gioconde n pi sentenziose se ne possono ritrovare;
ma, trovandone e dicendone da noi, sguiti ogni uno la
sua; le quali, se non saranno n tanto belle n tanto buo-
ne, non saranno anche n tanto viste n tanto udite, e
per la novit e variet ne doveranno porgere, per una
volta, con qualche utilit non poco piacere e contento;
sendo tra noi delle persone ingegnose, soffistiche, astrat-
te e capricciose. [17] E voi, giovini, avete tutti buone
lettere dumanit, siete pratichi co i poeti, non solamen-
te latini e toscani, ma greci altres, da non dover mancar-
vi invenzione o materia di dire: e le mie donne ancora
singegneranno di farse onore. E, per dirne la verit, noi
semo ora per Carnovale: nel qual tempo lecito a i reli-
giosi di rallegrarsi; e i frati tra loro fanno al pallone, reci-
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tano comedie e, travestiti, suonano, ballano e cantano; e
alle monache ancora non si disdice, nel rappresentare le
feste, questi giorni vestirsi da uomini, colle berrette di
velluto in testa, colle calze chiuse in gamba e colla spada
al fianco. [18] Perch dunque a noi sar sconvenevole o
disonesto il darci piacere novellando? Chi ce ne dir
male con verit? Chi ce ne potr con ragione riprende-
re? Stasera gioved e, come voi sapete, non questaltro
che verr, ma quellaltro di poi Berlingaccio: e per
voglio e chieggiovi di grazia che questi altri due gioved
sera vegnenti vi degniate di venire a cenare similmente
con mio fratello e meco; perci che stasera, non avendo
tempo a pensare, le nostre favole saranno piccole; ma
queste altre due sere, avendo una settimana di tempo,
mi parrebbe che nelluna si dovessero dir mezzane, e
nellaltra, che sar la sera di Berlingaccio, grandi. [19] E
cos ciascheduno di noi, dicendone una piccola, una
mezzana e una grande, far di s prova nelle tre guise:
oltre che il numero ternario tra gli altri perfettissimo,
richiudendo in s principio, mezzo e fine .
[20] Quanto il parlare della donna piacesse a gli uo-
mini parimente e alle giovani donne, non che scriverlo a
pieno, non si potrebbe pure immaginare im-parte; e ne
fecero manifesto segno le parole, gli atti e i gesti di tutti
quanti, che non pareva che per la letizia e per la gioia ca-
pessero in loro stessi; l onde la donna seguit, cos di-
cendo:
[21] Egli mi pare di necessit che tutte le cose che si
pigliono a fare, si debbano fare con qualche ordine, a fi-
ne che lo effetto ne sguiti per quello chelle son fatte; e
per questo mi parrebbe, quanto a voi paresse, che non ci
reggessimo non con re o con reina, ma che ci governassi-
mo a guisa di republica: e mi parrebbe ancora, piacendo
nondimeno a voi tutti quanti, che nello essere o prima o
poi al novellare, che la sorte o la fortuna lo disponesse;
[22] e che si togliessero tre borse, e che nelluna fussero
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scritti in plize i nomi vostri e nellaltra quelli di noi
donne, e che nella terza due plize fussero solamente,
una dicesse uomini e una donne, e che di questa ultima il
primo tratto se ne traesse una; e di quel genere che ella
fusse, si cavasse poi o della borsa degli uomini o di quel-
la delle donne, e cos si seguitasse, or delluna or dellal-
tra traendo, per infino allultimo: e di mano immano, a
chi toccasse, si acconciasse al fuoco per oridne a sedere;
e al primo che esce, o donna od uomo, cos per questa
sera .... [23] re, e guardare come la stessa vita, o pi. Ma
lasciando oggimai questo ragionamento, prima che al
novellare di questa sera si dia principio, mi rivolgo a te,
Dio ottimo e grandissimo, che solo tutto sai e tutto puoi,
pregandoti divotamente e di cuore, che per la tua infini-
ta bont e clemenza mi conceda, e a tutti questi altri che
doppo me diranno, tanto del tuo aiuto e della tua grazia,
che la mia lingua e la loro non dica cosa niuna se non a
tua lode a nostra consolazione. [24] E cos, venendo alla
mia favola, la quale, per dare animo a tutti voi e mostrar-
vi come festevoli e gioconde si debbono raccontare, sar
pi tosto che no alquanto lascivetta e allegra .
E seguit dicendo:
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PRIMA CENA
NOVELLA PRIMA
[1] Salvestro Bisdomini, credendosi portare al maestro lorina
della moglie ammalata, gli porta quella della fante sana; e, per
commessione del medico, usando seco il matrimonio, guarisce;
e alla serva, che bisogno ne aveva, d marito.
[2] Non sono per molti anni passati, che in Firenze
fu un valentissimo uomo medico, che si chiam maestro
Mingo; il quale, gi sendo vecchio e dalle gotte tormen-
tato, si stava in casa e per suo passatempo scriveva, a uti-
lit delle persone, qualche volta alcune ricette. [3] Ora
accadde che a un suo compare, chiamato Salvestro Bi-
sdomini, si ammal la moglie; onde colui, avendo molti
medici provato, e niuno avendone n saputo n potuto,
non che guarire, conoscer pure la infermit di colei, se
ne and finalmente al suo maestro Mingo, e gli cont
della moglie tutta la malattia; e di pi gli disse come tut-
ti i medici che lavevano veduta ne avevano fatta mala
giustificanza. [4] Per lo che il maestro, dolente, disse al
compare che molto gliene incresceva, e che avesse pa-
cienza; perch il dolore della morte delle mogli era come
le percosse del gomito, che ben chelle dolgano forte,
passano via spacciatamente; e che non si sbigottisse, ch
non gli ne era per mancare. Ma Salvestro, come colui
che fuor di modo amava e cara teneva la donna, lo pre-
gava pure che le desse e ordinasse qualche rimedio.
[5] Il medico rispondendo diceva:
Se io potessi pure venire a vederla, qualche riparo le
faremmo noi; nondimeno arrecami domattina il segno, e
se io vedr di poterle giovare, non mancar dellobligo
mio ; e fattosi raccontare appunto, e informatosi me-
glio della malattia di colei, gli disse che quella orina ser-
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basse e arrecassegli che dalle diece ore in l fusse fatta
dalla donna, sendo allora l allultimo di gennaio.
[6] Della qual cosa molto ringraziato il maestro, si
part contento Salvestro e tornossene a casa; e la sera
medesima, poi chegli ebbe cenato, disse alla moglie co-
me il segno di lei voleva la mattina vegnente portare al
compare; e le fece intendere come bisognava quello dal-
le diece ore in l.
[7] La donna, volonterosa di guarire, ne fu contenta;
s che Salvestro impose a una fanticella giovane che essi
avevano, di ventidue anni o in circa, che stesse intorno a
cci avvertita e in orecchi; e acconciolle uno oriuolo di
quelli col destatoio, e le comand che tosto sentito il ro-
more badasse, e la prima orina che la donna facesse,
mettesse e guardasse dentro uno orinale; e andatose in
unaltra camera al letto, la lasci colla moglie in guardia,
acci che, se nulla ancora le bisognasse, le potesse ac-
conciamente servire, come era solita di fare. [8] Venne
in tanto lora diputata, e loriuolo avendo fatto il biso-
gno, la fante, che Sandra aveva nome, vegliando tanto
stette che a colei venne voglia dorinare; e raccoltola di-
ligentemente, la mise nello orinale, il quale pose rasente
una cassa, e gittsi sopra il lettuccio a dormire. [9] Ma
venutone il giorno ed ella risentitasi per dare lorina al
padrone, se egli la dimandasse, ne and ratta dove posto
laveva; e trovato, non sapendo come, lorinale, forse da
i topi o dalla gatta sospinto, che aveva dato la volta, e
tutta sera rovesciato lorina, dolente e paurosa rimase; e
non sapendo che scusa si pigliare, temendo di Salvestro,
chera anzi che no sbito un pochetto e bizzarro, dili-
ber, per non aver del romore o forse qualche picchiata,
mettervi dentro la sua; e avendone voglia, pisciandovi,
empi mezzo quello orinale. N stette guari che Salve-
stro venne e domandolle lorina; ed ella, come avete in-
teso, in cambio di quella della moglie inferma, la sua gli
porse dentro lorinale.
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[10] Colui, non pensando altro, sotto il mantello ms-
soselo, ne and volando al medico suo compare; il qua-
le, veggendo il segno, meraviglioso e ammirato ne rima-
se, a Salvestro dicendo:
Costei non mi pare che abbia male alcuno .
Colui diceva pure:
Cos no llavessella! La meschina non si muove di
letto .
[11] Il medico, non veggendo in quella orina segno
alcuno di malattia, al compare rivoltosi, disse, allegando
certe sue ragioni e autorit dAvicenna, che laltra matti-
na voleva rivedere il segno; e cos restati, se ne and Sal-
vestro alle sue faccende, lasciato il maestro di non poca
meraviglia pieno. La sera intanto ne venne, e Salvestro,
tornato a casa e cenato, alla serva medesima, ordinato il
tutto, diede la cura, e andossene a dormire. [12] Ma poi,
scoccato loriuolo e venuto il tempo e colei chiesto da
orinare, e la Sandra riposto avendola, si ritorn a dormi-
re; e a buon ora risentitasi, fra se stessa, pensando len-
tr paura a dosso, dubitando che il padrone nel portare
lorina della moglie ammalata, ella non fusse dal medico
conosciuta, e si pentiva forte daverla il primo tratto
scambiata; temendo poi che Salvestro, adiratosi, non le
facesse confessare il cacio, onde poi la cacciasse via o le
desse qualche buona tentennata. [13] S che risolutasi,
prese per miglior partito di gittar via quella, e di ripi-
sciarvi unaltra volta; e levatasi prestamente, come dise-
gnato aveva, cos fece.
[14] Ella era di Casentino, e come voi sapete, ne i
ventidue anni, basta, ma grossa della persona e com-
pressa e alquanto brunetta; le carni aveva fresche e sode,
ma nel viso colorita e accesa, gli occhi erano grossi, e pi
tosto che no lagrimosi e in fuora, di modo che pareva
che schizzar le volessero dalla testa, e che gittassero fuo-
co: uno scorzone da macinare a raccolta, e un cavallotto,
vi so dire, da cavare altrui dogni fango. [15] Cos venu-
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tane lora, e Salvestro avendo chiesto e da lei avuto lori-
nale, se ne and al medico; il quale, via pi che prima
meraviglioso, assai quella orina guardata e riguardata,
n veggendo altro dntrovi che segno di caldezza, a Sal-
vestro sorridendo disse:
Compare, dimmi per tua fe, quant che tu non
usasti con mgliata il matrimonio?
Colui pensando che il maestro lo burlasse, rispose:
Voi avete buon tempo .
[16] Ma il medico pure ridomandandonelo, rispose
essere pi di due mesi.
Sta bene disse il maestro; e sopra ci pensato al-
quanto, si dispose di volere la terza volta riveder lorina,
e gli disse:
Compare, rallgrati, che io penso aver conosciuto la
infermit della comare, ondio ho speranza agevolmente
e con prestezza rendertela sana; s che domattina ritorna
medesimamente col segno, e io ti ordiner quello che tu
debba fare .
[17] Partisse allegro Salvestro, e alla moglie port la
buona novella, lietamente aspettando e con disio il gior-
no vegnente, per intendere il modo di ritornar sana la
sua cara consorte. Cos la sera, cenato chegli ebbe, stet-
te alquanto intorno alla donna, confortandola; e di poi,
commesso il medesimo alla serva, allusanza se ne and
al letto a riposare. [18] La Sandra, avendo il cervello a
partito, perch non avesse a uscire scandolo, poi che
due volte aveva fatto lo errore, seguit di farlo la terza, e
a Salvestro la mattina diede la sua orina in vece a quella
della moglie: il quale, quanto pi tosto potette, al mae-
stro la port.
[19] Ma il medico, pura e chiara veggendola al solito,
se gli rivolse ridendo, e disse:
Vien qua, Salvestro: a te conviene, se brami, come
par che tu mostri, la salute di mgliata, usare seco il coi-
to; perci che altro non veggio in lei di male, se non so-
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Antonfrancesco Grazzini - Lecene
verchio di caldezza, n altra via o modo ci per sanarla,
che il congiungersi; a che fare ti conforto, quanto pi to-
sto meglio, sforzandoti di servirla gagliardamente: e se
questo non giova, fa conto chella sia spacciata .
[20] Salvestro, intera fede prestando al medico, pri-
messe di fare il bisogno; e lasciollo col nome di Dio,
aspettando con grandissimo disiderio la notte, nella
quale la salute della donna procacciar deveva, e ricove-
ralle la smarrita sanit.
[21] Venne finalmente la sera; ed egli, fatto ordinar
benissimo da cena, volle im-presenza della moglie man-
giare, avendo fatto intorno al letto accomodare un qua-
dro; e con un suo compagno, uomo piacevole e faceto,
motteggiando sempre, cen allegramente. Alla fine, da-
to licenza al compagno, e alla fante detto che se ne an-
dasse a dormire in camera sua, e solo rimasto, in presen-
za della donna si cominci a spogliare, burlando e
ridendo tuttavia.
[22] La moglie, meravigliosa non meno che timida,
attendeva pure la fine di quello che far volesse il marito;
il quale, restato come Dio lo fece, se le coric al lato, e
cominci di fatto, toccandola e stringendola, ad abbrac-
ciarla e a baciarla. A cui la donna, quasi sbigottita, ci
veggendo e sentendo, disse:
[23] Ohim! Salvestro, e che vuol dir questo? Sare-
ste voi mai uscito del cervello? Che ci che voi volete
fare?
Colui, rispondendo, diceva pure:
Sta ferma, non dubitare, pazzerella: io procaccio
tuttavia di guarirti .
E volle, questo detto, acconciarse per salirle addosso;
ma colei, alzando la voce, prese a dire:
Ohim, traditore! A questo modo volete ammazzar-
mi? E non potete avere pacienza tanto che da se stessa
mi uccida la malattia, che sar tosto, senza volere affret-
tarmi con s strano mezzo la morte?
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[24] Come! rispose Salvestro io cerco mantener-
ti in vita, anima mia dolce: questa la medicina al tuo
male: cos mi ha comesso il compar nostro maestro Min-
go, ch sai quanto egli sia intendente fra gli altri medici;
e per non dubitare: sta cheta e salda. Ohim che io ho
la tua salute in mano! Acconciati pure, dolce mio bene,
a riceverla tutta, a fine che, prestamente guarita, esca di
questo letto .
[25] Colei, gridando pure e scotendosi, non rifinava
di riprenderlo e di garrirlo; ma sendo debolissima, dalla
forza e da i preghi del marito si lasci finalmente vince-
re, di modo che il santo matrimonio adempierono: e la
donna, avendo propostosi di stare immobile, come se di
marmo fusse stata, non potette far poi che non si dime-
nasse, e ben le parve, come il marito la strinse, che le
mettesse, comegli aveva detto, la salute in corpo; per-
ch n un tratto sent dileguarse il rincrescimento e laf-
fanno della febbre, la gravezza e la debolezza del capo, e
la lassezza e la stanchezza delle membra, e tornar tutta
scarica e leggera, e col seme generativo gittare insieme la
zinghinaia e tutto il malore. E cos amenduni, fornito il
primo scontro, alquanto presano riposo e lena. [26] Ma
Salvestro, avendo a mente le parole del medico, si messe
in ordine per fare il secondo assalto; doppo il quale non
molto stette, che il terzo menarano a fine, s che stanchi
a dormire si recarono; e la donna, che venti notti inanzi
non aveva mai potuto chiudere occhi, saddorment in-
contanente, e per otto ore non si svegli mai, n si sareb-
be svegliata ancora, se non che, frugandola ilmarito, al
quarto assalto dierono la stretta che gi era d alto; e la
donna si raddorment, e dorm poscia per infino a terza.
[27] Salvestro, levatosi, le port al letto di sua mano
confezzione e trebbiano, come se ella fusse stata di par-
to: la quale pi mangi e pi di voglia la mattina, che
per lo adietro non aveva fatto in otto giorni; di che lietis-
simo il marito ne and al medico, e ogni cosa gli rac-
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Antonfrancesco Grazzini - Lecene
cont per filo e per segno: onde il medico ne rimase
consolato, e confortollo che seguitasse. [28] Salvestro,
da lui partitosi, poi che egli ebbe recato a fine certe sue
faccende, in su lora se ne torn a desinare; e avendo fat-
to cuocere un buono e grasso cappone, colla sua cara
moglie desin allegramente; la quale, riavuto il gusto,
quella volta mangi da sana e bevve da malata. La sera
poi, molto ben cenato, se ne and col suo marito al letto,
non pi dolente e paurosa, ma lieta e sicura della medi-
cina. [29] Cos Salvestro allusato medicandola, e facen-
dole fare buona vita, per non tenervi pi a tedio, in
quattro o in sei giorni si usc del letto, e in meno di diece
ritorn fresca e colorita, e quanto mai per lo addietro
fusse stata, sana e bella. Della qual cosa col marito insie-
me contentissima, ringraziava Dio e la buona avvertenza
e il vero conoscimento del medico suo compare, che, di
quasi morta, renduto le aveva con s dolce mezzo la pro-
spera sanit.
[30] In questo mentre, venutone il Carnovale, accad-
de che una sera doppo cena, sendo Salvestro e la moglie
al fuoco, lieti e pieni di festa canciando e ridendo, la
Sandra, veduto che lo scambio dellorina era stato la sal-
vezza della padrona e il conforto del marito, ogni cosa,
come era seguito, particolarmente raccont loro; di che
meravigliandosi, tanto risero la sera, intorno a cci pen-
sando, che dolevono loro gli occhi. [31] E Salvestro,
non fu prima giorno, che ne and a casa il medico e gli
narr ordinatamente il tutto; il quale, stupito e quasi
fuor di s, considerava il bel caso che era nato; e come
non volendo, anzi quasi per nuocere alla donna, colei
fusse stata cagione di giovarle, e veramente della sanit
sua: e avendo riso un pezzo anchegli, a ognuno che a
casa gli capitava, come per un miracolo raccontava que-
sta piacevolezza: e nelle sue ricette scrisse che a tutte le
malattie delle donne, che fussero da i sedici infino a i
cinquanta anni, quando non si trovasse altro rimedio, e
14 Letteratura italiana Einaudi
che da i medici fussero state disfidate, il coito essere atto
e potentissimo a renderle in breve tempo sane; adducen-
do questo per esempio che nelle sue cure gli era interve-
nuto. [32] E a Salvestro fece intendere che la sua fante,
che di tanto bene gli era stata cagione, bisogno grandis-
simo aveva di marito; e che, senza, potrebbe agevolmen-
te incorrere in qualche strana e pericolosa infermit.
Onde Salvestro, per ristorarla del benefazio ricevuto, la
diede per moglie a uno figliastro dun suo lavoratore da
San Martin la Palma, giovane di prima barba; uno scuri-
scione, vi so dire, che le scosse la polvere e le ritrov le
congenture.
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
15 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
NOVELLA SECONDA
[1] Un giovane ricco e nobile per vendicarse con un suo peda-
gogo gli fa una beffa, di maniera che colui ne perde il membro
virile; e lieto poi se ne torna a Lione.
[2] Non potevano restare le donne e i gioveni di ride-
re della piacevole novella di Ghiacinto, molto lodando
la ricetta del medico intorno alle incurabili malattie del-
le femmine; ma, sappiendo Amaranta a lei dover toccare
la seconda volta, cos sciogliendo le parole, vezzosamen-
te prese a dire:
[3] Veramente che Ghiacinto si pu dire che, per la
prima, una favola ci abbia raccontato: e io, per me, nho
preso piacere e avutone contento meraviglioso; e cos mi
pare che a tutti voi sia intervenuto, se i segni di fuori
possono o della letizia o del dolore di dentro fare alcuna
fede. L onde io sono diliberata, immitandolo, lasciarne
una chio naveva nella fantasia, e unaltra raccontarne
venutami or ora nella mente, che non credo che vi piac-
cia meno, n meno vi faccia ridere . E cominci cos di-
cendo:
[4] Amerigo Ubaldi, come voi bene potete sapere, fu
ne i tempi suoi leggiadro, accorto e piacevol giovane
quanto altro che fusse mai in Firenze; il quale per mala
ventura, vivente suo padre, ebbe nella sua fanciullezza
per guardia un pedagogo, il pi importuno e ritroso che
fusse gi mai, oltre lo essere ignorante e goffo; il quale,
lasciamo andare lo accompagnarlo alla scuola e il ritor-
narlo a casa, non se gli voleva mai levar dintorno: tal
che il povero fanciullo non poteva favellar parola, che il
pedante no lla volesse intendere. [5] Che pi? Messer lo
precettore non aveva altro struggimento che menarselo
dietro e stargli appresso, e lo guardava comuna fanciul-
la in casa, faccendo intendere al padre quanto fusse da
16 Letteratura italiana Einaudi
tenerlo in riguardo, e non gli lasciar pigliar pratiche;
perci che i giovani erano pi che mai scorretti e vlti a i
vizi, e per conseguente inimici delle vert. Tanto che al
fanciulletto, per paura del padre, conveniva conversare
e praticare con compagni sempre o con amici del peda-
gogo, che per lo pi erano tutti o castellani o contadini:
pensate dunque voi, che costumi o buone creanze appa-
rar poteva! E in questa maniera lo tenne da gli undici
per infino a i diciassette anni.
[6] Ma di poi, morendo a Lione uno suo zio, e il pa-
dre sendo cagionevole e attempato, fu costretto andar l
egli per una eredit grandissima, dove stette diece anni;
e praticando a suo piacere con alcuni fiorentini che vi
erano pari suoi, giovani nobili e gentili, s fecesi in breve
costumato e valoroso; e, come colui chaveva spirito, di-
venne intendente ed esperto nella mercatura. Ma in qu-
sto mentre, morendogli quaggiuso il padre, fu forzato
tornarsene a Firenze, dove trov il pedagogo pi bello
che mai, che due suoi fratellini si menava dietro. [7] Ma
poi chegli ebbe le sue cose acconce e divisate in guisa
che stavano bene, volendo a Lione tornarsene, diliber
innanzi tratto di voler cacciar via il pedante che tanto in
odio aveva, considerando quanto tristamente consumar
gli avesse fatto la sua pi fresca e pi fiorita etade senza
un piacere o uno spasso al mondo, e liberare i frategli da
cos fatta soggettitudine e gagliofferia: ma prima qual-
che beffa rilevata fargli, onde per sempre si avesse a ri-
cordar di lui. [8] E seco pensando, gli cadde nellanimo
una fargliene, collo aiuto di certi suo compagni e amici,
che gli sconterebbe gran parte degli avuti piaceri. E ri-
masti quel che di fare intendevano, faccendosi per sorte
allora una comedia nel palagio de i Pitti dalla compagnia
del Lauro e Amerigo sendovi stato invitato, vi men se-
co il pedagogo, che lebbe molto caro.
[9] Ma poi che essi ebbero cenato, e che la commedia
fu fornita di recitarse, Amerigo col precettore e con un
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
17 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
suo compagno si partirono, e in verso il Ponte Vecchio
presero la via, per andarsene a casa dove egli stavano,
nel quartieri di San Giovanni; e cos passando per Por-
santamaria, e in sul canto di Vacchereccia giunti, una
botteguzza videro, che vi stava uno di questi che metto-
no le punte alle stringhe; dirimpetto al quale Amerigo
fermatosi, ridendo, disse al compagno:
[10] Di questo botteghino padrone un vecchietto,
come tu puoi sapere, ritroso, arabico, il pi fastidioso e
l pi fantastico uomo del mondo: io voglio che noi ve
gli pisciamo dentro, e tutto colle masserizie insieme glie-
ne scompisciamo, accioch domattina poi egli abbia di
che rammaricarse .
[11] E, cos detto, per un fesso chera al cominciare
dello sportello, come se stato fusse fatto a posta, messe
lo schizzatoio, e forse fece le vista di pisciare, e doppo
lui il compagno fece il simigliante. S che, voltosi Ameri-
go al pedagogo, disse:
Deh! maestro, per vostra f, guardate se voi nave-
ste voglia, perch tutta gli empiamo la bottega di piscio,
acci che domattina egli levi il romor grande, e arrovel-
landosi dia che ridere a tutta la vicinanza .
[12] I l pedante, veggendo lanimo suo, disse che si
sforzerebbe; e ponzato alquanto, sdilacciandosi la bra-
chetta, cacci mano al pisciatoio; e come i due prima
avn fatto, lo messe per quel buco e cominci a stroscia-
re.
[13] Era l dentro il Piloto, un uomo piacevole e face-
tissimo, il quale aveva ordinato il tutto; e sentito benissi-
mo tutte quante le loro parole, poi che egli conobbe
quello essere il precettore, stando alla posta, con un ca-
po chegli aveva dun luccio secco nelle mani, che i den-
ti ispessi, lunghi e aguzzati aveva il modo che parevan le-
sine, pi che mezzo di cotale prese in un tratto a colui; e
strinse cos piacevolmente, che da lun canto allaltro gli
ne trafisse, soffiando e miagolando come se propriamen-
18 Letteratura italiana Einaudi
te una gatta stata fusse, la quale egli sapeva meglio con-
traffare che altro umo del mondo. [14] Per la qual cosa
il pedagogo messe un muglio grandissimo, dicendo:
Ohim! Cristo, aiutami .
E pensando certamente quella dovere essere una gat-
ta, che preso in bocca gli teneva il naturale, disse quasi
piangendo:
O Amerigo, misericordia! aiuto! ohim, chio son
diserto! Una gatta mi si attaccata al membro, e ham-
melo morto e trafitto, e per disgrazia no llo lascia: io non
so come mi fare: ohim! consigliatemi in qualche modo
.
[15] Amerigo e il compagno avevano tanta voglia di
ridere che non potevano parlare, perci che il Piloto si-
migliava troppo bene un gattone in fregola; l onde il
pedante cominci a dire: Micia, micia, micia, micina
mia ; e in tanto tentava se ella gli lasciasse quella cosa, e
tiravalo a s pian piano. [16] Come il Piloto sentiva tira-
re, cos miagolando gli dava una stretta, e trafiggevaglie-
ne; e il pedagogo succiava e sospirava, e ritornava a dire:
Micia, micia , in quella guisa propio, e con quella af-
fezzione, come se in grembo lavesse avuta e ligiatole la
coda; e im-parte tirava a s un pochetto, e colui lo riser-
rava rimiangolando, e soffiava nella guisa che una gatta
tal volta tener si vede in bocca uccello o carne, che altri
se le accosta per torgliele.
[17] Cos stando il precettore come sentito avete,
Amerigo e l compagno, mostrando avergli compassio-
ne, fecero non so che cenno: onde din sul canto di bor-
go Santo Appostolo uscirono quattro, pieno avendo le
mani di frombole; e cominciarano a tirare alla volta di
costoro. Amerigo e lamico suo non stettero a dire che ci
dato, ma, secondo lordine, si dierono di fatto a fuggi-
re. [18] Il pedante, rimasto preso e attaccato per lo unci-
no da crre i fichi, non sapeva che farse; e coloro traeva-
no a distesa, e gli davano nelle schiene e ne i fianchi le
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
19 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
maggiori sassate del mondo; onde il pedagogo, per non
toccarne una nella testa, che lo ponesse in terra, diliber
di strigarse e disvilupparse da quello impaccio e da
quella noia, andassine ci che volesse. E dato una gran-
dissima stratta alla persona, il piuolo con che Diogene
piantava gli uomini strapp per forza, e cav di bocca a
quel maladetto luccio, ma fieramente scorticato e gua-
sto; perci che tutta la fava vi rimase e parte ancora del
baccello che tutto filava sangue: [19] e gridato quanto
della gola gli usciva: Ohim! io son morto! , con esso
in mano, piangendo dolorosissimamente, si cacci cor-
rendo a fuggire, che pareva che ne lo portasse il trenta-
mila paia di diavoli; avute avendo parecchi sassate delle
buone, a casa giunse quasi allotta dAmerigo. A cui, do-
lente quanto mai poteva, mostr tutto diserto e guasto il
membro, dicendo colle lagrime in su gli occhi:
[20] Ohim! egli restato mezzo tra i denti di quel-
la maladetta gatta, e mi bisogn tirarlo per forza, se non
che coloro mi arebbero lapidato e concio peggio che
non fu santo Stefano ; e dolevasi molto bene de i fian-
chi e delle rene.
[21] Quanta gioia Amerigo e il compagno avessero
mentre che il pedante queste cose raccontava, non da
domandare; pure il meglio che seppero si sforzarono di
racconsolarlo, non potendo qualche volta tenerse di non
ridere. Ma perch gli era gi tardi, se ne andarono al let-
to, lasciando il precettore che non restava di guaire; e
cos fece infino il giorno; il quale venuto, perchegli era
un solenne gaglioffo, se ne and, per non spendere, allo
spedale, dove mostr a i medici il suo male; e narratone
il modo e la cagione, tutti gli fece insieme meravigliare e
ridere: nondimeno gli ebbero grandissima compassione,
giudicandolo male di non piccola importanza. [22] On-
de il pedagogo si rimase quivi per alcun giorno, non
avendo ardire di tornare a casa, acci che la padrona e
madre degli scolari non avesse a vedere s brutta sciagu-
20 Letteratura italiana Einaudi
ra. Ma in capo di pochi giorni, o fusse la inavvertenza o
la straccurataggine o il poco sapere de medici, o fusse
pure la malignit della ferita, quel poco che retato gli era
di quella faccenda infradiciando, fu bisogno, se campar
volle la vita, tagliar via. La qual cosa fatto, di corto guar,
ma rimase, sotto il pettiglione, come la palma della ma-
no; e se orinar volle, fu necessario un cannellino dotto-
ne; salvo che gli rimase una borsa s grande e sterminata,
che di leggeri arebbe fatto la cuffia a ogni gran capo di
toro. [23] Ma volendo ritornarsene a casa i padroni, fu
dalla madre de suoi discepoli, dicendogli una grandissi-
ma villania e faccendogli suo conto e pagatolo, cacciato
di subito via, come aveva ordinato Amerigo. Per la qual
cosa il pedante, sbigottito, fuor di quella casa trovando-
si, della quale prima gli pareva esser padrone, e senza
naturale, diliber di non stare pi al secolo, e fecesi ro-
mito del sacco. [24] Amerigo, che il terzo d doppo che
al pedagogo segu lorribil caso se ne era andato a Lione,
fu dal compagno del tutto pienamente ragguagliato; del-
la qual cosa seco stesso fece meravigliosa festa, parendo-
gli che la beffa avesse avuto miglior fine che saputo non
arebbe domandare, mille volte raccontandola in mille
luoghi, che a pi di mille dette pi di mille volte materia
da ridere.
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
21 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
NOVELLA TERZA
[1] Lo Scheggia collaiuto del Monaco e del Pilucca fa una bef-
fa a Geri Chiaramontesi, di maniera che disperato e sconosciu-
to si parte di Firenze, dove non ritorna mai se non vecchio.
[2] Se la favola di Ghiacinto aveva fatto ridere la bri-
gata, questa dAmaranta no lla fece rider meno; pure a
qualcuno incresceva del misero pedante, parendogli che
Amerigo avesse messo un po troppa mazza; per lo che
Florido, che doppo la donna sedeva, con allegra fronte e
quasi ridendo, disse:
La novella raccontata me nha fatto tornare una nel-
la memoria, dove una beffa similmente si contiene, ma
fatta a uno che era solito di farne a gli altri, e per gli
stette tanto meglio .
[3] Fu dunque in Firenze, al tempo dello Scheggia,
del Monaco e del Pilucca, che furono compagni e amici
grandissimi, faceti e astuti e gran maestri di beffare al-
trui, un certo Geri Chiaramontesi, nobile e assai bene
stante, ma sturato e sagace quanto alcuno altro uomo
che fusse allora nella nostra citt; e non fu mai persona
niuna che pi di lui si dilettasse di fare beffe e giostrare
altrui. E qualche volta, anzi bene spesso, si trovava co i
tre sopradetti compagni a desinare e a cena in casa mes-
ser Mario Tornaquinci, cavaliero spron doro assai ricco
e onorevole; e a suoi d aveva fatto loro mille giarde e
natte senza che mai potesse venir lor fatto di vendicarse-
ne; della qual cosa era lo Scheggia sopratutto scontentis-
simo, e sempre seco stesso mulinava cntrogli.
[4] E cos, tra laltre, ritrovandosi una sera in camera
del cavalieri sopradetto e cicaleccio intorno a un buon
fuoco, perci che gli era nel cuor del verno, e avendo in
fra loro di molte e varie cose ragionato, disse Geri allo
Scheggia:
22 Letteratura italiana Einaudi
Eccoti uno scudo doro; e va ora in casa la Pellegri-
na Bolognese (che era in quei tempi una famosa corti-
giana) cos vestito come tu sei: ma tigniti, o con lo in-
chiostro o con altro, solamente le mani e l viso, e dalle
questo paio di guanti senza dirle cosa alcuna .
[5] Rispose lo Scheggia allora e disse:
Eccone un paio a voi, e andate tutto armato darme
bianca con una roncola in spalla infino in bottega di
Ceccherino merciaio; il quale stava allora in sul canto
di Vecchereccia, dove si ragunavano quasi tutti i primi e
i pi ricchi giovani di Firenze.
Di grazia ridendo rispose Geri da pur qua gli
scudi.
[6] Son contento rispose lo Scheggia ma udite: io
voglio che a quelle persone che vi saranno, mostrandovi
adirato, facciate una gran bravata, minacciando di voler-
le tutte tagliare a pezzi.
Lascia pur fae a me seguit Geri: venghino pure
i danari .
Allora lo Scheggia si cav due scudi nuovi della bor-
sa, e disse:
Eccogli im-pegno qui al cavalieri: fornito che voi
arete lopera , siansi vostri .
[7] Geri, allegro, pensando di cavargli delle mani due
fiorini (che lo aveva pi caro che da un altro diece, per
poter poi schernirlo e uccellarlo a suo piacere), comin-
ci subito a fare aiutarse vestire larmadura, sendone al-
lora tante in casa il cavalieri charebbero armati cento
compagni; perci chegli era amico grandissimo di Lo-
renzo vecchio de Medici, che governava Firenze [8]. In
questo mentre che Geri sarmava, lo Scheggia, chiamato
il Monaco, e l Pilucca da parte, disse loro quel che far
dovessero, e avvigli fuori, e cianciando col cavalieri sta-
va a vedere armar colui, il quale fu fornito dassettarse
appunto che sonavano le due ore. Nel fine, allacciatosi
lelmo, si mise la roncola in spalla e tir via alla volta del-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
23 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
la bottega di Ceccherino; ma camminar gli conveniva
adagio, s per lo peso dellarme, e s rispetto a gli stinieri;
perci che, sendogli alquanto lunghetti, gli mpedivono
lo alzare e il muovere il piede. [9] Intanto il Monaco e il
Pilucca erano andati a far lufizio, luno in bottega del
merciaio e laltro in su la scuola del Grechetto, che inse-
gnava allora schermire nella torre vicina a Mercato Vec-
chio; i quali in presenza alle persone affermavano con
giuramento Geri Chiaramontesi essere uscito del cervel-
lo (cos stati indettati dallo Scheggia), e che in casa egli
aveva voluto ammazzar la madre, e in un pozzo gettato
tutte le masserizie di camera; e come in casa il cavalieri
dei Tornaquinci sera armato tutto darme bianca, e pre-
so una roncola aveva fatto fuggire ognuno. [10] E il Pi-
lucca, chera andato alla scuola della scherma, disse
chegli aveva nella fine detto che voleva andare a bottega
a bastonare Ceccherino di santa ragione; tal che la mag-
gior parte di quei giovani si partirono per veder questa
festa, non avendo molto a grado quel merciaio, per lo
essere egli arrogante, prosuntuoso, ignorante e dappo-
co; e una linguaccia aveva la pi traditora di Firenze;
pappatore e leccatore, non dico: nondimeno con tutto
ci aveva sempre la bottega piena di giovani nobili e
onorati, a i quali il Monaco raccontava anchegli le me-
raviglie e le pazzie di Geri. [11] Il quale da casa il cava-
lier partitosi, che stava da Santa Maria Novella, non sen-
za meraviglia e riso di chiunque lo vedeva sera condotto
gi alla bottega di Ceccherino: nella quale a prima giun-
ta dato una spinta grandissima, e spalancato lo sportello,
entr furiosamente dentro cos armato, nella guisa che
voi avete inteso; e gridando: Ahi traditori, voi siete
morti! , inalber la roncola.
[12] Coloro, per la sbita venuta, per la vista delle ar-
mi, per lo grido delle parole minacciose, e per veder la
roncola per laria, ebbero tutti una grandissima paura; e
di fatto chi si fugg nel fondaco, chi si nascose nella mo-
24 Letteratura italiana Einaudi
stra, chi ricover sotto le panche e sotto il desco, chi gri-
dava, chi minacciava, chi garriva, chi si raccomandava:
un trambusto era, il maggiore del mondo.
[13] Lo Scheggia, che gli era venuto dietro sempre al-
la seconda, subito che lo vide vicino alla bottega di Cec-
cherino, simosse a corsa e ne and volando in Porta
Rossa, dove faceva arte di lana Agnolo Chiaramontesi
suo zio, uomo vechio e cittadin riputato e di buon credi-
to; e gli disse che corresse tosto in bottega di Ceccherin
merciaio, dove Geri, che era uscito di s e impazzato, si
trovava tutto armato e con una roncola in mano, acci
che egli non facesse qualche gran male. [14] Agnolo,
che non avendo figliuoli voleva grandissimo bene al ni-
pote, rispose:
Ohim! Che mi di tu?
I l vero disse lo Scheggia, e soggiunse: Tosto,
ohim! tosto, venite via; ma chiamate quattro o sei di
quei vostri lavoranti di palco, a fine che si pigli e leghisi,
e cos legato si conduca a casa: dove stando al buio tre o
quattro giorni, che niuno li favelli, ritorner agevolmen-
te in cervello .
[15] Colui, non gli parendo e non essendo uomo da
esser burlato, credette troppo bene alle parole dello
Scheggia; e sbito, chiamati sei tra battilani e divettini,
de i pi giovani e pi gagliardi, con due paia di funi ne
and via battendo alla bottega di Ceccherino, quindi
poco lontana; dove trov Geri, che aveva condotto colo-
ro per mala via, e stavano colle febbri di non toccar
qualche tentennata. [16] E Geri, gongolando fra s, fa-
ceva loro una tagliata e uno squartamento che si sarebbe
disdetto al Bevilacqua, girando intorno con quella ron-
cola, ma guardando sempre a crre dove potesse far lo-
ro assai paura e poco danno. Quando il zio, entrato den-
tro, avendolo di fuori conosciuto alla voce, se gli scagli
di fatto addosso; e messagli la mano in su la roncola,
grid:
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
25 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
[17] Sta forte: che vuoi tu far nipote mio? E a co-
loro, che menati aveva seco, vltosi, disse: Su, voi: to-
glietegli larme, tosto gittatelo in terra e legatelo presta-
mente .
Coloro se gli scagliarano subito addosso; e presolo,
chi per le gambe, chi per le braccia e chi per lo collo, lo
distesero in un tempo in su lammattonato, che egli non
ebbe agio a fatica di poter raccr lalito; e gridando ad
alta voce: Che fate voi, traditori! Io non son pazzo! ,
potette rangolare, ch essi gli legarano le braccia e le
gambe di maniera, che non poteva pur dar crollo: e tro-
vato una scala, ve lo accomadarano sopra, legato aven-
dolo suvi di buona sorte, acci che egli non se ne gittas-
se a terra. [18] Lo Scheggia, da parte recatosi, e
udendolo in quella guisa guaire, minacciare e bestem-
miare, aveva una alegrezza s fatta che egli non capriva
nella pelle. Le genti, cherano fuggite e nascostesi, sen-
tendo e veggendo che gli era legato il pazzo, si facevano
avanti; e riguardandolo da presso, a tutte ne incresceva,
e lo dimostravano chiaramente co i gesti e colle parole.
[19] Pensate voi se Geri dunque, superbissimo di na-
tura e bizzarro, si rodeva dentro: e non restando di gri-
dare n di minacciare, non se ne accorgendo faceva il
suo peggio. Agnolo, fatto pigliar la scala da quei suoi
garzoni e lavoranti, e gittatogli una cappa sopra, ne lo
fece portare a casa, dove il Monaco correndo era anda-
to, e ragguagliato dogni cosa la madre, dalla quale pian-
gendo fu ricevuto; ed ella e l zio lo fecero mettere in ca-
mera principale sopra il letto, cos legato comegli era,
dispostisi per infino alla mattina non gli dire e non gli
dare niente, e di poi, chiamati i medici, governarsene se-
condo che vedranno il bisogno: cos per consiglio dello
Scheggia fu conchiuso, e ognuno doppo si part.
[20] Erasi intanto sparto di questo fatto la voce per
tutto Firenze, e lo Scheggia e i compagni lieti se ne an-
darano a trovare il cavaliere, al quale ordinatamente tut-
26 Letteratura italiana Einaudi
to il successo raccontarono, che nebbe allegrezza e
gioia grandissima. E perch gi erano quattro ore sona-
te, si stettero seco a cena, senza avere colui dintorno
che rompesse loro la testa. [21] Restato dunque solo e al
buio in su quel letto legato come fusse pazzo, il male ac-
corto Geri, cavato lelmo e gli stinieri solamente, e co-
perto benissimo nondimeno, stette buona pezza cheto; e
seco stesso discorso e ripensato la cosa molto bene, fu
certo come per opera dello Scheggia era condotto in
quel termine, e dal zio e dalla madre, anzi da tutto Fi-
renze, tenuto per pazzo: onde da tanto dolore e cos fat-
to dispiacere fu soprappreso, che, se egli fusse stato libe-
ro, arebbe o a s o ad altri fatto qualche gran male. [22]
Cos senza dormire e pien di rabbia sendo dimorato infi-
no a mezza notte, fu assaltato dalla fame e dalla sete; per
lo che, gridando quanto egli ne aveva nella gola, non re-
stava di chiamare or la madre or la serva, che gli portas-
sero da mangiare e da bere: ma potette arrovellarse, ch
elle fecero sembiante sempre mai di no llo sentire. La
mattina poi, a due ore di giorno, o in circa, venne il zio
in compagnia dun suo fratel cugino, frate di San Marco,
e di due medici, allora i primi della citt. [23] E aperto
la camera, avendo la madre un lume in mano, trovarono
Geri dove la sera lo avevono lasciato; il quale dal disagio
del tanto gridare, dal non avere n mangiato n bevuto
n dormito, era indebolito di sorte, che egli era tornato
mansueto come uno agnellino: alla venuta de i quali, al-
zando la testa, umanamente gli salut, e appresso gli
preg che fussero contenti, senza repricargli altro,
dascoltarlo cento parole e di udire le sue ragioni. [24]
Onde Agnolo e gli altri cortesemente risposto che dices-
se ci che egli volesse, egli incominci: e fattosi da capo,
ordinatamente narr loro tutta la cosa di punto in pun-
to, affermando come lo Scheggia lo aveva tradito, e fat-
tolo tenere e legare per matto; e poi soggiunse:
Se voi volete chiarirvi affatto, andate cost in casa il
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
27 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
cavaliere de Torniquinci nostro vicino, e vedrete che
egli ha ancora i duoi scudi in diposito .
[25] Il zio e i medici, udendolo favellar s saviamente,
e dir cos bene le sue ragioni, giudicarano che egli dices-
se la verit, conoscendosi assai bene chi fusse lo Scheg-
gia. Pur, per certificarse meglio, Agnolo, il frate e uno di
quei medici, andatisene al cavaliere, trovarano esser ve-
ro tutto quello che Geri aveva detto: e di pi disse loro
messer Mario come lo Scheggia e i compagni, cenato la
sera seco, ne avevano fatto le maggiori risa del mondo.
[26] S che, ritornati in uno stante, il zio si vergognava; e
di sua mano scioltolo e disarmatolo e chiestoli perdono,
tutta la broda versava addosso allo Scheggia, contro al
quale si accese di sdegno e di collora grandissima. Geri,
dolente fuor di modo, fece tosto accendere un gran fuo-
co; e ringraziati e licenziati tutti coloro, si fece portare
da mangiare: e fatto che egli ebbe una buona collezione,
se ne and nel letto a riposare, ch naveva bisogno.
[27] La cosa gi, per bocca de i tre compagni e dei
medici, si sapeva per tutto Firenze s come ella era segui-
ta appunto; e ne and per infino a gli orecchi del Magni-
fico, il quale, mandato per lo Scheggia, volle intendere
ogni particolarit: il che poi risapendo Geri, venne in
tanta disperazione, che egli fu tutto tentato di dar loro, e
massimamente allo Scheggia, un monte di bastonate, e
vendicarsene per quella via. [28] Ma poi, considerando
che egli ne aveva fatte tante a loro e ad altri, che troppa
vergogna e forse danno gliene risulterebbe, diliber di
guidarla per altro verso; e senza fare intendere a persona
viva, fuor che alla madre, se ne and a Roma e quindi a
Napoli, dove si pose per scrivano duna nave, della qua-
le poi in processo di tempo dovent padrone; e non
torn mai a Firenze se non vecchio, che la cosa sera sdi-
menticata. Lo Scheggia, riavuti i due fiorini dal cavalie-
re, attese co i compagni a far buon tempo, lietissimo so-
prattutto di aversi levato colui dinanzi a gli occhi.
28 Letteratura italiana Einaudi
NOVELLA QUARTA
[1] Giannetto della Torre, con accorte parole trafiggendo la in-
solenza dun prosuntuoso, gli fa conoscere la sua arroganza, e
libera s e altri.
[2] Tosto che Florido, fornendo le parole, diede fine
alla sua novella, risa e commendata da ciascuno, Gala-
tea, non men bella e vaga che cortese e piacevole, con
leggiadra favella, seguitando, disse:
Vezzose donne e vertuosi giovani, poscia che a me
conviene ora colla mia novella trattenervi, prendendo
occasione dalle tue sopradette, una ve ne raccontar an-
chio duna beffa, ma non tanto rigida quanto la prima, e
meno villana che la seconda, dove altro non accadde che
parole e risa, per fare accorto e avvertito un prosuntuo-
so dello errore suo . E soggiunse dicendo:
[3] I beoni, i pappatori, i tavernieri, e quegli final-
mente che non attendono ad altro che a empiere il ven-
tre, e che fanno professione e dintendersi de i vini e di
conoscere i buoni bocconi, come voi dovete sapere, la
maggior parte sono di non troppo buna vita e poveri:
perci che, stando tutto il giorno in su le taverne, consu-
merebbero, come si dice, la Turpea di Roma; e cos son
quasi tutti rovinati e falliti, trovandosi in capo dellanno
aver pegno il fiorino per diece lire. [4] Ritrovandosi
dunque questi tali spesso insieme a desco molle, beendo
e mangiando, a far buona cera, avviene che quando per
lo troppo tosto o per lo soverchio bere e mangiare, per
le parti di sopra o per quelle di sotto senza rispetto alcu-
no sventolare si sentono, hanno un cotal proverbio o ri-
bobolo, dicendo sempre: Alla barba di chi non ha de-
bito , sendo certissimi di non offendere nessuno di
loro, n altri ancora che livi intorno fussero.
[5] Onde a questo proposito vi dico che nella nostra
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
29 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
citt gi furono alcuni giovani in una compagnia, nobili
e ricchi e costumati, i quali usavano spesso, ora in casa
uno, ora in casa un altro, cenare allegramente, pi per
ritrovarse insieme e ragionare, che per cura o sollecitu-
dine dempire il corpo dottimi vini e di preziose vivan-
de; non per che non stessero onoratamente e da par lo-
ro. [6] Ed erano appunto tanti, che, faccendo ognuno la
sua cena, tutta ingombravano la settimana, che a ciascu-
no toccava la sua volta; e di poi, ripigliando, continova-
vano dimano i mmano; e a colui che faceva la cena era
lecito solamente poter menare chi gli veniva bene: a gli
altri conveniva andar soli.
[7] Ora accadde che, sendo la prima volta stato invi-
tato un giovine, amico di tutti, Dionigi nominato, senze
esser poi da nessuno altro stato rinvitato, non lasciava
mai di non rappresentarse: e per sorte era il pi ignoran-
te e prosuntuoso giovine di Firenze, e colui che i pi de-
boli e sciocchi ragionamenti aveva che uomo del mon-
do; e per dispetto sempre tener voleva il campanuzzo in
mano, n diceva altro mai se non che il non aver debito
faceva solo gli uomini felici, e come non si pu trovare
n il maggior contento n la maggior dolcezza; e che egli
ringraziava Dio che si trovava senza avere un debito al
mondo, n mai averne fatto, n animo mai di volerne fa-
re. [8] E ogni volta che eglino si ritrovavano insieme fa-
ceva una filastrocca lunga lunga di questo suo non aver
debito, che troppo gran fastidio arrecava a gli orechi di
coloro; di modo che egli era venuto a tutti in odio, e lo
avevano pi a noia che l mal del capo. [9] Nondimeno
per lo esser egli figliuolo dun gran cittadino e in quegli
tempi assai riputato, niuno ardiva di dirli cosa alcuna al-
la scoperta, bench mille bottoni avessero sputato e mil-
le volte datogli attraverso: ma egli, o non intendendo o
faccendo le vista di non intendere, badava a tirrare inan-
zi: onde tutti ne stavano dolorosi e malcontenti, aspet-
30 Letteratura italiana Einaudi
tando pure che da lui venisse la discrezione, che nella fi-
ne, vergognandosi, si levasse loro dintorno.
[10] Ora avvenne che, toccandola volta a un giovane
che si faceva chiamare Giannetto della Torre, avveduto
molto e faceto, fece seco pensiero di far prova di levarsi
colui dinanzi a ogni modo: e fra s pensato quel tanto
che fare intorno a ci volesse, trovato uno de i compagni
suoi, e il tutto conferitogli, lo preg che aiutar lo volesse,
e mostrgli ci che a fare e a dire aveva. [II] Cos venu-
tane lora della cena, e i giovani ragunatisi al luogo dipu-
tato, quasi in sul porsi a tavola eccoti giungnere allusan-
za, senza essere stato invitato, il buon Dionigi, con una
prosopopea come se egli fusse stato il padrone di tutti; e
arrogantemente, rompendo loro i ragionamenti, entr in
su le sue cicalerie. [12] Ma Giannetto, sendo le vivande
a ordine, fece dar lacqua alle mani; e Dionigi il primo si
pone a mensa, e arrecssi di dentro, dirimpetto appunto
a una porta dun giardino, donde spirava sempre un
soave venticello, acci che la freschezza di quello di
temperasse alquanto il soverchio caldo, sendo appunto
allora nel colmo della state. [13] Egli era molto bel cero,
e aveva una delle belle, ben composte e coltivate barbe
che fussero, non pure in Firenze ma in tutta Toscana,
nera e assai lunga. Ed essendo poi gli altri di mano i
mmano a tavola postisi, e mangiando gi i poponi, Dio-
nigi, avendone tolto una fetta e bevuto un tratto, come
colui che non troppo gli andavano a grado, cominci fa-
vellando a entrare in su la beatitudine del non avere n
mai avere avuto debito; e sera appunto dirizzato in su la
pesta, quando Giannetto, dato locchio al compagno,
cominci a turarsi il naso, e cos fece colui; i quali a bel-
la posta savevano messo i mmezzo Dionigi. Onde luno
prese a dire:
[14] Che puzzo sentio?
Rispose laltro:
Il pi corrotto che si sentisse gi mai: egli non sa di
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
31 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
tanto tristo odore un carnaio, e ne disgrazio l dietro
Mercato Vecchio .
I compagni, meravigliandosi, non sentendo altro odo-
re che soliti fussero, stavano, guardandosi lun laltro,
come smemorati, attendendo che fine dovesse avere la
cosa; quando Dionigi, quasi in collora, veggendo coloro
turarse il naso, e cos sottocchi guardar pure inverso lui,
disse:
[15] Sarei mai io che putissi? che voi mi guardate
cos fiso?
Se io non credessi che voi ve ne adiraste rispose
Giannetto con licenza nondimeno di questi altri buon
compagni, direi veramente la cagione di questo tanto
puzzo .
Allora Dionigi, come colui che era tutto il giorno in
sul corpo alle dame, lascivetto e snello, tutto profumma-
to e pulito, rispose:
Di, di, di pure: non aver rispetto alcuno .
[16] Soggiunse dunque Giannetto:
Poich vi piace, io la dir , e seguit: Cotesta
barba quella che tanto pute, e s corrottamente.
Perch? rispose Dionigi , e che vuol dire?
Ascoltatemi, e intenderetelo soggiunse colui; e
disse: [17] Tutti coloro che frequentano le taverne e
che vi si trovano continovamente a bere e a mangiare, i
pi sono uomini di pessimi costumi, disonesti e sporchi,
e, con reverenza della tavola, non hanno riguardo alcu-
no di lasciare andare o da basso o da alto; anzi vitupero-
samente danno aiuto e forza a i rutti e alle coregge, alla
fine delle quali quasi sempre dicono: Alla barba di chi
non ha debito. [18] Ora dunque, secondo le parole vo-
stre, non avendo voi debito n mai avutone, credo vera-
mente che voi siate solo in Firenze; e cos, avendo tanto
folta e bella barba, tutte le coloro vituperose bestemmie
vi vengono, e nella vostra barba giungono, e vi si appic-
cano di maniera che non vi pelo che non abbia il suo
32 Letteratura italiana Einaudi
rutto e la sua coreggia. Onde ella pute tanto di reciticcio
e di merda, che non vi si pu stare appresso: [19] s che
non vi meravigliate pi del nostro turarci il naso; e fare-
ste bene, per onor di voi prima, e poi per benefizio no-
stro, a non vi ritrovar pi alle nostre cene; se gi voi non
veniste o raso o veramente con debito .
[20] Alla fine delle cui parole tanto abbondarano le
risa alla brigata, che vi fu pi duno che si ebbe a levar
da tavola e sfibbiarse; e a pi duno vennero gi le lari-
me da gli occhi, veggendo massimamente star Dionigi
che pareva uno orso, e non poteva per la collora e per la
rabbia risponder parola; e veggendo parimente ognuno
ridere, cheto cheto si lev da tavola, avendo fatto un ca-
po come un cestone; [21] e preso la cappa, senza dir
nulla a persona, sdegnoso sand con Dio, non sendo
ancor venute in tavola le insalate: e tanto fu lo sdegno e
lodio che egli ne prese, che per lo inanzi non si volle
mai pi trovare con esso loro, e non favell mai a nessu-
no, e massimamente a Giannetto.
[22] I giovani lietamente finirono di cenare, e colle ri-
sa fornito doppo i loro piacevoli ragionamenti, se ne tor-
narano alle loro case allegri e contenti, che con s bella
burla e piacevole invenzione mordendo e riprendendo
Giannetto leggiadramente la ignoranza e la prosunzione
di Dionigi, tolto avesse loro da gli orecchi cos fatta sec-
caggine.
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
33 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
NOVELLA QUINTA
[1] Guglielmo Grimaldi una notte, ferito, corre in casa Fazio
orafo, e quivi si muore: al quale Fazio maliziosamente ruba una
grossa somma di ducati, e, sotterratolo segretamente, finge,
perchegli era anche alchimista, daver fatto ariento, e vassene
con esso in Francia; e fatto sembiante daverlo venduto, in Pisa
ricchissimo torna. Poi per gelosia della moglie accusato, perde
la vita, ed ella doppo ammazza i figliuoli e se stessa.
[2] Non s tosto si tacque Galatea, alla fine venuta
della sua corta favola, ma piaciuta per altro e lodata da
tutti, che Leandro, girato gli occhi intorno e dolcemente
la lieta brigata rimirato:
Cortesi fanciulle disse e voi innamorati giovani,
poich il Cielo ha voluto (forse dal nome fitto col quale
voi mi chiamate, atteso che chi lebbe daddovero capit
male mentre che, notando, andava alla casa della sua
amata donna) o altra qualsivoglia cagione, che io, contro
a mia voglia, degli sfortunati avvenimenti altrui e infelici
faccia primieramente fede, sono contento, con una delle
mie novelle, un doloroso e compassionevol caso e vera-
mente degno delle vostre lagrime farvi udire, fiero e spa-
ventevole quanto altro forse, o pi, che intervenisse gi
mai. [3] E quantunque egli non accadesse n in Grecia
n in Roma n a persone dalta progenie o di regale stir-
pe, pure cos fu appunto come io ve lo raccontar: e ve-
drete che nelle umili e basse case, cos come ne i superbi
palagi e sotto i dorati tetti, il furore tragico ancora alber-
ga; e per cagione duna femmina, ancora che ella non
fusse n imperadrice n reina n principessa, disperata e
sanguinosa morte del marito, de i figliuoli e di se stessa
nacque. Ascoltatemi dunque . E cominci dicendo:
[4] Leggesi nelle storie pisane come anticamente ven-
ne ad abitare in Pisa Guglielmo Grimaldi, confinato da
Genova per le parti: il quale, giovine ancora di ventidue
34 Letteratura italiana Einaudi
anni, con non molti danari, tolto una casetta a ppigione
e sottilmente vivendo, cominci a prestare a usura. [5]
Nella quale arte guadagnando assai, e spendendo poco,
in breve tempo dovent ricco: e perseverando, in spazio
di tempo ricchissimo si fece, sempre co i denari crescen-
dogli insieme la voglia di guadagnare: intanto che, vec-
chio trovandosi con parecchi migliaia di fiorini, non ave-
va mai mutato casa, e per masserizia tuttavia stato solo, e
questi suoi denari, non fidando a persona, guardava in
casa con mirabile diligenza, e cotanto amore aveva posto
loro, che non arebbe con uno scudo campato un uomo
da morte a vita: di maniera che egli era mal voluto e
odiato da tutta Pisa.
[6] Ora, menando questa vita Guglielmo, accadde
che una sera, avendo egli con certi suoi cenato fuor di
casa sua, nel tornarsene poi, sendo di notte un buon
pezzo e buio come in gola, fu o per malevoglienza, o
clto in cambio , affrontato e ferito dun pugnale sopra
la poppa manca: onde il poverello, sentitosi ferito, si
misse a fuggire. In quello stante si ruppe appunto il tem-
po, e cominci a piovere rovinosamente; intanto che,
avendo egli corso pi duna balestrata e gi tutto molle,
veduto uno uscio aperto e l dentro risplendere un gran
fuoco, entr in quella casa. [7] Nella quale stava un Fa-
zio orafo, ma di poco tempo sera dato allalchimia, die-
tro alla quale consumato aveva gran parte delle sue so-
stanze, cercando di fare del piombo e del peltro ariento
fine; e questa sera, acceso un grandissimo fuoco, atten-
deva a fondere, e per lo caldo, sendo allora di state, te-
neva luscio aperto: s che, sentito il calpestio di colui, si
volse di fatto e, conosciutolo, subito gli disse:
[8] Guglielmo, che fate voi qui a questotta e a que-
sto tempaccio strano?
Ohim rispose Guglielmo , male: io sono stato
assaltato e ferito, n so da chi n perch ; e il dire que-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
35 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
ste parole, il posarsi a sedere e il passar di questa vita fu
tutto una cosa medesima.
[9] Fazio, veggendolo cadere, maraviglioso e pauroso
fuor di modo, si mise a sfibbiargli lo stomaco e a solleva-
re e a chiamar Guglielmo, pensando essergli venuto
qualche sfinimento. Ma, no llo sentendo muovere n
battergli polso e trovatogli poi la ferita nel petto e di
quella, per la malignit, non uscito quasi sangue, ebbe
per certo che egli fusse, come egli era veramente, morto:
tal che sbigottito corse incontanente alluscio per chia-
mar la vicinanza, ritrovandosi per sorte in casa solo, per-
ci che la moglie con due suoi figliolini maschi di cinque
anni o in circa, nati a un corpo, era a casa suo padre an-
data, che stava per morire. [10] Ma poi, sentendo forte-
mente piovere e tonare e non veggendosi per le strade
un testimonio per medicina, dubitando di non essere
udito, si rest: e mutato in un tratto proposito, serr
luscio e tornssene in casa. E la prima cosa aperse la
scarsella di colui, per vedere come vera drento danari; e
trovovvi quattro lire di moneta, e tra molto ciarpame di
pochissimo valore un gran mazzo di chiavi, le quali si av-
vis dovere aprire luscio da via e dipoi tutte le stanze, le
casse e i forzieri di casa Guglielmo; il quale, secondo la
publica fama, pensava essere ricchissimo, e soprattutto
di danari secchi, e quegli avere appresso di s. [11] L
onde, sopra ci discorrendo e pensando, gli venne nella
mente, come colui che astuto e sagacissimo era, di fare
un bellissimo colpo alla vita sua, e seco stesso disse:
Deh! perch non vo io con queste chiavi or ora a ca-
sa costui, dove son certo che non persona nata? Chi mi
vietr dunque che io non prenda tutti i suoi danari e
chetamente gli arrechi qui in casa mia? [12] Egli, per
mia buona sorte, piove, anzi rovina il cielo: la qual cosa
fa che niuno (oltre che gli gi valica mezza notte) vadia
attorno, anzi ognuno si sta rinchiuso al coperto, e dorme
nelle pi riposte stanze della casa. Io sono in questa casa
36 Letteratura italiana Einaudi
solo; e colui che ha ferito Guglielmo dovette, dato che
gli ebbe, fuggir via e nasconderse, e di ragione no llo ar
veduto entrare qua entro: e se io so tacere, e di questo
fatto non ragionar mai con uomo vivente, chi potr mai
pensare che Guglielmo Grimaldi sia capitato qua ferito,
e in questa guisa morto? Domenedio ce lha mandato
per mio bene. [13] E chi sa anche, se dicendo io di que-
sta cosa la stessa verit, mi fusse creduto? Forse si pen-
ser che io labbia morto per rubarlo, e poscia mi sia
mancato lanimo. Chi mi sicura che io non sia preso e
posto al martro? E come potr giustificarmi? E questi
ministri della giustizia sono rigidissimi, intanto che io
potrei toccarne qualche strappatella di fune e forse peg-
gio ancora. [14] Che far dunque? In fine egli meglio
risolversi a tentare la fortuna, la quale si dice che aiuta
gli audaci, e vedere se io potessi una volta uscire daffan-
ni .
[15] E questo detto, tolto un buon feltro addosso e
un gran cappello in capo, le chiavi in seno e una lanterna
in mano, piovendo, tonando e balenando sempre, si
misse in via; e in poco dora arriv alla casa di Gugliel-
mo non troppo indi lontana, e con due di quelle chiavi,
le maggiori, aperse luscio, e il primo volo fece in came-
ra: la quale aperta, se ne and alla volta dun cassone
grandissimo, e tante chiavi prov che egli lo aperse; [16]
e drentro vi vide due forzieri, i quali con gran fatica
aperti, luno trov pieno di dorure, come anella, catene,
maniglie, e gioie e perle di grandissima valuta; nellaltro
erano quattro sacchetti pieni di ducati doro traboccan-
ti, sopra ognuno dei quali era scritto una pliza, e cuci-
ta, che dieva: Tre mila scudi doro ben conti. [17]
Onde Fazio allegro e volonteroso prese solo quel forzie-
retto, temendo forse che le dorure e le gioie non gli fus-
sero state a qualche tempo riconosciute, lasciando stare
ogni altra cosa rassettata al luogo suo; e riserrato e rac-
concio il tutto come trovato aveva, se ne usc di casa col-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
37 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
le chiavi a cintola e con quel forziere in capo, e tornosse-
ne alla sua abitazione, senza essere stato veduto da per-
sona: [18] la qual cosa gli succedette agevolmente ri-
spetto al tempo, che di quellanno non era ancora stato
il peggiore, piovendo tuttavia quanto dal cielo ne poteva
venire, con baleni e con grandissimi tuoni.
[19] Fazio la prima cosa, poi che fu al sicuro in casa
sua, mise il forziero in camera e mutssi tutto; e
perchegli era aitante e gagliardo della persona, prese
subito di peso colui morto, e andssene con esso nella
volta e con strumenti a ci in un canto di quella cav e
fece una fossa quattro braccia a dentro e tre lunga e due
larga, e Guglielmo, cos come egli era vestito e colle
chiavi insieme, vi pose dentro e ricoperse colla terra me-
desima; la quale rappian e rassod molto bene, e vi mi-
se sopra certi calcinacci cheran l in un canto, in guisa
tale che quel luogo non pareva mai stato tcco. [20] E
poscia tornato in camera e aperto il forziero e sopra un
desco rovesciato uno di quelli sacchetti, si accert quegli
esser tutti quanti fiorini doro, e gli abbagliarono mezza
la vista; e cos gli altri sacchetti guardati e pesati, trov
che gli erano, come diceva la scritta, tremila per sacchet-
to. Onde, pieno dallegrezza e di gioia, rilegatigli molto
bene, gli pose n uno armadio dun suo scrittoio, e serr-
gli; e il forziero miso in sul fuoco, prima che se ne partis-
se vide ridotto in cenere; e lasciato i fornegli, il piombo e
le bocce a bandiera, se ne and a dormire, che appunto
era restato di piovere, e cominciatosi a far giorno: e per
ristoro della passata notte, dorm per infino a vespro.
[21] Di poi, levatosi, se ne and in piazza e in Banchi,
per udire se nulla si dicesse di Guglielmo; del quale non
sent ragionare n quel giorno n il secondo. Il terzo poi,
non comparendo Guglielmo ne i luoghi per le faccende
ordinati, si cominci a mormorare tra la gente e a dubi-
tare, veggendosi serrati della sua casa gli usci e le fine-
stre, che qualche male non gli fusse intervenuto. [22]
38 Letteratura italiana Einaudi
Quegli amici suoi, co i quali cenato ultimamente aveva,
ne davano, per infino che da loro si part, vera relazione:
da indi in l non si sapeva, n quel che fatto avesse, n
dove stato si fusse. [23] Per la qual cosa la Corte, non si
riveggendo Guglielmo, dobitando che non fusse in casa
morto, fece da i suoi ministri aprire per forza luscio ed
entrar dentro; dove, eccetto che Guglielmo, ogni cosa
trovarono ordinatamente al luogo suo: di che meravi-
gliarsi, im-presenza di testimoni, tutti gli usci, le casse e i
forzieri, non si trovando alcuna chiave, collo aiuto de i
magnani aperti furono, e tutte le robe scritte, dalla cas-
setta delle dorure in fuori e i libri, che furono portati al-
la Corte e posti a buona guardia: e cos rimase la casa.
[24] E prestamente andarono bandi scurissimi per aver-
ne notizia, promettendo premio grandissimo a chi lo no-
tificasse o morto o vivo; ma ogni cosa fu invano, ch per
un tempo non se ne seppe mai niente; di maniera che in
capo a tre mesi, non sendo quivi chi lo redasse, e avendo
allora i genovesi inimicizia e guerra grandissima co i pi-
sani, per lo che non vi sarebbero venuti i parenti, la Cor-
te si ingomber tutte le sustanze state di Guglielmo, fac-
cendosi gran meraviglia per ognuno che non si fusse
trovato denari. [25] E alcuni si pensarano che egli si fus-
se andato con Dio con essi; e altri, che gli avesse sotter-
rati o nascosi in qualche luogo strano; e molti, che la
Corte non gli avesse voluti appalesare.
[26] Fazio in questo mentre era stato chetissimo sem-
pre; e veggendo andare le cose di bene in meglio, lietissi-
mo viveva, sendo di buona pezza tornato a casa la mo-
glie co i figliuoli; alla quale nondimeno non aveva detto
cosa del mondo, e cos aveva in animo di fare; il che sa-
rebbe stato la ventura sua, dove il contrario fu la sua ro-
vina, della moglie e de i figliuoli. [27] Ora, sendosi la co-
sa di Guglielmo addormentata e gi non se ne
ragionando pi, Fazio dette voce fuori davere fatto pa-
recchi pani dariento, e di volere andare a vendergli in
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
39 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
Francia: della qual cosa si ridevano la maggior parte de-
gli uomini, come di colui che gi due volte sera affatica-
to in vano, e aveva gittato via la fatica, il tempo e la spe-
sa, perci che al farne il saggio non aveva mai retto al
martello; [28] e gli amici e i parenti suoi sopratutto ne lo
sconsigliavano, dicendo che ne facesse quivi il paragone,
e se buono riuscisse a tutta prova, cos in Pisa come a
Parigi vender lo potrebbe, dove, non riuscendo, come si
pensavano, non arebbe quel disagio n quella spesa.
[29] Ma niente rilevava, ch Fazio era disposto dandare
a ogni modo, e non voleva altrimenti farne il saggio qui-
vi, sapendo questa volta che lo ariento suo era ottimo. E
fingendo che gli mancassero danari da condursi, aveva
impegnato uno suo poderetto per cento fiorini (ch cin-
quanta ne bisognavano a lui, e cinquanta disegnava la-
sciarne alla moglie per vivere infino a tanto che egli tor-
nasse), e gi, lasciando dire ognuno, si era pattuito con
una nave rauga che partiva allora per alla volta di Mar-
silia. Il che sentendo la donna, cominci a far romore e a
pianger seco, dicendogli:
[30] Dunque, o marito mio, mi lascerete voi sola
con due bambini a questo modo? e andrete consuman-
do quel poco che ci restato, acci che i vostri figliuoli e
io ci moiamo di fame? Che maladetto sia lalchimia, e
chi ve la mise per lo capo! Quanto stavamo noi meglio,
quando voi attendevate a far larte dello orafo e a lavora-
re!
[31] Fazio attendeva pure a consolarla e a confortar-
la, e le prometteva tanto bene alla tornata che era una
meraviglia; ma ella, rispondendogli, diceva pure:
Se cotesto ariento fine e buono, cos sar egli buo-
no e fine qui come in Francia, e in quel medesimo modo
lo venderete: ma voi ve ne andate per non ci tornar mai
pi, e logori questi cinquanta ducati che mi lasciate, ne
converr, misera me!, con questi figliolini andare accat-
40 Letteratura italiana Einaudi
tando ; e non faceva n giorno n notte mai altro che
piagnere e rammaricarse.
[32] Onde a Fazio, che lamava e teneva cara quanto
gli occhi stessi e la propria vita, venne tanta piet di lei e
compassione, che un giorno dietro mangiare, chiamato-
la in camera sola, per rallegrarla e consolarla, ogni cosa,
fattosi da capo, intorno a i casi di Guglielmo particolar-
mente le narr; e presola per la mano, la men nello
scrittoio, e le fece vedere quei sacchetti tutti pieni di du-
cati doro. [33] La quale, come si meravigliasse e quanta
allegrezza avesse, non che raccontar con parole, non si
poterebbe pure immaginare col pensiero, mille volte per
la soverchia letizia abbracciando e baciando il diletto
sposo; il quale con lungo giro di parole, mostratole co-
me tacere sopra ogni altra cosa le bisognava, le disse
quello che intendeva di fare, e la vita poi felicissima e
beata che alla tornata sua ordinar voleva: il che piacendo
sommamente alla donna, li diede licenza allegramente,
con questo che egli tornasse pi tosto che potesse.
[34] Fazio, ordinato colla sua Pippa il tutto, laltra
mattina, fatto fare una buona cassa nuova e forte con un
serrame doppio e gagliardo, vi misse nel fondo tre di
quei sacchetti (lasciato laltro, per i casi che potessero
intervenire, in guardia alla sua moglie) e spravi dodici
o quattordici di quei pani di mestura di piombo, di pel-
tro e di ariento vivo e daltra materia, la fece condurre
alla nave, contro la voglia del suocero, degli altri parenti
e di tutti gli amici, e della donna ancora che fingeva di
piangerli dietro. [35] E tutta Pisa si burlava e rideva di
lui; e certi che lo conoscevano ingegnoso e accorto per
lo adietro, si pensavano che egli avesse dato la volta e
impazzato, come molti, in quella maladizione della al-
chimia. La nave, dato le vele al vento, chera prospero, si
part al suo viaggio. [36] La Pippa, faccendo le vista
dessere restata malcontenta, attendeva a provveder la
casa e governare i figliuoli. La nave al tempo debito ar-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
41 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
riv a Marsilia, dove una notte Fazio gett in mare tutti
quei pani dellalchimia; e uscitosi di nave colla sua cassa,
se ne and co i vetturali insieme a Lione; dove stato al-
quanti giorni, mise mano a i suoi sacchetti, e a una delle
prime banche che vi fussero annoverati i suoi denari, se
ne fece fare due lettere di cambio per Pisa, una alla ra-
gione de i Lanfranchi, laltra al banco de i Gualandi; e
una lettera scrisse alla moglie, come seco era rimasto, av-
visandola avere venduto il suo ariento e di corto tornare
a Pisa ricco. [37] La quale lettera la Pippa fece leggere
prima a suo padre e poi a gli altri parenti e amici di Fa-
zio, i quali tutti si meravigliavano, e molti no llo credeva-
no, aspettandosi lopposito. Fazio, doppo non molto,
colle sue lettere di pagamento si part di Lione, e andn-
ne a Marsilia; e indi sopra una nave buscana carica di
grano salito, si condusse a Livorno, e di quivi a Pisa.
[38] E la prima cosa se ne and a vicitare la moglie e i fi-
gliuoli, e pieno di gioia e dallegrezza abbracciava e ba-
ciava ognuno che gli scontrava per la strada, dicendo
che collaiuto di Dio era tornato ricco, sendo lariento
suo riuscito finissimo e a ogni paragone. E andatosene
colle lettere di credenza in Banchi da Gualandi e da i
Lanfranchi, gli furono rimessi e annoverati nove mila
ducati doro; e tutti se gli fece portare a casa con meravi-
glia e piacere de i parenti e degli amici, i quali non si sa-
ziavano daccarezzarlo e di fargli festa, lodando estrema-
mente la sua vert.
[39] Fazio, ricchissimo, da par suo, ritrovandosi, veg-
gendo che tutta Pisa oggimai credeva che della alchimia
fusse uscito la sua ricchezza, fece pensiero di valersene e
cominciarla a spendere; e prima riscosse il suo poderet-
to, e poi comper una bellissima casa dirimpetto alla sua
e quattro possessioni delle migliori che fussero nel con-
tado di Pisa. [40] Comper ancora per dumila scudi
dufizi a Roma, e duemila ne pose in su n un fondaco a
diece per cento; di maniera che egli stava come un prin-
42 Letteratura italiana Einaudi
cipe, e abitando la casa nuova aveva preso due serve e
duoi servidori, e teneva due cavalcature, una per s e
laltra per la donna; e onoratissimamente vestiti i figliuo-
li, si viveva colla sua Pippia pacificamente in lieta e ripo-
sata vita. [41] La Pippa, che non era solita, in tanta roba
e in tante dilicatezze ritrovandosi, insuperbita, deliber
condursi in casa una vecchierella sua conoscente e seco
una sua figlioletta di sedici in diciassette anni, bellissima
a meraviglia: e fece tanto che Fazio ne fu contento, di-
cendogli che la fanciulla, per cucire, tagliare e lavorare
camce e scuffie era il proposito appunto e il bisogno
della casa; e cos col suo marito e co i figliuoli viveva
contenta in lieta e dolce pace.
[42] Ma la fortuna invidiosa, che sempre fu nemica
de i contenti e de i mondani piaceri, ordin in guisa che
la letizia loro in dolore, la dolcezza in amaritudine, e il
riso in pianto prestamente si rivolse; perci che Fazio si
innamor ardentissimamente della Maddalena, che cos
si chiamava la figliuola di quella vecchierella; e cercando
con ogni opportuno rimedio di venire allo intento suo,
fece tanto che con preghi e con danari corroppe la vec-
chia poverissima; di modo che la figliuola conobbe car-
nalmente. [43] E continovando la cosa pur senza saputa
della donna, di giorno in giorno a Fazio cresceva lo
amore; avendo dato la fede sua a lei e alla madre di tosto
maritarla con bonissima dote, attendeva a darsi piacere
e buon tempo; e ancora che tuttavia spendesse qualche
fiorinello, segretamente si godeva la sua Maddalena.
[44] Ma non potettono tanto cautamente governarse
che la Pippa non se ne avvedesse: di che col marito pri-
ma ebbe di sconce e di strane parole, ma poi pi villana-
mente colla vecchia e colla Maddalena procedette; e
doppo desinare, un giorno che Fazio era andato fuori,
colle loro robe ne le mand con Dio, avendo detto loro
una villania da cani. [45] Di che Fazio le fece grandissi-
mo romore, e a casa loro le cominci a provvedere, cre-
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43 Letteratura italiana Einaudi
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scendogli sempre pi di mano i mmano il disordinato
desiderio; e colla moglie stava sempre in litigi e n guer-
ra, perch, no lle dando egli pi noia la notte, come pri-
ma far soleva, andando il giorno a scaricar le some colla
sua Maddalena, era colei in troppa rabbia per la gelosia
e per lo sdegno salita; tal che in quella casa non si poteva
pi stare per le grida e i rimbotti della donna. [46] On-
de Fazio, grarritola, confortatola e pi volte minacciato-
la, e niente giovando, per dar luogo al furor di lei e al
suo cocentissimo amore, se ne and in villa, e vi fece la
sua Maddalena e la madre venire; dove, senza essergli
rotto la testa dalla importuna e sazievol moglie, allegris-
simo badava a cavarsi le sue voglie. [47] Della qual cosa
la Pippa rest s dolorosa e malcontenta, che altro non
faceva mai n giorno n notte che piangere e sospirare,
del disleal marito, della disonesta vecchia e della odiata
fanciulla dolendosi e rammaricandosi. Ed essendo gi
passato un mese, e Fazio non tornando, n facendo se-
gno di voler tornare, colla sua innamorata trastullando-
si, con diletto incomparabile e con immensa gioia con-
sumava il tempo. [48] Il che sapendo la Pippa, fuor di
modo e sopra ogni guisa umana dolente, in tanta collo-
ra, furore e rabbia contro le donne e lo sposo suo si ac-
cese, che, disperata, non pensando al danno che riuscir
ne le poteva, si dispose e diliber di accusare il marito,
che non guadagnati dallalchimia, ma rubato aveva i de-
nari a Guglielmo Grimaldi, i quali di Francia aveva finto
di portare dellariento venduto: In questo modo di-
cendo gastigher lo ingrato sposo e le nemiche femmi-
ne .
[49] E senza altro pensare, infuriata, allora allora si
misse a ordine, e senza trre compagnia di serve, sola,
portata dal furore, se ne and, chera quasi sera, dentro
a uno Magistrato che giustizia teneva, come nella citt
nostra gli Otto di guardia e di bala: al quale fece inten-
dere tutti i casi del marito, cos come da lui lerano stati
44 Letteratura italiana Einaudi
raccontati, dicendo che andassero a vedere, che Gugliel-
mo era sotterrato nella volta della casa vecchia; e dise-
gn loro il luogo appunto. [50] Il Magistrato fece il pri-
mo tratto ritenere la donna, pensando chesser potesse e
non esser la verit; e mandarano segretamente e con
prestezza, e trovarano, in quanto al morto Guglielmo,
cos essere come la Pippia aveva detto; e la notte stessa
fecero andare la famiglia del bargello, che nel letto, colla
sua amorosa ghiacendo, Fazio, che non se lo aspettava,
furiosametne presero, e inanzi al giorno in Pisa e in pri-
gione condussero. [51] Il quale maninconoso infino al
d stette; e di poi, venuto alla esamina, nulla voleva con-
fessare; ma coloro gli fecero venire inanzi la moglie, alla
cui vista egli grid ad alta voce, dicendo:
Ben mi sta ; e a lei rivolto, disse: Il troppo amore
che io ti portai mha qui condotto ; e al Magistrato po-
scia rivoltosi, tutto il caso, cos come veramente era se-
guito, raccont. [52] Ma coloro, spaventandolo e mi-
nacciandolo sempre, gli dissero che fermamente
tenevano che Guglielmo maliziosamente da lui fusse sta-
to ferito e ammazzato, per rubargli i suoi danari e goder-
segli, come per infino allora gli era riuscito: e incrudeliti,
messolo alla tortura, tanti martiri e tanti gli dierono che,
inanzi che da lui si partissero, ogni cosa, come a lor piac-
que, gli fecero confessare. Per lo che diede il Magistrato
sentenza che laltra mattina, faccendo le cerche maggiori
per Pisa, fusse attanagliato finalmente, e squartato vivo.
E subitamente tutti i beni di Fazio incorporarono. [53]
E Guglielmo, cavato di quella volta, fecero sotterrare in
sagrato, con meraviglia e stupore grandissimo di chiun-
que lo vide; e senza indugio mandarono in villa a piglia-
re la possessione de i poderi, dove fu cacciato ognuno
fuori; e la Maddalena e la madre se ne tornarono in Pisa
alla loro casetta povere e sconsolate. [54] La Pippa, sen-
do stata licenziata, se ne torn verso casa, credendosi,
come prima, essere la bella madonna; ma di gran lunga
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45 Letteratura italiana Einaudi
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ne rimase ingannata, perch le fantesche, i servidori e i
figliolini trov fuori dalla famiglia della corte essere stati
cacciati: onde con essi, dolorosa a morte, nella sua vta
casa se ne entr, tardi piangendo e dolendosi, accorta
del suo errore.
[55] La novella si sparse intanto per tutta Pisa; tal che
ognuno restava attonito e pieno di meraviglia, biasiman-
do non meno la scellerata astuzia dellalchimista, che la
iniqua ingratitudine della perfida moglie. E il padre e al-
cuni parenti che a vicitarla erano andati, tutti la ripren-
devono e proverbiavano rigidamente, protestandole che
co i suoi figliuoli insieme si morrebbe di fame, cos cru-
dele avendo fatto e inumano tradimento al povero suo
marito; per la qual cosa malcontenta e piangendo lascia-
tola avevano.
[56] Venne laltra mattina: e allora deputata, sopra
un carro, lo infelicissimo Fazio, fatto per tutta Pisa le
cerche maggiori, in piazza condotto, sopra un palchetto
a posta fatto, bestemmiando sempre s e la iniqua mo-
glie, dal manigoldo in presenza di tutto il popolo fu
squartato; e dipoi insieme ridotto, e sopra il medesimo
palchetto acconcio fu disteso, che quivi tutto lavanzo
del giorno stesse, a esempio de i rei e malvagi uomini.
[57] La Pippa, avuto le tristissime novelle, quanto pi
esser si possa dolorosa, priva trovandosi, per la sua rab-
bia e gelosia, del marito e della roba, si dispose da se
stessa del commesso peccato pigliarse la penitenza; e ar-
rabbiata, pensato avendo quel che far voleva, quando la
maggior parte delle persone era a desinare, co i suoi fi-
glioletti, prsone uno da ogni mano, piangendo, inverso
piazza preso il cammino, quelle poche genti che la ri-
scontravano, conoscendola, la biasimavano e riprende-
vono e lasciavano andare. [58] E cos in piazza appi del
palchetto arrivata, pochissime persone vi trov intorno;
e se tra quelle poche era chi la conoscesse, non sapendo
quello che far si voleva, le davano la via. Ed ella, pian-
46 Letteratura italiana Einaudi
gendo sempre, co i figliuoli la crudelissima scala sal, e
fingendo sopra il palchetto dabbracciare e piangere il
morto suo sposo, era dintorno aspramente ripresa, di-
cendo:
[59] Pessima femmina! Ella piange ora quello chel-
la ha voluto, e da se stessa procacciatosi .
La Pippa, avendosi fitto lugna nel viso e stracciatosi i
capelli, tuttavia piangendo e baciando il viso del morto
marito, fece i teneri figliolini chinare, dicendo: Ab-
bracciate e baciate lo sventurato babbo ; i quali, pian-
gendo, tutto il popolo lagrimar facevono.
[60] Ma la cruda madre in questa, cavatofuori del se-
no un bene arrotato e pungente coltello, luno de i fi-
gliuoli in un tratto percosse nella gola, e lo scann di fat-
to; e pi rabbiosa che percossa vipera, in un attimo
allaltro vltasi, il medesimo fece, cos tosto che la briga-
ta a ffatica se ne accorse; e furiosamente in s rivoltasi,
nella canna della gola il tinto coltello tutto si mise; e
scannatasi, morendo a dosso a i figliuoli e al morto mari-
to cadde morta. [61] Le persone cherano quivi intorno,
ci veggendo, lass gridando corsero, e i due miseri fra-
tellini a la disperata madre trovarono che davono i tratti,
sgozzati a guisa di semplici agnelli. Il romore e le grida
sbito si levarano altissime, e per tutta Pisa si sparse in
un tratto la crudele novella; tal che le genti, piangendo,
correvono l per vedere uno cos spaventoso e orribilis-
simo spettacolo: dove il padre e la madre con due loro
cos begli e biondi figliolini empiamente feriti, e crude-
lissimamente insanguinati, morti, luno sopra laltro at-
traversati, ghiacevono. [62] Ceda Tebe e Siracusa, Argo,
Micena e Atene, ceda Troia e Roma alla infelice e sfortu-
nata Pisa, fonte, ricetto, albergo e madre della crudelt.
I pianti, i lamenti e le strida intanto erano tali e cos fatte
per tutta la citt, che pareva che dovesse finire il mondo:
e soprattuto doleva a i popoli la morte de duoi innocen-
ti fratellini, che senza colpa o peccato, troppo inumana-
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47 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
mente del paterno sangue e di quello dellempia madre
tinti e macchiati, in terra morti stavano, in guisa che pa-
reva che dormissero; [63] avendo la tenera gola aperta e
di quella caldo e rossissimo sangue gemendo, tanta ne i
petti de i riguardanti e doglia e compassione mettevano,
che chi ritenere avesse potuto le lagrime e l pianto, o
sasso o ferro, pi tosto che corpo umano, si sarebbe po-
tuto perci che il crudo e scellerato spettacolo arebbe
potuto destare alcuno spirito di piet nella crudeltade
stessa. [64] Quivi alcuni amici e parenti di Fazio e della
Pippa, con licenza della Giustizia, il marito e la moglie
fecero mettere in una bara; e perch essi erano morti di-
sperati, non in luogo sagro, ma lungo le mura gli manda-
ro a seppellire; ma i due fratellini, con dolore inestima-
bile di tutti i pisani, in Santa Caterina sotterrati furono.
48 Letteratura italiana Einaudi
NOVELLA SESTA
[1] Il prete da San Felice a Ema, col voler darle un papero, co-
nosce carnalmente e inganna la Mea: di poi, ritornando, da
lei ingannato; e perdendo il papero e i capponi, doloroso, non
potendo ire a suoi piedi, ne portato a casa.
[2] Non accorti avvedimenti, non pronte risposte,
non audaci parole, non arguti motti, non scempia gof-
faggine, non goffa scempiezza, non faceta invenzione,
non piacevole o stravagante fine, non la letizia e il con-
tento, ma focosi sdegni, feroci accenti dira, ingiuriose
parole, angosciosi lamenti, rabbiosa gelosia, gelosa rab-
bia, crudele invenzione, disperato e inumano fine, il di-
spiacere e il dolore, avevono questa volta da i begli occhi
delle vaghe giovani tirato in abbondanza gi le lagrime e
bagnato loro le colorite guance e il dilicato seno. N di
piangere ancora si potevano tenere, molto biasimando la
malvagia femmina; quando Siringa, che seguitar deveva,
rasciugatisi gli occhi, prese cos a favellare:
[3] Pietose donne e voi altri, certamente che egli
non stato fuor di proposito i mmezzo a tanto zucchero
e mle alquanto dalo e dassenzio mescolare, a fine che
per la amaritudine sia meglio conosciuta la dolcezza;
perci che i contrari posti insieme, le cose buone e belle
di bont e di bellezza in infinito accrescono. Per questa
cagione dunque io mi rendo certa che, se le passate no-
velle della presente sera vi tornarete nella memoria,
quanto pi questa vha dato doglia e malinconia, tanto
vi accresceranno gioia e contento: e ancora io ho speran-
za che la mia favola, la quale sar tutta ridente e lieta,
maggiore allegrezza e conforto vi porga .
E cos detto, con un dolce riso soavemente la lingua
sciolse.
[4] Come voi dovete sapere, usanza stata sempre
mai nel nostro contado che i preti della villa, quando
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49 Letteratura italiana Einaudi
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per avventura la festa alla lor chiesa, invitano tutti i
preti loro vicini: per lo che, avendo il prete del Portico,
tra laltre, una volta la festa, tutti i preti da lui chiamati
vi concorsero; tra i quali vi fu un ser Agostino, che ufi-
ziava a San Filice a Ema, poco indi lontano. I l quale,
mentre che la messa grande solennemente si cantava, vi-
de per sorte nella chiesa una bella giovine e manierosa, e
domandato livi ntorno chi ella fusse, gli fu risposto es-
sere quindi popolana: e, perch ella gli andava molto
per la fantasia, poco ad altro, fuor che a mirarla e va-
gheggiarla, attese la mattina. [5] Avvenne poi che, detto
lufizio e fornite le messe, tutte le persone di chiesa par-
titesi, se ne andarano a desinare, e cos fecero i preti. In
sul vespro poi ser Agostino, uscendo cos fuori in su la
strada per via di diporto, vide per buona ventura in sul
suo uscio sedersi la giovane che veduto la mattina in
chiesa aveva (la quale si faceva chiamare la Mea, moglie
duno muratore) che in compagnia dellaltre donne vici-
ne si stava al fresco e a motteggiare. Per la qual cosa,
chiamato il prete della chiesa, lo prese a domandar di lei
e della sua condizione: il quale gli rispose essere tutta
piacevole e buona compagna, eccetto che co i preti; i
quali, che che se ne fusse la cagione, aveva pi in odio
che l mal del capo, e non voleva, non che far lo piacere,
ma pur sentirgli ricordare. [6] Gran meraviglia se ne fe-
ce ser Agostino, e fra s dispose di caricargliene a ogni
modo, dicendo seco medesimo: Io so che tu ci hai a la-
sciar la pelle, vogli tu o no . E perch ella non avesse
cagione di conoscerlo per prete, se gli lev, bench mal-
volentieri, dintorno; ma di lontano la riguardava pure
sottecchi, che non pareva suo fatto; e quanto pi la mi-
rava, tanto pi gli cresceva il disiderio di possederla. [7]
In questo mentre ne venne il vespro e di poi la compie-
ta, che la Mea non entr mai in chiesa, tanto che, fornito
gli ufizi e la festa, ser Agostino, fatto collezione grossa-
mente con gli altri preti, prese licenza e tornssene a San
50 Letteratura italiana Einaudi
Felice a Ema; dove non faceva altro mai che pensare alla
sua innamorata e il modo che tener dovesse per poterle
favellare che non fusse da lei per prete conosciuto; e po-
scia cercare di venire a gli attenti suoi.
[8] E perchegli era scaltro e maliziosetto, gli cadde
nellanimo di tentare una via da dovergli agevolmente
riuscire, per contentar i desideri suoi; e un luned in su
le ventiun ora, travestitosi a guisa di villano, sparpaglia-
tosi la barba, con una cuffia bianca e un cappelletto di
paglia in testa, preso un bello e grasso papero in collo,
nascosamente si part di casa, e per tragetti se ne venne
alla strada, poco di sopra al Portico; e preso la via verso
Firenze, se ne veniva adagio adagio, fermandosi a ogni
passo, tanto che di lontano vide la Mea in su luscio se-
dersi e nettare la insalata. [9] Onde, affrettando il cam-
mino, se le ferm al dirimpetto, guardandola cos alla
semplice: par che la Mea, veduto questo gonzo cos fiso
rimirarla, lo domand se quel papero chegli aveva in
braccio si vendeva.
Non si vende rispose il prete.
Donamelo dunque disse la donna, che era favel-
lante.
Questo si potrebbe fare rispose ser Agostino ;
entriamo in casa, e saremo daccordo .
[10] La Mea, chera di buona cucina, aocchiato quel
paperone chera grosso e bianco, alla bella prima si rizz
collinsalata in grembo e misse colui dentro e serr
luscio.
Come il prete si vide in terreno e luscio serrato, disse
alla Mea:
Udite, madonna: questo papero che voi vedete s
bianco e bello, io lo portava a loste; pure a voi non si
pu negare, se voi mi darete delle cose vostre ; e nella
fine rimasero insieme che ella gliene desse una abbrac-
ciatura, e che il papero fusse suo.
[11] E cos la Mea, parendole un cotal sollucherone
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51 Letteratura italiana Einaudi
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cresciuto inanzi al tempo, se lo cacci sotto; e, fornito
che gli ebbero ambeduoi la danza; si lev su la donna e
disse a colui:
Tu te ne puoi andare a tua posta, ch il papero
mio .
Il mal prete rispose:
No no, voi no llavete guadagnato ancora; perci
che quello che io deveva aver da voi, avete voi avuto da
me; poich stando di sopra, ste stato voi luomo, e io la
donna, trovandomi di sotto, ed essere stato cavalcato .
[12] La Mea fece bocca da ridere e disse:
Io tho inteso ; e perch il sere lera riuscito meglio
che di paruta, sendo giovane ancora, grande della perso-
na e morbido, se lo tir volentieri addosso; s che, forni-
to la seconda ballata, pose le mani ser Agostino di fatto
in sul papero e disse alla donna:
Mona Voi, ancor vi bisogna, se voi lo volete, star
sotto unaltra volta, perch questa dora sconta quella di
prima, e semo appunto pagati e del pari: a questaltra
volta s bene che voi arete, e giustamente, guadagnato il
papero .
[13] La Mea, che per infino allora se ne era riso e re-
catoselo in burla; se questa cosa le parve strana, non
da domandarne; e, voltatasegli con un mal viso, disse:
Non ti vergogni tu, villan tirchio? Chi pensi tu aver
trovato, qualche femmina di partito? Ribaldone, egli ti
debbe piacer lunto! Dallo qua, e vatti con Dio . E vl-
legnene starpare di mano; ma il prete lo teneva forte; e
accostatosi alluscio, lo aperse, e voleva fuggirsene, e
non che colei se gli par inanzi, e cominci a dirgli villa-
nia, e colui a risponderle.
[14] In questa accadde appunto che, fuori dogni sua
usanza, giunse quivi il marito della Mea, e sentendogli
quistionare, dato una spinta alluscio, entr in casa; e
veggendo la moglie con quel contadino alle mani, disse:
52 Letteratura italiana Einaudi
Che diavol gridi tu, Mea? Che domine hai tu che fare
con cotesto villano?
A cui, senza aspettar altro, rispose subito ser Agosti-
no e disse:
Sappiate, uomo dabbene, che io mercatai con que-
sta donna trenta soldi questo papero, e di tanto restam-
mo daccordo nella via: ora ella qui in casa me ne vor-
rebbe dare diciotto.
Tu menti per la gola soggiunse la Mea; e parendo-
le ottimo modo a ricoprire il suo fallo col marito, seguit
dicendo: Io te ne voleva pur dare venti, e cos facem-
mo i patti.
E io dico trenta rispose il prete.
[15] Per la qual cosa il marito di lei disse:
Deh, Mea, lacialo andare in malora! Tu diresti pari
ed egli caffo, e non verreste mai a conchiusione: hai tu
paura che tabbiano a mancare i paperi?
Vadiasene col maln che Domenedio gli dia sog-
giunse la Mea ; che egli non troverr mai pi chi gli fac-
cia quel che gli ho fattio .
Il prete, partendosi di casa, disse:
E tu non troverra mai pi altri, che abbia s grasso e
s grosso papero ; e allegro fuor di modo, se ne torn a
casa, che da persona no fu conosciuto.
[16] Il marito, non avendo bene intesto le parole del-
la Mea, le disse:
E che gli hai fu fatto per? Egli era pi presso al do-
vere di te; e se egli lo porta in Firenze, ne caver de sol-
di pi di quaranta . E cos, tolto di casa quel che gli bi-
sognava, se ne torn a lavorare, e la Mea a nettar la
insalata, piena tutta di stizza e di dolore, che da un villa-
no a quel modo fusse stata beffata.
[17] Passarono intanto otto o diece d, che ser Agosti-
no, pensando alla sua Mea, che gli era riuscita meglio
che pensato non savea, si dispose di tornare a vicitarla,
e veder se egli potesse colpir seco di nuovo, ma non co-
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53 Letteratura italiana Einaudi
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me prima a macca; anzi, pentito al tutto di quel che fatto
aveva, in quel modo medesimo vestito da contadino, tol-
se il papero stesso e un paio di buoni e grassi capponi,
con animo di darle luno per lo benefizio ricevuto, e gli
altri per quello che egli sperava di ricevere, e far seco la
pace. [18] E cos un giorno in su lora medesima sfugia-
scamente se ne venne alla strada per la via del Galluzzo,
e cos inverso Firenze pianamente camminando, a ppo-
co a ppoco si condusse al Portico; e quindi dalla casa
della sua Mea passando, la vide per buona sorte appun-
to alla finestra, ed ella lui, e conobbelo subito; e al pape-
ro e a i capponi si avvis troppo bene dello animo suo.
Per la qual cosa, dispostasi alla vendetta, veggendo che
da lui era guardata, rise e accennollo cos colla mano, e
levosse n un tratto dalla finestra, e a un suo amante che
per ventura aveva in casa e che pure allora sera stato un
pezzo seco, disse quello che far dovesse, e con esso lui
sceso la scala e nascosolo nella volta, se ne venne e aper-
se luscio.
[19] Il prete era gi comparito e postosi al dirimpetto;
s che a prima giunta salut la Mea e disse:
Io sono venuto a portarvi il vostro papero, e questi
capponi ancora, se voi gli vorrete .
La donna ghignando gli rispose:
Tu sii il molto ben vento; passa drento col buon an-
no, che io mi sono meravigliata che tu abbi penato tanto
a tornarmi a vedere .
Ser Agostino entr in casa allegrissimo; e la Mea di
fatto serr la porta e presolo per la mano, non come lal-
tra volta a basso, ma su in camera lo men; dove postisi
a sedere, il prete per sua scusa cos prese a dire:
[20] Egli vero, buona donna, che laltra volta che
io ci fui, con esso voi mi portai un poco alla salvatica e
quasi villanamente, ma se colui non sopravveniva, io vi
lasciava il papero senza fallo alcuno; ma pensando ches-
ser dovesse vostro marito, comesser deveva, feci cos
54 Letteratura italiana Einaudi
per lo meglio, ch mi parve assai buono spediente per
lonore vostro e per la salute mia. Ma ora son tornato a
fare il debito mio: eccovi inanzi tratto il papero; e i cap-
poni saranno anche vostri, perchio ho disegnato che noi
siamo amici, e tuttavia vi arrecher quando una cosa e
quando unaltra. Io ho de i pippioni, delle pollastre, del
cacio, de capretti; e sempre mai, secondo le stagioni, vi
verr a vicitare colle man piene .
[21] Rise la Mea, e rispose dicendo:
Io non credo che mai pi alla sua vita ci tornasse
quello sciatto di mio marito a quellotta; ma vedi, tu mi
facesti montare la luna, di maniera che io tarei manicato
senza sale .
E, questo detto, prese il papero e i capponi che il pre-
te le lasci volentieri, pensando che ella si fusse rappaci-
ficata; e messegli n uno armadio dicendo: Or ora fo
ci che tu vuoi .
[22] Ma in quella chella tornava a lui, fatto non so
che cenno, sentirono battere luscio rovinosamente; per-
ci che colui, uscendo daguato, aveva aperto luscio
pian piano, e di fuori trovandosi, picchiava a pi potere;
per lo che la donna, fattasi alla finestra e tirato la testa
prestamente a s, disse quasi piangendo:
Io son morta: ohim! che questo un mio fratello, il
pi disperato e crudele uomo che sia nel mondo .
E volta a ser Agostino disse: Entra tsto in questa ca-
mera, ch guai a te e me se ti vedesse meco ; e in un
tratto fece le vista di tirar la corda, e spinse il prete nella
camera e, messo nelluscio di quella un chiavistellino, si
fece in capo di scala, dicendo forte, acci che colui in-
tendesse: Ben sia venuto per mille volte il mio carissi-
mo fratello .
[23] Colui, ammaestrato, cos rispose con voce alta e
minacciante:
E tu per cento mila sii la mal trovata: vedi che io
tho pur giunta questo tratto, ch tu pensavi che io fussi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
55 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
mille miglia lontano: dove , malvagia femmina, quel
traditor del tuo amante che ardisce di fare alla casa no-
stra tanto disonore? Dove egli, ribalda, che io voglio
ammazzar te e lui?
La Mea, piangendo e gridando, diceva:
Fratel mio, misericordia: io non ho persona in casa.
S, hai bene seguit colui: io lo troverr ben io .
[24] E sendo famiglio del podest del Galluzzo, aveva
cavato fuori la spada e arrotavala su per lo ammatonato,
soffiando e sbuffando tuttavia. Per la qual cosa venne a
ser Agostino in un subito tanta paura, che egli fu per ve-
nirsi meno; perci che la Mea, piangendo e raccoman-
dandosi, e colui bestemmiando e minacciandola, finge-
vano troppo bene; ma nella fine colui, dato un calcio
nelluscio della camera, disse gridando:
Apri qui, ch io vo veder chi ci , e passarlo fuor
fuori con questa spada .
[25] Il prete, sentito dimenar luscio e udite le colui
parole, non stette a dir che ci dato; ma parendogli tut-
tavia sentir passarsi da banda a banda, si gitt da una fi-
nestra alta forse venti braccia, che dietro alla casa riusci-
va sopra una vigna, e poco manc chei non rimanesse
infilzato sopra un palo; pure dette in terra, ma di sorte
che si ruppe un ginocchio e sconciosse un pi malamen-
te. [26] Pure tanta fu la paura, che egli si stette cheto co-
me olio; e non si reggendo in su le gambe, carponi se ne
and tra vite e vite, tanto che pi duna balestrata si di-
scost dalla casa. Come coloro sentirono il romore del
salto, subito apersono la camera; ed entrati dentro e ve-
duto la fine, non cercarano pi oltre, ma cascarano am-
bedue nelle maggiori risa del mondo e andaransene a
vedere il papero e i capponi, cherano buoni e grassi; e la
Mea non capriva nelle cuoia per lallegrezza, parendole
essersi vendicata a misura di carboni.
[27] E sia certo ogni uno che non cosa nel mondo
che tanto piaccia e contenti quanto la vendetta, e massi-
56 Letteratura italiana Einaudi
mamente alle donne. Il misero ser Agostino, carpon car-
poni, doloroso e tremante, tanto adoper , che si con-
dusse alla strada, e nascoso stette per infino alla sera,
tanto che per avventura vide passare il mugnaio che ma-
cinava alla pescaia dEma, suo amico e vicino; il quale,
chiamato con bassa voce e datoseli a conoscere, preg
che sopra un mulo lo mettesse e a casa ne lo portasse. Il
mugnaio, meravigliandosi, senza volere altrimenti inten-
der la cagione come quivi, a quellotta, e in qual modo si
fusse condotto, sopra un mulo lo pose; e increscendo-
gliene fuor di modo, a casa sua lo condusse; e come il
prete lo preg, non disse mai niente a persona. [28] Ser
Agostino alla fante e alla madre poi trov certa sua scusa
dello essere uscito a quella foggia travestito, e cos della
rottura del ginocchio e della isvoltura del piede, che
nebbe assai, parechi e parecchi settimane; e al mugnaio
ancora fece credere certa sua invenzione, tal che di mol-
to tempo stette la cosa che non si seppe; e non si sarebbe
saputa mai, se non che ser Agostino, gi vecchio, morto
la Mea e l marito, la disse pi volte a la raccontava per
via di favola.
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
57 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
NOVELLA SETTIMA
[1] Prete Piero da Siena, mentre vuole beffare un cherico fio-
rentino, da lui beffato in guisa che egli vi mette la vita.
[2] Aveva Siringa colla sua novella fatto pi volte ar-
rossire e ridere le donne, e parimente e a loro e ai giove-
ni addolcito il cuore e racconsolato lanimo; e pi lo
arebbe fatto se messer lo prete non si fusse, saltando,
fattomale alcuno; solamente messovi, che ben gli stava,
il papero e i capponi. Ma Fileno, sentendola gi tacere e
sappiendo a lui toccare il dover dire, cos con dolce fa-
vella a ragionare incominci:
Leggiadre donne e voi generosi giovani, io voglio
colla mia favola farvi sentire una beffa fatta da un fioren-
tino a un sanese, il quale cercava di beffar lui, e perci
non da increscerne troppo, ancora che male ne capi-
tasse; perch chi si diletta di far frode, non si de la-
mentar saltri lo nganna; e disse:
[3] In Prato, non so gi se di Toscana ragionevol citt
o pure bellissimo castello, fu, non ha gran tempo, un
messere Mico da Siena, priore nella Pieve principale: il
quale aveva seco un suo nipote, anchegli prete, ma gio-
vane tanto che non diceva ancor messa, solo era ordina-
to a Pstola e a Vangelo; e un altro chericotto teneva an-
cora a fare i servigi della sagrestia e della chiesa, che per
essere da Firenze lo chiamavano il Fiorentino. [4] I l
quale, ancora che fusse giovanetto, era nondimeno saga-
ce e malizioso e bizzarretto alquanto: tal che con prete
Piero, ch cos si faceva chiamare il nipote del detto
priore, stava sempre in litigi e in quistione: di che messer
Mico aveva grandissimo dispiacere; e se non fusse stato
che dal Fiorentino si trovava ben servito, per liberarse
da cos fatta seccaggine, venti volte larebbe cacciato via;
e col nipote pi volte nebbe di sconce e di cattive paro-
58 Letteratura italiana Einaudi
le, mettendo ogni diligenza per tenergli daccordo e in
pace. Ma nulla rilevava nella fine, perci che il sanese,
veggendosi padrone, di troppo laltro superchiar voleva,
e colui non gliene rispiarmava una maladetta.
[5] Ora prete Piero, avendo in animo di voler fare
una beffa daddovero al Fiorentino, sendogli venuta un
giorno una bellissima occasione, diliber di fargliene la
notte: e cos la sera, poi che gli ebbe cenato e che ognu-
no se ne fu andato a dormire, stette tanto alla posta
aspettando (perci che solo in una camera dormiva al la-
to a quella del zio), che tempo gli parve di dar comincia-
mento a quello che di fare intendeva. [6] E partitosi tuto
solo di camera, se ne venne chetamente in chiesa, e
aperse una sepoltura, dove era stata sotterrata il giorno
una fanciulletta, chera morta in sei ore per lo avere
mangiato funghi velenosi; e cavatola fuori e ricoperto lo
avello, la prese in spalla, e portatola dietro allaltar gran-
de, dove venivono allora le funi delle campane, la leg
con suoi artifici alla fune di quella campana che livi a
poco doveva il Fiorentino sonare per dare segno di mat-
tutino; e congegnolla appunto, che nel dare egli la prima
stratta, gli venivono appunto i piedi di quella morta a
percuotere nella testa: e cos fatto, si part di quivi, e ra-
sente luscio del chiostro, onde passar doveva il Fioren-
tino, si nascose, aspettando quello che riuscirne dovesse.
[7] Vennene intanto lora diputata; e il Fiorentino, leva-
tosi al solito senza accendere altrimenti lume, perci
chegli vera pratico e mille volte trovato aveva le campa-
ne al buio, l se ne and sicuramente. E come egli giun-
se, dette di piglio al canapo di quella pi grossa che so-
nava mattutino, e nel dar la stratta allo ingiuso, i piedi di
colei gli vennero a dare per istianco in sul capo e stri-
sciarangli gi per la tempia sinistra in su la manca spalla:
per la qual cosa il Fiorentino mise un muglio grandissi-
mo, dicendo: Cristo, aiutami ; e lasciato con furia la
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
59 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
fune della campana, tremando e gridando si diede a fug-
gire.
[8] Prete Piero, udite le strida e sentitolo correre,
sindovin la cosa avere avuto effetto; l onde, contento
a meraviglia, serr la porta onde colui era entrato, acci
che non potendo per essa ritornarsene, trovandola chiu-
sa, pi sospettasse e avesse maggior paura; e questo fat-
to, tutto ridente e dallegrezza pieno se ne torn alla sua
camera a dormire. Il Fiorentino, mezzo fuor di s, giun-
se spaventato alluscio, e trovatolo chiuso, fu per cader
morto; e si cacci tentoni a correr per la chiesa alla volta
della porta principale che riusciva in su la piazza; e di
fatto, cavatone il chiavistello, laperse e se ne usc fuori,
che per sorte era la notte il pi bel lume di luna che fus-
se stato quellanno. [9] S che fermatosi, e non veggen-
dosi persona dietro, si rassicur alquanto, e fra se stesso
cominci a pensare che cosa potesse essere stata quella
che se gli era avvolta fra le tempie e l collo; e poi, ricor-
datosi che luscio da lui lasciato aperto era stato serrato,
prese a dubitare fortemente che prete Piero non gli
avesse fatto delle sue; e nella fine conchiuse questo do-
vere essergli veramente intervenuto per opera di lui.
[10] S che, volendosene accertare, tolse un moccolo di
candela, che sempre ne portava seco, e accesolo alla
lampana del Sagramento, se ne and dietro allaltare; e
guardando cos in cagnesco, vide ciondolare colei morta
e legata per le chiome alla fune della campana grossa, e
conobbela ubito alle trecce lunghe e bionde e a una
ghirlanda che ella aveva in testa di diversi fiori; per la
qual cosa, spiccatola diligentemente, ancora che con
gran fatica, se la mise in collo e condussela al suo avello,
per risotterrarvela, e starsi poi sempre cheto, per non
dare quel piacere a prete Piero.
[11] Ma poi che egli lebbe aperto, gli cadde nella
mente di poter fare un bellissimo tratto, bench assai
malagevole e molto pericoloso; e quivi lasciato la morta,
60 Letteratura italiana Einaudi
uscendo fuori, perchegli era assai destro e gagliardo,
tanto fece che egli sal per un muro sopra un tetto; e indi
scese nel chiostro e aperse luscio della chiesa, che colui
serrato aveva, e andatosene alla porta grande, la riserr a
chiavistello; e doppo, postosi quella morta a dosso, se
nne venne pian piano, tanto che alla camera di prete
Piero giunse; e posto la morta leggermente in terra, si
mise in orecchi a canto alluscio per udir quello che co-
lui facesse, e lo sent russare fortemente. Di che oltre a
misura contento, ma pi per lo aver trovato luscio soc-
chiuso, stato lasciato da prete Piero a bella posta per lo
caldo grande, e cos la finestra della camera, sendo allo-
ra nel cuore della state; [12] onde gli nacque nuovo disi-
derio di voler tentare pi inanzi; s che, ripresa colei in
su le braccia, pian piano e chetamente entr nella came-
ra e accostatosi al letto, quella morta gli pose a ghiacere
a canto, e partissi; e quindi poco lontano si pose in ag-
guato, per vedere e udire quanto di ci seguisse.
[13] Prete Piero, per lo disagio ricevuto e per lo esse-
re la sera soprastato, era entrato in un grave e profondis-
simo sonno; pure in sul far del d si risent, e rivoltatosi
per lo letto, non ben desto ancora, pose appunto la ma-
no in sul viso di colei; e trovatolo morbido e freddo pi
che marmo, la tir subito a s, e pieno di miraviglia e di
paura aperse in un tratto gli occhi, e quella morta vide; e
tornatogli nella memoria quel che fatto aveva, dubitan-
do non colei fusse venuta quivi per istrangolarlo, in uno
stante gli venne tanta paura che egli si gitt subitamente
a terra del letto, e in camicia fuggendo, si usc di camera;
e non restando di correre, pur sempre gridando, giunse
per lo verone in capo duna scala che scendeva in terre-
no; [14] e tanta fu la fretta che egli aveva di dileguarse
che tutta la tombol da imo a sommo, e nel cadere si
ruppe un braccio e infransesi un fianco e in due od in
tre lati si spezz la testa. S che, senza poterse muovere,
laggi disteso in terra, gridava i mmodo che egli introna-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
61 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
va tutta quella canonica; tanto che il priore, il famiglio e
la serva corsero, chi mezzo vestito e chi in camicia, e
prete Piero trovarono a pi di quella scala, che non re-
stava di guaire e di rammaricarse.
[15] In questo mentre, avendo il Fiorentino ogni cosa
veduto, e come tutti di casa erano corsi al romore, sera
uscito dagguato; e andantosene in camera di colui, pre-
se prestamente la morta e per la via di l, senza essere
stato veduto n da loro n daltrui, se ne corse in chiesa
e colei risotterr nel suo avello, e racconciolle per infino
la ghirlanda in testa, di sorte che non pareva mai che di
quindi fusse stata mossa; e se ne and a sonare lAvema-
ria, che gi era d alto. [16] Messer Mico, giunto dove il
nipote ghiaceva tutto percosso, non meno dolente che
meraviglioso, poi che dalla fante e dal servidore aiuta-
to lo fece rizzare, lo venne domandando perch cos
fusse caduto e che ne fusse stato cagione. Ma prete Pie-
ro, nulla rispondendo, attendeva a dolerse e a rammari-
carse; per lo che il priore, veggendolo s malconcio e tut-
to il viso e il capo sangue, fece dal famiglio chiamare il
Fiorentino, che di gi aveva cominciato a sonare a mes-
sa, e mandllo per un medico, il migliore che fusse in
Prato. [17] Intanto, confortandolo sempre, in camera ne
lo voleva fare portare a braccia; per la qual cosa ogni al-
tro luogo lo portassero; e riposatosi alquanto in camera
de forestieri, narr loro la cagione tutta del suo male, e
quello che sera trovato al capezzale. L onde il famiglio,
chera animoso, l corse prestamente, e non trovandovi
n fanciulla morta, n segno alcuno chella vi fusse stata,
gi se ne torn con dire che egli doveva aver sognato,
perch nel letto suo non era persona n morta n viva.
[18] Intanto alle grida erano compariti alcuni preti vi-
cini; e sentito il caso e veduto il tutto, affermavano vera-
mente che gli era paruto fra il sonno vederla e sentirla, e
che senza fallo aveva sognato. Colui, diperandosi e per
la meraviglia e per lo duolo delle percosse, si fece nella
62 Letteratura italiana Einaudi
sua camera portare; e colei non trovandovi, che ve gli
pareva indubitamente aver lasciata, fu da via maggior
duolo e meraviglia soprappreso: cotale che, sbigottito,
non sapeva pi che si dire n che si fare. [19] Comparse
intanto il medico col Fiorentino; il quale, di fuori ma-
ninconoso e dentro allegrissimo, mostrava che molto
gliene increscesse. Ma di poi che prete Piero fu medica-
to, ch, per dirne il vero, non aveva troppo gran male,
egli diliber di chiarirse affatto della cosa; e in presenza
di tutti, tutto quello che per far paura al Fiorentino ope-
rato aveva e quello che gliene era intervenuto, pregando
il zio el cherico che fussero contenti di volergli perdo-
nare, appales. Quivi meravigliandosi ciascuno, rispose
il Fiorentino dicendo:
[20] Perdoniti Dio, ch a me questa notte non hai
tu fatto n paura n cosa niuna che io sappia ; e raccon-
tato come son prima mattutino, e di poi, tornatosene al
letto, in sul far del d lAvemaria, e mentre che doppo
sonava a messa sent le grida e il famiglio che lo venne a
chiamare, Come! disse prete Piero; e da capo fattosi,
ogni cosa per filo e per segno raccont. Il Fiorentino, ri-
stringendosi nelle spalle, faceva le meraviglie; di modo
che colui, fattosi condurre in chiesa e indi alla sepoltura,
e fattola scoprire, la morta fanciulla vi trov dentro, che
non pareva pure stata tocca di nulla.
[21] Per la qual cosa gli crebbero in mille doppi la
meraviglia e il dolore, e quasi stupido e trassecolato si
fece ricondurre al letto; dove, pensando sempre a que-
sto fatto, tanto gli sopraggiunse e la doglia e la maninco-
nia, che poco mangiava e poco o niente dormiva; di ma-
niera che, o fusse la novit del caso o gli omori
maninconici, la rabbia o la frenesia, o pure il diavolo che
lo accecasse, un giorno fra gli altri, chegli era rimasto in
camera solo, si gitt a capo innanzi a terra duna finestra
che riusciva in una corte, dove battendo in su le lastre, si
sfracell, e mor che non batt polso. [22] Di che rimase
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
63 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
scontento fuor di modo e dolorosissimo messer Mico; e
non avendo pi a chi lasciare, rinunzi la prioria e tor-
nossene a Siena, tenendo per fermo, come anche la mag-
gior parte delle persone, che il nipote fusse stato amma-
liato. I l Fiorentino fu costretto anchegli partirse; e
venutosene a Firenze, si acconci per cherico il sagrestia
in Sam-Piero Maggiore; dove poi in processo di tempo
raccont pi di mille volte questa storia per novella, per-
ci che altrimenti non si sarebbe mai potuto risapere.
64 Letteratura italiana Einaudi
NOVELLA OTTAVA
[1] Uno abate dellordine di Badia, passando per Firenze, vici-
ta San Lorenzo per vedere le figure e la libreria di Michel
Agnolo, dove, per sua ignoranza e prosunzione, il Tasso fa le-
gare per pazzo.
[2] Taceva gi Fileno, sbrigatosi della sua favola, del-
la quale molto si ragionava tra la brigata, lodando fuor
di modo il subito accorgimento del Fiorentino, quando
Lidia, che dietro gli veniva, senza fare altre parole disse:
Anchio, belle donne, vi voglio nella mia novella
una beffa raccontare, la quale non credo che vi abbia a
piacere n a far rider meno delle narrate ; e seguit:
[3] Non sono ancora molti anni, che per Firenze pas-
s uno abate lombardo che andava a Roma, frate
dellordine di Badia, mentre che Ippolito de Medici era
ancora giovanetto e alla costodia del cardinale di Corto-
na, il quale in nome di papa Clemente governava la citt.
Ora a questo abate, stando alloggiato in Santa Trnita,
un giorno tra gli altri venne voglia dandare a vedere nel-
la sagrestia nuova di San Lorenzo le figure di Michela-
gnolo; e partitosi con due de suoi frati e con due altri
della regola accompagnato, l se ne and; [4] dove il
priore di detta chiesa, perch la sagrestia era serrata, fe-
ce chiamare il Tasso (che cos per soprannome era detto
un giovine che ne teneva le chiavi, ministro di Michela-
gnolo, che lavorava allora il palco della libreria) che ven-
ne spacciatamente; a cui il priore disse:
Sarai contento di mostrare a questo valentuomo la
sagrestia e la libreria; e dagli ad intendere dove e come
hanno a star le figure, chi elle sono, e a che fine fatte .
[5] Il Tasso, risposto che volentieri, savvi innanzi, e
lo abate e gli altri frati ditrogli; tanto che in sagrestia
nuova gli condusse, dove il venerando padre dimand
di molte cose, delle quali tutte il Tasso gli dette notizia.
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
65 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
Cos lo abate, avendo veduto e ben considerato ogni co-
sa a suo agio, disse a un suo compagno:
Per certo che queste non sono se non buone figure,
per quel che si pu giudicare; ma io mi pensava che elle
fussero altrimenti e stessero in altra guisa, e non mi sono
riuscite a gran pezza a quello che io mimmaginava. Ve-
di che questo Michelagnolo non per uno Dio in terra,
come dice la plebe? Di vero che le figure che sono in ca-
sa i conti Peppoli non perderebbero niente appresso
queste, che dovettero essere di mano di Noddo o di
qualche scarpellino .
[6] I l Tasso, udendo le colui parole, quantunque
ognuno gli rendesse onore e gli desse del messere e del
reverendo, lo giudic subito un solenne brodaiuolo, e fu
tutto tentato di rispondergli in gramatica, di quella sua
fine, che non intesa n da lui n da altri; pur poi si ri-
tenne per lo meglio. Alla fine di quivi partitisi per anda-
re a vedere la libreria, passando per la chiesa, domand
labate il Tasso quanto tempo era che la fusse fatta e chi
nera stato lo architettore; e il Tasso gli disse ogni cosa.
Per che lo abate rispose e disse:
[7] Questa chiesa, alla fe, non mi dispiace; ma non
da agguagliarla in parte alcuna al nostro San ... di Bo-
logna .
Il Tasso fu per ridere allora; e s la collora la vinse,
che non si potette tenere che non dicesse:
Padre, se voi ste cos intendente e dotto nelle lette-
re sagre come voi ste nella scultura e nellarchitettura,
per certo che voi dovete essere un gran baccelliere in
teologia .
Il frate montone non intese, e disse:
Io son pure maestro, la Dio grazia .
[8] E cos ragionando, poi che essi furono usciti di
chiesa e saliti in su i chiostri di sopra, arrivarano dove
era una scaletta di legname che saliva alla libreria, su per
la quale si misero inanzi i frati, doppo lo abate, e lulti-
66 Letteratura italiana Einaudi
mo era il Tasso. E cos salendo adagio adagio, vennero
vlti gli occhi allabate inverso la cupola; per lo che fer-
matosi a mezzo la scala, si pose intentamente a rimirarla;
e restato col Tasso solo, perci che i frati erano di gi sa-
liti nella libreria, disse:
[9] Questa cupola ha tanta fama per luniverso, ch
una meraviglia.
Ah! rispose il Tasso padre, non egli con ragio-
ne? Dove trovate voi in tutto il mondo uno edifizio simi-
le? Ma la lanterna, sopratutto, miracolosa e senza pari
.
Onde lo abate, quasi sdegnato, rispose dicendoli:
S, a detto tuo e di voi altri fiorentini; ma io ho inte-
so dire da persone degne di fede che la cupola di Norcia
e pi bella assai, e fatta con maggiore artifizio .
Il Tasso non ne volle pi: e vennegli in un tratto tanta
rabbia e tanta stizza, che rotto ogni freno di pacienza e
di riverenza, messer lo abate prese ne i fianchi, gridando
ad alta voce, e tirollo allo indietro di maniera che tutta
tombolar gli fece quella scala; ed egli artatamente lascia-
tosegli cadere addosso, fu quasi per isbonzolarlo; e cos
addssogli, cominci a gridare:
[10] Aiuto, aiuto, correte, correte qua, che questo
frate impazzato e vuolsi gittare a ttera di questi chiostri
. Per la qual cosa alcuni suoi garzoni che lavoravano in
una stanza quivi dallato, subito usciron fuori e viddero il
Tasso addosso allo abate, che non restava di chieder aiu-
to e delle funi; e im-parte serrava e stringeva colui, e di
sorte gridando lo intronava, che egli non poteva dir pa-
rola che fussi inteso. Cos, avendogli i lavoranti suoi por-
tato prestamente un paio di funi, e da quegli aiutato, le
braccia e i piedi, anzi tutta la persona, i mmodo legarano
al frate, che a gran fatica dimenar si poteva; e a ffuria
presolo di peso, lo portarono in una camera di l entro,
e quivi in terra disteso e serrato al buio lo lasciarano.
[11] I compagni dello abate erano corsi al romore; e
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
67 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
perchegli erano gi dentro e occupati in guardar la li-
breria, non potettero giungere in sul fatto, ma arrivara-
no appunto che coloro legato lo menavano via; onde do-
lorosi, gridando fortemente, addomandavano la
cagione, perch e dove portato avessero cos legato il lo-
ro abate. A cui il Tasso rispondendo, affermava con giu-
ramento che, se egli non fusse stato presto a tenerlo, che
si sarebbe gittato a terra di quel chiostro, e che per suo
bene lo aveva legato e fatto mettere al buio; acci che,
non si svagando, pi tosto e pi agevolmente ritornasse
in s, perchegli era uscito fuori de i gangheri. I frati, pur
gridando, con certe persone che erano quivi corse al ro-
more, si rammaricavano e chiedevano il loro abate.
[12] Il Tasso intanto, dato un canto im-pagamento,
fugg via colla chiave della camera dove era serrato il fra-
te; e andatosene nel Chiassolino, dove trovato il Piloto e
l Tribolo e altri suoi amici e compagni a bere, cont lo-
ro per ordine tutto quello che con messer lo frate gli era
intervenuto, che tutti gli fece smascellare delle risa. Lo
abate doloroso, col trovandosi nel modo di sopra m-
strovi, e non sapendo per che cagione, era s fuor di se
stesso che egli non poteva ancora discernere bene se egli
era lui o pure un altro, o se egli dormiva o era desto;
perch in cos poco spazio era successo il caso, che gli
pareva ancor sognare; e quasi smemorato, pensava pure
come il fatto fusse andato. [13] Ma sentendosi nella fine
tutto fiacco e macero e dolersi fieramente le reni, e tro-
vandosi legato che dar non poteva crollo, e rinchiuso si
pu dire in prigione, cominci a gridare e a strider s
forte che pareva che egli avesse il fuoco a i piedi, cotal
che egli intronava tutto quel convento. Per la qual cosa i
suoi frati, gridando anchessi, domandavano della chia-
ve e del Tasso; il quale non trovandosi, e gi il priore di
San Lorenzo corso al romore, fece tosto mandare per un
magnano e apr la camera, dove lo abate si trov mezzo
morto; il quale, tosto dislegato e levato da terra, gridan-
68 Letteratura italiana Einaudi
do sempre: Io son morto , fu da i suoi frati portato a
braccia in camera del priore; [14] e quivi, non senza
grande sdegno e dolore, avendo a tutti narrato come sta-
va appunto la cosa, gridando: Ragione e giustizia ,
non si poteva dar pace che gli uomini dabbene e religio-
si par sui fussero da un artefice a quella guisa bistrattati;
e minacciava, non chaltro, di farlo intendere al papa. Il
priore ne ebbe dispiacere grandissimo, e accnciolo in
un cataletto, ne lo fece portare a Santa Trnita; il quale
per la via non fece mai altro che guaire e rammaricarse,
come colui che aveva di che. [15] Ma nel convento fu
poi il rammaricho grande, e per sorte vi si abbatt a es-
sere il generale; il quale, inteso come il fatto stava, infu-
riato corse al cardinale, a cui parve molto strana e brutta
la cosa. E di fatto fe intendere al vicario che facesse
davere il Tasso nelle mani: per la qual cosa, e per com-
messione degli Otto, fu messo tutta la famiglia del bar-
gello in opera, cercandolo come se fusse stato il maggior
ladro del mondo. I l che risapendo il Tasso, prese per
ispediente, sendo gi lAvemaria sonata, dandarsene in
Palazzo, dove da messere Amerigo da San Miniato, suo
amico e favorito del cardinale, fu nascoso.
[16] La sera, poi che monsignore ebbe cenato insie-
me col Magnifico, sendo ancora a tavola e di questa cosa
ragionando, molto biasimava e minacciava il Tasso, con
dire che a i forestieri e religiosi saveva ad aver rispetto.
Ma il Magnifico lo difendeva dicendo:
La cosa non sar poi cos comella si dice, e bisogna
intendere laltra parte . Il che udendo messere Ameri-
go, mand a dire al Tasso che uscisse dagguato e che
venisse via, ch allora era tempo di favellare. Il quale to-
sto quivi comparse, e trattosi di testa, fece riverenza a
monsignore e al Magnifico, e poscia prese a favellare,
cos dicendo:
[17] Io son vento, monsignore, inanzi alla signoria
vostra, per giustificarmi di quello che con un certo frate
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
69 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
m oggi intervenuto; per lo che voi avete dato comissio-
ne che io sia preso come uno assassino di strada .
E fattosi da capo, tutto ordinatamente, ma non come
era seguto appunto, raccont il caso, con tanta grazia e
con tante acconce parole, che il cardinale stesso fu for-
zato a ridere: pur con un fiero sguardo se gli volt e dis-
se:
[18] I suoi frati la narrano in un altro modo, e affer-
mano che lo abate dice che tu lo tirarsi a tterra di quella
scala, e che tu lo facesti legare, e per pi scorno serrarlo
al buio, e andstitene colla chiave .
Monsignore rispose il Tasso , io vi dico che gli
pazzo, e allora gliene prese un capriccio de buoni; e se
io non era presto, egli si gittava giuso e rompeva, come
test vi dissi, il collo. Non ne dubitate punto che gli
matto spacciato; e che sia la verit, giudicate voi se uo-
mo gi mai che avesse puro e sano intelletto direbbe che
la cupola di Norcia fusse pi bella e fatta con maggior
disegno che la nostra di Santa Maria del Fiore.
[19] Certamente rispose allora il Magnifico che
per questa parola sola egli meritava i canapi, non che le
funi: il Tasso ha mille ragioni, e credo per me che quel
frate, non che pazzo affatto, sia anche spiritato; e per
tanto vo pigliar a difender la sua causa, e domani essse-
re inanzi al vicario per suo proccuratore ; e al Tasso
voltosi, quasi ridendo, disse: Vattene a cena, e domat-
tina per tempo trnati allusanza a lavorare, e lasciane la
briga a me ; e da duoi staffieri lo fece accompagnare in-
fino a casa.
[20] Il cardinale, che era valente uomo, conoscendo il
voler del Magnifico, mand prestamente a far intender
al vicario e al capitano che lasciassero stare il Tasso. I
frati, non avendo potuto avere laltro giorno udienza,
per lo meglio si tacquero, e allo abate dierono ad inten-
dere come il Tasso, oltre lo avere avuto quattro tratti di
fune, era stato confinato in galea per due anni: la qual
70 Letteratura italiana Einaudi
cosa sommamente gli piacque; e ivi a pochi giorni guari-
to, se ne and al suo viaggio.
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
71 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
NOVELLA NONA
[1] Brancazio Malespini, passando innanzi giorno di fuori del-
la porta alla Giustizia, ha per cosa di nullo valore s gran paura,
che egli ne fu per morire.
[2] Silvano, veggendo Lidia essere venuta a fine della
sua novella, mentre che tutti o dellignoranza o dellar-
roganza di messer lo abate e della piacevole resoluzzione
del Tasso ridevano, ridendo anchegli, cos prese a dire:
Ornate donne e amorosi goveni, io voglio, scambio
di ridere, farvi colla mia favola meravigliare, raccontan-
dovi una paura che ebbe un giovine innamorato, de no-
stri fiorentini, mentre che una notte tornava dalla sua da-
ma, per la quale egli fu vicino al perderne la persona .
E soggiunse:
[3] Giovan Francesco del Bianco, il quale fu ne i tem-
pi suoi uno uomo veramente qualificato, di saldo giudi-
zio, ma sopra tutto bellissimo ragionatore (e quegli era
che sapeva meglio che alcuno altro raccontare un caso
intervenuto, magnifica presenza avendo, gran memoria,
buona voce e ottima pronunzia), soleva spesso, tra gli al-
tri suoi bellissimi ragionamenti, narrare come in Firenze
fu gi un giovane chiamato Brancazio Malespini; il qua-
le, s come della maggior parte de i giovani avviene, era
innamorato duna bellissima donna, che stava a Ricor-
boli, poco fuori della porta a San Niccol, moglie dun
buono uomo della contrada, il quale faceva una fornace.
[4] Onde spesso accadeva che il detto Brancazio si ghia-
ceva con esso lei, mentre che il marito stava la notte a
sollecitar le cotte de i mattoni e della calcina: cos bene
aveva saputo governarse e guidare il suo amore. E per-
ch di ci n lo sposo n alcuno vicino a sospettare aves-
se, la sera per lo sportello della porta a San Niccol se
ne usciva, e le matina due ore inanzi giorno passava la
Nave a Rovezzano, avendosi fatto amico, col pagar be-
72 Letteratura italiana Einaudi
nissimo, il passeggere; e di poi rasente la riva dArno se
ne veniva alla porta alla Giustizia, e quindi lungo le mu-
ra tirando, alla porta alla Croce se ne andava; e per lo
sportello, che in quelli tempi si apriva a ogni otta, se ne
entrava in Firenze, e se ne andava a riposare a casa sua,
che persona del mondo no larebbe mai potuto apposta-
re.
[5] Ora accadde, tra laltre, che una volta, tornando
egli dalla sua innamorata, e passato avendo la Nave e
lungo Arno camminando, gli parve, dirimpetto sendo
appunto alle forche, udire una voce che dicesse, come
dire: Ora pro eo; per lo che fermatosi, gir gli occhi
verso le forche, e veder gli parve sopra quelle tre o quat-
tro, come direste, uomini, ciondolare a guisa dimpicca-
ti. S che, stando in fra due, non sapeva che farse, perci
che, sendo unora il meno inanzi giorno, e laria fosca e
senza lume di luna, non bene scorger poteva se quelle
fussero ombre o cose vere. Ma in quello mentre ud con
sommessa voce unaltra volta dire: Ora pro eo; e gli
parve vedere un certo che dimenarse in cima della scala.
[6] Per la qual cosa egli, chera animoso e sempre sera
fatto beffe di spiriti, di malie, dincanti e di diavoli, fra
s disse: Dunque sar io cos pusillanimo e vile, che io
non mi chiarisca di questa cosa? Onde poi sempre abbia
a sospettare e temere una ombra vana? E questo detto,
preso la via verso le forche, e camminando arditamente
l giunse in un tratto, e sal in sul pratello.
[7] Era in quel tempo in Firenze una femmina pazza
che si chiamava la Biliorsa, la quale, per disgrazia tro-
vandosi la notte, come spesso era usata, fuor della citt,
e capitata quivi ntorno vicino alla Giustizia, aveva clto
per quei campi, sendo allora del mese dagosto, forse
diece o dodici zucche; e, come se fussero stati uomini, le
aveva condotte a pi della scala delle forche; e, a una a
una su tirandole, le impiccava, faccendo a un tratto il
boia e quei che confortano. [8] E avendole clte co i
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
73 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
gambi quanto pi lunghi aveva potuto, due o tre volte le
faceva dare al legno, e le lasciava a quel modo appiccate
dondolare, parendole fare un giuoco bellissimo. E ap-
punto quando Brancazio era salito voleva dare la pinta a
una, ma si ferm, gridando a colui:
Aspetta, oh! Aspetta, che io impiccher anche te ;
e per la fretta si lasci cadere la zucca di mano, e comin-
ci a scender la scala, leggiara e destra come una gatta.
Brancazio, udito la voce e sentito il colpo della zucca in
terra, e veggendo colei scender s furiosamente, fu a un
tratto da tanta e cos fatta paura preso, stimandola forse
il diavolo daddovero o la versiera, che gli mancarono su-
bito le forze, fermandosegli e agghiacciandosegli per le
vene il sangue; cotal che in terra cadde, come se propria-
mente fusse stato morto. [9] La Biliorsa, poi che fu scesa
la scala, volendo Brancazio cos tramortito condurre su
per la scala, come fatto aveva le zucche, le venne fallito il
pensiero, perci che a gran pena muover lo poteva: on-
de, scintasi il grembiule, gli ne avvolse alla gola, e tanto
lo tir, che al primo scaglione lo condusse; e quivi lo la-
sci legato, non se ne dando altra cura. E poi che fornito
ebbe dimpiccare laltre zucche, se ne and, come la gui-
dava la fortuna o la sua pazzia, in altra parte.
[10] Fecesi intanto giorno, e i lavoratori dei campi le-
vatisi, e altre persone per la strada passando che givono
alla citt questa cosa veggendo, ognuno fuor di modo si
meravigliava, perci che le forche parevano una festa;
laonde alcuni, faccendosi pi presso, ebbero veduto
Brancazio, cos al primo scaglione legato che sembrava
morto. Per la qual cosa, spargendosi per tutto la novella
e infiniti popoli correndovi, fu finalmente riconosciuto e
da ciascuno tenuto per morto; ma non sapevano e non
potevano gi immaginarse da chi n come quivi fusse
stato condotto, grandissima meraviglia faccendosi di
quelle zucche. [11] Era intanto correndo l venuto suo
padre da molte persone accompagnato; il quale pian-
74 Letteratura italiana Einaudi
gendo fatto pigliare il corpo del figliuolo e alla chiesa del
Tempio portare, messo in sul letto del prete, spogliare
tutto lo fece e molto ben guardare in ogni parte del cor-
po; onde uno medico, che vi era venuto in fretta, trova-
tolo alquanto caldo sotto la poppa manca, disse: Co-
stui ancor vivo . E fattolo assettare in uno cataletto, lo
fece portare in Firenze a una stufa; e quivi, missolo in
una stanza caldissima, con acqua fredda, con aceto e
con malvaga e altri suoi argomenti tanto lo spruzz e
stropiccillo, che finalmente lo fece rinvenire. [12] I l
quale rinvenuto, stette pi dunora inanzi chegli parlas-
se, e pi di tre che non rispondeva a proposito e non sa-
peva in qual mondo si fusse. S che, fattolo il padre por-
tare a casa, fu bisogno cavargli sangue, e medicarlo
parecchi e parecchi settimane, prima che guarito fusse: e
nel guarire rest tutto sbucciato e mondo, e non gli ri-
mase addosso n un capello n un pelo, chi lo avesse vo-
luto per medicina; ma peggio ancora, che mentre egli
visse non gli rimessero gi mai, tal chegli pareva la pi
strana e contraffatta cosa che fusse mai per lo adietro
stata veduta, e non sarebbe stato mai uomo che lo avesse
riconosciuto, come interviene ora a coloro che hanno
quella spezie pazza di mal franzese che si chiama pelati-
na; e questo solamente gli accadde per la paura. [13] E
se non che la sera torn la Biliorsa in sul tramontar del
sole a spiccare quelle zucche, onde fu veduta e quindi
agevolmente trovato la cosa, a Brancazio non arebbe
tutto il mondo cavato della testa che non fusse stato il
diavolo veramente quel chegli vide, e che qualche ne-
gromante, incantatore, stregone o maliardo non avesse
poi quegli uomini, che gli parevano impiccati, fatti con-
vertire in zucche.
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
75 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
NOVELLA DECIMA E ULTIMA
[1] Ser Anastagio vecchio, senza cagione alcuna, diventa gelo-
so della moglie giovane; la quale di ci accortasi, sdegnata, con
uno suo amante opera di modo che ella viene a gli attenti suoi;
e per disgrazia accaduta al marito piglia poi lo amante per suo
sposo.
[2] Avendo gi Silvano fornito la sua novella, molto
piaciuta e lodata assai da i giovani e dalle donne, Cintia,
che sola, avendo tutti gli altri, restava a novellare, con
voce dolce e sonora incominci, cos favellando, a dire:
Che favola dunque, gentilissime donne e graziosi
giovani, potr io raccontare gi mai, che abbia, non pu-
re in tutto, ma in s parte alcuna di bello o di buono,
sendo state le raccontate da voi tanto belle e tanto buo-
ne? Nondimeno, sciogliendomi dallobbligo mio,
mngegner di sodisfarvi il pi che io potr e il meglio
che saperr, dimostrandovi in che modo una buna don-
na fece morire il marito di quel male che egli si and
pazzamente cercando .
[3] Nella nostra citt medesimamente fu, non ha gran
tempo, un notaio che si chiam ser Anastagio dalla Pie-
ve. Costui venne in Firenze piccolo, e stette per pedago-
go in casa gli Strozzi, e dipoi crescendo si matricol; e
cominciato al palagio del Podest a guadagnare, venne
col tempo ricco; e quasi vecchio affatto, non avendo a
chi lasciare, diliber di tr moglie. E non si curando di
dote, ebbe per ventura una fanciulla giovane, nobile e
bella, la quale era da lui, in fura che nel letto, contentata
di tutte quante le cose che ella sapeva chiedere e doman-
dare; perci che il sere nera invaghito e innamoratone
di maniera che egli nera diventato il pi geloso uomo
del mondo, e pi sollecitudine e cura teneva in ben
guardarla che nello acquistare crientoli e in cercare di
rogare contratti. [4] La fanciulla, che Fiammetta si chia-
76 Letteratura italiana Einaudi
mava, si accorse in poco tempo della perversa mente e
della paura del marito; laonde, e perch ella era di gentil
sangue e danimo generoso, si sdegn in guisa tale, che
ella si pose in cuore di fargli quello, per tal cagione, che
altrimenti non arebbe mai pensato di fare. E accortasi
che un medico suo vicino, di poco tornato da Parigi do-
ve era stato a studio, uomo di trentacinque anni o in cir-
ca, assai leggiadro e grazioso, la vegheggiava stranamen-
te, cominci a fargli lieto viso; della qual cosa il medico
allegro fuor di modo, le passava da casa pi spesso; ed
ella faccendogli sempre miglior cera, avvenne che di lui
sinnamor. [5] Cos amando lun laltro, niuna cosa de-
sideravano con pi ardente voglia che di ritrovarse insie-
me; ma non ne potevano venire a capo, per cagione
duna fante vecchia che il sere teneva in casa, non ad al-
tro fine, se non acci che il giorno le facesse la guardia.
La notte egli poi la guardava da se stesso; di che la Fiam-
metta e il suo maestro Giulio, che cos aveva nome il
medico, vivevano pessimamente contenti.
[6] Pure la giovine, come colei che le strignevano i
cintolini, si diliber di trovar via e modo a i suoi piaceri;
e venutole nella fantasia uno nuovo accorgimento per
esser col suo medico e trastullarse con esso lui, ne lo fe-
ce per via di lettere accorto; e restati insieme di quanto
per volevano, una notte in sul primo sonno la buona
femmina cominci fortemente a gridare e a dire:
Oh, ser Anastagio! O marito mio, io muoio, io
muoio! Ohim, aiutatemi, per lo amor di Dio!
[7] Ser Anastagio, destosi, di subito salt fuor dal let-
to in camicia; e chiamato le serve, corsero prestamente
l colla lucerna accesa a confortar colei, che non restava
di guaire e di rammaricarse, dicendo che si sentiva dole-
re il corpo e gonfiare le budella. Coloro, scaldandole
panni e foglie di cavolo, non sapevano pi che farse,
veggendo che nulla giovava, e lei rinforzare nel duolo e
nelle strida, con dire:
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
77 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
Misera! Poverina me! Oh, marito mio caro! I o
scoppio, io scoppio; marito mio dolce, aiutatemi, aiuta-
temi, vi prego ; e faceva i pi pazzi occhi che si vedes-
ser mai.
[8] Ser Anastagio, lagrimando per la tenerezza, e du-
bitando che ella non gli morisse fra mano, diliber dan-
dare dal medico; e per darle qualche conforto lo disse
alla donna. A cui ella rispose:
Ohim! Fate tosto, marito mio buono, per lo amor
di Dio! Tosto, dico, ch voi non sarete a tempo.
Non dubitare soggiunse il sere , ch per far pi
spacciatamente io voglio andar qui, vlto il canto, per
maestro Giulio nostro vicino.
Ben sapete seguit la Fiammetta , non indugiate:
ohim! che io muoio, se egli non viene prestamente a
darmi in qualche modo aiuto .
[9] Il notaio non stette a dire che ci dato, ma si part
subitamente; e senza troppo picchiare, gli fu risposto dal
medico, che stava alla posta; cotal che in un tratto com-
parsero in camera, dove colei si disperava. Il maestro sa-
lutatola e confortatola a prima giunta, e dipoi toccola
molto bene e brancicatola per tutto, voltatosi al marito
disse:
Costei, o ella ha mangiato qualche cosa velenosa, o
veramente la donna del corpo la travaglia. A voi biso-
gna, se campar la volete, andare allo spezial delle Stelle
per uno lattovaro che io vi ordiner, e al veleno e al mal
della madre prefettissimo e appropriatissimo rimedio.
[10] Questa poca cosa rispose il sere, e soggiun-
se: Guardate che io sia a otta.
Non dubitate disse il maestro , ch io le ordiner
intanto una pittima casalinga, e faregliene queste serve
ed io.
Ora uscianne disse ser Anastagio; s che portato
da scrivere, il maestro gli fece una composizione strava-
gante, e mandllo volando a quello speziale, che stava a
78 Letteratura italiana Einaudi
casa e bottega, ed egli rimase intorno alla Fiammetta,
che tuttavia gridava; ma comella sent serrare luscio al
marito, cominci, stridendo pi forte, a rinforzare la vo-
ce, e fingendo che il dolore le crescesse tuttavia, introna-
va tutta quelle casa.
[11] Per la qual cosa il medico disse alle fantesche,
che recavano olio e farina per la pittima, che far le vole-
va un incanto, non veggendo altro modo per tenerla vi-
va; e voltatosi loro, comand che tosto gli portassero un
bicchere di vino e uno dacqua: il che prestamente fu
fatto. Onde il medico, presogli da ogni mano uno e fac-
cendo le vista di dire sopra luno e laltro non so che pa-
role, gli porse alla Fiammetta, il vino dalla man ritta, e
lacqua dalla mancina, e dissele che beesse quattro sorsi
delluno e quattro dellaltra; [12] e a quelle serve fece in-
tendere che, se tenere in vita volevano la padrona loro,
bisognava che elle andassero subitamente, una in sul pi
alto e laltra nel pi basso luogo della casa, a dire quat-
tro corone ognuna a riverenza de i quattro Vangelisti; e
repric loro che avvertissero a dirle adagio e intere, e
che non si partissero per niente, se prima no llavessero
fornite. Le serve se lo credettero fermamente; e ancora
che spiacevole paresse loro, senza pensare altro, stiman-
dosi guarire la padrona, che gridando tuttavia ad alta
voce pareva che ella fusse a ogni ora per dare i tratti, e la
vecchia se ne and nella volta, e la giovane in sul tetto,
ognuna colla sua corona.
[13] Ma tosto che elle ebbero il pi fuor della camera,
maestro Giulio, lasciato il vino e lacqua e glincanti da
parte, e la buona femmina le grida e i rammarichii, quel
piacere insieme lun dellaltro presero, che leggermente
stimar vi potete: ed ebbonne lagio, perci che, stando
ser Anastagio invia Fiesolana, inanzi che l fusse e dallo
speziale sbrigato, stette una buona pezza, e misse tanto
tempo i mmezzo, che egli non pens gi mai di trovar la
moglie viva; di maniera che messer lo medico colla sua
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
79 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
bellissima Fiammetta aveva corso tre volte in chintana,
con piacere immenso e meraviglioso delluna e dellaltra
parte. [14] Ma, parendo loro otta o che le serve o che il
notaio tornare dovessero, si acconci la donna come se
ella dormisse, e il medico si pose ginocchioni, fingendo
di leggere in su certi suoi scartafacci; quando le fante-
sche fornito avendo di dire le corone, luna della volta e
laltra din sul tetto quasi a unotta tornando, entr la
vecchia prima in camera per vedere a che termine fusse
la padrona; ma veduto il medico ginocchioni in terra
borbottare, e lei nel letto ghiacere ferma e cheta che
sembrava dormire, dubitando che ella non fusse morta,
volla gridando far romore; ma fu tosto dal maestro rite-
nuta e dettole che tacesse, ch la madonna era guarita, e
dormendo si riposava. [15] E di poi, dimandato lei e
quellaltra, che di gi era entrata in camera, se elle aveva-
no fornito di dire le corone, ed esse risposto di s, si lev
dritto im-piedi appunto che ser Anastagio picchiava
luscio, al quale da una delle fanti fu prestamente aper-
to; onde egli compar n un tratto in camera tutto furio-
so e affannato col lattovaro, temendo di non trovare la
donna passata di questa vita. A cui tosto maestro Giulio
disse:
La vostra moglie sta come una perla; e per la grazia
di Dio guarita; s che non ci pi bisogno di medicine
; e raccontgli il tutto, e come, non avendo altro rime-
dio, fu forzato ricorrere aglincanti.
[16] Colei intanto, fingendo di svegliarse, tutta alle-
gra e ridente, volta al marito disse:
O marito mio dolcissimo, fate conto daver riavuto
la vostra Fiammetta dalla fossa, e rendetene grazie a
messer Domenedio prima, e doppo cost a maestro Giu-
lio .
Per la qual cosa se Anastagio non restava di ringrazia-
re Domenedio e il medico, e tutto pieno di letizia voleva
pur dare al maestro un fiorino doro; ma il medico, ri-
80 Letteratura italiana Einaudi
spondendo che di tali medicamenti non era mai solito
pigliar danari, doppo molte offerte e ringraziamenti, tol-
se da loro ultimamente licenza e andssene a casa sua. Il
sere colla moglie, fattone andare le serve al letto, lietissi-
mi si missero a dormire.
[17] La mattina, avendo faccenda ser Anastagio al
Proconsolo, per certe cause che egli aveva alle mani
dimportanza, si lev per tempo, lasciando riposare la
donna; la quale, per lo travaglio della passata notte, pen-
sava che bisogno grandissimo ne dovesse avere. E vesti-
tosi spacciatamente per andar via, nello scender la scala,
come volle la sua disavventura, inciampando dal primo
scaglione in fuori la tombol tutta quanta: dove, tra le
altre percosse, batt una tempia di sorte che egli si ven-
ne meno. [18] Per lo che le serve corsero amendune al
romore, e cos la Fiammetta; e andatene giuso, lo trova-
rano in terra stramazzato, e tutto sanguinoso a lato allo
orecchio sinistro, in guisa tale che esse si pensarano fer-
mamente che egli fusse morto; e piangendo levarono il
romore grande. Dove tutta corse la vicinanza, e presta-
mente il sere, cos percosso e sanguinoso, portarano so-
pra il letto, e mandarano per due cerusici, i primi di Fi-
renze; e tanto con acqua fredda e con aceto gli
stropicciarono i polsi, che gli ritornarano gli smarriti
spiriti, appunto che i medici giunsero; i quali, molto be-
ne vedutolo e tentatogli la rottura, lo fecero spacciato,
dicendo che lo facessero confessare, ch ve ne era per
poco. [19] Non domandate quanto cordoglio faceva, e
quanto dolore mostrava laverne la Fiammetta; la qual
cosa dava pi noia e pena al marito, che non faceva il
male stesso; s che, prima accnciosi dellanima, fece poi
testamento; e non avendo parenti che legittimamente lo
redassero; lasci liberamente ogni cosa alla moglie, e di
tutti i suoi beni mobili e immobili la fece erede principa-
le e senza obligo e carico niuno, per mostrarle aperta-
mente lo amore ardentissmo e incomparabile che egli le
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
81 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
portava. [20] Della qual cosa lietissima dentro la Fiam-
metta, pareva che, piangendo, per gli occhi colle lagrime
insieme mandar fuori volesse lanima; cotal che ser Ana-
stagio, sdimenticatosi di s, era forzato a confortar e rac-
consalar lei. E dicendole che ella rimaneva ricca, la pre-
gava e domandavale solo una grazia: e questo era, o che
ella mai non si rimaritasse, e doppo la morte lasciasse
ogni cosa a glInnocenti; o che, rimaritandosi, al primo
figliuol maschio che le nascesse ponesse nome Anasta-
gio, acci che ella avesse cagione di doverse lungo tem-
po ricordar di lui. La moglie, piangendo sempre, ogni
cosa largamente gli prometteva; onde il sere, peggioran-
do forte, perd la sera, al tramontar del sole, la favella, e
la notte medesima si mor.
[21] La Fiammetta, fatto grandissimo cordoglio con
suo padre, chera venuto a vederla, e co i fratelli, laltro
giorno lo fece onoratissimamente seppellire; e alla fante
vecchia, che era stata gran tempo in casa, dette, oltre al
salario, una buona mancia, e mandnnela; quella giova-
ne marit. Ed ella, sendo restata ricca, e giovine trovan-
dosi, dispose, contro la voglia del padre e di tutti i suoi,
di rimaritarsi; e ricordandosi, anzi sempre davanti gli oc-
chi avendo il suo maestro Giulio, e trovatolo nelle prove
damore valoroso e franco cavaliero, con esso lui segre-
tamente teneva strettissima pratica. [22] I l quale non
meno di lei, per ogni rispetto, desiderava le nozze; tanto
che nella fine si conchiusero in quello pi onesto modo
che si potette; onde poi lungo tempo, godendo, vissero
insieme ricchissimi e contenti, crescendo sempre in ave-
re e in figliuoli. E la Fiammetta poi a lungo e tempo os-
serv in questo la fede al marito, per che al suo primo fi-
gliuolo maschio fece per nome Anastagio.
[1] Fornito che ebbe Cintia la sua novella, che tutta la
brigata aveva fatto ridere se non che lo sfortunato ac-
cidente del notaio, troppo pi che voluto non arebbero,
82 Letteratura italiana Einaudi
gli fece contristare, grandissima compassione avendogli
nondimeno molte lode attribuirono alla sagace femmi-
na e al bun medico. Ma non vi restando pi altri a dover
dire, Amaranta, ripigliando le parole, soavemente prese
a favellare, cos dicendo:
Poich, collo aiuto di Colui che pu e sa tutte le co-
se, noi avemo dato finimento alle favole di questa prima
sera, a me pare che per alquanto di tempo chi vuole pos-
sa andare a fare quel che ben gli viene e che pi gli ag-
grada, e torni prestamente, a fine che cenare possiamo,
sendone oggimai venuto lotta .
[2] Piacque assai e fu lodata da ciascuno la sua pensa-
ta; per lo che, chiamati i servidori e le fantesche e fatto
accendere de i lumi, i giovani se ne andarono nelle stan-
ze di terreno, e le donne con Amaranta nella sua camera
e nelle altre in su la sala; dove, doppo non molto, quan-
do uno e quando un altro comparsero tutti quanti, e la
tavola trovarono apparecchiata. S che, dato lacqua alle
mani, ma prima preso un buon caldo, si posero, le don-
ne di dentro e i giovani di fuori, a mensa; alla quale
splendidamente dottime vivande e di priziosi vini servi-
ti furono. [3] Dove, poi che essi ebbero cenato allegra-
mente, ragionatosi alquanto sopra le raccontate novelle,
se ne tornarano al fuoco; e quivi riscaldatisi, e delle due
cene vegnenti favellato a bastanza, si risolverono di co-
minciare laltro gioved sera a novellare pi a buon otta.
E rimasti dessere insieme inanzi lAvemaria, le donne,
preso onestamente licenzia da i giovani, se ne andarano
con Amaranta alle loro camere; e i giovani, scese le scale,
altri rimasero a dormire con Fileno, altri, da i servidori
con torce accompagnati, se ne tornarano alle loro case.
IL FINE DELLA PRIMA CENA
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
83 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
SECONDA CENA
INTRODUZIONE
[1] Tanta avevano parimente i giovani e le vaghe don-
ne bramosa voglia e ardentissimo desiderio di ritrovarse
insieme a novellare, che quella settimana era paruta loro
un anno; ma poi che il gioved ne venne, tutti quanti
allora deputata si trovarono al terminato luogo. L on-
de, quando tempo le parve, Amaranta, avendo fatto ac-
cendere un gran fuoco e acconciare intorno a quello le
sedie per ordine, con le sue donne tutta lieta uscendo di
camera, in sala se ne venne, e subito fece al servidore
chiamare i giovani, i quali sapeva che nelle stanze di ter-
reno dimoravano aspettando. [2] S che tutti volonterosi
e allegri ivi comparsero in un tratto, e doppo che essi
ebbero salutato e fatto reverenza alle donne, Amaranta,
postasi nel primo luogo, fece sedere doppo lei Florido,
poi Galatea e gli altri, di mano in mano secondo che
lordine seguitava.
[3] Ella era grande e ben fatta della persona, aveva
bellezza ne laspetto, maest nella fronte, dolcezza negli
occhi, grazia nella bocca, gravit nelle parole, e leggia-
dria e suavit negli atti e ne movimenti; e acconcia a or-
nata semplicemente, e in quelle maniera per in casa usa-
no dacconciarsi e dornarsi le nostre vedove, con un
fazzoletto sottile in capo e uno al collo, e sopra alla ga-
murra una zimarretta nera medesimamente, ma fatta
con maestria nondimeno, e di panno finissimo; tanto
che, a mirarla intentamente, pi tosto a i risguardanti
rassembrava dea celeste e divina che donna terrena e
mortale. [4] La quale, poscia che girato ebbe leggiadra-
mente gli occhi intorno e guardato alquanto la lieta bri-
gata in viso, cos, tacendo ognuno, prese a dire:
84 Letteratura italiana Einaudi
Perch le novelle di questa sera dovendo esser mag-
giori che quelle dellaltra passata, io giudico che quanto
pi tosto si d loro cominciamento, vertuosissimi giova-
ni e graziose fanciulle, tanto sia meglio; a fin che poi non
mancasse il tempo, e che la cena, oltre il guastarsi, non
se ne avesse a ire in l un pezzo di notte, contro la vo-
lont di tutti: e perci, senza usarvi altri rettorici colori o
farvi altri proemi, verr prestamente alleffetto. [5] Ma
prima a imitazione di Ghia ... sia ... invocando laiuto di
sopra, prego lui facitore e mantenitore di tutte le cose
che ne dia grazia a ciascuno che tutto quello che da noi
si ragiona questa sera ...., torni a gloria del Suo altissimo
... ora alla mia novella, dico:
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
85 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
NOVELLA PRIMA
[1] Lazzero di maestro Basilio da Milano va a vedere pescare
Gabbriello suo vicino e affoga: onde Gabbriello, per la somi-
glianza che seco avea, si fa lui; e levato il romore, dice essere
affogato Gabbriello; e come se Lazzero fusse, diventa padrone
di tutta la sua robba, e doppo per modo di compassione spo-
sando unaltra volta la moglie, secoo e con i figlioli, commen-
dato da ognuno, lietamente lungo tempo vive.
[2] Pisa anticamente, come leggendo avete potuto in-
tendere e mille volte ragionando ancora udito dire, fu
delle populate e benestanti citt, non solo di Toscana,
ma di tutta Italia; ed era da molti suoi cittadini nobili e
valorosi e ricchissimi abitata. Gran tempo dunque in-
nanzi che sotto il dominio e forze fiorentine venisse, vi
capit per sorte un dottore milanese, che veniva di Pari-
gi, dove studiato e apparato aveva larte della medicina;
e come volle la fortuna, alquanto ivi fermatosi, prese a
curare alcuni gentiluomini, a i quali in breve tempo, co-
me piacque a Dio, rend la smarrita sanit: a tale che, sa-
lendo egli di mano in mano in credito, in riputazione e
in guadagno, e piacendogli la citt e i costumi e modi
degli abitatori, deliber di non tornarsene altrimenti in
Milano, ma quivi fermarsi. [3] E per che a casa non ave-
va lasciato se non la madre gi vecchia, e di lei, pochi
giorni innanzi che a Pisa capitasse, auto novelle come
passata era di questa vita, di l levato ogni speranza, in
Pisa la messe, ed elessela per sua abitazione; dove medi-
cando, in poco tempo e con molta utilit ricco divenne:
e si faceva chiamare maestro Basilio da Milano.
[4] Per la qual cosa avenne che alcuni pisani cercaro-
no di dargli moglie, e glienarrecarono molte per le mani
prima che egli si contentasse. Alla fine una gliene piac-
que che n padre n madre avea, di nobil sangue, ma
povera, e solo una casa gli diede per dote, nella quale il
86 Letteratura italiana Einaudi
maestro, allegrissimo, fatto le nozze e menatola, si torn
ad abitare; dove in roba e in figlioli crescendo, molti an-
ni insieme lietamente menarono la vita. Ebbero tre fi-
glioli maschi e una femina, la quale in Pisa, al tempo,
onoratamente maritarono, e al maggiore dei loro figlioli
diedero donna; il minore attendeva alle lettere, perci
che il mezzano, che Lazzero aveva nome, pi tempo per
imparare sera invano affaticato, poco dilettandosene, e
pigro ancora e duro lingegno avendo. [5] Era molto
maninconico di natura, astratto e solitario, e di pochissi-
me parole, e tanto caparbio, che quando egli diceva una
volta di no, tutto il mondo non larebbe potuto rimuo-
vere. Onde il padre, cos goffo, e zotico e provno cono-
scendolo, dispose di levarselo dinanzi, e lo mand a sta-
re in villa, dove, poco lontano dalla citt, quattro belle
possessioni comprate aveva; alle quali egli lietamente di-
morando si vivea, pi assai piacendoli i contadineschi
che i cosumi civili. [6] Ma passati dieci anni che maestro
Basilio ne avea mandato Lazzero in contado, venne in
Pisa una strana e pericolosa malattia, che le persone in-
fermavono dunardentissima febbre, e si addormenta-
vano di fatto, e cos dormendo senza mai poterse destare
si morivano, e per vantaggio sappiccava come la peste.
[7] I l maestro, desideroso, come gli altri medici, del
guadagno, fu de primi che ne medicassero; tanto che in
poche volte se gli attacc la iniqua e velenosa infermit,
di sorte che non gli valsero sciroppi o medicine, ch in
poche ore lo uccise: e tanto fu crudele e contagiosa che a
gli altri di casa sappicc di modo che per non contarvi
minutamente ogni particularit tutti quanti luno doppo
laltro mand sotterra, e solo una fantesca vecchia vi ri-
mase viva; e cos per tutta Pisa fece grandissimo danno,
e larebbe fatto maggiore, se non che molte genti se ne
partirono. Ma poi venutone tempo nuovo, cess la mala
influenza del mortifero morbo, che in quelli tempi e da
quelli tali fu detto il mal del vermo, e le persone rassicu-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
87 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
rate, alla citt ritornando, ripresero le medesime faccen-
de e i soliti esercizi.
[8] Fu chiamato Lazzero in Pisa alla grandissima e
ricchissima eredit; il quale, entrato in possessione, solo
un famiglio con la vechia fantesca prese di pi, e raf-
ferm il fattore che attendeva a i poderi e alle ricolte.
Tutta la terra cerc in un tratto di dargli moglie, non
guardando alla rozzezza n alla caparbiet sua; ma egli
risolutamente rispondendo che voleva star quattro anni
senza, e che poi ci penserebbe, non gliene fu mai pi poi
detto parola, sapendosi per ognuno la sua natura. Egli,
attendendo a far buona vita, non si voleva con uomo na-
to adimesticare, anzi fuggiva pi la conversazione, che i
diavoli la croce. [9] Stavagli al dirimpetto a casa per sor-
te un pover uomo, che si chiamava Gabbriello, con la
moglie, che Santa aveva nome, e con due figlioli, luno
maschio di cinque e laltra femina di tre anni, n altro
avevano che una picciola casetta. Ma Gabbriello, il pa-
dre, era ottimo pescatore e uccellatore, e maestro di far
reti e gabbie perfetto; e cos de sudori del pescare e
delluccellare il meglio che poteva sosteneva s e la sua
famiglia, collo aiuto nondimeno della moglie, che tesse-
va panni lini. [10] Era, come volle Dio, questo Gab-
briello tanto somigliante a Lazzaro nel viso, che pareva
una maraviglia. Ambi erano di pel rosso, la barba aveva-
no duna grandezza, a una foggia, e dun colore medesi-
mo, tal che sembravano nati a un corpo; e non solo di
persona e di statura conformi, ma erano dun tempo, e
come ho detto, di maniera si somigliavano che, sendo
stati vestiti a una guisa luno da laltro saputo conoscere,
e la moglie stessa ne sera rimasta ingannata; e solamente
le vestimenta vi ponevano la differenza, perci che que-
sti di rozzo panno e quegli di finissimo vestiva. [11] Laz-
zaro adunque, veggendo nel suo vicino tanta somiglian-
za di se stesso, pens che da gran cosa venisse, n dover
potere esser senza ragione: e comincissi a dimesticar
88 Letteratura italiana Einaudi
seco, e a lui e alla moglie mandare spesso da mangiare e
da bere; e sovente invitava Gabbriello a desinare e a ce-
na, e insieme avevano mille ragionamenti; e gli faceva
credere colui le pi belle cose del mondo; perci che,
quantunque dumile nazione e povero fusse, era non di
meno astuto e sagacissimo, e sapevagli andare a i versi,
trattenerlo e piaggiarlo di modo, che Lazzero non sape-
va viver senza lui.
[12] Cos una volta fra laltre, avendolo seco a desina-
re, gi fornite le vivande pi grosse, entrarono ragionan-
do in sul pescare, e avendogli mostro Gabbriello diversi
modi di pescagioni, vennero sopra il tuffarsi con le van-
gaiole a collo; e di questo modo disse tanto bene e come
gli era tanto utile e dilettoso, che a Lazzaro venne voglia
grandissima di vedere in che maniera si potesse pescare
tuffandosi, e si pigliassero cos grossi pesci, non pure
colla rete e colle mani, ma con la bocca ancora, e ne
preg caldamente il pescatore: al quale rispose Gab-
briello che a ogni sua posta era apparecchiato, se bene
egli volesse allora; perci che, essendo nel cuore della
estate, agevolmente ne lo poteva servire. [13] S che ri-
masero daccordo dandarvi subito, e levatisi da tavola,
si uscirono di casa; e Gabbriello, tolte le vangaiole, con
Lazzaro insieme se nand fuori della porte a mare so-
pra Arno, rasente una palafitta che reggeva un argine,
dove erano infiniti alberi e ontani che altamente sten-
dendosi a laria, sotto, dolce e fresca ombra facevano; e
quivi giunti, Gabbriello disse a Lazzero che si ponesse a
sedere al rezzo e lo stesse a vedere. E spogliatosi nudo si
acconci le reti alle braccia, e Lazzero in su la riva mes-
sosi, sedendo, aspettava quello che far dovessi. [14] Ma
tosto Gabbriello entrato nel fiume, e sotto lacqua tuffa-
tosi, perch di quelle reti era maestro eccellente, non
stette guari che a galla tornando, nelle vangaiuole aveva
otto o dieci pesciotti, tutti di buona fatta. Parve a colui
un miracolo, veggendo come sotto lacqua cos bene si
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
89 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
pigliavano: onde gli nacque subito nel pensiero ardentis-
sima voglia di veder meglio, e per lo cocente sole, il qua-
le, sendo a mezzo il cielo, dirittamente fervia la terra, di
modo che i raggi suoi parevono di fuoco, pens ancora
di rinfrescarse; [15] e aiutandolo Gabbriello si spogli,
e da colui fu menato dove era acqua a ffatica a ginoc-
chio, in luogo che piacevolmente correva al cominciare
del fondo; e quivi lasciatolo, gli disse che pi avanti non
venisse che un palo che alquanto sopravanzava gli altri;
e mostratogliene, si diede a seguitare la pescagione. Laz-
zero guazzando sentiva dolcezza incomparabile, rinfre-
scandosi tutto quanto, stando a veder colui che sempre
tornava in su con le reti e con le mani piene di pesci, e
pi duna volta per piacevolezza se ne metteva uno in
bocca; [16] intanto che Lazzero, maravigliandosi fuor di
modo, pens che sotto lacqua si potesse veder lume,
non sendosi egli gi mai tuffato, immaginandosi al buio
non esser mai possibile pigliarsi tanti pesci. E volendo
chiarirsi come Gabbriello faceva a pigliargli, un tratto
che colui si tuff, anche egli messe il capo, senza pensare
altro, e lasciossi andar sotto lacqua, e per meglio accer-
tarsi vicino al palo venne; [17] il quale, come se di piom-
bo stato fusse, se nand al fondo, e non avendo arte n
di ritenere lalito n di notare, gli parve strana cosa, e
cercava, dimenandosi, di tornare in suso: ed entrandogli
lacqua non solo per bocca, ma per li orecchi e per il na-
so, ed egli scotendosi pure, invano tentava duscirne;
perci che quanto pi si dimenava, tanto pi la corsia lo
guidava nel sopra capo, di modo che in breve lo sba-
lord.
[18] Gabbriello, in una gran buca di quella palafitta
entrato, dove lacqua gli dava a punto al bellico, perch
molti pesci vi sentiva, per empierne ben le vangaiuole
non si curava uscirne cos tosto; onde il misero Lazzero,
venuto mezzo morto due e tre volte a galla, alla quarta
90 Letteratura italiana Einaudi
non ritorn pi in suso, e affogando, miseramente forn
la vita.
[19] Gabbriello, avendo presi quei pesci che gli pare-
vano abbastanza, con la rete piena ne venne fuori, e alle-
gro si volse per veder Lazzero; ma in qua e in l girando
gli occhi e non lo veggendo in alcun luogo, meraviglioso
e pauroso divenne; e cos attonito stando, in su le verde
riva vide i panni suoi; di che forte turbato, e pi che pri-
ma doloroso e malcontento, cominci a guardarne per
lacqua, e a punto vidde alla fine del fondo il morto cor-
po essere dalla corsia stato gittato alla proda. [20] S che
di fatto dolente e tremante l corse, e trovato Lazzero
affogato, fu da tanto dolore e da cos paura soprapreso,
che quasi mancatogli ogni sentimento, immobile a guisa
dun sasso venne; e cos stato alquanto e sopra ci pen-
sando, non sapeva risolversi a nulla, temendo nel dire la
verit che la gente non dicesse che da lui fusse stato
affogato per rubbarlo; pure fatto della necessit virt, e
per la disperazione diventato ardito, si deliber di man-
dare ad effetto un pensiero che allora allora gli era cadu-
to nellanimo.
[21] E non vi essendo testimoni intorno, perch al
fresco o a dormire era la maggior parte delle persone, la
prima cosa messe i pesci e le reti aveva in una cassetta
per ci fatta; e di poi prese il morto corpo di Lazzero in
spalla, e ancora che grave fusse, in su lumida riva lo
condusse e fra la verde e rigogliosa erbetta lo pose, e ca-
vatosi le mutande, il primo tratto le gli messe, e di poi
avendosi sciolto le reti, alle braccia de laffogato Lazzero
le leg fortemente; [22] e di nuovo presolo, e con lui ne
lacqua tuffatosi, e al fondo condottolo, gli attacc e av-
volse le vangaiuole a un palo, e in guisa attraverslle che
con gran fatica si potevono sviluppare; e in su ritornato
e nella riva salito, la camicia prima, e di poi successiva-
mente tutti i panni infino alle scarpette di colui si messe,
e si pose a sedere, avendo disegnato di far prova e di
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
91 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
tentare la fortuna, prima per salvarsi, e poscia per vede-
re se una volta uscir poteva di stento, e provare se il co-
tanto somigliar Lazzero gli potesse esser cagione di som-
ma felicit e di perpetuo bene. [23] E perch egli era
saputo e animoso, parendogli otta di dar principio alla
non meno pericolosa che ardita impresa, e a gridare in-
cominci, come se Lazzero fusse, e a dire:
O buona gente, aiuto, aiuto: ohim! Correte qua, e
soccorrete il povero pescatore, che non ritorna a galla!
[24] E gridando quanto della gola gli usciva, tanto
disse che il mugnaio l vicino con non so quanti contadi-
ni l corsero al romore, e Gabbriello grossamente par-
lando ben per contrafar Lazzero, quasi piangendo fece
loro intendere come il pescatore, sendosi tuffato molte
volte, e molti pesci avendo preso, lultima era stato qua-
si unora sotto lacqua, per lo che egli dubitava forte che
non fusse affogato; e domandatogli coloro per me dove
tuffato sera, mostr loro il palo, al quale aveva avvolto
Lazzero nel modo che sapete.
[25] Il mugnaio, amicissimo di Gabbriello, si spogli
subito, e perch egli era bonissimo notatore, si tuff a
pi di quel palo, e in un tratto trov colui morto intr-
nogli avviluppato; e cercato avendo di tirarlo seco, non
laveva potuto scirre; e pien di dolore in su torn, gri-
dando:
[26] Ohim! che il meschino a pi di questo palo
con le reti avvoltosi, senza dubbio niuno affogato e mor-
to!
I compagni sbigottiti mostravono, con parole e con
gesti, che fuor di modo ne dolessi loro, e duoi spogliati-
sene col mugnaio insieme tanto fecero, che lo affogato
corpo ripescarono, e fuor dellacqua in su la riva con-
dussero, avendo alle braccia mezze stracciate e rotte le
vangaiuole, quelle incolpando che, per essersi attaccate,
gli fussero stato cagione di disperata morte. [27] E cos,
spargendosi la novella intorno, venne un prete vicino, e
92 Letteratura italiana Einaudi
finalmente in una bara messo, fu portato a una chiesic-
ciuola poco quindi lontana, e nel mezzo posto, acci che
vedere e segnare lo potesse la brigata, tenuto da ognuno
per Gabbriello.
[28] Era gi la trista nuova entrata in Pisa e gi agli
orecchi della sfortunata sua donna venuta, la quale pian-
gendo con i due figliolini l corse, da alquanti suoi pi
stretti parenti e vicini accompagnata; e il non suo marito
cos morto nella chiesicciuola veduto, credendolo desso
veramente, se gli avvent di fatto al viso, e piangendo e
stridendo non si saziava di baciarlo e dabbracciarlo, e
addssogli gridando, scinta e scapigliata, non restava di
dolersi e di rammaricarsi con i suoi figliolini che tanto
teneramente piangevano, chogni persona dintorno per
la piet e compassione lacrimava. [29] Onde Gabbriel-
lo, come colui che molto bene voleva alla sua donna e a i
figlioli, non poteva tenere il pianto, troppo di loro incre-
scendosi; e cos, per confortare lafflitta e maninconica
moglie, tenendo un cappello di Lazzaro quasi in su gli
occhi, e al viso un fazzoletto per rasciugarsi le lagrime,
da lei a da ciascheduno Lazzero tenuto, con voce roca
disse in presenza di tutto il popolo:
[30] O donna, non ti disperare, non piangere, chio
non sono per abbandonarti; con ci sia cosa che per mio
amore tuo marito e per darmi piacere oggi a pescare
contro sua voglia si mettesse, a me pare della sua morte
e del danno tuo essere stato in parte cagione; per ti vo-
glio aiutare sempre, e a te e a i tuoi figlioli dare le spese:
s che resta oggimai di piagnere e datti pace, tornandote-
ne a casa, ch mentre che io viver non ti mancher mai
cosa alcuna; e se io muoio ti lascer in modo che, da tua
pari, ti potrai chiamar contenta ; [31] e questa ultima
parola disse piangendo e signozzando, come che della
morte di Gabbriello e del danno di lei gli increscesse
fuor di misura; e cos, come se Lazzero fusse, se nand
molto laudato e commendato dalla gente.
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
93 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
[32] La Santa, avendosi stracco gli occhi per lo trop-
po lacrimare, e la lingua per lo soverchio rammarivarsi,
venuta gi lora di seppellire il morto corpo, da parenti
accompagnata se ne torn in Pisa alla sua abitazione,
confortata alquanto dalle parole di colui, che fermamen-
te pensava esser Lazzero suo vicino. [33] Gabbriello,
che Lazzero somigliava e sera fatto lui, gi per Lazzero
in casa Lazzero entrato, perch tutti i costumi suoi, sen-
do familiarissimo di casa, molto ben sapeva, senza salu-
tare se nera andato in una ricca camera, che sopra un
bellissimo giardino rispondeva; e cavato le chiavi della
scarsella del morto padrone, cominci ad aprire tutti i
cassoni e le casse; [34] e trovato nuove chiavicine, for-
zieri, cassette, scannelli e cassettini aperse; dove trov,
senza larazzerie, panni lani e lini, di velluto e daltro
drappo molte ricche robe che del padre medico e de i
fratelli dellaffogato Lazzero erano state. Ma sopra tutto
quel che gli fu pi caro, furono, lasciando da parte le
doriere e le gioie, forse dumila fiorini doro e da quat-
trocento di moneta; di che lietissimo non capiva in se
stesso per la allegrezza, pensando sempre come far do-
vesse per meglio poterse celare a quegli di casa, e farse
tenere per Lazzero. [35] Cos, sapendo ottimamente la
natura di lui, in su lora della cena si usc di camera qua-
si piangendo. Il famiglio e la serva, che la sciagura della
Santa intesa avevano, e come si diceva Lazzero esserne
stato in buona parte cagione, si crederono che il Gab-
briello lagrimasse; ma egli, chiamato il servitore, fece
trgli sei coppie di pane, ed empiergli due fiaschi di vi-
no, e con la met della cena lo mand alla Santa: di che
la meschina poco si rallegr, non facendo mai altro che
piagnere. [36] Il famiglio ritornato, dette ordine di ce-
nare, e Gabbriello poco mangiando, per pi Lazzero so-
migliare, da tavola finalmente si part senza altramente
favellare, e serrssene in camera allusanza di colui, don-
de non usciva mai se non la mattina a terza. Al servo e
94 Letteratura italiana Einaudi
alla fantesca parve che gli avesse alquanto cambiato cera
e favella; ma pensavano che fusse per lo dolore dello
strano caso del povero pescatore; e a lusanza cenato,
quando parve loro tempo, se ne andarono al letto. [37]
La Santa, dolorosa, mangiato alquanto con i suoi figlioli-
ni, da non so che suoi parenti consolata, che buona spe-
ranza le dierono, veduto la profenda da colui mandatale,
se ne and a dormire, e i parenti presero licenzia.
[38] La notte Gabbriello, pi cose volgendosi per la
fantasia, non chiuse quasi mai occhio, e allegrissimo la
mattina si lev a lotta di Lazzero, e sapendo lusanza, il
meglio che sapeva imitandolo, si passava il tempo, non
lasciando mancar niente alla sua Santa. Ma, sendogli ri-
detto dal servitore che ella non restava di lamentarse e
di piagnere, come colui che quanto altro marito che
amasse mai moglie teneramente lamava, troppo dolen-
dosi del suo dolore, pens di racconsolarla; [39] ed es-
sendosi risoluto di quanto fare intendeva, un giorno die-
tro mangiare se nand a lei dentro la sua casa; e perch
gli era di poco seguito il caso, la trov da un suo fratel
cugino accompagnata. Onde egli fattole intendere che
parlar li voleva per cosa dimportanza, colui, sapendo la
carit che egli le faceva, per non turbarlo, subitamente
prese da lei comiato, dicendole che ascoltasse il piatoso
suo vicino. [40] Gabbrielo, tosto che colui fu partito,
serr luscio, e in una sola piccola cameretta terrena en-
trato, accenn alla Santa che l andasse; la quale, dubi-
tando forse dellonore, a quel modo sola rimasta, non si
sapeva risolvere se col dentro andare o restar quivi do-
vesse; pur poi, pensando allutile e la benefizio che da
colui traeva e aspettava di trarre, preso per la mano il
maggior de suoi figliolini, in camera se ne and; dove
colui sopra un lettuccio (nel quale sempre, quando era
stacco, posar si soleva il marito) trov a ghiacere: mera-
vigliosa si ferm. [41] Gabbriello, veduto seco il figlioli-
no, con un ghigno della purit della sua donna ralle-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
95 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
grandosi, e a lei rivolto, una parola che era molto usato
di dire le disse; di che la Santa pi che mai maraviglian-
dosi, stava tutta sospesa; quando Gabbriello, preso in
collo il figliolino e baciandolo, disse:
Tua madre, non conoscendo, piagne la tua ventura,
e la felicit di lei e del suo marito .
[42] Pure di lui, come picciolin fusse, non fidandosi,
con esso in collo in sala se ne venne; e da quel altro mes-
solo, datogli non so quanti quattrini, lo lasci che si tra-
stullasse; e la moglie, che pensando alle dette parole
quasi riconosciuto lavea, tornato, luscio della camera
serr a stanghetta; [43] e iscopertosele, ci che fatto
avea ogni cosa per oridne li narr; di che la donna fuor
dogni guisa umana si rend lieta, certificata per molte
cose che tra loro due erano segretissime; e gioiosa, non
si saziava di stringerlo e dabbracciarlo, tanti baci per
lallegrezza rendendogli, vivo trovatolo, quanti per lo
dolore dati gli aveva, morto credutolo. [44] E piangen-
do insieme teneramente per soverchia letizia, lun de
laltro le lacrime beveano; tanto che la Santa, per meglio
accertarse volle, e per ristoro della passata amaritudine,
il colmo della dolcezza gustare con il caro suo marito il
quale non se ne mostr punto schifo, forse maggior vo-
glia di lei avendone: e cos la donna, pi a quello che a
niuna altra cosa, lo conobbe veramente per Gabbriello
pescatore, suo legittimo sposo. [45] Ma poi che essi eb-
bero presosi piacere, e ragionato assai, avvertendola
Gabbriello le disse che fingere le bisognava, non meno
che tacere; e le mostr quanto felice essere poteva la vita
loro, raccontandole di nuovo le ricchezze che trovato
avea: e narratole tutto quello che egli intendeva di fare,
che molto le piacque, si usc seco di camera. [46] La
Santa, fingendo di piangere, a punto quando Gabbriello
fu fuor de luscio e a mezzo la strada disse, da molti sen-
tita:
Io vi raccomando questi bambolini .
96 Letteratura italiana Einaudi
Colui, dicendo che non dubitasse, si torn in casa,
pensando come pi acconciamente menar potesse ad ef-
fetto i suoi pensieri e colorire i suoi disegni.
[47] Venne la sera, ed egli, osservati i modi comincia-
ti, fornito di cenare, senza dire altro andatosene in ca-
mera, si messe nel letto per dormire; e quasi tutta la not-
te sopra quello che di fare intendeva pensando, poco o
niente potette chiudere occhio; e non s tosto apparse
lalba in oriente, che levatosi nand alla chiesa di Santa
Caterina, nella quale abitava allora un venerabile religio-
so, divoto e buono, e da tutti i pisani tenuto un santarel-
lo; [48] il quale fatto chiamare, che frate Angelico aveva
nome, gli disse che bisogno aveva grandissimo di favel-
largli, per consigliarse seco dun importante caso e stra-
no che gli era intervenuto. Il buon padre misericordio-
so, ancorch non avesse sua conoscenza, lo men in
camera; il quale, faccendosi Lazzero di maestro Basilio
da Milano, come colui che benissimo la sapeva, tutta gli
narr la sua geneologia, e come per la passata mortalit
solo rimanesse, e laltre cose pi di mano in mano; tanto
che a Gabbriello venne, e gli raccont tutto quello che
intorno a ci accaduto fusse; [49] e gli dette a credere
come per vedere pescare lo menasse contra a sua voglia;
e come poi, pescando per fargli piacere, affogasse, del
danno che ne risultava alla moglie e ai figlioli, perci
che, non avendo bene alcuno n solo n mobile, del gua-
dagno del padre vivevano; [50] e parendogli essere del
danno loro e della morte di lui in gran parte cagione, gli
disse come si sentiva al cuore gravoso peso e molto cari-
ca la coscienza. Per, come da Dio ispirato, disposto
aveva, non ostante che ella fusse povera e di bassa con-
dizione, di trre la Santa per moglie, quando ella se ne
contentasse e anco i parenti suoi, e del morto pescatore
pigliare i figlioli, come se da lui stati generati fussero,
per allevarli e custodirli per suoi, e al paragone degli al-
tri figlioli che di lui nascer potessero lasciargli eredi: in
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
97 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
questo modo pensandosi agevolmente dover poter tro-
var perdono appo Iddio e commendazione appresso li
uomini.
[51] Al padre spirituale parendo questa unopera pie-
tosissima, e veggendo il santo suo proponimento, lo
confort assai, e consiglillo alquanto pi tosto poteva
mandarlo ad effetto, dicendogli che, se ci faceva, cer-
tissimo fusse della misericordia del Signore. [52] Gab-
briello, per aver pi presto e pronto laiuto suo, aperto
una borsa, gli rovesci inanzi trenta lire di moneta
dariento, dicendo che voleva che tre luned alla fila fa-
cesse cantare le messe di san Ghirigoro per lanima del
morto pescatore; alla cui dolce vista, ancor che santissi-
mo, si rallegr tutto quanto il venerando frate; e preso i
danari, disse:
[53] Figliolo, le messe si cominceranno il primo lu-
ned: ci resta solo il matrimonio, al quale quanto so il
meglio e quanto posso, il pi ti conforto; e non guardare
n a ricchezze n a nobilt, perch di quelle non hai da
curarti, sendo ricchissimo per la grazia di Dio, e di que-
sta non di far conto, poich tutti quanti nati siamo dun
padre e duna madre medesima, e che la vera nobilt so-
no le virt e il temere Dio; di che non ha bisogno la gio-
vane, ch ben la conosco, e i suoi parenti bonissima par-
te.
[54] Io non son qui per altro rispose Gabbriello ,
s che io vi prego che voi mi mettiate per la via.
Quando vorreste tu darli lanello? disse il frate.
Oggi, sella se ne contentasse rispose colui.
[55] Al nome di Dio rispose il padre , lascia un
po fare a me: vattene in casa e di l non ti partire, ch
inanzi desinare spero che si faranno queste benedette
nozze.
S, che io ve ne prego disse Gabbriello , e mi vi
raccomando .
E auto la benedizione, di camera del frate si usc, e
98 Letteratura italiana Einaudi
lietissimo a casa se ne torn, aspettando che la cosa
avesse, secondo lo intento suo, effetto felicissimo.
[56] Il padre santo, riposto le trenta lire, prese una
compagnia e se nand a trovare un zio dello Santa che
era calzolaio, e cos un suo fratel cugino, barbiere: e nar-
rato loro il tutto, se ne andarono insieme a trovare a casa
la Santa. E fattole intendere ogni cosa, mal volentieri
fingeva darrecarvisi; [57] pure coloro tanto la pregaro-
no, mostrandole per molte ragioni questa essere la ven-
tura sua e de i sua figlioli, che ella acconsent; e quasi
piangendo disse che non lo faceva per altro che per lo
commodo e utile dei suoi figliolini, e ancora perch Laz-
zero simigliava tutto il suo Gabbriello. [58] Volete voi
altro, per dir brevemente? che la mattina medesima tan-
to si adoper il buon frate che in presenza di pi testi-
moni e del notaio, sendo tutti andati in casa Lazzero,
Gabbriello la seconda volta, allegrissimo, dette in perso-
na di Lazzero alla Santa lo anello; la quale, gi spogliata-
si la nera, sera duna vesta ricca e bellissima adorna, che
fu della moglie del fratello dellaffogato Lazzero, fra
molte altre scelta, che a punto pareva tagliata a suo dos-
so. [59] E cos la mattina fecero un bellissimo desinare,
e la sera una splendidissima cena: la quale fornita, prese-
ro licenza i convitati, e gli sposi se ne andarono al letto;
dove lieti insieme ragionando, della semplicit del frate,
della credulit de parenti e de vicini e di tutte le perso-
ne si ridevano oltre a modo, della felicissima ventura lo-
ro rallegrandosi; e gioiosi attesero la notte a trastullarsi e
darsi piacere. [60] La fante e il famiglio, avendo veduto
far s gran spendio, si maravigliavano, dandone cagione
alle nozze, poco contentidi questo parentado. Gli sposi,
levatisi tardi la matina, avendo bevuta luova fresche, vi-
sitati da i parenti della Santa, fecero un suntuoso convi-
to, e cos a stare in festa durarono quattro giorni, avendo
Gabbriello onorevolmente rivestiti i figlioli. [61] La
Santa, veggendosi di terra essere volata al cielo, e dellin-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
99 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
ferno salita in paradiso, deliber, col suo marito consi-
gliatasi, di crescere servitori, il che molto piacque a
Gabbriello; e pi si dispose per ogni buon rispetto di
mandarne quei che verano; e chiamatogli un giorno, fe-
ce loro le parole, e alla serva vecchia che gran tempo era
stata in casa, oltre il suo dovere, don trecento lire per
maritar una sua nipote; [62] e cos al famiglio, che di po-
co vera venuto, dette ancora, doppo il salario, una buo-
na mancia, e mandnnegli in pace, che se andarono lie-
tissimi e contenti. E rifornito la casa di nuove fantesche
e servidori, con la sua due volte moglie lungo tempo vis-
se poi pacificamente in lieta e riposata vita, due altri fi-
glioli maschi avendo; ai quali trovato un casato nuovo,
gli fece chiamare de Fortunati: della cui stirpe nacquero
poi molti uomini eccellenti e nellarmi e nelle lettere.
100 Letteratura italiana Einaudi
NOVELLA SECONDA
[1] Mariotto, tessitore camaldolese detto Falananna, avendo
voglia grandissima di morire, servito dalla moglie e dal Berna
amante di lei; e credendosi veramente esser morto, ne va alla
fossa: intanto sentendosi dire villania si rizza; e quelli che lo
portano, impauriti, lasciano andar la bara in terra: onde egli,
fuggendosi, per nuovo e strano accidente casca in Arno e arde,
e la moglie piglia il Berna per marito.
[2] Non meno aveva fatto ridere la favola dAmaranta
che maravigliare la brigata, parendo a tutti aver udito un
caso il pi stravagante e nuovo che si udisse gi mai; n
si potevano saziare le donne e i giovani di commendare
lo accorgimento e la sagacit del pescatore; quando Flo-
rido, che seguitar doveva, disse:
[3] Veramente che il novellare di questa sera ha au-
to cominciamento con un favola cotale, che Dio voglia
che tutte laltre brutte non paiano; pure io, piacevoli
donne, una ne voglio raccontare, che se ella non sar co-
tanto bella e maravigliosa quanto la passata, fia il meno
pi faceta e ridicolosa, e per tanto pi gioconda e alle-
gra; sicch acconciatevi tutti quanti gli orecchi e la boc-
ca, quegli per udire, e questa per ridere . E soggiunse:
[4] La peste del quarantaotto, la mora de Bianchi
cio, credo certamente che ugnun di voi abbia sentito ri-
cordare, quella che con tanta facondia ed eleganza scri-
ve nel principio del suo Decamerone il dignissimo mes-
ser Giovan Boccaccio, pi maravigliosa e pi celebrata e
di pi spavento piena per lo essere da cos granduomo
con s mirabil arte stata raccontata, che per la mortalit e
per lo danno, ancorch grandissimo, che gli abitatori de
i nostri paesi in quei tempi ne ricevessero, da non com-
pararse in alcun modo alla nostra del ventisette: [5] no-
stra, dico, per essere stata a nostro tempo, e perch cia-
scuno di noi se ne pu agevolmente ricordare: perci
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
101 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
che questa dur pi anni che quella mesi; e se in quella
morivono gli uomini a decine, in questa a centinaia; se
nella loro i morti andavano a sotterrarse nelle bare, nella
nostra eran portati nelle carra. [6] Ma perchio so che
voi s bene comio, sendovi presenti quasi tutti ritrovati,
se non mille volte uditolo dire, non mi distender altri-
menti in raccontare il dolore delle passate miserie no-
stre; e cos, per ritornare a quello chio vo narrarvi, dico
che cessata questinfluenza prima del quarantotto, e le
persone rassicurate e gi tornate nella citt, e riprese le
usate faccende e i soliti essercizi, era in Camaldoli un
tessitore di panni lani, come voi sapete che l abitavano,
restato, di quattordici che egli erano in famiglia, solo e
assai benestante. [7] Per la qual cosa gli fu dato moglie,
con la quale stette dieci anni che mai non ebbe figliolo;
pur poi ingravidando, partor al tempo un bambino ma-
schio, del quale il padre ed ella fecero maravigliosa festa.
[8] E perch egli nacque in domenica mattina a
buonora, e la sera mandatosi a battezzare, non sendo le
gabelle del sale aperte, tenne poi sempre e molto bene
del dolce; e posengli nome Mariotto; e per non aver altri
che lui, ed essendo anche maschio, ed eglino per esser
nel grado loro si pu dire ricchi, lallevarono e nutrirono
in tante delicatezze e con tanti vezzi, che si sara disdetto
se stato fusse figliol del conte dOrmignacca. [9] Il pa-
dre, quando egli fu in et, lo mand a scuola, acci che
egli imparasse a leggere e a scrivere; e perch disegnato
avea di ringentilirsi, far lo voleva studiare, a fine che no-
taio o procuratore o giudice venisse; e poscia dargli una
moglie nobile, fargli far larme, e trovargli un casato, ac-
ci che poi egli fusse una persona da bene. [10] Ma il
detto Mariotto era di cos grossa pasta e tanto tondo di
pelo, che in otto anni o poco meno che egli stette a scuo-
la, non potette, non che a compitare, imparar mai
lABC: onde molte volte avendo detto il maestro che
quivi si perdevano il tempo e i danari, perch s grosso
102 Letteratura italiana Einaudi
cervellaccio aveva, che gli era come a dibatter lacqua
nel mortaio a voler che egli imparasse, il padre disperato
lo lev da leggere e messelo al telaio: il che quantunque
poco ben li riuscisse, pure lo faceva manco male assai.
[11] Cos questo mostro quanto pi andava in l tanto
pi doventava grosso e rozzo, e con gli anni insieme gli
crescevano la dappocaggine e la goffezza; e certi detti
che da bambino imparati avea, non gli erano mai potuti
uscir della mente, come al padre e alla madre dire bab-
bo e mamma, il pane chiamava pappa, e bombo
il vino; [12] a e quattrini diceva dindi,e ciccia alla
carne; e quando egli voleva dir dormire o andare a letto,
sempre diceva a far la nanna: e non vi fu mai ordine
che il padre o la madre, n con preghi, n con doni, n
con minacce, n con busse ne lo potessero far rimanere.
[13] E gi diciotto anni quando gli mor la madre aveva,
che mai non favellava in altro modo; tal che suo padre
nera forte mal contento, e i fanciulli l della contrada, i
compagni e i vicini gli avevano posto nome Falananna
e non lo chiamavano altrimenti. Ed erasi cos per Ca-
maldoli divulgato questo soprannome, che pochissimi lo
conoscevano per Mariotto, ed era il sollazzo e l passa-
tempo di quel paese: [14] ugnuno Falananna qui e
Falananna qua, si pigliava di lui piacere e delle sue ca-
stronerie; perci che, semplicissimo, diceva e credeva
cose tanto sciocche e goffe e fuori dogni convenevolez-
za umana, che pi tosto animal domestico che uomo sti-
mar si sarebbe potuto. [15] Cerc molte volte il padre di
dargli donna, n mai gli era venuto fatto; pure, avendo-
ne una apostata che gli piaceva e gli pareva il proposito,
pens di farla chiedere per questo suo fantoccio; ma in
questo mezzo accadde, come volle Dio, chegli si in-
ferm e morssi.
[16] Rimasto adunque Falananna solo, con molta ro-
ba, con casa e telaia, non avendo n di padre n da lato
di madre parenti, gli amici e i vicini gli furono a dosso, e
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
103 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
gli dierono moglie; e per disgrazia fu delle sue pari ca-
maldolese, una bella e valorosa giovane, ed era chiamata
la Mante, dassai molto, e pratica nel tessere. Ma, perch
ella era povera, a questo scimunito la fecero trre senza
dote; e ne men seco la madre, che mona Antonia si
chiamava, una vecchiarella tutta pietosa e amorevole: e
cos tutti insieme, lavorando, menavano assai tranquilla
e riposata vita. [17] Ma perch la Mante, come io vho
detto, era bella e avvenente, aveva di molti vagheggini; e
tutta notte intorno alluscio lera cantato e sonato, e fat-
tole le pi galanti serenate del mondo. Ma ella, posto
locchio addosso a un giovane che si faceva chiamare il
Berna, tutti quanti gli altri scherniva; e perch il suo Fa-
lananna in tutte le cose era debole, cos ne i servigi delle
donne debolissimo ritrovandosi, pens come savia pro-
cacciarsi, e che il Berna sopperisse dove mancava il ma-
rito: perci che, sendo prosperosa e gagliarda, non pote-
va stare a beccatelle. [18] S che ragionatone con la
madre, fece tanto che di lei pietosa venne, e dissele:
Figliola mia, lascia pur far a me, non ti dar pensiero,
ch io ti far tosto contenta .
E itasene a trovare il suo amante, che pi di lei lo de-
siderava, dettono ordine fra loro che il Berna da mezza
notte in l, facendo certo segno, venisse a cavare la fi-
gliola daffanno. Il quale non manc di niente; e a lora
deputata, fatto il cenno, fu da mona Antonia messo in
casa, e di poi nel letto a canto alla sua Mante; [19] ed es-
si avevano senza pi un letto di quegli a lantica, tanto
agiato e cos grande che tutti tre stavano da un capezza-
le, senza toccarsi a un braccio, la Mante nel mezzo, da
una proda la madre, e da laltra il marito. Il Berna, tra
mona Antonia e la figliola entrato a punto che Falanan-
na dormiva, non stette a far troppi convenevoli, che alla
disperata le sal a dosso. [20] Alla buona femmina pare-
va un altro scherzo quel del Berna, e sentire altra gioia e
conforto, che col suo marito non era usata di sentire; per
104 Letteratura italiana Einaudi
la qual cosa a dimenarse e a scuotere, a sospirare e a mu-
golare cominci fortemente; per che Falananna, che leg-
germente dormiva, si dest, e sentendo il cullamento e il
dolce rammaricho, sendogli coloro presso a meno dun
filar dembrici, distese la mano, e il Berna trov in su la
sua cavalla, che camminar la faceva per le poste. [21]
Ondegli, credendo lui esser la madre, disse:
Mona Antonia, che fate voi? ohim! guardate a non
mi impregnar mgliama .
Mona Antonia, che si stava vegliando in su la proda
sua, quanto pi poteva contenta del contento della fi-
gliola, udito Falananna, per riparare che del Berna non
saccorgessi, accost il capo rasente quel della Mante; e
cos favellando gli rispose:
Non aver pensiero chio te la ingrossi, no. Ohim
trista! che io le fo le fregagioni rasente in bellico; perch
la poverina stata per morire, cos grande stretta le ha
dato da un poco in qua e d la donna del corpo! udite
come ella si rammarica!
[22] Erano coloro a punto, allora che mona Antonia
cotali parole dicea, nel colmo delle beatitudine amorosa;
e perci la Mante due volte per la soverchia dolcezza
disse:
Ohim, ohimi, io muoio, io muoio!
Per che Falananna cominci a gridare:
Aspetta, aspetta, chio vadi per lo prete: aspetta mo-
glie mia, non morire ancora: ohim, che tu ti confessi
prima!
[23] E sera gi gittato del letto, e cercava, sendovi
buio, per accendere il lume; quando la Mante, ci uden-
do, disse:
Marito mio, ringraziato sia santa Nafissa divota del-
la donna del corpo: io sono guarita, io sono risuscitata,
ritornatevi nel letto, non dubitate, ch io non ho pi ma-
le nissuno .
[24] Il Berna, avendo anche egli sgocciolato il barlet-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
105 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
to, se le era levato da dosso, e tra la madre e lei entrato;
ma mona Antonia, passandogli di sopra, si messe in
mezzo la figliola; e chiamato di nuovo Falananna al let-
to, nel suo lato lo rimesse, dicendo che tra lui e la Mante
era entrata, acci che per la notte, avendo ella cos grave
stretta auto, non avesse cagione di darle noia.
[25] Bene avete fatto rispose colui, e bad a dor-
mire; ma la Mante con il suo Berna non attese mai ad al-
tro la notte, che giucare alle braccia, e qualche volta
avenne che ella messe lui di sotto.
[26] Ma la mala vecchia, che stava in orecchi, sentito
una campana al Carmine, che suona unora inanzi gior-
no, fece levare il Berna da lamoroso gioco; il quale mal-
volentieri dalla sua Mante si part, stanco forse, ma non
gi sazio; e andssene a casa sua, non troppo quindi lon-
tana, a riposarsi e a dormire, senza essere stato veduto
da persona. La Mante, per ristoro della passata notte,
dorm per infino a nona sonata. [27] Falananna a lora
consueta per tempo si lev la mattina e andnne a lusa-
to lavoro, e cos mona Antonia ragionando insieme della
mala notte che la Mante aveva auta: di che si dolse Fala-
nanna molto, e lod assai che mona Antonia non laves-
se chiamata, acci che, riposandosi, dormire a suo pia-
cere potesse. [28] La buona vecchia lo confort che egli
andasse a cercar delle uova fresche, dicendogli che mol-
to erano appropriate al dolore della donna del corpo;
per che colui, lasciato il lavorare, si part, e tanto cerc
che ne arrec a casa una serqua. Mon Antonia, datone
bere quattro in su la terza alla figliola, la lasci poscia
dormire un sonnellino; e doppo, sendone venuto gi
lora, la chiam a desinare, che si sentiva come una spa-
da. Di che troppo contento rimase Falananna, e desina-
to allegrissimi si tornarono al telaio.
[29] La notte il Berna venne medesimamente, e cos
molti giorni e mesi continovarono la danza, dandosi in-
sieme un tempo di paradiso. Ora accadde che, sendone
106 Letteratura italiana Einaudi
venuto la Quaresima, Falananna, che era un buon cri-
stianello e divoto, andava ogni domenica mattina alla
predica; [30] e tra laltre, una volta la ud in Santo Spiri-
to da un frate, il quale tanto e tanto disse, e con tante ra-
gioni e autorit prov che questa vita non era vita, anzi
una vera morte, e che noi, mentre vivevamo in questo
misero mondo, eravamo veramente morti, e che chi mo-
riva, di l cominciava a vivere una vita senza affanni,
dolce e suave, e senza aspettare mai pi la morte, pure
che in grazia si morisse di messer Domenedio, e che
questo solo avveniva a i fedeli cristiani; e cos tante altre
cose disse di questa vita, che fu una maraviglia. [31] Per
la qual cosa a Falananna venne cos gran voglia di mori-
re, che egli non trovava loco: e gi della vita era capitale
inimico doventato, e a casa ritornatosene, non faceva
mai altro che dire se non che vorrebbe morire, a ogni
parola dicendo: O morte dolce, o morte benedetta, o
morte santa, quando verrai tu per me, che io possi co-
minciare a vivere in quella vita che mai non si muore?
[32] Ed era questo alla Mante e alla madre cos gran
fastidio a sostenere e rincrescimento, che elle erano
mezze fuor di loro, e non sapevano pi come si fare a
sopportare tanta seccaggine. Egli aveva dismesso il lavo-
rare, e tutte le faccende di casa, solo attendendo a voler
morire; e rammaricavasi sovente della morte, pregando-
la di cuore che lo dovesse uccidere. [33] La moglie e
mona Antonia gli avevano insegnato mille modi, ma niu-
no gnenera piaciuto. Alla fine, di questa faccenda consi-
gliatesi col Berna, deliberarono di farlo morire a ogni
modo; e sendo restati insieme di quel che far doveano,
una mattina la Mante, sendo gi vicina la settimana san-
ta, gli disse come ella sera confessata in Ogni santi da
un fra Bartolo, buona e divota persona, a cui tutta rac-
contato avea la sua sciagura, e la voglia che aveva il ma-
rito di morire; [34] e gli soggiunse come il venerabil pa-
dre, per sola piet e per lamor di Dio, se le offerse, se
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
107 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
bisognasse, daiutargli venire la morte; e che in breve,
purchei voglia, lo far morire, come a Milano e a Napo-
li ne aveva fatto molti altri. A cui tutto lieto rispose Fala-
nanna, e disse:
[35] Come si far? e quando fia questo?
Agevolmente, e quando noi vorremo.
Domane si vuole soggiunse colui mandare per
questo frate.
Al nome di Dio seguit la moglie, e gli disse: La
prima cosa e vi convien mandare pel notaio, e far testa-
mento.
Cos si faccia rispose Falananna, tutto dallegrezza
pieno. [36] E cos, fatto venire un notaio, come se da i
medici fusse stato sfidato, tutte le sue sustanze lasci per
testamento alla donna doppo la morte sua. La qual cosa
avendo inteso il Berna, gli piacque fuor di modo, e lo
giudic bonissimo principio dottima fine, aspettando
con sommo piacere che la Mante facesse il rimanente;
[37] la quale, secondo lordine, fingendo daver favella-
to a fra Bartolo, un giorno subito doppo mangiare fece
entrare il suo Falananna nel letto, avendolo avertito, per
commessione del frate, che parlasse poco, e in voce
sommessa e quasi piangendo a ognuno dicesse che gran-
dissimo male si sentisse, e che gi fusse vicino alla mor-
te, e se niuno gli ragionasse di medicare, rispondesse che
non voleva n medico n medicine. [38] E cos lasciato-
lo, se ne and alle finestre; e piangendo cominci gri-
dando a dire al vicinato:
Ohim! trista la vita mia! E come ho io a fare? Il
mio marito nel letto malato, e s gravemente, chio non
credo che egli sia vivo domattina .
Onde la vicinanza corse l tutta, e nel letto trovato
Falananna languire e rammaricarse come se egli avesse
laffanno della morte, ugnuno il meglio che sapeva lo
confortava; ed egli, a tutti rispondendo: Io sono spac-
ciato, io sono morto , nulla intender voleva di medicar-
108 Letteratura italiana Einaudi
se; per che i vicini confortavano la Mante che mandasse
per il confessoro. [39] Onde la Mante chiamata la ma-
dre, che sapeva il tutto, le fece prestamente mettere la
cioppa, e la mand ratta dove in un luogo segreto aspet-
tava il Berna; il quale, avendo un abito da un frate
dOgni Santi suo parente accattato, se lo era vestito; e
perch egli aveva a ffatica segnato le guance da i primi
fiori, una barba nera procacciato avea, e al mento accon-
cissela di tal maniera, che chi non lavesse saputo, non
larebbe conosciuto mai; [40] e allegro dietro a mona
Antonia aviatosi, tanto camminorono, che alla casa di
Falananna giunsero; alla cui venuta, facendogli tutti ri-
verenza come a sommo religioso, la casa sgombrarono,
pensando che lammalato dovesse confessare. [41] I l
Berna, a uso di frate in camera entrando, salut a prima
giunta Falananna, e dicendo: Il Signore sia con esso te-
co , lo benedisse. Falananna si volle rizzare per fargli
onore, ma frate Berna, contrafacendo un po la voce, gli
disse che stesse gi e caldo il pi che poteva. A cui ri-
spose Falananna, e disse:
O non ste voi colui che mi volete insegnar morire,
acci che tosto risuciti poi in quella vita dove mai mai
non si muore?
S sono, che sia benedetto rispose il frate.
Disse allora Falananna:
Ors cavianne le mani; cominciate oramai col nomi-
ne Domini .
[42] Il padre spirituale, fattagli la confessione genera-
le, gli diede lassoluzione, e la penitenza disse che voleva
che facesse la moglie per lui; e in sua presenza chiamato-
la le impose che, per sodisfazione dei peccati del marito,
ella dovesse digiunare ognanno la vigilia di Berlingac-
cio, mentre che ella vivea: [43] e di pi, che ella accen-
desse alla imagine di santa Befana ognanno ancora
quattro candele a riverenza delle Quattro Tempora; di
che si mostr colui fortemente contento, e fece giurare
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
109 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
alla moglie che ella non mancherebbe di far la detta pe-
nitenza. [44] Ma il padre soggiunse, e disse:
Guai a lei, se ella non la facesse a punto, ch ella se
nandrebbe come traditora gi ne labisso .
Disse Falananna, e al frate rivolto, lo preg che solle-
citasse il morire, ch gli pareva millanni ogni momento
duscire di quellimpaccio. A cui il frate disse:
[45] Ora ascoltami, che sia santo. Tu hai la prima
cosa a chiuder gli occhi per sempre, e non mai pi aprir-
gli, e lvate affatto il pensiero di questo mondo, n per
cosa che tu odi, o che ti sia fatta, hai a favellare o far sen-
timento alcuno; e cos, tosto che tu abbi chiusi gli occhi,
mgliata lever un gran pianto: io non mi partir, aven-
do scusa lecita di rimanere; [46] e mentre che le donne
la conforteranno, stando in sala, mona Antonia e io, la-
vandoti prima, una veste ti metteremo lunga, che ti verr
a coprire il viso e i piedi; e metterenti in mezzo della ca-
mera con un candelliere a capo, drntovi una candela
accesa benedetta, a fine che la gente ti possa segnare; e
di poi daremo ordine domandasera, che i frati del Car-
mine e i preti di San Friano ti portino, detto la compie-
ta, a sotterrare.
[47] S rispose Falananna , si vuole anco farlo in-
tendere alla compagnia; e che mi mandino la veste, e
venghino per me, e poi alla sepoltura, come al compare,
mi cantino O fratel nostro.
Ben sai seguit il Berna questo si far a ogni mo-
do ; e sogginse:
[48] I becchini, messo che taranno nella bara, e alla
fossa condotto, e cantato, e fatto tutte le cerimonie, ti
guideranno e metterannoti ne lavello, e quivi ti lasce-
ranno; dove stato ventiquattro ore, lanima tua voler, e
non prima, in Paradiso; ma abbi avvertenza che tu senti-
rai, infino a tanto che quel tempo non sia fornito, tutte
quante le cose, come se fu fussi vivo; s che non favella-
re, e non far mai senso alcuno; per che nello star cheto
110 Letteratura italiana Einaudi
e fermo sacquista tutto il merito. [49] Ma se tu facessi
cosa alcuna da vivo, subito cascheresti nel profondo del
baratro infernale: e perch quelli sciagurati becchini
non hanno una discrezione al mondo, potrebbon forse,
nel metterti giuso ne lavello, darti qualche stretta, o
percuoterti qualche membro, come gli stinchi, le gomita
o l capo, tal che ne potresti sentire dolore e non picco-
lo; e tu zitto e cheto; perci che quanto maggior pena
sentirai di qua, tanto di l pi gusterai maggiore il con-
tento .
[50] Falananna, avendo bene ogni cosa compreso, ri-
spose che stessi sicurissimo che non mancherebbe di
niente e non uscirebbe del suo comandamento; ma
avendo una grandissima fame, fe intendere alla moglie
che gli portasse da mangiare; e al frate vlto, disse che
era disposto di volere morire satollo; [51] per che la
Mante gli arrec un gran tegame di lenti riconce, e una
coppia di pane grandissimo, poco minor di quello che
fanno in contado i nostri lavoratori, con un gran boccale
di vino; il quale Falananna tutto bevve, e tutte le lenti
mangi con uno e mezzo di quei pani cos grandi, come
se mai pi non avesse n a bere n a mangiare: e poi dis-
se:
[52] Acconciatemi come vi pare, ch io muoio pi
conteno mille volte, ora chio muoio a corpo pieno .
Il Berna acconcillo sopra il letto, e serratogli gli oc-
chi, avendo certi moccoli accesi in mano, borbottando
fece le viste di dire alcune orazione, e gli disse:
Falananna, tu sei morto .
Subito la Mante messo un grande strido cominci a
piangere amaramente, e dire:
O marito mio, o marito mio dolce, tu mhai lasciata
sola!
[53] Frate Berna, infino in su luscio venuto, finse,
udito le grida, di tornare a confortar colei; i vicini, senti-
to il piano, gran parte duomini e di femine andarono
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
111 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
per confortarla, la quale in sala faceva un lamento incre-
dibile. I l frate e mona Antonia, entrati soli in camera
piangendo, Falananna vivo permorto din sul letto leva-
rono; e come i morti lavatolo, dun lenzuolaccio gli fece-
ro una lunghissima veste che gli copriva i piedi, le mani
e il viso, acci che il colore non gli avessi scoperti; [54] e
postolo sopra un tappeto in mezzo la camera, con un
Crocifisso al capo e un candellieri a piedi, dntrovi una
candela benedetta accesa, apersono luscio, a fine che la
brigata lo potesse segnare.
[55] Era sempre mai Falananna, senza far motto o
sentimento alcuno, stato fermissimo, di che frate Berna
lietissimo stava; ma venute le persone in camera, lacri-
mando lo segnavano, domandando maravigliose perch
cos gli avessero turato il viso.
Perch gli era s trasfigurato rispose il frate Berna
e brutto, che gli arebbe fatto paura a chi lavesse guar-
dato .
[56] Messero queste parole paura e i circustanti che
ei non fusse morto di qualche cattivo malaccio e che si
appiccasse, s che tutti quanti stavano in cagnesco, leg-
germente a messer lo frate ogni cosa credendo. Ma, sen-
done gi sopravenuta la notte, fu la casa sgombra, e solo
alcuni pochi parenti della Mante vi restarono, e il padre
spirituale che lo guardava, con un libbro in mano, fin-
gendo di leggergli salmi e orazioni; e quando fu tempo,
cenarono dun gran vantaggio. [57] Ma venutane la mat-
tina, fecero intendere a i fratelli che mandassero la veste,
ch Falananna era morto, e gli invitarono per la sera
doppo compieta alle esequie. Venne subitamente la ve-
ste, la quale da mona Antonia e dal Berna gli fu messa
sopra quella chegli aveva, e la capperuccia su la faccia
gli venne doppiamente a coprire il viso; e cos tutto il
giorno vennero uomini e donne a consolar la Mante e a
segnare il marito, increscendone a tutti. [58] Ciascuno
diceva:
112 Letteratura italiana Einaudi
Dio gli perdoni!
Il che Falananna udendo, maraviglioso piacere e con-
tento sentiva, pensandosi certamente desser morto. Ma
poi che vespro non solo fu detto, ma la compieta, venne-
ro, secondo lordine, i preti di San Friano e i frati del
Carmino coi fratelli della compagnia di san Cristofano,
che cos era intitolata (la quale era appiccata col conven-
to medesimamente del Carmino, dove i frati fecero poi,
ed vvi ancora, un refettorio), della quale gli uomini era-
no tutti tessitori; e nel mezzo a punto avevano fatto fare
un grandissimo avello, nel quale chiunque moriva di lo-
ro si sotterrava. [59] Il che venne molto a proposito al
Berna e alla Mante, perci che quel sepolcro avea una
lapida gravissima e congegnata in modo, che n alzare
n aprire si poteva, se non da chi fusse stato di fuori; e
per questo il Berna fra s diceva: Se egli ventra, con-
verr che, o per amore o per forza, che egli vi muoia
drento, non vi si ragunando coloro che una volta il mese
. [60] Ma poi che i frati e i preti, passando da luscio,
ebbero auto la cera, andorono i becchini per il corpo.
Che diresti voi che Falananna, avendo auto grandissima
voglia di far le sue cose e forse due ore sconcacatosi, e
gran pezzo avendola ritenuta, nella fine, non potendo al-
tro fare, laveva lasciata andare, e avendo le lenti riconce
fatto operazione, come se egli avesse preso scamonea,
avea gittato un catino di ribalderia; la quale per essere
stata alquanto rattenuta, tanto putiva, e s corottamente,
che non si poteva star per lo puzzo in quella camera.
[61] E cos, tosto che furono drntovi i becchini, e che
lo presero, turandosi il naso dissero a coloro che erano
ivi intorno:
O diavolo, non dovete averlo zaffato voi: in malora,
non sentite voi come egli pute? Vedete chei cola:
ohim! voi dovete esser poco pratichi .
[62] E cos a malincorpo portandolo, quasi ammor-
bati, lo posero nella bara; onde i fratelli, sendo gi i pre-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
113 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
ti e i frati forniti di passare, comportando il meglio che
potevano il triste odore, levato se lavevano di spalla, e
dietro la croce seguitavano di camminare.
[63] Ora avvenne, camminando, che ei giunsero sul
canto al Lione; e in su la svolta a punto capitati, tutte le
genti, come usanza, dimandavano chi fusse il morto;
alle quali era risposto esser Falananna; tanto che a cia-
scuno ne incresceva, dicendo:
Dio abbia auto lanima sua .
[64] Ma un certo suo conoscente e amico, intesolo
anchegli, e veggendolo portare a seppellire, poco di-
screto, anzi adirato, disse:
Ahi ribaldo giuntatore! Egli se ne va con tre lire di
mio: e sai che io non gnene prestai di contanti? Tristo la-
dro, abbisele sopra lanima!
E disse queste parole tanto forte, che Falananna inte-
se: il quale, o per non andar con quel carico, o parendo-
gli essere a torto o troppo ingiuriato, dato una stratta al-
le mani, e di quelle sviluppatosi, si stracci prestamente
e alzssi quel pannaccio che gli nascondeva il viso; [65]
e rittosi a sedere sopra la bara, a colui che tuttavia ol-
traggiandolo andava rivolto, disse:
Ahi sciagurato! Queste parole si dicono a morti?
Tristo! Che non me gli aver chiesti quando ero vivo? O
andare a mgliama, che tarebbe pagato?
Quelli che lo portavano udite le parole, spaventati, la-
sciorono andare la bara, e colui fu per spiritare. Fala-
nanna, sendo caduto con la bara in terra, gridava pure a
coloro, che erano spaventati:
[66] Non dubitate frategli, io son morto, io son
morto, fate pur luffizio vostro conducendomi a lavello
; e assettatosi come prima nella bara a ghiacere, gridava
pure.
Portatemi via a sotterrare, portatemi via, chio son
morto .
[67] Le grida quivi intorno si levarono grandissime:
114 Letteratura italiana Einaudi
chi fuggiva, chi si nascondeva, chi si segnava. La croce,
che era gi preso alla porta della chiesa, si ferm, e colui
pur gridava:
Seppellitemi, seppellitemi, chio son morto .
Ma alcuni della compagnia, conoscendo assai bene la
sua natura, se gli accostarono, e con alcuni torchi lo co-
minciarono a frucare dicendo:
Scelerato, ribaldo, che cosa questa?
[68] Falananna diceva pur gridando:
Sotterratemi, io son morto, che siate impiccati per
la gola! Sotterratemi per lamore di Dio .
Onde coloro, presi quei torchi capo piedi, lo comin-
ciarono a bastonare e dargli di buone picchiate. Fala-
nanna, sentendo le percosse, cominci a stridere e guai-
re, e sviluppandosi il capo e i piedi, perch coloro non
gli rompessino il dosso, si usc della bara, e correndo
gridava:
[69] Ahi traditori, traditori, voi mavete risucitato!
perci che avendo auto una bastonata in su la testa, gli
grondava il sangue per lo viso e per lo petto; onde, pen-
sandosi desser vivo, diceva pure: Traditori, a questo
modo si fa riuscitare i morti? Io me ne voglio andare alla
Ragione .
[70] Per la qual cosa la gente dintorno, uditolo, la
maggior parte lo stimarono impazzato affatto o spirita-
to; e i fanciulli, preso della mota e de sassi, cominciaro-
no, gridando Al pazzo, al pazzo, a dargli la caccia; on-
de egli, spaventato, si messe a correre e a fuggire in
verso il Carmino, ed essi ditrogli, gridando sempre Al
pazzo, al pazzo, per la piazza del Carmino lo seguitaro-
no. [71] Falananna, sbigottito e spaventato, non sapen-
do dove, a correre e a fuggire attendeva, pur sempre gri-
dando, e lasciando per donde egli passava le persone
maravigliose e smarrite, veggendolo in quella guisa ve-
stito. Il quale, cos fuggendo, era capitato in sul canto
del ponte alla Carraia; e seguitando il cammino, impau-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
115 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
rito per lo romore e per lo strepito de populi, in verso il
ponte sindirizz; e tuttavia da i sassi e dalle strida ac-
compagnato, su per lo ponte prese la strada; [72] dove,
quasi alla fine giunto, trov un carro nel mezzo della via,
e non so che some di paglia, e muli e asini carichi di re-
na, in modo che tutto ingombravano il sentiero, n vi
era luogo rimasto donde passar si potesse, se prima il
carro e laltre bestie, passando, non avessero aperta la
strada. [73] Onde Falananna, sendo spronato dreto dal-
le frombole e dalla paura delle grida, sal in su le sponde
per far pi tosto; ma, come volle la sua sciagura, o per la
fretta o perch quei pannacci se gli avviluppassero fra i
piedi o come ella sandasse, sdrucciolando se nand in
Arno.
[74] Era in quel tempo venuto in Firenze un fiam-
mingo, grandissimo maestro di far fuochi lavorati; ed es-
sendo stato alla Signoria e al gonfalonieri, si era vantato
di fare e mostrar segni de larte sua miracolosi. E a pun-
to il giorno, per loro commessione, due dei Dieci di
guerra e due de i collegi e altri uomini nobili e riputati
della citt erano andati per vedere dun certo olio artifi-
ziato la prova, che ardeva subito che egli toccava lac-
qua; e al ponte a Santa Trnita venuti, aveva quel mae-
stro duna sua ampolla ne lacqua dArno lolio gittato;
[75] il quale, tosto che lebbe tocca, cos si avamp e ac-
cese, in buono spazio sallarg; di che i fiorentini nostri
tutti restarono stupiti e meravigliosi. [76] E cos per
lacqua sparso se nandava, secondo il corso, gi per
quella ardendo, e a punto era la met passato il ponte al-
la Carraia sotto lultima pila, quando Falananna caden-
do ne lacqua giunse, e per sorte nel mezzo dette di
quello olio ardente; il quale, come se colui fusse stato
impeciato, se gli attacc a dosso. Falananna, avendo,
con laiuto de lacqua e poi della rena, ricevuto poco
danno della percossa, ancor che fusse andato per fino al
fondo, era tornato a galla e rittosi in piede, per che lac-
116 Letteratura italiana Einaudi
qua gli dava a punto al bellico. [77] Ma veggendo e pi
sentendo la fiamma che lardeva, cominci a stridere e a
gridare quanto gli usciva della gola, e con le mani saiu-
tava quanto poteva, gittandosi de lacqua a dosso; e cos
facevano le genti, che per la Porticciola erano corse in
buona quantit per aiutarlo. Ma quanto pi cercavano
ammorzargli e spegnerli quelle fiamme, tanto pi gnene
accendevano; [78] s che il pover uomo attendeva a
guaire e a urlare con s alta voce, che risonando gi per
lo corso dellacque, si sara potuto sentire agevolmente
per infino a Peretola; e dimenandosi e scontorcendosi in
quelle fiamme, sembrava una di quelle anime che mette
Dante ne lInferno. Ma ardendolo il fuoco, e consuman-
dolo a poco a poco, gli tolse la vita. [79] Le persone che
erano andate per dargli aiuto, lo avevano intanto e con
funi e con legni tirato alla riva; nientedimeno non resta-
va dardere ancora, perch quanto pi acqua gittandogli
a dosso per ispegnere adoperavano, tanto pi gli accen-
devono e nutrivongli il fuoco, di modo che egli era di gi
quasi tutto consumato e arso, e sarebbe arso e consuma-
tosi affatto, se non che il fiammingo, corso al romore, si
fece dare de lolio ordinario, e spargendognene per tut-
to, fece in un subito cessare lardore, e spegner total-
mente la fiamma, con grandissimo stupore di tutti colo-
ro che lo viddero. Ma Falananna rimase di sorte, che
pareva un ceppo di pero verde, abbronzato e arsiccio.
[80] La Mante, il Berna e mona Antonia, avendo in-
teso come Falananna era riusucitato e corso via, dolenti,
dora in ora lo aspettavano a casa; e a punto frate Berna
se ne voleva andare, quando venne lor per la nuova co-
me egli era cascato in Arno e arso. La qual cosa, e per la
voglia e per la maraviglia, a prima giunta poco credeva-
no; ma tuttavia sentendo rinforzare la cosa, il Berna cos
come gli era da frate, per certificarsi, si mosse; e arrivato
al ponte alla Carraia e gi sceso, vidde il misero Fala-
nanna cos abbronzato e arso, che dogni altra cosa avea
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
117 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
sembianza da uomo in fuori; [81] e piangendo con li oc-
chi e ridendo col cuore, se ne torn a confortare la Man-
te e mona Antonia, che gi da i loro parenti erano state
visitate e consolate dun tanto orrendo e spaventoso ca-
so; il quale a ognuno che lo intendeva, pareva, s come
gli era, stupendo e maravigliosissimo, non si potendo ac-
conciare ne lanimo chun uomo potesse cascare in Arno
e ardere. [82] Pure poi, intendendo il modo, ne restaro-
no sodisfatti, increscendo a ciascuno della nuova e non
mai pi udita sciagura di Falananna; molti pensando che
ci gli fusse avvenuto per opera di streghe, chi per forza
dincanti e di malie, altri per arte di negromanzia, e alcu-
ni per illusione diabolica: pure la maggior parte delli uo-
mini si accordava che dalla sua scempiezza e pazzia in-
comparabile fusse derivato il tutto. [83] La Mente
doppo pochi giorni, sendo per virt del testamento do-
ventata padrona della robba di colui, con volunt della
madre e de parenti tolse per sposo il Berna, e publica-
mente fece le nozze: col quale visse poi gran tempo alle-
gramente, crescendo sempre in roba e in figlioli alla bar-
ba di Falananna, il quale, come avete udito, casc in
Arno e arse. Il che sendosi di poi messo in proverbio,
durato per infino a i tempi nostri; onde ancora a certo
proposito si dice: Casc in Arno e arse.
118 Letteratura italiana Einaudi
NOVELLA TERZA
[1] La Lisabetta delli Uberti, innamorata, toglie per marito un
giovane povero ma virtuoso, e alla madre, che la voleva marita-
re riccamente, lo fa intendere: onde colei, adirata, cerca di di-
sfare il parentado: intanto la fanciulla, fingendo un certo suo
sogno, collo aiuto dun frate viene, con buona grazia della ma-
dre, agli attenti suoi.
[2] Se mai in questa sera o ne laltra passata le donne
ugualmente e i giovani avevono riso di voglia, questa no-
vella di Florido gli aveva fatto ridere di cuore e daddo-
vero; n di ridere si potevono ancor tenere, bench a
qualcuno per le risa dolessero gli occhi e l petto; e pi
arebbero riso, se il fine veramente troppo crudele e di-
sperato di Falananna non gli avese rattemperati un po-
co, stimandolo nondimeno cos valente levaceci, come si
fusse, o pi, maestro Simone da Villa e Calandrino. [3]
Ma Galatea, a cui toccava la volta, fornito di ridere, cos
graziosamente a favellare incominci:
Nella mia novella, costumati giovani e voi oneste
donne, non saranno gi casi n tanto faceti n tanto pia-
cevoli quanto nella passata; ma uno accorgimento e uno
spediente preso da una fanciulla innamorata intendo di
raccontarvi, cotale che, sio non minganno, maraviglia
non piccola vi arrecher, veggendo farle maggior conto
della bont e della virt, che delle ricchezze, delle gran-
dezze, degli onori e de i favori del mondo . E soggiun-
se:
[4] Mona Laldomine degli Uberti, donna nobile e ric-
chissima della nostra citt, rimase vedova con una sua fi-
gliola chiamata Lisabetta, virtuosa non pure, ma bellissi-
ma a maraviglia. Era costei da molti giovani nobili e
ricchi amata e vagheggiata: ed essendo oggimai nel tem-
po di doversi maritare, per consequente chiesta alla ma-
dre mille volte ogni giorno, non tanto per le qualit sue
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
119 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
lodevoli e per le bellezze, quanto per la dote grandissi-
ma che ella aveva, e per la speranza della eredit. [5] Ma
la madre, per la gran voglia che la figliola fusse ben ma-
ritata, non si sapeva risolvere a cui dar la volesse, cercan-
done un marito giovane, bello, ricco, nobile, discreto e
costumato; di maniera che a ciascuno mancava sempre
alcuna delle parti sopradette; e non si poteva abbattere a
suo modo.
[6] In questo mentre la Lisabetta sera ardentissima-
mente innamorata dun giovane che le stava a casa a la-
to, chiamato Alessandro, per ogni altro rispetto riguar-
devole, salvo che egli era povero, e, secondo la vulgare
oppenione, non troppo nobile, ma onorato e benvoluto
da ognuno che lo conosceva. E perch egli non aveva n
padre n madre n fratelli n sorelle, solo con una fante-
sca vivendo, attendeva agli studi delle buone lettere; e
perci si stava la maggior parte del tempo in casa; dove
la Lisabetta, per vederlo, veniva spesso in sul terrazzo o
a una sua finestra, che quasi tutta la casetta di colui sco-
privano. [7] L onde Alessandro, che era saggio e accor-
to, in poco tempo si avvidde della cosa, e per tal modo
ricevette lei nel cuore, che ad altro n d n notte pensar
non potea; e maggiormente poi che dalla fanciulla gli fu-
rono gittate non so che lettere, tanto ben composte e
con tanta facondia, che gli arrecarono grandissima ma-
raviglia, e gli raddoppiarano in mille doppi lamore;
massimamente udendo il bene incomparabile che ella
diceva di volergli. [8] Per la qual cosa seco stesso pen-
sando, gli parve di tentare, e vedere se ella volesse essere
sua sposa, e segretamente fare il parentado; il quale, fat-
to che fia, converr pure che sia fatto; dicendo: Se ci
mi avviene, chi di me viver poi in questo mondo o pi
felice o pi beato? [9] E subito le scrisse una lettera,
dove le apriva tutto lanimo suo. La Lisabetta, senza
troppo pensarvi, si risolv tosto a volerlo, avendo inteso,
oltre a loppenion sua, per bocca duomini intendenti
120 Letteratura italiana Einaudi
quanta egli avessi in s dottrina e giudizio, e quante otti-
me qualit si trovassero in lui, giudicandolo non pure
buono dispensatore e mantenitore, ma ottimo accresci-
tore delle sue ricchezze; [10] di modo che, avendogli av-
visato quel tanto che far dovesse, laltra notte Alessan-
dro, salendo din sul suo tetto con lo aiuto duna scala in
sul terrazzo di lei, la trov, secondo lordine, tutta lieta
che laspettava; e quivi, di molte e varie cose ragionato,
altro per allora non le fece che baciarla e darle lanello,
lasciando, come ella volle, la cura a lei di scoprire il pa-
rentado; e cos contentissimi lun da laltro si partirono.
[11] Mona Laldomine intanto si risolvette a voler dar
la Lisabetta a Bindo, figliolo di messer Geri Spina, un
de primi cittadini allora di Firenze; ancor che in lui po-
chissime delle condizioni che ella voleva si ritrovassero.
Ma la Lisabetta, che il tutto aveva inteso, anticipato il
tempo, una sera doppo cena alla madre raccont di
punto in punto ordinatamente quel tutto che tra lei e
Alessandro fusse occorso; [12] di che mona Laldomine
adirata, fece romor grande, e che non pensasse mai che
il parentado andasse innanzi, e che non voleva a patto
nessuno; e la mattina per tempo la men seco e lascilla
nel Monastero; e tornata a casa, mand per messer Geri,
e narrgli ogni cosa, e tra loro disegnarono di fargnene
renunziare a ogni modo, se non per amore, per forza; e
di scrivere a Roma, e cavar dal Papa per via di danari
lettere al vicario, che sotto pena di scomunicazione fac-
ciano stornare il parentado. [13] La voce si sparse per
Firenze, n daltro per allora non si ragionava; e Ales-
sandro, doloroso a morte, pensava fermamente non aver
a far altrimenti le nozze con la sua dolcissima Lisabetta;
e gi gli aveva fatto favellare messer Geri, e sbigottitolo
di maniera che egli stesso non sapeva che farsi; e pure,
inanzi che altro seguitasse, arebbe voluto intendere la
oppenione della fanciulla. [14] La qual non potendo
uscire del Monastero, n avendo commodit di poter
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
121 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
mandar n imbasciate n lettere al suo Alessandro, du-
bitava che egli non stessi fermo, e che per paura non si
conducesse a renunziarla, sapendo benissimo lautorit
e la potenza di messer Geri; di che ella viveva pessima-
mente contenta, e giorno e notte pensava di metter a ef-
fetto il desiderio suo, e mille partiti e mille modi ognora
si rivolgeva per la fantasia.
[15] Pure uno tra gli altri si deliber di provare: e per
questo alla badessa disse che la coscienza la stimulava
ognora a lasciar andar quel Alessandro povero, e fare la
volunt della madre, togliendo Bindo ricchissimo; e che
era contante, considerato avendo meglio i fatti sua, di
far quello che piaceva a mona Laldomine. La badessa ne
fu allegrissima, e subito alla madre di lei lo fece intende-
re; la quale tutta lieta se ne venne al Monastero, e con
grande affezione abbracciato e baciato la figliola, la sera
medesima ne la rimen a casa; avendo in animo la matti-
na vegnente mandar per messer Geri, e seco disporre e
ordinare che le nozze si facessero quanto pi tosto si po-
tessero. [16] Ma la Lisabetta, per colorire tutto quello
che ella aveva disegnato, dormendo in una anticamera,
come tosto vidde per gli spiragli della finestra essere ap-
parito lalba, si lev e vestsse e ne venne subito in came-
ra della madre, e tutta spavantata e con voce tremante
disse:
[17] Madre mia cara, io ho fatto or ora un sogno
che mi ha tutta quanta sbigottita: uh! uh! Signore, un
sogno chio tremo a verga a verga per la paura.
Omb, che vuoi tu chio ne facci? rispose mona
Laldomine. Non vi pensar pi: non sai tu che il pro-
verbio dice che i sogni non son veri, e che i pensier non
riescono?
Ohim! disse la Lisabetta , voi non sapete che
cose io ho veduto! E dicovi che le appartengono anche a
voi; per vorrei che noi ci pensassimo.
[18] E che pensamento vuoi tu farci? soggiunse la
122 Letteratura italiana Einaudi
madre; e venne a punto a cadere dove la Lisabetta vole-
va, dicendole: Se tu pur vuoi, io mander per fra Zac-
cheria nostro confessoro, che mezzo santo, ed un
gran maestro di interpretare questi sogni.
Deh s, per quanto ben vi voglio , seguit la Lisa-
betta , mandate per lui, che mi par mille anni desser
fuor di questo travaglio .
[19] L onde mona Laldomine, chiamato una delle
fantesche, le imprese che a Santa Croce andasse, e da
sua parte dicesse a fra Zaccheria, che venisse allora allo-
ra infino a casa per cosa di grandissima importanza. Era
questo frate un religioso dottima fama, e pi ripieno as-
sai di bont che di dottrina, persona semplice e divota;
[20] il quale, udito la imbasciata, se ne venne presta-
mente a casa mona Laldomine, e la trov in camera con
la figliola, che lo attendevono; le quali, fattosegli incon-
tro con riverenza, onoratamente lo ricevettero; e fattolo
porre a sedere, ed elleno arrecatesegli al dirimpetto,
aspettandolo in compagno in sala, cominci cos mona
Laldomine a dire:
[21] Padre, non vi maravigliate chio abbia cos per
tempo e in fretta mandato per voi; perci che qui la Li-
sabetta mia ha fatto un sogno, che lha tutta quanta im-
paurita; e cos vorrebbe averne il vostro giudizio, e che
voi glielo interpretasse.
[22] Sorella mia rispose il frate , io far, per pia-
cervi, conlaiuto di Dio, ci che io sapr, e quanto da
Lui mi sar spirato; dicendovi primamente che gli paz-
zia a por molta cura, o dar troppa credenza a i sogni,
perci che quasi sempre son falsi; n si vorrebbe anche
farsene beffe affatto, o dispregiargli del tutto, perch
qualche volta son veri; [23] e ce ne fanno fede in pi
luoghi il Vecchio e il Nuovo Testamento, come si legge
di Faraone delle sette vacche magre e delle sette grasse,
e cos delle spighe. E ancora santo Luca dice ne lEvan-
gelio che a Giuseppe apparve lAngelo in sogno, e gli
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
123 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
comand che con la Vergine e con Cristo se ne fuggisse
in Egitto, allora che Erode cercava dammazzarlo : e
voltosi alla fanciulla, disse che cominciasse la sua visio-
ne. [24] Per la qual cosa la Lisabetta, abbassati gli occhi
a terra, pregato prima fra Zaccheria e la madre che, per
fino che ella non avesse fornito di dire, che fussero con-
tenti di non le rompere le parole, con voce tremante co-
s a dire incominci:
[25] Iarsera, andatamene a letto pi tardi chel soli-
to, mi accadde che, entrata in vari pensieri e diversi, non
potetti per buono spazio aver forza di chiuder mai oc-
chio; pure l vicino al giorno finalmente maddormentai;
e dormendo, mi pareva dessere in su le rive dArno,
fuor della porta a San Friano, le quali vedeva tutte fiori-
te, e sopra la verde e minutissima erbetta sedermi sotto
il primo alberetto alla dolce ombra. [26] E rimirando
lacque, quanto mai purissime e chiare, con dolce mor-
morio andarsene tranquillamente alla china, sentiva ma-
raviglioso piacere e contento; quando mi viddi inanzi a
gli occhi un carro grandissimo comparire, mezzo bianco
come lavorio e mezzo nero a guisa de lebano. Dal lato
destro era una grandissima colomba, bianca come la ne-
ve, e dal sinistro un smisurato corbo nero a similitudine
di brace spenta, che nel modo che i nostri carri fanno i
cavalli e i buoi, quello tiravano. [27] Nel mezzo a punto
desso era posto una sedia, la met bianca e laltra nera,
come tutto il restante del carro miracolosamente lavora-
ta, nella quale io, mentre che quasi trasognata rimirava,
non so n da chi n come, fui posta a sedere; ma non vi
fui cos tosto dentro, che la candida colomba e il tetro
corbo, spiegando lali, pi veloci assai chel vento se ne
girono per laria volando; e poggiando allo ins, tutti i
cieli mi parve che passassero. [28] Ora, lasciando indie-
tro le maraviglie chio vi viddi, mi guidarono, a modo
nostro, in uno spaziosissimo salotto tutto tondo; e po-
stomi nel mezzo, a pi duna grandissima palla mi lascia-
124 Letteratura italiana Einaudi
rono, intorno alla quale tre gradi stavano di bellissimi
giovani; i primi di verde erano vestiti, di bianco i secon-
di, e i terzi di rosso. Cos quivi condotta ritrovandomi,
maravigliosa e timorosa aspettava quel che seguir ne do-
vesse: quando quella grandissima palla scoppiando
saperse, e restvvi una sedia altissima, che pareva char-
desse, e suvi un giovane a sedere, pur di fuoco vestito e
di fiamme accese incoronato. [29] Ma quanto egli volse
in verso me il viso, gli occhi miei debolissimi non poter-
no sufferire tanta luce, perci che mille volte era pi ri-
splendente che quel del sole; onde abbagliati, mi fu for-
za chinargli a terra; e per buono spazio tenendogli
chiusi, maccorsi poi, girandogli intorno, che dal sover-
chio splendore era cieca divenuta. [30] Quando, con vo-
ce che pareva dun terribilissimo tuono, udii dire una
parola non mai pi da me udita, n mai credo nel mon-
do favellata; onde subito, non veggendo da chi, mi sentii
portare; e doppo lunga pezza per aria aggiratomi, fui in
terra posta, secondo che brancolando mi pareva sentire,
sopra uno erboso prato; e di fatto una voce umana udii,
che disse: [31] Figliola, non dubitare, aspetta, che to-
sto riarai il vedere. Al suono delle cui dolcissime parole
voltomi e risponder volendo, non potetti quel chaveva
ne lanimo far noto con la lingua; e di cieca, mi conobbi
ancora essere mutola diventata; e non meno dolente che
paurosa, attendeva ci che nella fine esser di me doveva;
quando da persona viva mi fu presa la mia destra, e det-
tomi: Distenditi in terra quanto sei lunga. [32] E io
obbediente cos fatto, arrivai con la fronte alle fresche
sponde duna fontana; e distendendomivi drento la ma-
no, mi comand colui che gli occhi mi toccassi, e con le
santissime acque mi lavassi tutta la faccia; e subito (o co-
sa miracolosa!) riebbi la vista; e girato gli occhi intorno,
fui da cos maraviglioso stupore sopragiunta, che per
lallegrezza e per la gioia pareva che l core mi volesse
saltar del petto, veggendomi dinanzi a un cos divoto
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
125 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
eremita, daspetto venusto e severo. [33] Il volto aveva
squalido e macilente, gli occhi dolci e gravi, la barba fol-
ta e lunga per infino al petto, le chiome distese e sopra le
spalle cadenti: i peli de luna, e de laltra i capelli, sem-
bravano fila di purissimo e sottile tirato: le vestimenta
erano lunghissime e finissime del color della lana: cinto
nel mezzo con due fila di flessibili giunchi, in testa aveva
di pacifica oliva leggieri e vaga ghirlandetta: dogni onor
certo, e riverenza degno. [34] Il prato dove io sedeva era
di molle e cos verde erbetta, che alquanto pendeva in
bruno, distinto per tutto e variato da mille diverse ma-
niere di soavissimi fiori; e quanto locchio mio scarico
poteva vedere intorno, tanto durava, e forse pi assai, la
lietissima pianura, senza esservi lbori di sorte alcuna.
[35] I l cielo di sopra si scorgea lucente e chiarissimo,
senza stelle, luna o sole. Sedevasi la persona divina sopra
un rilevato seggio, che era un sasso vivo circondato di
ellera: da ogni banda veder vi si poteva una non gi
troppo grande, ma vaga e dilettosa fontana, non da dot-
te o maestrevoli mani artificiosamente di marmo o dala-
brastro fabbricata, ma dalla ingegnosa natura puramen-
te produtta: le sponde de luna erono di freschi e
rugiadosi gigli, laltra le aveva di pallide e sanguigne vio-
le; lacque della prima sembravano molle e tenero latte,
quelle della seconda parevano di finissimo e nero in-
chiostro. [36] Ora, mentre io rimirava intento le dette
cose, il santo vecchio mi benedisse, e in uno stante mi ri-
torn la favella; ondio, inginocchiatomeli a piedi ado-
rando, il meglio chio sapeva gli rendeva grazie; quando
egli, rompendomi le parole, disse: Abbia cura, e dili-
gentemente attendi a quel chio fo, perch ogni cosa sar
fatto a tuo ammaestramento. [37] E sendo in mezzo le
due fontane, con la sua destra un sasso piccoletto prese,
e nella fonte che guardava a loriente lo gitt: ma non s
tosto le bianchissime acque da lui percosse furono, che
di quelle si vidde uscire un bambino biancoso e ricciuti-
126 Letteratura italiana Einaudi
no, di razzi, di stelle e di vivo splendor circundato, can-
tando e ridendo, in verso il cielo tutto allegro salire: e
come se egli avessi lali, in su volando, and tanto alto,
chio lo perdei di vista. [38] E doppo con la sinistra ma-
no un altro sassetto prese, e nellaltra fonte a loccidente
volta gittatolo, subito da quello la caliginosa acqua toc-
ca, si vidde visibilmente uscire un altro bambino livido
ed enfiato tutto quanto, e intorniato di ruote di fiamma
accesa; e come segli ardesse, si scontorceva e dimenava.
In un tratto, apertasi la terra, dinanzi a gli occhi miei si
fece una caverna profondissima nella quale, gridando e
stridendo, quel bambino si messe allo ingi precipitan-
do; ma prestamente inghiottitolo, si serr la fessura e ri-
torn la terra al pari, e come prima erbosa e colorita.
[39] Allora luomo di Dio, chiamatomi, che quasi semi-
viva stava sopra le vedute maravigliose cose pensando,
disse: Figliola, se tu farai quel chio ti dir, alla fine del-
la vita lanima tua, volando, se nandr come il bambino
che usc di quella fontana; e mostrmmi quella di latte,
e poi soggiunse: Se tu romperai il mio e di Dio coman-
damento, con laltro che di questa altra usc, nel profon-
do de lInferno si ritrover a perpetuo supplizio conden-
nata, insieme con quella di tua madre. [40] Ondio, fra
paura e speranza dolorosa e allegra, cos risposi: Servo
di Dio, comandate pure, chio son per fare tutto quel
che piace a voi e al mio Signore. Ed egli mi disse: A
Dio piace che tu prenda per tuo sposo Alessandro To-
relli, s come legittimamente, lasciando ognaltro pa-
rentado; e di pi, che tu dia al primo sacerdote che ti
verr inanzi, trecento lire; le quali egli doni poi per
lamor di Dio a una fanciulla povera, che sabbia a mari-
tare. E questo detto, il prato, le fonti, il santo eremita,
col sonno insieme, sparvero in un tratto via da gli occhi
miei, e cos mi risvegliai .
[41] E qui si tacque. Fra Zaccheria, che quasi una
mezza ora era stato intentissimo alle colei parole, e piena
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
127 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
fede prestandole, non pensando che una cos tenera fan-
ciulla avesse potuto da se stessa mai trovare e ordinare
una cos fatta trama, stupito e maraviglioso, ogni cosa
minutamente considerato, si volse a mona Laldomine,
che gi sera crucciata e voleva gridare con la figliola, e
disse che di grazia tacesse; [42] e particolarmente dalla
Lisabetta si fece narrare quanto tra lei e Alessandro se-
guitato fusse; e sapendo come di nuovo ella si doveva
maritre a Bindo, e per via del Papa fare stornare il primo
e vero parentado, si pens che Domenedio per questa
cagione lavesse fatta sognare. [43] Per la qual cosa vol-
tosi a racconsolare mona Laldomine, le fece una bella
predichetta sopra il matrimonio, e nella fine conchiuse a
lei e alla Lisabetta che il parentado con Alessandro non
si poteva per modo alcuno disfare, perci che veramente
egli era sposo della fanciulla: dicendo che quello che ha
congiunto Dio, luomo non pu n debbe separare, e
che le forzi e le legge del matrimonio sono pi forti e
maggiori che per aventura molti non si danno ad inten-
dere. [44] E tornando al sogno, tutto lespose loro parte
per parte, confermando ne lultimo quelle due fontane,
luna bianca essere lo stato dellinnocenza e della grazia,
laltra nera quella della malizia e del peccato, significan-
do loro, che se elle non facevano la volunt di Dio, alla
fine della vita se nanderebbono nel profondo dello In-
ferno; in modo che a mona Laldomine pareva gi essere
nelle mani di Malebranche, e stava mezza sbigottiticcia.
[45] Il buon padre, sapendo che se la Lisabetta non ri-
maneva a Alessandro, la limosina delle trecento lire an-
drebbe alla Grascia, aiutava quanto egli poteva la cosa,
ancorch la fusse ragionevolissima; e avendo Alessandro
per giovane studioso e letterato non solo, ma per costu-
mato e buono, persuadeva mona Laldomine a dargliela
a ogni modo, dicendole che le virt in questo mondo
erano le vere ricchezze, e di poi che la sua figliola, sendo
da per s ricchissima, non aveva bisogno duomo ricco,
128 Letteratura italiana Einaudi
ma duomo bene, che sapesse e mantenere, e accrescere
le ricchezze, usandole liberamente, quando la occasione
venisse, e secondo il bisogno; [46] e che a questo fare
non si poteva trovar giovane in tutto Firenze pi al pro-
posito dAlessandro; tanto che nella fine fece capace alla
vecchia esser cosa non pure onesta, ma giustissima dar-
gli la Lisabetta, o per dir meglio confermargliene, poi-
ch per volont di messer Domenedio se laveva gi tol-
ta; anzi, che facendo altrimenti, come detto avea,
procurava la sua dannazione e della figliuola insieme.
[47] E ne lultimo disse e fece tanto, che a mona Laldo-
mine non rimase altro scrupolo nella mente, che licen-
ziar messer Geri, il quale sapeva avere scritto a Roma,
favellatone al vicario e a tutti i magistrati, e messo sotto-
sopra Firenze. Onde cos, modestamente favellando, a
fra Zaccheria rispose:
[48] Voi mavete tanto bene saputo persuadere e
con la esposizione del sogno e con le ragione; e di poi
fattomi toccar con mano che lanima mia, della qual pi
conto tengo che di tutte laltre cose, con quella della mia
figliola se ne aderebbe a Casa maladetta; io son contenta
di far ci che voi volete; ma non so gi come farmi a li-
cenziar messer Geri, e me gli pare usare troppa grande
scortesia, anzi ingiurarlo .
[49] A cui cos rispose il frate:
Madonna, dove ne va lonor di Dio e la salute de
lanima, non bisognano avere n sospetti n rispetti; e se
vi piace, io per carit andr a trovarlo, e so chio lo far
restar contento e vostro amico.
Ohim di grazia rispose la donna chio ve ne
prego; e voglio che tutto questo parentado si guidi per le
vostre mani, e che voi siate quello che prima lo facciate
intendere a Alessandro.
[50] La Lisabetta, queste parole cos fatte udendo,
aveva tanta allegrezza, che ella non capiva in se stessa: e
alla madre rivoltasi cos disse:
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129 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
Egli si vuole che inanzi ogni altra cosa, le trecento
lire sieno date al padre spirituale per farne la limosina a
quella povera fanciulla che si mariti.
[51] Ben dicesti soggiunse il frate , perch nel
mondo non si pu far cosa pi accetta a Dio che lopere
della misericordia; e sapete che appunto io ho una mia
nipote cugina, bene allevata e di buoni costumi, che son
due anni che larebbe voluto marito, e solamente resta-
to per non aver dote; perci che suo padre, sendo tessi-
tore e avendo la moglie e altri figlioli, a pena che gli pos-
sa guadagnar tanto, che dia lor le spese; certamente
opera pietosamente sar questa .
[52] Per la qual cosa mona Laldomine, fatto una p-
lizza al frate che le trecento lire gli fusser pagate al ban-
co de Peruzzi, lo preg che doppo fussi contento di far
lopera con messer Geri.
[53] Fra Zaccheria, tutto allegro, si part da loro che
rimasero lietissime, e massimamente la Lisabetta. E la
prima cosa che fece il buon padre, fu il riscuotere i da-
nari e portarsegli a casa, de i quali poi a luogo e tempo
ne marit quella sua nipote: e quando tempo gli parve se
ne and a trovar messer Geri, al quale fatto un proemio
grandissimo, lo tir alle voglie sue, come colui che si la-
sciava vincere colle ragioni, avendo nel frate divozione e
fiducia grandissima. [54] Onde fra Zaccheria, ringra-
ziatolo sommamente, se ne venne a trovar le donne che
lo aspettavano; e narrato loro il tutto, fece chiamare
Alessandro, il quale pure allora era tornato a desinare. E
poi che egli con allegrezza infinita fu comparito, il buon
padre, fattoselo sedere al dirimpetto in compagnia alle
donne, gli fece un bellissimo discorso di tutto quello che
era intervenuto; e poi gli disse come la sera, ordinato
uno splendidissimo convito, voleva che in presenza de
gli amici e de parenti sposassi la Lisabetta. [55] E cos
restati daccordo, desinarono quivi per la mattina. La se-
ra poscia fecero le nozze belle e magnifiche, dove in pre-
130 Letteratura italiana Einaudi
senza del parentado Alessandro publicamente dette lo
anello alla fanciulla, e dorm la notte seco. La qual cosa
spargendosi per Firenze, piacque generalemente a ognu-
no, e ne furono lodate assai la madre e la figliola. [56]
Alessandro, della sua povera e piccola casetta uscito, e
in quella ricchissima e grande entrato, si messe al goven-
ro, non abbandonando per gli studi, di maniera che in
poco tempo si fece ricchissimo e virtuosissimo: in guisa
tale appar magnifico, saggio, e onorato cittadino, che la
Republica per casi dimportanza se ne serv pi volte
dentro e fuori; e cos crescendo in onore, in roba e in fi-
glioli, non senza piacere e contento grandissimo di mo-
na Laldomine, gran tempo visse. [57] E cos lo avvedi-
mento duna fanciulla innamorata vinse la malvagit
della fortuna, e procacci a s contento meraviglioso, di-
letto e gioia, e al marito piacere incomparabile, commo-
do e onore; utilit infinita, fama e gloria alla sua patria.
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
131 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
NOVELLA QUARTA
[1] Lo Scheggia, il Pilucca e il Monaco danno a credere a
Giansimone berrettaio di fargli per forza dincanti andar dreto
la sua innamorata. Giansimone per certificarse chiedendo di
vedere qualche segno, gliene mostrano uno che lo sbigottisce: e
non gli piacendo di seguitare, operano di sorte che da lui cava-
no venticinque ducati, de quali fanno un pezzo buona cera.
[2] Tosto che Galatea venne a fine della sua favola,
non troppo risa, ma lodata assai da ciascuno, Leandro,
che doppo lei seguitava, piacevolmente a favellare inco-
minci, dicendo:
Poich la sera passata mi convenne, come volle la
fortuna, bellissime donne e voi cortesi giovani, farvi,
narrando glinfelici e sfortunati avvenimenti altrui, attri-
stare e piangere, io aveva pensato con una mia novella,
questa sera, rallegrandovi e facendovi altrettanto ridere;
ma Florido mha furato le mosse, e non so come test mi
si verr fatto, poich tanto della sua vi rallegraste e ride-
ste: nondimeno ho speranza di rallegrarvi e di farvi ride-
re anchio .
[3] Lo Scheggia e l Pilucca, come voi potete avere in-
teso, furono gi compagni astuti e faceti, e uomini di
buon tempo, e dellarte loro ragionevoli maestri, ch
luno fu orafo e laltro scultore; e ben che fussero anzi
che no poveri, erano nemici cordiali della fatica: facen-
do la miglior cera del mondo e non si dando pensiero di
cosa niuna, allegramente vivevano. [4] Tenevano costo-
ro per sorte amicizia dun certo Giansimone berrettaio,
uomo di grosso ingegno, ma benestante; il quale allora
faceva la bottega in sul canto de Pecori, e in un fonda-
chetto di quella teneva ragunata, e massimamente il ver-
no; dove spesso lo Scheggia e il Pilucca venivano a pas-
sar tempo, giucandovisi alcuna volta a tavole solamente,
e a germini; e oltre ancora il chiacchierarvisi, vi si beeva
132 Letteratura italiana Einaudi
spesso qualche fiasco: [5] e perch lo Scheggia era leg-
giadro parlatore, e trovatore di bellissime invenzione,
spesse volte raccontava qualche cosa degli spiriti e degli
incanti, che piacere e maraviglia non piccola dava agli
ascoltatori.
[6] Era innamorato in quel tempo il detto Giansimo-
ne duna vedova sua vicina, bellissima fuor di modo; ma
sendo ella nobile e onestissima, e convenevolmente ab-
bondante dei beni della fortuna, ne viveva malcontento.
E non sapendo egli come venire a fine di questo suo
amore, pens, non avendo altro rimedio, per forza din-
canti e non altrimenti dover poterne crre il desiato
frutto: e chiamato un giorno poterne crre il desiato
frutto: e chiamato un giorno lo Scheggia, in cui aveva
grandissima fede, gli narr e aperse tutto il desiderio
suo, e doppo gli chiese e consiglio e aiuto, prima aven-
dolo fatto giurare di tacere. [7] Lo Scheggia gli disse che
agevolmente si farebbe ogni cosa, ma che bisognava
conferirlo al Pilucca, il quale aveva un suo amico, chia-
mato Zoroastro, che faceva fare i diavoli ci che gli pa-
reva e piaceva. Giansimone risposto avendo che di tutto
era contento, rimasero laltra sera di cenare insieme pu-
re in casa Giansimone, e di consultare e deliberare ci
che fusse da fare intorno a questo suo amore. [8] Lo
Scheggia allegrissimo, tosto che da lui fu partito, trov il
Pilucca, e ogni cosa per ordine gli disse, di che fecero in-
sieme maravigliosa festa, pensando, oltre il piacere, ca-
vare utile non piccolo: e restati quel che far volevano, ne
andorono alle faccende.
[9] Laltra sera poi (sendo per Ogni Santi) a buon ora
si rappresentarono a bottega di Giansimone, dal quale
furono doppo non molto menati a casa, dove fatto aveva
ordinare una splendida cena; e, poi che essi ebbero
mangiato le frutte, fattone andar le donne in camera,
caddero sopra il ragionamento di Giansimone e del suo
amore. Per lo che lo Scheggia preg il Pilucca, che fusse
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
133 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
contento di volere pregar Zoroastro, che con glincanti
suoi gli piacesse doperar s che Giansimone godesse la
sua innamorata, e fargliene possedere, come a infiniti al-
tri uomini da bene par sua aveva gi fatto. [10] Il Piluc-
ca detto di fare ogni sforzo, e che domani gli tornerebbe
a rispondere, pensando fermamente darrecargli buone
novelle, da lui utimamente presero licenza; il quale ri-
mase tutto consolato e lieto, parendogli millanni di tro-
varsi con la sua vedova. [11] I dua compagni, fatti var
propositi, se ne andorono al letto; e la mattina andati a
trovar quel Zoroastro amico loro, gli contarono tutta la
trama; la quale molto piacendogli, perch di simil tre-
sche era desiderosissimo, disse loro molte cose, e molti
modi trovarono insieme da farlo trarre e rimaner goffo;
e consultato che il Pilucca landassi a trovare, e gli dices-
se che il negromante era contento di fare ogni suo piace-
re con questo, che egli voleva venticinque ducati inanzi,
si partirono da Zoroastro, e il Pilucca andatosene a bot-
tega del tutto ragguagli Giansimone; [12] al quale par-
ve molto strano i venticinque fiorini, e lo avergli a dare
inanzi; e non si risolvendo cos allora, rispose al Pilucca
che fusse con lo Scheggia, e che insieme venissero, ch
gli aspettava a desinare, dove si risolverebbe, perch
non voleva far nulla senza il consiglio dello Scheggia.
[13] Piacque assai questa cosa al Pilucca, e trovato lo
Scheggia, che lo aspettava in Santa Reparata, ogni cosa
gli narr; di che egli fu contentissimo. E andatisi a spas-
so un buon pezzo, in su lora del mangiare se ne andoro-
no da Giansimone; il quale come gli vidde si fece loro
incontro, e presogli per la mano, a desinare (ch stava
allora in via Fiesolana) ne gli men. Ma poi che essi eb-
bero fornito di mangiare, ragionato della cosa de lin-
canto e dello incantatore per buono spazio, Giansimone
non si voleva recare a que venticinque ducati, e mag-
giormente dovengogli dare in prima. [14] Pure lo
Scheggia, dicendogli che il negromante farebbe di modo
134 Letteratura italiana Einaudi
che la sua donna non potrebbe vivere senza lui, fece tan-
to che egli acconsent con questo intento, che inanzi che
i danari si pagassero, voleva veder segno de larte sua,
onde potesse sperare di ritrovarse con la sua innamora-
ta.
[15] Ben sapete rispose lo Scheggia egli bene
onesto e vi far veder cosa che vi maraviglierete, e vi
renderete sicuro del tutto; ma avete voi pensato il modo,
come vi volete trovar la prima volta seco? Ditemi.
Non io ancora rispose Giansimone.
[16] Disse il Pilucca:
Egli sar bene che il primo tratto ve la faccia in su la
mezza notte venire al letto, e che ignuda ve la metta a la-
to, e che di poi la faccia in modo innamorar di voi, che
ella non vegga altro Dio, e si consumi e strugga de fatti
vostri, come il sale ne lacqua: e lo far in guisa, che ella
vi verr dietro pi che i pecorini al pane insalato.
[17] Tu lhai carpita soggiunse Giansimone , non
si poteva pensar meglio; a cotesto modo si faccia: ma
prima che io conti la moneta, qualche segno intendo di
vedere, non perch io non mi fidi di voi e di lui, ma per
non parere una persona fatta a gangheri, anzi mostrare
dessere un uomo e non unombra, e per andare in tutte
le cose giustificato; del che lo incantatore mi terr molto
da pi.
[18] Egli non vi si pu apporre seguit lo Scheg-
gia , cos ben favellate; e per non domandasera, lal-
tra, che domenica, noi insieme ce nandremo a trovar-
lo a casa, l dove egli sta in Gualfonda, e vedrete
miracoli .
E cos molte altre cose ragionato, restati utimamente
di ritrovarsi la domenica sera in Santa Maria Novella, se
ne usciron fuori, e Giansimone lieto se ne and a botte-
ga, e i duo compagni a trovar Zeroastro.
[19] Il quale era uomo di trentasei in quaranta anni,
di grande e di ben fatta persona, di colore ulivigno, nel
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
135 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
viso burbero e di fiera guardatura, con la barba nera ar-
ruffata e lunga quasi insino al petto, ghiribizzoso molto
e fantastico. Avea dato opera allalchimia; era ito dreto,
e andava tuttavia, alla baia delli incanti; aveva sigilli, ca-
ratteri, filattere, pentacoli, campane, bocce, e fornelli di
varie sorti da stillare erbe, terra, metalli, pietre e legni;
[20] aveva ancora carte non nata, occhi di lupo cervieri,
bava di cane arrabbiato, spina di pesce colombo, ossa di
morti, capresti dimpiccati, pugnali e spade che avevano
ammazzati uomini, la cravicola e il coltello di Salamone,
ed erbe e semi colti a vari tempi della luna e sotto varie
costellazioni, e mille altre chiacchiere e favole da far
paura agli sciocchi. [21] Attendeva a lastrologia, alla fi-
nosomia, alla chiromanzia, e cento altre baiacce. Crede-
va molto alle streghe, ma soprattutto agli spiriti andava
dietro; e con tutto ci non aveva mai potuto vedere n
far cosa che trapassare lordine della natura, bench mil-
le scerpelloni e novellacce intorno a ci raccontasse, e di
far crederle singegnasse alle persone: [22] e non avendo
n padre n madre, e assai benestante sendo, gli conve-
niva stare il pi del tempo solo in casa, non trovando
per la paura n serva n famiglio che volesse star seco; e
di questo infra s maravigliosamente godeva, e pratican-
do poco, andando a caso con la barba avviluppata, sen-
za mai pettinarse, sudicio sempre e sporco, era tenuto
dalla plebe un gran filosofo e negromante. [23] Lo
Scheggia e il Pilucca erano suoi amicissimi, e sapevono a
dua once quanto egli pesava, e a quanti d era San Bia-
gio; s che trovatolo, gli narrarono la convegna fatta con
Giansimone, e da i venticinque ducati che dar doveva
inanzi, con questo che veder voleva qualche segno da
poterse assicurare che la cosa fusse per riuscire; e gli dis-
sero nella fine tutto quello che gli erano restati seco.
[24] Zoroastro nondimeno era astutissimo; e molti mo-
di, prima per fargli vedere il segno, e doppo circa a
lamore di colui trovati, ed eglino ancora infiniti dettine,
136 Letteratura italiana Einaudi
rimasero daccordo e terminarono quel che far doveva-
no; e la domenica sera disse loro Zoroastro che gli aspet-
terebbe quivi in casa del tutto provveduto. E coloro par-
titisi allegrissimi, che parecchi giorni e settimane
arebbero da spendere alla barba di Giansimone, attese-
ro, infino al termine dato, a loro spassi e altri badaluc-
chi. [25] Giansimone, veggendo ogni mattina la sua ve-
dovoccia grassa e fresca, si consumava e si struggeva
come la neve al sole, mille anni parendogli di tirarsela a
dosso, dicendo spesso tra s: Ahi traditoraccia, cagna
paterina, tu non mhai guardato diritto ancora una volta
sola, poscia che io di te minnamorai: ma egli verr tem-
po che io te la far piagnere a caldocchi! Lascia pur far
a me; se io ti metto il branchino a dosso, per lo corpo
dAnticristo, che tu mel saprai dire . E veggendo spes-
so ora lo Scheggia e ora il Pilucca, non restava di racco-
mandarse, e di ricordar loro i fatti suoi.
[26] Venne finalmente la domenica, e Giansimone
non ebbe cos tosto desinato, che egli se nand in Santa
Maria Novella, e udvvi il vespro, la compieta e le laude;
s che uscendo, in su la porta a punto riscontr i duoi
compagni, sendo gi vicino al sonar lAve Maria: e i qua-
li dato la buona sera, disse:
Io cominciava a dubitare; voi ste venuti s tardi!
Non tardi, no rispose il Pilucca , noi restammo
dandare in su la mezza ora .
[27] E cos, dato un po di volta, si condussero a pun-
to a casa colui che laria cominciava a imbrunire; e pic-
chiato due volte, fu tirato loro la corda; e fattosi Zoroa-
stro in capo di scala con un candelliere in mano, fece
loro lume, ed essi, montato la scala e in sala compariti,
furono da lui con lieto viso ricevuti; e postisi a sedere,
favellando, entrarono in diversi ragionamenti, tutti di
diavoli e di spiriti. [28] Finalmente il Pilucca, rivolte le
parole a Zoroastro, disse:
Costui quel uom da bene innamorato, di cui vho
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
137 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
parlato; ed venuto per veder segno della vostra arte, e
di poi far quel tanto che noi vorremo .
Rivolse allora Zoroastro gli occhi spaventati in verso
Giansimone, e con una guardatura s fiera, che tutto lo
fece riscuotere, e gli disse:
[29] Sia col buon anno, io sono apparecchiato a far
ci che vuole per amor vostro, e non so gi altri fuor di
voi che mi conducesse a far questo; ma voi ste tanto
miei amici chio non posso n debbo in cosa niuna, che
per me far si possa, mancarvi .
[30] E lasciatogli in sala, dicendo che tornerebbe al-
lora allora, se nand in una camera e vestssi un camice
bianchissimo e lungo per infino in terra, e si cinse nel
mezzo con un cordone rosso; in testa si messe un elmo
circondato da una ghirlanda di serpi contrafatte, ma con
tanto artifizio che parevono vive, e nella man sinistra
prese un vaso di marmo, e con la destra una spugna, le-
gata a un stinco di morto; e cos divisato se ne venne in
sala: alla cui giunta, quanto coloro ebbero allegrezza e
gioia, tanto ebbe paura e doglia Giansimone, e anzi che
no si pentiva desservi venuto. [31] Zoroastro, posto in
terra la spugna e l vaso, disse loro che non dubitassero
di cosa che essi udissero o vedessero, e che non ricor-
dassero mai n Dio n Santi; e poscia cavatosi un libric-
cino di seno, finse, borbottando pian piano, di leggere
cose alte e profonde; e inginocchiato, talora baciando la
terra, e guardando alcuna volta il cielo, per un quarto
dora fece i pi strani giuochi del mondo; [32] e di poi
fornito aperse il vaso, che era pieno di verzino, e tuffv-
vi dentro la spugna, dicendo un po fortetto:
Con questo sangue di dragone faccio il cerchio di
Plutone .
E fece un gran giro, di modo che teneva i dua terzi
della sala, e inginocchiatosi nel mezzo, e baciato tre vol-
te la terra, disse a loro che chiedessero che segno voleva-
no. [33] Allora il Pilucca, rivoltosi a Giansimone, che
138 Letteratura italiana Einaudi
tremava come foglia, lo domand che segno gli piaceva
pi daltro di vedere. Giansimone disse allo Scheggia ri-
voltosi, che guardasse un poco egli; per lo che egli e il
Pilucca trovato avendone parecchi, niuno piacendoglie-
ne, per lo essere qual di poco momento, qual di troppo,
quel pericoloso, questo contra la fede, non si sapeva ri-
solvere; quando Zoroastro, quasi ridendo, disse:
[34] Io ho pensato di farvi vedere una cosa piacevo-
le e da ridere, nondimeno di non poco valore; e questo
chio veggio il Monaco, amico di tutti noi, che a punto
in sul canto di Mercato Vecchio, ed ancora in pianelle
e in mantello e n cappuccio: io voglio per forza e vert
della arte mia farlo incontanente venir qui dentro in
questo cerchio .
I l che dallo Scheggia e dal Pilucca lodato, piacque
molto a Giansimone; e disse che lo aveva troppo caro,
perch a punto egli era suo compare. [35] Era questo
Monaco sensale scritto a larte della seta, ma attendeva a
pi cose: egli faceva parentadi, egli appigionava case,
dava a maschio e femina, e arebbe anco a un bisogno
fatto qualche scrocchietto: persona dallegra vita, balla-
tore e cantatore, e bonissimo sonator darpe, un omacci-
no vi so dire da bosco e da riviera, amico grandissimo,
come ho detto, di Zeroastro, dello Scheggia e del Piluc-
ca; [36] da i quali avendo inteso il tutto intorno a i casi
di Giansimone, e daccordo con esso loro, se ne era la
sera venuto quivi in casa Zoroastro, divisato come avete
inteso. E pi con dua cesti di lattuga infilati e un mazzo
di radici; e mentre che coloro, picchiando, erano entrati
dentro, sera messo ritto in su la sponda di fuori della fi-
nestra da via. [37] E bench vi stesse con gran disagio,
pure stava in modo che cader non poteva; e Zeroastro
acconcio aveva la finestra e messo la nottola, in maniera
che pareva che ella fusse, ma non era, serrata, e per ogni
poco di sospinta si sarebbe aperta. Il Monaco dunque in
cotal guisa stando, per un bucolino fatto a posta vedeva
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
139 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
e udiva ci che in sala si faceva e diceva, aspettando il
termine dato con allegrezza grandissima. [38] Laonde
Zoroastro, riprese le parole, disse:
Or tempo che io vi chiarisca . E soggiunse: Il
nostro Monaco si accostato a uno insalataio; oh, egli
domanda per comprare . E, stato un poco, dice:
Egli ha tolto dua cesti di lattuga e un mazzo di radi-
ci. Oh! oh! eco che colui gli ne infila. Oh! ora gli cambia
un grosso per dargli lavanzo, perci che la insalata e le
radici montano sei danari .
[39] E cos detto, si distese in terra bocconi e disse
non so che parole: doppo, rittosi in piedi e fatto dua
tomboli, si arrec da un canto del cerchio inginocchioni,
e guardando fiso nel vaso, come fatto avea, disse:
Il Monaco nostro ha gi riavuto il resto, e vassene
con la insalata verso Pellicceria, per andarsene a casa;
ma in questo istante io lho fato invisibilmente alzare a i
diavoli da terra: oh eccolo, che gli gi sopra il Vescova-
do! [40] Oh egli vien bene! Egli gi sopra la piazza di
Madonna; oh ora sopra la vecchia di Santa Maria No-
vella, test entra in Gualfonda: oh eccolo a mezza la
strada: oh egli ci gi presso a men di cinquanta brac-
cia: oh eccolo eccolo eccolo qui rasente la finestra! Or
ora sar nel cerchio .
[41] E questa ultima parola fornita, il Monaco, che
stava alla posta, dato una spinta alla finestra, quasi vo-
lando salt nel mezzo del cerchio, in pianelle, in mantel-
lo e in cappuccio, e con linsalata e con le radici in ma-
no: e subito messe un grandissimo strido, e cominci a
gridare quanto gliene usciva della gola. [42] A Giansi-
mone, ci veggendo, venne in un tratto tanta maraviglia
e paura, che egli fu vicino al cader morto; e voleva pur
favellare, ma non poteva riaver le parole, e per la gran-
dissima e inusitata paura se gli smosse il corpo di modo,
che tutte empi le calze. [43] Lo Scheggia gli diceva pu-
re:
140 Letteratura italiana Einaudi
Che dite Giansimone? non questo segno chiarissi-
mo che egli pu con le demonia ci che egli vuole?
Il Monaco gridando ad alta voce diceva:
Ahi traditori! Che cosa questa? Fassi cos a gli uo-
mini da bene?
E il Pilucca attendeva a confortarlo e racconsolarlo.
Ma lo Scheggia e Zeroastro intorno a Giansimone stan-
do, e veggendolo non parlare, e nel viso venuto di colore
di cenere, dubitarono forte di lui, e lo presero sotto le
braccia, ch gli era a sedere, e cominciaronlo a passeg-
giare per la sala. [44] Ma egli, riavuto alquanto lo spirito
e le parole, cominci tremando a dire:
Andianne, andianne, che mi par millanni dessere a
casa ; e batteva di sorte tremando i denti, che pi setti-
mane poi se ne sent. Onde lo Scheggia, presolo per la
mano, senza dir altro savvi alla volta della scala; [45]
ma non fu andato dua passi, che savvidde, colando
Giansimone tuttavia, che egli doveva aver piene le calze;
per lo che rivoltosegli disse:
Giansimone, io dir che voi vi siate cacato sotto?
Egli lo vedrebbe Cimabue rispose il Pilucca , che
nacque cieco: non senti tu come ei pute?
[46] A cui disse Giansimone:
Io mi maraviglio di non avere cacato lanima, non
vo dire il cuore. Ohimi! io sono stato per spiritare.
Per fia buono che voi vandiate a mutare sog-
giunse Zoroastro , acci che colando voi non ammor-
baste questa casa; e poi a bel agio ci rivedremo .
[47] E cos lo Scheggia se nand seco, lasciando il
Monaco che tuttavia si rammaricava, e il Pilucca intr-
nogli fingendo di rappacificarlo; e lo lasci a casa, che
mai non aveva voluto rispondergli a proposito, anzi per
tutta la via non aveva mai fatto altro che guaire e sospi-
rare; e finalmente lo Scheggia, picchiatogli luscio e den-
tro serratolo, se ne torn in casa Zoroastro a i compagni;
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
141 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
i quali tutta sera risono, e cenato quivi, ridendo se ne
tornarono ognuno a casa sua.
[48] Giansimone, poi che fu in casa, cominci di ter-
reno a chiamar la moglie e la fante, dicendo che presta-
mente mettessero a fuoco dellacqua, ch grandissimo
bisogno avea di lavarse. La donna, sentendolo putire e
veggendolo cas scolorato nel viso, disse:
Marito mio, che cosa strana v egli intervenuto? O
voi parete disotterrato! che vuol dire?
[49] A cui rispose Giansimone:
Certe doglie di corpo, che mi son venute si subite
con una uscita rovinosa di sorte, che io sono stato per
morire; per lo che venendomene ratto a casa, rinforzan-
domi per la via il dolore, non avendo altro rimedio, fui
costretto lasciarla andare nelle calze .
La moglie, che era dassai femmina, cavategliene e,
dalla serva aiutata, lavatolo molto bene, lo messe,
comegli volle, nel letto, senza cenare altrimenti; dove,
rammaricandosi, in tutta notte non chiuse mai occhi; ma
in sul far del giorno, cominciandogli a far freddo, gli
prese una buona febbre. [50] Lo Scheggia, la mattina
per tempo levatosi, e trovato il Pilucca, ne androno in su
la terza da bottega di Giansimone, dove intesero lui sen-
tirsi di mala voglia: della qual cosa dolorosi, lo Scheggia,
che aveva pi domestichezza seco, lo and a trovare, e lo
trov nel letto che pareva morto; laonde gli disse, acci
che la cosa non si avesse a saper per Firenze, che voleva
che si medicasse, e che gli voleva procacciare il medico.
[51] E chi troverrai? disse Giansimone.
Mestro Samuello ebreo rispose lo Scheggia: che in
quelli tempi era il miglior medico di tutta Italia. E per-
ch la cosa non andasse in lungo, si part allora allora; e
trovato il medico, che era molto suo amico, gli narr,
fattosi da principio sino alla fine, tutta la malattia di
Giansimone. [52] Il che da lui ascoltato non senza gran-
dissime risa, ne and prestamente con lo Scheggia a ve-
142 Letteratura italiana Einaudi
der lo ammalato, al quale fece subito trarre otto o diece
once del pi travagliato e rimescolato sangue che si fus-
se mai veduto; e gli disse:
Giansimone, non dubitare: tu sei guarito .
E per dirla in poche parole, facendogli far vita scelta e
buona, in otto o in dieci giorni lo cav del letto, guarito
a un tratto de la febbre e de lamore.
[53] Per la qual cosa, andatolo un giorno a veder lo
Scheggia, che per ancora non era uscito di casa, paren-
dogli strano di perdere i venticinque ducati, ragionando
cadde sopra il suo amore, e gli disse cos:
O Giansimone, ora che voi ste guarito per grazia di
Dio, e il segno veduto avete, di maniera che agevolmen-
te potete creder Zoroastro esser per dovervi servire, al-
tro non manca ora che i danari, e darassi finimento a
lopera; e quando vi piace, potrete tenere nuda nelle
braccia la vostra vedovotta, che alle sante guagnele un
fonfone da darvi drento per non diviso e alla spensierata
.
[54] A cui Giansimone, dimenando la testa, rispose:
Sozio, io ti ringrazio, e il negromante ancora: e per
dirti brevemente, io non mi voglio impacciare n con
diavoli n con spiriti. Ohimi! io tremo ancora, quando
io mi ricordo del Monaco, che compar quivi portato
per laria mezzo morto, e non si vidde da chi! Io ti giuro
sopra la fede mia, che m uscito intra fine fatto tutto lo
amore di corpo, e della vedova non mi curo pi niente;
anzi, come io vi penso, mi viene a stomaco, consideran-
do che ella stata cagione quasi della mia morte. [55]
Oh che vecchia paura ebbio per un tratto! E mi sarric-
ciano i capelli quando io vi penso; s che pertanto licen-
za e ringrazia Zoroastro .
Lo Scheggia, udito le colui parole, divent piccino
piccino, e gli parve aver pisciato nel vaglio, fra s dicen-
do:
Vedi che ella non andr cos a vanga, come noi ci
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
143 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
pensavamo? [56] E parendogli rimanere scornato, co-
s gli rispose dicendo:
Ohim Giansimone, e che quello che voi mi dite?
guardate che il negromante non si crucci; che diavol di
pensiero il vostro? Voi andate cercando Maria per Ra-
venna: io dubito fortemente che, come Zoroastro inten-
da questo di voi, che egli non sadiri tenendosi uccellato,
e che poi non vi faccia qualche stran giuoco. Bella cosa,
e da uomini da bene, mancar delle parole sue! Che biso-
gnava fargli far il segno, se voi avevate in animo di non
seguitare avanti? Tant, Giansimone, egli non da cor-
rerla cos a furia: se egli vi fa doventare qualche anima-
laccio, voi avete fatto poi una bella faccenda .
[57] Colui era gi per la paura doventato nel viso co-
me un panno lavato, e rispondendo allo Scheggia, disse:
Per lo sangue di tutti i maritri, che fo giuro dassassi-
no, che domattina la prima cosa io me ne voglio andar
agli Otto, e contare il caso, e poi farmi bello e sodare: e
non so chi mi tiene chio non vadia or ora .
Tosto che lo Scheggia sent ricordar gli Otto, divent
nel viso di sei colori, e fra s disse: Qui non tempo da
batter in camicia: faccin che il diavolo non andasse a
processione . [58] E a colui rivolto, dolcemente prese a
favellare e disse:
Voi ora, Giansimone, entrate ben ne linfinito, e
non vorrei per mille fiorini doro in benefizio vostro, che
Zoroastro sapesse quel che voi avete detto. Oh, non sa-
pete voi che lUffizio degli Otto ha potere sopra gli uo-
mini e non sopra i demoni? Egli ha mille modi di farvi,
quando voglia gnene venisse, capitar male, che non si sa-
perrebbe mai. [59] Ma io ho pensato, perch gli genti-
le, cortese e liberale, che voi gli facciate un presente di
non troppa spesa: quattro paia di capponi, otto di pip-
pion grossi, dieci fiaschi di qualche buon vino che ven-
dono i Giugni, sei raviggioli e sessanta pere spine, e per
dua zanaiuoli gliene mandiate a donare. [60] Egli ar
144 Letteratura italiana Einaudi
pi caro e amer pi questa vostra amorevolezza e libe-
ralit che cento ducati; e vedrete che egli mander a rin-
graziarvi, e cos verrete a mantenervelo amico; e se voi
fate altrimenti, voi pescate pel proconsolo, e daretevi
della scure sul pi .
[61] Piacque la cosa molto a Giansimone, e disse:
Io voglio che tu sia quello che gnene presenti per
mia parte e mi scusi, ch sai il tutto, e ringraziandolo
senza fine me gli raccomandi.
Io son contento rispose lo Scheggia , e so certo
che io lo far rimanere sodisfatto, e vostro amico.
Sodisfatto, ho io ben caro che rimanga soggiunse
Giansimone , ma della sua amicizia non mi curo punto
; e fatto il conto quanti danari montava la robba che lo
Scheggia aveva divisato, gli dette colui la moneta.
[62] Per la qual cosa lo Scheggia, andatosene in Mer-
cato Vecchio, prese dua zanaioli pratichi, e uno ne
mand a comprare il vino, e laltro caric al pollaiolo,
che ebbe capponi grassi e belli, e cos i pippioni; e tosto
che il zanaiuolo fu tornato col vino, comperato le frutte,
fece la via da casa Giansimone, e chiamatolo, gli ne fece
dare una occhiata cos dalla finestra; e disse:
Io me ne vo col.
Va disse Giansimone , che Dio voglia che tu fac-
ci buon opera .
[63] Partssi dunque lo Scheggia e co i zanaioli dreto
se ne and a casa Zoroastro, a cui narr ridendo tutti i
ragionamenti di Giansimone: della qual cosa allegrissi-
mo Zoroastro, avendo fatto posare e scaricare i zanaioli,
fece dar ordine di pelare e di apparecchiare per la sera, e
non si volse altrimenti partire da casa per stare dintorno
a zanaioli, acci che il pasto andasse di ncchera.
[64] Ma lo Scheggia si part per trovare il Monaco e il
Pilucca; i quali finalmente trovati, raccont loro il tutto,
di che molto contenti restarono, parendo loro nondime-
no tristissimo baratto i venticinque ducati con una ce-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
145 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
nuzza tignosa, e massimamente il Pilucca; e non sarebbe
stato forte a patto veruno, se non avessi inteso degli Ot-
to.
[65] Nella fine, rimasti di trovarse in casa Zoroastro
la sera per cenare insieme alle spese del Crocifisso, lo
Scheggia gli lasci, e andssene a trovar Giansimone, e
per parte di Zoroastro gli fece mille ringraziamenti, mil-
le offerte e mille proferte; e di poi se ne torn a casa di
Zoroastro, per stare intorno e acconciare gli arrosti, e
fargli cuocere a suo senno, sendo pi della gola, che san
Francesco del cordiglio; dove a lora diputata vennero il
Pilucca e l Monaco. [66] E fattosi festa insieme, e molto
riso de casi di Giansimone, si posero finalmente a tavo-
la; alla quale, da un famiglio di Zoroastro e da i zanaioli
serviti delle vivande che voi sapete, bene acconce e sta-
gionate, stettero co i pi pari, e fecero uno scotto da pre-
lati con quel vino che smagliava. Ma poi, venuti dove
pi assai del ragionare che de i cibi si piglia diletto e
conforto, il Pilucca, come colui che gli stavano quei ven-
ticinque ducati in sul cuore, non potendola sgozzare co-
s a un tratto, cominci a dire:
[67] Per Dio, che questi capponi e questi pippioni
sono stati saporiti e delicati, e non mi pare mai aver
mangiato i miglior raviggioli, n bevuto il pi prezioso
vino .
A cui Zoroastro rispose:
Per domandasera ho fatto serbare la met dogni
cosa, s che noi potrn cenare s ben come stasera; e se
tu avevi tanta pacienza, io vi arei invitati a ogni modo.
[68] I o ne era certissimo seguit il Pilucca , e
non diceva per cotesto, ma perch il mangiare a macca
mi piace sempre pi il doppio; e per vorrei che noi or-
dinassimo qualche involtura, qualche tranello, che noi
gittassimo qualche rete a dosso a Giansimone, da poter-
gli cavar delle mani que venticinque ducati: considera-
146 Letteratura italiana Einaudi
te, per vostra fe, quante cos fatte cene elle sarebbono:
io vi so dire chio doventerei di sei centinaia.
[69] Che non su? disse il Monaco.
E che vi parrebbe egli di fare? soggiunse lo Scheg-
gia. S che da Zoroastro e dagli altri in poco dora molti
modi da farlo trarre narrati furono, fra i quali a uno tro-
vato dal Pilucca sattennero, come pi riuscibile e meno
pericoloso, il quale successe poi loro felicemente, come
tosto intenderete. E restati ultimamente di quel che far
volevano, da Zoroastro presono licenzia, e se nandoro-
no a dormire.
[70] La mattina per tempo il Pilucca, per dar princi-
pio a dover colorire il trovato disegno, scritto e contra-
fatto una richiesta, tolse uno di quei suoi lavoranti de
lOpera di Santa Maria del Fiore, l dove era capomae-
stro, il quale era scarpellino, di poco tornato da Roma,
con un barbetta affummicata che tutto pareva un birro;
e messogli una spadaccia ai fianchi, lo mand a casa
Giansimone, avvertitolo e insegnatogli quel che egli
avesse a dire e a fare. [71] Il quale, picchiato a luscio ed
entrato drento, se nand in camera, guidato dalla serva,
e la plizza pose in mano a Giansimone, il quale doman-
dando donde e da chi ella veniva, gli fu da colui rispo-
sto:
Leggi e vedralo ; e cos detto senza altro, dimena-
to un tratto la coltella, acci che Giansimone la vedesse,
dette la volta indietro.
[72] Giansimone, udendo cos pessima risposta, e
veggendo a colui larme, sindovin subito che fusse un
messo; e doloroso, deliberato a punto di levarsi, cos nel
letto, sendo aperto la finestra, quella richiesta lesse, la
quale cos diceva: Per parte e comandamento del reve-
rendissimo vicario de larcivescovo di Firenze si coman-
da a te Giansimone berrettaio, che veduta la presente ti
debba infra tre ore rappresentare nella cancelleria di
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
147 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
detto Vescovado, sotto pena di scomunicazione e di
cento fiorini doro.
[73] E nella sottoscritta, sapendolo, messo aveva il Pi-
lucca il nome del cancelliere, e acconcilla con un sug-
gello scancellaticcio, che non si scorgeva quello che vi
fusse impresso, quasi fatto in fretta, come si usa talvolta.
Rimase pieno di maraviglia e di doglia Giansimone, fra
s pensando che cosa esser potesse questo; e intanto,
fattosi dalla donna portare i panni e aiutare, si vest, sen-
do risoluto duscir la mattina fuori a ogni modo; e disse:
[74] Vedi che io uscir di casa per qualcosa! Che
diavolo ho io a far col vicario? Io so pure chio non ho a
divider nulla n con preti n con frati n con monache;
io non la posso intendere .
Intanto lo Scheggia, che stava alla posta, temendo che
non uscisse fuori, picchi luscio, e fugli aperto; ma non
fu prima in camera che cominci quasi piangendo a di-
re:
[75] Or sin noi ben rovinati da dovero: qui non ci
pi riparo. Oh infelici! Oh miseri noi! Chi lo arebbe
mai stimato? Infine, se io scampo di questa, mai pi non
mimpaccio n con maliardi n con stregoni: che mala-
detti sieno i negromanti, e la negromanzia!
Lo aveva pi volte pregato Giansimone che dir gli vo-
lesse la cagione del suo rammaricho; ma lo Scheggia, se-
guitando il suo ragionamento, non gli aveva mai rispo-
sto.
[76] Onde colui, sentendogli ricordare negromanti,
grid:
Scheggia, di grazia, dimmi ci che tu hai di male, e
che ti fa guaire.
Una cosa rispose tosto lo Scheggia che non pu
esser peggio, cos per me come per voi.
Ohim! che sar di nuovo? disse Giansimone. E
voleva mostrargli la richiesta, quando lo Scheggia disse:
Vedete voi? Questa una citazione del vicario.
148 Letteratura italiana Einaudi
Ohim! rispose Giansimone , eccone unaltra.
Da questo vien ora seguit lo Scheggia della mia
e della vostra rovina.
E in che modo? soggiunse Giansimone. Narra-
mi tosto, narrami, come sta la cosa .
[77] Onde lo Scheggia cos mestamente favellando
prese a dire:
Il Monaco vostro compare, portato, come voi sape-
te, per laria da i diavoli, non ha mai restato, come colui
che fuor di modo gli preme la cosa, tanto che dal Piluc-
ca ha inteso il caso a punto a punto, e come voi e io ne
semo principal cagione, e che tutto fu fatto perch voi
vedeste il segno; della qual cosa il Monaco adirato e col-
loroso, se nand iarsera a trovare il vicario, e gli cont il
caso, e il Pilucca rafferm e testific per la verit in suo
favore. [78] Laonde il vicario, parendogli la cosa brutta,
subito volle far fare le richieste; ma perch gli era tardi,
e non vi essendo il cancelliere, indugi a stamattina. Co-
s ho inteso or ora da un prete che sta col vicario, molto
mio amico; s che voi vedete dove noi ci troviamo.
per questa cos gran cosa rispose Giansimone
che tu debba pigliarne tanto dispiacere, e aver tanta
paura? Che abbin noi per fatto?
[79] Che abbin fatto? soggiunse lo Scheggia.
Voi lo sentirete; abbin fatto contro la fede: la prima co-
sa, a credere agli incanti e cercare per via di diavoli di vi-
tuperare una nobile e costumata donna; e doppo, fatto
portare pericolo al Monaco della vita, sendo venuto per
laria tanta via, cosa ancora che per la paura egli spiritas-
se, o che il diavolo gli entrasse a dosso: tutte cose che
importano la vita. [80] E rendetevi certo che se noi ci
rappresentiamo, tosto sarn messi in prigione; e confes-
sando la cosa, portin pericolo del fuoco; ma avendo la
riprova, non possin negare, e il meno che ce ne inter-
venga, sar stare in gogna, o andare in su uno asino con
una buona condennagione; o forse, toltoci tutta la roba,
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
149 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
confinati in un fondo di torre per sempre, o forse peg-
gio. Ohimi! Vi par poco questo?
[81] E nella fine di queste ultime parole artificiosa-
mente si lasci cadere tante lacrime dagli occhi che fu
una maraviglia: E dove piangendo diceva anderai,
ahi misero Scheggia? Va ora a comprare la casa: se tu
avessi test i danari maneschi, potresti tu fuggirtene co-
me far il negromante, tosto che egli intender il caso,
ch son certo che non vorr aspettare questa polzzola
al forame .
[82] Giansimone, considerato le parole, veduto gli at-
ti, i gesti e le lacrime di colui, si credette fermamente co-
s esser la verit, e gli venne pi paura che egli avesse gi
mai, parendogli tuttavia esser nelle mani de birri; s che
piangendo cominci a bestemmiare e maladire il suo
amore, la vedova, i negromanti e la negromanzia, e allo
Scheggia rivolto, disse:
[83] Il Pilucca e Zeroastro come faranno?
Il Pilucca rispose lo Scheggia daccordo con il
Monaco, e uscirssene per spia: Zoroastro si piglier per
un gherone, e andrssene altrove; e poi egli ha mille mo-
di da scamparla, e da farla anco scampare a noi.
Che non vai tu a pregarlo che sia contento daiutar-
ci disse Giansimone e scamparci da questa furia?
Ohimi! che mi pare stare peggio che prima.
[84] E bene rispose lo Scheggia so che si pu di-
re che voi siate cascato della padella nella brace; ma non
che faccia gli andr io inanzi, avendogli mancato de i
venticinque fiorini, che si pensava fermamente, avendo
fatto vedervi il segno, davergli guadagnati? E bench
egli abbia auto il presente, pensate che egli se ne ricor-
da, e che gli debbano stare sul cuore .
[85] Disse allora Giansimone:
Oh Dio! se egli ci libera in qualche modo da questa
involtura, darngnene infin da ora: che domin sar mai?
Io non sono atto a disperarmi.
150 Letteratura italiana Einaudi
Piacciati, Signor mio, che egli sia contento! rispo-
se lo Scheggia, alzando le mani al cielo: test test vo-
glio andare a trovarlo, ma con questo che voi non vi ridi-
ciate poi, ch noi saremmo pericolati.
[86] No, no, non ci pensare soggiunse colui.
Ohimi, aver a stare a discrezion di preti! Di fatto mi
chiarirebbono eretico, e condannerebbonmi al fuoco; e
se io ci mettessi tutto lavere e lo stato mio, parrebbe lor
farmi piacere; va pur via, che Dio ti accompagni!
Partssi dunque prestamente lo Scheggia, pi che fus-
se gi mai allegro; e poco dilungatosi dalla casa, non
bad guari che egli ritorn, fingendo daver favellato al
negromante; e a Giansimone disse come egli era conten-
to di far ogni cosa, ma che voleva prima i danari, e che
egli aveva mille modi da liberargli.
[87] Giansimone, come che molto gli dolesse lo spen-
dere, pure per non aver a comparire e cimentarsi inanzi
al vicario, e oltre al danno che egli pensava che gliene
potesse venire, troppo gli dispiaceva che questo fatto si
avesse a spargere per la citt: onde allo Scheggia volto,
disse:
I danari sono in quella cassa che tu vedi, al suo pia-
cere: portagliene a tua posta; ma inanzi che gli abbia nel-
le mani, io voglio intendere in che modo, e come egli ci
vuole scampare, e per che via; perch io non vorrei en-
trare in un pelago maggiore.
[88] Bene e saviamente parlate rispose lo Scheggia
; io me nandr correndo a trovarlo, e fattomi narrare il
modo che tener vuole a salvarci, tosto me ne tornar a
voi con la risposta; intanto annoverate i danari, che io
non abbia a badare.
Tanto far disse Giansimone a punto ora che
mgliama ita alla messa; e tu ingegnati di tornar ratto,
che mi par mille anni ogni momento desser fuori di
questo intrigo .
[89] Per la qual cosa lo Scheggia si part subitamente,
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
151 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
e caminando di letizia pieno, se ne and volando a casa
Zoroastro; e lo trov col Piluca insieme che laspettava-
no, e si struggevano intendere come passassero le cose,
temendo che la lepre non desse a dietro; ma da lui po-
scia inteso il tutto, tanta allegrezza avevano, che non ca-
pivano nelle cuoia. [90] Utimamente, avendo lo Scheg-
gia bevuto un buon tratto del buon vin della sera, e fatto
un asso, se ne venne quasi correndo in casa Giansimone,
il quale trov in camera che lo aspettava, fornito avendo
dannoverare i danari; e gli disse doppo il saluto:
[91] Il modo che vuol tener Zoroastro per liberarci,
tra molti che potuti ne arebbe mettere in opera, Giansi-
mone, questo. Egli favellando col suo spirito, che egli
ha costretto nella ampolla, ha da lui inteso come solo il
Pilucca, il Monaco, il vicario e il cancelliere sanno, e non
altri, la cosa a punto; e ancora che il cancelliere abbia
fatto le citazioni, nondimeno non lha scritte al libbro,
perch non le usano scrivere se non quando altri compa-
risce, o passato il tempo che comparire si doverra. [92]
Per la qual cosa egli ha fatto quattro immagini di cera
verde, per ugnun di loro una, e ha mandato or ora un
demonio costretto nello inferno al fiume di Lete per una
guastada di quel acqua incantata; con la quale bagnate
tre volte, e di poi strutte e arse le immagini, coloro si sdi-
menticheranno subito ogni cosa intorno a i casi vostri,
n mai alla vita loro se ne ricorderanno, se ben vivessero
millanni; e se o voi o io ne dicessimo nulla, il Pilucca e il
Monaco ci terrebbano pazzi. [93] Il vicario e il cancel-
liere, non sendo chi ricordi loro n chi solleciti la causa,
ed eglino avendosi sdimenticato il tutto, e non lavendo
scritta al libbro delle querele, non seguiteranno pi ol-
tre; e cos verr a essere come se non fusse mai stato: e
questi si chiama lo incanto de loblio .
Grandi cose e maravigliose parevano queste a Giansi-
mone, ma molto maggiori stimava, credendolo ferma-
mente, lo essere il Monaco volando per laria venuto in
152 Letteratura italiana Einaudi
casa Zoroastro; s che, dato fede alle simulate parole del-
lo Scheggia, disse:
[94] I danari son cost in sul cassone in quella fede-
ra; togli a tua posta. Ma come farem noi, che non sono
altro che ventidua fiorini, perch di venticinque che gli
erano, tre ne ho tra il medicarmi e il presente spesi?
Al nome di Dio rispose lo Scheggia , acci che
lindugio non pigliassi vizio, egli me ne pare andar tanto
bene che io gli accatter da un mio amico banchieri e
mettergli di mio; che diavol sar mai? Per questo non
resti.
Tu fari bene disse Giansimone e come tu gnene
arai dati e che lo incanto sia fornito, tornami a raggua-
gliare . [95] Cos lo Scheggia preso quella federa dove
erano i danari, tutto oro e ariento, lietissimo part da co-
lui, e andnne battendo a i due compagni che lattende-
vano; i quali, veduto i danari, e inteso de i tre ducati che
vi mancavano, quello che lo Scheggia detto avea, riden-
do e di gioia pieni consultarono di farne, quanto durava-
no, buon tempo e lieta cera; [96] e ordinato che il Piluc-
ca andasse per il Monaco, e che bene mandasse l da
desinare dove tutti si avevono a rivedere, se ne torn lo
Scheggia a Giansimone, a cui disse a prima giunta:
State sicuro, Giansimone; ogni cosa acconcio . E
seguit: [97] Io accattai i tre fiorini che mancavano,
me nandai volando al negromante, e trovai a punto il
diavolo, che aveva arrecata lacqua: s che tosto, veduto
egli i danari, bagn le immagini, e di poi le messe tutte e
quattro sopra un gran fuoco che egli aveva acceso di car-
boni darcipresso; le quali in un istante si strussero e
consumaronsi. Zoroastro, fattosi arrecare allora un gran
catino dacqua incantata, dicendo non so che parole,
spense ogni cosa, e a me disse: Va via a tua posta, e
non temer pi di nulla. [98] Io, ringraziatolo, subito mi
partii; e nel venire a casa vostra riscontrai a punto dal
canto de Pazzi il Monaco, il quale, facendomi il miglior
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
153 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
viso del mondo, mi disse: A Dio, dove prima non mi
soleva favellare, anzi mi faceva sempre viso di matrigna
.
[99] Quanto rimanesse contento Giansimone, non
da domandare; e allo Scheggia disse:
Credi tu che, se Zoroastro avesse fatto una immagi-
ne per me, chio me lo fussi anchio sdimenticato?
S, sareste rispose lo Scheggia , statene voi in du-
bio?
Io voglio dunque seguit Giansimone che tu ri-
torni a lui, e fcciagliene fare; e costi ci che vuole: pur-
ch io mi sdimentichi questa cosa, io sar il pi contento
uomo che viva .
[100] A cui rispose lo Scheggia dicendo:
Maladetta sia tanta stracurataggine! Voi potevate
pure dirmelo dianzi. Egli sarebbe ora troppo grande im-
pania a far ritornare il diavolo, e ricostringerlo: non vi
basta egli esser libero? E poi io non vorrei anche tanto
infastidirlo, e che egli mi avesse poi a dire chio fussi car-
ne grassa; e anche non vo pi tentare la fortuna n con
spiriti n con incanti, n con incantatori impacciarmi
mai pi; s che pertanto abbiate pacienza.
[101] Tu di anco il vero rispose Giansimone ; la
cosa andata ben troppo .
E cos avuti simili altri ragionamenti, lo lasci lo
Scheggia in pace; e andssene a casa Zoroastro, dove lo
aspettavono i compagni, e ragguagliatogli, desin con
esso loro allegramente. Laltro giorno poi, uscendo
Giansimone fuori, e trovati il Monaco e l Pilucca, fu
certissimo della oblivione; ma poi in spazio di tempo
scalzandogli alcuna volta e sottraendogli, ed essi novissi-
mi e maravigliosi mostrandosi, faceva le pi grasse risa
del mondo. Ma i quattro compagni, lasciatolo con la
beffa e col danno, lungo tempo sguazzarono alle sue
spese.
154 Letteratura italiana Einaudi
NOVELLA QUINTA
[1] Currado, signore gi della antica Fiesole, accortosi che il fi-
gliolo si ghiaceva con la moglie, sdegnato, gli fa ambedui
asprissimamente morire; e lui doppo per la soverchia crudelt
dal popolo ammazzato.
[2] Venuto Leandro finalmente a capo della sua assai
ben lunga novella, ma non gi per la sua lunghezza rin-
cresciuta punto, anzi piaciuta molto e commendata
sommamente, nella quale fuor di modo aveva fatto ride-
re pi volte la brigata: laonde Siringa, che seguitar lo do-
veva, quasi ridendo prese a dire:
Certamente che Leandro con la sua favola nha atte-
nuto la promessa, cotanto stata giocosa e allegra! La
qual cosa, sallo Dio, che anchio mi vorrei poter inge-
gnar di fare; pur, poich non piace al Cielo, mingegner
di farvi per avventura tanto piagnere, quanto egli vha
fatto ridere, e forse pi, raccontandovi un caso infelicis-
simo di due amanti, degno veramente delle vostre lagri-
me .
[3] Fiesole, come oggi sia rovinata e disfatta, fu gi
nobile e bellissima citt, e piena cos di case, e di palagi e
di temp, come di abitatori. Nel tempo adunque che per
li suo principi si reggeva e governava, e che in letizia e in
pace viveva, uno ne ebbe, tra gli altri, chiamato Curra-
do, signore giusto e liberale, e tenuto caro e amato mol-
to da i suoi cittadini: il quale, avendo gi li cinquanta an-
ni passati, si dispose di pigliar donna, ancorch altra ne
avesse auta, ma di parecchi anni morta, e un figliolo ma-
schio di sedici anni lasciatogli chiamato Sergio, bellissi-
mo a maraviglia. [4] Questo Currado, di moglie deside-
roso, molte trovandone e autone per le mani, una ne
prese finalmente, figliola di Lucio Attilio cittadin roma-
no, che, per commession della Repubblica e del Senato
di Roma, reggeva allora in Pisa, in quel tempo chiamata
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
155 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
Alfea, e amministrava la giustizia. E per buona sorte fu
una delle belle giovane che si trovassero allora in Italia,
detta per nome Tiberia, molto pi convenevole moglie
del figliuolo per la sua tenera et, nel pi verde tempo
trovandosi ella della sua giovinezza. [5] Feronsi le nozze
onorevoli e grandi, come alla qualit e al grado loro si
conveniva. Cos Currado vivendo allegramente si passa-
va il tempo, e alla sua donna altro non mancava, se non
che troppo di rado e male aveva di quello che tutte le
femmine maritate desiderano; nondimeno, onestissima
essendo, non mostrava di curarsene.
[6] E cos, forniti di passare due anni, e Sergio cre-
sciuto, e ogni giorno trovandosi continuamente a man-
giare e a bere e a ragionare senza sospetto alcuno con la
matrigna, se ne invagh e accese di maniera, che non
aveva mai altro bene n conforto, se non quanto egli la
vedeva, o con lei parlava; e cos dora in ora e di giorno
in giorno crescendogli entro il petto il fuoco e lamorosa
fiamma, si condusse a tale, non volendo scoprirlo a per-
sona viva, che egli se ne ammal, e di sorte indebol, che
fu forzato starsene nel letto. [7] Quanto di ci Currado
avesse dispiacere e maninconia, non da domandare.
Egli fece prestamente venire i miglior medici che si tro-
vassero, ma da quelli non si conoscendo la sua malattia,
molti rimedi vani ordinati furono; ma nulla giovando, n
di cosa alcuna pigliando conforto, anzi peggiorando
sempre, fu da loro sfidato e abbandonato, dicendo al
padre lui non avere rimedio alcuno alla salute sua. [8]
Currado, dolorosissimo, mille volte domandato il figlio-
lo della cagione del suo male, altra risposta non aveva
mai potuto avere, se non che si sentiva mancare a poco a
poco. Madonna Tiberia ancor ella ne aveva dolore gran-
dissimo, non sapendo essere della sua malattia vera e so-
la cagione. Sergio, proposto avendosi, tacendo, di mori-
re, a tale era gi condotto, che non voleva pi pigliare
niente; per la qual cosa una vecchia stata sua balia, tor-
156 Letteratura italiana Einaudi
nando una mattina indreto con il mangiare, si riscontr
nella principessa, a cui ella disse:
[9] Madonna, poco ci della vita di Sergio: egli non
ha stamani voluto solamente trre un boccone: vedete
chio gli levo la vivanda dinanzi come io la gli portai .
Tiberia, increscendone oltre a modo, disse alla balia:
Dalla un po qua a me: veggiamo sio sapessi far me-
glio di te .
E preso la scodella in mano, se nand ratta nella ca-
mera dove il quasi morto Sergio si diaceva; e pietosa-
mente salutatolo, lo preg dolcemente che per suo amo-
re fusse contento di voler mangiare, e nel cucchiaio
avendo messo un po di minestrina, gliene accost alle
labbra. [10] Sergio, che la sera dinanzi poco, e la matti-
na niente aveva voluto pigliare, sentite avendo le colei
parole, aperse senza altro pensare la bocca, e cominci a
mangiare di cos fatta maniera, che tutto si tranguggi il
desinare, di che tutti i circustanti si maravigliavono; e
Tiberia, ringraziatolo e confortatolo molto, allegrissima
si part da lui. Venne la sera, ed ella fece il simigliante; e
Sergio non sapendo e non potento disdirle, ancorch di
morire fusse deliberato, pure mangiava, e vedevasi ralle-
grare alquanto, e massimamente quando la principessa
gli stava dintorno; [11] e cos in quattro o sei volte fu
conosciuto chiaramente lui aver preso grandissimo mi-
glioramento. La qual cosa veggendo il padre, maravi-
gliosamente gli piaceva, e ogni giorno faceva fare orazio-
ne e sacrifizio a suoi dii, pregando la moglie che non gli
rincrescesse far opera cos pietosa, dando il cibo e la vita
al suo figliolo.
[12] Ma la balia, pi saggia di tutti, come colei chera
molto pratica, si avvis troppo bene onde fussi venuto
che da la matrigna avessi cos preso il cibo, e cos poi
perseverato nel mangiare e nel riaversi: s che, andatase-
ne alla principessa, gli disse:
Madonna, egli mi pare che voi siate cos accorta e
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
157 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
saggia, e cos vi succedano bene e prosperamente le co-
se, quanto ad altra donna chio conoscessi gi mai; [13]
per io voglio che voi diciate a Sergio come il giorno
della festa di Mercurio, che ci vicina a otto d, voi vo-
gliate fare al giardino un bellissimo convito, e che voi
areste desiderio che egli vi fusse; e pregatelo poscia per
vostro amore, che egli si sforzi di guarire, a fin che ritro-
var vi si possa per farvi questa grazia; e vedrete sog-
giunse colei che egli ritorner sano come mai fu .
[14] La principessa, mossa da buon zelo, la mattina
vegnente, poi che ella ebbe datoli mangiare, lo richiese e
preg di tutto quello che dalla balia gli era stato detto; a
cui Sergio timidamente rispose:
Madonna, io ve ne ringrazio; e tanto grande il de-
siderio che io ho di servirvi, che io credo che gli dii mi
aiuteranno, a fin chio possa di questo compiacervi; e vi-
vendo ancora sempre onorarvi e obbedirvi, e non mi fia
mai fatica spender questa vita per voi, come colui che
lho da voi ricevuta ; e qui si tacque. Della qual cosa la
principessa rendutegli prima le debite grazie, prese co-
miato. [15] La balia, ogni parola udita avendo, e nel viso
fisamente guardatolo, fu certissima per verissimi segni,
lamore che alla matrigna portava essere del suo male
prima, e poscia della salute sua stato cagione. E cos, ve-
nuto il d che esser doveva vigilia del giorno del convito,
e gi Sergio tornato in buon essere, e tutta la casa lietis-
sima, se nand Tiberia, e a Currado ogni cosa narr per
ordine; il quale, contentissimo, fece tosto apparecchiare
per laltro giorno di fuori al giardino, in nome della don-
na, il convito, quanto pi si poteva splendidissimo. [16]
Tiberia, avendo invitato quaranta delle prime e delle pi
belle giovani di Fiesole, laltro d in su la terza se nand
poco fuor della terra, dove un bellissimo palagio aveva-
no con un vaghissimo giardino; il quale sopra la som-
mit del monte risedendo, vedeva il chiaro Arno bagna-
re il fertilissimo piano: scorgevansi indi molte ville,
158 Letteratura italiana Einaudi
castella e citt; dove arrivata con la sua compagnia si po-
se ad aspettare il marito e il figliastro, lietamente per lo
dilettoso giardino diportandosi; al quale doppo non
molto Currado e Sergio giunsero accompagnati nobil-
mente, dove con onore grandissimo onestamente ricevu-
ti dalle donne furono. [17] Utimamente, dato lacqua al-
le mani e andati a tavola, di finissime vivande e di ottimi
vini graziosamente furono serviti; e di poi a cantare, a
sonare e a ballare si diedero. Era tornato cos colorito e
bello Sergio, che ognuno se ne maravigliava; e alla prin-
cipessa, riguardandolo, pareva pi leggiadro assai e pi
manieroso che prima, e si gloriava di averlo tolto dalla
morte e a cos lieto stato condotto. Sergio, sempre prs-
sole, con parole e con fatti acconciamente le dava favo-
re; [18] e fiso mirandola, tal contento gli pareva sentire
che cambiato non larebbe con quello che in Paradiso si
pensa che sentino lanime beate. Ma venutone poi la se-
ra, montati a cavallo, tutti nella citt se ne tornarono.
[19] Tiberia, veggendo di giorno in giorno, e di mese
in mese crescere cos la bellezza come la grazia in Sergio,
e lui esserle affezionatissimo, non se naccorgendo, s
fieramente se naccese e innamor, che viver non pote-
va; e non le parendo conferirlo n di fargliene intendere,
altro non faceva, quando veduta non era, che piagnere e
rammaricarsi, tra se stessa dicendo sovente: [20] Mise-
ra, tu cercasti bene per colui, per cui ora s tormentata
vivi; levasti lo affano e la doglia a chi ti affligge e ti addo-
lora; tu hai procacciato la salute a chi ora cagione della
tua infirmit; hai dato la vita a chi ti fa morire. Quanto
era il meglio, ahi lassa! per te non esser mai nata, che vi-
vere a questo modo infelice! E di chi innamorata ti sei?
Come, senza gravissimo peccato, in che modo, senza
grandissima vergogna, puoi tu recare a fine i desideri
tuoi? Sfortunata! leva, leva, leva a fatto lanimo da que-
sto illecito amore, e volgi la mente a pi lodata impresa,
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
159 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
se brami fuggire perpetuo vituperio e sempiterno danno
de lanima tua .
[21] Ma poi, tornandole nella memoria la divina bel-
lezza, i leggiadri costumi e le suavi e oneste parole de
lamato giovane, tutta cangiata da lesser di prima, dice-
va seco:
Come potr io mai non amare, non gradire, non
onorare e non adorare la maest, la costumatezza, la
suavit e bellezza del viso, degli atti, della favella, e insie-
me di tutta la persona di colui, che per mio bene, per
mio riposo, per mio conforto e per mia pace il cielo, i fa-
ti, la fortuna, e Amore produssero? [22] Io non posso,
n debbo oppormi alle celesti disposizioni; che fo io
per? amo giovane uno giovane, cosa ordinaria e natu-
ralissima. Di quante altre ho io udito e letto li amori di-
sonesti e sceleratissimi? Lascio i parenti con parenti; ma
che dir io de fratelli con le sorelle, e dei padri con le fi-
gliole? Costui, sa bene si guarda, drittamente non ha che
fare meco cosa del mondo. Di che mi spavento dunque,
di che dubito, lassa? [23] Che temo, ohim? perch non
apro, perch non scuopro, perch non gli fo io chiaro la
voglia, il dolore e gli affanni miei? Egli gentile e corte-
se; e oltre a questo mi obligatissimo, e mille volte mi si
offerto, e dettomi che il maggior desiderio che egli ab-
bia in questo mondo, di farmi piacere e servizio: per-
ch resto io dunque? chi mi tiene? a che tardo io di tro-
varlo? [24] Deh! come credio che della mia freddezza,
della mia diffidenza e del mio poco animo si dorr e mi
riprender! Come pensio, che udendo i miei lamenti e
veggendo le mie lacrime, si attristi e addolori? E io, di
me inimica, ministra del mio danno, ancor peno, ancor
bado a fargliene intendere. Gi veder parmi aperte quel-
le braccia, gi da loromi sento strignere, gi dalla sua
dolce bocca la mia sento amorosamente baciare . [25]
E in questo cos fatto pensiero dimorando, poco meno
di dolcezza sentiva che se stata fusse in fatto; e rittasi co-
160 Letteratura italiana Einaudi
me se trovar lo volessi, i passi mosse, ma si ritenne poi
col dire: Se per disgrazia, ognaltra cosa di me pensan-
do, si sdegnasse, e per onore del padre, dove ora per
onestissima donna begninamente mi riverisce e ama, per
disonesta poi mi schernisse e odiasse? Trista la vita mia,
dove mi troverrei? Sforzata sarei, fuor di speranza al tut-
to, da me stessa uccidermi . E cos, per non arroger
peggio a male, si stava pascendo gli occhi e gli orecchi di
vedere e dudire il suo caro Sergio.
[26] Da laltra parte il giovan non men di lei doloro-
so, ancorch per suo amore gli piacesse il vivere, nondi-
meno arebbe voluto crre i desiati frutti amorosi: quan-
tunque la reverenza del padre, la grandezza del peccato,
e il debito de lonest in gran parte nel ritraessero: pure
le insuperabili forze damore a tale lo avevan condotto,
che se potuto avesse, e che piaciuto fosse alla donna, co-
me ho detto, saziato arebbe le sue bramose voglie: [27]
e a luno e a laltra era assai dalleggiamento alle loro
gravi pene il vedersi, il ragionare, il conversare, e il man-
giare e il bere continuamente insieme. E cos, dun vole-
re e dun animo essendo, desiderando e bramando il
medesimo, agghiacciano nel fuoco e ardano nel ghiac-
cio, e in mezzo al mare, per non distender la mano a
prender de lacqua, muoiono di sete. [28] Pure, rassicu-
randosi a ppoco a poco, avvenne che un giorno, che
Currado era andato a caccia per non tornar se non la se-
ra, soli ritrovandosi in camera della donna, e duna in al-
tra cosa ragionando, caddero sopra le malattie. Laonde
Sergio disse:
Madonna, la mia passata fu ben terribile, e di certo
mi arebbe guidato a morte, se lo aiuto vostro badava
troppo a soccorrermi: s che io, come pi volte gi vi ho
detto, posso dire daver per voi la vita.
[29] Mal guiderdone disse la donna me ne ren-
di, poscia che me non aiuti, che sto poco men male che
stessi tu, quando da me aiutato fusti.
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
161 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
Ohim! rispose Sergio. Dio ve ne guardi! E che
male avete voi? E in che modo vi posso dar io aita?
Grandissimo disse la principessa , e in te solo sta
la salute mia, e solo tu, e non altri, liberar mi puoi.
[30] Volessi Dio che io potessi farvi servizio o bene-
fizio, ch voi vedresti che io non sono ingrato seguit
Sergio , n mi sara fatica mettermi alla morte mille vol-
te al giorno per voi: dite, comandate pure, chio sono
apparecchiato e prontissimo a i comandi vostri .
Tiberia, queste parole cos affettuose udendo, volen-
do rispondere, o fusse lallegrezza o il dolore o la paura
o la speranza o la dolcezza o lamaritudine, li manc la
voce, e divent come di marmo immobile: pure li occhi
fecero in buona parte luffizio della lingua, i quali intan-
te lacrime abbondarono, che di poco pi fatto arano, se
lavesse auto una fonte viva nella testa. [31] Sergio, ma-
ravigliandosi, e per compassione e per tenerezza
anchegli lacrimando e piangendo, il meglio che sapeva
e che poteva la confortava e racconsolava; e parte con il
grembiule di lei le rasciugava le colorite guance, tuttavia
pregandola che non dubitasse di nulla e che li scoprissi
la cagione de suoi amarissimi dolori. Tiberia veggendo
le lacrime, e i pietosi ricordi de lamato giovane udendo,
meglio in s ritornata, roppe il freno alla timidezza, e,
riaute le parole, nel miglior modo che seppe li aperse e li
narr tutto il suo amore; e indi lo preg caldamente che
di lei gli venisse compassione, e glincrescessi della vita e
della giovinezza sua.
[32] Non fece Sergio come gi Ipolito alla sua bella
matrigna; anzi, poich il cielo largo e benigna la fortuna
li avevano posto inanzi tanto e cos fatto bene, non me-
no di lei desiderandolo, sdimenticatosi de lonore del
padre, aperse le braccia, poich soli erano e la camera
serrata, e teneramente stringendole il collo, le baci dol-
cemente la rosata bocca; ed ella lui ancora, affettuosa-
mente stringendolo, abbracci e baci; e inanzi che si
162 Letteratura italiana Einaudi
spiccassero, cento caldi baci lun laltro dierono: [33]
ma pure poi, lasciatisi, cominci Sergio, e da capo fatto-
si, le cont ordinatamente lorigine prima della sua ma-
lattia, e la cagione doppo della sua salvezza, e come pi
che mai acceso, e di lei innamorato viveva. Se colei fu
contenta, udir non potendo cosa che pi le aggradassi,
non vi dico niente; ma di nuovo riabbracciatisi, se nan-
darono sopra il letto, e prima che di quindi si partissero,
lun da laltro presero maraviglioso piacere e diletto, di
amore gustando lultima e la pi suave dolcezza. [34]
Ma poi che per buono spazio trastullati si furono, dato
ordine come pi sicuramente e con pi agio trovare in-
sieme si dovessero, prese Sergio da lei licenzia, e pi che
mai allegro e contento si diede a suoi altri piaceri. Tibe-
ria tanta letizia aveva, e tanta contentezza ne lanimo
sentiva, che ella temeva forte non venisse meno per la
soverchia dolcezza, pi ritrovandosi con lamato suo fi-
gliastro, provato avendo quanta fusse differenza, nelli
assalti damore, da un giovane a un vecchio, e da uno
amante al marito, che le pareva maggiore che il bianco
dal nero, che il giorno dalla notte, e che le cose vere da
quelle che si sognano. [35] E cos rassettato intanto il
letto, acci che nulla si paressi, si usc della camera, e
andatosene alle sue damigelle, sopravenne intanto la se-
ra; e poi che in casa si fu cenato per ognuno, se nand
Currado, tornato da caccia, primo a dormire al solito in
una camera separata da quella della donna; [36] perci
che in altra si dormiva ella in su la sala, e quando il prin-
cipe usar voleva seco il matrimonio, bench di rado fus-
se, aveva per usanza di venir sempre la mattina in sul far
del giorno, avendo da i medici inteso che in quel otta
dava meno disagio e noia alla persona, che di niuno al-
tro tempo; e se gli era di verno, si metteva una veste lun-
ga foderata, se di state, una di zendalo leggerissima; e
avendo la chiave solo egli, senza picchiare altrimenti,
aprendo se nandava a lei; e fatto il bisogno, per la me-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
163 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
desima via se ne andava al suo letto. [37] Madonna Ti-
beria, dalle sue cameriere scalzata e acconcia, sola si co-
ricava: ed esse in unaltra camera se ne andavano a dor-
mire, e la mattina, se ella non avessi chiamato, non
sareno state ardite di entrare l drento. Per la qual cosa
Sergio rimasto era seco, che la notte, quando ognuno
nel pelagio sentissi dormire, solo e cheto se ne venissi
sopra un verone, dove a punto riusciva la finestra della
anticamera, la quale aperta troverebbe; e che di quindi
sceso ne lanticamera, per luscio, che medesimamente
aperto lascerebbe, se ne venisse a trovarla al letto: poi
passata mezza notte, se ne ritornasse alla camera sua.
[38] Or, poi che ogni cosa fu cheto per la casa, Sergio,
parendogli tempo, si usc di camera tutto solo, e ands-
sene in sul verone; e perch la finestra era un poco alta,
prese una lancia, o picca che ella si fusse, fra una massa
che ivi erano in terra rasente un muro, e appoggiatola al-
la sponda, sendo destro e forte della persona, su vi sal a
cavalcioni; s che tirato la lancia da laltra parte, per essa
leggermente scese ne lanticamera, e per luscio alla don-
na se nand, che nel letto con desiderio grandissimo lo
aspettava. [39] Dalla quale come fusse lietamente rice-
vuto non da domandare: s che buona parte della notte
abbracciati stettero con tanto piacere dambedue le par-
ti, con quanto maggiore immaginar si possa. Ma quando
parve lor tempo, si part Sergio, e cos come era venuto,
se nand, serrato la finestra, e rimesso la lancia fra lal-
tre: e cos continuando, si diedero forse dua mesi il mi-
glior tempo che mai avessero alla lor vita.
[40] Ma la fortuna, nemica de beni umani, disturba-
trice de i piaceri terreni, e contraria alle voglie de mor-
tali, in guisa si contrapose alla lor gioia, che dove i pi
felici che si trovassero al mondo, in breve furono i pi
miseri. Perci che, sendosi una volta infra laltre ritrova-
ti insieme, n tanto spazio ancora auto avendo, che for-
nito avessero la prima danza damore, avvenne che fuor
164 Letteratura italiana Einaudi
dogni suo costume Currado, per qual si fusse cagione
levatosi, venne per pigliar il solito piacere con la moglie,
fuor de lusanza sua, cinque o sei ore il meno; e a luscio
arrivato, e la chiave presa per aprire, non gli venne fatto,
perch volger non la potette mai, usando ogni volta co-
lei che lo amante seco aveva, mettervi la bietta. [41] Per
la qual cosa dimenando e scotendo la porta Currado
quanto pi poteva, fu dalla donna e dal figliolo udito; i
quali, come che gran paura avessero, pure, sendo su lul-
timo fornire . . . . la dolcitudine amorosa, e di fatto non
restando colui di trempellare a luscio, saltarono del let-
to, e Sergio ratto se nand per la via usata, rassettato e
racconcio al suo luogo ogni cosa. [42] Tiberia, come
fuor di camera lo vide, serrato luscio, fece vista di de-
starsi allora; e disse con alta voce:
Chi la?
A cui rispose Currado, anzi che no sospettando al-
quanto:
Apri, che son io.
La donna, udito la voce, tosto corse ad aprirgli, di-
cendo:
Ben venga il mio signore .
Alla quale Currado disse:
Perch cos metteresti tu iarsera la bietta? (udito
avendo cavargliene) egli non suol per essere tuo costu-
me .
[43] Tiberia certa scusa debole ritrovando, lo fece pi
insospettire: ma prestamente nel letto ritornatasene,
aspettava che il marito andasse da lei; il quale per la ca-
mera guardando, come volle la disgrazia, in su la cassa a
pi del letto (con ci sia cosa che nella camera sempre
per usanza ardesse una torcia di cera bianca) vide un
cappelletto alla greca di drappo rosso con un cordone
intorno intorno doro; il quale conobbe senza dubio al-
cuno essere del figliolo, da lui quivi la notte per la paura
e per la fretta lasciato. [44] Onde, tutto cambiato, si
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
165 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
pens in che modo essere andata dovesse intorno a ci
la bisogna; ma, come savio, deliberando di chiarirse a
fatto, e poscia farne aspra vendetta, non volle allora far
romore: e come se cosa niuna veduto avesse, si messe a
canto alla sua donna, la quale astutamente toccando per
tutto, le sent sotto la poppa manca battere fortemente il
cuore, onde fu come certo; s che per la passione e per la
rabbia non poteva star nelle cuoia; pure, per non darle
cagione che sospettar potesse, di simulare ingegnandosi,
si sforzava di farle carezze, come era solito. [45] Ma con
tutto ci, avendo egli il tarlo che rodeva, stette per infi-
no al giorno, che mai non potette pigliare di lei piacere;
ma, deliberato avendo di partirsi, disse:
Donna, non ti maravigliare se io non ho potuto n a
te n a me sodisfare, perci che io mi sento di mala vo-
glia, e vennicci cos fuor de lordine, per veder se si po-
tesse passare via certo dolore di stomaco che mi noia;
ma nulla giova: per rimanti in pace, ch io voglio alla
mia camera tornarmene .
E detto questo, da lei si part, non pensando gi colei
che di niente accorto si fusse; anzi, per lo essere egli vec-
chio e cagionevole, alle sue parole credette, e si acconci
per dormire.
[46] La mattina, molto ben tardi poi levatasi, e vedu-
to il cappello, rest dolorosissima, non pensando per
che il marito lavesse veduto; e nascosolo, chiam le sue
damigelle in camera. Il principe di gelosia, di rabbia, e
dodio pieno nel letto ritornato, non potette gi mai dor-
mire, sempre pensando al disonore e a loltraggio che gli
facevano la moglie e il figliolo; e riandando le passate
cose, fra s disse: [47] Ora conoschio troppo bene
che significar volevano tanto amore, tanta benevolenza,
tanta pace e tante carezze. Io gi mai non me lo sarei po-
tuto immaginare; e chi penserebbe che il proprio figliolo
gli ardisse di fare cos fatto dispiacere al padre, come a
me fa il mio, e la infedel consorte? La mia benignit,
166 Letteratura italiana Einaudi
laffezione e lamore che io ho portato, maggior gi mai
che padre a figliolo e che marito a moglie portasse, non
meritava questo da loro; ma poich essi se lo hanno cer-
cato, io gli gasticher per s fatta maniera, che saranno
esempio eterno e spaventevole di quanti adulteri furono
gi mai .
[48] E sempre pensava il modo che pi agevolmente
crgli potesse insieme, mostrando tuttavia lieta cera: e
sforzandosi dessere allegro, si lev; e venutone lotta, si
messe a desinare, cianciando e motteggiando a lusanza:
di che la moglie e l figliolo avevano maraviglioso piace-
re, pensando che niuno sospetto avesse preso. Per la
qual cosa doppo desinare Sergio se nand, come era so-
lito, in camera a passar tempo e a trattener la matrigna; e
soli essendo, ragionando della passata notte, gli fu dalla
donna renduto il cappello, il quale si aveva per la furia
sdimenticato, n se nera avveduto ancora. Della qual
cosa il giovane maraviglioso, divotamente Dio ringrazi,
che veduto non lavesse il padre.
[49] Venutane la notte, Currado, che pensato aveva
via di giungerli, solo, stette in aguatto per infino al gior-
no vicino alla camera del figliolo: e nulla n sent, con
ci sia che la notte non fusse venuto bene a Sergio, forse
per la passata paura, di ritrovarse con la donna. Ma lal-
tra notte, a lora solita uscendosi egli di camera con i
medesimi termini, alla sua donna se nand, non pen-
sando esser veduto da persona; ma Currado, che sera
messo alla porta, ogni cosa veduto avendo, colloroso e
disperato, per dar principio al suo crudelissimo propo-
nimento, se nand ratto a trovare il portinaio; [50] e
fattosi aprire, non cammin cento passi che egli arriv
alla casa del bargello, e fattolo chiamare, gli comand
che prestamente si armasse e pigliasse la maggior parte
de suoi uomini con il manigoldo, e che lo seguitasse; il
quale, ubbidientissimo, con minor romor che fusse pos-
sibile fece il suo comandamento; e doppo che furono ar-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
167 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
rivati in sul verone, e appoggiato una scala alla finestra
de lanticamera, la quale aveva fatta tr loro Currado,
egli prima, e di poi il capitano e laltra canaglia di mano
in mano, entrarono dentro, e con torchi accesi e lanter-
ne in camera della donna correndo se nandarono, e ar-
rivarono che gli amanti dormivano abbracciati insieme.
[51] E prima il disperato vecchio giunse al letto con la
turba, che da loro fusse sentito; il quale, tirato la coper-
ta, con orgogliose voce gridando minacciosamente dis-
se:
Questo dunque, lonore che tu, mio figliolo, e tu,
mia donna, mi fate? Ma rendetevi certi che tosto ne pa-
tirete la penitenza .
[52] Come quei meschini rimanessero, voi ve lo pote-
te pensare. Essi furono da s fatta paura, maraviglia e
doglia in un tratto soprapresi, che mesti e sbigottiti re-
starono; e come se di legno fussero, non che altro, non
respiravano. Il principe, seguitando le parole, disse alla
famiglia del bargello:
Tosto legate a questi traditori le mani e i piedi .
[53] Della qual cosa fu prestamente obbedito; e di
poi chiamato il giustiziere, prima a Sergio, che stretta-
mente chiedeva mercede e divotamente si raccomanda-
va, veggente la donna, fece cavar gli occhi; e poi per viva
forza di tanaglie tagliar la lingua; e doppo, gridando
sempre, li fece mozzare le mani e i piedi. Tanta venne in
un punto e cos fatta doglia a Tiberia, ci veggendo del
suo caro amante, che lanima, costretta a viva forza, ab-
bandonasse i sensi, si dipart dal tormentoso corpo, e
con gli spiriti and vagando attorno. [54] Currado, per
la rabbia diventato insano e furioso, facendo il simi-
gliante fare a lei, e vedendola stramortita, acci che pi
pena sentisse, la fece tanto con aceto rosato e acqua
fredda e malvaga stropicciare, che ella rinvenne. Egli,
come respirare la vide, perch piacere non avesse di
rammaricarse, comand che trattata fusse come il figlio-
168 Letteratura italiana Einaudi
lo; e di poi ambedue gli fece porre sopra lo sfortunato
letto insieme, dicendo:
[55] Dove con tanto vostro piacere e contento in
mia vergogna e oltraggio viveste felicemente, voglio che
con dispiacere e dolore per mia vendetta miseramente
moriate .
E, questo detto, fece uscir tutti li sbirri e il bargello di
camera, e serrato luscio, e licenziatogli, attendeva per la
sala a passeggiare, indurato s nella crudelt, che egli
non si sentiva a pena desser uomo. [56] Il bargello e la
famiglia sua, ancor che inumani fussero, pure incresceva
loro della crudelissima morte de i dua giovani, biasi-
mando la troppa severa giustizia di Currado. I poveri e
sfortunati amanti, senza lingua e senza occhi, senza mani
e senza piedi trovandosi, e ugualmente per sette parti
del corpo a ciascuno uscendo il sangue, erano alfine
quasi venuti alla fine della vita loro. [57] Nondimeno,
udite lultime parole di Currado, e sentito sgombrare la
camera e serrar luscio, al tasto serano trovati, e con i
mozziconi abbracciatisi, luna bocca a laltra accostan-
do, e ristringendosi il pi che potevano insieme, doloro-
samente la morte aspettavano.
[58] Deh! considerate, pietose donne, se mai udiste o
leggeste il pi crudel, il pi disperato, o il pi inumano
caso di questo? Dove gi mai, dove i pi scelerati del
mondo con tanta acerba pena, con tanto amaro duolo, e
con tanto dispietato supplizio si punirono, quanto co-
storo? In qual parte de luniverso gi mai due traditori o
assassini di strada, con pi tormento, con maggior ago-
nia, e con pi fiero martre condotti a morte furono di
questi due? [59] Come non saperse la terra? Come non
caddero le stelle? Come non rovin il cielo al terribile,
empio e sceleratissimo spettacolo? Qual mauro, qual
turco, qual tartaro, qual lestrignone, qual furia infernale,
quel demonio si sara immaginato mai, non che mandato
a effetto, una cos crudele e spaventosa morte? Ahi sfor-
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169 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
tunati e miseri amanti! [60] A voi non pure ne lultimo
vostro fine non fu concesso potervi rammaricare, e sfo-
gando dolervi, n confortare, n consigliar lun laltro;
ma vi fu tolto il vedervi stante insieme, ultimo conforto
di chi muore. Ahi infelicissimi! In voi altro che toccar
sangue con sangue, e intensa e infinita passione non eb-
be luogo. Almen Venere pietosa lanime vostre accoglia,
e nel terzo ciel guidandole, vi dia grazia di sempre stare
insieme, come merita il vostro ferventissimo amore.
[61] Venutone gi lalba, e nel palagio tutta la fami-
glia levatasi, e avendo inteso lorribil caso, tutti piangen-
do amaramente si rammaricavano del lor signore: e fra
gli altri la balia di Sergio (che fu di quelli che viddero, e
da Currado cacciata fuor di camera) nera ita nella Piaz-
za gridando e stridendo s dolorosamente, che molti
udendola dubitarono che al principe non fusse qualche
male intervenuto. [62] Ma sentendo la cosa, e di mano
in mano per la citt spargendosi, tanto a ogni uomo ne
incresceva, che non vera chi tener potesse le lagrime,
molto riprendendo e aggravando Currado: e una gran
parte de maggiori e de pi nobili cittadini nandarono
al Palagio, per veder con occhi lacerbissima crudelt; e
salliti le scale per entrare in camera, furono dal principe
ritenuti. [63] Ma tanto crebbero in numero, che fecero
forza a luscio; ed entrati drento, trovarono i dua amanti
tutti sangue, e gi la donna passata, e pochissima vita re-
stava al giovane: quando, spaventati e sbigottiti per la
inaudita e incomparabile inumanit, tutti a un tratto gri-
dando, dissero Currado esser degnissimo di morte; [64]
e fuori uscendo, in meno dunora con esso loro concor-
se tutta la terra, e tanto ne increbbe a ciascuno, che il
popolo si lev a romore, e gridando: Ammazza, am-
mazza il tiranno crudelissimo! nandarono al palagio
forse dumila; e Currado, che se lo indovinava, tardi del
suo furore pentito, presono, che sera nascoso in una
buca da grano, dicendo che pi non meritava e pi non
170 Letteratura italiana Einaudi
era degno di stato, n di reggere; [65] e quasi mossi dal-
la divina giustizia, graffiandogli il viso e pelandogli la
barba, lo condussero in Piazza; e a un palo legatolo, a
furia di popolo, preso delle pietre, lo lapidarono, e tante
sassate gli diedero che in breve non solo lo uccisero, ma
lo conciarono e consumarono di sorte, che non sara mai
stato riconosciuto per uomo, non saziandosi uomini e
donne, giovani e vecchi di trarre, tanto che tutto lo rico-
persero con i sassi; di modo che pareva maturato, anzi
sotterrato, in un monte di pietre. [66] E nel Palagio an-
datisene, i due sventurati amanti onoratamente secondo
lusanza loro seppellirono: e laltro giorno i primi e i pi
vecchi cittadini, nel palagio ragunatisi, non sendo chi
succedessi alla signoria, per non aver Currado lasciato
erede, saviamente ordinando, di principato la ridussero
a republica; e cos stette tanto, che finalmente da i Ro-
mani fu disfatta.
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
171 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
NOVELLA SESTA
[1] Lo Scheggia e il Pilucca con dua lor compagni fanno una
beffa al Guasparri del Calandra, onde egli fu per spiritare: poi
con bellissimo modo gli cavano un rubin di mano, il quale da
lui ricomperato, si sguazzano i danari.
[2] Se le donne e i giovani avevano per cagione delle
raccontate novelle riso mai, questa ultima di Siringa gli
aveva fatto tanto piangere e lacrimare, che di piangere
ancora e di lacrimare non si potevano tenere: tanto de i
due sfortunati amanti incresceva loro, fuor di modo del-
la inusitata e crudelissima morte dolendosi e maravi-
gliandosi, trovata da quello scellerato vecchio. Pure gli
racconsolava in parte il fine che dai suoi gli fu merita-
mente fatto fare: quando Fileno, rasciutti gli occhi, cos
pietosamente disse:
[3] Se io considero bene alla passata novella e al bi-
sogno nostro, a me conviene, discrete donne, lasciare in-
dreto una favola che io avevo per le mani, e unaltra dir-
ne, che via maggiormente rallegri e porga diletto e gioia
alla brigata tutta piena di doglia e di compassione, nella
quale il Pilucca e lo Scheggia e gli altri compagni sinter-
vengono . E seguit:
[4] In Firenze fu gi un buono uomo chiamato Gua-
sparri del Calandra, che faceva battiloro, assai buon
maestro di quel arte, ma persona per altro bonaria e di
grosso ingegno. Costui, per via della moglie sendo do-
ventato ricco, perci che ella era rimasta erede del fra-
tello che le aveva lasciato dua bon poderi in quel di Pra-
to e dua case in Firenze, abbandonato la bottega,
attendeva a darse piacere e buon tempo, non avendo se
non un figliolo maschio di cinque in sei anni, e la donna
in termine di non doverne far pi. [5] Per la qual cosa
preso aveva strettissima amicizia dello Scheggia, e con-
seguentemente del Pilucca, del Monaco e di Zoroastro,
172 Letteratura italiana Einaudi
e piacendogli la loro conversazione, perci che, come
voi sapete, erano uomini spensierati e di lieta vita, si tro-
vava spesso con esso loro a cena nella stanza del Pilucca,
che stava a casa nella via della Scala, dove era un bellissi-
mo orto, da mangiarvi la sera di state sotto una verdissi-
ma e folta pregola al fresco. [6] E perch questo Gua-
sparri faceva professione dintendersi de i vini e di
provedergli buoni, coloro, in questo dandogli la soia e
lodandolo molto, lo avevano eletto di comune consenti-
mento sopra il vino. La qual cosa Guasparri recandosi a
grande onore, per non mostrarse ingrato di tanto benefi-
zio e di s gran maggioranza, tutto il vino che si beeva fra
loro, e da lui proveduto, voleva che fussi di sovvallo e a
sue spese, e a ogni ora visitava tutte le taverne di Firenze
per trovarlo buono, e sodisfare a i compagni, e sempre
ne conduceva di due o di tre sorti. [7] Laltre vivande
poi tutte andavano per errata: e lo Scheggia era provedi-
tore, e teneva diligente conto, e quei compagnoni atten-
devono a succiare, che parevono moscioni, mettendo
Guasparri in cielo; e Zoroastro diceva pure che non co-
nobbe mai uomo avere il miglior gusto, e il Pilucca af-
fermava lui essere disceso dalla schiatta di Bacco; tanto
che il detto Guasparri si stimava desser qualche gran
cosa. [8] E cos doppo cena sempre la sera cicalando,
avevano i pi nuovi e strani ragionamenti del mondo,
dove consumavano mezza la notte, favellando spesso
delle streghe, degli incanti, degli spiriti, e di morti. Delle
quali cose Guasparri avendo paura grandissima, mostra-
va non curarle, e si faceva ardito e gagliardo, dicendo fra
laltre, che in quel altro mondo i morti avevan fatica di
vivere, non che venire a far paura, o male alcuno a que-
sti di qua: della qual cosa sendosi coloro aveduti, ne ave-
vano trastullo e piacer grandissimo.
[9] Ora, andando cos la cosa e trovandosi ogni sera
insieme allorto del Pilucca, sendo allora di state, e Gua-
sparri procacciando il vino a lusanza, accadde che un
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
173 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
suo parente, trovatolo un giorno, come invidioso del
commodo e del ben di coloro, cominci a riprenderlo
che egli spendeva, anzi gittava via il suo, ed era uccella-
to; e che lo Scheggia, il Pilucca e gli altri lo trombettava-
no e ridevansene per tutto Firenze, e che egli era da
ognuno mostro a dito per goffo e per corrivo; [10] di
maniera che Guasparri, pensando cos essere la verit,
deliber di levarsi per qualche giorno dalla lor compa-
gnia, e andssene in villa senza dir nulla a persona, dove
egli aveva la brigata, cio la moglie e il figliolo, e una ser-
va. [11] I compagni, non lo ritrovando, parevano smar-
riti, e ne cercavano con grande instanzia, e massima-
mente lo Scheggia e Zoroastro; i quali doppo sei o otto
giorni, intendendo come egli era andato in villa, si mara-
vigliavano che egli non avessi lor detto nulla; e dubitava-
no tutti di quello, di non ritrovarsi insieme ogni sera a
lusanza, facendo buona cera e giulleria. [12] Intanto a
Guasparri venne a fastidio lo state in villa, e se ne torn
a Firenze: il quale, come dal Pilucca fu veduto, fattogli
una gran festa, subito fu invitato per la sera, dicendoli:
Oh come hai ben fatto a tornare, perci che da poi
in qua che ti partisti, io non ho mai bevuto vino che mi
sia piaciuto!
Ma Guasparri rispostogli che non poteva venire, fu
dimandato dal Pilucca della cagione; [13] ed egli non
sapendo dirgliene, n trovare scusa che buona fusse, fu
tanto nella fine contaminato, che gli disse, morendosi di
voglia di tornar con esso loro, che verrebbe volentieri,
ma che non voleva pi provedere il vino, e metterlo a
macca; e narrgli tutto quello che dal parente suo gli era
stato detto. [14] Il Pilucca, ci udito, ridendo di fuori e
di dentro malissimo contento, gli disse, per non parer,
che la sera venisse a ogni modo, e che al far del conto
non spenderebbe se non quel tanto che gli altri, pensan-
do senza alcun fallo ricondurlo a poco a poco alla mede-
sima usanza. E cos, venutone la sera, e il Pilucca trovato
174 Letteratura italiana Einaudi
i compagni e ragguagliatigli, restarono maninconosi;
pur, mostrando allegrezza, Guasparri ricevettero con
lieto viso, e feciongli mille carezze e caccabaldole, e cos
seguitarono non so che sere. [15] Ma nella fine, veggen-
do che Guasparri non usciva a fiato, avendolo tutti in-
sieme e privatamente tentato pi volte e per pi vie, par-
ve a Zoroastro che fussi da levarselo dinanzi, dicendo
che non era cosa conveniente che egli usasse con esso lo-
ro del pari; e cos affermavano tutti, e deliberarono di
fargli qualche beffa di sorte che da s stesso si pigliasse
licenzia, trovando qualche modo da farlo trarre, e cavar-
gli o danari o qualchaltra cosa dalle mani. [16] E sapen-
do la paura che gli aveva inestimabile delli spiriti e parti-
cularmente de i morti, vi si fondarono sopra; e restati
daccordo di tutto quello che da fare intendevano, mes-
sero segretamente in opera certi amici dello Scheggia e
di Zoroastro, che si avevono preso la cura della beffa.
[17] Aveva Guasparri la sua casa in borgo Stella, s
che ogni sera che co i compagni si ritrovava, per ritor-
narsene gli conveniva passare il ponte alla Carraia: n in
detta casa stava persona, se non egli a dormire, desinan-
do la mattina sempre o allosteria o a casa amici o paren-
ti. Abitava per sorte a canto a lui un certo Meino tessito-
re di drappi, amico grande dello Scheggia, per la cui
casa si poteva entrare agevolmente in quella di Guasa-
parri; s che lo Scheggia tanto aveva fatto e tanto prega-
tolo, che Meino era restato di fare quanto egli voleva.
[18] In questo mentre, venutone il giorno, la cui notte si
doveva fare a Guasparri la beffa, avendo ogni cosa ordi-
nato e messo in assetto, lo Scheggia e Zoroastro la sera si
trovarono con i compagni al solito, dove cenarono di
santa ragione; e doppo, a sommo studio entrato il Piluc-
ca in su gli spiriti, e cos Zoroastro, tanto dissero e delle
streghe e de morti e della tregenda e de diavoli, che a
Guasparri entr sospetto grandissimo de laversene a ire
a casa solo; [19] e se non fusse stato per non si mostrare
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
175 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
timido e pauroso, arebbe richiesto qualcheduno di loro,
che lo avessero accompagnato e restatosi abergo seco; e
fu tutto quanto tentato di non si partire, e di dormir qui-
vi. [20] Ma venutane gi lora deputata, fece Zoroastro,
acci che Guasparri se nandasse, trovare i germini, il
qual gioco colui aveva pi in odio che la peste; s che
Guasparri fu forzato partire, che era mezza notte. Ma
come egli ebbe il pi fuor della soglia, subito gli usc
dreto lo Scheggia pian piano; e vedendolo andarsene di-
ritto da Santa Maria Novella, donde poi volgeva per la
via de Fossi, e indi passava il ponte, se nand per via
Nuova, e quasi correndo, per borgo Ogni Santi giunse
in sul ponte alla Carraia, che colui non era ancora a mez-
za via; [21] e trovato i compagni che lo attendevano, fe-
ce lor cominciare a dar ordine, ed egli si nascose drento
alla chiesina di Santo Antonio, in su la sponda dArno
che arrivava a Santa Trnita.
[22] Era allora di settembre e buissimo, per buona
sorte, come in gola. Di l da mezzo il ponte alla Carraia
in su le prime pile erano venuti i due compagni per ordi-
ne di Zoroastro e dello Scheggia, come avete inteso; i
quali avevano una mezza picca per uno, in cima della
quale era un po di legno atraversato, che veniva a far
croce, alla quale due lenzuoli lunghissimi e bianchi con
certa increspatura stavano accomodati. [23] E in su la
vetta della croce era una mascheraccia contrafatta, la pi
spaventosa cosa del mondo, la quale scambio di occhi
aveva dua lucerne di fuoco lavorato, e cos una per la
bocca, che ardevon tutte, e gittavano una fiamma ver-
diccia molto orribile a vedere; e mostrava certi dentacci
radi e lunghi, con un naso stiacciato, mento auguzzo, e
con una capeglieraccia nera e arruffata, che arebbe mes-
so paura, non che a Cuio e al Bevilacqua, ma a Rodo-
monte e al conte Orlando. [24] E cos in su quelle pile
vote che riescono in Arno rasente le sponde, luno di
qua e laltro di l stavano cos divisati in aguatto e alla
176 Letteratura italiana Einaudi
posta: e questi animalacci cos fatti erano allora chiamati
da loro cuccubeoni.
[25] Guasparri, avendo il pensiero a quegli indiavola-
menti e stregherie, ne veniva adagio e sospettoso, tanto
che alla fine arriv alla coscia del ponte; il quale tosto
che lo Scheggia vide comparito, fece cenno con un fistio
sordo, di maniera che coloro a poco a poco rizzato quel
bastone gli entrarono sotto, alzandolo tuttavia suave-
mente: quando, su per lo ponte camminando, a Gua-
sparri, volgendo gli occhi, venne veduto quella cosa
contrafatta e spaventosa alzarse pian piano, onde fu da
tanta e cos fatta paura sopragiunto, che tutte le forze gli
mancarono a un tratto, salvo che egli grid fortemente:
Cristo, aiutami! [26] e rimase quasi immobile, guar-
dando quella maraviglia per trasecolato, che ne lultimo
erano cresciuti quanto mai potevano, e di qua luno e di
l laltro mettevano il ponte in mezzo, di sorte che a
Guasparri pareva che gli uscissero dArno, e giudicava-
gli maggiori che campanili; e cos stordito e pauroso
fuor dogni guisa umana, si credeva senza fallo avere
inanzi agli occhi il trentamila paia di diavoli. [27] E pa-
rendogli che a poco a poco se gli avvicinassero, temendo
non essere da loro inghiottito, gridando unaltra volta:
Cristo, aiutami! si messe a fuggire per la via che egli
fatto avea, n mai si volse indietro fino a tanto che egli
non fu arrivato a casa il Pilucca; [28] dove, picchiando a
pi potere, fece tanto che coloro stimatosi quello che
era gli apersono, aspettandolo a gloria: a i quali giunto,
per la paura e per la furia del correre, non poteva raccr
lalito n sprimer parola; e si lasci ire ansando in su una
panca, che non poteva pi.
[29] Lo Scheggia, ogni cosa avendo veduto, fuggito
Guasparri, pien dallegrezza corse a i compagni; e di fat-
to gli mand a casa Meino, per fornire il rimanere de
lopera e dare compimento alla beffa; ed egli di buon
passo se ne venne a casa il Pilucca, dove Guasparri, riau-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
177 Letteratura italiana Einaudi
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to il fiato e rassicurato un poco, era nella loggia andato-
sene e raccontava a coloro le maraviglie, e diceva le pi
strane e pazze cose che sudissero mai. [30] E coloro, fa-
cendosene beffe e uccellandolo, lo facevano disperare:
quando lo Scheggia, fingendo duscire duna di quelle
camere da far suo agio, anche egli, ascoltando Guaspar-
ri, se ne rideva: di modo che, volesse il Cielo o no, tutti
affermavano che Guasparri gli tirava su, e gli voleva far
corrivi. [31] Pure colui, tremando tuttavia, giurava e af-
fermava che cos era, e che venissero a vederlo; in guisa
tale che coloro si missero seco in via, sempre dicendo, o
che egli aveva le travergole, o che gli voleva far Calan-
drini o Grassi legnaioli; tanto che al ponte alla Carraia
giunsero, dove, guardato e riguardato, non seppero mai
veder niente.
[32] A Guasparri non pareva possibile, e pur mo-
strando il loco, diceva come gli erano usciti dArno, e
che eglin sopravanzavano le sponde di cento braccia,
tutte e due bianchi come la neve, e che gli avevan sola-
mente gli occhi e tutto il viso di fuoco, mille volte pi
brutti e terribili che lorco, la tregenda e la versiera. [33]
Ma Zoroastro dettogli mezza villania, che ancora non
voleva restar di burlargli, e che con gli amici non susa-
vano quei termini, e cos gli altri mostratisi adiraticci, se
ne andarono daccordo a fornir la partita de i germini,
facendosi beffe di colui con dire che egli aveva beuto
troppo. [34] Guasparri, sendo di l da mezzo il ponte, e
veduto la guardia (ch gi si era levato la luna), che di
borgo San Friano venendo, se ne andava per lo Fondac-
cio, lasci coloro volentieri, e quasi correndo se ne ven-
ne verso il bargello, parendogli essere accompagnato e
sicuro, tanto che sospettar lo fece, e aspettllo e cercl-
lo, e non gli trovando arme, lo lasci ire pe i fatti suoi.
[35] Guasparri, gi presso a casa, andava pensando se
gli era bene a dormir solo; e fu tutto tentato per andar di
l dArno a starse con un suo parente: pur poi, parutogli
178 Letteratura italiana Einaudi
tardi, se ne and a casa, e tolto la chiave, aperse luscio,
ed entr dentro. Lusanza di Guasparri per quella sta-
gione era di dormire in una camera terrena, che rispon-
deva in su la loggia; la quale Meino con un compagno,
per commessione di Zoroastro e dello Scheggia, aveva
tutta quanta intorno intorno parata a nero con certe tele
accattate dalla compagnia dellOsso, che servono per la
Settimana Santa e per lo giorno de Morti, dipinte di
croci, dossa e di capi di morti; [36] e a una cornice che
la girava dintorno intorno appiccato avevano pi di
mille candeline di cera bianca e tutte quante accese, tal
che rendevano un splendore maraviglioso; e nel mezzo
dello spazzo sopra un tappeto diaceva uno, vestito di
bianco a uso di battuto, acconcio le mani e piedi in gui-
sa che pareva un morto, pieno ogni cosa dintorno di
fiori e di foglie di melagrancio; da capo aveva un Croci-
fisso e dua candele benedette accese, da poterlo segnare,
chi avesse voluto. [37] Cos divisato la camera nella fog-
gia che inteso avete, lavevano riserrata, che niente si pa-
reva. Guasparri, poi che fu dentro, secondo la sua con-
suetudine se ne and al buio alla camera per andarsene
al letto, il quale poi il giorno gli rifaceva sempre una sua
vicina; ma come, volgendo la campanella, egli aperse
luscio, subito vide lo splendore, il parato de lossa e il
morto disteso in terra: [38] onde da tanta paura, da tan-
ta maraviglia, da tanto dolore fu preso, percosso e avvin-
to, che subito sbalordito cadde in su la soglia de luscio
ginocchioni, che non potette per la paura e per la doglia
formar parola. [39] Ma poi, fatto della necessit fortezza
o disperazione, rittosi in un tratto e tirato a s luscio di
camera, forse temendo che quel morto non gli corresse
dietro, susc fuor di casa prestamente, e la dette a gam-
be, e per la fretta non si ricord di serrar la porta da via;
e correndo a pi potere, non aveva altro nella mente,
che morti, spiriti, diavoli, fantasime e streghe, millanni
parendogli di trovare i compagni; tal che, passando il
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179 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
ponte alla Carraia, non si avvidde de i cuccubeoni, che
prima gli avevan dato tanto terrore e spavento: cos la
maggior paura caccia sempre le minore. [40] Meino e i
compagni, che stavano alla posta, tosto che Guasparri fu
fuor delluscio, come era stato loro ordinato, spacciata-
mente spegnendo tutti i lumicini, e sparecchiando e rav-
viluppando le tele dipinte, il tappeto, il Crocifisso, le
candele e ognaltra cosa rabballinarono e portaron via, e
rassettarono al luogo loro; e racconcio la camera, come
lera prima n pi n meno, e serratola, se ne adarono a
casa Meino. [41] Ma perch Guasparri aveva lasciato
aperto, acci che egli non fussi stato rubbato, uno di lo-
ro, che non pareva suo fatto, stava a far la guardia, ben-
ch gli era in su una otta che non si trovava fuori nessu-
no. I ntanto Guasparri era correndo arrivato a casa il
Pilucca, e battendo la porta, non restava di gridare;
quando coloro, che lo aspettavano, corsono l con gran
fretta e allegrezza per aprirgli; [42] e, sentito la voce, il
Pilucca prima disse:
Che saranno, Guasparri, delle tue girandole?
A cui rispose Guasparri gridando:
Ohim! Pilucca e voi, fratelli miei, misericordia,
aiuto! Io ho pieno la casa tutta di spiriti e di morti, e cre-
do che vi sia drento tutto il Limbo e tutto lInferno ; e
raccont loro ci che egli aveva veduto.
[43] Zoroastro e i compagni, fingendo di non gli cre-
dere, e dicendo che egli gli voleva uccellare di nuovo, gli
facevano rinnegar la fede; perci che egli, pur narrando
le maraviglie, affermando e giurando, gli pregava che
dovessero e volessero andar seco di grazia e per lamor
di Dio, per chiarirsi prima, e poi per consigliarlo e aiu-
tarlo in cos fatto bisogno e in tanta necessit. [44] E
questo dicendo, tuttavia tremava di sorte che Zoroastro
disse:
Guasparri mio, egli non dubbio alcuno, cos ben ti
saviene il fingere, che se noi non fussimo pur dianzi sta-
180 Letteratura italiana Einaudi
ti dileggiati e burlati da te, che ora noi non ti credessi-
mo; ma tu puoi fare e dire a tua posta, che noi non semo
pi per crederti, e non ci befferai altrimenti .
[45] Guasparri, giurando al corpo e al sangue che
non gli beffava, ma che diceva da miglior senno che egli
avesse, si disperava, promettendo che, se non era cos la
verit, che voleva che gli cavassino gli occhi di testa. A
cui rispondendo Zoroastro disse:
Se tu hai, come tu mostri, cos voglia che noi ven-
ghiamo e vediamo, il cavarti gli occhi non serve a nulla;
ma dammi pegno cotesto rubino che tu hai in dito; [46]
e se la cosa sta come tu dii, e che in camera tua sieno i
lumicini, i morti e le maraviglie, te lo voglio rendere gra-
ziosamente; ma se glinterviene come del ponte alla Car-
raia, che non vi sia niente, e come io credo, che sinten-
da per noi guadagnato, e a te si rimanghino gli occhi,
che son troppo cara merce, e da non arristiarla cos per
poco .
[47] Subito, di allegrezza pieno, rispose Guasparri:
Io son contento : e dettegli lanello; il quale gli era
capitato nelle mani per conto della eredit, che se ne sa-
rebbeno auti dalla sera alla mattina venticinque o trenta
ducati doro; e cos restati daccordo, il Pilucca, lo
Scheggia, il Monaco e Zoroastro si missero in via, e tan-
to camminarono che in borgo Stella giunsero; e a prima
giunta lo Scheggia, vedendo luscio aperto, disse:
[48] Io ho paura, Guasparri, che non ti sia stato v-
to la casa.
Ohim! rispose Guasparri , io non mavviddi,
per la fretta e la paura, di serrare! E cos, temendo di
andare inanzi, dise al Pilucca: Va l tu .
Ma perch vi era buio, il Monaco, che aveva una lan-
terna accesa, fattosi inanzi disse:
Venitene, via .
[49] Guasparri, tremando e quasi sbigottito, si era
messo dreto a tutti, come colui che aveva di che temere;
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181 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
ma poi che giunti furono a luscio della camera, il Mona-
co, per parere, stava su le continenze; onde Zoroastro,
fattosi inanzi, girando la campanella, aperse in un tratto,
e la camera trov e vidde starsi nel modo usato; s che di
fatto ridendo disse:
[50] Lanello guadagnato per noi. Guasparri,
guarda qua: dove sono i lumicini, i morti, gli spiriti e i
diavoli che tu dicevi? Io credetti avere a vedere la bocca
de lInferno .
Se mai uomo alcuno per alcuna nuova e maravigliosa
cosa rest per tempo alcuno attonito e stupefatto, Gua-
sparri fu desso. [51] Egli non sapeva bene in qual mon-
do si fussi, e se quelle cose che egli aveva vedute, se egli
le aveva vedute, o se gli era tropo paruto vedere, o se
egli pure le aveva sognate; e sbalordito e quasi affatto
fuor di s, riguardava pur la camera, e veggendo ogni
cosa al suo luogo, non aveva ardire di favellare n di ri-
spondere a coloro, che tuttavia lo proverbiavano con di-
re:
[52] Ben dicevamo noi che tu ti burlavi, e che tu fa-
cevi per farcene unaltra, e poi domane vantartene e uc-
cellarci per tutto Firenze? Ma in fe di Dio, che luccella-
to rimarrai tu, se gi non falso questo anello .
E con questi s fatti e con altri rimbrotti, non restava-
no di riprenderlo e di garrirlo, tanto che egli umilmente
pregandogli che fussero contenti di tacere, rimase di ri-
comprare il rubino venticinque ducati, a fin che questo
fatto non si spargesse per la citt; [53] la qual cosa fuor
di modo piacque a i compagni; e perch egli aveva paura
a dormir solo, lo Scheggia rimase albergo seco, il Mona-
co se nand a casa sua, e Zoroastro col Pilucca. La not-
te il misero Guasparri non potette mai chiuder occhi,
ch sempre gli pareva di vedere le passate cose; e fra s
ripensandovi, non se ne poteva dar pace; intanto che, fa-
cendosi d chiaro, si lev senza aver mai dormito punto,
e cos lo Scheggia, il quale nand a casa il Pilucca; e
182 Letteratura italiana Einaudi
Guasparri a procacciar i danari per riscuoter lanello,
acci che la cosa andasse segreta. [54] Il che fatto, e ri-
scosso da Zoroastro il suo rubino, se ne and in villa a
starse con la moglie, per veder se gli potesse uscire quel-
la fantasia della testa; dove il terzo giorno ammal di
sorte, che egli se ne fu per morire: pur poi guarito, tutto
si scortic, come se egli avesse beuto veleno; tanto fu fie-
ra e possente la paura. Zoroastro, lo Scheggia e i compa-
gni, auto que venticinque fiorini, attesero quanto ei du-
rarono, a sguazzare e far la miglior vita del mondo,
ridendosi e burlandosi di quel buono omiciatto di Gua-
sparri. [55] Il quale, tornato lOgni Santi in Firenze, per
star con lanimo riposato e senza sospetto vend la casa
si borgo Stella, e comperonne unaltra da San Pier Mag-
giore, dove coloro in capo di pochi mesi gli fecero unal-
tra burla, della quale avedutosi per opera di quel suo pa-
rente, e da lui ammaestrato, per li suoi consigli
finalmente lasci in tutto e per tutto la pratica loro.
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183 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
NOVELLA SETTIMA
[1] Taddeo pedagogo, innamorato duna fanciulla nobile, le
manda una lettera damore, la quale venuta in mano al fratello,
lo fa, rispondendogli in nome della sirocchia, venire in casa di
notte; dove, con lo aiuto di certi suoi compagni, gli fa una bef-
fa, di maniera che il pedante quasi morto e vituperato affatto si
fugg di Firenze.
[2] La favola di Fileno, tutta giocosa e lieta, in buona
parte aveva raddolcito lamaritudine e lasprezza della
passata, e confortato il cuore e lanimo, e rasserenato gli
occhi e l viso cos delle donne come dei giovani. Per la
qual cosa Lidia, che doppo Fileno sedeva, cos, donesto
rossore avendo alquanto tinto le guance, con bella e leg-
giadra maniera a favellare incominci:
[3] Dilettose donne e onoratissimi giovani, la beffa
che tu fatta a Guasparri del Calandra mha fatto tornare
a memoria una novella, anzi forse una storia, che io sen-
tii gi raccontare al mio avolo, poco inanzi che di questa
vita si partisse; che ben sapete quanto meglio che altro
uomo egli le raccontasse; nella quale una beffe simil-
mente fatta a un pedagogo si contiene: la quale, se io
non minganno, credo che vabbia a dar materia da ralle-
grarvi e da ridere quanto la passata e pi . E seguit di-
cendo:
[4] In casa Tommaso Alberighi, uomo tra gli altri
cittadini fiorentini ne i tempi suoi dottima fama e valo-
roso, stette gi un pedagogo che si menava dreto a inse-
gnava a due sua figlioletti, il cui nome fu Taddeo, dun
castelluzzo del Valdarno nostro di sopra, il quale, non
ostante lo essere villano, dappoco, povero, senza virt e
brutto, sinnamor duna nobile e bellissima fanciulla,
vicina alla casa del suo padrone, per nome chiamata
Fiammetta. [5] E passando egli per questa cagione assai
sovente da luscio di lei, cominci a vagheggiarla fiera-
184 Letteratura italiana Einaudi
mente, come se fusse stato qualche bel cero, o figliolo
dalcun ricco o gran cittadino; di che la fanciulla onestis-
sima non saccorgendo, non teneva cura; onde il peda-
gogo si disperava, non gli parendo in questo suo amore
aver altra malagevolezza, che di farlo sapere alla sua in-
namorata, stimandosi tanto grazioso e leggiadro, che to-
sto che la fanciulla sapesse essere amata da lui, fusse for-
zata senza fallo niuno a compiacergli. [6] Onde egli
deliber fare una lettera amatoria, e mandargliela; e cos
avendola scritta, appost una domenica mattina per
tempo che la serva tornasse dalla messa, e chiamatala da
parte, con lusinghe e con promesse la preg che per sua
parte alla fanciulla presentasse la lettera. La fante, che
che si fusse la cagione, forse odiando il pedante, non alla
Fiammetta, ma a un suo fratello la pose in mano. [7] Il
fratello, che era ardito e superbo, come colui che era
giovane, nobile e ricco, poi che ebbe la lettera, e ogni
cosa ben compreso, cominci a bestemmiare che pareva
arrabbiato, e voleva andare allora allora a romper le
braccia al pedagogo; ma in quella giunse un suo amico
carissimo, che Lamberto aveva nome: il quale, veggen-
dolo cos in collora, disse:
[8] Agolante (ch cos si chiamava il giovine), e que-
sto? Che vuol dire tanta ira?
A cui Agolante rispose, non restando di maladire:
Se tu sapessi quel che mha fatto un pedante poltro-
ne!
E che tha fatto? rispose Lamberto.
[9] stato tanto sfacciato e prosuntuoso soggiun-
se Agolante che gli bastato lanimo di scrivere una
lettera damore e mandarla alla mia sorella; e quivi, co-
me se egli fusse signore, se le ffera e prffera, e indi la
prega che abbia di lui piet e compassione, trovando
modo tosto di consolarlo. Ecco la lettera: leggi, se tu
udisti mai la pi disonesta pedanteria. Io fo voto a Dio
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
185 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
che, prima che vada sotto il sole, dargli tante mazzate,
che io me lo lasci a i piedi.
[10] Deh, no disse Lamberto ; se io fussi in te,
me ne governerei per altra via; perci che, correndo tu a
furia a dargli del bastone, i colpi non si danno a patti, s
che agevolmente potresti rompergli la testa e ammazzar-
lo; e che arest fatto poi? Perduto la roba e la patria, e
per chi? per un gaglioffo, sciagurato pedante fracido,
che non val la vita sua dua man di noccioli .
[11] Agolante, ancor che egli fusse pien di stizza e su-
perbissimo di natura, conoscendo le colui parole verissi-
me, rispose:
Io son contento di fare a tuo modo; ma dimmi, che
modo terresti tu, che senza alcun pericolo questo asino
indiscreto si gastigasse?
Allora disse Lamberto:
La prima cosa, senza che la fanciulla ne intendesse
altro, ma bene in nome di lei, darei risposta a questa let-
tera, e per la fante medesima la manderei al pedaggio,
dandogli qualche poco di speranza: chi son certo ri-
sponder. [12] Cos di lettera in lettera opererei, facen-
do tu le vista dessere andato di fuori, che la Fiammetta
gli darebbe la posta, e lo farebbe venire qui in casa; dove
in suo scambio troverebbe cosa, di che tutto il tempo
della vita sua ne sarebbe dolente: faregli una beffa, che
se ne direbbe per tutta Italia!
[13] Piacque tanto il parlar di Lamberto ad Agolante,
che di fatto rimesse in lui ogni cosa, e lo preg calda-
mente che pensasse di fargli qualche giarda rilevata, di
che se navesse a dir millanni; e chiamata la serva, gli
disse che facesse tutte quelle cose che da Lamberto im-
poste le fussero, senza mancar di nulla. Lamberto, letto
e riletto la lettera, e molto consideratola, laltra mattina
le fece la risposta; e datala alla fante, le commesse che
per parte della Fiammetta al pedagogo la portasse: [14]
il quale ne fece grandissima festa, ma molto maggior as-
186 Letteratura italiana Einaudi
sai, poi che letta lebbe, udendo le dolci parole della sua
innamorata, e non meno esser da lei amato, che egli
amasse lei, e che quando ella potesse, gli ne mostrerebbe
tal segno che egli ne resterebbe certissimo; ma lo prega-
va bene che per onor di lei fusse contento di non passar-
le troppo da casa, n anche fermarsi troppo a mirarla; e
se ella non ci facesse buona cera, e qualche volta facesse
sembiante di non lo vedere, non si maravigliasse, perci
che tutto faceva a buon fine. [15] Le qual cose tutte
Lamberto artatamente scrisse, acci che il pedante non
sospettasse se ella nel passare non lo guardasse, come in-
tervenir gli soleva. Taddeo non stette molto che unaltra
lettera le riscrisse, alla quale in nome della fanciulla da
Lamberto gli fu risposto, sempre dandogli speranza
grandissima; e cos tanto, scrivendo e rispondendo,
and la bisogna, che Taddeo, non potendo pi stare alle
mosse, quasi in modo di comandarle la richiese che tro-
var desse modo oggimai di farlo lieto. [16] L onde a
Lamberto parendo tempo dutimar la cosa, gli rispose, e
disse che prima non poteva che dellaltra settimana, do-
vendo Agolante suo fratello cavalcare fuor di Firenze
per dimorare parecchi giorni e settimane; e che allora le
ne far intendere, s che pi lettere non accadevano.
[17] Quanta allegrezza il pedagogo avesse, non da
domandare: egli non credeva mai tanto vivere, che tener
potesse stretta nelle braccia la sua bellissima Fiammetta;
e non potendosi tenere, passava spesso da luscio suo, e
alcuna volta, veggendola alla finestra e considerando
che ella non lo guardava, come colei che non lo conosce-
va, diceva fra esso: [18] Oh come saggia e astuta co-
stei! Come sa ella fingere! Per Dio, che ella una fem-
mina che ne vanno poche per dozzina! Oh che aria
angelica! che viso di cherubino! che carni dalabastro!
Le Lamie, le Driade e le Nape non hanno a far niente
seco . E tanta fu la smania che egli ne menava, che
compose in sua lode ballate e sonetti (la pi ribalda cosa
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
187 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
non si vidde mai) e uno capitolo, che non arebbono
mangiato i cani; e ogni cosa mandato alla Fiammetta
aveva; di che i giovani facevano le maggior risa del mon-
do. [19] Ma Lamberto, per fornire la trama, e dare al
pedante frutte di frate Alberigo, ragionato ogni cosa che
di fare intendeva con Agolante, una mattina per tempo
gli fece far veduta dandarsene in villa, dove egli aveva le
sue possessioni, nella Valdelsa; e fu veduto da tutto il vi-
cinato cavalcare, e per buona sorte lo vidde anche Tad-
deo. Pensate dunque quanta letizia egli avesse; e cos
poco appresso venne la serva, e per ordine di Lamberto
in nome della Fiammetta gli present una letterina. [20]
Ilpedagogo, tutto ridente e allegro, la prese, e ghignan-
do si part da lei; e inteso che egli ebbe il tutto, fu il pi
contento uomo che fusse gi mai. Il tenore della lettera
era questo, che la sera in su le quattro ore (sendo l vici-
no a Carnovale) egli venisse intorno a luscio; e guardato
che persona non lo vedesse, facesse cenno con batter tre
volte le mani insieme; ed ella, stando alla posta, gli apri-
rebbe, dove infino quasi al giorno si trastullerebbono; e
poscia andar se ne potrebbe.
[21] Venne intanto la sera, e Taddeo fece intendere a
casa come cenare e dormire gli conveniva la notte con
un suo zio, che era prete in San Pier Gattolini; e il ga-
glioffo se nand a spasso infino a tre ore, e dipoi solo al-
la taverna; e cenato che egli ebbe a grandagio savvi
verso la casa della Fiammetta; e come gli sent le quattro
ore, accostatosi a luscio pian piano, fece il cenno, che
niuno passava per la strada. [22] La fante, che stava in
orecchi, come aveva ordinato Lamberto, gli aperse di
fatto, e lo messe drento pianamente, e gli disse:
Maestro, la Fiammetta ancora con la madre al fuo-
co; e per mentre che ella bada a irsene al letto, che pu
stare oggimai poco, voi entrerrete in questa camera qua
terrena, e aspetterete; dove, tosto che ella possa, verr a
188 Letteratura italiana Einaudi
consolarvi; e quivi starete poi parecchie ore a scherzare
.
[23] Piacque la cosa molto al pedagogo, e avvissele
dreto: la serva, arrivata alla camera, aperse; s che tra-
menduni entrati dentro, ella gli disse:
Taddeo, voi vedete, questa una bella e ben fornita
camera, e pur oggi mettemmo in su questo letto un paio
di lenzuola bianche: voi potete spogliarvi e aspettarcela
drento .
[24] Lod sommamente Taddeo il cosiglio della fan-
te, fra s dicendo:
Per santa Maria, che costei una pratica femmina:
dove posso io meglio aspettarla, che qui entro?
E dette della mano in sul letto, e a colei voltosi, disse:
Lo aviso tuo mi piace .
E fattosi tirar le calze e lasciarse la lucerna, le dette li-
cenzia; la quale gli disse ne lultimo:
Vedete, maestro, di questa camera non ha la chiave
se non la fanciulla, e perci niuno, come io ar serrato,
ci potr pi entrare: s che il primo che aprir, sar la vo-
stra Fiammetta. Uh, uh, in buon ora, io ve la raccoman-
do; guardate a non la disertare: ah ah, ella pur giovani-
na e tenerina .
[25] E in questo dire serr luscio e tir via, tra s di-
cendo: Al cul larai .
Il pedagogo, ridendo, aveva gi pensata la risposta,
quando si vide restato solo; e fornitosi di spogliare, pi
allegro che mai fusse alla sua vita, se ne ricover nel let-
to, aspettando con grandissimo desiderio la sua Fiam-
metta, stimandosi daver la migliore e la pi gioconda
notte che egli avesse gi mai: ed egli ar la pi trista e la
pi dolorosa.
[26] La fante, tosto che luscio della camera ebbe ser-
rato, e dntrovi il pedagogo, che non se nera accorto, se
ne era andata in unaltra camera a mezza scala, dove era-
no Agolante, che la sera al tardi, lasciato il cavallo poco
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
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Antonfrancesco Grazzini - Lecene
lontano dalla citt in casa un suo amico, se ne era a pie-
de per unaltra porta tornato nascosamente in Firenze,
Lamberto e quattro altri lor compagni, che quivi cenato
avevano per far la beffa al pedagogo, dogni cosa ben
proveduti che faceva lor di mestieri: i quali, poi che dal-
la fante intesero il pedante essere entrato nel letto, fece-
ro maravigliosa festa, e alla serva dissero che se nandas-
se a dormire, non vi sendo pi di lei bisogno. [27] I
giovani, postisi a novellare e a ridere, badarono tanto
che sonarono le sette ore; le quali udite, Lamberto co-
minci a mettersi in assetto con i compagni. Il pedante,
veggendo penar tanto a venir la sua Fiammetta, comin-
ci anzich no a dubitare, non gi di beffa niuna, ma che
alla fanciulla non fusse intervenuto qualche strano acci-
dente; poi fra s diceva: [28] Ella tanto saggia e accu-
rata, che prima che a me ne venga, vorr sentire addor-
mentata la madre: questo certo la fa soprastare, acci
che con pi agio e con lanimo scarico ella si possa poi
una buona pezza dimorar meco . E stava in orecchi di
tal maniera, che ogni cosellina che egli sentiva, gli pare-
va che la Fiammetta fusse, che lo venisse a consolare.
[29] Lamberto, che gi sera messo in ordine, avendo
la chiave, con i compagni alla camera dove aspettava il
pedante se ne venne. Ed egli erano travestiti tutti con
vesti bianche da battuti, e quattro di loro avevano una
scorreggia di sovatto in mano per uno, e gli altri due,
dua torce accese. [30] Come Taddeo sent toccar
luscio, e conobbe il volger della chiave, tutto si rallegr,
a rizzssi in sul letto a sedere con le braccia aperte, pen-
sando che come ella fusse dentro, che ella se li gittasse al
collo; e aveva fatto disegno di darle un tratto la stretta,
prima che ella si fusse spogliata: tanto si sentiva tirare
dalla volunt e dal desiderio! [31] Ma come coloro vid-
de cos travestiti, fu da tanto dolore e da cos fatto spa-
vento sopragiunto, che egli non seppe in su quel subito
pigliare schermo niuno, e quasi stupido e immobile era
190 Letteratura italiana Einaudi
venuto. Coloro, entrati drento e riserrato luscio, prese-
ro in un tratto la sargia e il coltrone, e scagliaronlo a
mezza la camera; e tutti quattro quei delle scorregge co-
mincorono, tacendo sempre, a battere e frustare il mise-
ro pedagogo, quanto uscire poteva loro delle braccia.
[32] Taddeo, ci veggendo, e molto pi sentendo, gri-
dava piangendo e chiedendo perdono e misericordia, e
si raccomandava a pi potere; e coloro attendevano a
chioccarlo, chi di qua, chi di l, chi di sopra e chi di sot-
to, in modo che il meschinello gi tutto livido, veggendo
che il pregare e il raccomandarsi non giovava, si scagli
del letto: [33] ed eglino sempre ditrogli battendolo;
tanto che li dierono forse quattromila scorreggiate, di
sorte che egli era tutto rotto e tutto sangue; e per lo af-
fanno del gridare e per il duolo delle battiture era per
modo fiacco e macero, che egli stava in terra come mor-
to; tal che io non credo che altruomo fusse gi mai s
malconcio. [34] Onde coloro, non gi sazi ma stanchi in
parte, restarono di flagellarlo; e senza aver fatto gi mai
parola, legatogli le mani e i piedi con due di quelle scor-
regge, a fine che da se stesso non si ammazzasse o si fa-
cesse qualche male scherzo, lo lasciarono legato in mez-
zo alla camera, e tolti tutti i panni suoi, per infino la
camicia e le pianelle, se ne tornarono nella prima came-
ra, dove gongolando facevano le maggiori e le pi grasse
risa che fusser mai state sentite, dicendo ognuno Io so
che gli dover uscire il ruzzo e lo amore della testa .
[35] Erano tra costoro il Piloto e l Tribolo, i pi face-
ti e i maggior maestri di far burle e natte che si trovasse-
ro allora in Firenze: i quali di stucco, di stoppa e di cen-
ci avevan composto un uomo che alla statura, e al viso
massimamente, somigliava tutto il pedante, avendo di
nuovo fatto una maschera a posta; il quale vestito poi
minutamente di tutti i panni suoi, tutto miniato pareva
lui. [36] I giovani, mentre che gli aspettavano il tempo
per dar finimento alla beffe, si messero a bere e a cian-
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191 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
ciare. Il pedagogo, poi che solo fu restato cos lacero e
percosso, malediva divotamente il suo amore, la Fiam-
metta e il giorno che nacque, senza speranza davere mai
a uscire delle mani a coloro, se non morto; ch ben per
fermo teneva che il fratello di lei, saputo avendolo, ordi-
nato avesse ogni cosa; e doloroso, non potendo quindi
muoversi, faceva il pi dirotto cordoglio che si udisse
gi mai, aspettando dora in ora la morte. [37] Ma poi
che le dodici ore sonate furono, e che un servitore di
Lamberto port loro novelle come la guardia sera ripo-
sta, cos come essi erano vestiti da battuti, con quel pe-
dante contrafatto, se ne andarono in camera dove aveva-
no lasciato Taddeo: il quale fatto rizzare, scioltogli
prima avendo le mani e i piedi, cos ignudo e sanguino-
so, legatogli una benda a gli occhi, menarono fuori di
casa. [38] Il poverello per la paura no ardiva di favellare,
avendo veduto loro a canto i pugnali, temendo non di
meno che coloro lo guidassero ad Arno; i quali, giunti
che furono in Mercato Vecchio, quel pedagogo contra-
fatto messo in gogna alla colonna, e acconciaronlo in
guisa che di lontano un pochetto sembrava proprio vi-
vo; e una scritta gli attaccarono al collo, che diceva a let-
tere dappigionasi: PER AVER FALSATO LA SODDOMIA;
[39] e di fatto sciolsero gli occhi a Taddeo, accennando-
lo che guardasse se si riconoscesse. Il che mirando il pe-
dagogo, ebbe tanto dispiacere e dolore, che egli fu per
gridare: pur si ritenne, temendo di peggio, e gli parve
maravigliosa cosa di vedere uno viso che tanto somi-
gliasse il suo; ma il cappello, il saione, il gabbano, le cal-
ze e le pianelle conobbe egli esser le sue proprie. [40]
Pensate dunque voi che cuore fusse il suo, stimando, to-
sto che si faceva giorno, desser riconosciuto dalla gente
e che lo abbia a intendere e vedere il padrone; ma colo-
ro, tosto rilegatogli la benda al viso, perci che lalba co-
minciava a biancheggiare, lo menarono via, e lo condus-
sero nel chiasso di messer Bivigliano, in casa un di loro;
192 Letteratura italiana Einaudi
e legatogli di nuovo le mani e i piedi, lo messero in una
stalla, ed essi se ne andarono a riposare.
[41] Vennene intanto il giorno chiaro, onde dalle per-
sone che prima andavano alle botteghe fu veduto il pe-
dagogo, s che si faceva ognuno ridendo maraviglia
grande; ma non sapendo come, n perch, n da chi qui-
vi fusse stato messo, non si ardiva persona a toccarlo, re-
stando molti dappresso ingannati, che di discosto lo
avevano stimato vivo; ma non stette guari che vi capita-
rono alcuni che lo raffigurarono, e riconobbero i panni.
[42] Onde si sparse la voce per Firenze, tanto che in me-
no di due ore vi si ragunarono pi di duemila persone, e
non rimase n scolar n maestro n studiante n dottore,
che veder non lo volesse; parendo a ciascuno il pi nuo-
vo e il pi strano caso che mai stato sentito si fusse; e
tutti coloro che avevano sua conoscenza, vedute le spo-
glie di Taddeo indosso a quel contrafatto, facevano del
pedante cattiva giustificanza. [43] Vennevi fra gli altri
Tommaso suo padrone, e gnene increbbe fuor di modo;
n per tanto od egli od altri, suoi amici o parenti, si ardi-
rono a farlo levare, non si potendo immaginare da chi
quivi n a che fine fusse stato posto; ma dintrnogli di-
ceva ognuno la sua; e tra gli altri il Piloto e l Tribolo,
Lamberto e Agolante, che rivestiti si erano e l venuti,
dicevano, mescolati tra la gente, le pi belle cose e le pi
nuove favole del mondo; tal che loro appresso facevono
ridere ognuno, burlando e motteggiando sopra gli altri
pedagoghi.
[44] Ma cos stando, fu la cosa rapportata agli Otto;
onde tosto ragunati, fecero andare un bando scurissimo
contro a chi avesse posto il pedagogo in gogna, e subito
da i famigli loro lo fecero levare e portarlo via. I l che
Lamberto e i compagni udito e veduto, se ne tornarono
al chiasso di messer Bivigliano, e nella stalla trovarono il
pedante, che voltolandosi intorno sera tutto quanto per
lo freddo ricoperto nel letame; e sendosi rimesse le vesti
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
193 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
da battuti, lo fecero quindi uscire, avendogli prima tutti
di concordia pisciato in sul viso e per tutto il dosso. [45]
E il Piloto, avendo una torcia accesa in mano, gli ficc
fuoco nella barba e ne i capelli, che quasi tuto gli arse il
mostaccio e il capo, di maniera che le vesciche gli alzaro-
no nelle gote, per la testa e nel collo s fattamente, che lo
trasfigurarono in guisa, che non larebbe conosciuto sua
madre che lo fece; e pareva la pi strana bestia che fusse
mai stata veduta, e buon per lui che ebbe gli occhi fa-
sciati, ch egli accecava senza dubbio alcuno. [46] Ulti-
mamente a luscio condottolo, e dal viso levatagli la ben-
da, gli diede il Tasso una spinta, e mandllo fuori a
mezza la strada, tutto livido, sanguinoso e arsiccio; e in
un tempo serr la porta. Che direste voi, che allora era a
punto cominciato a piovere s rovinosamente che pareva
che nel cielo fusse il mare? [47] Per la qual cosa, trovan-
dosi Taddeo e veggendosi fuori, non conobbe in quello
stante in qual via si fusse; pure deliber di non fermarsi,
avenga che lacqua ne venisse giuso a barili; e fu intanto
la fortuna s piacevole alla beffa, che, rispetto al mal
tempo, niuno lo vidde uscire di casa; onde egli per buo-
na sorte in verso la piazza prese la strada; [48] ed essen-
do ignudo come Dio lo fece, pareva per s fatte le batti-
ture dipinto e vergato a rosso e pagonazzo; e come egli
giunse in sul canto, riconobbe tosto dove egli era; e di-
sperato, non sapendo in qual parte si rifuggire, non cu-
rando n acqua n altro, si diede a correre per lo mezzo
della piazza. [49] Le genti che nella loggia e sotto il tetto
de i Pisani erano fuggiti la pioggia, veggendo costui, lo
stimarono pazzo publico; e maggiormente che, volendo
con prestezza fuggire, prima che la piazza attraversato
avesse casc in terra, sdrucciolando per la fretta, pi di
dieci volte, e i maggiori e i pi vecchi cimbottoli che si
vedessero mai; e passando da il canto delli Antellesi, fu
veduto e considerato da presso, ma non fu gi conosciu-
to da nissuno; [50] e cos correndo tuttavia, arriv in
194 Letteratura italiana Einaudi
San Martino, dove i fattori se gli avviarono gridando
dreto: Al pazzo, al pazzo! Para, para! Piglia, piglia! ,
e gittando fuori delle botteghe camati e cofani, tentava-
no darrestargli il corso e di ritenerlo: e vi so dire che gli
giov il piovere, perch i fattori e i fanciulli larebbono
morto. [51] Ma poi che egli fu giunto alla strada mae-
stra, si mise a correre verso San Pier Maggiore, sempre
da lacqua e dalle grida accompagnato; e tanto corse fi-
nalmente, che egli usc fuori della porta alla Croce; e
inanzi che egli restasse o si fermasse gi mai, fu veduto
passare il Ponte a Sieve, lasciando di risa e di maraviglia
pieno ovunque egli passava; ma da indi in l non si sep-
pe gi mai quello che se ne avvenisse. [52] Agolante e
Lamberto, poscia che fu spiovuto, se ne andorono in Pa-
lagio, e a un zio de luno e a un parente de laltro, che
per buona ventura erano degli Otto, fattosi da capo,
ogni cosa particularmente del pedagogo raccontarano; e
per fede della verit mostrarono loro quattro lettere di
sua mano. Onde coloro, parlatone co i compagni dentro
lUffizio, doppo lavergli sgridato e ripresi, gli licenzia-
rono dal Magistrato; ed essi lietissimi per Firenze la bef-
fa raccontando interamente, facevano ridere ognuno
che gli ascoltava.
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
195 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
NOVELLA OTTAVA
[1] Un prete di contado sinnamora duna fanciulla nobile sua
populana; la quale da lui sollecitata, non volendo far la voglia
sua, lo dice a i fratelli; i quali gli fanno una beffa nella quale, fra
gli altri danni, gli rubano danari e altro; di poi lo lasciano lega-
to per li granelli a uno arcipresso; egli astutamente dogni cosa
si libera, e dalla gente tenuto migliore che prima.
[2] Silvano, che attentamente la novella di Lidia
ascoltato avea, della quale sommo piacere e diletto ave-
va preso la brigata, e risone molte volte e molte, senten-
dola esser fornita, cominci quasi ridendo e disse:
[3] Che direte voi, delicata donne e voi altri, che la
favola chio ho pensato di raccontarvi somiglia tanto alla
passata, chio sono stato per lasciarla indietro e narrar-
vene unaltra? E lo farei certamente, se non che il fine
differentissimo, e per ci di raccontarlavi intendo a ogni
modo: e udirete come un buon prete seppe con astuzia e
sagacit una manifesta vergogna e gravoso danno, non
pure schifare, ma rivolgerlesi in onore e in utilit . E se-
guit:
[4] Dovete dunque sapere che in Firenze furono gi
due fratelli di casa nobile e antica, il nome de i quali e
cos il casato per lo migliore si tace. Costoro sendo, col-
pa della malvagia fortuna, poveri diventati, con una so-
rella che sola aveano si ridussero a stare in contado a un
loro piccolo poderetto, ma s vicino alla citt, che senza
troppa fatica ogni sera vandavano, e ogni mattina ne ve-
nivano a lavorare, stando amenduni a lArte della Lana a
uno esercizio che si chiama rivedere; e quindi traendo
molto buon guadagno, reggevano la casa e la vita loro
assai commodamente. [5] Era la casa loro in villa presso
alla chiesa, nella quale ufiziava allora un certo prete, che
era stato prima pedagogo, poi birro e doppo frate, il pi
tristo e il maggior ipocrito che fusse gi mai. Il quale,
196 Letteratura italiana Einaudi
veggendo spesso quella fanciulla, che era bella e fresca,
si innamor di lei; e come de laltre aveva fatto sempre,
si pens godere fermamente di questo suo amore; [6] e
cos, sapendo lo stato suo e de i fratelli, con dare non so
che danari, corroppe una fante vecchia che gli avevano
in casa; la quale per sua parte aveva fatte di molte amba-
sciate alla fanciulla, la quale, ancor che fusse bisognosa,
non volle per mai por cura a sue novelle, e alla serva ri-
spondeva che gli facessi intendere che badasse a altro;
perci che mai da lei non era per aver cosa chegli desi-
derasse. [7] Messer lo prete, che sapeva che per lo pri-
mo colpo non cade lalbero, e che bisogna perseverare,
chi vuole aver vittoria, non restava di sollecitarla e mole-
starla, proferendogli Roma e toma, come se egli fusse
stato il primo prelato di cristianit. Per la qual cosa la
giovane deliber di dirlo a i fratelli: i quali intesolo,
avendo detto una grandissima villania alla serva, la com-
mendarono assai, e si disposero fra loro di darne al prete
s fatta gastigatoia che gli dovessi uscire per sempre lo
amore e il ruzzo della testa.
[8] E fecero alla fante intendere che dicesse al sere,
per parte della fanciulla, come ella era disposta a fare
ogni suo piacere, ma che non poteva prima che i fratelli
andassero alla fiera a Prato la sera della vigilia della
Donna, che veniva a essere ivi a quattro giorni, e allora
lo attenderebbe dalle due ore di notte in l. Quanto il
prete avesse caro limbasciata, non si potrebbe raccon-
tar gi mai. [9] Intanto i dua fratelli andavano ordinan-
do tutto quello che di fare intendevano per dare al prete
lofferta; e come fu venuto il giorno della vigilia della
Madonna, fecero veduta la mattina per tempo alla vici-
nanza di andare alla fiera; e poi la sera al tardi, mandate-
ne la sorella a casa una vedova lor parente, che era venu-
ta per starsi tutto il settembre in villa, non guari lontana
dalla loro possessione, eglino segretamente, come laria
fu fatta buia, se ne entrarono in casa, menato con esso
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
197 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
loro un compagno e grandissimo amico. [10] Il sere ave-
va atteso il giorno per cagione della festa a spazzare e
parare un pochetto la chiesa, e di poi mandato il cherico
a Firenze a casa un prete suo familiare, acci che la mat-
tina poi a laprire della porta ne venisse seco, per avere
in cotal d e per cotal festivit una messa pi, e in parte
per rimanere la notte solo, e con pi consolazione e agio
seguire il suo piacere, sicuro che il cherico non potesser
sturbarlo o avvederse di niente. [11] Ora, quando tem-
po gli parve, avendo prima molto ben cenato, travestito
si usc di casa per luscio de lorto; e per una vigna cala-
tosi, pervenne n un fossatello, e per quindi se ne and
alla casa della fanciulla; dove, secondo lordine picchia-
to pianamente luscio, vide cos al barlume farse il minor
fratello alla finestra; il quale, non avendo ancor barba,
sera messo un fazzoletto al collo con una rete in capo di
quelle della sirocchia, cotal che proprio pareva lei; e ghi-
gnando un pochetto si lev tosto, come se egli andassi
per aprirgli; e venutone a luscio, cos al buio ne aperse
la met.
[12] Il sere, non temendo di cosa del mondo, pensan-
dosi i fratelli essere a Prato, subito entr dentro, e colui
prestamente serr luscio; e perch in terreno non era
lume, credendolo il prete fermamente la fanciulla, di fat-
to gli volle gittare le braccia al collo per abbracciarla e
baciarla; ma il giovane gli dette una spinta s piacevole,
che il domine se nand per terra disteso quanto egli era
lungo. Per la qual cosa gridando:
[13] Ohim vita mia, che fai tu? Che vuol dir que-
sto? , sent aprir luscio della camera terrena, e viddene
uscire laltro fratello e il compagno con un candellieri in
man per uno. Allo arrivo de quali, se gli fu dolente e
maraviglioso non da domandare, e maggiormente veg-
gendo che la fanciulla era diventata mastio; e conobbe
subitamente quelli essere i fratelli, onde si tenne morto:
al quale il maggiore a prima giunta disse la maggiore e la
198 Letteratura italiana Einaudi
pi rilevata villania, che si dicesse mai a niuno reo uo-
mo, svergognandolo e vituperandolo a pi potere.
[14] Il misero prete non faceva altro che domandar
perdono e mercede, raccomandandosi, e offerendosi a
far tutta quella penitenzia che piaceva loro. Ma il fratel-
lo minore, levatosi in collera, avendo una spada ignuda
in mano, cos altamente e con viso turbatissimo li disse:
[15] Io non so chi mi tiene chio non vi passi fuor
fuori. Ecco bella costumanza dottimo religioso! Questi
sono gli ammaestramenti e i ricordi buoni che voi date
alle anime che sono alla vostra custodia? A questo mo-
do, in questa foggia si vengono a visitare le sue popula-
ne? Non vi vergognate, pretaccio vituperoso, venire in
casa gli uomini da bene e svergognar le loro famiglie e
ingannare le semplice fanciulle? Ben vi credeste aver
questa notte favorevole e propizia alle vostre disoneste
voglie de libidinosi pensieri, ma in cambio di far nozze,
voi vi troverete a un mortorio .
[16] E detto questo, gli comand, se non voleva che
gli cacciasse quella spada ne fianchi, che si spogliasse.
L onde il prete, tristo e doloroso, tremando cominci a
cavarsi la gabbanella, e poi le calze, e di mano in mano
fino alla camicia. Allora il maggior fratello, presolo di
peso, lo distese rovescio sopra una tavola; e a guisa di
quelli che si hanno a castrare o a cavare la pietra, lo lega-
rono con funi strettissimamente; [17] e preso la sua
scarsella e una lanterna, quivi lo lasciarono solo al buio e
andaronse verso la chiesa; alla quale giunti, tolto la chia-
ve, apersero prestamente la porta del chiostro, e indi se
ne andarono in casa il prete; e con la lanterna facendo
lume, tutti gli usci, tutte le casse e i cassoni gli apersono.
[18] E tra le altre cose pi care, in una cassettina trova-
rono un sacchetto dove erano dugento fiorini doro che
ardevano, e in un altro sacchettino forse da otto o dieci
di moneta; i quali tutti tolsero, e certi panni lini e lani di
pi valuta. Il resto delle masserizie avvilupparono e git-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
199 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
tarono sottosopra, aprendo le coltrice e i piumacci; e
tutte le stoviglie ruppero, e cos i bicchieri: versando
aceto, olio, sale e farina, fecero il maggior guazzabuglio
del mondo, tutte le stanze di mano in mano mettendo a
saccomanno. [19] E di poi tutti tre carichi de denari e
de panni pi fini e delle masserizie pi care, riserrato
ogni cosa, se ne tornarono a casa; dove trovarono il sere
pieno di dolore e di paura, pensandosi non avere a usci-
re dalle lor mani con la vita. Ma, veggendoli tornar cari-
chi de denari e della roba sua, fu da tanta e da cos fatta
doglia sopragiunto, che egli fu per morire, e poi per gri-
dare; pure si ritenne, temendo di peggio. [20] I tre com-
pagni, poi che scarichi furono, e i danari riposti in luogo
sicuro, dislegarono il prete, e cos nudo lo cavarono di
casa, il quale mal volentieri si moveva, dubitando di
qualche cattivo scherzo; ma coloro con le spade in mano
e con i pugnali minacciando ducciderlo, lo fecero ben
tosto camminare, e condussonlo alla sua chiesa; [21] e
per luscio del chiostro entrati in sul prato, ne andarono
a uno arcipresso, che nel mezzo a punto risedeva: lega-
rono il prete con le schene volte al pedale e con le brac-
cia ritte a lins; di maniera che con gran fatica, non che
da s, ma da altrui non sarebbe stato potuto scirre; e
dal bellico in giuso libero, delle gambe e de i piedi pote-
va fare a suo modo, i quali a due dita toccavono terra.
[22] E di poi il fratello minore, che era destro come un
gatto, con un buon pezzo di corda rinforzata portata a
quel effetto, gli leg i granelli; e su per quello arcipresso
salendo, alla fine del pedale arriv a i rami, a un de i
quali accomod e leg la detta corda, e temperlla di
sorte tirata, che a colui conveniva stare rappreso e rag-
gricchiato stranamente, se egli non voleva sentir dolore
e pena incomparabile. E cos avendolo lasciato in una
attitudine pazza e stravagante, se ne scese a terra, e col
fratello e col compagno, riserrato luscio, se ne torn a
casa a dormire.
200 Letteratura italiana Einaudi
[23] Il sere, trovandosi ignudo come Domenedio lo
fece, e legato in quella guisa, quanto avesse noia, dispia-
cere e dolore non si potrebbe immaginare, non che ridi-
re, pensando che, come giorno si facesse, desser trovato
e veduto da tutti quanti i sua populani: pure, come tristo
e scaltro, pens una nuova malizia, e racconfortsse al-
quanto; nondimeno sofferiva doglia immensa. Essendo
stato legato quivi quasi tre ore con pena e con disagio
inestimabile, non potendo pi tenerse in su le ginocchia
e rannicchiato, gli fu forza lasciarsi andar giuso e posare
a fatto i piedi in terra. [24] Per la qual cosa la borsa se
gli svelse, e allunggli un buon sommesso; onde s fatta
stretta ebbe a i granelli, che per la doglia grandissima si
venne meno, e stette quasi unora tramortito. Pur poi
senza acqua fresca, aceto o malvaga, o essere stropiccia-
to, rinvenne; [25] e rinvenuto, seco stesso fece un gran-
dissimo cordoglio; e gi venendone il giorno, s gran
freddo gli sopragiunse, che egli batteva i denti di tal sor-
te che lungo tempo di poi se ne dolse.
[26] I populani, non avendo sentito lAvemaria, e non
udendo sonare a messa, si maravigliavano fortemente: e
di gi sera levato il sole, e molta gente, uomini e donne,
si erano ragunati in sul cimitero e sotto lolmo, facendo
le maraviglie che la chiesa non sapriva, e non si trovava
il prete. E gi alcuni suoi amici erano andati dietro la
chiesa a casa a picchiar luscio e chiamarlo, quando
giunse il cherico in compagnia del cappellano; e avendo
inteso il tutto, maravigliosi e dolorosi, veduto serrati gli
usci e le finestre, dubitarono che il prete non fusse o da
s morto, o da altri stato amazzato in casa. [27] E accor-
datosi con alquanti populani de i primi, e cittadini e
contadini, che di gi erano compariti molti per udir
messa, messano la porta del chiostro, che era debole, a
lieva, e cavatola de i gangheri, entrarono drento a furia
maschi e femine, e viddero incontinente il povero sere
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
201 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
nella guisa che voi sapete, che si doleva e rammaricava
fuor di modo.
[28] Quanta maraviglia avessero quivi i populi a pri-
ma giunta, veggendo uno spettacolo cos fatto, si pu
meglio immaginare col pensiero, che esprimerlo con le
parole. Egli fu conosciuto subitamente, perci che come
ei vide il populo, cos cominci a gridare quanto della
gola gli usciva:
Misericordia e aiuto, per lamor di Dio!
[29] L onde molti buoni uomini l corseno con il
suo cherico prestamente, e domandatolo come quivi sta-
to fusse legato e da chi, non rispondeva altro che: Mi-
sericordia e aiuto, per lamor di Dio . Per la qual cosa
da coloro tagliategli le fune tutte che egli aveva dintor-
no, fu spiccato da quello arcipresso, e gittatogli un man-
tello a dosso, fu portato di peso in casa: ma trovato ogni
cosa sottosopra e sgominato, e la coltrice aperta, lo po-
sero in su la materassa a riposarse, e per sua commessio-
ne si partirono.
[30] Quel cappellano che venuto era di Firenze intan-
to disse la messa; e quivi ognuno si doleva e si maravi-
gliava, e pareva millanni a tutti di sapere chi avesse fatto
tanto scorno e danno al loro prete, e non si volevono a
patto veruno partire, avendo inteso dal cherico come
egli voleva dir laltra messa, e manifestare la populo ogni
cosa. E cos, poi che buona pezza il misero prete si fu ri-
posato, dolente si lev e vestssi: e pi dappresso consi-
derato il suo male, fece grandissimo lamento e rammari-
cho. [31] Pure quel tanto che gli era caduto ne lanimo
di fare per suo onore e utilit cominci a mandare a ef-
fetto; e chiamato il cherico che lo aiutasse (ch per la
borsa, che gli era diventata grande a maraviglia, a fatica
poteva muovere i passi), si condusse in sagrestia; e para-
tosi il meglio chei potette, ne venne in chiesa a dire lal-
tra messa. La quale poi che fu fornita, egli voltatosi in
verso il populo, che con silenzio e attenzione grandissi-
202 Letteratura italiana Einaudi
ma lo ascoltava, cos pietosamente e con voce sommessa
cominci a dire:
[32] Tutte quante le cose, populo mio diletto, che
qua gi a noi mortali avengono, o buone o ree che elle si
siano, con consentimento si de pensare che avvenire
debbano, e con volont de laltissimo Dio; e per noi
sempre ringraziare ne lo dovemo. E se bene alcuna volta
ci paiono tristissime, e che ci arrechino e perdita e diso-
nore, devemo nondimeno giudicare e credere che ave-
nute ci siano per lo nostro migliore, da lui venendoci,
che solo sapiente, solo potente e solo giusto. [33] Ora
io di tutto quello che mi occorso questa notte, ancora
che con mio gravissimo danno sia, ne lo ringrazio, e ac-
cettolo per lo meglio, con ci sia che peggio assai occor-
rer mi fusse potuto. E cos, populo mio amatissimo, sap-
pi come tutte le vigilie della Madonna io sono usato,
fatto il primo sonno, levarmi, e per due ore fare certe
mie orazione. [34] E questa notte, mentre che io orava,
vennero per disgrazia, n so donde n come, tre nimici
di Dio, cio tre diavoli bruttissimi e spaventosi, con un
mazzo di serpi per uno in mano; e a prima giunta fatto-
mi una paura grandissima, mi dettero forse cento serpa-
te, che tutte mi fiaccarono lossa di sorte chio non credo
mai n che santo Antonio n san Niccolaio da Tollenti-
no o altri santi fussero mai da quegli tanto mal conci,
quanto sono stato io. [35] E di poi, spogliatomi ignudo,
mi condussero nel chiostro, e mi fecero quello scherzo,
legandomi, che voi vedeste; ritornati in casa a ogni cosa
mi dettero la volta, aprironmi le coltrice, versaronmi la
farina, e il vino e lolio, e rupponmi le stoviglie. Ma quel-
lo che peggio, apertomi e rottomi tutte le casse e i cas-
soni, mi hanno rubato un sacchetto, dove erano drento
ben dugento ducati, che doppo tanti anni, stentando, mi
aveva di limosine, di messe, di confessioni e delle entrate
della chiesa avanzate; [36] cosa non intervenuta mai pi,
chio abbia inteso, e me ne maraviglio fortemente; ch io
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
203 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
non arei pensato gi mai che i diavoli fussero ladri: de i
quali danari io avevo designato a punto di fare una tavo-
la allo altar maggiore, dove fusse dipinto quando la Ma-
donna va in cielo, e un bel pergamo di pietra. [37] Ora
sendo rimasto povero, come voi potete vedere, e strop-
piato si pu dire, perci chio non sar mai pi buono,
mi vi raccomando in carit e per la passione del Signore;
e vi ricordo che i diavoli non fanno mai male se non alle
buone persone e da bene, come nel divinissimo libro de
i Santi Padri si pu leggere di milluomini giusti e santi
.
[38] E cos tanto disse e si raccomand, che gli uomi-
ni e le donne correvono a gara a fargli la limosina; e ne
increbbe a tutti, pensando verissime le sue parole, e
massimamente veggendogli la casa s rabbaruffata e lui
s mal concio; di maniera che in meno di quattro giorni
il populo di farina, di vino e di tutte le altre grasce gli
empi in due cotanti la casa; e cos le donne di fazzoletti,
camicie e lenzuola. [39] E ogni domenica per usanza la
brigata gli faceva doppo la messa una bonissima limosi-
na; tal che non passarono due anni interi, che egli ri-
torn in su sua danari; perci che egli si aveva acquista-
to per tutto nome di mezzo santo, e aveva dato ad
intendere alla gente che con certe sue orazione cavava
lanime di Purgatorio; e cos procacciatosi credito gran-
dissimo, si viveva grassamente, salvo che la borsa gli al-
lung quasi infino alle ginocchia, e gli convenne poi
sempre portare il brachiere.
[40] I dua fratelli e il compagno la mattina medesima
se ne andarono a Prato alla fiera, dove tutto il giorno fu-
rono veduti; ma poi che tornati a casa furono, insieme
con la fanciulla inteso come il prete si era governato del-
la beffa, si maravigliarono fuor di modo e della astuzia
sua e della semplicit delle persone; pure allegri se ne
tacquero, e la sorella, con quei dugento fiorini doro e
con una mezza casetta che egli avevano in Firenze, mari-
204 Letteratura italiana Einaudi
tarono ad un buono e ricco artefice, che sempre stette
poi bene. [41] Ed eglino con quel lor compagno alle
spese del sere fecero parecchi e parecchi volte insieme
buona cera, ridendosi e maravigliandosi sempre pi di
mano in mano, veggendo il prete andare di bene in me-
glio; il quale non fu mai tanto ardito, che ne dicesse o fa-
cesse dir loro parola; anzi, veggendogli, gli salutava e gli
accarezzava pi che prima. [42] Pur poi in spazio di
molti anni, morto il maggiore fratello e la fante vecchia,
il minore lo ridisse: ma non gli fu creduto, e bench giu-
rando lo affermassi, e allegassi il compagno per testimo-
nio, raccontando come il fatto era andato per isgannare
quei populi, senza essergli presta fede, fu tenuto invidio-
so e mala lingua. Cos con la sagacit e col suo ingegno il
buon prete seppe fuggire danno e vergogna non piccola:
ma per sempre si ricord, e uscgli del capo lo amore
delle femmine.
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205 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
NOVELLA NONA
[1] Neri Filipetri, amico e compagno di Giorgio di messer
Giorgio, gli contamina una sua innamorata lasciatagli in custo-
dia, onde da lei ributtato e ripreso; per lo che Giorgio di poi,
tornato, per vendicarsene gli fa una beffa, della quale egli esce
a bene, salvo che per sempre ne perd la donna da lui amata.
[2] Grandemente a tutti aveva dato piacere e diletto
la favola detta, e mentre che da loro era sommamente
lodata la sagacit e lastuzia del prete, che in mezzo a
tante avversit seppe risolversi e pigliare cos buono spe-
diente, Cintia, che novellare doveva, cos vezzosamente
prese a dire:
Nobili donne, io vi voglio con una mia novelletta fa-
re intendere un caso generoso ma stravagante, che di ve-
ro avvenne in una terra di Lombardia. E disse:
[3] In Milano, grande e ricca citt di Lombardia, fu-
rono gi due compagni nobili e benestanti, luno de
quali fu chiamato Neri Filipetri, e laltro Giorgio di mes-
ser Giorgio; e tra loro si volevano cos gran bene, come
se fussero stati fratelli carnali, o pi; e per ventura tutti
due erano innamorati, e felicemente dello amor loro go-
devano, e senza occultarsi niente, ogni cosa sapevano
luno dellaltro. Ma Giorgio, che era innamorato pi al-
tamente, e di una gentil donna vedova, con pi fatica e
periculo si conduceva a lei: Neri non aveva troppa diffi-
cult, per lo essere la innamorata sua figliola duno arte-
fice. [4] Ora accadde che dovendo andar Giorgio infino
a Roma per faccende importanti, e starvi al meno quat-
tro o sei mesi, trovandosi una notte fra laltre con la sua
donna, il tutto li disse della sua partita; e indi preglla
caldamente che fusse contenta di tener fermo lamore in
verso di lui, come egli lo terrebbe in verso di lei, e che
qualche volta si degnase di scrivergli; [5] e mostrlle a
cui dar le lettere dovesse, cio a Neri, il quale ella sapeva
206 Letteratura italiana Einaudi
essere suo amicissimo; e che egli medesimamente per le
sue mane li scriverebbe, insegnando a detto Neri il mo-
do di segretamente venire a lei: e che ella in suo scambio
lo ricevesse, e con esso lui conferissi tutti i casi suoi; e se
di nulla avesse bisogno, ordiner seco che dogni cosa
sia servita.
[6] La donna, che grandissimo bene voleva al giova-
ne, dolendosi fuor di modo di rimaner senza lui, gli pro-
messe che tutto farebbe, e che non ar mai altro conten-
to se non quanto con Neri faveller, o legger sue
lettere. Parole furono molte da luna parte e da laltra; fi-
nalmente Giorgio, preso da lei licenzia, non senza molte
lacrime si part. [7] Laltro giorno, dovendo andar via,
chiam Neri da parte; ogni cosa che restato era con la
sua donna li narr ordinatamente, e poscia pregllo che
quello in benefizio suo operasse, che egli per lui, quan-
do venisse loccasione, volentieri opererebbe. Neri, con-
tentissimo, ogni cosa promesse di fare con diligenzia;
per la qual cosa, insegnatoli Giorgio la via che tener do-
vea per ritrovarse con la sua vedova, abbracciatolo e ba-
ciatolo mont a cavallo, e andssene alla volta di Roma.
[8] Neri, rimasto solo, attendeva con la sua innamora-
ta a darsi piacere e buon tempo. Ma la prima volta che
Giorgio li scrisse, se ne and la notte a trovare mona
Oretta, ch cos si chiamava la vedova, e presentlle le
lettere del compagno, dicendole, doppo alquante cere-
monie fatte fra loro, che la terza notte tornerebbe per la
risposta. Cos seco soggiornato per buono spazio, e do-
mandatola se ella voleva niente, si part da lei. [9] Cos
andando tre o quattro volte, e ogni volta due ore il meno
con esso lei cianciando e motteggiando, allegra e piace-
vole fuor di modo trovandola, gnene venne capriccio; e
senza ricordarse pi di Giorgio o daltro, pens di pro-
vare se per alcun mezzo recar la potesse a fare il suo vo-
lere, fra s dicendo: [10] Se ella savia, come io credo,
e come ella doverebbe essere, ella non lascer il bene
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
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Antonfrancesco Grazzini - Lecene
che la fortuna le pone inanzi: n per questo voglio cer-
care di trla al suo Giorgio, al quale, non lo risapendo
egli gi mai, non si fa ingiuria niuna . E cos con questa
speranza, credendosi avere la donna in un pugno, una
notte che lettere le portava del suo Giorgio, doppo al-
quanti ragionamenti si condusse ad aprirle lanimo suo,
fattole prima un lunghissimo proemio: [11] la qual cosa
udendo la donna, che nobile era e di animo generoso, gli
rispose altamente, e sdegnosa li disse la maggior villania
e la pi rilevata che a ogni reo uomo fusse mai stato det-
ta. L onde Neri, doloroso e pentito de lerror suo, si
messe a chiederle perdonanza, e a pregarla per Dio che
a Giorgio non volesse scriverne, o alla tornata dire cosa
alcuna, per non volere esser cagione di partire lamicizia
loro prima e doppo di qualche grave scandolo, che age-
volissimamente nascer ne potrebbe. [12] La donna, che
era saggia, conoscendo che altro che danno, cos per lei
come per altrui, ridicendolo, uscir non ne poteva, gli ri-
spose che lo farebbe senza alcun fallo: non gi che la sua
malvagit lo meritasse, ma per la sua buona natura e per
lonore di lei; e che, se egli pensava di usar pi seco di
cos fatti modi, che non le capitasse inanzi. Neri, fattole
mille giuri e giuramenti, e chiestole mille volte perdono,
lodava molto il suo proponimento; e parendogli ultima-
mente averla rappacificata, la lasci con Dio e la tenne
poi sempre per saggia e per constante innamorata; e
continuando a lusanza di portarle e di ricevere da lei
lettere, una sera, non si aspettando, torn in su la notte
Giorgio, a punto in sul serrar della porta. [13] Il che sa-
pendosi tra i parenti e gli amici, venne a visitarlo Neri, e
la sera cen seco; e di poi sendo rimasti soli, cominci
Giorgio a ragionare e domandare della sua carissima
donna; la quale, perci che affaticato e stracco senten-
dosi, non volle andare a visitare per la notte. [14] S che
Neri, rispondendogli e ragguagliandolo, molte cose in-
torno alle lodi della sua Oretta li diceva; e come colui
208 Letteratura italiana Einaudi
che era maliziosetto, volendo, se nulla fussi, pigliare i
passi inanzi, perci che di lei alquanto temeva che la sua
mala intenzione allo amico non rivelassi, li venne a dire
che per vedere solamente come ella fusse fedele lavesse
tentata e ingegnatosi di recarla a fare i suoi piaceri, con
animo nondimeno che, se ella acconsentiva, di garrirla e
di riprenderla asprissimamente; ma negando, s come el-
la fece, commendarla e lodarla sommamente, e per don-
na savia e continente averla sempre.
[15] Dispiacque molto, ancora che poco lo mostrasse,
questo fatto a Giorgio, e parvegli atto di non troppo
buono amico; pure finse di non se ne curare, ma non si
potette tanto contenere che, rivoltatosegli cos con un
sghignuzzo adiraticcio, non li dicesse:
Amico, dimmi un poco: se ella avesse acconsentito,
come sarebbe andato la bisogna?
[16] A cui rispose Neri:
Prima mi sarei lasciato trarre il cuore del petto che
farti cos fatto oltraggio.
Tu hai bene a dire a cotesto modo, ora che non ti
riuscito soggiunse Giorgio.
Dunque disse Neri , io sono da te tenuto in un
concerto tale, e pensi questo di me?
[17] E cominci, giurando, a fare le maggiore scuse
che mai fussero udite. Per la qual cosa Giorgio, che mal
contento lo vedeva, fece sembiante di crederli; e av-
vertllo che unaltra volta con li amici si guardasse di
non incorrere in cose simili; di poi, forniti per la sera i
ragionamenti, se ne andarano a dormire. [18] La matti-
na poi a bel agio vidde Giorgio la sua bella e cara donna,
ed ella lui; s che, fattisi di lontano allegra e lieta cera
quanto pi farsi poteva, pareva lor millanni che si faces-
se notte; la quale poi che fu venuta, Giorgio, quando
tempo li parve, se ne and a lei, che con grandissimo de-
siderio lo attendeva; e a prima giunta gittatoli le braccia
al collo, disse:
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Bene stia il sostegno della mia vita .
[19] E poi che baciati si furono, e alquanto di Roma
ragionato, se nandarono al letto, e quivi lun de laltro si
goderono buona pezza. Poi, quando venne il tempo, se
ne torn Giorgio a casa sua unora il meno inanzi gior-
no, e la sua Oretta si rimase a dormire. Maraviglissi
molto il giovane che la donna non gli avesse detto nulla
di Neri; ma pi nebbe maraviglia, quando, ritrovatosi
seco otto o dieci volte, non gnenaveva ragionato mai,
come colei che conosceva che il dirlo non poteva altro
che nuocere; ed egli, per non le dare manenconia e di-
spiacere, non le naveva detto nulla, e cos era risoluto di
fare per lavvenire.
[20] Ma con Neri teneva bene un po di colloruzza,
messosi ne lanimo di fargliene una a ogni modo; e col
di verno una sera, sapendo egli che Neri era andato a
starsi con la sua innamorata, se nand a trovare il padre
di lei, che faceva speziale; e tiratolo da parte, doppo un
certo suo trovato, li venne a dire come la figliola aveva
un giovane suo amante in camera. Il vecchio, che Marti-
nozzo aveva nome, non lo voleva credere a verun patto;
pure Giorgio tanto disse, e tanti segni li dette, che chia-
mato un suo figliolo in verso casa se nand furioso e
pieno di rabbia; e a punto a luscio giunse, che un altro
suo figliolo arriv, che tornava a cena, sendo gi vicino
alle tre ore. [21] Era costui notaio, e si chiamava ser Mi-
chele: al quale subitamente Martinozzo narr come la
sua buona sorella aveva in camera un amico, il quale la
sera ventra a lunora di notte, e stavvi per insino quasi a
giorno; e di poi la buona femmina ne lo manda fuori per
la finestra de lorto; ch cos Giorgio, che lo sapeva da
Neri, raccontato li aveva.
[22] Parve questa mala cosa a ser Michele; pure tra
loro consigliatisi di pigliarlo, entrarono in casa piana-
mente: e serrato quella finestra, presero loro armi e cor-
sero tutti e tre nella camera della fanciulla, nella quale
210 Letteratura italiana Einaudi
non erano prima soliti entrar gi mai; e gridando, aper-
sono luscio, e sotto il letto trovarono nascoso Neri; il
quale, veggendo larmi, di fatto si scoperse e disse il no-
me. [23] Per la qual cosa Martinozzo, non potendosi
contenere, li disse una grandissima villania, e li fece in-
tendere utimamente che se di quindi uscir voleva con la
vita li conveniva sposar la figliola.
E a mala pena disse mi tengo chio non ti passi il
petto con questa partigiana .
[24] Neri, veggendo la mala parata, rispose che fareb-
be ogni cosa; l onde il vecchio fatto chiamare la France-
sca, che piangendo sera uscita di camera, la quale con-
tentissima davere il giovane per marito, fu da Neri,
dandole lanello in presenza di tutti, sposata: e ser Mi-
chele distese la scritta, e fecela soscrivere da Neri, e di
poi daccordo e lieti se nandarono a cena. [25] La quale
con gran piacere di tutti fornita, se ne volle Neri la sera
andare a casa rimasti per laltro giorno di far le nozze
publice et magnifice; e da ser Michele e dal fratello fu
accompagnato infino alla sua abitazione. I quali poscia,
a casa ritornando, fecero con il padre maravigliosa festa;
il quale allegro diceva:
[26] Vedi che pure una volta la fortuna mi ha volu-
to aiutare, e voi, figliuoli miei, ancora: e ci conveniva,
per farli la dote, vendere il podere o la casa; e Dio sa poi
come noi laveremmo acconcia; e ora lavemo maritata a
un giovane ricco e nobile senza dote niuna: ors, tutto il
male non sar nostro: lodato sia Dio, che egli ar pure,
come si dice, lavorato il suo campo, e forbitosi con i cen-
ci suoi!
[27] E cos, pieno di gioia, con questi e simili altri
detti, e nand con i figlioli finalmente a dormire; e la
mattina per tempo levatosi, corse subitamente a casa un
fratello gi della sua moglie, che Bartolo aveva nome, e
trovollo ancora nel letto; a cui con allegrezza disse:
Sta su tosto, lvati, che io ho maritato la Francesca,
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a fine che tu mi consigli e aiuti ordinare le nozze, che si
hanno a fare oggi .
Bartolo, con fretta lavatosi, gli domand a chi data
lavessi.
[28] A un nobile e ricco giovane rispose Marti-
nozzo , quanto altro che ne sia in questa citt; e per dir-
tela a un tratto, Neri Filipetri suo marito.
Di tu disse Bartolo Neri di messer Tommaso Fi-
lipetri?
S in buon ora rispose Martinozzo.
Guarda a non pigliare errore disse Bartolo.
Come errore? seguit colui; e per fargnene capa-
ce, gli narr ordinatamente il tutto. [29] Il che udendo
Bartolo, cominci a gridare:
Tu sei stato ingannato e vituperato: ahi misero, o
non sai tu che cotesto Neri ha moglie e figlioli?
Come figliuoli e moglie? rispose Martinozzo .
Oh questa sarebbe bella ora!
Neri ha la moglie in casa e dua figliolini rispose
Bartolo , uno mastio e una femmina: son io scilingua-
to?
Ohim! soggiunse Martinozzo Io sono rovinato
e svergognato a un tratto, se cos ; ma io ho paura che
tu non farnetichi .
Bartolo, gi vestitosi, gli rispose dicendo:
Andianne fuori, e vedremo chi farneticher di noi .
[30] E partitisi di casa, ne andarono a domandare, e
da pi persone degne di fede entesero come era la verit
che Neri aveva donna e figlioli. Bene era vero che, aven-
dola tolta egli a Roma giovinetto, e l autone dua figlioli,
non si sapeva molto per la terra; e maggiormente per-
ch, poi che da lui fu condotta in Milano, era stata mala-
ta duna fistola, e nel letto sempre mai.
[31] Ora Martinozzo, certificato, se nand, consiglia-
to dal parente, a casa; e avertiti i figlioli che tacessero,
scoprendo loro lo inganno e loltraggio che eglino ave-
212 Letteratura italiana Einaudi
vano ricevuto da Neri, e con Bartolo si messe in via per
trovarlo in casa; e per ventura si abbatterono chegli vo-
leva a punto uscir fuori; s che, da parte tiratolo, comin-
ci Martinozzo a dolersi molto della vergogna e della in-
giuria che esso Neri aveva fatto alla casa sua, con dire
che egli non era cosa da uomini da bene vituperar le
buone fanciulle; e di poi, avendo moglie, trne de laltre;
e minacci dicendo che gli era caso de larcivescovo.
[32] Neri, scusatosi prima, e doppo con ottime parole
procedendo, disse che il vagheggiare le belle giovane e il
cercare di possedere il suo amore fu sempre usanza di
gentiluomini; e soggiunse dicendo:
Io non voglio negare che errore non abbia commes-
so a trre quello che rendere volendo, non potrei gi
mai; non di meno non li ho usato forza alcuna, e di pari
voglia e consentimento avemo luno de laltro preso pia-
cere, cosa ordinaria e naturalissima; e non cos grave il
peccato, come per aventura lo fanno molti. [33] Egli
ben vero che avendo altra moglie io non doveva mai ac-
consentire di trla; ma la paura chio ebbi, veggendovi
con larme, e minacciarmi, me lo fecen fare; e i contratti
e le scritte che son fatti per timore e forzatamente non
son validi e non tengono: e per a quel mi condussi che
voi vedeste, e dissi di s, lasciando la cura a voi di sapere
se io avevo moglie o no; di che voi anche non mi diman-
daste. [34] Pure quello che fatto non pu essere non
fatto: qui bisogna provedere per lo inanzi; e perch voi
veggiate chio porto grandisimo amore, e voglio infinito
bene alla fanciulla, vi conforto a tacere di tutto quello
che iarsera intervenne, e quanto pi tosto potete, mari-
tarla; e trovato che voi arete lo sposo, io mi obbligo di
darvi cinquecento ducati per aiutarvi di farle buona do-
te, a fine che in buon luogo la possiate mettere: e di tut-
te quelle cose che sono occorse, e che occorreranno tra
lei e me, non ragionare mai con persona viva, per quan-
to io ho caro la grazia di Dio . E qui si tacque.
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
213 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
[35] Parve a coloro che egli avesse favellato bene e sa-
viamente, s che renduteli infinite grazie, da lui si parti-
rono. Martinozzo raccontato poi a figlioli lanimo di
Neri, se la passarono leggermente; e cercarono di accon-
ciare la Francesca, la quale, inteso il fatto, sdegno gran-
dissimo e odio immortale ne concepette con il suo
amante, e da quivi inanzi non lo guard mai diritto in vi-
so. [36] Ma prima che passasse un mese intero, trovato
avendo un buon uomo che voleva donna, il padre e i fra-
telli li dierono la Francesca con patti di ottocento ducati
doro per dote: pensando mettervene trecento di loro
solamente, lo avanzo speravano cavare da Neri; il quale
andarono a trovare, e Martinozzo, dicendoli che aveva
allogata la figliola, li domand la promessa. [37] Neri,
avendo poco il capo a mantenergliene, li disse che lo ri-
vedrebbe; e lo menava per la lunga. Nella fine li disse
che pensato aveva, per onore della fanciulla, non volere
darli altrimenti i cinquecento ducati, acci che le genti
non avessero a sospettare. [38] Martinozzo, non possen-
do mostrare niente, n pure rammaricarsene, per non
svergognar la fanciulla e s, malcontento co i figlioli, per
non arrogere male a male, prese per partito di starsene
cheto; e per lo essere Neri gentiluomo, si tenne di beato
che egli se ne tacesse: e se egli volle che lo sposo menas-
si la Francesca, gli convenne vender la casa e darli otto-
cento fiorini. [39] Neri, di questa cosa poi veduto la fi-
ne, con Giorgio suo segretamente ogni cosa confer,
dolendosi molto di aver perduto la sua innamorata; ma
per altro, parendogli un bel caso, scambiato il tempo, il
luogo e i nomi, lo raccont poi mille volte per favola.
214 Letteratura italiana Einaudi
NOVELLA DECIMA
[1] Mona Mea viene a Firenze per la dote della Pippa, sua fi-
gliola, maritata a Beco dal Poggio, il quale non avendo ella se-
co, consigliata che meni in quello scambio Nencio dellUli-
vello, il quale dalla padrona poi messo a dormire colla Pippa;
la qual cosa poi risaputa, Beco sadira con le donne, e falle ri-
chiedere in Vescovado; onde poi il prete della villa accomoda il
tutto.
[2] Tosto che Cintia pose fine alla sua corta novella,
piaciuta e commendata molto, Ghiacinto, che solo resta-
va a novellare, con ridenti occhi cos a favellare incomin-
ci, dicendo:
Io, dolcissime donne e voi splendidissimi giovani,
pigliando da Cintia esempio, mi spedir prestamente;
perci che ella, che saggia e avveduta, debbe conosce-
re il tempo gi dover passare de landare a cena; la qual
cosa io per me non arei saputo conoscere, perci che
tanto mi piace e mi contenta il novellare, che per infino
a domattina starei senza mangiare e senza bere, che non
me ne sentirei punto; ma per dirne il vero, la mia favola
corta da se stessa, e pi mha aiutato in questo la fortu-
na che il senno . E soggiunse:
[3] In via Ghibellina stette, gi gran tempo, una ve-
dova de Chiaramontesi, che ebbe nome mona Marghe-
rita; la quale prese da piccola una contadinella per serva,
con patti che poi, cresciuta e venuta nel tempo conve-
niente, ella lavesse a maritare: e rimase daccordo con i
sua di darle cento cinquanta lire di piccioli per dota. [4]
Ora accadde che costei crescendo, e gi fattasi da mari-
to, fu venuto per lei dalla madre e menatane in Mugello,
donde elle erano, con lincenzia nondimeno di mona
Margherita, la quale aveva detto loro che la dote era a
ogni loro piacere, pur che elle trovassero sposo recipien-
te. Mona Mea (ch cos si faceva chiamare la madre di
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
215 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
colei) seco menatane la figliola, fece intender per lo pae-
se che maritar la voleva: e perch ella aveva assai buona
dote, ed era anche vegnentoccia e aitante della persona,
ebbe di molti mariti in un tratto per le mani. [5] Pure a
un giovane, che si chiamava Beco Dal Poggio, la dette
con la dote sopra detta; e la sera medesima che ella ebbe
lanello, Beco volle dormir seco, fra pochi giorni dise-
gnando di venire per la dote alla vedova in Firenze. [6]
Ma in questo mezzo gli venne voglia dandare alla fiera
di Dicomano, per provvedersi di panni per s e per la
sposa; onde alla suocera e alla moglie disse che da loro
andassero a mona Margherita, e facessersi dare la dote, e
ne la recassero a casa; perci che egli starebbe tre o
quattro giorni a tornare; e partsse, e andnne alla fiera.
[7] Mona Mea e la figliola laltra mattina a una
gradotta si missero in via, e in su la nona arrivarono [...]
dove uffiziava un prete, che fu gi loro parrocchiano,
molto bene e amorevole persona; s che seco, come era
costume quasi di tutti i paesani, si posarono, e dal sere
molto bene veduti furono, tanto che vi stettero a desina-
re. [8] Eravi per sorte capitato a punto la mattina un lo-
ro vicino, che di Firenze veniva per tornare in su, Nen-
cio chiamato dellUlivello; e poi che essi ebbero
desinato, sendo ancora a tavola, prese a domandare il
prete che buone faccende facessero venire mona Mea a
Firenze; ed ella gli rispose come per la dove andava del-
la figliola sua che maritata aveva, e dissegli a chi. [9] Il
sere li disse ridendo:
O dove Beco?
E andato alla fiera rispose la donna a Dicoma-
no: che importa egli che ci sia o no?
Importa soggiunse ser Augustino (ch cos era il
nome del prete) , che voi vi perderesti i passi; perci
che, se la padrona non vede il marito, non vorr pagare i
danari, come ragionevole.
[10]
216 Letteratura italiana Einaudi
Noi abbiamo dunque fatto una bella faccenda disse
la Pippa (ch cos era chiamata la sposa) , e converrcci
aspettare Beco che torni, e andarvi insieme: che mala-
detta sia tanta stracurataggine!
Deh! disse il prete , io voglio insegnarvi che voi
non sarete venuti invano: menate con esso voi qui Nen-
cio, il quale so che per farvi piacere verr volentieri; e di-
te che egli sia il marito: colei, non lo avendo mai veduto,
crederr agevolmente, e vi conter la moneta .
[11] Piacque a mona Mea molto questa cosa, e Nen-
cio, per far servizio al prete e alle donne, accett sempli-
cemente, non pensando che ne dovesse altro seguire.
Cos senza indugiare presero la via verso Firenze, e alla
casa finalmente della vedova arrivati, furono da lei rice-
vuti lietamente: per lo che mona Mea con brevit le dis-
se, come Nencio era il marito della Pippa, e che venuti
erano per la dote. [12] A cui graziosamente, avendo pri-
ma toccato la mano a gli sposi, rispose mona Margherita
che era molto bene contenta; e subito mand la serva
per uno che faceva le sue faccende, acci che da colui
fussero annoverati loro i danari, e spediti prestamente, a
fine che se ne potessero andare; e intanto ordin loro da
merenda, molto rallegrandosi con la Pippa e con Nen-
cio, il quale ella pensava suo marito, dicendogli che egli
aveva una buona e bene allevata figliuola, e che le faces-
se vezzi; della qual cosa Nencio si sforzava di mostrarse
lieto. [13] Venne alla fine, gran pezzo aspettato, colui
che faceva i fatti della vedova; a cui ella, raccontato il
tutto, disse che centocinquanta lire bisognavano per
soddisfare alla Pippa, pagandole quivi al marito per
conto della dote che guadagnato aveva. [14] Colui, di
fatto partitosi, ne and al banco per arrecare seco i da-
nari; ma tornato prestamente, disse loro che trovato non
vi aveva il cassiere; onde bisognava che elle avessero pa-
zienzia per fino alla mattina, che a grandotta gli spedi-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
217 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
rebbe. Per lo che mona Margherita, ripigliando le paro-
le, disse:
[15] Egli a ogni modo s tardi, che voi non vi con-
durreste a casa che sarebbe mezza notte; per fia meglio
che voi vi stiate questa sera meco: ben ci sar tanta casa
che vi doverr dar ricetto; non dubito che voi dovete es-
sere stracchi. La cosa non pu venire pi a proposito,
perch anchio mi goder un poco la mia Pippa, che Dio
sa quando pi la rivedr; perci che, avendomela alleva-
ta, le porto amore e affezione come a figliola .
Della qual cosa mona Mea e la fanciulla, non pensan-
do pi oltre, insieme con Nencio furono contente.
[16] Venne la sera, e la vedova fatto intanto avendo
ordinare la cena, si messero a tavola, e con gran festa ce-
narono; ma in su landarsene al letto si sbigottirono be-
ne mona Mea e la Pippa, avendo inteso che mona Mar-
gherita fatto aveva acconciare un letto in camera
terrena, dove disegnava che stessero li sposi; e mona
Mea albergare dovea con la fante su di sopra. Del che
Nencio tanto contento e letizia avea, quanto coloro do-
lore e dispiacere. [17]
Mona Mea, avendo fatto molte parole, con dire che
dormir voleva con la figliola, ma tutte dalla vedova sta-
tole riprovate, dicendole che non si richiedeva, e che era
cosa sconvenevole, e che Nencio le farebbe buona com-
pagnia cos in Firenze come in villa, fu sforzata mona
Mea, per paura che colei non si accorgesse Nencio non
essere marito della figliola, ed esserne colta e tenuta bu-
giarda, acconsentire, e si avvi con Nencio e con la Pip-
pa in camera; [18] dove giunta, si gitt ginocchioni a i
piedi di Nencio, pregandolo per lamor di Dio che fusse
contento di non dir niente alla figliola per quella notte; il
che Nencio li promesse sopra la fede sua. L onde colei
allegra se ne torn in sala, e con la serva se nand a dor-
mire; e cos fece mona Margherita. [19]
218 Letteratura italiana Einaudi
Nencio, poi che fu partito mona Mea, serr luscio
molto bene di drento, e comincissi a spogliare, guar-
dando tuttavia la Pippa, che stava in contegno e soghi-
gnava, mostrando anzi che no che dormir volesse vesti-
ta, non facendo segno alcuno di sfibbiarsi: ma Nencio,
dettole che non la manicherebbe, nella fine seppe tanto
ciurmarla che, spogliatasi in un tratto, se nentr nel let-
to inanzi a lui; onde egli allegro, spento il lume, se le
corc a canto. [20] E cos stati alquanto ambedui senza
favellare, cominci Nencio a distendere un pi, e venne
a toccarle un fianco; per che la Pippa, senza altro dire,
gli ne graffi cos leggermente; per lo che Nencio la pre-
se a solleticare, ed ella lui; tanto che, scherzando scher-
zando, il compagnone le sal adosso, e senza far mai pa-
rola di lei prese, e la fanciulla di lui, quel piacere e quel
contento che lun de laltro pigliano insieme marito e
moglie. [21] Ma poi che Nencio scese, fu la Pippa prima
a favellare, e quasi ridendo disse:
Ehi, Nencio, a questo modo osservi la fede e i giura-
menti che promettesti a mia madre? Io non larei mai
creduto; e stretti ferma non per altro, che per vedere se
tu eri tanto tristo; ma io ho caro daverti conosciuto per
unaltra volta .
[22] Alla quale Nencio rispose dicendo:
I o non ho rotto fede, n fatto ingiuria a persona:
egli vero chio promessi a tua madre di non ti dir nulla,
e cos le ho attenuto: che ti ho io detto?
Tu me hai fatto disse la Pippa.
Oh! io non le promessi di non fare rispose Nen-
cio; e accortosi che li piaceva luntume, cos alla mutola
le caric unaltra volta la balestra, e doppo attesero a
dormire. La mattina poscia, per tempo risentiti, due al-
tre volte presero insieme il medesimo piacere, datosi tra
loro la fede di non ne favellar mai.
[23] Intanto sera levato mona Mea, e da mona Mar-
gherita aute avea dua coppie duova fresche per portarle
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219 Letteratura italiana Einaudi
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alli sposi; la quale le prese per non parere, e reclle loro,
ancora che ella pensasse che elle non bisognassero; e
nella camera entrata, trov la figliola che sera a punto
fornita di vestire, ma Nencio era ancora nel letto. [24] A
i quali ella ridendo cos disse:
Vedete se mona Margherita donna da bene e amo-
revole: ella vi manda infino a luova fresche, credendosi
che voi abbiate bisogno di ristoro. Ma dimmi un poco tu
disse alla fanciulla : che compagnia stanotte ti ha fat-
to Nencio?
Buonissima rispose la Pippa , egli non uscito
punto di quello che egli vi promesse; tanto che io me ne
lodo intra fine fatta, e songli obbligata sempre.
[25] Dio gliene rimeriti rispose mona Mea e fac-
ciagliene valevole a lanima; ma che fo io di queste uova
in mano?
Date qua disse Nencio , io me le ber, acci che
la cosa paia pi vera ; e fattosene dare una coppia, se le
succi in un tratto; e voleva inghiottire anco laltra,
quando la Pippa disse:
Ehi, gola! Questa altra voglio io per me ; e toltola
di mano alla madre, se la bevve.
[26] E cos le donne, lasciato Nencio che si fornissi di
vestire, si avviarono in sala; dove stettero poco, che
comparse colui con i danari, e a Nencio, che era gi ve-
nuto su, annover come a sposo, centocinquanta lire di
buona moneta per pagamento della dote della Pippa,
serva di mona Margherita; e cos scrisse al libbro e
partsse. [27] Mona Mea, messo quei danari in una fede-
ra che recato aveva seco, e bevuto alquanto ella, la Pippa
e Nencio, e fatto le parole, da mona Margherita si parti-
rono allegri e lieti; e di compagnia, senza aver fatto mot-
to al prete, perch trovato in casa non lavevano, in Mu-
gello se ne tornarono, e ugnuno se nand a casa sua;
avendo nondimeno ringraziato prima mona Mea e la fi-
gliola Nencio del servizio che fatto loro aveva.
220 Letteratura italiana Einaudi
[28] In capo di dua giorni torn poi Beco dalla fiera,
e trovato la suocera che aveva riscosso la dote, contento,
non cerc altro, attendendo alle faccende e a goder la
sua Pippa. Ma venutone poi il San Giovanni, e venendo
a Firenze per arrecare a loste un paio di paperi, accadde
per sorte che il giorno dinanzi a punto egli se nera an-
dato nella Val dElsa a starsi con un suo fratello, che era
in uffizio a Certaldo, e, menatone tutta la brigata, trov
serrata la casa. [29] E non sapendo che farsi di quei pa-
peri, disegn di portarli a donare a mona Margherita,
padrona gi della sua Pippa, ch bene sapeva il nome e
dove ella stava a casa, parendogli che ella si fusse porta-
ta liberamente a dar la dote alla moglie senza lui, seco
dicendo: Pure la conoscer e far in parte lobbligo
mio ; e cos si misse in via; e giunto, picchi luscio.
[30] La fante, vedutolo con quei paperi in braccio, disse
a mona Margherita:
Gli un contadino e tir la corda.
Beco, arrivato in sala, fece un bello inchino, e salutato
mona Margherita disse:
Io sono il marito della vostra colei, che vi porto a
donare questi paperi, acci che voi gli godiate per no-
stro amore .
[31] A cui la donna, molto bene in viso guardatolo,
rispose:
Buon uomo, guarda a non avere errato il nome, o
smarrito la casa; chi ti manda, o dove hai tu a ire?
Disse allora Beco:
Non ste voi mona Margherita Chiaramontesi, che
allevasti gi la Pippa, e non sono ancora dieci mesi pas-
sati che voi le deste centocinquanta lire per la dote?
S, sono rispose la vedova.
[32] Dunque io sono il marito soggiunse Beco.
Come! seguit la donna . Il marito non se tu gi
della mia Pippa.
Perch non sono? disse Beco . Io so pure che sta-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
221 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
notte i dorm seco e stamattina la lasciai in casa che elle
si voleva lavare il capo, per farsi bella questo San Gio-
vanni.
[33] Come domine replic mona Margherita qua-
si adirata sei tu il marito suo? Io so pure che quando la
Pippa venne per la dote, che egli era seco, ed era daltra
fatta che tu non sei: io lo viddi pure, e so ancora che la
sera gli messi a dormire insieme, e so pure che la mattina
colui se ne port la dote con mona Mea madre della fan-
ciulla .
[34] Per la qual cosa Beco, gridando ad alta voce, dis-
se: Ohim, chio sono stato ingannato! e pi a bel
agio poi con mona Margherita favellando, e dogni cosa
minutamente informandosi, fu certo, e al tempo e alla
persona e al viso e al nome, che colui che per marito del-
la Pippa in suo scambio si fece credere, era stato Nencio
de lUlivello. [35] Ma questo glimportava poco, rispet-
to a lavere dormito con esso lei a solo a solo; e gli pare-
va, e cos alla vedova, la pi nuova e la pi strana cosa
del mondo. Pure, lasciato quivi i paperi, senza aver volu-
to n mangiare n bere, si part pien di rabbia e di gelo-
sia, e tanto cammin che la sera giunse a casa; e alla pri-
ma che se gli fece inanzi, che fu mona Mea, disse una
grandissima villania, e cos ancora alla moglie, che tosto
quivi comparse. [36] Le buone femmine, scusando, di-
cevano che dal prete consigliate furono, e che Nencio
non fece altro che dormire con la Pippa. Ma Beco non si
poteva racconsolare, parendogli che elle lo avessero vi-
tuperato; e venne in tanta collera che egli prese un ba-
stone per romper loro le braccia; pure poi si ritenne per
paura della Giustizia, ma le cacci ben fuori dicendo
che se nandassero a casa loro, ch non voleva quella
vergnogna presso; e serrato molto bene luscio, se
nand al letto senza cenare.
[37] Le donne, dolorose, se ne andarono poco quivi
lontano a casa un fratello di mona Mea. Beco la notte
222 Letteratura italiana Einaudi
non potette mai chiudere occhio, alla sua Pippa pensan-
do; e fra s conchiuse di non la voler pi, e dandarsene
in Vescovado, e far richieder Nencio per adultero; e co-
s, come la mattina fu giorno, salt fuor del letto, e por-
tato pi da disordinato furore che da cagione ragionevo-
le, savvi gridando verso Firenze; e per tutta la via, e
con tutte le persone che egli riscontrava, si doleva della
moglie; e giunto utimamente in Vescovado, pose laccu-
sa. [38] Per la qual cosa il giorno medesimo fu richiesto
Nencio de lUlivello e la Pippa; s che laltra mattina
inanzi nona furono in Firenze per difendersi, risoluti in-
sieme di negar sempre, e di dire al vicario che Nencio
fusse dormito nella sua proda, e cos la fanciulla, a uso
di fratello e di sorella. E gi sendo comapariti in Vesco-
vado per entrar drento, viddero a punto ser Augustino,
che quivi era venuto per certe sue faccende; delle quali
spedito, si maravigli di vedere in quel luogo Nencio e
colei, e gli dimand perch quivi fussero. [39] Per lo che
Nencio gli narr di punto in punto tutta la cosa: di che
non potette fare il sere che non ridesse; e veduto Beco in
quel luogo per la medesima cagione, lo tir da parte e ri-
preselo aspramente della sua stolta impresa, e che cos si
fussi lasciato vincere dalla stizza, con dirgli come Nen-
cio ogni cosa aveva fatto per bene, e per far piacere a lui
e alle donne, e che egli non aveva a far niente in quel
conto con la Pippa, e che di questo ne stessi sopra la fe-
de sua, perci che la Quaresima passata avea confessato
Nencio; [40] e mostratogli poi per mille ragioni che egli
era pazzo e come, in tutti i modi che la cosa riuscisse,
non gliene poteva avvenire se non male, e fece tanto
nella fine, che lo condusse a perdonare alla Pippa e a far
pace con Nencio. [41] E di poi entrato dentro al vicario,
con cui teneva stretta domestichezza, oper di maniera
che coloro furono licenziati, e daccordo se nandaron
poi alla sua chiesa a star tutti la sera. Ma Beco, non po-
tendo sgozzare a fatto quella dormita che Nencio aveva
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
223 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
fatto con la moglie, stava anzich no ingrugnatetto un
poco. [42] onde ser Augustino, per quietar la cosa rap-
patumargli da dovero, si fece promettere con giuramen-
to a Nencio che, come egli avesse donna, che Beco aves-
se a dir nulla, ma solamente per poter rispondere alle
persone: [43] Se Nencio dorm con la mia, e io ho dor-
mito con la sua moglie ; e cos verrebbe a non esser
vantaggio tra loro. E fatto di nuovo una buona paciozza,
lasciato il prete col buon anno, se ne andaron la mattina,
e ognuno se ne torn a casa sua; e per fino che Beco vis-
se Nencio non tolse mai moglie, tenendo per fermo che
la sua non dovesse esser meglio che la Pippa.
[1] Con grande attenzione e molte risa fu ascoltata la
novella di Ghiacinto, la quale fornita, Amaranta, sorri-
dendo, prestamente si lev in piedi e chiam i famigli e
le fantesche; e fatto in un tratto accendere dei lumi, se
ne and con le donne nelle camere di sopra, e i giovani
col fratello in quelle dabbasso. [2] E poi che alquanto
ebbero badato a loro comodit, e quelle e questi ne ven-
nero allegrissimi in sala; deve non solamente le mense
trovarono apparecchiate, ma le vivande messe in punto;
s che, preso un caldo e lavatisi le mani, si missero a ta-
vola, dove lietamente cenarono. [3] E poscia, levate le
tovaglie e lasciato solamente il finocchio e l vino, ragio-
narono per buono pezzo della maggiore e della minore
bellezza e piacevolezza delle raccontate novelle; e poi se
ne andarono al fuoco, tutti quanti ripieni di gioia e di
contento. [4] E perch le novelle della vegnente sera do-
vevano esser grandi, ordinarono di cominciare pi per
tempo un poco, e di dirne cinque inanzi e cinque doppo
cena, non si disdicendo la notte di Berlingaccio vegliare
un pezzo e andarsene al letto pi tardi del solito; [5] e di
poi le donne, a lusanza fatto le debite cerimonie e preso
comiato da i giovani, con Amaranta alle loro camere se
ne andarono al letto, e cos fecero i giovani, perci che
224 Letteratura italiana Einaudi
alcuni rimasero a dormir quivi, e alcuni bene accompa-
gnati se ne tornarono alle lor case.
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
225 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
TERZA CENA
NOVELLA DECIMA
[1] Lorenzo vecchio de Medici da due travestiti fa condurre
maestro Manente ubriaco, una sera dopo cena, segretamente
nel suo palagio, e quivi e altrove lo tiene, senza sapere egli dove
sia, lungo tempo al buio, faccendogli portar mangiare da due
immascherati: dopo, per via del Monaco buffone, d a credere
alle persone lui esser morto di peste; perciocch, cavato di casa
sua un morto, in suo scambio lo fa sotterrare. [2] Il Magnifico
poi con modo stravagante manda via maestro Manente; il qua-
le finalmente, creduto morto da ognuno, arriva in Firenze, do-
ve la moglie, pensando che fusse lanima sua, lo caccia via co-
me se fusse lo spirito; e dalla gente avuto la corsa, trova solo
Burchiello che lo riconosce; e piatendo prima la moglie in Ve-
scovado, e poi alli Otto, rimesso la causa in Lorenzo; il quale
fatto venire Nepo da Galatrona, fa veder alle persone ogni cosa
essere intervenuta al medico per forza dincanti; sicch, riavuta
la donna, maestro Manente piglia per suo avvocato san Cipria-
no.
[3] Era Chiacinto venuto a fine della sua novella, che
non poco aveva rallegrato e fatto ridere la brigata, quan-
do Amaranta, a cui solamente restava il carico del dove-
re novellare, vezzosamente favellando prese a dire:
Io, leggiadrissime fanciulle e voi graziosissimi giova-
ni, intendo con una mia favola di raccontarvi una beffa,
la quale, ancorch guidata non fosse n dallo Sgheggia,
n da Zoroastro, n da niuno de compagni, credo che
non vi dover parere men bella, n meno artifiziosa che
nessun altra che da noi in questa o in altra sera racconta-
ta sia, fatta dal Magnifico Lorenzo vecchio de Medici
ad un medico de pi prosontuosi del mondo, come to-
sto intenderete. [4] Nella quale tanti nuovi accidenti in-
tervennero, tanti vari casi nacquero, tanti strani avveni-
226 Letteratura italiana Einaudi
menti occorsero, che se mai vi maravigliaste e rideste,
questa volta vi maraviglierete e riderete .
E soggiunse:
[5] Lorenzo vecchio de Medici, senza che altro ve ne
dica, dovete certo sapere che di quanti uomini eccellen-
ti, non pure virtuosi, ma amatori e premiatori delle virt
furono giammai nel mondo gloriosi, egli fu uno vera-
mente, e forse il primo. Ne tempi suoi dunque si ritro-
vava in Firenze un medico, chiamato maestro Manente
dalla Pieve a Santo Stefano, fisico e cerusico, ma pi per
pratica che per scienza dotto, uomo nel vero piacevole
molto e faceto, ma tanto insolente e prosontuoso che
non si poteva seco. [6] E fra laltre cose gli piaceva
straordinariamente il vino, e faceva professione dinten-
dersene, e di bevitore; e spesse volte, senzessere invita-
to, se nandava a destinare e cena col Magnifico; a cui
era venuto per la sua improntitudine e insolenza tanto in
fastidio e noia, che non poteva patire di vederlo, e seco
stesso deliberato aveva di fargli una beffa rilevata, in
modo che egli per un pezzo non avesse, e forse mai pi,
a capitargli innanzi.
[7] E tra laltre una sera, avendo inteso come il detto
maestro Manente aveva tanto bevuto nellosteria delle
Bertucce, che egli si era imbriacato di sorte che egli non
si reggeva in piedi, sicch loste, volendo serrare la bot-
tega, laveva fatto portare da i garzoni fuori di peso,
avendolo i compagni abbandonato, e postolo su un pan-
cone di quelle botteghe da San Martino, dove egli si era
addormentato di maniera che non larebbono desto le
bombarde, russando che pareva un ghiro, gli parve tem-
po accomodatissimo alla sua voglia: [8] e fatto le viste di
non avere inteso colui che ne ragionava, mostr di avere
altra faccenda; e fingendo di volere andarsene a letto,
perch era pure assai ben tardi ed egli dormendo poco
per natura, era sempre mai mezza notte prima chei se
nandasse a riposare , e fatto segretamente chiamare
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
227 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
duoi suoi fidatissimi staffieri, impose loro quello avesse-
ro a fare. [9] I quali, uscendo di palazzo impappaficati e
sconosciuti, ne andarono per commissione di Lorenzo
in San Martino, dove nella guisa sopraddetta trovarono
maestro Manente addormentato; sicch presolo, per-
ciocch essi erano gagliardi e baliosi, lo posarono ritto
in terra, e imbavagliaronlo; e quasi di peso portandolo,
camminarono con esso via.
[10] Il medico, cotto non meno dal sonno che dal vi-
no, sentendosi menar via, pens di certo che fussero i
garzoni delloste, o suoi compagni o amici, che lo con-
ducessero a casa; e cos, dormiglioso ed ebro quanto mai
potesse essere un uomo, si lasciava guidare dove a colo-
ro veniva bene; i quali, aggiratisi un pezzo per Firenze,
ultimamente arrivati al palazzo de Medici, guardato di
non esser veduti, per luscio di dietro entrarono nel cor-
tile, dove trovarono il Magnifico tutto solo, che gli at-
tendeva con allegrezza inestimabile. [11] E saliti insieme
le prime scale, in una soffitta in mezzo la casa entrarono,
e indi in camera segretissima; dove sopra un letto spri-
macciato posto maestro Manente per commissione di
Lorenzo, cos, turati, lo spogliarono in camicia che a
mala pena sentito aveva, ed era stato quasi come avere
spogliato un morto; e portati via tutti quanti i suoi pan-
ni, lo lasciarono l entro serrato molto bene. [12] Il Ma-
gnifico, avendo di nuovo comandato che tacessero, e ri-
posto i panni del medico, gli mand subitamente a casa
il Monaco buffone, il quale meglio che altro uomo del
mondo sapeva contraffare tutte le persone alla favella; il
quale, tosto comparso alla sua presenza, fu da Lorenzo
menato in camera; e licenziato li staffieri, che se nanda-
rono a dormire, mostr al Monaco quanto desiderava
che facesse, e andssene tutto lieto a letto.
[13] Il Monaco, tolto tutti i panni del maestro, se ne
torn segretamente a casa; e spogliato i suoi, se ne vest
tutto quanto da capo a piedi; e uscitosi di casa, senza dir
228 Letteratura italiana Einaudi
nulla a persona se ne and, che gi suonava mattutino
per tutto, a casa maestro Manente, che stava allora nella
via de Fossi; e perch gli era di settembre, aveva la bri-
gata nella villa del Mugello, cio la moglie, un figlioletto
e la serva; [14] ed egli si stava in Firenze solo, n si tor-
nava in casa se non a dormire, mangiando sempre alla
taverna con i compagni e in casa con gli amici. S che il
Monaco, vestito de suoi panni, avendo la scarsella e
dntrovi la chiave, aperse agevolmente; e serrato molto
bene luscio, allegrissimo di far la voglia del Magnifico e
insieme di burlare il medico, se ne and a letto.
[15] Venne intanto il giorno; e il Monaco, poi che egli
sebbe dormito sino a terza, si lev a vestirsi i panni del
maestro: si messe una zimarraccia sopra il giubbone e
un cappellaccio in capo, e contraffacendo la voce del
medico chiam dalla finestra della corte una sua vicina,
dicendo che si sentiva un poco di mala voglia, e che gli
doleva un poco la gola, la quale a bella posta si aveva fa-
sciata con stoppa e lana sucida. [16] Era allora in Firen-
ze sospetticcio di peste, e se ne erano scoperte in quei
giorni alcune case; per la qual cosa, colei, dubitandone,
lo domand quello che egli voleva. Il Monaco, chiestole
una coppia duova fresche e un po di fuoco, se le racco-
mand; e fingendo colle parole e con li atti di non si po-
ter reggere pi ritto, si lev dalla finestra. Quella buona
donna, trovato luova e l fuoco, gli fece intendere, chia-
matolo pi volte, che gliene poserebbe in su luscio da
via, e che egli si andasse per esse; e cos fece. [17] Colui,
lieto, come fusse maestro Manente se ne venne alluscio
con quella zimarraccia e con quel cappellone di colui in
su gli occhi; e preso le uova e l fuoco, se ne torn in ca-
sa, che non pareva che potesse pi reggere la persona,
tutto avendo fasciato la gola; per il che in vero quasi tut-
ti i vicini, e tutti dolorosi, pensarono che egli dovesse
avere il gavocciolo.
[18] La voce subitamente si sparse per la citt; onde
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
229 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
un fratello della moglie di maestro Manente, che era
orafo, chiamato Niccolaio, ne venne volando per inten-
dere come andasse il fatto; e picchiato alluscio e ripic-
chiato, non li era mai stato risposto, perciocch il Mona-
co faceva formica di sorbo; ma la vicinanza gli diceva
come senza dubbio il medico era appestato. Ma in su
quellora, che non pareva suo fatto, a punto vi pass Lo-
renzo a cavallo in compagnia di molti gentiluomini; e ve-
duto ivi ragunata di gente, domand ci che volesse di-
re. [19] Allora gli rispose lorafo come si dubitava forte
che maestro Manente non fusse in pericolo di peste; e
narrgli per ordine ci che insino allora seguto fusse. Il
Magnifico disse che gli era bene mettervi chicchessia
che lo governasse; e a Niccolaio fece intendere che da
sua parte andasse a Santa Maria Nuova, e facessesi dare
a messere un servigiale pratico e sufficiente. [20] Onde
lorafo si part volando, e fatto allo spedalingo limba-
sciata, ebbe un servigiale che Lorenzo aveva indettato e
informato di quanto far dovesse; e appunto giunse che il
Magnifico Lorenzo, dato una giravolta, gli aspettava sul
canto di borgo Ognissanti; s che cavalcato alla volta lo-
ro, finse di fare i patti con quel servigiale, raccomandan-
doli caldamente maestro Manente; e di fatto lo fece en-
trare in casa, avendo fatto aprire luscio a un magnano.
[21] Laonde colui, stato alquanto, si fece alla finestra, e
disse come il medico aveva nella gola un gavocciolo co-
me una pesca, e che egli non si poteva muovere di sul
letto, dove giaceva mezzo morto, ma che non mancareb-
be daiutarlo. Onde Lorenzo, dato commissione
allorafo che conducesse da mangiare per lui e per lam-
malato, e fatto mettere alluscio la banda, ei se nand al
suo viaggio, mostrando alle parole e a i gesti che molto
gliene increscesse. [22] E l servigiale se ne torn al Mo-
naco, che ridendo impazziva dellallegrezza; e avendo
dallorafo avuto roba in chiocca, e in casa avendo trova-
230 Letteratura italiana Einaudi
to carne secca, spillarono una botticina che vi era di
buon vino, e per la sera fecero un fianco da papi.
[23] In questo mentre maestro Manente, avendo dor-
mito una notte e un d, si era desto; e trovatosi nel letto e
al buio, non sapeva immaginarsi dove egli si fusse, o in
casa sua o daltri; e seco medesimo pensando, si ricorda-
va come nelle Bertucce aveva ultimamente bevuto con
Burchiello, col Succia e col Biondo sensale; e di poi es-
sendosi addormentato, gli pareva essere stato menato a
casa sua; [24] per, gettatosi del letto, cos tentoni se ne
and dove egli pensava che fusse una finestra; ma non la
trovandovi, si dava brancolando alla cerca, tanto che gli
venne trovato un uscio del necessario: s che quivi orin,
perch ne aveva bisogno grandissimo, e fece suo agio, e
raggirandosi per la camera, se ne torn finalmente a let-
to, pauroso e pieno di strana maraviglia, non sappiendo
egli stesso in qual mondo si fusse; e seco medesimo rian-
dava tutte le cose che gli erano intervenute. [25] Ma, co-
minciandogli a venir fame, fu pi volte tentato di chia-
mare; pur poi, dalla paura ritenuto, si taceva, aspettando
quel che seguir dovesse dei fatti suoi. Lorenzo in questo
mentre avea ordinato ci che di fare intendeva, e segre-
tamente i due staffieri travestiti con due abiti da frati di
quei bianchi infino in terra, e in testa messo un capone
per uno, di quelli della via de Servi, che par che ridino,
il quale dava loro infino in su le spalle, cavati con le vesti
da frati di guardaroba, dove erano infiniti altri abiti di
pi varie sorti, e cos delle maschere ancora, che aveva-
no servito per le feste del Carnesciale; [26] e luno aveva
una spada ignuda dalla mano destra, e dalla sinistra una
gran torcia bianca accesa; e laltro portato avea seco
duoi fiaschi di buon vino, e in una tovagliuola rinvolte
due coppie di pane, e due grassi capponi freddi, e un
pezzo di vitella arrosto, e frutte, secondo che richiedeva
la stagione; e fecegli andar chetamente alla camera nella
quale era rinchiuso il medico. [27] I quali, perciocch la
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
231 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
detta camera si serrava di fuori, toccarono fuoriosamen-
te un chiavistello, e apersero in un tratto; ed entrati den-
tro, riserrarono luscio subitamente; e quel della spada e
della torcia sarrec rasente la porta, acci che il medico
non fusse corso l per aprire.
Come maestro Manente sent toccar luscio e dimena-
re il chiavistello si riscosse tutto quanto, e rizzssi a se-
dere in sul letto; ma tosto che egli vide coloro dentro co-
s stranamente vestiti, e a luno rilucer la spada, fu da
tanta meraviglia e paura soprapreso che ei volle gridare,
e morgli la parola in bocca. [28] E attonito e pieno di
stupore, temendo fortemente della vita, attendeva quel-
lo che dovesse avvenire di lui; quando egli vide laltro,
che aveva la roba da mangiare, distender quella tova-
gliuola sopra un desco, che era dirimpetto al letto, e di-
poi porvi suso il pane, la carne, il vino, cos i fiaschi e
tutte laltre cose da toccar col dente, e accennargli che
andasse a mangiare. [29] Laonde il medico, che vedeva
la fame nellaria, si rizz ritto, e cos come era in camicia
e scalzo savvi in verso le vivande; ma colui, mostratogli
un palandrano e un paio di pianelle che erano in su uno
lettuccio, fece con cenni tanto, che maestro Manente si
misse luno e laltro, e cominci a mangiare con la mag-
gior voglia del mondo. [30] Allora coloro, aperto
luscio, n un baleno suscirono di camera; e serratolo
dentro a chiavistello, lo lasciarono senza lume, e se ne
andarono a spogliarsi e a ragguagliare il Magnifico.
Maestro Manente, trovata la bocca al buio, con quei
capponi e con quella vitella, e beendo al fiasco, alz il
fianco miracolosamente, fra s dicendo: Tutto il mal
non si sar mio: or sia che vuole, io so che sio ho a mo-
rire, che io morr oggimai a corpo pieno . [31] E ras-
settato cos il meglio che egli potette le reliquie avanza-
te, le rinvolse in quella tovagliuola, e tornssene al letto,
parendogli strano lo essere qui solo al buio, e non sapere
dove, n come, n da cui vi fosse stato condotto, n
232 Letteratura italiana Einaudi
quando se ne avesse a uscire; pure, ricordandosi di quei
caponi di carnesciale che ridevano, rideva anchegli fra
se stesso, piacendogli molto la buona provvisione. [32]
E sopra tutto il vino lodava assai, avendone bevuto poco
men dun fiasco; e sperando fermamente queste cose
dovergli esser fatte da suoi amici, teneva per certo di to-
sto avere quindi a uscire e ritornarsene al mondo; e cos
con questi dolci pensieri si addorment.
[33] La mattina per tempo il servigiale, fattosi alla fi-
nestra, disse pubblicamente alla vicinanza e allorafo co-
me la notte il maestro sera riposato comodamente, e
che il gavocciolo veniva innanzi, e che egli, aiutandolo
con le farinate, vaveva buona speranza. Venuta la sera,
il Magnifico, per seguitar la beffa, sendosegli porto bel-
lissima occasione e molto al proposito, fece intendere al
Monaco e al servigiale quel tanto che far dovessero; [34]
e questo fu che il giorno in su la terza un cozzone che si
chiamava il Franciosino, maneggiando e correndo un
cavallo in su la piazza di Santa Maria Novella, venne a
cadere con esso insieme; e come si andasse il fatto, egli
roppe il collo, e il cavallo non si fece male alcuno. [35]
Onde le persone, correndo l per aiutarlo rizzare, trova-
rono che egli non aveva sentimento; perci, presolo di
peso, lo portarono l presso nello spedale di San Pagolo;
e spogliatolo per vedere di rinvenirlo, lo trovarono mor-
to, e diniccolato il collo. Per la qual cosa, fatto danari di
quei pochi panni che egli aveva addosso, alcuni suoi
amici, per lo essere forestiere, a i frati di Santa Maria
Novella dopo il vespro lo fecero sotterrare, che per sorte
lo messero in un di quelli avelli fuori in su le scalee di-
rimpetto alla porta principale della chiesa. [36] Il Mona-
co e il compagno avendo inteso lanimo di Lorenzo, la
sera in su lAvemaria si fece il servigiale gridando alla fi-
nestra, con dire che al medico era venuto un accidente
di maniera grave, che egli ne dubitava, e che quel gavoc-
ciolo gli aveva s stretto la gola che ei non poteva a mala
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
233 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
pena raccrre lalito, non che favellare. [37] Per la qual
cosa comparendo quivi il cognato, volea pur fargli fare
testamento, ma il servigiale gli disse che per allora non vi
era ordine; e cos restarono daccordo che la mattina,
sentendosi egli da ci, di fargli far testamento, confes-
sarlo e communicarlo.
[38] Venne intanto la notte, e come furono passati i
due terzi, e i due staffieri, andatisene segretamente per
commissione del Magnifico in sul cimitero di Santa Ma-
ria Novella, di quello avello nel quale era stato sotterrato
il giorno cavarono il Franciosino; e levatoselo in spalla,
lo portarono nella via de Fossi a casa maestro Manente;
e il Monaco e il servigiale, che aspettavano alluscio, lo
presero chetamente e lo misero drento, e gli staffieri se
ne andarono, non sendo stati veduti da persona. [39] Il
Monaco e il servigiale, fatto un gran fuoco e bevuto mol-
to bene, fecero a colui morto una veste dun bel lenzuo-
lo nuovo; e fasciatogli la gola con stoppa unta, e fattogli
con le battiture il volto enfiato e livido, lo acconciarono
disteso sopra una tavola nel mezzo del terreno; messogli
un berrettone in testa che soleva portare le pasque mae-
stro Manente, e copertolo tutto di foglie di melarancio,
se ne andarono a dormire.
[40] Ma non s tosto fu venuto il giorno, che il servi-
giale, piangendo, fece intendere al vicinato e a chi passa-
va per la via come maestro Manente in sul fare del d era
passato da questa vita presente; s che in un tratto si
sparse per Firenze la voce; onde lorafo, avendolo inte-
so, corse l subito, e dal servigiale seppe particolarmen-
te il tutto. E perch non vi era altro rimedio, consultaro-
no di farlo la sera sotterrare; e cos lorafo lo fece
intendere alli uffiziali della sanit, e restarono per le
ventitr ore, avendolo anco fatto sapere ai frati di Santa
Maria Novella e ai preti di San Pagolo, tanto che al tem-
po deputato fu ognuno a ordine. [41] E i becchini degli
ammorbati, poi che i frati e i preti del populo furono
234 Letteratura italiana Einaudi
passati, lontani un buon pezzo seguitando dietro, di casa
e di terreno presono il Franciosino cozzone in cambio di
maestro Manente medico, stimandolo lui indubitata-
mente; e cos da ciascuno che lo vide fu tenuto, parendo
bene a tutti quanti trasfigurato; ma ci pensavano che
cagionato fusse dalla malattia, dicendo lun laltro:
Guarda come egli chiazzato: so dir che egli stato del
fine . [42] E cos senza intrare in chiesa, dove i frati e i
preti, cantanto ancora, facevano le solite cirimonie, nel
primo avello che trovarono sopra le scale lo gittarono a
capo innanzi; e riserratolo, se ne andarono alle loro fac-
cende, stati veduti da mille persone, che turandosi il na-
so, e fiutando chi aceto e chi fiori o erbe, erano stati di
lontano a riguardare lesequie di maestro Manente, cre-
duto lui veramente da ciascuno. [43] E fu loro agevole a
contraffarlo, perciocch allora tutti gli uomini andavano
rasi; e poi il vederlo uscir di casa sua, e con quel berret-
tone che gli copriva mezzo il viso, non ne fece dubitare a
persona. Lorafo, poi che il morto fu uscito di casa e sot-
terrato, raccomand la casa e la roba al servigiale; e
partssi per mandargli da cena e del buono, affine che
con pi diligenza e amore facessi il debito; [44] e cos
mand uno a posta alla sorella, che le dicesse che non
venisse altrimenti in Firenze, perch il marito era di gi
morto e sotterrato, e che lasciasse a lui il pensiero e la
cura della casa, e di quello che vi era drento; e che, dan-
dosi pace, attendesse a vivere allegramente, allevando
con affezione quel suo piccolo figliuolino. [45] Venne la
notte, e il Monaco, poi che egli ebbe cenato molto bene,
avendo cura di non esser veduto, lasci solo il servigiale,
e andssene chetamente a casa sua; e il giorno poi, tro-
vato Lorenzo, ridendo insieme della beffa che succedeva
miracolosamente, ordinarono tutto quello che far si do-
vesse per recarla a fine.
[46] E cos, passati quattro o sei giorni, non sendo
per mancato di far portare da mangiare grassamente al
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
235 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
medico sera e mattina da quei due travestiti con quei
dua caponi che ridevano, nel modo medesimo della pri-
ma volta, una mattina quattro ore innanzi giorno, per
commessione del Magnifico, fu aperta la camera da quei
dua caponi. [47] E fatto levare il medico, cos accennan-
dolo li fecero vestire una camiciuola di suguantone ros-
so, e cos un paio di calzoni lunghi alla marinaresca del
medesimo panno; e messogli un cappelletto in testa alla
greca, gli cacciarono le manette; e gittatogli quel palan-
drano in capo, e ravviluppatoglielo in modo che veder
non poteva lume, lo cavarono di quella camera e guida-
ronlo nel cortile, tanto doloroso e s pieno di paura che
egli tremava di maniera che pareva che gli pigliasse la
quarantana; [48] e cos alzatolo di peso, lo missero in
una lettiga, la quale portavano due muli gagliardissimi; e
serratola molto bene, in guisa che di dentro aprir non si
poteva, lo avviarono in verso la porta alla Croce, guidan-
dola i due staffieri vestiti con i panni ordinari; allo arrivo
de quali ella fu subito aperta, s che camminarono via
allegramente.
[49] Maestro Manente, sentendosi portare, e non sa-
pendo n da chi n dove, stava pauroso e pieno di mera-
viglia: ma udendo poi, facendosi giorno, le voci dei con-
tadini e il calpestio delle bestie, dubitava di non sognare;
pure, ingegnandosi di far buon cuore, confortava se
stesso. [50] Coloro, senza favellar mai che sentirgli po-
tesse, attesero a camminare; e cos, avendone portato,
andando, e ritti, quando parve lor tempo fecero colizio-
ne, tanto che in su la mezza notte arrivarono appunto
allermo di Camaldoli, dove dal guardiano che stava alla
porta lietamente ricevuti furono; e di fatto missero dren-
to la lettiga, e adagiarono i muli; poi dal frate furono
menati per la sua camera in una anticameretta, e dindi
duno scrittoio in un salottino, dove il guardiano aveva
fatto rimurare la finestra e mettere un letticciuolo e una
tavoletta con un deschetto. [51] Eravi per sorte il cam-
236 Letteratura italiana Einaudi
mino e il necessario, e riusciva questa stanzetta sopra
una ripa profondissima e diserta, dove non capitavano
mai n uomini n animali, posta nella pi remota parte
del convento; s che di quivi non si sentiva mai romore,
se non di venti e di tuoni, e qualche campanetta sonare
lAvemaria o a messa, e chiamare i frati a desinare o a ce-
na: giudicato dalli staffieri luogo accomodatissimo. [52]
S che di fatto andati nella foresteria, dove lasciato ave-
vano la lettiga, colui ne trassero mezzo morto di fame e
di sete, senza il disagio e la paura, di sorte che appena si
reggeva in su le gambe; e ravviluppatogli il capo, quasi
di peso lo condussero in quel salotto; e postolo sopra il
letto a sedere, non gli avendo ancor cavato le manette, lo
lasciarono stare; [53] e usciti di quindi, se ne andarono
in camera del guardiano, dove per suo comandamento
vennero subito due conversi, acciocch, veggendo, im-
parar potessero quel tanto che egli avessero a fare nel
governare e dar mangiare e maestro Manente, non
ostante che dal Magnifico ne avessero avuto particolar-
mente avviso.
[54] Gli staffieri intanto si erano vestiti gli abiti che
portati avevano, con glistessi caponi da ridere, con la
spada e con la torcia; e finalmente nellistesso modo che
facevano a Firenze al medico portarono da mangiare
una grossa cena, che fatto aveva apparecchiare il frate.
Subito che maestro Manente vide apparire quei due ca-
poni nella solita guisa, si rallegr tutto quanto; e quello
delle vivande, tosto che egli lebbe distese in su la tavo-
letta, and alla volta sua, e cavgli le manette, accennan-
dolo che andasse a far lusanza. Maestro Manente, affa-
mato e assetato, si cal che parve un marangone,
mangiando e beendo a pi potere. [55] Allora coloro,
aperto luscio, ne uscirono in un tratto e lasciaronlo al
buio. I conversi, per veder bene ogni cosa, se nerano
andati sul palco di sopra, e levatone un mattone pian
piano, e per quella fessura avevano veduto laggiuso ogni
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
237 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
cosa minutamente; e venutine ove erano gli sfattieri che
si spogliavano, da loro ebbeno gli abiti e tutte le altre
bzziche; e di poi mangiato alquanto e rinfrescati, sendo
tutti quanti stracchi e sonnacchiosi, se ne andarono a ri-
posare. [56] La mattina, non per troppo a buon otta le-
vatosi gli staffieri, feciono colizione; e ricordato al guar-
diano e ai conversi che tenessero sempre i medesimi
termini nel portargli sera e mattina la provenda, preso li-
cenzia, se ne tornarono con la lettiga a Firenze, e piena-
mente dogni cosa ragguagliarono il Magnifico, che ne
prese piacere e contento grandissimo.
[57] Venne intanto il tempo che il servigiale ebbe for-
nito la guardia, s che, pagato dallorafo, e consegnatoli
la roba, se ne torn a Santa Maria Nuova, e la moglie di
maestro Manente se ne torn a Firenze vestitasi da ve-
dova; e con il suo figliuolino e con la serva, avendo for-
nito di piagnere la morte del marito, si viveva assai com-
modamente. [58] I frati conversi, come veduto avevano,
ogni sera e ogni mattina portavano in sur unotta da
mangiare al medico; il quale, per non poter fare altro, at-
tendeva solamente a empiere il ventre e a dormire, non
veggendo mai lume, se non quando coloro gli portavan
la vettovaglia. E non sapendo immaginarse ove egli fus-
se, n chi fossero coloro che lo servivano, temeva di non
essere in qualche palazzo incantato: pure attendeva a
mangiare e bere a macca, e a far gran sonni e, quando
egli era desto, castelli in aria.
[59] In questo mezzo accadde a Lorenzo, per certe
faccende di grandissima importanza intorno al reggi-
mento e al governo della citt, partirsi di Firenze, dove
stette parecchi mesi a ritornare; e di poi occupato da ne-
gozi importantissimi, stette un pezzo che non si ricorda-
va pi di maestro Manente; se non che un giorno, fra gli
altri, gli venne veduto per sorte a cavallo uno di quelli
monachi di Camaldoli che fanno le faccende del con-
vento; e di fatto gli torn nella mente, e ricordssi del
238 Letteratura italiana Einaudi
medico. [60] Sicch, fattolo chiamare e da lui inteso co-
me laltra mattina si partiva per tornarsene allermo, gli
fece il Magnifico una lettera e imposegli che per sua par-
te la presentasse al guardiano. Il monaco la prese reve-
rentemente e disse che lo farebbe molto volentieri; e co-
s poi a luogo e tempo fece.
[61] Erano in questo mentre accadute varie cose: pri-
ma, la moglie di Manente si era, in capo di sei mesi, ri-
maritata a un Michelangelo orafo, compagno di Nicco-
laio fratello di lei, il quale ne laveva molto consigliata e
pregatola strettamente, avendo in su questo parentado
raffermo la compagnia per dieci anni; per la qual cosa
Niccolaio si era toranto secon in casa, accordatosi con i
Pupilli a tenere il putto; e preso le masserizie per inven-
tario si viveva allegramente con la sua Brigida, ch cos
aveva nome la donna, e di gi laveva ingravidata. [62] Il
guardiano, udendo che il Magnifico si era partito senza
avergli fatto intendere altro, seguitava lordine; e perch
molto glincresceva di maestro Manente, come ne venne
il freddo lo provvidde di brace, facendogliene portare
parecchi sacca, e votargliene in un canto della stanza da
quei caponi che lo servivano, e accendegliene nel cami-
no; e ancora gli fece portare pianelle e panni da vestire e
da coprirsi sul letto. [63] E cos avendo fatto bucare il
palco di sopra, gli fece acconciare una lampanetta, che
d e notte sempre stava accesa, di maniera che rendeva
la stanza alquanto luminosa. Laonde il medico scorgeva
quello che egli mangiava e ci che egli faceva, tanto che,
per rimeritare in parte coloro che gli facevano quel co-
modo, ancora che non sapesse chi egli si fossero, canta-
va sovente certe canzonette che egli era solito cantare a
desco molle in compagnia de suoi beoni, e diceva qual-
che volta improvviso. [64] E perch egli aveva bella vo-
ce e buona pronunzia, recitava spesso certe stanze di
Lorenzo, che nuovamente erano uscite fuora, chiamate
Selve dAmore; di che pigliavano i conversi e l guardia-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
239 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
no, che solamente poteano udirlo, maraviglioso piacere
e contento. E cos in questa guisa sandava trattenendo il
meglio che egli poteva, quasi affatto perduta la speranza
di aver mai pi a rivedere il sole.
[65] Venne intanto colui che port la lettera del Ma-
gnifico al padre guardiano, per la quale egli intese pie-
namente tutta la voglia e lordine di Lorenzo; ch il gior-
no medesimo ai conversi impose che la notte medesima
due o tre ore innanzi giorno menassero via colui, e disse
loro dove, e come, e in che modo lo lasciassero. I quali,
quando tempo fu, vestiti alla maniera usata, ne andaro-
no al medico; e fattolo levare del letto, coi cenni lo con-
dussero a vestirse quellabito alla marinaresca; e di poi,
messogli le manette e un mantellaccio con un capperuc-
cione infino al mento, lo menaron via. [66] Maestro Ma-
nente a questa volta pens che fusse venuto il termine
alla vita sua, e di non aver mai pi a mangiar pane; e do-
loroso fuor di modo, per non far peggio, lasciava guidar-
si da coloro. I quali, due ore o pi, fortemente cammina-
to avevano per boschi sempre e per tragetti, tanto che si
condussero vicini alla Vernia, dove al pedale dun gran-
dissimo abeto in una profondissima valle legarono con
le vitalbe il medico. [67] E di poi cavatogli quel mantel-
laccio di dosso, gli tirarono il cappelletto in su gli occhi,
e trattogli le manette nel modo divisato, lo lasciarono le-
gato a quellarboro e fuggiron via come vento; e per gli
medesimi tragetti, bench spento avessero la torcia, se
ne tornarono a Camaldoli, senza essere stati veduti da
persona niuna.
[68] Maestro Manente, solo rimaso e legato lenta-
mente, ancora che paurosissimo, stato alquanto in orec-
chi e non sentendo romore n strepito nessuno comin-
ci a tirare le mani a s, e agevolmente ruppe quella
vitalba; s che di fatto levatosi il cappello din su gli oc-
chi, e alzandogli in suso, vide tra albero e albero una
parte del cielo stellato; onde, allegro e maraviglioso, co-
240 Letteratura italiana Einaudi
nobbe fermamente dessere al largo e allo scoperto. [69]
E rigirando gli occhi pi fissamente, perch gi si co-
minciava a far d, vide gli abeti intrnosi e lerba sotto i
piedi; per lo che egli fu certo dessere in un bosco: pur,
temendo di qualche cosa nuova e strana, stava fermo e
cheto, cotal che a gran pena respirava per non esser sen-
tito, parendogli sempre vedersi addosso quei caponi da
far ridere, che gli rimettessero le manette e rimenassinlo
via. [70] Pur poi, facendosi giorno alto e chiaro, e gi
cominciando il sole coi lucenti raggi suoi a illuminar per
tutto, e non veggendosi intorno n uomini n animali, su
per uno stretto sentiero si diede a camminare in verso
lerta, per uscir di quella valle, conoscendo veramente
dessere ritornato al mondo. Ma egli non and oltre un
quarto di miglio, che in su la cima arrivato del monte ca-
pit in una strada molto frequentata, per la quale vide
venire verso s un vetturale con tre muli carichi di bia-
da; [71] sicch, fattosegli incontro, e domandatolo del
paese e come si chiamava il luogo dove egli era, gli fu da
colui risposto prestamente esser la Vernia; e poi gli dis-
se:
Diavol, che tu sia cieco, non vedi tu l San France-
sco? E mostrgli la chiesa l sopra il monte, vicnagli a
poco pi di due balestrate. [72] Maestro Manente, rin-
graziatolo, riconobbe subito il paese, perch pi volte
con i sua amici vera stato a sollazzo; e rendendo grazie a
Dio, lev le mani al cielo, che gli pareva esser rinato; e
preso la via in su la man destra, se ne and alla volta del
convento vestito con quei panni rossi che pareva un ma-
rinaio: dove giunto a buon ora, trov esservi venuto un
gentiluomo milanese di Firenze a spasso, con un suo
compagno pur di Milano, e co cavalli e servidori, per
visitare quei luoghi santi dove fece penitenzia il devoto
san Francesco. [73] E perch la sera dinanzi si era,
sdrucciolando, aperto un piede, onde poi raffreddato, la
notte gli era cominciato a enfiare e dolere in guisa che la
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
241 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
mattina non lo poteva muovere, n per la pena toccarlo-
si a fatica, sicch restar nel letto gli convenne, e appunto
per i conforti de frati voleva mandare a Bibbiena per un
medico; [74] quando maestro Manente, salutatogli, pri-
ma udito la cagione del male di quel gentiluomo, disse
loro che non bisognava mandare altrimenti per medici, e
che dava a lui il core, prima in termine dun ottavo dora
di levargli il dolore, e poi che laltro giorno vegnente sa-
rebbe guarito affatto. [75] Maestro Manente, ancora
che fosse vestito stranamente, aveva bella presenza non-
dimeno e buona favella, di sorte che il milanese gli cre-
dette; per la qual cosa, facendosi egli arrecare da i frati
dellolio rosato e della polvere di mortine, fattogli prima
la medicina dellaperto, e rimessogli losso al luogo suo,
gli unse molto bene e impolvergli il piede, e fasciglie-
ne strettamente: [76] gli fece restare subito il duolo, tan-
to che la notte colui dorm riposatamente, che la notte
passata non aveva mai potuto chiudere occhi, di modo
che la mattina, levatosi, si trov libero in guisa che egli
posava non pure il piede in terra, ma camminava agevol-
mente; s che, fatto sellare i cavalli, e bevuto un tratto
con i frati, don due ducati di moneta al medico e si
part per la volta di Firenze.
[77] Maestro Manente, allegro, fatto anchegli carit
con i frati, tolse comiato da loro e prese la via verso Mu-
gello per andarsene alla sua villa, dove, camminando ga-
gliardamente, giunse la sera appunto al tramontar del
sole; s che, chiamato ad alta voce il lavoratore per no-
me, gli fu tosto da un contadinello risposto che egli era
tornato in un altro podere discosto un buon pezzo. [78]
Parve al medico questa risposta strana, non si potendo
dar pace che la moglie senza suo consentimento gli aves-
se dato licenza e allogato di nuovo; pure a colui disse
che chiamasse suo padre, al quale fece intendere come
egli era amico grandissimo delloste suo, e perci lo pre-
gava che per la sera fusse contento di volergli dare allog-
242 Letteratura italiana Einaudi
gio. I l contadino, veggendolo vestito in quella foggia,
ebbe anzi che no sospetto, e non si risolveva a risponde-
re. [79] Ma maestro Manente seppe tanto ben dire e
persuaderlo, che egli fu contento, e lo accett, riconfor-
tato che egli non gli vedeva arme addosso, fatto avendo
pensiero nondimeno di mandarlo alla capanna: cos,
menatolo in casa, sendo apparecchiato il desco, cenaro-
no magramente. [80] Maestro Manente, deliberato di
non scoprirsi, non domandava di nulla in quanto al po-
dere e alla moglie; ma veggendo col sopra una tavoletta
calamaio e fogli, perci che colui era rettore del popolo,
chiese da scrivere, e fugli portato; s che egli fece una let-
tera alla moglie brevemente, e voltatosi a quel contadi-
nello giovane, disse:
Io ti dar un carlino, e vo che domattina per tempo
tu vada a Firenze e dia questa lettera in mano alla tua
ostessa, e farai poscia quanto ella ti dir .
[81] Colui, con licenza del padre, fu contento; e me-
natone il medico alla paglia, lo serr nella capanna.
Maestro Manente, sopportando con pazienza, diceva se-
co stesso: Domani mi ti caverai tu la berretta, e arai di
grazia, di servirmi ; e acconcissi fra quella paglia il
meglio che potette, attendendo a dormire.
[82] La mattina, tosto che egli cominci a biancheg-
giar laria, quel contadinello, avuto avendo la sera il car-
lino e la lettera, prese la via verso Firenze; e giunse in
sullora del desinare a casa loste, e a mona Brigida pre-
sent la lettera di colui; la quale da lei prestamente aper-
ta, le parve di conoscer la mano del suo primo marito;
ma poi leggendola fu da tanto dolore e da cos fatta ma-
raviglia soprappresa, che ella fu per venirsi meno, e non
sapeva in qual mondo ella si fosse. [83] E domandato il
contadinello del tempo, della statura e delleffigie
delluomo che glielaveva mandata, si fece pi maravi-
glia, e maggior dolore gli venne; sicch spacciatamente
mand la fante a bottega per Michelagnolo. Il quale ve-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
243 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
nuto, e letto la lettera, fu anche egli della sua opinione,
che quello simigliasse, anzi fusse tutto miniato lo scritto
di maestro Manente; ma sapiendo di certo lui esser mor-
to, sapeva anco di certo lo scritto esser daltra persona.
[84] E di fatto giudic colui un mariuolo, il quale tenta-
va di giuntarla per cos strana via; perciocch il contenu-
to della lettera era questo, che alla sua carissima consor-
te faceva intendere come, doppo vari e strani casi, stato
pi dun anno rinchiuso, con paura tuttavia della vita,
era finalmente per miracolo di Dio uscito dal pericolo, e
che a bocca poi le raccontarebbe particolarmente il tut-
to; [85] e che per allora le bastasse sapere come in villa
si trovava vivo e sano, e le mandava pregando che subi-
tamente, spargendo per Firenze la novella, gli mandasse
la mula, il saione e il palandrano da acqua, gli stivali
grossi e il cappello, e che facesse sapere al lavoratore
nuovo come egli era loste, sendo maestro Manente suo
marito, acciocch gli fusse aperto la casa per potere a
suo agio riposare la notte, e che laltra mattina per tem-
po ne verrebbe a Firenze a consolarla. [86] Michelan-
giolo dunque, colloroso e pien di stizza, rispose in nome
della donna, e fecegli una lettera che cantava, minac-
ciandolo, se tosto non si andasse con Dio, e che anda-
rebbe lassuso e darebbegli un carico di mazzate, o vi
mandarebbe il bargello: oltre che a bocca disse a quel
villanello che dicesse a suo padre che lo cacciasse via
con il malanno. Il contadinello si part subito, e Miche-
lagnolo si torn a bottega, lasciando la Brigida dolorosa
e piena di stupore.
[87] La mattina maestro Manente se nera andato a
spasso infino allUccellatoio, che vi erano tre miglia da
casa sua; e senza darsi a conoscere alloste, che era suo
amico, anzi dicendo di essere albenese, desin seco alle-
gramente ridendo e gongolando fra se stesso. E di poi la
sera allegrissimo, tornatosene verso casa, pensando fe-
mamente daver a esser riconosciuto per padrone, aveva
244 Letteratura italiana Einaudi
in animo di far tirare il collo a un paio di capponcelli,
che la mattina aveva veduto andar beccando su per laia.
[88] Ma non s tosto fu giunto, che il villanello, che era
gi tornato, se gli fece incontro; e senza riverenza, anzi
con mala cera gli porse la lettera, la quale non aveva so-
prascritta n sugellatura: del che si meravigli a prima
giunta e contristsse molto maestro Manente, e parvegli
principio di doloroso fine; ma poi, leggendola tutta
quanta, per lo stupore e per la doglia rimase attonito e
sbalordito, cotal che ei non pareva n morto n vivo.
[89] Intanto giunse il vecchio lavoratore, che dal figliuo-
lo per parte delloste aveva avuto la imbasciata; e a colui
disse rigidamente che facesse pensiero di alloggiare al-
trove per la sera, perci che il padrone gli aveva fatto co-
mandamento che subito ne lo mandasse con Dio. [90]
Maestro Manente, doloroso fuor di modo, sentendo da
colui darse licenzia, dal quale allarrivo della lettera pen-
sava di avere a essere riconosciuto per signore, umana-
mente rispose che se ne anderebbe; e dubitando di non
esser diventato un altro, o che non si trovasse pi dun
maestro Manente, preg quel contadino che gli dicesse
il nome del suo oste; dal quale gli fu risposto che si chia-
mava Michele Agnolo orafo, e la moglie mona Brigida.
A cui, seguitando, il medico domand se quella mona
Brigida aveva avuti pi mariti, e se ella aveva figliuoli.
[91] S rispose il villano , ella aveva prima un me-
dico, che si faceva chiamare, per quel chio nodo, mae-
stro Manente, che dicono che mor di morbo, e lascille
un figliuoletto che ha nome Sandrino.
Ohim! soggiunse il medico , che mi di tu?
E comincillo minutamente a domandare dogni par-
ticolarit; ma il lavoratore gli rispose che non gli sapeva
dir altro, sendo di Casentino, e tornato lagosto in sul
podere. [92] Maestro Manente, deliberato di non se gli
far conoscere per tale, perch egli era ancora pi di due
ore di giorno, lasciatolo, si misse a camminare alla volta
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
245 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
di Firenze, seco pensando che la moglie e i parenti, cre-
dendosi per qualche strano avviso lui dovere esser mor-
to, si fussero condotti a quel termine; perci che molto
bene conosceva Michele Agnolo orafo, compagno del
cognato. [93] E fra s, camminando di forza, faceva mil-
le pensieri, tanto che la sera assai ben tardi arriv
allosteria della Pietra al Migliaio, lontana un miglio dal-
la citt; s che per la sera alloggi quivi, dove solamente
mangiando una coppia duova affogate, se ne and al
letto, nel quale di qua e di l voltandosi non potette mai
chiudere occhi.
[94] Ma levatosi la mattina per tempo, pagato loste,
pian piano se ne venne a Firenze, e se ne entr dentro
nella guisa di sopra narratovi, talch non era conosciuto
da persona, ancora che molti conoscenti e suoi amici ri-
scontrasse per strada. S che, aggiratosi per mezzo Fi-
renze, venne a capitare nella via de Fossi, e vide appun-
to la moglie e l figliuolino entrare in casa, che tornavano
dalla messa; e sendo certo che da lei era stato veduto,
ma non fatto segno alcuno di consocerlo, mut pensie-
ro: [95] e dove egli era venuto per favellarle, se nand a
Santa Croce a trovare un maestro Sebastiano, suo con-
fessoro, pensandolo dover essere buon mezzano, che la
moglie lo riconoscesse, avendo in animo di conferirgli
ogni cosa che gli era occorso e consigliarsene seco; ma
dimandatone in convento, gli fu risposto che gli era an-
dato a stare a Bologna; per la qual cosa, quasi disperato,
non sapeva che farsi. [96] Cos, aggirandosi per Piazza,
per Mercato Nuovo e Vecchio, e riscontrato avendo, fra
gli altri conoscenti e amici, il Biondo sensale, Feo tam-
burino, maestro Zanobi della Barba, Leonardo sellaio, e
da nessuno stato riconosciuto, se nera mezzo sbigottito.
Pure, sendo gi ora di desinare, se ne and alle Bertuc-
ce, dove faceva il vino Amadore, gi suo amicissimo, a
cui chiese di grazia di voler la mattina desinar seco, e co-
s fece; ma nellultimo del desinare gli disse Amadore
246 Letteratura italiana Einaudi
che gli pareva averlo veduto altra volta, ma che non si ri-
cordava gi dove. [97] Al quale maestro Manente rispo-
ste che era agevol cosa, sendo egli stato gran tempo in
Firenze e con maestro Agostino alle stufe di piazza Pa-
della, dove, venendo da Livorno e non gli piacendo il
navicare, voleva ritornarsi a stare. E cos di una parola in
unaltra, ragionando di varie cose, fornirono di desinare;
e senza essersi dato a conoscere, accordato loste, se
nand maestro Manente, doloroso e quasi stupido che
colui non lavesse riconosciuto, deliberato di favellare la
sera a ogni modo alla moglie. [98] E cos si trattenne a
spasso tanto che gli parve otta, e se ne venne a casa sua
che erano venti tre ore e mezzo; e picchiato forte due
volte luscio, si fece la donna a vedere chi era. A cui ri-
spose il medico:
Son io, Brigida mia cara, apri.
E chi ste voi? soggiunse colei.
Maestro Manente, per non avere a favellar forte, di
modo che udisse tutta la vicinanza, rispose:
Vien giuso e intenderalo .
[99] La Brigida sentendo la voce, e parendogli anche
al viso maestro Manente, ricordatasi della lettera, non
volle andare a basso altrimenti, dubitando di qualche
cosa strana; e disse a colui:
Ditemi di cost chi voi siete, e ci che voi cercate.
Non lo vedi tu? rispose il medico , sono maestro
Manente, il tuo vero e legittimo sposo, e te cerco che sei
mia moglie.
Maestro Manente mio sposo non ste voi gi, per-
ch egli morto e sotterrato disse la donna.
[100] Come, Brigida! Morto? Io non morii mai ri-
spose il medico; e soggiunse: Aprimi, di grazia: non mi
conosci tu, anima mia dolce? Son io per s trasfigurato?
Deh! Aprimi, se tu vuoi, e vedrai chio son vivo.
Eh, che? seguit la Brigida ; voi dovete esser
quel tristo che mi scriveste la lettera ieri mattina: andate-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
247 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
vi con Dio in malora, che se il mio marito vi ci trova,
guai a voi .
[101] Erasi ragunato nella via gi un monte di perso-
ne per volere intendere questa novit: fattisi tutti i vicini
intorno alle finestre, ognuno diceva la sua. Onde mona
Dorotea pinzochera, che le stava dirimpetto a corda,
disse alla Brigida, avendo inteso da primo ogni cosa:
Guarda, figliuola mia, che questa sar lanima del
tuo maestro Manente, che andar quivi oltre faccendo
penitenzia; e per lo somiglia tutto al viso e alla favella:
chiamala un poco, domandala e scongiurala se ella vuole
nulla da te .
[102] Per la qual cosa la Brigida, credendolo mezzo
mezzo, cominci con voce pietosa a dire:
O anima devota, hai tu nulla sopra coscienzia? Vuoi
tu lufizio de morti? Hai tu a sodisfare boto niuno? Di
pur ci che tu vuoi, anima benedetta, e vatti con Dio .
A maestro Manente, ci udendo, venne quasi voglia
di ridere, dicendo pure che era vivo, e che ella gli apris-
se, ch voleva certificarla. [103] Ma colei seguitando di
domandare se ella voleva le messe di san Ghirigoro, e
segnarsi, e cos madonna Dorotea diceva anchella:
Anima dIddio, se tu sei nel Purgatorio, dillo, ch la
tua buona moglie piglier per te il giubbileo e cavertte-
ne .
[104] E faccendosi i maggior crocioni del mondo, di-
ceva a ogni poco requiescat in pace; di modo che qui-
vi intorno ognuno si cominc a segnare e discostarsi e
stare in cagnesco, che gi vi si ea ragunato un nugolo di
popoli. [105] Laonde, veggendo il medico che la Brigida
pi non lascoltava, anzi con la pinzochera insieme face-
va un segnarsi e un cinguettare maravigliso, deliber
dandarsene, perci che la gente riforzava tuttavia, e du-
bitava di non ricevere anche qualche male scherzo; e
senzaltro prese la strada verso Santa Maria Novella di
buon passo, talch tutte quante le persone da quella
248 Letteratura italiana Einaudi
parte, segnandosi a pi potere, si dierono a gridare e a
fuggire, non altrimenti che se da dovero avessero veduto
un morto risuscitare. [106] Per lo che maestro Manente,
voltato dove stanno ora i Sommai, la dette per la via del
Moro; e a mezzo volgendo per quelle viuzze, quasi cor-
rendo, perci che gli era gi buiccio, fece tanto che egli
arriv da Santa Trnita, e indi per Portarossa se nand
alle Bertucce, tuttavia guardando se gli veniva dietro il
popolo; e malcontento, non avendo altro rimedio, pen-
sava dandarsene la mattina e di ricorrere al vicario.
[107] Ma volendo far prova se Burchiello, tanto suo
amico, e il Biondo lo riconoscessero, disse ad Amadore,
postoli in mano parecchi arienti, che arebbe caro la sera,
se fosse possibile, di dar cena a Burchiello e al Biondo
sensale in sua compagnia.
S, sar bene rispose loste , lascia pur fare a me
.
E dato ordine alla cucina, preso il mantello, se nand
a San Giovanni, dove trov il Biondo; [108] e menllo
seco, dicendo che voleva la sera darli cena in compagnia
dun forestiero e di Burchiello; il quale trovarono a casa
e bottega nel Garbo: con cui poche parole bisognarono
a svolgerlo, perci che, come glintese davere a cenare a
macca, nebbe pi voglia di loro; s che allun ora si tro-
varono tutti nelle Bertucce, sendo l dottobre vicino
AllOgnissanti. [109] Burchiello a prima giunta gli parve
di riconoscere maestro Manente, e maggiormente uden-
dolo poi favellare: il quale Burchiello fece gratissima ac-
coglienza, dicendoli come della sua fama innamorato,
per torvarsi seco, era stato forzato di richieder loste che
lo invitasse a cena, e darli in compagnia il Biondo, tanto
buon compagno e tanto suo amico. [110] Burchiello lo
ringrazi assai, e cos in una stanza separata e ordinata
per loro si missero a tavola; dove per aspettare certi pip-
pion grossi e tordi che si stagionassero, entrarono in vari
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
249 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
ragionamenti, nei quali maestro Manente compose loro
una favola della vita sua, e come fusse quivi capitato.
[111] Aveva gi Burchiello detto al Biondo che non
aveva mai veduto uomini somigliarsi tanto, quanto face-
vano lui e maestro Manente; e li soggiunse:
Se io non sapessi di certo lui esser morto, direi che
e fosse desso senza dubbio alcuno ; e il simile confer-
mava il Biondo.
[112] Intanto loste, sendo gi ogni cosa in ordine, fe-
ce venire linsalate e l pane con due fiaschi di vino che
smagliava. Sicch, lasciati i ragionamenti, si dierono a
mangiare, sedendo di dentro Burchiello e Amadore, e di
fuori maestro Manente e l Biondo; e cos cenando tene-
va Burchiello sempre locchio addosso al medico, e nel
bere la prima volta, li vide fare lusanza di maestro Ma-
nente, che sempre due bicchieri beeva pretto alla fila in
su linsalata, e dopo lannacquava ogni volta; di che si
maravigli fuor di modo. [113] Ma poi, venendo i pip-
pioni e i tordi in tavola, dove al primo tratto spicc a
quelli e mangissi i capi, i quali sommamente gli piace-
vano di tutti quanti gli animali, fu tutto quanto tentato
di scoprirsi; pur poi si ristette, per certificarsi meglio.
[114] Ora, venendone le frutte, che furono pere semen-
tine, uve sancolombane, e raviggiuoli bellissimi, fu certo
affatto; perci che il medico, mangiato pere e uve sola-
mente, aveva fornito la cena senza avere mai tocco ravig-
giuoli, ancora che coloro gliene avessero lodati assai, co-
me colui che non ne mangiava avendoli tanto in dispetto
e a schifo, che prima arebbe mangiatosi delle mani; il
che sapeva ottimamente Burchiello. [115] S che, certis-
simo oramai, quasi ridendo li prese la mano sinistra, e
mandatoli alquanto in suso la manica della camiciuola, li
venne a vedere rasente il polso una voglia di porco salva-
tico; onde disse ad alta voce:
Tu sei maestro Manente, e non puoi pi nasconder-
ti ; e gittatoli le braccia al collo, labbracci e bacillo.
250 Letteratura italiana Einaudi
[116] Il Biondo e loste, spaventati e ritiratisi alquan-
to indietro, istavano a vedere quel che diceva colui. Il
quale rispose:
Tu solo, Burchiello, tra tanti amici e parenti mi hai
riconosciuto: io son, come tu hai detto, maestro Manen-
te, e non morii mai, come crede mgliama e tutto Firen-
ze .
Erano coloro diventati bianchi come cenere: Amado-
re si segnava, e l Biondo, gridando, si voleva fuggire; e
ne temevano, come si fa delli spiriti e de morti, quando
si vedessero risuscitati. [117] Ma Burchiello disse loro:
Non abbiate paura: palpatelo e toccatelo. Gli spiriti
e morti non hanno n polpe n osse, come vedete aver a
lui: oltre chegli ha mangiato e beuto in vostra presenza
.
Maestro Manente diceva pure:
Io son vivo, non dubitate, non temete, fratelli, ch
io non ho gi mai provato la morte; e di grazia ascoltate-
mi, che io vi voglio far sentire una delle pi maravigliose
cose che si udissero giammai, poi che fu chiaro il sole .
[118] E con Burchiello tanto fece e disse, che loste e
l Biondo si riassicurarono un poco. Onde, chiamati i
garzoni, e fatto levare via di tavola ogni cosa, eccetto che
il vino e il finocchio, e detto loro che cenassero, e non
venissero suso altrimenti se non fossero chiamati bene,
attentamente ascoltando, tutti desiderosissimi dudir co-
se nuove, cominci a favellare maestro Manente; e fatto-
si da principio poi chegli fu lasciato addormentato in
sul pancone, ordinatamente raccont tutto quello che
per infino allora gli era intervenuto, talch pi volte gli
aveva fatti maravigliare e ridere insieme. [119] Ma poi
chegli ebbe fornito il suo ragionamento, Burchiello, che
era cima duomo, subito disse:
Questa stata trama del Magnifico Lorenzo .
Coloro tutti si contrapponevano, dicendo ci esserli
avvenuto per via di streghe e di mala e per forza din-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
251 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
canti. Ma Burchiello, stando nel suo proposito, diceva
pure:
[120] Ognuno non conosce quel cervello: non sape-
te voi chegli non comincia impresa che egli non finisca,
e non ha mai fatto disegno che egli non abbia colorito?
E non gli venne mai voglia che e non se la cavasse? Egli
il diavolo laver a far con chi sa, pu e vuole . E se-
guit rivolto a maestro Manente: [121] Io me lindovi-
nai sempre, perch egli ti avessi a fare una burla simile,
dallora in qua, che dicendo seco improvviso a Careggi,
tu li facesti quella villania: maestro Manente, i prncipi
son prncipi, e fanno di cos fatte cose spesso a nostri
pari, quando vogliamo stare con esso loro a tu per tu .
[122] Il medico si scusava con dire che le Muse han-
no il campo libero, e che aveva mille ragioni; ma, consi-
derando la cosa in s e le parole di Burchiello, ne venne
a dubitare, e crederle un certo che. Ma poi che essi eb-
bero per buono spazio ragionato sopra i casi di maestro
Manente, egli si fece narrar da loro tutto quello che era
seguto intorno alla peste e alluomo che in vece di lui
era di casa sua uscito morto col gavocciolo nella gola;
della qual cosa non si poteva dar pace, e coloro vi si ag-
giravano di cervello, n Burchiello vi poteva trovare sti-
va. [123] Ma nella fine, facendosi tardi, chiese parere e
consiglio con esso loro maestro Manente, in che modo si
avesse a governare di questa involtura, parendoli troppo
strano avere a perdere le carni e la roba; ma poi che
molte vie e modi da coloro trovati furono, restorono che
il medico se ne dovesse andare in Vescovado. Nellulti-
mo, preso luno dallaltro licenzia, maestro Manente se
nand a stare con Burchiello; perci che gli altri non
erano ancor ben chiari, e avevanne, anzi che no, un po
di pauriccia.
[124] In questo stante era tornato a casa Michelagno-
lo, e dalla Brigida avuto ragguaglio di tutto il seguto, af-
fermandoli di certo averle paruto sentire la favella e ve-
252 Letteratura italiana Einaudi
dere il viso di maestro Manente, che si conformava colla
opinione di mona Dorotea, che ella fusse lanima sua
che avesse bisogno di qualche bene per uscire di Purga-
torio.
Che anima, che Purgatorio di tu? rispose Miche-
lagnolo . Balorda! Costui un tristo e un mariuolo, e
facesti da savia a non gli aprire .
[125] Pur, maraviglioso fuor di modo, non si poteva
immaginare a che fine colui se lo facesse e dove egli si
volesse nellultimo riuscire, ognaltra cosa stimando fuor
che maestro Manente potesse esser mai risuscitato e vi-
vo; e per fermo teneva che colui, non sendogli riuscito il
primo disegno, non si dovesse lasciar pi rivedere. [126]
La mattina a buon ora, avendo Burchiello fatto levare
maestro Manente, la prima cosa li fece lavar la testa e ra-
derlo secondo lusanza di quei tempi; e di poi, vestito
dal capo a i piedi de suoi panni, che parevano proprio
stati tagliati a suo dosso, se ne usc seco fuori per farlo
vedere e conoscere alla gente. Andato a Santa Maria del
Fiore, alla Nonziata, in Mercato Vecchi e Nuovo, e in
Piazza, fu veduto da tutto il popolo, e da molti cono-
sciuto e fattoli motto, sendosi di gi sparsa la fama, per
bocca del Biondo e dAmadore, comegli era vivo e rivo-
leva la moglie e la roba. [127] Avevanlo veduto Nicco-
laio e Michelagnolo, ed era veramente paruto lor desso;
pur, sapendo chegli era morto, si riconfortavano che
egli non poteva essere; e avendo inteso come se ne vole-
va andare in Vescovado, serano apparecchiati alla dife-
sa, ed erano andati agli uffiziali della peste, al libro della
sagrestia di Santa Maria Novella, allo speziale donde si
lev la cera, ai becchini e alla vicinanza, e fattosi far fede
come maestro Manente in casa sua era morto di morbo
e sotterrato.
[128] Era per Firenze questo fatto a tutte quante le
persone maraviglioso, e molti che lavevano veduto an-
dare alla fossa restarono stupiti, temendo di qualche ca-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
253 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
so strano. Maestro Manente, poi che egli fu tornato a ca-
sa, e chegli ebbe desinato, se nand con Burchiello in
Vescovado, e al vicario cont tutta la querela, nella fine
della quale chiedeva di riavere la moglie. [129] Il vica-
rio, parendoli cosa maravigliosa, per intenderne la verit
fece citare laltra parte; sicch, udendo le ragioni di Nic-
colaio e di Michelagnolo, e veggendo tante fedi e di tan-
ti uomini da bene, rimase sbalordito e confuso; e poich
in tal causa vi si era intervenuto un morto, non potendo
rinvenir n dalluna parte n dallaltra chi egli si fusse
stato, n come entrato in casa del medico, ebbe per cer-
to che tra loro fosse nato omicidio, e loro fece segreta-
mente intendere alli Otto; i quali, prestamente mandata-
li la famiglia, li trov che quistionavano ancora, s che
tutti li prese, dal Burchiello in fuori, e ne li men al Bar-
gello. [130] La mattina, poi che lUffizio fu ragunato, si
fecero il primo tratto venire innanzi maestro Manente, e
cominciaronlo a minacciare aspramente di volergli dare
della fune se non dicesse loro la verit. Per la qual cosa
maestro Manente, fattosi da principio, distintamente
per infino alla fine disse loro tutto quello che gli era in-
tervenuto, di maniera che da sei volte in su gli aveva fat-
ti ridere. [131] Di poi, fattolo rimettere in prigione,
mandarono per Niccolaio, il quale raccont loro la ve-
rit di quanto egli sapeva; e da Michelagnolo inteso an-
che il simile, e per certificazione delle loro parole mo-
stravano le fedi, pensando certo che l morto fusse stato
maestro Manente. Ma sentendo gli Otto del servigiale
che vera stato a governarlo e a smorbar la casa, si pensa-
rono poter trovare il bandolo agevolmente di questa ma-
tassa scompigliata, e mandarono di fatto un lor famiglio
correndo a Santa Maria Nuova per lui. [132] Ma dallo
stesso famiglio intendendo poi come il detto servigiale,
avendo fatto quistione con un altro, e feritolo con un
paio di forbice nel viso, se nera per paura di messere
andato con Dio, n mai sera saputo dove si fusse arriva-
254 Letteratura italiana Einaudi
to, rimasero pi confusi che prima. [133] Vedete se alla
beffa successe ogni cosa felicemente! Laonde gli Otto,
fatto rimettere coloro in prigione, commessero ai loro
ministri che diligentemente riscontrassero quelle fedi, e
per quanto si poteva, ricercassero ancora se maestro
Manente aveva detto la verit; i quali in capo di due o
tre giorni rapportarono come tutti avevan detto il vero;
per la qual cosa lUffizio ne stava malcontento e pi me-
raviglioso che mai.
[134] In questo tanto Burchiello, per aiutar maestro
Manente, aveva trovato a casa uno de principali di quel
Magistrato, e suo e del medico grandissimo amico; e
narratogli come quella era trama del Magnifico Loren-
zo, e come tutto fatto aveva per fare al maestro quella
bella beffa (e dissegli a che fine), e per pi ragione mo-
stratogliene, fece tanto che lo tir nella sua opinione,
conchiudendo fra s che per niuno altro modo che per
via di Lorenzo non potesse in Firenze essere intervenuto
un caso simile. [135] Per la qual cosa, parlando una
mattina nellUffizio sopra questa causa, disse che li pare-
va fusse bene scriverne al Magnifico, che si trovava al
Poggio, e rimetterla in lui, per lo essere querela tanto in-
tricata, e malagevole a darvi sentenzia sopra che buona
fusse. Piacque a tutti quanti sommamente questo suo
parere, dicendo che, oltre laverne egli piacere grandissi-
mo, e ser appunto giudice ottimo di s fatte cause.
[136] Cos daccordo commisero al cancelliere che
dogni cosa per infino allora occorsa in cotal causa mi-
nutamente lo ragguagliasse, e come la lite era rimessa
nella sua Magnificenza; e tanto fu fatto, e il giorno me-
desimo mandarono la lettera; e fattisi venire i prigioni
innanzi, comandarono loro che niuno fusse ardito dap-
pressarsi a cento braccia nella via de Fossi, n di favella-
re alla Brigida sotto pena delle forche, infino a tanto che
la lite non fusse giudicata, la quale avevano rimessa nel
Magnifico, che tosto sarebbe nella citt, e li licenziaro-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
255 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
no: i quali, pagato le spese, se nandarono alle lor fac-
cende, sperando ciascuno che la sentenza dovesse venire
in suo favore.
[137] Sendosi dunque questa cosa divulgata per tutto
Firenze, ognuno faceva le maraviglie; e la Brigida mesta
e malcotenta quanto ella poteva, le pareva millanni di
vederne la fine. Maestro Manente, tornandosi con Bur-
chiello, attendeva a medicare; e cos gli orafi allarte lo-
ro. [138] Il Magnifico, avendo avuto la lettera degli Ot-
to, aveva tanto riso e tanto, che gli era stato una
maraviglia, parendogli che la burla avesse avuto pi bel-
lo e lieto fine mille volte che saputo non si sarebbe im-
maginare; e nebbe unallegrezza a cielo. [139] Ma poi,
in capo a otto o dieci giorni tornato in Firenze, and il
giorno medesimo maestro Manente per visitarlo, ma
non potette aver udienza, e il simile era intervenuto agli
orafi. Il secondo giorno poi vi ritorn maestro Manente,
e lo trov appunto a tavola, che appunto aveva fornito
di desinare; alla cui giunta il Magnifico, dentro tutto lie-
to, mostr di fuori stupore e maraviglia grandissima, e
disse con alta voce:
Maestro Manente, io non credetti vederti mai pi,
avendo inteso per cosa certa che tu eri morto; n ancora
sono certificato affatto se tu sei desso o un altro, o se hai
addosso qualche corpo fantastico .
[140] Il medico, con dir che non era mai morto, e che
era quel medesimo che sempre mai fu, voleva pure, ac-
costandosi, inginocchiarsi per baciarli la mano; quando
il Magnifico disse:
Sta discosto, bstiti per ora che, se tu sei maestro
Manente vivo e vero, tu sia il molto ben venuto: se altri-
mente, il contrario .
Il medico volle allora cominciare a narrarli il caso, ma
Lorenzo li disse che non era tempo allora; e poi soggiun-
se:
Stasera dalle ventiquattro ore in l taspetto in ca-
256 Letteratura italiana Einaudi
mera per udire le tue ragioni ; e cos ancora gli fece in-
tendere che vi sarebbono gli avversari suoi.
[141] Maestro Manente, ringraziatolo, reverentemen-
te prese da lui licenza; e ritornatosene a casa, dogni co-
sa ragguagli Burchiello, il quale fra s ridendo diceva:
Io so che l, come si dice, caduta in grembo al zio:
vedete, il Magnifico ar la Pasqua in domenica . Pure,
dubbioso ancora, non sapeva immaginarsene la fine.
[142] Venne la sera intanto; e gli orafi, avendo avuto
comandamento di rappresentarsi, erano gi compariti, e
passeggiavano per le logge aspettando desser chiamati,
quando arriv maestro Manente; la qual cosa avendo in-
teso Lorenzo, se nand nella camera principale in com-
pagnia dalquanti cittadini e primi di Firenze, tutti ami-
ci e conoscenti del medico. E fatto intendere alle parti,
fece prima metter dentro Niccolaio e poi Michelagnolo,
e posti tutti a due insieme, e udite le loro ragioni, e ve-
duto le fedi, feciono sembianti grandissimi di maravi-
gliarsi. [143] Nellultimo, andati fuori, entr dentro
maestro Manente; il quale, fattosi da capo, ordinata-
mente raccont loro il vero di quanto gli era occorso,
senza levarne o porvi niente; della qual cosa tutti coloro
che udeno, insieme col Magnifico, avevano fatto le
maggior maraviglie e le maggiori risa del mondo; n per
lo molto meravigliarsi e ridere che avessero fatto, non si
potevano contenere di non si meravigliare n di non ri-
dere. [144] Ma poi che Lorenzo ebbe fatto ridire a mae-
stro Manente la cosa due o tre volte, fece chiamar dren-
to gli orafi, e per un pezzo ebbe il pi bello e l maggior
passatempo che egli avesse alla vita sua; perciocch,
infocolati e adirati, si erano dette villanie da cani. Intan-
to comparse quivi il vicario, avendolo mandato a chia-
mare il Magnifico; s che da tutti fattoli reverenzia, se lo
misse Lorenzo a sedere a canto, e seguit di favellare,
cos dicendo:
[145] Messer lo vicario, perch io so che voi sapete
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
257 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
la differenza che hanno fra loro questi uomini da bene,
come colui che lavete udita, non istar a replicarvene
altro, se non che, sendo io stato eletto dalli spettabili si-
gnori Otto giudice di quella, altro non mi resta, a dover-
ne dare la sentenza, se non chiarirmi che maestro Ma-
nente non morisse mai, e che questo che noi aviamo non
sia qualche corpo fantastico incantato, o qualche spirito
diabolico; il che a voi sappartiene di vedere e dintende-
re.
Oh! In che modo? rispose il vicario.
[146] Dirvvelo io soggiunse Lorenzo, e disse:
Col farlo scongiurare a certi frati che cavano li spiriti,
con metterli adosso reliquie appartenenti alle male.
Bene avete parlato rispose messer lo vicario ; da-
temi tempo sei o otto giorni a provvedere; e se di poi
egli regger al martello, si potr sicuramente metter per
vivo e per desso .
Voleva maestro Manente ripigliare le parole, quando
il Magnifico, confermato la intenzione del vicario, e det-
to che, come avesse fatto lesperienza, che sentenziereb-
be, si lev in piedi, e licenziato ognuno se nand con
quelli gentiluomini che erano seco a cena, ridendo e
motteggiando sempre di questa cosa stravagante.
[147] Laltro giorno il vicario, che era buono e devoto
cristiano e dolcissimo religioso, fece intendere a tutto
larcivescovado, a preti e frati che avessero reliquie bone
a far fuggir diavoli e a cacciar spiriti, che fra sei giorni le
conducessero in Firenze in Santa Maria Maggiore sotto
pena della sua indignazione. Per la terra allora non si
parlava daltro, se non di questa novit; e cos agli orafi
come a maestro Manente pareva millanni di esserne
fuora. Lorenzo in questo mentre aveva fatto venire in
Firenze Nepo vecchio da Galatrona, stregone e maliar-
do in quei tempi eccellentissimo; e fagli intendere quello
che avea da fare, lo teneva in Palazzo per servirsene ad
ora e tempo. [148] Erano gi della citt e del contado
258 Letteratura italiana Einaudi
comparite in Santa Maria Maggiore tante reliquie, che
era una meraviglia. Gi venuto il giorno deputato, e
maestro Manente comparito, non saspettava se non il
vicario; il quale doppo vespro venne, accompagnato da
forse trenta religiosi e pi reputati di Firenze; e postosi
nel mezzo della chiesa a sedere sopra una sedia prepara-
tali, si fece venire innanzi maestro Manente, e porlo gi-
nocchioni. [149] Ma poi che da due frati di San Marco
gli fu cantato sopra vangeli, salmi, inni, orazioni, e gitta-
toli addosso acqua benedetta e incenso, di mano in ma-
no e preti e frati gli fecero toccare le loro reliquie; ma
ogni cosa era in vano, perch il medico non si mutava di
nulla, anzi, faccendo riverenzia a tutti quanti, ringrazia-
va Iddio, e raccomandavasi al vicario che oggimai lo li-
berasse. [150] Era la chiesa piena e pinza per ogni verso
di persone, che tutte aspettavano le meraviglie; quando
un fratacchione, che era venuto da Valombrosa, giovane
e gagliardo, e cavatore di spiriti per eccellenzia, fattosi
innanzi, disse:
Lasciate fare un poco a me, che tosto vi dir segli
spiritato o no .
[151] E legatoli molto ben le mani, gli messe a dosso
di nuovo il mantellino di san Filippo, e l cominci a do-
mandarlo e scongiurarlo, e il medico sempre risponder-
gli a proposito; ma perch in quella scongiurazione il
frate diceva cose da far ridere le pietre, venne per di-
sgrazia a maestro Manente ghignato un pochetto; per lo
che il frate subito disse: Io lho! E detteli due ceffa-
toni da maestro.
[152] Se uno disse nimico di Dio: tu ti hai a
uscire a ogni modo .
Maestro Manente non gli pareva giuoco, e gridava
pure: Scongiura quanto tu vuoi .
Ma quel fratacchione, dandogli tuttavia pugna nel
petto e nei fianchi, diceva pure:
Ahi spirito maligno, tu nuscirai a tuo dispetto!
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
259 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
Il medico, non potendo aiutarsi con altro che con la
lingua, gridava:
[153] Ahi frataccio traditore, a questo modo si fa
agli uomini da bene? Non ti vergogni, poltrone, ubria-
co, battere in questa guisa un mio pari? Per lo corpo,
chio me ne vendicher .
I l frate, sentendolo bestemmiare, se gli avvent ad-
dosso; e gittatolo in terra, gli pose i piedi sul corpo e le
mani alla gola; e lo arebbe affogato, se non che maestro
Manente si cominci a raccomandare per lamore di
Dio; onde messer lo frate, levatogli le mani da dosso,
pens che egli volessi uscire, e comincilli a dire:
Che segno mi darai tu?
[154] Allora il Monaco che per commissione del Ma-
gnifico era con Nepo in chiesa venuto e mescolatosi fra
la gente, gli disse che gli era tempo. Subito Nepo, gri-
dando ad alta voce, disse:
Discostatevi, discostatevi, uomini da bene, fatemi
largo, chio vengo per favellare al vicario, e per iscoprire
la verit .
[155] Sentita quella voce, e udite le parole, e veduto
laspetto delluomo, il quale era grande della persona e
ben fatto, di carnagione tanto ulivigna che pendeva in
bruno, aveva il capo calvo, il viso affilato e macilente, la
barba bruna e lunga per infino al petto, e vestito di rozzi
e stravaganti panni, ognuno ripieno di maraviglia e di
paura gli diede volentieri la strada; [156] tanto che, con-
dottosi inanzi al vicario, fece levare quel frate dintorno
a maestro Manente, che gli parve risuscitare, e di poi
parl in questa guisa, dicendo:
Acciocch la verit, come piace a Dio, sia manifesta
a tutti, sappiate come maestro Manente cost non mor
mai; e tutto quello gli intervenuto, stato per arte ma-
gica, per virt diabolica e per opra mia, che sono Nepo
di Galatrona, il quale fo fare alle demonia ci che mi pa-
re e piace. [157] E cos io fui quello che lo feci, mentre
260 Letteratura italiana Einaudi
chegli dormiva in San Martino, portar dai diavoli in un
palazzo incantato; e nel modo appunto che da lui avete
udito, lo tenni per infino che una mattina in sul far del
giorno lo feci lasciare nei boschi di Vernia; avendo fatto
a uno spirito folletto pigliare un corpo aereo simile al
suo, e fingere che fusse maestro Manente ammalato di
peste; e finalmente mortosi, fu invece di lui sotterrato;
onde di poi ne nacquero tutti quanti degli accidenti che
voi vi sapete. [158] Tutte queste cose ho fatte fare io,
per far questa burla e questo scorno a maestro Manente,
in vendetta duna ingiuria ricevuta gi nella Pieve a San
Stefano da suo padre, non avendo potuto mai valermene
seco per cagione dun breve, il quale egli portava sem-
pre addosso, in cui era scritta lorazione di san Cipriano.
E perch voi conosciate che le mie parole sono verissi-
me, andate ora a scoprire lavello dove fu sotterrato co-
lui che fu creduto il medico; e se voi non vedete segni
manifesti della verit di quel che io vho favellato, tene-
temi per un bugiardo e per un giuntatore, e fatemi moz-
zare il capo .
[159] Erano il vicario e tutte laltre persone state at-
tentissime al colui ragionamento, e maestro Manente
colloroso e pien di paura lo guardava a stracciasacco e
come trasognato, e cos tutto il popolo gli teneva gli oc-
chi addosso. Per la qual cosa il vicario, volendosi chiari-
re affatto, e veder la fine di questa girandola, impose a
due frati di San Marco e a due di Santa Croce che an-
dassero prestamente a scoprire quel benedetto avello; i
quali tosto mettendosi in via, furono da molti altri frati e
preti e secolari in gran numero seguitati. [160] Nepo si
era restato in chiesa presso al vicario e al maestro Ma-
nente; i quali, mezzo mezzo impauritine, non si arri-
schiavano a guardarlo fiso in volto, dubitando colla
maggior parte un altro Simon Mago o un nuovo Malagi-
gi. Intanto camminando erano giunti i frati e laltra gen-
te in sul cimiterio di Santa Maria Novella; e fatto chia-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
261 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
mare il sagrestano, si fecero insegnare lavello nel quale
si pensavano fusse stato seppellito il corpo del medico.
[161] Aveva la mattina, innanzi giorno unora, il Mona-
co per commessione del Magnifico arrecato da Careggi
un colombo nero come la pece, il pi fiero e il maggior
volatore che si fusse veduto mai; e s bene sapeva ritro-
var la colombaia, che gli era tornato fino dArezzo e da
Pisa, il quale, guardato che nessuno lo vedesse, aveva
messo in quella sepoltura, la quale egli conosceva benis-
simo, e riserratala poi di modo, che pareva che ella fusse
stata dieci anni senza essere mai stata aperta.
[162] Sicch il sopradetto sagrestano, attaccatovi
luncino, tir su la lapida, e in presenza di pi di mille
persone scoperchi lavello; onde quel colombo, che
aveva nome Carbone, sendo stato parecchi ore al buio e
senza beccare, veduto il lume, n un tratto, volando, pre-
se il volo allo in su, e si usc della sepoltura; e visibilmen-
te poggiando in verso il cielo, and tanto alto, che egli
scoperse Careggi, e docciando poi si difil a quella vol-
ta, dove fu in meno dun ottavo dora: della qual cosa
ebbero i circostanti tanta meraviglia e tanto spavento,
che ciascuno, gridando:
Ges, misericordia , correva e non sapeva dove.
[163] I l sagrestano per la paura cadde allindietro, e
tirsse la lapida addosso, che tutta glinfranse una co-
scia, della quale stette poi molti giorni e settimane im-
pacciato. I frati e una gran parte della gente correvano
verso Santa Maria Maggiore, gridando: Miracolo, mi-
racolo . Chi diceva che nera uscito uno spirito, e in
forma di scoiattolo, ma che egli aveva lalie; e chi un ser-
pente, e che gli aveva gittato fuoco; altri volevano che
fosse stato un demonio convertito in pipistrello; ma la
maggior parte affermava essere stato un diavolino; ed
eravi chi diceva daverli veduto la cornicina e i pi doca.
[164] In Santa Maria Maggiore, dove aspettava il vi-
cario e maestro Manente e una grandissima moltitudine,
262 Letteratura italiana Einaudi
giunse una turba, quasi correndo, di religiosi e di secola-
ri, gridando tutti ad una voce: Miracolo, miracolo ; s
che la calca intorno loro si fece grandissima: ognuno si
ficcava innanzi per intendere la verit del caso. [165] In
questo mentre Nepo, accostatosi verso la porta del fian-
co, fattogli spalla dalli staffieri e dal Monaco, tra gente e
gente si usc di chiesa, che persona non se ne accorse; e
montato sopra un buon ronzino che apposta lo aspetta-
va, tir via, e se ne torn a casa sua, come era ordinato.
Il vicario, poi che dai frati ebbe inteso minutamente il
tutto, attonito e smarrito guardava intorno segli vedeva
Nepo; e non lo veggendo, cominci a gridare che se ne
cercasse, e che egli fusse preso, perch lo voleva fare ar-
dere come vero stregone, maliardo e incantatore; ma,
non si trovando in nessun lato, fu creduto che per arte
magica fusse sparito. [166] Per la qual cosa il vicario, li-
cenziato tutti i preti e i frati, e detto loro che se ne ripor-
tassero le loro reliquie; se ne and in compagnia di mae-
stro Manente verso Palazzo per trovare il Magnifico.
Burchiello con certi suoi amici sera stato in disparte; e
veduto e considerato ogni cosa, avea tanto riso, che gli
dolevano le mascella, e massimamente quando messer lo
frate forbottava maestro Manente. [167] I due compa-
gni orafi, meravigliosi e scontentissimi, sendo stati pre-
senti a tutto il seguto, e veduto il vicario andarne a Pa-
lazzo, se gli erano avviati dietro per vedere se potevano
uscire di questo laberinto.
[168] Il magnifico aveva dora in ora avuto il raggua-
glio minutamente dogni particolarit, che con alquanti
gentiluomini e amici suoi pi cari non si poteva tenere
ancor di ridere, quando sent che egli era il vicario che
veniva a vederlo; il quale come apparir lo vide, cominci
a gridare che voleva la famiglia del bargello per mandare
a pigliar Nepo da Galatrona. Lorenzo, faccendosi nuo-
vo, si fece ogni cosa ridire, e poi soggiunse:
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
263 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
Messer lo vicario, andiamo adagio, di grazia, ai casi
di Nepo: ma che dite voi di maestro Manente?
[169] Dico rispose il vicario che non ci pi
dubbio veruno chegli desso certo, e non mor mai.
Ora dunque disse il Magnifico ed io vo dar la
sentenza, acciocch oggimai questi poveri uomini eschi-
no di cos fatto ginepraio .
E fatto chiamare, ch gli aveva veduti, Niccolaio e
Michelagnolo, alla presenza del vicario e di molti uomi-
ni virtuosi e onorati, fece loro abbracciare e baciare
maestro Manente; e fecero insieme una bella piciozza,
scusandosi ciascuno, e versando tutta la broda addosso
a Nepo. [170] E di poi sentenzi il Magnifico in questo
modo: che per tutto il vegnente giorno Michelagnolo
dovesse aver cavato tutte le robe, che egli vi port, di ca-
sa maestro Manente; e che la Brigida con quattro cami-
cie solamente, colla gammurra e colla cioppa se ne an-
dasse a stare a casa il fratello per infino a tanto che ella
partorisse; e che di poi, fatto il bambino, stesse in arbi-
trio di Michelagnolo a trlo o no; e non lo volendo, lo
potesse pigliare il medico: [171] se non, si mandi agli In-
nocenti; e che le spese del parto in tutti i quanti i modi
vadano addosso a Michelagnolo, e che il maestro si torni
a casa sua a goder col figliuolo; e che di poi, uscita di
parto la Brigida, ed entrata in santo, si torni a maestro
Manente, e che maestro Manente la debba ripigliare per
buona e per cara.
[172] Piacque generalmente a ognuno questa senten-
za, e ne fu commendato molto il Magnifico da tutte le
persone che la intesero; onde gli orafi e l medico, rin-
graziatolo sommamente, si partirono allegrissimi; e la se-
ra daccordo cenarono tutti quanti insieme con la Brigi-
da in casa pure di maestro Manente in compagnia di
Burchiello, col quale se ne and poi a dormire il medico.
[173] Messer lo vicario, rimasto col Magnifico, voleva
pure che si mandasse a pigliar Nepo per abbruciarlo; ma
264 Letteratura italiana Einaudi
Lorenzo avendoli detto chegli era meglio assai starsene
cheto, perci che, facendone impresa, non riuscirebbe
loro, avendo egli mille modi e mille vie per fuggirsi e
non si lasciar pigliare, come farsi invisibile, diventar uc-
cello, convertirsi in serpente, e simili infinite altre cose
da farli rimanere scherniti, [174] con ci sia cosa che a
quella casata da Galatrona abbia Domenedio data que-
sta potest a qualche buon fine, non conosciuto ancora
dagli uomini; e come si portava ancor pericolo grandis-
simo da Nepo, che veggendo e considerando la lor mala
intenzione, non gli facesse ammutolire, stralunar gli oc-
chi, o torcer la bocca, o far venir loro il parletico o qual-
che altro malaccio; [175] onde il vicario, che era, come
avete inteso, bonario e di dolce condizione, concorse su-
bito nella sua openione, scusandosi con dire che non sa-
peva tanto in l, e che egli era ottimamente fatto di non
ne favellar mai pi; e con questa resoluzione lasciato il
Magnifico, non senza gran paura di qualche strana ma-
lattia, se ne torn alle sue case, e mai pi alla vita sua
non fu sentito ragionare di Nepo n in bene n in male.
[176] Il giorno vegnente cav tutte le sue robe Mi-
chelagnolo di casa maestro Manente, e la Brigida se ne
and a casa il fratello; s che al medico rimasero libera-
mente tutte le sue sostanze, e il giorno medesimo se ne
torn a abitare in casa sua col figliuolino, che gliene pa-
reva aver trovato. In quel tempo non si faceva altro in
Firenze che ragionare di questa cosa; e ne acquist so-
pra tutto Nepo onore e fama inestimabile, e dalla plebe
massimamente fu tenuto grandissimo negromante.
[177] Maestro Manente credendosi veramente che la
cosa fussi passata come aveva raccontato Nepo, trovan-
dosi a ragionamento, diceva spesso: Tal pera mangia il
padre, che al figliuolo allega i denti . Il qual detto, ri-
ducendosi poi in proverbio, durato per infino a tempi
nostri; e non vi fu mai ordine che egli credesse altrimen-
ti, bench, non pur Burchiello, ma il Magnifico poi, in
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
265 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
processo di tempo, il Monaco e gli staffieri dicessero per
tutto come fusse andata la beffa. [178] Anzi, impaurito,
aveva comperato di molte orazioni di san Cipriano, e le
portava continovamente addosso, e cos faceva portare
alla sua Brigida, perci che al tempo partor poi la Brigi-
da un bambino maschio; il quale fu poscia da Michela-
gnolo preso e allevato per infino in dieci anni, e doppo,
mortogli suo padre, fu fatto da i suoi fraticino in Santa
Maria Novella; e col tempo venne molto litterato, e di-
vent un solenne predicatore; e per gli suoi arguti motti
e dolci piacevolezze fu chiamato dalla gente fra Suc-
chiello. [179] Maestro Manente colla sua Brigida attese
a godere, crescendo in roba e in figliuoli; e ogni anno,
mentre che visse, celebr la festivit di san Cipriano, e
fu sempre suo divoto.
[1] Con grandissima attenzione, e con non piccola
contentezza avevano ascoltato i giovani e le donne la
lunga novella dAmaranta, ma non per questo autone
mai niuno rincrescimento; anzi stranamente era piaciuta
a tutti quanti, affermando, con pace del Pilucca, dello
Sgheggia e dellaltra compagnia, questa portare il vanto
di tutte quante laltre beffe. Ma la bellissima Amaranta,
veggendo gi esser venuta lora di dover dar finimento
alla veglia, in cotal guisa parlando, disse:
[2] Poich le cene son passate, e le novelle fornite, e
che il nostro proponimento, collaiuto del Re altissimo
delle stelle, condutto avemo al fine da noi desiderato,
giudico essere ottimamente fatto che ce ne andiamo tut-
ti quanti a dormire, sendo gi buona, anzi grandissima
parte della notte trapassata .
[3] La qual cosa lodata sommamente da tutti, si rizz
ella in piedi; e chiamato i famigli e le serve, accenn loro
quello che far dovessero; e poscia sorridendo, cos se-
guit di dire:
Carissimi giovani e voi amatissime fanciulle, innanzi
266 Letteratura italiana Einaudi
che noi ce ne andiamo a letto, ancorch sia tardi, mi par-
rebbe, per servar la costuma di tal notte, che si dovesse
prima pusignare un poco per chi voglia ne avesse; perci
che, se bene si riguarda, tanto tempo ha che noi cenam-
mo che si cenerebbe quasi unaltra volta ; il che molto
lodarono i giovani, e piacque loro assai.
[4] I ntanto comparsono, portati da servidori, tre
grandissimi piatti di stagno sopra tre scaldavivande, pie-
ni di freschi e bene acconci tartufi; laonde i giovani, che
si pensavano avere o migliacci bianchi o erbolati, o vera-
mente torta, marzapane o simile altra confezione, cose
tutte rustichevoli e che tolgono il sapore al vino, si ralle-
grarono fuor di modo; e tosto levatisi dal fuoco, comin-
ciarono a mangiare di quei tartufi, e a bere di santa ra-
gione. [5] Ma niuna delle donne, o fusse perch voglia
non avesse, o perch non facesse lor male, o pure per
onest, non ve ne fu chi ne volesse assaggiare, ancora
che i giovani ne le pregassero strettamente. Solo due di
loro bevvero un mezzo bicchiere tra acqua e vino; e po-
scia con Amaranta, tolto da loro onestamente congedo,
gli lasciarono a tavola, e andaronsene nelle loro camere a
riposare. I giovani, fatto un buono striscio a tartufi, e
bevuto di voglia, chi volle, rest a dormire con Fileno,
gli altri con buona compagnia se ne tornarono alle loro
case.
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
267 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
NOVELLE MAGLIABECHIANE
IL LASCA
A MASACCIO DI CALORIGNA
[1] Per due cagioni principalmente ti mando or ora,
Masaccio di Calorigna, tre delle mie favole, per indiriz-
zarti ancora, quanto tempo fia, il resto. La prima per-
ch, avendo tu veduto e letto il tutto, sai linvenzione e il
modo che io tengo nel disporle. [2] T noto e chiarissi-
mo, perch pi tosto di verno, si pu dire, e di notte, un
miglio o poco pi longi dalla nostra citt, dentro a un
bello e riguardevol salotto dun ben posto e agiato pa-
lazzo, intorno al fuoco ardente in legno secco di pino e
di ulivo, che nel fin della primavera o al principio della
state, e mezzo il giorno sopra la verde e minutissima er-
betta, al suave odore di mille diverse maniere di vaghi
fiori, vicino a qualche limpida e freschissima fontana, al-
la dolce ombra di verdissimi allori e di pannocchiuti ar-
cipressi, raccontate fussino. [3] Sai il luogo dove e come
le cinque giovani inamorate donne co i loro amanti si ra-
gunassino. Sai il modo con il quale a novellare si condu-
cessino. Sai lordine che la vezzosa donna mirabilmente,
con il giovane che in sorte compagno li venne, stabilisse.
Sai come le cene primieramente sordinassino; come per
passare con manco noia e pi che potessino il tempo,
cinque novelle innanzi e cinque doppo cena consultoro-
no che si dicessino. [4] Sai come, cenato, poi ognuno de
i giovani con lamata sua donna in una separata e ben
fornita camera se ne andassino a riposare. Sai poi a che
otta si levassino la mattina, quel che innanzi e doppo de-
sinare facessino, tanto che al novellare ritornassino, e fi-
nalmente, sai da il principio alla fine tutta la invenzione.
[5] Questa addunque la prima cagione e principale
268 Letteratura italiana Einaudi
che io te le mando; perci che, avendo voluto ad altri in-
dirizzarle, mera forza tutto il principio, riscrivere, che,
oltre alla noia e al disagio non piccolo, mi sarei sturbato
e stoltomi da una gi incominciata, anzi da me quasi che
fornita opera, che tratta della geneologia delle fate fieso-
lane; [6] dove eroicamente canto larme e lamore e la
vita e la morte del grande Argonauto fondatore della fa-
mosissima citt di Fiesole, secondo la istoria di Beniam
Giudeo, scritta da lui in idioma arabesco, e da Cecco
dAscoli tradotta in lingua pratese, stata venduta nel
trentasette da un nipote di Scaramuccia Usso sei soldi a
Fiera Fredda e comperata da lAnimuccia Tiraloro, gar-
zone di mio fratello, e da lui finalmente il d di san Bia-
gio donatami; la quale ora guardo e tengo come le cose
de Santi. [7] La seconda cagione , perch le persone
non possin dire che io faccia come molti, che molte
composizioni a molti molte volte indirizzino, aspettan-
done premio o mercede, pensando rendersi grati e be-
nevoli quei tali, e che loro obligati ne restino; ma quasi
sempre zappono in acqua, e fondano in rena.
[8] Ora io, a te indirizzandole, che sei il pi inumano,
ingrato, scortese e sconoscente uomo che nascesse mai,
far chiaro ognuno che senza speranza di remunerazio-
ne o dobligazione alcuna te le abbia mandate. Incca-
mene addunque, fammi dietro le fiche, di di loro e di
me il peggio che sai e puoi; per che io ti disgrazierei, se
tu me ne sapessi grado n grazia. [9] Sguita pure la tua
maligna e pessima natura, ch non per altro che per fare,
quantio pi posso, onore e piacere alla ingratitudine te
le mando, a onta e dispetto della cortesia; ma con patto
e condizione per che tu, come cosa tua e che da te solo
dependa, le indirizzi e doni a lo Stradino. Il che son cer-
to volentieri farai, per la reverenza che tu porti al suo
scrittoio, e perch lo Stradino di tanto buona natura e
di cos dolcissima condizione, che non solo a chi li fa be-
nefizio e piacere ha obligo, ma si vegognerebbe a non ri-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
269 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
munerarlo a doppio; [10] e per quello chio nho inteso,
se ben molti di bellezza, di nobilt, di scienzia e di ric-
chezza lhanno superato, nessuno gi mai lo vinse di li-
beralit. E cos tu, venendo ad obligartelo, sarai guidar-
donato di quelle cose e remunerato, che non solamente
senza obligo averne hai riceute, ma nhai saputo e sane
il mal grado e la mala grazia a chi te lha donate; [11] e
io in questa guisa verr doppiamente a disonorare, ol-
traggiare e confondere la cortesia; e tu potrai darti vanto
davere onorato, onorando lo Stradino, il pi onorevole,
il pi benigno, amorevole, costumato, continente, catto-
lico, religioiso, liberale, pietoso e giusto uomo del mon-
do; e non solo amatore, ma oltre alle forze sue premiato-
re delle virt; bench la fortuna, inimica de i buoni, non
labbia mai favorito secondo i meriti, che meriterebbe
dessere un gran personaggio. [12] Anzi lha sempre, co-
me colei che a gli animosi fatti male saccorda, persegui-
tato; e non solamente non li ha lasciato acquistare, ma
ha permesso chegli abbia perduto, senza sua colpa,
buona parte de i beni paterni; ed egli, non altramente
che Giob, ogni cosa pazientemente sopporta; e non li
duol di s, perch, grazia di Dio, bench non li avanzi
non gli manca niente; ma gli incresce de i miseri virtuosi,
che la maggio parte si muoiono di fame; poich oggid,
colpa dellavarizia, povera e nuda va filosofia. [13] Ma
sopra tutto laffrigge e preme e li sa male de gli amici di
Febo, che s meschinamente stentano, avendo anchegli
beuto qualche sorsetto dellacqua incantata che fa so-
gnare spesso altrui senza dormire; e li vorrebbe poter
sovvenire, sostentare, e con parole e con fatti aiutandoli,
confortare e inanimire alla magnanima loro impresa; e
se le forze uguali alle voglie li rispondessino, o dellanti-
co Augusto di nuovo Mecenate mostrerrebbe in questo
nostro pessino secolo effetti chiarissimi.
[14] Oh degli uomini altero e raro mostro! Egli, non
tanto per amar le virt e quegli che le posseggano, ma
270 Letteratura italiana Einaudi
per loperare virtuosamente, fa parere stolti i sette Savi
di Grecia: egli non fece mai ad altri quello che ei non vo-
lessi per s: lo Stradino in una notte sola, trovandosi in
nave da gli adirati venti in mezzo alle tempestose onde
marine aggirato, fece ottantaquattro boti divar e hagli
tutti adempiuti e soddisfatti. Guarda cose che sono que-
ste, Masaccio! e se le fanno parer bestie i miracoli! [15]
Lo Stradino, trovatosi mille volte a dormire con i pi
belli giovani di Firenze, e nel pi bel fiore de gli anni lo-
ro, non ebbon mai forza n il mondo n la carne n il
diavolo n il caldo delle lenzuola, che peggio che la
versiera, corrompere quella salda mente; ch sempre si
lev la mattina da canto a quelli immaculato e ntatto; e
cos, uomo essendo, ha operato operazioni angeliche.
[16] O vero, o dolce, o santissimo amore! Questo quel
divino del quale parla Platone, onde sempre stato ina-
morato lo Stradino; e in quanto a pudicizia e continen-
zia, tenghinsi i Romani senza astio Scipione; abbinsi i
Greci senza sdegno Ipolito, e gli ebrei si tolghino senza
invidia Josefe; perci che altra palma, altra corona, altro
maggior pregio di loro merita il nostro Stradino; [17]
come puote facilmente giudicare ognuno che sanamente
considera, ma molto meglio chi per pruova ha conosciu-
to quanto sia pi odoroso lalito de i giovani, e con
quanta maggiore forza tiri che non fa quel delle donne.
[18] Dunque lo Stradino solo al mondo, come vorreb-
bono essere le commedie: immagine di verit, essempio
di costumi e specchio di vita; e pi, cronica del tempo e
tromba della verit. Oh buono, oh pietoso, oh giusto, oh
tre volte Stradino beato! Oh Masaccio, ecco che io mi
fermo, perch delle celesti lode sue certamente egli
meglio tacere assai che dirne poco; e forse che il Cielo
colloroso si disdegna ancora, che a dir di lui lingua mor-
tal prosontuosa vegna.
[19] Sia contento adunque, non per amor mio ma per
i meriti suoi, queste mie tre favole mandarli: tre dico,
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
271 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
perch sendomi risoluto di dieci, trenta comporne,
ognuna della sua decina porter il segno e dar il saggio.
E questo fo per mostrare che nel modo che sta quella
grande di Bartolomeo, la quale tu sai per che stran mo-
do muscissi delle mani, come la sia, le mezzane e le pic-
cole so fare; cos volendo dieci grandi comporne, dieci
mezzane e dieci piccole, la pi grande delle maggiori, la
maggior delle mezzane e la men corta delle piccole ti
mando, tutte e tre amorose. [20] Una in allegrezza e in
gioia a uso di commedia, unaltra a guisa di tragedia in
amaritudine e in dolore fornisce: laltra in dolce e in
amaro, in pianto e in riso fornendo; terr delluno e
dellaltro modo; avvisandoti che lo Stradino non preghi
che con la sua autorit le difenda, n che per loro faccia
questione o dica solamente una parola. [21] Non che io
pensi che labbino sopra laltre composizioni privilegio,
e che non sia di loro fatto come di tutte laltre state com-
poste insino a ora; perch io so molto bene che anora vi-
vono, e forse pi belle che mai, lignoranza, la prosun-
zione, linvidia e la malevolenzia; ma non me ne curo, e
non ne volterei la mano sotto sopra. Chi non le vuol, le
lasci stare; e a chi le non piacciono, le sputi: elle non son
per farsi leggere a nessuno a forza; e se non basta a i let-
terati, e gli squisiti, a linguacciuti, a gli sputasenno e a i
cacasentenzie, graffiarle, morderle, trafiggerle, lacerarle
e dilaniarle, scrtichinle, strghinle e strngolinle, per-
ch manco mi possono giovare le lode che nuocere i bia-
simi. [22] Ma se di loro mi vien mai qualcosa nelle mani,
noi faremo a farcela: tu sai che io ho la lingua anchio.
Ma certaltri che stanno passeggiando grave, e gonfian-
do in su le continenze, n mai di loro si vede e ode cosa
alcuna, non si dieno ad intendere, per far ceffo e grifo a
ci che ei veggono e sentono, farmi credere cheglino in-
tendino e che io gli abbia, come molti sciocchi, per litte-
rati e giudiziosi; perch io gli tengo per dappochi e gros-
sissimi.
272 Letteratura italiana Einaudi
[23] Deh! Vedi cosa gi gi, dove io mera lasciato
trascorrere! Masaccio, utimatamente abbia cura a farle
trascrivere, e componci o facci comporre, levandone
questa, qualchaltra cosa innanzi, acci che tale ragiona-
mento non sia udito da altri che da te; e mandale tosta-
mente allo Stradino, accio che sotto il suo glorioso nome
si manifestino alle genti.
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
273 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
[NOVELLA I]
DELLA PRIMA CENA
LA NONA FAVOLA
[1] Tosto che Galatea, fornendo le dolcissime parole,
diede fine alla sua cortissima novella, Florido, giovane
non pi bello che meno cortese e piacevole, col leggia-
dra maniera, quasi ridendo, cos favellando prese a dire:
Vaghe donne, e voi cortesi giovani, poscia che a me
conviene con la mia novella ora trattenervi, innanzi che
al principio venga, non vi sia grave ascoltarmi alquante
parole ... [2] nostra dico per essere stata ne i nostri tem-
pi, e perch ciascuno di noi se ne pu facilmente ricor-
dare, perch questa dur pi anni che quella mesi; in
quella se gli uomini morivano a decine, in questa e centi-
naia; se nella loro i morti andavono a sotterrarsi nelle
bare, nella nostra erano portati nelle carra, e se gli ave-
vano quaranta becchini, a noi quattrocento non bastava-
no. [3] Ma perch io so che voi s ben come io sendovi
presenti quasi tutti ritrovati, se non mille volte uditolo
dire, non mi distender altrimenti in raccontare i dolori
e le passate miserie nostre; e cos per ritornare a quello
che io voglio narrarvi, dico che, cessato quella mala in-
fruenza prima del quarantotto, e le persone rassicurate e
gi tornate nella citt, e riprese lusate faccende e gli
eserciz, era in Camaldoli un tessitore di panni lani come
voi sapete che l abitano, restato, di quattordici che gli
erano in famiglia, solo, e assai bene stante; [4] per la
qual cosa gli fu dato moglie, con la quale stette dieci an-
ni che non ebbe figliuoli; pure poi singravid, e al tem-
po partor uno bambino maschio, del quale il padre e la
274 Letteratura italiana Einaudi
madre feciono maravigliosa festa; e perch ei nacque in
domenica mattina a buon ora, e la sera mandatosi a bat-
tezzare, non sendo le gabelle del sale aperte, tenne poi
sempre e molto bene del dolce: e posonli nome Mariot-
to, e per non avere altri che lui, ed essendo anco ma-
schio, ed eglino per essere nel grado loro si pu dire ric-
chi, lo allevarono in tante delicatezze, e con tanti lez,
che sera bastato se fosse stato figliuolo del conte dOr-
mignacca. [5] Il padre, quando egli fu in et, lo mand
alla scuola, acci che gli imparassi a leggere e a scrivere;
e perch disegnato aveva di ringentilirlo, fare lo voleva
studiare, acci che o notaio o giudice venisse, e poscia
dargli una moglie nobile, fargli fare larme, e trovargli
un casato, acci che poi egli fosse una persona da bene.
Ma il detto Mariotto era di cos grossa pasta e tanto ton-
do di pelo, che in dieci anni o poco manco che egli stet-
te a scuola non potette, non che a compitare, imparare
mai lABC. [6] Onde mille volte avendo detto il maestro
che quivi si perdevano il tempo e i denari, perch s
grosso cervellaccio avea che gli era come dibattere lac-
qua nel mortaio, a volere che egli imparassi; per la qual
cosa il padre disperato lo lev da leggere e messelo al te-
laio: il che quantunque poco bene li riuscisse, pure lo fa-
cea manco male assai. [7] Cos questo mostro quanto
pi andava in l, tanto pi diventava goffo, e con gli an-
ni insieme li cresceva la dappocaggine e la scempiezza; e
certi detti che da bambino imparati aveva, come al pa-
dre e alla madre babbo e mamma, il pane chiamava
pappo e bombo il vino; a i quattrini diceva dindi
e ciccia alla carne, e quando egli voleva dire dormi-
reo andare al letto, sempre diceva a fare la nanna; e
non vi fu mai ordine, che il padre o la madre, con pre-
ghi, con doni, con minacce o con busse ne lo potessino
fare rimanere. [8] E gi diciotto anni quando li mor la
madre avea, che mai non favellava in altro modo; tal che
il padre nera forte mal contento, e i fanciulli l della
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
275 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
contrada, i compagni e i vicini li avevano posto nome
Falananna, e non lo chiamavano altrimenti; ed erasi
cos per Camaldoli divulgato questo cognome, che po-
chi lo conoscevano per Mariotto, ed era il sollazzo di
quel paese, ognuno Falananna qui, e Falananna
qua, si pigliava di lui piacere e delle sue castronaggini;
[9] perci che sempricissimo diceva, faceva e credeva
cose tanto sciocche e goffe e cos fuori dogni convene-
volezza umana, che pi tosto animale dimestico che uo-
mo stimare si sara potuto. Cerc molte volte il padre di
dargli moglie, e avendone una appostata che gli piaceva
assai e li pareva il proposito, pens di farla chiedere per
questo suo fantoccio; ma in questo mezzo accadde, co-
me volle Dio, che egli si inferm e morssi.
[10] Rimasto adunque Falananna solo, con molta ro-
ba, con casa e telaia, non avendo n di padre n di ma-
dre parenti, gli amici del padre e i vicini gli furono ad-
dosso, e li dierono donna; e per disgrazia fu delle sue
pari camaldolesi, una bella e valorosa giovane: ed era
chiamata la Mante, dassai molto e pratica nel tessere;
ma perch lera povera, a questo scimunito la feceno
trre senza dote, e ne men di pi seco la madre, che
mona Antonia si chiamava, una vecchicciuola tutta pie-
tosa e amorevole; e cos tutti insieme lavorando, si vive-
vano felicemente. [11] Ma perch la Mante, come si vi
ho detto, era bella e manierosa, aveva di molti vagheggi-
ni, e tutta la notte intorno a luscio lera cantato e sonato
e fattole le pi galanti serenate del mondo; ma ella, po-
sto locchio addosso a un giovane che si faceva chiamare
il Berna, tutti gli altri scherniva; e perch il suo Falanan-
na, come in tutte le cose era debole, cos ne i servigi del-
le donne debolissimo ritrovandosi, pens come savia
procacciarsi, e che il Berna sopperisse dove mancava il
marito; [12] perci che, sendo prosperosa e gagliarda,
non poteva stare a beccatelle; s che, ragionatone con la
madre, fece tanto che di lei pietosa venne, dicendole:
276 Letteratura italiana Einaudi
Lascia fare a me, figliuola mia, non ti dare pensiero,
ch io ti far tosto contenta .
[13] E itasene a trovare lamente, che pi di lei lo de-
siderava, detteno ordine fra loro che il Berna da mezza
notte in l, faccendo certo cenno, venisse a cavare la fi-
gliuola daffanno. Il quale non manc di niente, e allora
deputata, fatto il cenno, fu da mona Antonia messo in
casa, e di poi nel letto accanto alla sua Mante. [14] Egli
avevano senza pi un letto di quegli allantica, tanto
agiato e cos grande che tutti a tre stavano da un capez-
zale senza toccarsi a uno braccio, la Mante nel mezzo,
da una proda la madre, da laltra il marito. Il Berna fra la
madre e la figliuola entrato a punto che Falananna dor-
miva, non stette a fare troppi convenevoli, n fu bisogno
stropicciargli n grattargli il pettignone; perch non cos
tosto la rugiadosa e morbida sua Mante fu da lui tocca e
palpata, che li venne la resurrezione della carne, e ab-
braciandola e baciandola li mont alla disperata a dosso.
[15] Alla buona femmina pareva un altro scherzo quel
del Berna, e sentire altra gioia e conforto che con il suo
marito non era usata, perch non mica le grattava o le
stuzzicava il formicaio, ma dentro entrando gagliarda-
mente tutte le ritrovava le crespe, ricercando ogni pi
secreto luogo; per la qual cosa a dimenarsi e a scuotersi,
a sospirare e a mugolare cominci fortemente. [16] Per
che Falananna, che leggermente dormiva, si dest, e
sentendo il cullamento e il dolce ramaricho, sendoli co-
loro presso a meno dun filare dembrici, distese la ma-
no, e il Berna trov in su la sua cavalla che camminare la
faceva per le poste; ondegli credendo che la fosse la ma-
dre, disse:
Mona Antonia, che fave voi? Ohim! Guardate a
non mimpregnare mgliama .
[17] Mona Antonia, che si stava vegliando in su la
proda, quanto pi poteva contenta del contento della fi-
gliuola, udito Falananna, per riparare che del Berna non
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
277 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
saccorgesse, accost il capo rasente a quello della Man-
te, e cos parlandoli rispose:
Non avere pensiero che io te la ingrossi; ohim tri-
sta! Che io le fo le fregagioni rasente il bellico, perch la
poverina stata per morire, cos grande stretta le ha da-
to e d la donna del corpo! Udite come la si rammarica!

[18] Erono coloro a punto allora che mona Antonia


tale parole dicea, poco di Falananna curandosi, nel col-
mo della beatitudine amorosa, e perci la Mante due
volte per la soverchia dolcezza disse:
Ohimi, ohimi, io muoio, io muoio!
Per che Falananna a gridare cominci:
Aspetta, aspetta che io vada per il prete, aspetta,
non morire ancora; ohim che tu ti confessi prima!
[19] E sera gi gittato del letto, e cercava, sendovi
buio, per accendere il lume; quando la Mante, riaute le
forze, disse:
Marito mio, ringraziata sia santa Cristina divota del-
la donna del corpo, io sono risucitata; non dubitate, ri-
tornatevi nel letto, che io non ho pi male .
Il Berna avendo anchegli sgocciolato il barletto, se li
era levato da dosso, e fra la madre e lei entrato; ma mo-
na Antonia passando si messe in mezzo la figliuola, e
chiamato di nuovo Falananna a letto, nel suo lato lo ri-
messe, dicendo che fra lui e la Mante era entrata, acci
che per la notte, avendo ella cos grande stretta auta,
non avesse cagione di darle noia.
[20] Bene avete fatto rispose colui, e attese a rad-
dormentarsi; ma la Mante con il suo Berna non fece mai
ad altro tutta la notte che giucare alle braccia, e qualche
volta avvenne che la mand lui di sotto.
Ma la mala vecchia che stava in orecchi, sentito una
campana al Carmino, che sonava due ore innanzi al
giorno, fece levare il Berna da lamoroso gioco; il quale
mal volentieri da la sua Mante si part, stanco forse ma
278 Letteratura italiana Einaudi
non gi sazio, e andssene a casa sua non troppo quindi
lontana, a riposare, senza essere n da Falananna n da
altri stato veduto. La Mante ancora per ristoro della pas-
sata notte dorm per insino a nona. [21] Falananna
allora consueta per tempo si lev la mattina, e andnne
allusato lavoro, e cos mona Antonia, ragionando insie-
me de la mala notte che la Mante aveva auta, di che si
dolse Falananna molto e lod assai che la non lavesse
chiamata, acci che riposandosi dormire a suo piacere
potessi. Mona Antonia lo confort che andasse a cercare
delluova fresche, dicendo che molto erano appropriate
al dolore e alla donna del corpo; per che colui, lasciato il
lavorare, si part, e tanto cerc che ne arrec una serqua.
[22] La madre, datone bere quattro in su la terza alla fi-
gliuola, la lasci dormire poi un sonnellino, e la chiam,
sendone gi lotta, a desinare, che si sentiva come una
perla; di che troppo contento rimase Falananna, e desi-
nato, allegrissimi si ritornorono al telaio.
[23] La notte il Berna venne medesimamente, e cos
molti giorni e mesi continuorono la danza, dandosi in-
sieme un tempo di paradiso. Ora accadde che sendone
venuta la quaresima, Falananna, che era un buono cri-
stianello e devoto, andava ogni domenica mattina alla
predica, e fra laltre una volta lud in Santo Spirito, da
un frate che tanto e tanto disse, e con tante ragioni e au-
torit prov che questa vita era vera morte; [24] e che
noi, mentre vivavamo in questo misero mondo, eravamo
veramente morti, e che la vera vita era nellaltro mondo
di l, e come tosto di qua uno moriva, di l cominciava a
vivere una vita senza affanni, dolce e soave, senza aspet-
tare pi la morte, pure che in grazia morisse di messer
Domenedio, e che questo solo avveniva a i fedeli cristia-
ni; e cos tante altre cose disse di questa vita che fu una
maraviglia: tal che a Falananna era venuto cos gran vo-
glia di morire che ei non trovava luogo, e gi della vita
era capitale inimico diventato; [25] e a casa ritornatosi,
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
279 Letteratura italiana Einaudi
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non faceva che dire altro mai se non che vorrebbe mori-
re, a ogni parola dicendo: O morte dolce, o morte be-
nedetta, o morte santa, quando verrai tu per me, che io
possa cominciare a vivere in quella vita che mai non
muore?
Ed era questo alla Mante e a mona Antonia cos gran
fastidio a sostenere, e rincrescimento, che lerono mezze
fuori di loro, e non sapevano pi come si fare. [26] Egli
aveva dismesso il lavoro e le faccende tutte di casa, solo
attendendo a volere morire, e rammaricarsi della morte,
pregandola che luccidesse. La moglie li aveva insegnato
mille modi, ma nessuno ne li era piaciuto; alla fine, di
questa faccenda con il suo Berna consigliatasi, delibe-
rorno di farlo morire ad ogni modo. [27] Ed essendo re-
stati quello che fare dovessino, una mattina la Mante gli
disse (sendo gi vicina la Settimana Santa), come la sera
confessata in Santa Maria Novella a uno frate Bartolo,
molto devoto e buono, a cui tutta raccont la sua sciagu-
ra, e la voglia che aveva il marito di volere morire; e li
disse come il venerabil padre, per piet e per lamore di
Dio, se li offerse, se bisognasse, di aiutarli venire la mor-
te, e che in breve (pur che ei voglia) lo far morire, come
a Milano e a Napoli ne aveva fatto molti altri; a cui tutto
lieto rispose Falananna:
[28] E come far? E quando fia questo?
Rispose la Mante:
Agevolmente, e quando noi vorremo. Egli mi ha
detto, se voi volete, che io glielo faccia intendere, e che
verr ad ogni nostra posta.
Domani, se vuole soggiunse colui.
Al nome di Dio seguit la moglie; e li disse: Egli
vi conviene mandare prima per il notaio, e fare testa-
mento.
Cos si faccia rispose il marito; e fatto venire uno
notaio, come se da i medici fossi stato sfidato, tutte le
280 Letteratura italiana Einaudi
sue sufficienze lasci alla sua donna liberamente doppo
la morte sua.
[29] Il Berna, avendo questo udito, molto li piacque,
e giudic buon principio dottima fine, aspettando con
allegrezza infinita che la donna facesse il rimanente. La
quale, secondo lordine, fingendo daver parlato a fra
Bartolo, un giorno subito doppo mangiare fece entrare
il suo Falananna nel letto, avendolo avvertito che favel-
lassi roco, e in voce sommessa, quasi piangendo, a ognu-
no dicessi che gravissimo male si sentisse; e che gi ne
fosse vicino alla morte; e che, se nessuno li ragionassi di
medico, rispondessi che non voleva n medici n medi-
cine; [30] e cos lasciatolo se ne and alla finestra, e
piangendo cominci gridando a dire al vicinato:
Ohim! Sciagurata la vita mia! E come ho io a fare?
Il mio marito nel letto malato, e s gravemente che io
non credo sia vivo domandassera .
Onde la vicinanza corse l tutta, e nel letto trovatolo
languire e rammaricarsi, come se egli avesse laffanno
della morte, ognuno il meglio che sapea lo confortava,
ed egli a tutti rispondendo:
[31] Io sono spacciato, io son morto; egli non ci
riparo a i casi miei , nulla intendere volea di medicarsi.
Di che i vicini confortavano la Mante che andassi per
il confessoro: onde la Mante chiamata la madre, che sa-
peva il tutto, li fece tostamente mettere la cioppa, e la
mand ratta dove in luogo secreto aspettava il Berna;
[32] il quale, avendo una tonica da i frati della Navicella
accattata, vestita se lera, e perch gli aveva a fatica se-
gnato il volto da i primi fiori, una barba nera procaccia-
ta aveva ancora, e al mento acconciosela di tal maniera,
che chi non lavessi saputo, non lara conosciuto mai; e
allegro dietro a mona Antonia avviatosi, tanto cammino-
rono che alla casa di Falananna giunsono. [33] Alla cui
venuta, faccendoli tutti riverenza come a sommo religio-
so, la casa sgomberorono, pensando che lammalato do-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
281 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
vesse confessare. Il Berna, a uso di frate, in camera en-
trando salut a prima giunta Falananna, e dicendo:
Messer Domenedio sia teco lo benedisse.
Falananna si volle rizzare per farli onore, ma il frate
Berna, contrafacendo un poco la voce, li disse che stessi
caldo il pi che potea; a cui rispose Falananna:
[34] O non ste voi quello che mi volete insegnare
morire, per risucitarmi poi in quella vita di l dove mai
non si muore?
S, sono, che sia benedetto rispose il frate; a cui
Falananna soggiunse:
Or su, cavianne le mani, cominciate oramai col no-
me Domini .
[35] Il padre, fattoli la confessione generale, li diede
la assoluzione, e la penitenzia disse che voleva che la fa-
cessi la moglie per lui; e in sua presenza chiamatola, le
impose per soddisfazione de i peccati del marito, che la
digiunasse ognanno per la vigilia di Berlingaccio, men-
tre che la viveva, e di pi accendesse alla immagine di
santa Befana quattro candele ognanno ancora, a rive-
renza delle Quattro Tempora; di che si mostr colui for-
temente contento; [36] e fece giurare alla moglie che la
farebbe la penitenza per lui; ma il frate soggiunse:
Guai a lei se la mancasse di niente, ch la se ne an-
derebbe come traditora a fare compagnia a lanima di
Giuda in culo a Setanasso.
Hai tu inteso? disse Falananna, e al padre voltosi
lo preg che sollecitasse il morire, ch li pareva millanni
uscire di questo impaccio.
[37] A cui rispose il frate.
Ascoltami, che sia santo; tu hai la prima cosa a chiu-
dere gli occhi per sempre e non mai pi aprirgli, e levare
affatto il pensiero di questo mondo, n per cosa che tu
oda o che ti sia fatta hai a favellare o fare senso alcuno.
[38] Cos, tosto che tu abbia chiusi gli occhi, mgliata
lever un gran pianto; io non mi partir, avendo scusa
282 Letteratura italiana Einaudi
lecita di rimanere, e mentre che le donne la conforteran-
no, stando ella in sala, mona Antonia e io, lavandoti pri-
ma, una veste ti metteremo lunga che ti verr a coprire il
viso e i piedi, e metterenti in mezzo della camera, con
uno candellieri al capo, drntovi una candela accesa be-
nedetta, acci che la gente ti possa segnare; e di poi da-
remo ordine domandassera che i frati del Carmine, det-
to la compieta, ti portino a sotterrare.
[39] S rispose Falananna egli si vuole anco farlo
intendere alla compagnia, e che mi mandino la veste, e
vanghino per me, e poi alla sepultura, come al compare,
mi cantino O fratel nostro.
Ben sai seguit il Berna , questo si far ad ogni-
modo ; e soggiunse: [40] I becchini, messo che
taranno nella bara, e alla chiesa condotto, e cantato, e
fatto tutte le cerimonie, ti guideranno e metterannoti
nellavello, e quivi ti lasceranno; dove stato ventiquattro
ore, lanima tua, e non prima, voler nel paradiso: ma
abbia avvertenza che tu sentirai, insino a tanto che quel
tempo non sia fornito, tutte le cose come se tu fossi vivo,
s che non favellare e non far mai sentimento alcuno,
per che nello star cheto e fermo sacquista tutto il meri-
to; [41] ma se tu facessi atto, o parlassi, o facessi altra
cosa da vivi, subito cascheresti nel profondo dellabisso;
e perch quegli sciagurati becchini non hanno una di-
screzione al mondo, potrebbon forse nel metterti gi
nellavello qualche membro percuoterti, come gli stin-
chi, le braccia, il capo, che ne potresti sentire dolore e
non piccolo; e tu zitto e chiotto, perci che quanto mag-
gior pena sentirai, tanto sar poi maggiore il contento .
[42] Falananna, avendo bene ogni cosa compreso, ri-
spose che stessino sicurissimi che non mancherebbe di
niente, e non uscirebbe del suo comandamento; ma
avendo una grandissima fame, alla moglie fece intendere
che li portasse da mangiare, e al frate voltosi disse che
era disposto di volere morire satollo; [43] per che la
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
283 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
Mante li arrec un gran tegame di lenti riconce e una
coppia di pane grandissimo, poco minore di quello che
fanno i nostri lavoratori, e un gran boccale di vino; il
quale Falananna tutto bevve, e tutte le lenti mangi con
uno e mezzo di quei pani cos grandi, come se mai pi
non avessi n a bere n a mangiare. [44] Poi disse:
Acconciatemi come vi pare, che io muoio contenuto
pi mille volte ora, poich io muoio a corpo pieno .
Il frate, accnciolo sopra il letto e serratoli gli occhi,
avendo certi moccoli accesi in mano, borbottando fece
le vista di dire alcune orazioni, e li disse:
Tu sei morto .
Subito la Mante, messo un grande strido, cominci a
piangere amaramente e dire:
O marito mio, o marito mio dolce, tu mi hai lasciata
sola!
[45] Il padre, insino in su la porta venuto, fece la vi-
sta, udito le grida, di tornare a confortare colei; i vicini,
sentito il pianto, grande parte duomini e di femmine, e
alcuni suoi parenti vennero per confortarla; la quale in
sala faceva un lamento incredibile. [46] Il frate e mona
Antonia giunti in camera, piangendo, Falananna vivo
per morto din su il letto levorono, e come i corpi morti
lavatolo, dun lenzuolaccio li feciono una lunghissima
vesta, che li copriva i piedi, le mani e il viso, acci che il
colore non li avessi scoperti; e postoli un crocifisso al ca-
po e un candelliere, dntrovi una candela benedetta ac-
cesa, in mezzo della camera posatolo, apersono luscio
acci che la brigata lo potessi segnare.
[47] Era sempre mai Falananna, senza fare motto o
senso alcuno, stato fermissimo, di che frate Berna lietis-
simo stava; ma venute le persone in camera, lacrimando
lo segnavono, dimandando maravigliose perch cos li
avessero turato il viso; a cui rispose il frate:
Perch gli era cos trasfigurato e brutto che li areb-
be fatto paura a chi lavesse guardato .
284 Letteratura italiana Einaudi
[48] Mossono quelle parole paura a i circustanti che
ei non fosse morte di qualche cattivo malaccio, e che
sappiccassi, s che tutti stavano in cagnesco, leggermen-
te al padre spirituale ogni cosa credendo; e cos gran
pezzo badatovi e gi sopravvenuta la notte, fu la casa
sgomberata, e solo alcuni pochi parenti della Mante vi
restarono, e il frate che lo guardava con il libro in mano
fingendo di leggerli salmi e orazioni: e quando fu tempo
cenorono di gran vantaggio. [49] Ma venutone la matti-
na, feciono intendere a i fratelli che mandassino la veste,
ch Falananna era morto, e li invitorono per la sera,
doppo compieta, allonoranza. Venne subitamente la ve-
ste, la quale da mona Antonia e frate Berna gli fu messa
sopra quella che egli avea, e la capperuccia in su la fac-
cia li venne doppiamente a turare il viso. [50] Cos tutto
il giorno vennono uomini e donne a confortare la Man-
te, e a segnare il marito; increscendone a tutti, diceva
ciascuno: Dio li perdoni , il che Falananna udendo,
maraviglioso contento sentiva, pesandosi certamente es-
sere morto. Ma poi che ei desinorono, e che vespro non
solo fu detto, ma la compieta, secondo lordine vennero
i frati del Carmino per portarlo a seppellire, con la com-
pagnia di san Cristofano, ch cos si chiamava (la quale
era appiccata col convento medesimo del Carmino, do-
ve i frati feciono poi, ed vvi ancora, un refettorio), della
quale i fratelli erano tutti tessitori; [51] e nel mezzo a
punto avevono fatto fare un grandissimo avello nel qua-
le chi moriva di loro si sotterrava; il che venne molto a
pproposito al Berna e alla Mante; perci che quello se-
polcro aveva una lapida gravissima, e in modo conge-
gnata che n alzare n aprire si poteva se non da chi fos-
se stato di fuori; e perci il Berna fra s dicea: Se ei
ventra, converr per amore o per forza che ei vi muoia,
non vi si ragunando coloro se non una volta il mese .
[52] Ma poi che i frati, passando dalla porta, ebbono
auto la cera, andarono i becchini per il corpo. Che dire-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
285 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
te voi che Falananna avendo auto grandissima voglia di
fare le sue cose, e forse due ore sconcacatosi, gran pezza
avendola ritenuta, nella fine non potendo altro fare
laveva lasciata andare; e avendo le lenti riconce fatto
operazione, come se egli avessi preso scamonea, aveva
gittato un catino di rubalderia: la quale, per essere stata
alquanto ritenuta, tanto putiva e s corrottamente che
non si poteva stare per il puzzo in quella camera; [53]
ma tosto che furono dentro i becchini e che lo presano,
turandosi il naso, dissono a coloro che erano intorno:
O diavolo, voi non dovete averlo zaffato; in mal ora,
non sentite voi come ei pute? Vedete che ei cola; ohim!
Voi ste poco pratichi .
E cos a male in corpo portandolo, quasi ammorbati
lo posano nella bara; onde i fratelli, sendo gi forniti i
frati di passare, comportando il meglio che potevano il
puzzo, levato se lavevano in spalla e dietro la croce se-
guivano.
[54] Ora avvenne, camminando, che giunsono in su il
canto a Lione, e in su la svolta a punto capitati, tutte le
genti, come usanza, dimandavano chi fosse il morto: a
cui era risposto essere Falananna. A ognuno ne incresce-
va dicendo: Dio abbia auto lanima sua ; ma un suo
conoscente e amico, intesolo anchegli, e vedutolo por-
tare a seppellirsi, poco discreto, disse adirato:
Ahi rubaldo, giuntatore! Egli se ne va con tre lire di
mio: e sai che io non gli ne prestai contanti? Tristo la-
dro! Abbisele sopra lanima .
[55] E disse queste parole tanto forte che Falananna
intese, il quale o per non andare con quel carico, o pa-
rendogli esser a torto o troppo ingiuriato, dette una
stratta a le mani, e di quelle sviluppatosi, si stracci su-
bitamente e alzssi quel pannaccio che li nascondeva il
viso, e rittosi a sedere sopra la bara, a colui che oltrag-
giandolo ciarlava ancora rivolto, disse:
Ahi sciagurato! Queste parole si dicono a i morti?
286 Letteratura italiana Einaudi
Tristo! E che non me gli aver chiesti quando io era vivo?
O andare a mogliama che tarebbe pagato?
[56] Quei che lo portavono udito le parole, spaventa-
ti lasciorono andare la bara, e colui fu per ispiritare. Fa-
lananna, sendo caduto con la bara in terra, cridava pure
a coloro, che erano spaventati;
Non temete, non dubitate, io son morto, io son
morto: fate pure lufizio vostro, conducendomi allavello
; e assettatosi come prima a giacere nella bara, gridava
pure:
Portatemi via a seppellire, portatemi via, che io son
morto .
[57] Le grida ivi intorno si levorono altissime; chi
fuggiva, chi si nascondeva, chi si segnava; la croce, che
era gi presso alla porta della chiesa, si ferm; i frati re-
stati di cantare quasi ognuno, stupiti consideravono
questa meraviglia; e colui pur gridava; ma alcuni della
compagnia conoscendo assai bene la sua natura, se li ac-
costorono, e con certi torchi lo comincioro a frugare, di-
cendo:
Scellerato ribaldo, che cosa questa?
[58] Falananna diceva pure gridando:
Io sono morto, sotterratemi, sotterratemi per lamo-
re di Dio! Ma coloro preso quei torchi capopiedi, lo
cominciorono a bastonare e dargli di buone picchiate;
onde Falananna, sentendo le percosse, cominci a stri-
dere e guaire, e sviluppandosi il capo e i piedi, perch
coloro non li rompessino il dosso, si usc della bara, e
correndo gridava:
[59] Ahi traditori, traditori! Voi mi avete risucitato
; perci che avendo auto una bastonata in su la testa, li
grondava il sangue per il viso, e per il petto; onde pen-
sandosi essere vivo, diceva pure: Traditori, a questo
modo si fa: risucitare chi morto? Io me ne voglio anda-
re alla Ragione .
Per che le genti dintorno uditolo, la maggior parte lo
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287 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
stimorono impazzito affatto o spiritato; e i fanciulli pre-
so della mota e de sassi, cominciorono a darli la caccia;
[60] ondegli spaventato si messe a correre e a fuggire in
verso il Carmino, ed eglino ditroli traendo e gridando
sempre: Al pazzo, al pazzo , per la piazza del Carmi-
ne lo seguitorono. Falananna, sbigottito e spaventato,
non sapendo dove, a correre e a fuggire gridando atten-
deva, lasciando dove egli passava le persone attonite e
smarrite, veggendolo in quella guisa vestito. [61] E cos
fuggendo capitato in su il canto del ponte alla Carraia, e
seguitando il cammino impaurito per il romore e per lo
strepito, in verso il ponte si indirizz, e sempre da sassi e
da strida accompagnato, su per il ponte prese la strada;
ma quasi alla fine giunto, trov un carro nel mezzo della
via e non so che some di paglia, e muli e asini carichi di
rena, in modo che tutto ingombravono il sentiero, n vi
era luogo rimasto donde passare potesse, se prima il car-
ro e laltre bestie, passando, non avessero aperta la stra-
da; [62] onde Falananna, sendo spronato dietro da le
frombole e da la paura del rompre, salse in su le sponde
per far pi tosto; ma come volle la fortuna, o per la fret-
ta o perch quei pannacci se li inviluppassino fra i piedi,
o come la sandassi, sdrucciolando se ne and in Arno.
[63] Era in quel tempo venuto in Fiorenza uno fiam-
mingo, grandissimo maestro di fare fuochi lavorati, e di
molte e varie sorti; ed essendo stato alla Signoria e al
gonfalonieri, sera vantato di fare e di mostrare segni
dellarte sua miracolosi, e a punto il giorno per loro
commissione duoi de i Dieci di guerra e duoi di collegio
e altri uomini nobili della citt erono iti per vedere dun
certo olio artifiziato la prova, che ardeva subito che toc-
cava lacqua. [64] E al ponte a Santa Trnita venuti, ave-
va quel maestro duna sua ampolla ne lacqua dArno
lolio gittato, il quale, tosto che lebbe tocca, cos si av-
vamp e accese, come se da fuoco, sanitrio o zolfo stato
tocco fosse; e ardendo, in buon spazio si allarg, di che i
288 Letteratura italiana Einaudi
fiorentini nostri tutti rimanendo stupiti stavono, e mara-
vigliosi; e cos per lacqua sparso se ne andava secondo il
corso gi per quella ardendo. [65] E a punto era la met
passato il ponte alla Carraia sotto la prima pila, quando
Falananna cadendo ne lacque giunse, e per sorte nel
mezzo dette di quellolio ardente, il quale, s come colui
fussi stato impeciato, se gli attacc a dosso. Falananna
sendo al fondo pervenuto, e per il colpo in su tornato,
avendo, per cagione dellacqua, della caduta poco male
riceuto; e rizzatosi, perch lacqua gli dava a fatica al
petto, sentendosi e veggendosi ardere come un panello,
cominci dimenandosi e scotendosi a stridere e a urlare
di modo che facilmente sara stato sentito da Peretola;
[66] e quel fuoco avvampando, quanto pi nellacqua si
tuffava tanto pi prendea vigore e ringagliardiva; tal che
le persone sentendo le strida, e veggendo il fuoco, che
veramente colui ardendo consumava, mossi da piet e
compassione corsono per quella porticella, e con mazze
e sassi e altri strumenti mandandoli acqua a dosso per
spegnerlo, pi laccendevano, cotal che Falananna in
quella fiamma scomatendosi e gridando, una di quella
anime parea che mette Dante nellI nferno; [67] tanto
che in breve consumato e morto, fu tirato finalmente al-
la proda concio di tal maniera che non sara stato mai
chi per uomo lavessi conosciuto, anzi pareva un ceppo
verde di pero abbronzato; e si sara consumato affatto,
non trovando coloro via di levargli il fuoco da dosso, se
non che vi corse il fiammingo, e fattoli gittare sopra de
lolio, lo ammorz in un tratto e spensegli la fiamma.
[68] La Mante e mona Antonia, che ogni cosa aveva-
no inteso, e come il loro Falananna era risucitato, e cor-
so via fuggendo de la bara, dolorose ad ora ad ora in ca-
sa lo aspettavono; ma tostamente fu portato loro le
nuove, come gli era cascato in Arno e arso; e cos le gen-
ti tutte, che questa maraviglia intendevano, correndo al
ponte andavono, e inteso il modo, a ognuno fuor di mi-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
289 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
sura ne increscea: e cos per tutta la citt si divulg in un
tratto, come gli era cascato uno in Arno e arso. [69] E
parendo un miracolo alle persone, pure, intendendo co-
me, ne rimanevano soddisfatti, molto della colui disgra-
zia loro increscendo; e per pi mesi fu grandissima di-
sputa in Fiorenza di questo fatto: chi tenea che uno
spirito folletto li fussi entrato a dosso; altri dicevano es-
sere stato il demonio; alcuni opera di streghe e di malie;
e molti da la iscempiezza e dalla sua pazzia tutto fussi
venuto, e che non mai morisse se non nel fuoco; bench
la Mante afferm sempre il contrario, e che veramente
egli fosse morto; e mona Antonia ne rendeva ancora
buona testimonianza. [70] Ma finalmente essendo stato
veduto da infiniti morto e arso, la Mante, non troppi
giorni stata vedova, il suo Berna prese per marito; il qua-
le, dietro uscendo alla bara, se ne era andato a il luogo
secreto dove prima sera vestito; e spogliatosi quegli, e i
suoi panni messosi, al ponte era corso mostrando gran
maraviglia dello sfortunato caso di Falananna. [71] Ma
nella fine sendosi con la Mante maritato, con mona An-
tonia insieme, ricchi, si pu dire, molti anni allegramen-
te vissono alla barba del povero Falananna; che, come
voi avete udito, casc in Arno e arse; e da indi in qua in
volgar detto riduttosi, sempre si disse poi, e si dice anco-
ra a certo proposito: Casc in Arno e arse.
[1] Non potevano restare le donne di ridere della pia-
cevole novella di Florido, bench molto dolessi loro del-
la disgrazia strana, e del nuovo e quasi incredibile caso
di Falananna; e molto intorno a ci favellatosi, Amaran-
ta, vezzosamente, sapendo essere a s restato solamente
il carico, sciogliendo le parole cos disse:
[2] Veramente che Florido si pu dire che ci abbia
una favola racconto; e io per me ho via pi contento e
piacere presone che di tutte le altre, in un certo modo,
insino a qui narrate; e cos mi pare che a tutti voi sia in-
290 Letteratura italiana Einaudi
tervenuto, se i gesti e gli atti esteriori o de la letizia o del
dolore intrinsico far possono alcuna fede; [3] l onde io
sono deliberata, immitandolo, lasciarne una che io aveva
nella fantasia, e unaltra raccontarne che m venuta or
ora in mente, che non credo che vi piaccia meno della
sua, n meno vi faccia ridere . E cos lietamente inco-
minci dicendo:
Medesimamente nella nostra citt ......
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
291 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
[NOVELLA II]
DELLA SECONDA CENA
LA NONA FAVOLA
[1] Non s tosto tacque Silvio alla fine venuto della
sua favola, piaciuta ugualmente e commendata da tutti,
che Leandro, girato gli occhi intorno e dolcemente la
lieta brigata rimirando:
Oneste donne disse , e voi costumati giovani, poi
che il Cielo ha voluto che piangendo io faccia, contro
mia voglia, degli sfortunati avvenimenti altrui e infelici
fede, sono contento, con una delle mie novelle, uno do-
loroso e compassionevole caso, e certamente degno del-
le vostre lacrime, dimostrarvi, fiero e spaventoso forse
quanto altro o pi che ne intervenissi gi mai. [2] E ben-
ch non accadessi in Grecia o in Roma, e a persone dal-
ta progenie o di reale stirpe, pure cos fu a punto come
io ve lo dir; e vederete che nelle umili e basse case, cos
come ne i superbi edificii e ne i dorati tetti, il furore tra-
gico ancora alberga; e per cagione duna donna, quan-
tunque la non fosse figliuola dimperadore, regina o
principessa, disperata e sanguinosa morte di se stessa
prima, del marito e de i figliuoli nacque. Ascoltatemi
adunque ; e cominci dicendo:
[3] Pisa anticamente come voi leggendo avete potu-
to intendere, e mille volte ragionando ancora udito dire
fu delle popolate e bene stanti citt, non solo dItalia
ma di tutta lEuropa; ed era da molti suoi cittadini nobi-
li, valorosi e ricchissimi abitata. Gran tempo adunque
innanzi che sotto al dominio e a le forze fiorentine venis-
se, vi capit per sorte uno medico melanese che veniva
da Parigi, dove studiato e aparato aveva larte della me-
dicina; [4] e come volle la fortuna alquanto l fermatosi,
292 Letteratura italiana Einaudi
prese a curare alcuni, e tanto felicemente gli succedette,
che in breve tempo, come piacque a Dio, rend loro la
perduta sanit: onde salendo di mano di mano in credi-
to, in riputazione e in guadagno, e piacendoli la citt e i
modi e i costumi de gli abitatori, deliber non tornare
altrimenti in Milano, ma quivi fermarsi: [5] e perch a
casa niente aveva lasciato se non la madre gi vecchia, e
di lei, pochi giorni innanzi che a Pisa capitassi, auto no-
velle come passata era di questa vita, di l levato ogni
speranza, in Pisa la messe, ed elessela per sua abitazione;
dove, medicando, in poco tempo con molta utilit in
buono credito venne, e continuando larte sua, in non
troppi anni divent ricchissimo: e si chiamava mastro
Basilio da Milano.
[6] Onde avvenne che alcuni cittadini pisani cercaro-
no di dargli moglie, e gliene recorno molte innanzi, pri-
ma che si contentassi; alla fine una ne li piacque, che n
padre n madre avea, di nobile casato, ma povera, e solo
una casa li diede per dote, bella e fornita. Cos fattosi le
nozze, in casa lei allegro si torn; dove in roba e in fi-
gliuoli crescendo, molti anni insieme lietamente meno-
rono la vita. [7] Ebbono tre figliuoli masti e una femmi-
na, la quale in Pisa, al tempo, onoratamente maritorono,
e al maggiore de i loro figliuoli dierono donna; il minore
attendeva alle lettere: perch il mezzano, che Lazzero
aveva nome, pi tempo per imparare sera invano affati-
cato, poco dilettandosene, e pigro ancora e grossissimo
ingegno avendo. [8] Era molto malinconico di natura,
astratto e solitario, di pochissime parole e sopra tutto
caparbio, ch quando egli diceva di no una volta, tutto il
mondo non lara fatto dir s; onde il padre cos goffo,
zotico, e provno conoscendolo, dispose levarselo di-
nanzi e lo mand a star in villa, dove, poco lontano da la
citt, quattro belle possessioni avea comperate, alle qua-
li egli lietamente dimorando si vivea, pi assai piacendo-
li i contadineschi che li costumi civili. [9] Ma passati
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
293 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
dieci anni che mastro Basilio ne avea mandato Lazzero
in contado, venne in Pisa una strana e perigliosa malat-
tia, che le persone infermavono duna ardentissima feb-
bre, e si addormentavono, e cos dormendo, senza mai
potersi destare si morivano e appiccavasi come la peste.
[10] Il maestro, cupido, come tutti i medici, del guada-
gno, fu de i primi che ne medicassino; tanto che in po-
che volte se li attacc la iniqua e velenosa malattia di
sorte che non li valsero sciroppi o medicine, ch in po-
che ore lo uccise; e tanto fu crudele e contagiosa che a
gli altri di casa si appicc di modo, che per non contarvi
minutamente ogni particularit tutti luno doppo laltro
mand sotto terra, e solo una fantesca vecchia vi rimase
viva. [11] E cos per tutta Pisa fece grandissimo danno,
e lara fatto maggiore, se non che molte genti se ne par-
tirono; ma poi venutone il tempo nuovo, cess la mala
infruenza del mortifero morbo, che in quelli tempi e da
quelli tali fu detto il male del vermo; e le persone rassi-
curate, alla citt ritornando, ripresano le medesime fac-
cende e i soliti esercizi.
[12] Fu chiamato Lazzero in Pisa alla grandissima e
ricchissima eredit: ed entrato in possessione, solo un
famiglio sopra pi con la vecchia fantesca prese, e raf-
ferm il fattore che attendeva a i poderi e alle ricolte. E
tutta la citt cerc in un tratto per darli moglie, non
guardando alla rozzezza n alla caparbit sua; ma egli,
risolutamente rispondendo che voleva stare quattranni
senza, e poi ci penserebbe sopra, non gli ne fu poi mai
detto parola, sapendosi la sua natura: ed egli, faccendo
buona cera, non si voleva con uomo nato accompagna-
re, anzi fuggiva pi le pratiche che i diavoli la croce.
[13] Stavagli al dirimpetto a casa per sorte un povero
uomo, che si chiamava Gabriello con la moglie che San-
ta aveva nome, e con duoi figliuoli, luno mastio di cin-
que e laltra femmina di sette anni, n altro avevano che
una piccola casetta; ma Gabriello il padre era ottimo pe-
294 Letteratura italiana Einaudi
scatore e uccellatore, e maestro di fare reti e gabbie per-
fetto, e cos de i suoi lavorii del pescare e delluccellare il
meglio che poteva sostentava s e la sua famigluola, con
laiuto nondimeno della moglie, che tesseva panni lini.
[14] Era come volle Dio questo Gabbriello tanto simi-
gliante a Lazzero nel viso che pareva una maraviglia;
amboduoi erano di pelo rosso, la barba avevano duna
grandezza e dun colore medesimo, tal che sembravono
nati a un corpo; e non solo la persona e la statura
conformissima ancora, ma erano dun tempo e, come ho
detto, di maniera si simigliavono che, sendo stati vestiti
a una foggia medesima, non sara stato chi gli avessi po-
tuto conoscere, e la moglie stessa ne sara rimasta ingan-
nata; e solamente le vestimenta, di rozzo panno de luno
e di finissimo dellaltro, vi ponevano la differenzia. [15]
Lazzero, veggendo nel suo vicino tanta simiglianza di se
stesso, pens che da gran cosa venisse, n dovessi essere
senza cagione; e comincissi a dimesticare con quello, e
a lui e alla moglie mandare spesso da mangiare e da be-
re, e cos spesse volte Gabriello invitava a desinare e a
cena seco; e insieme avevano mille ragionamenti, e li fa-
ceva credere colui le pi belle cose del mondo, ch, ben-
ch dumile nazione e povero fosse, era nondimeno
astuto e sagacissimo, e sapevagli andare a i versi, tratte-
nerlo e piaggiarlo, di modo che Lazzero non sapea vive-
re senza lui.
[16] E cos una volta fra laltre, avendolo seco a desi-
nare, sendo finito le vivande pi grosse, entrorono ra-
gionando in su il pescare, e avendoli Gabbriello mostro
diversi modi di pescagioni, vennero in su il tuffarsi, e di
questo modo disse tanto bene, e come gli era cos utile e
dilettoso, che a Lazzero venne voglia grandissima di ve-
dere in che maniera si pescava tuffandosi, e si pigliassino
cos grossi pesci non solo con le mani, ma con la bocca
ancora, e ne preg caldamente il pescatore. [17] A cui
rispose Gabriello che a sua posta era apparecchiato, se
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
295 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
bene egli volessi allora; perci che, sendo nel mezzo del-
la state, agevolmente ne lo potea servire. S che rimasero
daccordo di andarvi allora, e levatosi da tavola si usciro-
no di casa, e Gabbriello, tolto le vangaiuole a collo, con
Lazzero insieme se ne andarono fuori della porta a ma-
re, rasente una palafitta che reggeva uno argine, dove
erano infiniti alberi e ontani, che altamente stendendosi,
a loro sotto, dolce e fresca ombra facevano. [18] E quivi
giunti, Gabbriello disse a Lazzero che si ponessi a sede-
re al rezzo e lo stesse a vedere. E spogliatosi nudo, si ac-
conci le reti a le braccia, e Lazzero, in su la riva postosi,
sedendo aspettava quel che fare dovessi. Ma tosto Gab-
briello entrato in Arno, e sotto lacqua tuffandosi, per-
ch di quelle reti era perfetto maestro, non stette troppo
che, a galla tornando, nelle vangaiuole aveva da otto o
dieci pesciotti, cos di buona fatta. [19] Parve a colui
uno miracolo, veggendo come sotto lacqua cos bene si
pigliavono, onde li nacque subito nel pensiero ardente
voglia di vedere meglio; e per il concente sole che, sendo
a mezzo il cielo, dirittamente feriva la terra, di modo che
i raggi suoi parevano di fuoco, pens ancora di rinfre-
scarsi; e aiutandolo Gabbriello si spogli, e da lui fu me-
nato dove era a ffatica acqua al ginocchio, in luogo che
piacevolmente correva in su il cominciamento del fon-
do; e quivi lasciatolo, li disse che pi avanti non venissi
che un palo che li mostr, che alquanto sopravanzava gli
altri; e lasciatolo, si diede al seguitare la pescagione. [20]
Lazzero guazzando sentiva dolcezza incomparabile rin-
frescandosi tutto, stando a vedere colui che sempre tor-
nava in su con le mani e con le reti piene di pesci, e alcu-
na volta per piacevolezza se ne metteva uno in bocca; tal
che Lazzero, maravigliandosi molto, pens forse che
sotto lacqua vedere si dovesse lume, non sendo mai uso
tuffarsi, immaginandosi al buio non essere mai possibile
potere pigliare tanti pesci; [21] e volendo vedere come
ei facessi a pigliargli, un tratto che colui si tuff,
296 Letteratura italiana Einaudi
anchegli, senza pensar altro, misse il capo e lascissi an-
dare sotto lacqua; e per meglio accertarsi vicino al palo
venne, s che tosto, come se di piombo fosse stato, se ne
and al fondo, e non avendo arte di notare n di ritenere
lalito, li parve strana cosa, e cercava dimenandosi di
tornare in suso; ma entrandoli lacqua non solo per boc-
ca, ma per gli occhi e per gli orecchi, ed egli scotendosi
pure, invano tentava duscirne; perch quanto pi si di-
menava, tanto pi la corsia lo guidava nel sopra capo, di
modo che in breve lo sbalord.
[22] Gabbriello, in una buca di quella palafitta entra-
to dove lacqua li dava a pena al bellico, perch molti
pesci vi sentiva, per empiere ben la rete non si curava
uscirne cos tosto; onde il povero Lazzero, venuto mez-
zo morto due o tre volte a galla, alla quarta non ritorn
pi in suso; e affogando miseramente forn la vita. [23]
Gabbriello avendo preso quei pesci che ei volse, tosto
con la rete piena ne venne fuori, e in una cassetta per ci
fatta messoli, allegro si volt per vedere Lazzero; e in
qua e in l volgendo gli occhi, e non lo veggendo in al-
cun lato, maraviglioso e pauroso venne; e cos attonito
stando, in su lerbosa riva vidde i panni suoi; di che for-
te malcontento e pi che prima doloroso, cominci a
guardarne per lacqua, e a punto vidde alla fine del fon-
do il morto corpo essere da la corsia stato gittato alla
proda. [24] E di fatto dolente e tremante l corse, e tro-
vatolo morto, fu da tanto dolore e da cos fatta paura so-
prapreso, che quasi di pietra immobile venne: e cos sta-
to alquanto, non sapea che farsi, temendo che la gente
non dicessi che da lui non fussi stato affogato per rubar-
lo: e cos fra la speranza e il timore stando, molte e varie
cose rivolgendosi per la fantasia, divenne per la dispera-
zione ardito, e della necessit fatto virt si deliber di
mandare ad effetto un pensiero che allora allora gli era
caduto nellanimo.
[25] E non vi essendo testimoni intorno, perch, es-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
297 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
sendo in su il vespro, o al fresco o a dormire era la mag-
gior parte delle persone, la prima cosa prese il morto
corpo di Lazzero in spalla, e ancora che grave fosse, in
su lumida riva lo condusse, e fra la verde e rigogliosa er-
ba lo pose; e cavatosi le mutande, il primo tratto le gli
misse, e di poi, avendosi sciolte le reti, alle braccia
dellaffogato Lazzero le leg fortemente; [26] e di nuovo
presolo e con lui nellacqua tuffatosi, e al fondo condot-
tolo, gli attacc e avvolse le reti a un palo, e in guisa in-
travers, che a gran fatica si potevano sviluppare; e in su
ritornato e nella riva salito, la camicia prima, e di poi
successivamente tutti i panni insino alle scarpette di co-
lui si misse, e si pose a sedere, avendo disegnato di far
prova e di tentare la fortuna, prima per salvarsi, e poi
per vedere se un tratto uscire potea di stenti e vedere se
il cotanto simigliare Lazzero li potessi essere cagione di
somma felicit e di perpetuo bene. [27] E perch gli era
saputo e animoso, parendogli otta di dare principio alla
non manco pericolosa che ardita impresa, a gridare co-
minci come se Lazzero fosse, e a dire:
O buona gente, aiuto, ohim! Correte qua a ripe-
scare il misero pescatore, che non ritorna a galla! ; e
gridando quanto da la bocca li usciva, tanto disse che il
mugnaio l vicino con non so quanti contadini l corsa-
no al romore; [28] ed egli, grossamente parlando per
bene contraffare Lazzero, quasi piangendo fece loro in-
tendere come Gabbriello, sendosi tuffato molte volte, e
molti pesci avendo presi, lultima era stato quasi unora
sotto lacqua, per il che dubitava forte che non fosse
affogato, e dimandatoli coloro per me dove tuffato
sera, mostr loro il palo al quale avvolto aveva Lazzero.
[29] Il mugnaio, amicissimo di Gabbriello, si spogli
subito, e perch gli era bonissimo notatore si tuff a pi
di quel palo, e in un tratto trov colui morto intrnogli
avviluppato; e cercato avendo di tirarlo seco, non lave-
298 Letteratura italiana Einaudi
va potuto scirre, e pieno di dolore in su torn gridan-
do:
Ohim! Che il meschino qui a pi di questo palo
con la rete avvoltosi, senza dubbio affogato e morto .
[30] I compagni sbigottiti con parole e con gesti mo-
stravono che fuor di modo ne dolessi loro, e duoi, spo-
gliatosene, con il mugnaio insieme tuffandosi tanto fece-
ro che laffogato corpo ripescorono, e fuor dellacqua
condussono, avendo alle braccia mezze stracciate e rotte
le vangaiuole, quelle incolpando che, per essersi attacca-
te, li fossono state cagione di disperata morte: [31] e co-
s spargendosi intorno la nuova, venne un prete vicino, e
finalmente in una bara messo, fu portato a una chiesic-
ciuola poco quindi lontana, e con uno lenzuolaccio fat-
toli una vestaccia, in mezzo della chiesa fu posto, acci
che vedere e segnarlo potessi la brigata, tenuto da tutti
per Gabriello.
[32] Era gi la trista novella in Pisa entrata, e gi alli
orecchi della sfortunata sua donna venuta, la quale pian-
gendo con i duoi figliolini l corse, da alquanti suoi pi
stretti parenti e vicini accompagnata; e il non suo marito
cos morto nella chiesicciuola veduto, credutolo desso
certamente, se gli avvent di fatto al viso, e piangendo
non si saziava di baciarlo e dabbracciarlo, e addssoli
stridendo scinta e scapigliata non restava di dolersi e
rammaricarsi con i duoi figliolini, che tanto teneramente
piangevano che ognuno dintorno per la piet e compas-
sione lacrimava: [33] de il che Gabbriello, come colui
che molto bene voleva alla donna e a i figliuoli, non po-
teva tenere il pianto, troppo di loro increscendoli; e cos
per confortare la malinconosa moglie, tenendo un cap-
pello di colui quasi in su gli occhi, e al viso un suo fazzo-
letto per rasciugarsi le lacrime, da lei e da tutti per Laz-
zero tenuto, con voce roca disse in presenza di tutto il
popolo:
[34] O donna, non ti disperare, non piangere, ch
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
299 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
io non sono per abbandonarti; con ci sia cosa che per
mio amore e per darmi piacere tuo marito oggi a pescare
contro a sua voglia si mettesse, a me pare della sua mor-
te e del danno tuo essere stato in parte cagione; per ti
voglio aiutare sempre, e a te e a i tuoi figliuoli dare le
spese: [35] s che non piangere pi, datti pace, e torna-
tene a casa, che mentre che io vivo non ti mancher mai
cosa alcuna, e se io muoio ti lascer in modo che da tue
pari ti potrai chiamare contenta ; e questa ultima paro-
la disse singhiozzando e piangendo, come della morte di
colui e del danno di lei gli increscesse; e cos come Laz-
zero fosse, a casa di Lazzero se ne and, molto laudato e
commendato da la gente.
[36] La Santa, avendo stracchisi gli occhi per il trop-
po lacrimare e la lingua per il molto dolersi, venuta gi
lora di seppellire il morto, da i parenti accompagnata se
ne torn in Pisa alla sua abitazione, confortata alquanto
da le parole di colui che fermemente pensava essere
Lazzero suo vicino. [37] Gabbriello, che Lazzero simi-
gliava e sera fatto lui, e gi per Lazzero in casa Lazzero
entrato, perch tutti i costumi, sendo familiare e pratico
di casa, molto bene sapea, senza salutare se nera ito in
una ricca camera, che sopra un bel giardino riusciva, e
cavato le chiavi della scarsella del morto padrone co-
minci ad aprire tutti i cassoni e casse, e trovato nuove
chiavicine, forzieri, cassette, scannelli e cassettini aperse
in quantit, dove trov, senza larazzerie e i panni lini, di
velluto e di dammasco molte vestimenta, e molte di pan-
no finissimo ancora, che del padre medico e de i fratelli
di Lazzero erano state. [38] Ma sopra tutto quel che li fu
pi caro, furono, senza le catene e lanella e le gioie, for-
se dumilia ducati doro, e da quattrocento di moneta,
onde lietissimo non capriva in s per lallegrezza, pen-
sando pure come meglio operare potesse per celarsi e
farsi tenere per Lazzero a quei di casa: ma sapendo mol-
to bene la natura di colui, in su lotta della cena susc di
300 Letteratura italiana Einaudi
camera quasi piangendo. [39] Il famiglio e la serva, che
la sciagura della Santa intesa avevano, e come si diceva
lui esserne stato in buona parte cagione, si credevano
che di lui piangesse; ma egli, chiamato il servo, fece tr-
gli sei coppie di pane, e empgli duoi fiaschi di vino, e
con la met della cena lo mand alla Santa; di che la me-
schina poco si rallegr, non faccendo mai altro che pia-
gnere. [40] Il famiglio ritornato diede ordine di cenare,
e colui poco mangiando per pi Lazzero simigliare, da
tavola utimamente si part senza altramente favellare, e
serrssene in camera a lusanza di colui, donde non usci-
va mai se non la mattina a terza. Al famiglio e a la fante-
sca pareva che gli avesse mutato un poco cera e favella,
ma pensavono che fusse per il dolore dello strano caso
del povero pescatore, e a lusanza cenato, se ne andoro-
no al letto. [41] La Santa, dolorosa, alquanto con i suoi
figliolini mangiato, da non so che suoi parenti consolata
che buona speranza li dierono, veduto la sera venir s
fatta profenda, se ne and per dormire a letto, e i paren-
ti presero licenzia.
[42] La notte Gabbriello pi cose pensando di fare,
allegro la mattina si lev a lotta solita di Lazzero, e sa-
pendo lusanza sua, il meglio che poteva immitandolo si
passava il tempo, non lasciando mancare niente a la sua
Santa: ma sendoli ridetto dal servo che la non restava di
piangere, come colui che quantaltro marito che amasse
mai mogliera teneramente lamava, troppo dolendoli del
suo dolore, pens di racconsolarla: [43] e sendosi risolu-
to quello che fare intendeva, un giorno doppo desinare
se ne and a lei dentro a la casa sua; e perch gli era di
poco seguito il caso, la trov da un suo fratello cugino
accompagnata; ondegli, fattoli intendere che parlare gli
voleva per cosa dimportanza, colui, sapendo la carit
che li faceva, per non sturbarlo prese da lei licenza, di-
cendo che ascoltasse il pietoso suo vicino. [44] Gabriel-
lo tosto che ei fu partito serr luscio, e in una picciola
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
301 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
camera terrena entrato accenn la Santa che l andasse;
la quale, dubitando, forse dellonor suo, a quel modo so-
lo rimasa, non si sapeva ben risolvere se l dentro anda-
re o restare quivi dovesse: pur poi pensando al benefizio
e lutile che da colui aspettava, preso per le mani il mag-
giore de suoi figliuoli, l dentro se ne and; dove colui
sopra il lettuccio dove posare sempre, quando era strac-
co, si soleva il marito, trov giacersi, e maravigliosa si
ferm. [45] Quando Gabbriello, veduto il figliolino se-
co, ghign, della purit della sua donna rallegrandosi; e
a lei rivolto una parola che molto usato era dire le disse:
di che la donna pi maravigliandosi, manco sapea che
dirsi; quando Gabbriello, preso in collo il figliolino, ba-
ciandolo disse:
Tua madre, non conoscendo, piange la tua ventura
e la felicit del suo marito .
[46] Pure di lui, bench piccolino fosse, non fidando-
si, con esso in collo in sala se ne and, e da quellaltro
messolo, datoli non so quanti quattrini, li lasci che si
trastullassero, e a la moglie, che pensando a le dette pa-
role quasi riconosciuto lavea, tornato, luscio della ca-
mera serr, e scopertosile, ci che fatto aveva ogni cosa
per ordine le narr; di che la donna fuor dogni guisa
umana si rend lieta, certificata per molte cose che fra
loro duoi erano segretissime, e per uno segno massima-
mente che il marito aveva cos fatto, che di leggieri
scambiare non si poteva. [47] Gioiosa non si saziava di
stringerlo e dabbracciarlo, tanti baci per lallegrezza
rendendoli, vivo trovatolo, quanti per il dolore dati li
aveva, morto credutolo; e piangendo per la tenerezza,
luno dellaltro le lacrime beevano; tanto che la Santa,
per meglio accertarsi se cos bene a le parole risponde-
vano i fatti, volle, e per il ristoro della passata amaritudi-
ne, il colmo della dolcezza gustare con il caro suo mari-
to, il quale non se ne mostr punto schifo, forse maggior
voglia di lei avendone: e cos la donna pi a quello che a
302 Letteratura italiana Einaudi
nessuna altra cosa lo conobbe essere Gabbriello vera-
mente, suo legittimo marito. [48] Ma poi che gli ebbono
presosi piacere e ragionato assai, lavvert Gabbriello
che fingere le bisognava non manco che tacere, e le mo-
str quanto felice essere poteva la vita loro, raccontan-
dole le ricchezze che trovate avesse: e narratole quello
che di fare intendeva, che molto li piacque, si uscirono
di camera. [49] La Santa, fingendo di piangere, a punto
quando Gabbriello fu fuor della porta e a mezzo la stra-
da disse, da molti sentita:
Io vi raccomando questi bambolini ; colui, dicen-
dole che non dubitasse, si torn in casa, pensando come
pi accomodatamente menar potessi ad effetto i suoi
pensieri.
[50] Venne la sera ed egli, osservato i modi comincia-
ti, fornito di cenare si misse nel letto per dormire; e qua-
si tutta le notte sopra quel che fare intendea pensando,
poco o niente chiuse occhi. E non s tosto apparse lalba
in oriente, che levatosi ne and alla chiesa di Santa Cate-
rina, nella quale abitava allora un venerabile padre, ve-
ramente religioso e buono, e da tutti i pisani tenuto uno
santerello; e fattolo chiamare, che frate Angelico aveva
nome, li disse che bisogno avea grandissimo di favellar-
gli, per consigliarsi seco duno importante caso e strano
che gli era intervenuto. [51] Il buono padre misericor-
dioso, ancor che non avesse sua conoscenza, lo men in
camera; e faccendosi Lazzero di maestro Basilio da Me-
lano, come colui che ben la sapeva, tutta li narr la sua
geneologia, e prima come per la passata mortalit solo
rimanesse, e laltre cose poi di mano in mano, tanto che
a Gabbriello venne, e li raccont tutto quello chintorno
a ci accaduto fosse, e li dette a credere come per veder
pescare lo menasse contro a sua voglia, e come poi, pe-
scando per fargli piacere, affogasse, e del danno che ne
resultava alla moglie e ai figliuoli, perch, non avendo
alcuno bene sodo, del guadagno del padre vivevano;
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
303 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
[52] e parendoli essere del danno loro e de la morte di
lui in gran parte cagione, li disse come si sentiva al cuore
gravissimo peso e carica la coscienzia; per non restava
di provedere e daiutargli di tutto quello che alla vita lo-
ro bisognasse. Lo confort il padre molto, dicendoli che
il sovvenirgli appresso di Dio gli era di grandissimo me-
rito, ma che seguitasse e perseverasse in carit, e non du-
bitasse, che la misericordia di Dio ha le braccia lunghis-
sime; [53] e se bene il pescatore era affogato, egli
menato non laveva per farlo morire, ma per pigliare
piacere della sua pescagione: s che, aiutando e sovve-
nendo la donna e i figliuoli, sicurissimo fosse della mise-
ricordia e bont di Dio.
Io sono contento rispose Gabbriello che insino
a qui bastassino le limosine che io ho loro fatte; ma udi-
te, questo ora dove importa, e ascoltare quello che io
vo narrarvi, che mi raccapriccio a pensarlo.
Non temere, figliuolo, disse frate Angelico , sguita
arditamente .
[54] Onde colui repigliando le parole, cos cominci
a dire:
Questa notte passata non potetti mai chiudere oc-
chi, tanto sopra ci pensando grandissima passione sen-
tiva; e cos, da vari pensieri e diversi tormentato, vicino
al giorno finalmente maddormentai; e dormendo, mi
pareva essere in su quella riva dArno dove gi stetti a
vedere pescare quello poverello, e veggendolo n pi n
meno come allora tuffandosi pigliare gran quantit di
pesci, ne aveva maraviglioso piacere; [55] quando mi
viddi avanti a gli occhi uno carro grandissimo compari-
to, mezzo bianco come lavorio, e mezzo nero e guisa di
brace spenta; da il lato destro era una grandissima co-
lomba come la neve bianca, e dal sinistro uno smisurato
corbo nero a similitudine de lebano, che nel modo che i
nostri carri fanno i cavalli e i buoi, quello tiravono: [56]
nel mezzo appunto era posto una sedia, la met bianca e
304 Letteratura italiana Einaudi
laltra nera, come tutto il resto del carro miracolosamen-
te lavorata, dove io mentre che stupito remirava, non so
da chi n come fui posto a sedere: ma non vi fui cos to-
sto dentro che la candida colomba e il tetro corbo, spie-
gando lali pi veloci assai che l vento, se ne girono per
laria volando, e poggiando a lo in su, tutti i cieli mi par-
ve che passassino. [57] Ma lasciando indietro le maravi-
glie che io vidi, mi guidarono a modo nostro in uno spa-
ziosissimo salotto tondo, e postomi nel mezzo, a pi
duna grandissima palla mi lasciorono; intorno alla qua-
le tre gradi stavono di bellissimi giovani; i primi di verde
erano vestiti, di bianco i secondi, e i terzi di rosso. Cos
quivi condotto trovandomi, maraviglioso aspettava
quello che seguire dovesse, quando quella grandissima
palla scoppi e saperse, e restvvi una sedia altissima
che parea che ardesse, e suvvi un giovane a sedere, pure
di fuoco vestito e di fiamme accese incoronato. [58] Ma
qundo egli volse inverso me la faccia, locchio mio debi-
lissimo non potette soffrire tanta luce, perci che mille
volte era pi fulgida e splendida che quella del sole:
ondio, abbassatoli e in terra guardando, mi accorsi to-
sto che dal soverchio splendore era cieco diventato:
quando con voce che parve duno terribilissimo tuono
udi dire una parola non mai pi da me udita, n mai
credo nel mondo favellata; [59] onde subito, non veg-
gendo da chi, mi senti portare, e doppo buon spazio
per laria aggiratomi, fui in terra posto sopra uno erboso
prato, secondo che mi pareva (brancolando con le mani)
sentire; ed eccoti una voce umana udi che disse: Fi-
gliuolo, non dubitare; aspetta, che tosto riarai il vedere:
[60] al suono delle cui dolcissime parole voltomi, e ri-
spondere volendo, non potetti quello che io aveva
nellanimo fare noto con la lingua, e di cieco mi conobbi
ancora essere muto diventato; e non meno dolente che
pauroso, attendeva ci che nella fine essere di me dove-
va, quando da persona viva mi fu presa la mia destra, e
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
305 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
dettomi: Distenditi in terra quanto sei lungo. [61] E
io obbediente cos fatto, appunto arrivai alle fresche
sponde duna fontana, e distendendomivi dentro la ma-
no, mi comand colui che gli occhi mi toccasse, e con le
santissime acque mi lavassi tutta la faccia, e subito, oh
cosa miracolosa!, riebbi la vista; e girato gli occhi intor-
no, fu da cos maraviglioso stupore sopraggiunto che
per la dolcezza e per la gioia parea che il core mi volesse
saltare del petto, veggendomi innanzi a uno cos devoto
e venerabile eremita, daspetto venusto e severo. [62] La
faccia aveva squalida e macilente, gli occhi dolci e gravi,
la barba folta e lunga sino al petto, le chiome distese e
sopra le spalle cadenti; i peli delluna, e dellaltra i capel-
li sembravono fila di purissimo argento tirato, le vesti-
menta lunghissime erano, e sottilissime, del colore della
luna, cinto nel mezzo con dua fila di fressibili giunchi; in
testa aveva di pacifica uliva leggieri e vaga ghirlandetta:
dogni onore certo e reverenza degno. [63] Il prato dove
io sedeva era di minuta e cos verde erbetta, che alquan-
to pendeva in bruno, destinto per tutto e variato da mil-
le diverse maniere di soavissimi fiori; e quanto locchio
mio scarico poteva vedere intorno, tanto durava, e forse
pi assai, la lieta pianura senza esservi arbori di sorte al-
cuna; il cielo di sopra si scorgea lucente e chiarissimo
senza stelle, luna o sole. [64] Sedevasi la persona divina
sopra un rilevato seggio, che era uno sasso vivo circun-
dato dedera; da ogni banda vedere si potea una non gi
troppo grande, ma vaga e dilettosa fonte, non da dotte o
maestrevoli mani artificiosamente di marmo o dalaba-
stro fabbricata, ma da la ingegnosa natura puramente
prodotta; le sponde delluna erano di freschi e rugiadosi
gigli, laltre laveva di pallide e sanguigne viole: lacque
della prima sembravono molle e tenero latte, quelle de
la seconda parevano di finissimo e negro inchiostro.
[65] Ora mentre che io rimirava intento le detto cose; il
santo vecchio mi benedisse, e in uno stante mi ritorn la
306 Letteratura italiana Einaudi
favella; ondio inginocchiatomili a i piedi, adorando, il
meglio che io sapeva li rendeva grazie, quano egli rom-
pendomi le parole disse: Abbia cura e diligentemente
attendi a quello che io fo, perch sar fatto a tuo amae-
stramento. [66] E sedendo in mezzo alle due fontane,
con la destra un sasso piccoletto prese, e ne la fonte che
guardava a loriente lo gitt; ma non s tosto le bianchis-
sime acque percosse, che di quelle si vidde uscire un
bambino bianco e ricciutino, di razzi e di stelle e di vivo
splendore circundato, cantando e ridendo in vero il cie-
lo salire, e come avessi lale, in su volando, and tantal-
to che io lo persi di vista; [67] e doppo con la sinistra
mano un altro sassetto prese, e nellaltra fonte sinistra
alloccidente volta gittatolo, subito tocca la caligginosa
acqua, si vide visibilmente uscire un altro bambino livi-
do ed enfiato, e intorniato di ruote di fiamma accesa, e
come se egli ardesse si storcea e dimenava; e in uno trat-
to apertasi la terra, dinanzi a gli occhi miei si fece una
caverna profondissima; nella quale gridando e stridendo
quel bambino si misse allo in gi precipitando; ma tosta-
mente inghiottitolo, si riserr la fessura e ritorn la terra
la pari, e come prima erbosa e colorita. [68] Allora luo-
mo di Dio chiamatomi, che quasi semivivo stava sopra le
vedute e maravigliose cose pensando, disse: Figliuolo,
se tu farai quel che io ti dir, alla fine della vita lanima
tua volando se ne andr come il bambino che usc di
quella fonte, e mostrmmi con la santa mano quella di
latte, e poi soggiunse: Se tu romperai il mio e di Dio
comandamento, con laltro che di quellaltra usc, nel
profondo dellinferno, cadendo, si ritrover a perpetuo
supplizio condennata. [69] Ondio, fra paura e speran-
za doloroso e allegro, cos risposi: Servo di Dio, co-
mandate pure, ch io sono per fare ci che piace a voi e
al mio Signore. Ed egli mi disse: La prima cosa ti con-
viene, svegliato che sarai, trre sessanta lire e andartene
a una persona religiosa che io ti metter nel pensiero, e a
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
307 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
lei consegnarle, e dirle che la met ne doni al convento,
e che dellaltra faccia liberamente la volont sua, ma or-
dini che tre luned alla fila si cantino le messe di santo
Gregorio, e faccisi uno ufizio solenne per lanima del
pescatore che, a le tue cagioni morendo, ora si truova
nel purgatorio; [70] e di poi ti bisogna legittimamente
sposare la donna che fu del morto Gabriello, e come fa-
re debbe marito a moglie, trattarla e onorarla, e pigliare
ancora i duoi suoi piccoli figliolini e, come se di te nati
fossino, amargli e custodirgli: e volendo obbedire al mio
comandamento, andrai tosto a trovare il padre spirituale
che io ti mostrerr, e consigliati seco e attienti al suo pa-
rere, ch farai bene. [71] Io appunto risponder volea
che era contentissimo quando, insieme col sonno, il pra-
to, le fonti e il santo eremita sparvano da gli occhi miei;
ma ritrovatomi nel letto attonito e smarrito, pi volte
riandai e rivolsimi per la fantasia le vedute e dette cose,
e tra s e il no dimorato gran pezza, alla fine spaventato
mi disposi di seguire quello che mi era stato comandato.
E cos sono a voi venuto, perch, tosto che io fui desto, a
voi si volse il mio pensiero; e bench io altrimenti che
per fama non vi conoschi, spero che per piet e carit
non mi abbandonerete.
[72] Frate Angelico, che quasi una mezzora intentis-
simo era stato alle parole di colui, e piena fede prestan-
doli, stupito e maraviglioso, ogni cosa considerato, ri-
spose che tutto era seguito per volont di Dio, e che non
li mancherebbe del suo consiglio; ed espostogli prima
tutto e interpretato il sogno, lo confort ad ubbidienza:
a cui rispondendo Gabbriello, disse:
Perch voi veggiate se io sono disposto a ci, ecco
che io ho portatovi intanto le sessanta lire ; e scosso
una borsa, gliene rovesci innanzi tutte, e di moneta
dargento; alla cui dolce vista, ancora che santissimo, si
rallegr tutto il padre spirituale; e preso i danari, disse:
[73] Figliuolo, le messe si cominceranno il primo
308 Letteratura italiana Einaudi
luned; ci resta solo il matrimonio, al quale ti conforto: e
non guardare a ricchezza o nobilt, perch delluna non
hai da curarti, sendo ricchissimo per la grazia di Dio, e
dellaltra non di fare conto, poi che tutti a principio na-
ti siamo dun padre e duna madre, e la vera nobilt son
le virt e il temere Dio, di che nha costei, ch io ben la
conosco, e i suoi parenti bonissima parte.
Io non sono qui per altro rispose colui , si che io
vi prego che mi mettiate per la via.
[74] Quando vorresti tu darle lanello? seguit il
frate.
Oggi, se la se ne contentasse soggiunse Gabbriello
, tanta paura mi fece quel bambino affogato, che stri-
dendo se ne and a Casa calda.
Al nome di Dio rispose il padre , lascia un poco
fare a me; vattene in casa e di l non ti partire, che avan-
ti desinare spero che si faranno queste benedette nozze.
[75] S, che io ve ne prego rispose Gabriello e
mi vi raccomando .
E auto la benedizione, di camera del frate si usc, e
lietissimo in casa se ne torn, aspettando che la cosa
avessi secondo lintento suo effetto felicissimo.
[76] Il frate, riposti i danari, prese una compagnia e
se ne and a trovare un zio della Santa che era calzolaio,
e cos un suo fratello cugino, barbiere; e narrato loro
ogni cosa, ne andarono insieme a trovare a casa la Santa;
e fattole intendere il tutto, male volentieri fingeva dar-
recarvisi. Pure coloro tanto la pregorono, mostrandole
per mille ragioni questessere la ventura sua e de suoi fi-
gliuoli, che la vi si arrec, e quasi piangendo disse che
non lo faceva per altro che per il commodo e lutile de i
suoi figliolini, e ancora perch molto Lazzero simigliava
il suo Gabbriello. [77] Volete voi altro? Per dirvi breve-
mente, che la mattina medesima tanto si adoper il frate
con i parenti di lei, che in presenza di pi testimoni e del
notaio, sendo tutti andati in casa di Lazzero, Gabbriello
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
309 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
la seconda volta, allegrissimo, dette in persona di Lazze-
ro a la sua Santa lanello, la quale, gi spogliatosi la nera,
si era duna vesta ricca e bellissima addorna, che fu della
moglie del fratello dellaffogato Lazzero, fra molte altre
scelta che a punto parea tagliata a suo dosso. [78] E cos
la mattina fecero un bellissimo desinare, e la sera una
splendidissima cena, la quale fornita, presano licenza i
convitati, e li sposi se ne andorono al letto, dove lieti in-
sieme ragionando, della semplicit del frate, della credu-
lit de parenti e de vicini e di tutte le persone si rideva-
no, oltre a modo della felicissima ventura loro
rallegrandosi; e gioiosi attesano la notte a darsi piacere,
non conoscendo di quanto male e incomparabile danno
sar loro cagione lavere ingannato gli uomini e dispre-
giato Idio. [79] La fante e il famiglio, avendo veduto fa-
re s grande spendio, si pensavono che fusse rispetto a le
nozze, non troppo contenti di questo parentado. Gli
sposi levatosi tardi la mattina, avendo beuto luova fre-
sche, visitati da i parenti della Santa, fecero ancora per
la mattina un suntuoso convito, e cos a stare in festa du-
rorono tre o quattro giorni. [80] Avendo Gabbriello
onorevolmente rivestiti i figliuoli, si viveva con la sua
due volte moglie pacificamente in lieta e riposata vita; la
Santa, veggendosi di terra essere volata al cielo, e dellin-
ferno salita in paradiso, in tante delizie e in tanta roba
trovandosi, insuperbita si dispose fornire la casa di nuo-
vi servidori; e fatto intendere al marito che quelli non li
piacevano, fu forzato colui mandarli via, e chiamatoli un
giorno fece loro le parole; e a la serva vecchia, che gran
tempo vera stata, dette dugento lire per maritare una
sua figliuola, e cos ancora al famiglio, che di poco vera
venuto, oltre al salario don una buona mancia, e man-
donneli in pace. [81] La Santa, due serve avendo trovate
e uno servidore, non contenta deliber condursi in casa
ancora una vecchicciuola sua conoscente con una sua fi-
glioletta bellissima di sedici o diciassette anni; e fece tan-
310 Letteratura italiana Einaudi
to che Gabbriello ne fu contento, dicendoli che la fan-
ciulla per cucire e tagliare e lavorare benissimo camicie e
gorgiere era il proposito e il bisogno della casa; e cos
con il suo Gabbriello dimorando, come una signora vi-
vea, e tutta Pisa ne le aveva invidia, dicendo che la mor-
te del marito lera stata felicissima vita, e cos de i suoi fi-
gliuoli. [82] E se ne faceva un dire grandissimo, parendo
a molti cosa male fatta, dicendo colui averlo consentito
per pazzia: alcuni stimavono per misericordia, e altri che
imburiassato dal frate, per le sue persuasioni a ci fare si
fosse condotto; pure, non avendo colui parenti, non ne
li era da persona rotto la testa. [83] Gabbriello nondi-
meno, faccendo le vista non sentire niente, poco usciva
fuori, e dove egli era conosciuto si ingegnava di fare e di
immitare quanto pi potea i modi di Lazzero; ma, torna-
to a gli orecchi al frate come molti lo incaricavono, fece
una domenica mattina nel Duomo, che a punto vera la
sagra, per giustificarsi una devotissima predica, nella
quale tutto il sogno di Gabbriello raccont: [84] e lo
espose e interpret di maniera, dandoli cos bella allego-
ria, che poco meglio ara fatto il mio frate Giovanni da
Lanciolina, dicendo che cosa fosse il carro e la sedia
bianca e nera, e assomigliando i duoi uccelli che lo tira-
vano e, come voi sapete, tutte laltre cose di mano in ma-
no; tanto che le pi persone si pensorono che fusse stato
veramente uno miracolo, e ne restorono soddisfattissi-
mi.
[85] Gabriello con i figliuoli e con la moglie si atten-
deva a vivere in somma gioia: ma la fortuna invidiosa,
che sempre fu nimica de i contenti e de i mondani piace-
ri, ordin di modo che la letizia loro in dolore, la dolcez-
za in amaritudine e il riso in pianto si rivolse; per che
Gabbriello ardentissimamente si innamor della Mad-
dalena, ch cos si chiamava la figliuola di quella vec-
chicciuola amica della Santa, la quale per compassione
in casa si avevano raccettata; [86] e cercando con ogni
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
311 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
industria colui di venire allintento suo, oper tanto con
preghi e con danari con la madre, che era poverissima,
che la figliuola conobbe carnalmente; e continuando la
cosa, di giorno in giorno a Gabbriello cresceva lamore;
ed egli, bench qualche ducato spendessi, attendeva a
darsi piacere e buon tempo, e senza che nessuno lo sa-
pessi si godeva la sua Maddalena. [87] Ma non potetto-
no cos segretamente governarsi che la Santa non se ne
avvedessi; di che con Gabbriello prima ebbe di sconce e
strane parole, ma pi villanamente con la vecchia e con
la Maddalena processe: e un giorno doppo desinare, che
Gabriello era ito fuori, con le loro cose le mand via,
avendo detto loro una villania da cani. [88] Di che, tor-
nato, Gabbriello fece grandissimo romore, e a casa loro
le cominci a provvedere, crescendoli di mano in mano
il disordinato desiderio: e con la moglie stava sempre in
litigi e in guerra, perch non le dando pi noia la notte,
come fare solea, andando il giorno a scaricare le some
alla sua Maddalena, era colei in troppa rabbia per la ge-
losia e per lo sdegno salita, tal che in quella casa non si
poteva stare per le grida. [89] Onde Gabbriello garrito-
la, confortatola, ripresola e pi volte minacciatola, e
niente giovando, per dare luogo al furore di lei e al suo
cocentissimo amore se ne and in villa, e vi fece la sua
Madalena e la madre venire; dove senza esserli rotta la
fantasia dalla importuna e sazievole moglie, allegrissimo,
piacere si dava e buon tempo. Della qual cosa la Santa
rest s dolorosa e mal contenta, che altro non faceva
mai che sospirare e piagnere, del disleale marito e della
disonesta madre e della odiata fanciulla dolendosi. [90]
E sendo gi passato un mese, e Grabbriello non tornan-
do n faccendo segno di tornare, con la sua innamorata
trastullandosi, e avendo ogni giorno la Santa nuove della
buona cera che insieme facevano, fuori il modo e sopra
ogni guisa uman dolente, di tanta collora, furore, rabbia
e odio incontro a lei e al marito si accese, che disperata,
312 Letteratura italiana Einaudi
non pensando al danno che riuscire ne le potea, si di-
spose e deliber daccusare il marito, e manifestare co-
me Gabbriello da Figline pescatore, e non Lazzero fos-
se; In questo modo dicendo gastigher il crudele
marito e le nimiche femmine .
[91] E senza altro pensare, infuriata, allora allora si
misse la cioppa, e senza trre compagnia di serve, sola
portata dal furore se ne and, che era quasi sera, dentro
a uno Magistrato che giustizia teneva, come nella citt
nostra gli Otto di guardia e bala; a i quali fece intendere
tutti i casi del marito, affermando che Gabbriello e non
Lazzero fosse; e per verificargli disse loro del contrasse-
gno di che restare ingannati non potevano, e che tutto
lerrore era venuto per il tanto simigliarsi. [92] Il segno
era questo, che a Gabbriello poco tempo innanzi enfiato
e guasto un granello, fu forza, volendo fuggire la morte,
cavarselo, s che nella borsa si vedea una margine gran-
dissima, e solo avea un granello. Il Magistrato fece rite-
nere la donna, pensando che esser potessi e non essere
la verit; e la notte stessa mandorono la famiglia del bar-
gello, che, nel letto con la sua amorosa giacendo, Gab-
briello che non se lo aspettava presono, e innanzi al
giorno in Pisa e in prigione condussono. Il quale malin-
conoso insino al giorno stette, e di poi venuto allesami-
ne nulla voleva confessare, anzi come insensato a guisa
di Lazzero rispondea. [93] Ma coloro gli feciono venire
innanzi la moglie, alla cui vista grid ad alta voce, ficen-
do:
Bene mi sta ; e a lei rivolto disse: Il troppo amore
che io ti portai mha qui condotto ; e al Magistrato ri-
volto, tutto il caso cos veramente comera seguito, rac-
cont.
Ma coloro dellavere uccellato il fraticello semplicetto
e schernito Cristo due volte, avendo reiterato il santo
matrimonio con la stessa donna, ripresolo, e spaventato-
lo minacciandolo sempre, li dissono che fermamente te-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
313 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
nevano che Lazzero da lui maliziosamente fossi stato
affogato e morto per rubargli con la similitudine, come
gli era riuscito, e godersi le sue ricchezze: [94] e incru-
deliti, messolo alla tortura, tanti martri e tanti gli diero-
no che innanzi da lui si partissino ogni cosa come a loro
piacque confess, e daverlo astutamente affogato e
morto per dare quello che insino a quivi li era riuscito
per la tanta simiglianza. [95] Per il che dette il Magistra-
to la sentenza: che laltra mattina, faccendo le cerche
maggiori per Pisa, giustiziato aspramente fosse; e per
non avere il morto affogato Lazzero erede, tutta la sua
robba ingomberorono, mandando in villa a pigliare le
possessioni, dove fu cacciato ognuno fuori: s che la Ma-
dalena e la madre se ne tornarono a la loro casetta pove-
re e sconsolate. [96] La Santa, sendo stata licenziata, se
ne torn verso casa, credendosi come prima essere la
bella madonna; ma ne rest di molto ingannata, perch
le serve e i figliolini trov fuori de la famiglia della Giu-
stizia essere stati cacciati, onde dolorosa nella sua vota
casa se ne entr, tardi piangendo e dolendosi, accorta
dellerrore suo.
[97] La novella si sparse intanto per Pisa, tal che
ognuno stupiva attonito e maraviglioso; ma sopra tutto
il frate non si poteva dare pace, dicendo che lavere di-
spregiato la santa fede, e lessarsi fatto beffe di messer
Domenedio laveva a quel termine condotto: e cos tutti
i Pisani biasimavano non manco la malignit e lastuzia
de lo scellerato pescatore, che lingratitudine e la ini-
quit della perfida moglie; [98] e alcuni parenti, che a
vicitarla erano andati, tutti la riprendevano e proverbia-
vono, protestandoli che con i suoi figliuoli di fame si
morrebbe, cos crudele avendo fatto e inumano tradi-
mento al povero marito; di che malcontenta e piangen-
do lasciata lavevano.
[99] Venne laltra mattina: e allora deputata, sopra
uno carro, lo infelicissimo Gabriello, senza colpa, si pu
314 Letteratura italiana Einaudi
dire, e per Pisa fatto le cerche maggiori, e in pi parti at-
tanagliato, in piazza ricondotto sopra uno palchetto a
posta fatto, bestemmiando sempre s e la iniqua moglie,
da il maestro giustiziere fu in presenza del popolo squar-
tato; e di poi insieme ridotto, sopra il medesimo palchet-
to acconcio fu disteso, che quivi tuto lavanzo del giorno
stessi, ad esempio de rei e malvagi uomini. [100] La
Santa, auto le triste novelle fuori di speranza al tutto,
mille volte e mille pentitasi invano, priva trovandosi a le
sue cagioni del marito e della roba, si dispose da se stes-
sa del commesso peccato pigliare la penitenza; e arrab-
biata, pensato avendo quello che fare volesse, quando la
maggior parte delle persone erano a desinare, con i suoi
duoi figliolini, presone uno da ogni mano, piangendo in
verso piazza sinvi. [101] Quelle poche persone che la
vedevano, conoscendola, la biasimavono e riprendevano
e lasciavono andare; e cos in piazza a i pi del palchetto
arrivata, pochissima gente vi trov intorno, e se fra quei
pochi era chi la conoscessi, non sapendo quello che fare
volessi, le davono la via; ed ella, piangendo sempre, con
i duoi figliolini la crudelissima scala sal e fingendo dab-
bracciare e piangere il morto marito, era dintorno
aspramente ripresa, dicendo:
Pessima femmina, la piange quello che lha voluto, e
da se stessa procacciatosi .
[102] Ella, avendosi fitto lugne nel viso, e stracciatosi
i capelli, chinatasi a terra, e il morto marito baciando, fe-
ce i teneri figliuoli chinare ancora dicendo: Abbraccia-
te e baciate il povero babbo ; i quali piangendo tutto il
popolo lacrimare facevano: ma la cruda madre, in que-
sto, cavato fuori del seno uno bene arrotato e tagliente
coltello, la figlioletta maggiore in un tratto percosse nel-
la gola e subitamente la scann, e arrabbiata, in uno atti-
mo al maschio voltasi, il medesimo fece, cos tosto che la
brigata a ffatica se ne accorse, e furiosamente in s rivol-
tasi, ne la canna della gola il tinto coltello tutto misse, e
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
315 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
scannatasi morendo addosso al morto marito cadde
morta.
[103] Quelle poche persone questo veggendo, ad alta
voce gridando, lass corsano, e i duoi miseri fratelli e la
sventurata madre trovorono che davono i tratti, scannati
a guisa di semplici agnelli. Il romore e le grida si levoro-
no grandissime per tutto Pisa, e si sparse in uno tratto la
crudel novella, s che le genti piangendo correvano per
vedere uno cos spaventoso e crudelissimo spettacolo.
[104] Pensate che pietade e che cordoglio, il padre e la
madre vedere con i duoi loro cos begli e biondi figlioli-
ni crudelmente feriti e orribilmente insanguinati, morti
luno sopra laltro attraversati giacere! Ceda Cizia, Gre-
cia, ceda Troia e Roma e lempia e scelerata Pisa, fonte,
ricetto, albergo e madre della crudelt. [105] I pianti, i
lamenti e le strida intanto erano tali per tutta la citt che
parea che fossi fornito il mondo; e sopra tutto a i popoli
dolea la morte de duoi innocenti scannati fratellini, che
senza colpa o peccato, troppo inumanamente da il pa-
terno sangue e da quel dellempia madre tinti e macchia-
ti, in terra morti stavano, che pare che dormissino; [106]
avendo la tenera gola aperta, e di quella caldo e rossissi-
mo sangue gemendo, tanta ne i petti de riguardanti e
dogli e compassione mettevano, che chi ritenuto avesse
le lacrime e il pianto, o sasso o ferro pi tosto che corpo
umano dire si sara potuto: perci che lo inumano, cru-
do e scellerato spettacolo ara potuto destare alcuno
sprito di piet nella crudeltade stessa. [107] Quivi alcu-
ni conoscenti e amici di Gabbriello e parenti della San-
ta, con licenzia della Giustizia, il marito e la moglie fece-
ro porre in una bara; e perch morti erano disperati,
sendosi luna uccisa da se stessa, e laltro, sempre dolen-
doso della donna con dire che moriva a torto, bestem-
miando insino a lultimo, non si era mai voluto racco-
mandare n a Dio n a santi, furono reputati indegni di
essere sotterrati in luogo sacro, e per lungo le mura li
316 Letteratura italiana Einaudi
portorono a seppellire; ma i duoi fratellini con dolore
inestimabile di tutti i pisani in Santa Caterina sotterrati
furono.
[108] Ora voi avete veduto quanto la gelosia, lo sde-
gno, lodio e la rabbia in petto femminile abbia valore e
potenza; e chi donna alcuna offende, certissimo stia a
qualche tempo della vendetta; e bench mille volte fac-
cia pace, e che teco mille volte abbia riso, mangiato e
dormito, non dimentica mai lingiuria, n mai, come
luomo, liberamente perdona, n vale per essergli amico,
parente o fratello, perch al padre, al marito e a i figliuo-
li, con danno e infamia incomparabile mille volte hanno
nuciuto, come per la favola detta lo essempio avete po-
tuto comprendere. [109] E per ogni uomo consiglio
che si ingegni di non fare oltraggio o dispiacere a donne,
anzi con ogni studio si sforzi accarezzarle, e tanto mag-
giormente, quanto pi gli sono amiche o propinque per
parentado, o per matrimonio congiunte.
[1] Non occorti avvedimenti, non pronte risposte,
non audaci parole, non arguti motti, non scempia gof-
faggine, non goffa scempiezza, non faceta invenzione,
non piacevole o stravagante fine, non la letizia n il con-
tento, ma focosi sdegni, feroci accenti dira, ingiuriose
parole, angosciosi lamenti, rabbiosa gelosia, gelosa rab-
bia, crudele invenzione, dispietato e inumano fine, il do-
lore e il dispiacere avevano questa volta da i begli occhi
delle vaghe giovani tirato in abbondanza gi le lacrime e
bagnate loro le delicate guance e il morbido seno: n di
piangere ancora si potevano tenere; quando Fileno che
seguitare doveva, rasciuttosi gli occhi, prese favellando
cos a dire:
[2] Pietose e benigne donne, e voi altri ancora, cer-
tamente egli non fu fuor di proposito in mezzo a tanto
zucchero e mle alquanto dassenzio e dallo mescola-
re, acci che per lamaritudine sia meglio conosciuta la
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
317 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
dolcezza; per che li contrarii diminuendo laltre, le co-
se belle e buone di bont e di bellezza in infinito accre-
scano: per questa cagione mi rendo certo che se le passa-
te novelle della presente Cena vi tornerete nella
memoria, quanto questa vi ha pi dato tormento, tanto
pi vi accresceranno il contento e la gioia; e ancora io ho
speranza che la mia, la quale sar tutta ridente e lieta,
maggiore allegrezza e conforto vi porga . E cos detto
con un dolce riso soavemente in questa guida comin-
ciando disse:
Nel tempo della felice memoria di Leone decimo fu
in Roma uno giudeo ecc.
318 Letteratura italiana Einaudi
[NOVELLA III]
...
[1] Fu addunque, non ha gran tempo, nella magnani-
ma citt nostra uno Bartolomeo degli Avveduti, cittadi-
no assai nobile, e de i beni della fortuna molto pi che di
cervello abbondevole. Costui (s come spesso interviene
che a uno uomo qualificato e da bene tocca per consorte
una bestia) sort, per grazia o per disgrazia che si fossi,
una delle pi belle, gentili e costumate giovani che si
trovassino in quelli tempi, non solo in Fiorenza, ma in
tutta Toscana. [2] La quale, bellissima a maraviglia, era
da molti, i primi e i pi ricchi della terra, amata e va-
gheggiata; ma per la costumatezza e continenza sua veg-
gendosi indarno affaticare, perch n un riso solo n da
lui uno lieto sguardo avere possendo, fuori di speranza
abbandonavono la impresa. [3] Pure fra gli altri uno as-
sai pi leggiadro e grazioso giovanetto, pi caldamento
delle lodevoli bellezze, de i costumi e della sua grazia ac-
ceso, non spaventato dalla durezza, pi giorni e mesi
continu di seguitare lanimosa traccia, come quegli che
il core piagato avea da veri e pungentissimi strali
dAmore. [4] Costui era nominato Ruberto Frigoli, e
con un suo fedele amico e compagno che si chiamava
Arrighetto, sagace e astutissimo, a cui lamore suo tutto
scoperto e conferito avea, operava con ogni opportuno
rimedio e per ogni verso di venire al desiato amoroso fi-
ne: e molte vie e modi tentati avevano, senza mai esserne
riusciti alcuno.
[5] Era il detto Bartolomeo colla donna Ginevra, ch
cos nome avea, e colla serva solo in casa; n altri aveva-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
319 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
no che uno figliuolino duno anno, o incirca, a balia nel
Mugello; e bench Bartolomeo fosse anzi che no vec-
chietto alquanto, era nondimeno rubizzo, proSperoso e
gagliardo, e massimo ne i servigi delle donne, delle quali
era molto amico: e quantunque il vino di casa sua ottimo
fosse, andava spesso lo altrui procacciando. [6] Nondi-
meno sempre, o che ei lo facessi per gelosia o per scioc-
chezza o per quale altra si voglia cagione, sempre a casa
sua fare volea le nozze, e per tale servigio teneva ordina-
ta una camera terrena. Aveva la casa sua, come molte ne
sono, luscio di dietro, che in una non troppo onesta
strada riusciva; [7] nella quale, dirimpettole a corda,
abitava una dimandata la Baliaccia, la quale faceva, co-
me susa dire, dogni lana un peso, ma soprattutto ruf-
fiana eccellente, e sempre aveva la casa piena: quivi capi-
tavono fante sviate, fanciulle mal capitate, donne a
spregnare, puttane forestiere cotal che sempre si trovava
fornita di robe nuove. [8] Usava spesso Bartolomeo, per
una finestra duna sua stanza, dove teneva colombi,
guardare, e la sala della detta balia tutta scopriva; e
quando per avventura qualche viso allegro vedea, o cosa
che li andasse per la fantasia, si pattuiva con colei, e se la
menava albergo, faccendole di notte e per luscio di die-
tro entrare, e innanzi al giorno uscire: e questo gli avve-
niva due o almanco una volta la settimana; faccendo alla
moglie creder che per sanit cos solo dormire usava. [9]
Ma Ruberto non solamente, come fanno i solleciti
amanti, spiava tutti gli andamenti della donna sua, ma
quelli del marito ancora; e sapendo come spesso per via
di quella balia si giacea con qualche scanfarda, per dare
compimento a i desideri suoi, si aveva fatto amica la Ba-
liaccia, con lo aiuto nondimanco di Arrighetto, senza il
quale non ara mosso uno piede: [10] e avendole pi
volte pieno le mani, da lei in questa loro amorosa pratica
avevano avuto e consiglio e aiuto; perci che Arrighetto
ordinato avea uno astuto e scaltrito avvedimento: il qua-
320 Letteratura italiana Einaudi
le avendo auto buono il principio, sperava migliore il
mezzo e ottima la fine.
[11] E molti giorni innanzi avevano cavato dellAntel-
la, villa da Fiorenza lontana circa sei miglia, dove erano
due possessioni dArrighetto, una contadinella, che per
colpa del proprio marito era di poco capitata male, e per
via del prete venuta nelle mani di Arrighetto, da lui mol-
to bene veduta e accarezzata, perci che giovane era e
assai ragionevole. [12] Questa tale di poi artatamente
messa avevano in casa quella Biliaccia, e non ad altro ef-
fetto, se non acci che Bartolomeo se ne innamorassi,
per venire e colorire i loro pensati disegni, avendo infor-
mato la balia che dicesse, dimandatonela Bartolomeo,
che la fosse gentildonna romana, e come Lucrezia, a si-
militudine di quella antica, si chiamasse, e che solo a
stanza di Arrighetto stessi.
[13] Aveva per sorte di nuovo Ruberto a casa una so-
rella, divenuta rede per la morte del suo marito; e se ne
aveva quasi tutte le masserizie portate, e, fra le altre,
molte vesti di pi sorte drappo, anella, catene, delle qua-
li alcune volte vestire facevano la detta fanciulla, la quale
per forza di liscio, delle ricche e varie veste che tagliate a
punto pareano a suo dosso, per le anella, per le catene,
sembrava molto pi nobile e bella; [14] e imparato quel-
lo che fare dovesse, faceva a Bartolomeo, quando a le fi-
nestre per mirare veniva, con gli occhi e con gli atti i
maggiori favori del mondo; tal che troppo bene riusc
loro il pensiero, e se ne accese Bartolomeo di sorte, che
non trovava luogo n d n notte, massimamente avendo
inteso da la balia lei esser gentildonna romana, ch con
una sua lunga filastroccola leggermente credere glielo
fece. [15] E avendo pi volte cerco di dormire seco, co-
me solito era con laltre, fu sempre ributtato da la balia e
spaventato, col dire che solo a posta dArrighetto stava;
che, per essere ricco e nobile, non le lasciava mancare
cosa alcuna, ondella temea di non dispiacerle; [16] e di
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
321 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
Arrighetto ancora dubitava, che risapendolo non le fa-
cesse qualche strano giuoco, talch Bartolomeo non ave-
va altro refrigerio che starsi alla finestra, e, quando egli
poteva, mirarla; e pure non restava di pregare la balia
che non guardassi a danari, e che gliela facesse avere se-
co a dormire una notte almeno. [17] La balia, ammae-
strata, gli rispondea pure che era impossibile; ma pure
un giorno, quando tempo parve a i giovani, da loro in-
strutta, a Bartolomeo disse come, mossa da i preghi e
dalla compassione di lui, andassine ci che volessi, ad
ogni modo parlare voleva alla Lucrezia in suo favore e
veder dove la trovasse: di che Bartolomeo contento gli
dette non so quanti danari; e offertolene degli altri, si
part da lei tutto allegro. [18] E favelllatone con i duoi
compagni la balia, e ammaestrata da quelli, il giorno ve-
gnente, trovato Bartolomeo, fingendo, gli narr come
favellato avea per suo conto alla fanciulla, e come corte-
semente risposto le aveva che era per fare quello che la
volessi, pure che la cosa andassi secreta, e che Arrighet-
to non lo risapessi; ma che aspettava il tempo, e questo
sarebbe, quando Arrighetto andassi di fuori e la lascias-
se sola. [19] Piacque molto la imbasciata della balia a
Bartolomeo; e offertoseli di nuovo, prese licenza, e sta-
vasi aspettando questa beata notte con maggior deside-
rio che gli imprigionati qualche buona nuova, onde libe-
rati esser possino da la carcere: di che Ruberto e
Arrighetto gioivano oltre a modo. [20] L onde una
mattina per loro commessione aspett la balia che Bar-
tolomeo uscisse di casa, e li disse, doppo le salutazioni,
come Arrighetto sera partito allora allora per andare in
villa di Ruberto suo compagno, e per lo meno vi star
duoi o tre giorni; e per non allungar la cosa, gli fece la
balia intendere come la fanciulla voleva la sera venire a
starsi seco, con questo che le donassi dieci ducati, e vo-
levagli innanzi. [21] Parve a Bartolomeo toccare il cielo
col dito e li rispose:
322 Letteratura italiana Einaudi
Balia, non dubitare, tutto sono qui doro, e mo-
strlle la scarsella; e rimasono daccordo che la sera ve-
nente in su lunora, come soliti erano, venissi per luscio
di dietro; e si partirono ognuno alle faccende sue. And
Bartolomeo in chiesa prima a far certe sue devozioni, di
poi ordin, passando di Mercato, per desinare molto be-
ne, e per la sera una grossa cena; [22] e ne and al bar-
bieri, e si rase ancora, acci che pi giovane a la sua fan-
ciulla e morbido paresse; e poi che egli ebbe desinato, si
messe a dormire, per potere meglio stare la notte vigi-
lante e desto nella battaglia damore.
[23] Ma, dormito a bastanza, si lev e andssene a la
finestra che erano quasi ventun ora, cercando se vedere
potessi colei che morire lo facea; ed ella al solito se gli
mostrava per limbicco, accennandoli e ridendoli spesso,
di tal maniera che troppo gran contento ne pigliava Bar-
tolomeo, e vi sara stato un giorno intero intero, che non
gli sara paruto unora; la moglie si pensava che gli stessi
a dare beccare o vagheggiare i colombi. [24] Ma quando
parve tempo, giunse Arrighetto a la porta (veggendo che
Bartolomeo lo vedeva) con un ragazzo dietro, abbaruf-
fato nel viso e tutto furioso, battendo quanto pi forte
potea; tal che tosto li fu tirato la corda, ed egli con una
spinta entr dentro furiosamente. Bartolomeo, ammira-
to e mal contento, questo veggendo, la giudic trista vi-
gilia di pessima festa, e dolente si pose ad aspettarne il
fine; [25] quando, doppo non molto, uscire vide di casa
Arrighetto, soffiando che pareva uno istrice: ditroli il
ragazzo con un fardello di panni sotto il braccio e uno in
capo; seguitava dipoi la fanciulla, la quale, ammaestrata,
teneva il fazzoletto in su gli occhi, come se la piangesse
la morte di sua madre.
[26] Bartolomeo da la finestra ogni cosa veduto ave-
va, tanto che per la doglia non sapea che farsi, poscia
che tutto il suo bene se nera partito, n sapeva dove
cercarselo, e millanni li pareva di rivedere la balia: per
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
323 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
che, itosene a luscio, attendea solo se vedere la potesse;
ma ella, non prima scortolo da i fessi della impannata,
che nella strada ne venne, fingendo andare fuori per al-
tra faccenda. [27] Ma tosto Bartolomeo la chiam, e
quasi piangendo le disse:
Balia, che cosa questa che io ho veduto? O tu non
mi dici nulla? Dove n ita la speranza mia, il mio bene,
il mio conforto, la vita, anzi lanima mia?
Ohim! rispose la balia. Naffe! Io non lo so; ma
ben si pu pensare per lei non troppo bene, perci che
colui parea disperato, anzi arrabbiato; e bestemmiando
sempre le disse che pigliasse i panni e tutte le cose sue, e
caritcaone quel famiglio, le comand che lo seguitasse.
[28]La poverina non sapea per la paura in quale mondo
la si fosse, e no possendo resisterli, fu costretta fare la
voglia sua, n ebbe pure tanto agio che la mi dicessi a fa-
tica A Dio; e come voi vedeste, quasi piangendo se ne
part.
E non disse dove menara se la volesse, o che se ne
volessi fare? Bartolomeo seguit.
[29] Messer no la balia rispose; e soggiunse, bat-
tendo prima luna mano con laltra: Oh meschinella, in
quali mani capiterai tu! Dio lo sa! E pure meriteresti
ogni bene: uh, uh, sventura! Ella pure giovinetta: che
santa Marinella da Fossombrone le sia in prottezione e
la guardi da tutti i pericoli in acqua e in terra!
[30] Come in acqua? dissegli , dunque si ha da
partire di Firenze e solcare la marina? Ohim, trista la
vita mia! Oh, che fia poi di me?
No, no rispose la balia , no, no; io non dico per
questo che labbia a navicare, ma feci per fare lorazione
generale . E fingendo allora daver fretta, gli domand
se egli voleva altro da lei.
[31] Ohim! dissegli , hai tu cos tosto sdimenti-
cato quello che era ordinato questa notte? E che io mi
aveva a trovare paradiso?
324 Letteratura italiana Einaudi
Misser no gli rispose la colei , ma che volete voi
fare, se il cento paia di diavoli ci s intraversato, e hacci
messo e la coda e le corna? Bisogna avere pacienza: qui
non altro rimedio .
[32] E voleva pure partirsi, ma Bartolomeo ritenen-
dola disse:
O non sai tu come io sono malconcio de fatti suoi?
non vedi tu dove io sono condotto, e che io non posso
vivere, se tu non mi dai qualche conforto?
Ors, lasciate fare a me disse ella , e non dubita-
te, perch io conosco quel famiglio con chi la n ita, e
non rester di cercarne tanto che io lo trovi, e da lui mi
informer del tutto; [33] e se ci sar modo, state sicuro
che io far tutto quello che sia possibile in vostro favore
; e impromessoli tornare quanto pi tosto potea con la
risposta, si part lasciando Bartolomeo di dolore pieno e
malenconia, che se ne ritorn in casa.
[34] Arrighetto, quando per la fanciulla a casa la Ba-
liaccia venne, aveva seco menato uno servo duno suo
zio, che si chiamava Marco Cimurri, il quale con la mo-
glie e la brigata se nera ito di fuori a uno suo piccolo lo-
ghicciuolo, ma per altro assai piacevole e bello, posto
nella villa di Settignano, quattro miglia lungi dalla citt;
e aveva lasciato il detto famiglio in guardia della casa,
che da Arrighetto richiestone, per essere nipote del pa-
drone, prestata gnene aveva, e in quella con Ruberto di-
segnato avea di finire il lavoro cominciato. [35]Era la
detta casa di l dal Carmino in una via solitaria, ma per
altro dilettosa e bella e capace di stanze accommodate, e
quivi guidato avevano la femmina e ordinato suntuosa-
mente da cena. Ruberto non capiva in s per la letizia,
sperando trovarsi di corto con madonna Ginevra, e di
farsela amica per sempre; e venuto la sera, egli, Arri-
ghetto, il servidore e la fanciulla cenorono allegramente;
e di poi, ragionatosi per buono spazio sopra la materia
loro, se ne andarono a letto. [36] Ma Bartolomeo per il
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
325 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
contrario non potette la sera pignere gi boccone e li di-
ceva la moglie spesso:
Che buona ventura avete voi? dorrebbonvi mai i
denti, che pare che voi non possiate inghiottire?
No risposegli , questo mi viene per non eser ito
fuori oggi doppo desinare, e non avere smaltito niente,
bont di quei maladetti colombi.
[37] Naffe! disse madonna Ginevra , voi non
avete mai altra faccenda che stare loro dintorno: e pare
che siano la bottega vostra.
Gli la verit Bartolomeo rispose; e cos ragionan-
do, quando tempo parve loro, se ne andorono per dor-
mire: ma entrato nel letto Bartolomeo non potette quasi
mai la notte chiudere occhi, sempre pensando a la sua
innamorata e alla disgrazia che il giorno aveva auta, di
sorte che non faceva altro mai che sospirare. [38] Onde
la moglie, sentendolo cos rammaricare, li diceva:
Che domine avete voi? Che cosa questa? Sentitevi
voi dolere in alcuno luogo?
Egli rispondea:
Io non ho nulla ; e sospirava e rammaricavasi.
La donna, tenera del marito, lo pregava pure che le
scoprisse la cagione de i suoi tanti sospiri e s lunghi
rammarichi; ed egli, dicendo sempre che nulla aveva,
stette tanto che il nuovo giorno apparse; [39] e levatosi,
ne and a una chiesetta vicina a pochi passi a la casa sua,
dove la balia, per dare fine a lopera, lo aspettava, sapen-
do lusanza sua; n prima messe il pi dentro alla soglia,
che la se gli fece innanzi e salutllo, dicendo con lieto
aspetto e quasi ridendo:
[40] Dio vi contenti .
Sindovin di fatto Bartlomeo che portare li dovessi
buone novelle, e tiratola da luno de canti le disse:
Come, balia mia dolce, sei qui cos per tempo?
Per servirvi risposella , e ne vedrete ora la prova.
326 Letteratura italiana Einaudi
Ohim! balia cara, sguita tosto, cavami dellinfer-
no: dimmi, che hai tu fatto di buono?
Ho fatto tanto soggiunse la balia che voi non sa-
perreste addomandare meglio . [41] E cominci: Co-
me io vi dissi, quello servidore era mio conoscente; e
tanto ieri, dipoi che lasciato vebbi, di qua e di l mi av-
volsi, che in su la piazza di Santo Lorenzo, al tardi, lo ri-
scontrai, e duna parola in unaltra lo condussi dove io
volsi; e per dirvi brevemente, mi disse come Arrighetto
lev di casa mia la fanciulla per non spendere, avendo
dove tenerla senza spesa alcuna, in casa del zio, padrone
del detto servo, per avere egli tutta la brigata in villa.
[42] Ma la cagione dellessere disperato e arrabbiato ve-
niva per aversi giucato venticinque scudi; e mi disse pi
oltre che Arrighetto cavalc allora allora in Valdelsa al
luogo di Ruberto Frigoli suo compagno, dove star forse
parecchi giorni : la quale cosa piacque molto a Bartolo-
meo. [43] E li soggiunse dipoi come tanto ciurmare lo
seppe, che la men in casa, dove favell a la fanciulla, e
la ritrov del medesimo animo, e che era per fare tutto
quello che la volesse; onde chiamato il ragazzo che in
guardia laveva, disse che tanto feciono con buone paro-
le e con promesse, che di grazia acconsent a le voglie lo-
ro.
[44] Ohim! che io spasimo, io mi vengo meno, io
muoio per lallegrezza disse allora Bartolomeo : fini-
sci, finisci tosto quel che ne seguit.
Duoi ducati disse ella gli promissi, s che a voi
ne bisognano dodici, e sarete contento, e puossi fare il
matrimonio a posta vostra, pure che venghino i danari.
Ma c un dubbio solo, che la non vuole venire di notte
tanta via per sospetto della guardia, non avendo bulletti-
no; [45] e per non essere vista non verrebbe di giorno,
non tanto per paura di lei, quanto per lonore vostro; s
che vi conviene venire a casa sua.
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
327 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
Non ne fare pensiero rispose egli ; prima morire
che lasciare la casa e mgliama sola .
[46] A cui la balia disse:
Io me lo stimai sempre.
Che cosa? disse Bartolomeo.
Che voi non fuste innamorato da dovero risposel-
la. Ed egli soggiunse:
Io credetti oggimai che tu sapessi la natura mia: non
consideri tu che quante io ne ho mai aute per tua cagio-
ne, lho tutte menate in casa mia? N per altro tengo la
camera terrena apparecchiata; s che per tanto, se tu non
hai operato altramente, tu mhai servito e acconcio per il
d delle feste .
[47] Gli risposte colei allora:
Dico bene io che voi non ste innamorato, e che voi
simulate, e sono tute ciance e ciurmerie le vostre .
A cui egli rispose:
Volessi Iddio che tu dicessi la verit, e ti avessi a pa-
gare una gonnella!
La balia, che sapeva ove a condurre lavea, diceva pur
su, e lo faceva disperare, fingendo di adirarsi e di partir-
si a rotta; ed egli, ritenendola, la pregava pure che ve-
dessi se trovare si potessi altra via; ma ella tanto lo seppe
aggirare e contaminarlo, che da se stesso dette nella ra-
gna, e le disse:
[48] Balia, io ho pensato un modo; perch la casa di
Marco Cimurri posta di l dal Carmine in una via soli-
taria e che non vi passa quasi persona, di condurmi l
tra la nona e l vespro, quando la maggior parte della
gente a desinare e a dormire, s che agevolmente mi
verr fatto lo entrare senza essere veduto, e cos la sera
al tardi uscire .
[49] Fece la balia alcuna difficult, pur poi vi si ar-
rec, e consultorono di fare cos, che Bartolomeo, desi-
nato un poco a buon ora, portato seco i dodici ducati,
ne venissi in San Friano, dove sarebbe la balia, e quivi
328 Letteratura italiana Einaudi
conchiuderebbono il tutto: e lasciaronsi. Bartolomeo ne
and a le solite devozioni, e la balia a trovare Arrighetto
che sera levato allora, e raccontlli tutta la cosa per or-
dine; di che egli e Ruberto feciono maravigliosa festa;e
per quella mattina desin quivi la balia, e di poi ne and
nella detta chiesa ad aspettare il vecchio. [50] Ruberto
in sala si messe in aguato, e Arrighetto si nascose dreto a
un canto non molto lungi da la casa: il ragazzo e la fan-
ciulla, ammaestrati, si stavono per la loggia e per la cor-
te, aspettando che la cosa avessi il fine che desideravo-
no.
[51] In questo mentre, sendo Bartolomeo a casa ritor-
nato, e desinato a buon ora, con la maggiore allegrezza
del mondo si part di casa, e si avvi passo passo inverso
San Friano; dove giunto con la grazia di Dio, trov colei
che lo attendeva; e, parlandovi brevemente, auto i dodi-
ci ducati, finse la balia dandare a portargli a la fanciulla,
e darne duoi al famiglio; e disse a Bartolomeo che lo
aspettassi, n di quivi si partissi, se prima non tornassi a
riferirli. [52] Rest adunque Bartolomeo di gioia pieno e
di contento, e la balia ne and come era lordine; e tro-
vato Arrighetto, li annover i dodici scudi, tutti doro.
Alla quale ne diede quattro Arrighetto, e le impose che
dicesse a Bartlomeo che ne venissi a sua posta; ed ella
cos fece, e trovatolo in San Friano che laspettava, gli
disse che andassi quando ben gli veniva, e che altro non
vera pi da fare; e gli fece intendere come luscio sareb-
be in modo che serrato parrebbe, e che egli, veduto il
bello, senza picchiare pignesse, e che gli cederebbe.
[53] Cos informato, si part Bartolomeo, che per la
letizia la camicia non diceva al culo vienne; e la balia se
ne torn a casa a condurre de gli altri lavori. [54] Quan-
do, doppo poco intervallo, giunse a la tanto desiderata
casa Bartolomeo, e, come la balia disse, trov luscio; e
guardato prima molto bene se persona lo vedessi, entr
dentro allegramente; e serrato la porta da vero, ne and
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
329 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
per il terreno, tanto che giunse in una bella loggia, dove
era uno spazioso cortile, e vidde subito la fanciulla se-
dersi rasente una porta, donde sentrava in uno vago
giardino. [55] Ma ella prima non lebbe scorto, che tutta
ridente si rizz, e con dolce maniere lo ricevette; e pre-
solo per la mano, lo condusse in una splendida camera
terrena; e baciatolo un tratto, li cav il lucco di dosso, e
sopra un lettuccio se lo fece sedere a canto, dimostran-
doli le maggiori carezze del mondo. [56] Bartolomeo,
non sendo uso forse, o non sapendo fare cortigianerie e
cirimonie, deliber venire tosto a mezza spada; e gittato-
sele adosso, baciandola e succiandola, cominci a volere
alzarle i panni. Quando, tiratosi indietro, la fanciulla
con un riso li disse. [57] Dunque, Bartolomeo, volete
voi farlo a uso di vetturale? Io voglio una grazia da voi,
prima che pi oltre si vada.
Chiedi pure rispose lietamente Bartolomeo.
La fanciulla disse:
La grazia questa: che, poich la fortuna benigna ci
ha prestato tanto favore che insieme ritrovare ci possia-
mo, facciamola onorevole almeno; e per voglio che ce
ne andiamo a letto per pi vostra e mia consolazione,
dove ignudi nati palpare e toccare per tutto ci possiamo.
E a mio giudizio sar doppia la gioia e il contento .
[58] Restnne soddisfatto assai Bartolomeo, dicendo:
Deh come, anima mia dolce, hai tu pensato bene!
e cominci di fatto a isfibbiarsi e cavarsi il giubbone. La
femmina li voleva aiutare tirare le calza, ma egli quasi
adirato disse: Non piaccia a Dio, n voglia, che io pati-
sca dalla regina della vita mia essere scalzato .
[59] La fanciulla ne rimase lieta, perci che, da s fac-
cendo, pi tempo metterebbe in mezzo: pure alla fine,
spogliato in camicia, la se gli gitt al collo; e baciatolo al-
la franciosa, ne lo fece andare a letto; e fingendo, nel ca-
varsi una veste leggieri che aveva di drappo verde, non
potere scirre uno aghetto, si dimenava e trattenevasi il
330 Letteratura italiana Einaudi
meglio che poteva: quando due volte, luna doppo lal-
tra, fieramente battuta fu la porta.
[60] Chi sar ora? dissella.
Sia chi vuole rispose Bartolomeo , fa pur tosto
tu : ma colui raddoppiando il picchiare, mostrava che
entrare volesse dentro. In questo venne il ragazzo, am-
maestrato, a luscio della camera, e disse senza entrare
dentro:
Madonna, gli picchiato .
A cui ella presto rispose:
Va, vedi chi ; e se ti fussi domandato dArrighetto,
di che ei non in casa .
[61] I l ragazzo tosto ne and alla porta, n prima
lebbe aperta, informato del tutto, che correndo ritorn
a la camera, e disse:
Madonna, ruinati siamo, ohim!, ch gli Arrighet-
to a cavallo con il compagno ; e corse via, come se per
riceverli e per aiutarli smontare andassi.
[62] Quando Bartolome sent nominare Arrighetto,
gli entr tanta paura a dosso, che cominci a tremare a
verga a verga, e non poteva quasi per laffanno raccr
lalito. Ma la fanciulla piangendo gli disse:
Ohim! Tosto, tosto uscite qua, venite tosto, che io
vi nasconda, acci che noi scampin la vita almeno .
[63] Per la qual cosa subito salt del letto sbigottito;
ed ella presolo per la mano, cos in camicia lo condusse
per una anticamera in uno necessario, e li disse che quivi
stesse sicuramente, ch, come pi tosto avesse lagio,
verrebbe per lui; e quivi lo lasci nella guisa che pensare
vi potete.
[64] Arrighetto non entr prima con il cavallo in casa,
che Ruberto scese la scala, e seco entrato in camera, co-
minci fortemente a rammaricarsi, acci che Bartolo-
meo sentisse, fingendo essere stato gravemente nella te-
sta ferito: e Arrighetto con parole accomodate lo
confortava, e nella fine, mostrato daverlo messo nel let-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
331 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
to, simul dandare per il medico; e con prestezza della
camera uscitosi, finse, aprendo e riserrando luscio da
via, di uscire di casa. [65] La fanciulla intanto ne and a
Bartolomeo, e raccontare le volea quello che da se stesso
aveva udito; onde egli a lei rivolto, le dimand come egli
stava, e da che venne la quistione, e chi ferito lavesse;
ed ella gli rispose non avere cos bene inteso, ma che il
colpo era nel capo e come Arrighetto era ito per il medi-
co. [66] A cui Bartolomeo disse:
Ben lo sentii, ma dimmi, che hai tu fatto de panni
miei che rimasono in su il lettuccio?
Gli ho riposti disse la fancilla nel cassone, e sono
sicuri ; e dicendoli di nuovo che, come pi tosto potes-
se, verrebbe a consolarlo e cavarlo di quivi, si part.
[67] In questo mentre Arrighetto, fingendo davere
seco il medico, picchiato luscio da via e dentro entrato,
in camera venendo e fatto a il ragazzo contraffare la vo-
ce, di stoppa e duova ragionando, facevano un gran ro-
more; e cos stati alquanto, si partirono, e commessono
alla fanciulla tutto quello che fare dovesse. [68] E dipoi,
preso il lucco e le pianelle di Bartolomeo, se ne andoro-
no in Mercato: e trovato uno zanaiuolo, gli insegnorono
dove stava madonna Ginevra, e li dissono che le dicesse,
datole il lucco per segno, che non aspettasse il marito a
cena, e che li desse la cappa e il cappello, che per la sera
stare si voleva con il compare; e che avvertisse a non
mettere il chiavistello ne luscio, e che se ne andasse a
letto a sua posta. [69] Il zanaiuolo del tutto pienamente
informato ne and a la casa di Bartolomeo, e fece la im-
basciata alla moglie; la quale, veggendo e conoscendo il
lucco, gli credette assolutamente, e rimbrottando, li det-
te, come ei chiese, la cappa e il cappello. Il zanaiuolo to-
stamente ritorn dove laspettavono i duoi compagni, e
lasciato loro la cappa e il cappello, se ne and a fare i
servigi; ed eglino se ne ritornorono allegri a casa.
[70] La fanciulla intanto era tornata a rivedere Barto-
332 Letteratura italiana Einaudi
lomeo, e li aveva fatto credere come la sera alle due ore,
o la mattina innanzi al giorno, se ne andrebbe a casa sua
Ruberto; e datoli che portato avea, un pane e un boccale
dacqua, lo confortava il meglio che sapeva e poteva, e
che non dubitasse, e che non temesse, e che, se bene
sopportava un poco per lei, lo ristorerebbe a doppio.
[71] E tuttavia parea che la tremasse e che per la paura e
per la fretta dire non potesse la centesima parte di quel-
lo che avea nellanimo; di che Bartlomeo avvedutosi, le
diceva pure che andasse tosto via, acci che Arrighetto
non sospettasse, e che la cosa non venissi scoperta, onde
poi non avessi a nascere qualche grave scandolo. [72]
Ella, fingendo di piangere, dicea:
Ohime! che voi dite il vero: trista la vita mia, se nul-
la intervenissi: per abbiate pacienza e state allegro, che
io verr per voi tosto che io possa.
S, che io te ne prego, e mi ti raccomando rispose
Bartolomeo; ed ella, riconfortatolo di nuovo, si part.
[73] Cenorono intanto i duoi compagni con la fan-
ciulla insieme; e discorse molte cose, e fatti diversi ragio-
namenti, si levorono da tavola e andoronsene per il giar-
dino diportandosi al fresco, essendo quanto essere pi
poteano i caldi maggiori. Bartolomeo, fatto mille propo-
siti, li parve avere voglia di mangiare; e dato di mano a
quel pane, ne lev a fatica duoi bocconi; e poi, preso il
boccale, credendo vino, trov acqua pura; e bench gli
paressi strano, pure, scusando la fanciulla, si pens che
altro fare potuto non avesse; e con estrema pazienza si
messe ad aspettare la colomba: ma questa volta li verr il
corbo.
[74] Arrighetto e Ruberto, fatto andarsene in una ca-
mera in palco la fanciulla a letto, e cos il famiglio anco-
ra, si partirono di casa a punto che sonavono le tre ore, e
andoronsene difilati alla abitazione di Bartolomeo; e co-
me giunti furono sandorono aggirando intorno a la casa
un pezzo: e consigliatosi e discorso di nuovo gli anda-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
333 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
menti loro, sendo gi le quattro vicine, cav Ruberto la
chiave della scarsella di Bartolomeo che seco cinta por-
tata avea, e in dosso la cappa e in testa il cappello; e
aperto pianamente luscio, dicendo A Dio ad Arri-
ghetto, e abbracciatolo e baciatolo, se ne entr in casa la
sua madonna Ginevra, serrato diligentemente la porta.
[75] Arrighetto non si part cos allora, anzi si stesse
quivi dintorno, per riparare, se nulla accadesse; ma to-
sto che Ruberto fu in casa come disegnato aveva toccan-
do sempre il muro and tanto che trov la scala; salendo
sempre senza fare alcuno strepito, giunse in una assai
spaziosa sala, e risguardando intorno, stava ammirato.
[76] Aveva madonna Ginevra per il caldo lasciato non
solo le finestre di sala aperte, ma luscio di camera anco-
ra, e quello duna anticamera altres, e una finestra che
riusciva in una corte similmente, acci che, entrato il se-
reno e lumido della notte, temperasse alquanto il sover-
chio caldo, e le desse cagione di potere meglio e pi ri-
posatamente dormire.
[77] Ma sendo stato Ruberto alquanto sopra di s, e
veduto ed esaminato ogni cosa benissimo, ne and alla
volta della camera arditamente; perci che la donna la-
sciato aveva acceso la lucerna, e dentro alla soglia
delluscio dellanticamera pstola, cotal che mezza la ca-
mera luminosa rendea, e laltra parte, dovera il letto, re-
stava scura; ma non per tanto che non si scorgessi un
poco dalbore annacquaticcio. [78] Ma non prima mes-
se dentro il piede Ruberto, che la donna vide a traverso
il letto giacersi, coperta da le ginocchia insino a la cintu-
ra, onde i piedi piccoli e bianchissimi e il rugiadoso e
candidissimo petto mostrava. Ruberto, fiso mirandola,
sentiva una dolcezza incomparabile; ed essendoli chiaro
lonest e la continenza sua, e conoscendola nobile
danimo e di sangue, non potette fare che a prima giunta
non temessi alquanto; e li fu per marcare il cuore, pen-
sando a quel che riuscire ne potea, quandella, non vo-
334 Letteratura italiana Einaudi
lendo e gridando, avesse fatto romore. [79] Pur poi,
considerato quanto tempo speso avea, e quanto avea de-
siderato questa felice notte a cui sera finalmente con-
dotto, si dispose, assicurato e inanimito da Amore, se-
guitare e fare quel per chei vera venuto, o morire: e
pestando un poco fortetto lammattonato, si pose a quel
buiccio sopra un forziero a sedere; e come volle la fortu-
na, si misse apunto dove scalzare si solea Bartolomeo.
[80] La donna per il romore si dest, e sonnacchiosa, al-
zati gli occhi cos al barlume, vedere gli parve il suo Bar-
tolomeo; per che li disse, stizzosa e mezza addormenta-
ticcia:
A questotta si torna? E perch non essere dormito
in camera terrena, come solete spesso? Certo lavete fat-
to per dispetto; ma ors, ors, al nome di Dio, io ve ne
pagher bene: venitene a letto, uscitene, che gli mezza
notte oramai .
[81] E cos dette queste parole fra il sonno, dato una
volta, si raddorment; di chi Ruberto, non avendole mai
risposto, e veggendo cos prosperamente andare la cosa,
si rallegr molto; e rimasto in camicia, spense di fatto la
lucerna, e cos al tasto trovato il letto, si coric allato a la
sua madonna Ginevra: [82] e quasi tremando la comin-
ci a toccare, e vegendo che la stava ferma, seguit avan-
ti, distendendo le mani per il bianco corpo, e fra le mor-
bide cosce attraversando le gambe, posto il viso sopra il
delicato petto, baciandola e stringendola; e perch la
giaceva per il lato, cos leggermente spintola, cadere la
fece rovescio. [83] Per che risentita, e gi trovatoselo
adosso, non ben dormendo n ben veghiando, anzi che
no sdegnosetta, cos disse:
Oh voi ste rincrescevole! Naffe! Gli a punto sta-
notte il maggiore caldo che sia stato questanno ancora,
e a voi per sorte venuto voglia de fichi fiori: voi pota-
vate pure indugiare a domattina per il fresco. Che crede-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
335 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
te voi fare poi in tutto in tutto? Ben lavevate in sommo
.
[84] Ruberto, gioiendo oltre a modo del parlare suo,
aveva gi messo il cavallo per dritto sentiero, e gi inco-
minciato a spronarlo arditamente. A la buona femmina
parendo pi che lusato gagliarda e forte la bestia del
marito, quantunque, racchetasi, di dormire fingesse, che
non pareva suo fatto, saiutava pi che la poteva [85] e
avendo gi Ruberto, con grande di madonna Ginevra,
ma con maggiore sua consolazione, un miglio cavalcato,
pens la donna che a lusanza smontare volessi, e per
quella notte fornire il viaggio. [86] Ma sentendolo anco-
ra in su le staffe, quasi ammirata aspettava quello che se-
guirene dovesse; quando Ruberto, riposato e preso al-
quanto di lena, riprese il cammino di tale maniera, che
pi fresco e gagliardo che prima e pi valoroso mostrava
esserli tra le gambe il destriero; di che la donna maravi-
gliata, per i passi veloci, per la grandezza e gagliarda sua,
conobbe tosto che altro cavallo essere dovea che quel
del marito. [87] E certificata, avendo tocco per tutto il
giovine, che senza barba, ma per dire meglio, con le ca-
luggine trovatolo, e pi morbido e delicato cento volte
del suo Bartolomeo, volle, gridando e dibattendosi, farli
fermare il corso; ma non potette, dalla soverchia dolcez-
za ritenuta e impedita: perch, mentre che la dubitava,
cavalcando era gi Ruberto presso alla fine venuto; [88]
e a lei, quando dellinganno saccorse, cominciava a
punto da le schiene a partirsi quella materia la quale poi
per ordine della natura discendendo a basso, e soave-
mente per le manco oneste parti del corpo uscendo fuo-
ra, fa per il contento e la gioia torcere altrui la bocca,
stralunare gli occhi, e sospirando dolcemente andarsene
quasi nellaltro mondo.
[89] Ma finito a unotta con la donna di camminare
Ruberto il secondo miglio, messe quella un fiero grido, e
a un tempo diede una stratta grandissima per gittarsi a
336 Letteratura italiana Einaudi
terra del letto; ma le venne fallito il pensiero, perci che
colui, dubitandone, strettissimamente la tenea; e le mis-
se di fatto luna mano a la bocca, acci che gridare non
potesse, confortandola e consolandola sempre con il mi-
gliore modo che sapea e potea, ch scotendo e dibatten-
dosi, attendeva a ramaricarsi e dolersi. [90] Ed egli pure
le dicea:
Non dubitate, non temete, anima mia, io sono il
maggiore amico, il pi fedele servo che voi abbiate ; e
dissele il nome, e appresso mille altre parole affettuose e
care che li dettava Amore: e tanto seppe ben dire e ben
fare, che ella riconsolatasi e rassicuratasi un poco, inten-
dere volle tutta la trama.
[91] Ed egli, fattosi da il principio, ordinatamente li
narr infino a la fine, e in qual modo a punto come ina-
gannato aveano Bartolomeo, e dove a quellora si trova-
va; e di poi li soggiunse i dolori, gli affanni, i martri, le
passioni, lamaritudini, i disagi, i pericoli che, amando,
per lei sostenuti e portati avea, e sospirando e lacriman-
do sempre li domandava perdono e mercede; [92] ed el-
la rispondendoli, ma cos da il pianto interrotte parole,
che intendere non si potevano: onde Ruberto, stringen-
dosela al petto, non cessava di racconsolarla. Per che la
donna restato alquanto di piangere, seguit colui il suo
ragionamento, e le disse in questa guisa:
[93] Madonna Ginevra, la cosa qui, e tornare a
dietro, non che il mondo, far non la potrebbe il cielo; n
io penso per questo avervi fatto oltraggio o dispiacere,
perci che io ho cercato quello che lecito a cercare a
ognuno: ho cerco di fuggire la morte, la quale fuggire
cercano non solo gli uomini, ma gli animali irrazionali;
perch senza la dimestichezza vostra era impossibile che
molto lungo tempo restassi in vita. [94] Ma se pure voi
pensaste che io avessi oltraggiatovi, o fatto contro al de-
bito e al dritto ragionevole, datemi quella penitenza in
ci che conveniente vi pare, e prendere di me quella
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
337 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
vendetta che pi severa e pi aspra credete ; [95] e sog-
giunse di poi, piangendo pi caldamente: O voi mi
avete a donare la grazia e il vostro amore prima che di
questa casa eschi, o veramente a essere s cortese almeno
che mi doniate la morte: e quando ci, crudelissima, mi
negherete, da me stesso mi uccider ; e qui si tacque.
[96] La donna, avendo udito e ottimamente conside-
rato tutte le parole del giovane, cos li rispose:
Scortese e ingrato che tu sei! Come, se gli vero
quello che tu detto mhai, e che cos mi ami e tanto bene
mi voglia, t egli bastato lanimo di privarmi e trmi
quello che, se ben volendo, rendere non mi potre-
sti?[97] Avevi, se vere sono le tue parole, a cercare
lonore e lutil mio, e tu hai fatto lopposito; per, di-
spietato, crudele e mendace dire ti posso; ma bene pie-
toso e umano ti chiamer, se mi farai tanta grazia, che,
come dellonore e dogni mio bene, mi privi ancora di
vita . E piangendo dirottamente, con spessi e ardentis-
simi sospiri interroppe il parlare, e se gli lasci cadere
con il viso sopra il petto, tutto di lacrime bagnadognene.
[98] La strinse allora Ruberto, teneramente abbrac-
ciandola e baciandola:
Come! Regina e donna della mia vita, credete voi
disse che cos rigido e spietato sia, che di mia mano
ministrassi tanto inumano e scelerato ufizio? E a chi? A
colei che sopra tutte le cose amo, onoro, reverisco e ado-
ro? A colei a cui sola piacer bramo? A colei dove il ripo-
so, il conforto, la gioia e la pace mia alberga? A colei nel
cui candido petto lanima e il cor mio vive? A colei sen-
za la quale, pi tosto che vivere, mille volte eleggerei la
morte? [99] Cessi addunque, ohim! cessi in voi cos
fatta credenza: pi tosto in me, Giove irato, tu i fulmini
spenda, prima, non vo dire che io commetta, ma che io
abbia un minimo pensiero di potere, non in voi cos
brutto e abbominevole eccesso commettere, ma di tor-
cervi solamente un capello .
338 Letteratura italiana Einaudi
[100] Era stata attenta la donna al suo lungo e piatoso
ragionamento; ch mille altre affettuose parole disse, le
quali, per non tanto tediarvi, si lasciono a dietro, che
tutte penetrato le avevono il cuore; perci che, tornatole
nella mente il giovane, che avendolo visto e considerato,
molto bene lo conoscea, potette la chiara bellezza, la flo-
rida giovent, le lacrimose parole, i pietosi affetti, lau-
dace animosit, il sottile ingegno, ma sopra tutto la ga-
gliardia e la possanza del valoroso suo cavallo mettere
nellindurato e diacciato petto di lei alcuna scintilla
dellamoroso fuoco; [101] e acceso si sentiva ardere il
cuore, e soavemente da non mai pi gustata gioia e da
disusata dolcezza consumare, e le pareva sentire quel
bene che si spera nel paradiso: e perci spesse volte nel
parlar suo e a certe otte lo strinse amorosamente; alcuna
volta affettuosamente baciandolo, lo succiava; quando
allargava la via a i sospiri, e caldamente li mandava fuori,
che ben parea che dal vivo e dal profondo del cuore na-
scessino. L onde prese animo Ruberto, ardire e confor-
to grandissimo; e mutato di pensiero, in cotal modo, ab-
bracciatola prima e baciatola, a favellare le prese:
[102] Madonna, perch tutte le cose che a noi mor-
tali accaggiano, o buone o ree che le siano, da il volere
divino procedano (perci che senza la volont di Dio
non si muove fronda, e chi cerca di contrapporsi, o si
rammarica di quello che intervenuto li sia, repugna alla
celeste infinita potenza e si duole senza ragione, perch
di tutte le cose in tutti i modi lodare si debbe e ringra-
ziare quella, ancora che non fossono cos secondo la vo-
glia nostra, pigliandole sempre per il meglio), perci ho
pensato che noi viviamo per pi rispetti: [103] prima,
per concordarci con la superna Bont; di poi, perch
morendo morremmo in disgrazia di Dio con nostro in-
comparabil danno e con vitupero eterno del sangue e de
i parenti nostri. Ma, vivendo, facilmente racquistare po-
tremo la divina grazia, di s larga e pi atta al perdonare
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
339 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
sempre, che noi pronti al peccato: salveremo agevol-
mente lonore, che perso una volta, non si racquista mai:
[104] darnci cagione, vivendo, di vivere sempre in
somma gioia e felicit, se vi degnerete di accettarmi, non
per signore o padrone, ma per unico vostro amante e fe-
dele servitore. E se tanto tempo per voi, tanta doglia,
tanti affanni e martre ho sopportati, tante querele ho
fatte, tante lacrime sparte, che arebbano addolcito non
solo de gli uomini i pi ostinati e selvaggi cori, ma le
rabbiose tigre e gli adirati orsi; [105] deh! sostegno dol-
ce dellafflitta vita mia, spogliatevi oramai il sospetto e la
durezza, e daffezione e di piet vestita, guidardonate la
mia lunga servit, rendete qualche sussidio e mercede
alla pura fede mia; e ora che benigno ci concede il cielo,
prendete di me, comio di voi, piacere e conforto, e co-
me io faccio voi, strignete, abbracciate e baciate me .
[106] E dicendo queste ultime parole, la strinse, ab-
braccilla e bacilla; ma nel baciare, avendo ella il viso
tutto bagnato e molle, gran parte delle sue dolci lagrime
bevve: ed ella lui ancora stringendo e baciando, per
buono spazio sterono senza mai parlare; quando la don-
na, ardentissimamente sospirando, ruppe il silenzio, di
gi avendola Amore sottoposta al suavissimo giogo suo,
e con tai note la lingua sciolse:
[107] So bene, ingrato giovane, che tante parole,
tanti preghi, tante lacrime, tanti singulti, tanti pianti,
tante promesse, tanti giuri, non tanto per il bene e amo-
re che tu mi porti, quanto che per aver da me quel che
tu brami, fatti sono; e di qui a non molto, sendoti cavato
le tue voglie, che pi tosto disordinati appetiti di lussu-
ria che fermi stabilimenti di legittima amicizia chiamare
si possono, non solo schernita e di te priva mi lascerai,
ma ti vanterai davermi fatto e detto; onde io ne sar di-
poi mostrata a dito per tutta la citt: e questo il merito
condegno e il guidardone di noi altre poverelle e misere
femmine. [108] Pur sia come vuole: io non posso, incau-
340 Letteratura italiana Einaudi
ta giovane, n al Cielo, n al fatale mio destino, n a i sa-
gaci e astuti avvedimenti, n alla bellezza, n alla grazia
tua, n alle incomparabili forze dAmore resistere; e
per senza altro contrasto, tutta mi vi do e dono, e lui
per mio dio, e te per mio signore accetto .
[109] Era, rispondendo, Ruberto per fare un lungo
proemio; ma nella fine, avendolo baciato in bocca, sac-
corse quella avere desiderio grandissimo di camminare
un altro miglio, stuzzicandoli tuttavia e stropicciandoli il
cavallo: onde desideroso di compiacerle, cominci lieto
a mettersi in punto, e dare ordine di servirla e contentar-
la. [110] In questo mentre era stato alquanto Arrighetto
in orecchi, se nulla sentisse, e non avendo n strepito n
romore, udito le sei ore, dispose di partirse; e avvissene
inverso casa.
[111] Ora ascoltatemi e udite di grazia quel che fatto
intanto avea la Fortuna invidiosa e pazza. Accadde che
Marco Cimurri, zio dArrighetto, padrone della casa do-
ve fatto avevano il lavoro, e nella quale aspettava Barto-
lomeo, si dispose, sendo gi vicina la solennit principa-
le di santo Giovanni Batista, tornare in Fiorenza per
vedere le feste solite; e senza averlo fatto intendere altra-
mente al suo famiglio, questo giorno in su le ventidue
ore, fatto sellare due cavalcature che gli avea, si part, so-
pra luna egli e in su laltra la moglie, e la fante in grop-
pa, e alla staffa un suo villano. [112] E camminando a
bellagio, giunsono alla porta alla Croce in su il serrare; e
passando per quella, ne vennero per la strada maestra, e
dirimpetto a Santo Ambruogio viddero in su luscio
duna sua casa il marito della sorella di Marco; e saluta-
tosi, com lusanza, voleva colui dire a punto loro come
la donna aveva le doglie, e che tuttavia gridava, quando
una voce sentirono che disse:
[113] Buon pro vi faccia, Tommaso: voi avete auto
il bambino maschio .
Onde, per la sbita buona nuova e per lallegrezza,
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
341 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
Marco e la moglie furono sforzato smontare, e ne ando-
rono in casa il parente a fare i soliti convenevoli con la
donna di parto; e dipoi intorno al bambino, a trovare le
fasce, le pezze, e a dir questa, e ora a fare quellaltra co-
sa, tanto badorono, che gi sera fatto buio, onde da
Tommaso ritenuti furono, e convenne loro cenare quivi,
ancora che non volessino. [114] Ma cenato, e dipoi per
alquanto ragionato, prese da il cognato, Marco, e da la
sorella licenza; e rimontati a cavallo, dette loro Tomma-
so uno suo manifattore con una torcia che li accompa-
gnasse, perci che il contadino alla porta lasciati li ave-
va, e a Settignano ritornato se nera, per essere pi
sollecito a le faccende. Rimase la fante per la sera con la
donna di parto, acci che, se a nulla bisognasse laiuto
suo, potesse sopperire; [115] onde, camminando Marco
con la moglie, arrivarono a punto a lo scocco delle tre
ore in su il canto alle Rondine, e cos seguitando tanto
andorono, che giunsono alla casa loro; e picchiato colui
che aveva la torcia una volta e due, aiut scavalcare Mar-
co. [116] E sentito quei di casa il romore, si fece tosto il
ragazzo alla finestra di sopra pianamente, e conosciuto il
messere e la madonna, rest come morto; e senza altri-
menti rispondere loro, corse subito, e fece levare la fan-
ciulla e mettersi con furia il gammurrino: e pens di cac-
ciarla fuori con Bartolomeo insieme, ma per la fretta e
per la paura, non restando coloro di battere alla porta,
lei, senza ricordarsi di Bartolomeo, per luscio dellorto
ne mand con Dio; e con prestezza corse ad aprire, e
raccolsegli come si conveniva, faccendo scusa con il dor-
mire dellavere badato tanto. [117] Entr in casa Marco
con la moglie, che di gi era scavalcata; e acceso una lu-
cerna da colui della torcia, gli dierono licenzia, ed egli se
ne torn donde venuto era; e messo nella stalla e gover-
nato le cavalcature, Marco se ne and in camera terrena,
dove la moglie stracchiccia lo aspettava; e senza fare al-
tro, spogliati, se ne andorono a letto.
342 Letteratura italiana Einaudi
[118] Aveva Bartolomeo sentito il romore de i cava-
gli, e il cicalamento delle persone; onde si pens che fos-
sono li parenti che venuti fossero per Ruberto, e ne lo
avessino menato a casa sua; e per lieto aspettava che la
fanciulla venisse a cavarlo oramai fuori di quel cesso e
ristorarlo; e con questo pensiero, sedendo in capo
dellagiamento, si stava sonniferando, e li parea tuttavia
abbracciare la sua Lucrezia. [119] Eransi per la strac-
chezza Marco e la moglie addormentati, e per buono
spazio dormito, quando destasi la donna con una gran
voglia di uscire del corpo, si lev; e sapendo molto bene
la via, quantunque al buio, ritrov il necessario. Ma le-
vatosi gi la luna, e battendo allincontro in una faccia di
muro bianchissima, riverberando per la finestruola, en-
trava l dentro un certo chiarore bigiccio, che si vedea-
no, ma non ben discerneano le cose. [120] Onde colei,
come lusciolino aperse, vidde in su luno de canti se-
dersi dormendo in camicia Bartolomeo, che lo credette
certamente il marito, che per fare suo agio levato si fos-
se, e per fuggire il caldo quivi postosi e addormentatosi
di poi; perci che gran voglia ne avea, attese a fare le fac-
cende sue: ,a per il ponzare, dormendo leggermente, si
dest Bartolomeo; [121] e distendendole braccia trov
la donna, e credutola la sua innamorata, senza altro dire
cominci a toccarla e baciarla, perci che secondo la co-
stuma sua era nuda venuta; ed essendo vaga di cos fatte
cose, stava ferma; pure, avendo finito suo agio, si rizz e
nettssi. Bartolomeo, avendo ritto la ventura, voleva
quivi darle la stretta, ma la donna, che bramava farlo
con pi commodo, presagli con mano quella cosa, si av-
viava in verso camera; [122] onde Bartolomeo disse:
Che vuoi tu fare, Lucrezia?
La donna, fra il sonno, sentendo chiamarsi per il suo
nome non avvert e non conobbe la voce, n temendo di
cosa alcuna, ma volonterosa forse di ingravidare, per
partorire poi come la parente il bambino mastio, gli ri-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
343 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
spose con le mani; e datogli cos leggermente una stretta
al manico, affrett i passi verso il letto. [123] Bartolo-
meo, non dubitando niente, disse fra s: Costei vuol
fare fatti e non parole ; e lietissimo si lasciava guidare.
E cos taciti giunsono al letto, e sopra gittativisi, si misse,
credendo il marito, colei adosso Bartolomeo; e comin-
ciando lamoroso ballo, dimenando lun laltro quanto
pi poteano, e faccendo alquanto romore, si dest Mar-
co, e sentendo lansare, lo scuotersi, il mugolare e il so-
spirare che ei facevano, disse fra s: [124] Che diavolo
quello che io odo? Sognerei io mai? E ascoltando
pure (sendeglino in sul dar gli onori), raddoppiare sen-
tiva il succiarsi e lo scotimento; per, rizzatosi in su il
letto a sedere, stese la mano, e trov Bartolomeo che la-
vorava il suo podere; e come uno pazzo cominci a gri-
dare:
Lucrezia, che fai tu? Che cosa questa? Ohim!
Non ti vergogni tu? Oltreggiarmi e vituperarmi cos in
mia presenza? A questo modo a me si fa?
[125] Avevano gi gli operai finito di lavorare uno
magolato: quando, udito quella voce, stup luno e isme-
mor laltra, e furono ambiduoi per cascare morti; ma la
donna, come arrabbiata, dato una spinta a Bartolomeo,
se gli lev dappresso, tuttavia gridando:
Ohim! Marco mio, dove ste voi? Io sono inganna-
ta: chi questo traditore che ci ha cos svergognati?
[126] Marco sera gittato de il letto gi, e corso a
luscio, acci che colui non fuggisse; e gridando ad alta
voce tutta la casa rimbombava, cotal che si lev il ragaz-
zo con furia; e sentito cos sconciamente chiamarsi, si ri-
cord subito di Bartolomeo, onde si tenne per morto.
[127] Pur poi, per la soverchia paura fatto ardito, si
messe in animo di dire che mai non lavessi conosciuto,
e che non sapea chi si fosse; e con questa deliberazione
ne venne con il lume dove gridava il padrone, che
344 Letteratura italiana Einaudi
rinforzando alla venuta sua la voce, disse minacciando a
Bartolomeo:
[128] Chi sei tu? Chi tha condotto qua, dimmi, e a
che fare?
E bench il lume sgombrassi le tenebre di tutta la ca-
mera, non conobbe gi marco Bartolomeo per non avere
seco dimestichezza, n mai favellatogli. Gli rispose cos,
tremando, Bartolomeo:
Dimandatene il ragazzo vostro, che sa ogni cosa, ed
egli vi ragguaglier del tutto .
[129] A cui disse il famiglio, che non sapea quello che
si favellasse, e che non lo conoscea, e che mai pi non
laveva visto.
Come! soggiunse Bartolomeo , nieghi tu questo?
Non sai tu de la balia? Non avesti tu per mio conto i
duoi ducati, sopra i dieci che io detti per ritrovarmi con
la miaLucrezia? Ohim! E dove son io capitato?
[130] Il servo voltantosi al messere, li disse:
Costui farnetica: io non so quello che si dica di du-
cati .
E Bartolomeo diceva:
Ahi, tristo giuntatore, tu sai pure come la cosa ita,
e se madonna Lucrezia ha riceuto i danari, e il favore
che la mi fece, quando ci venni tra la nona e il vespro, e
dipoi quello che ci sturb .
[131] I l ragazzo, facendo le maraviglie, diceva pur
che gli era pazzo o ubbriaco; ma Marco sentendoli no-
minare la moglie, e come dicea daverle favellato, e che
la gli aveva fatto il giorno tanti favori, essendo certo che
ei mentiva, saccese in tanta rabbia che preso la mazza
del letto, bench sottil fosse, li dette forse cinquanta ba-
stonate, dicendo sempre mai:
[132] Ribaldo, ladro traditore!
Bartolomeo, raccontando la cosa come la stava a pun-
to, cercava pure di scusarsi; ma colui, non lascoltando,
gridava tuttavia, dicendo:
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
345 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
Ahi, ladro manigoldo, io non vo fare la vendetta da
me, per non perdere le valide mie ragioni gastigandoti,
ma ti porr bene in mano della Giustizia .
[133] E cos detto, corse per un paio di funi, che egli
sapea a posta, ed egli e il famiglio gli legarono le mani e i
piedi; e lasciatolo in terra, si vest subito, e si dispose
dandare allora allora per la famiglia del bargello; e cos
legato lo lasci in guardia del ragazzo e della moglie, la
quale per la vergogna non avea mai cavato il viso di sot-
to il lenzuolo, e nand via correndo inverso la piazza de
i Signori.
[134] Giunse Arrighetto a punto a casa quando Mar-
co lev il romore; e quasi smemorato e fuor di s, si
ferm a luscio, tenendo fisso lorecchio, tal che sentito
gridare aveva Bartolomeo, e di poi, sentendo camminare
forte alla volta della porta, sera tirato un pochetto lon-
tano alla sboccatura duno canto; e veduto uscire Marco
di casa cos infuriato, non lo conobbe, ma quasi fuor di
s stava a vedere se altri uscissi. [135] La donna di Mar-
co, animosa e prudente, salt tosto del letto fuori, che il
marito si part; e chiamato il ragazzo, si fece dire la cosa
come la stava a punto; e sendo del tutto informata, pen-
s di salvarsi lonore e di liberare Bartolomeo: onde a
quello ragazzo voltasi, disse che se ne faceva la sua vo-
glia lo farebbe il pi tristo e dolente uomo del mondo;
ma quando laiutasse, oltre che sempre gliene resterebbe
obligata, lui, che in ci errato avea, lei e Bartolomeo da
ogni danno e pericolo scamperebbe. [136] Il famiglio ri-
spose che era presto per fare ogni caso, in aiutarla, che
possibile fosse. Allora la donna, senza pi pensare, dis-
se:
Dislega tostamente colui ; ed egli cos fece; ed ella,
presolo per la mano, lo men alla porta, dicendoli come
da la prigione lo liberava, e li toglieva vergogna e spesa
non piccola; e li disse che se ne andassi con Dio, e che si
guardassi di non favellare mai di quello che la notte in-
346 Letteratura italiana Einaudi
tervenuto gli era; ch se la ne sentissi nulla, lo farebbe
ammazzare.
[137] A cui rispose Bartolomeo:
State sicura, perch pi di voi bramo che non si sap-
pia mai ; e ringraziatola, se ne part; e la donna, serrato
luscio, torn in camera, e rifatto il letto, entr da il ca-
pezzale dove era solita, e da la banda di sotto fece gittar-
si il ragazzo, acci che vi restasse la forma. [138] E fatto-
li rassettare le funi a luogo loro, e cos la mazza del letto,
li disse quello che fare dovesse; ed egli, acceso una lu-
cernina dottone, la pose cos rasente luscio fuori della
camera; e lassatolo aperto, se ne and dove imposto gli
aveva la padrona per fornire la incominciata danza.
[139] Aveva Arrighetto medesimamente veduto uscire
Bartolomeo; ma per avere addosso un pezzaccio di
carpta che gli aveva dato la donna, acci che, rscontro-
lo per disgrazia il marito, conosciuto non lavessi, non lo
raffigur; e di tal cosa stupefatto e attonito, non sapea
che farsi; pure determin di non si scoprire e di vederne
la fine.
[140] Era in questo mentre Marco giunto al Bargello,
e trovato appunto il capitano che tornava con una parte
della guardia, se li fece incontro, e brevemente li disse
come saveva trovato in casa un malfattore e preso e le-
gatolo; che lo pregava che contento fosse di venire o
mandare per lui, e menarlo in prigione, acci che secon-
do la colpa fosse punito. Il capitano con i compagni, cal-
do e volonteroso di fare preda, e massimo a man salva,
allegramente si mosse in persona, e con otto o dieci de i
suoi pi fidati masnadieri; e tanto con Marco cammino-
rono che a casa giunsono. [141] Alla quale picchiato e
una volta e quattro e sei, e non essendo chi rispondessi,
stava Marco strabiliato, ma pi di lui Arrighetto ci ve-
dendo: pure picchiato pi volte e scosso la porta, si fece
il ragazzo, instrutto, alle finestre di sopra in camicia, e
gridando disse:
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
347 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
Chi l?
A cui Marco rispose:
Apri, dico spcciati in malora.
[142] A bellagio soggiunse colui , io voglio pri-
ma sapere chi voi ste, e dipoi dimandarne il padrone,
perch questa otta straordinaria.
Eh! apri, apri, che ci hai stracco, col malanno se-
guit Marco.
Bemb il rispose il famiglio , ditemi chi voi ste;
e dipoi, fattolo intendere al messere, far quello che ei
vorr .
[143] Al capitano pareva il caso troppo strano, e dice-
va pure:
Voi arete scambiato luscio.
Diavolo, che io non conosca la casa mia! li rispose
Marco;e gridando chiam colui per nome, e minacciato-
lo fortemente gli fece intendere chi gli era. A cui tosto il
ragazzo rispose:
Perdonatemi, io non vi aveva conosciuto: eccomi
ratto a voi ; e correndo ne venne e aperse la porta.
[144] Marco gridando diceva:
Briccone, furfante, tu mhai obbedito bene ; e per-
ch la luna risplendea come se di giorno fosse, battendo
nella corte, mostrava aperto la via; onde quasi correndo
si mossono tutti, e Marco innanzi; e preso la lucerna in
mano, entr con furia in camera, dove legato trovare
pensava Bartolomeo, dicendo:
Dove sei, ladro, traditore?
Ma, non lo trovando ove lasciato lo avea, e veggendo
la moglie nel letto queta starsi, fu da cos nuova meravi-
glia preso che non sapeva se si era vivo o morto: pure ad
alta voce disse:
Che avete voi fatto di quello tristo?
[145] La moglie, come se da profondissimo sonno si
svegliasse, paurosa alz la testa; e girando gli occhi in-
torno, cominci a gridare:
348 Letteratura italiana Einaudi
Misericordia, ohim! Signore, aiutatemi: o marito
mio, o marito mio, che gente questa?
A cui Marco disse:
Taci, taci, non dubitare, dimmi dov colui .
Ella piangendo, raccomandandosi a Dio e a i santi, di-
ceva pure:
O marito mio, che vuol dire questo? Ed egli:
Niente, ti dico: insegnami, se tu vuoi, quello ladro
che noi dianzi pigliammo e legammo.
Che ladro dite voi? Ohim, quelle spade! Io sono
mezza morta! soggiunse la mogliera.
[146] Il bargello, veggendo questa cosa, li pareva ve-
dere una commedia, e da lun canto ne rideva; dallaltro,
parendoli essere uccellato, ne stava colloroso e pieno di
sdegno; e vlto a Marco, disse:
Tu mi pari fuori di te: dov il prigione che tu mhai
detto?
[147] Marco, non sapendo che rispondersi, dimanda-
va pure la donna quel che fatto navesse; e cerco la ca-
mera a minuto, lanticamera, lo scrittoio e il necessario,
infuriato gridava a lei e al ragazzo, ed eglino rispondea-
no che non sapeano quello che ei si cicalasse, e che pare-
va loro fuor de i gangheri.
[148] Come! a luno e allaltra rivoltosi disse egli
, non sapete voi colui che dianzi pigliammo e legammo;
il quale lasciatovi in guardia, ne andai per la famiglia, ac-
ci che lo pigliassino, onde punito fosse poi secondo i
demeriti: e qui in terra lo lassai in guisa che muovere
non si potea, senza esserli dato aiuto, non che fuggire?
La moglie, inarcando le ciglia, alzando gli occhi al cie-
lo, stringendosi nelle spalle, distendendo le braccia, fa-
ceva le maggiori maraviglie del mondo; [149] e che non
sapea n di ladro, n di pigliare, n di legare, e che li pa-
reva che egli farneticasse: ma ben che si ricordava che
tornati iersera di villa stracchi, se ne andarono a letto, e
che egli (mostratogli la forma) disse che da pi del letto
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
349 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
coricato sera; ed ella, adormentatasi, non sera prima
che allora risentita; e cos il famiglio similmente afferma-
va. [150] De il che Marco in tanta ira, stizza, collora e
rabbia saccese, che contro alla moglie disse:
Ahi! ribalda vacca, tu ti di pure ricordare del diso-
nore che insieme mi faceste; ma che possio credere,
poich tu lo nieghi, se non che fosse di tuo consentimen-
to: e sai se la faceva la schifa! E che sia il vero, vedi che
tu ne lhai mandato, per vituperarmi affatto . Ma gri-
dando, saffoltava in modo che intendere non si potea
chiaramente quel che dicesse; e bench madonna Lucre-
zia lo intendessi benissimo, fece nondimeno le vista che
non dicessi a lei.
[151] Spiacque tanto al bargello questa cosa, pensan-
do essere stato aggirato e schernito, che bestemmiando
si volse a Marco, e gli disse:
Sciagurato, tristo! non ti vergogni trattare in questa
guisa gli uomini da bene par miei?
[152] Marco, scusandosi, incolpava la donna e il ser-
vidore: eglino rispondeano che gli era obriaco o fuor di
s, e che egli diceva cose da essere legato. Colui allora
venne in tanto impeto di rabbia, che si mosse per batte-
re il famiglio; ma il capitano, interponendosi, gnene
viet, e credendo certamente alla donna e al servitore,
non potette avere pi pacienza; ma cacciato mano dette
a Marco, che pure ciarlava ancora, forse venti bastonate
fra il capo e il collo, dicendoli:
[153] Furfante, poltrone; impara a uccellare i tuoi
pari ; e colloroso, vlto a gli sbirri, disse: Pigliate que-
sto pezzo di manigoldo .
Subito coloro gli messono le mani a dosso: a Marco
pareva questo uno strano giuoco, e si raccomandava e
chiedeva perdono, gridando in modo che pareva castra-
to. Il capitano, tirato fuori mezza la spada, lo minacci
daltrettante bastonate; ondegli tosto si racchet, e in
mezzo alla turba susc di casa, e andnne dove pensava
350 Letteratura italiana Einaudi
mandare altrui. [154] Rimase la donna con il famiglio
sola, e lieta che la cosa avesse auto migliore principio
che la non desiderava. Arrighetto, parte delle cose suc-
cesse inteso e parte vedutone, per vederne la fine, san-
dava avvolgendo e girando intorno alla casa con la fanta-
sia in mille luoghi, tanto che fu veduto e conosciuto da
la femmina; la quale tosto che dal ragazzo per luscio
dellorto fu cacciata fuori, sera ricoverata in una buca di
volta; e scopertaseli, li aveva ogni cosa che sapeva detto.
[155] Di che mal contento stava, quanto poteva, e dolo-
roso Arrighetto; e veduto nellultimo uscire quella cana-
glia, non si sara immaginato mai la cagione; onde, quasi
disperato, si stava aspettando ove dovessi riuscire la co-
sa. Il bargello, fatto mettere Marco in prigione, sendo
presso allotto ore, se ne and a dormire.
[156] Ruberto in questo mezzo con la graziosa sua
madonna Ginevra non solo il miglio fornito di cammi-
nare aveano, ma uno e un altro appresso, e fra loro ordi-
nato il modo di convenirsi altre volte e ritrovarsi insieme
a cos amoroso e dolce cammino. Quando Bartolomeo,
da la moglie di Marco sciolto e mandato via, camminan-
do era arrivato alla casa sua; ma vergognandosi, non sa-
pea che farsi, poich, non avendo chiave, picchiare li
conveniva; e fra s diceva: Che diavol dir mgliama,
veggendomi cos? Almen che sia, avessio o sapessi ritro-
vare qualche scusa! [157] E cos infra due si pose a se-
dere sopra il muricciuolo, e cominci a pensare intorno
alla sua impresa; e dimoratovi per buono spazio, e cono-
sciuto il pericolo, si rallegrava come del male non li
avesse fatto il peggio che potesse la fortuna; e li sapeva
buono ancora quella abbracciatura, ma si doleva bene
del disagio auto, ma pi di quelle bastonate. [158] Pur,
cos stando, essendosi raffreddo e cominciando ad avvi-
cinarsi il giorno, avendo poco o niente adosso, li comin-
ci a fare freddiccio; onde si dispose di picchiare ad
ogni modo, e preso la campanella, batt forse venti volte
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
351 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
senza che li fosse mai risposto. [159] Ma ci sentendo
madonna Ginevra, chiam il suo Ruberto che a punto
chiuso avea gli occhi, e andatone cheti in sala, non si fe-
ciono alla finestra, ma per il buco, avendo quella casa lo
sporto, conobbe la donna (bench fussi strafigurato)
senza alcun dubbio Bartolomeo; e veggendolo con quel-
la carpitaccia a dosso e in camicia, si maravigli; e volta
a Ruberto, disse:
Io sono morta .
[160] Ruberto non potea immaginarsi in che modo e
a quellotta egli fosse quivi, e alla donna rispose che non
dubitasse; e lasciatolo picchiare quanto ei voleva, molte
cose sopra ci consultorno: poi si risolverno a questo
che io vi dir. Chiam con consentimento di Ruberto
madonna Ginevra la fante, la quale sapea che non gli era
per mancare, certa per mille pruove; e brevemente li
narr il tutto, e di poi quello che a fare avesse. [161] La
serva, ubbidiente e volonterosa di servire la madonna,
ne and di fatto alla finestra e a colui che tanto picchiato
avea disse:
Chi ?
Sono Bartolomeo, il tuo padrone rispose egli tosto
; vien gi e aprimi .
Non stette a simulare di non conoscerlo la fante, ma
come dalla donna ammaestrata, corse subito ad aprilli; e
veggendolo in quello abito, maravigliosa gli dimand
della cagione. [162] Non sapea che rispondere Bartolo-
meo, ma dimand quel che facesse la moglie.
Dorme, mi credio rispose colei , e forse bello e
desta, chi lo sa? E veggendovi vos travestito, oltra alla
vergogna vostra, le darete grandissimo dolore. In nome
di Dio, donde uscite voi cos malconcio? Dove diavol vi
siate voi fitto? Voi mi parete, presso chio non lo dissi,
uno di questi birboni sciagurati, che vanno accattando i
tozzi in malora .
[163] Bartolomeo, vergognandosi pure, non sapea
352 Letteratura italiana Einaudi
che risponderle n che farsi, e colei lo rimbottava tutta-
via dicendo:
Io non vorrei per buona cosa che madonna vi ve-
desse in questa forma.
Omb, io conosco che tu dici la verit rispose egli
; ma come vuoi tu che io faccia?
Che voi facciate in modo soggiunse la fante che
la non vi veggia in s strano abito.
Consigliami, aiutami seguit Bartolomeo , e
dammi il modo, per lamore di Dio .
[164] Rispose ella:
A voi bisogna andarvene in camera terrena vostra, e
l nascondervi, e tanto stare che la vadia alla messa; e io
subito arrecatovi nuovi panni, vi vestirete a bellagio; e
forse che voi non ste fornito pi che doppiamente! Di-
poi faretevi vedere vostra posta.
Ahim! Bartolomeo rispose ; credi tu che io
avessi indugiato tanto? Ma, non avendo la scarsella che
vi dentro la chiave, non posso entrarvi, e luscio cos
forte e sodo che non bisogna pensare a romperlo.
[165] Non dubitate disse la serva , io ho trovato
la via: entrerrete nella soffitta, e quivi, in su il lettuccio
dove si pone il pane a lievitare dormendo, vi starete tan-
to che madonna Ginevra vada alle solite devozioni; e io,
tosto che lar il piede fuori della soglia, ne verr a voi, e
faremo il medesimo effetto .
Piacque a Bartolomeo la pensata di colei, e subito se
nandarono nella detta soffitta; e morendosi egli di son-
no, e non li faccendo anco troppo caldo, si pose a diace-
re in su il lettuccio, e la fante gli messe addosso, sopra la
carpita, il telo con che si cuopre il pane, dicendo:
Che sar mai? Torrne questaltra volta un altro di
bucato .
[166] E cos lo lasci, copertolo molto bene; e perch
pi sicuro stessi, messe nelluscio il chiavistello; e ritor-
nata alla padrona, ogni cosa li raccont, che proprio co-
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
353 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
me la desiderava era successo il fatto, dicendo: Innanzi
che egli nesca, sar Ruberto fuori ; e licenziata la fante,
se ne ritorn con il suo Ruberto a letto.
[167] La moglie di Marco Cimurri in questo mentre,
volendo condurre a fine il suo pensiero, mandato aveva
il ragazzo, quando tempo li parve, a casa un suo fratello
che si chiamava Palmieri degli Armilei, uomo bravo e te-
muto molto in quelli tempi; ed era dassai credito, e sta-
to conestavole nelle prime guerre di Pisa; e gli disse che
li facesse intendere come lavea grandissimo bisogno di
favellargli, e per cosa di non piccola importanza, e che
tosto venissi a lei senza manco alcuno, perch nandava
a un tratto lonore e la roba: e questo fece perch pi
presto venisse. [168] E cos, uscendo fuori il ragazzo per
questo servizio, dovendo ire a trovarlo dove gli stava a
San Felice in Piazza, pass da il canto di sopra, dove era
in aguato Arrighetto, da il quale subito conosciuto, fu
tostamente chiamato; e per brevemente dirvi, ogni cosa
da il principio alla fine ordinatamente li raccont. [169]
Turbssi Arrighetto, e li parve il caso pericoloso e di
molta importanza; e sopra tutto li dispiacque che Barto-
lomeo, non volendo, avessi cos scioccamente fatto le
corna al zio. E licenziato il famiglio, avendosi fatto dare
la chiave, disse alla fanciulla che laspettasse; e aperto
luscio, ne and da madonna Lucrezia, da la quale fu
aspramente garrito e ripreso. [170] Pure, scusatosi e
chiestoli mille volte perdono, intese da lei il modo che
pensato avea, che ne rimase sodisfattissimo; e commen-
datola e lodatola molto dellastuto suo avvedimento, tol-
to le calze e il giubbone e laltre cose tutte di Bartolo-
meo, che serrate erano nel cassone, acci che non mai
Marco avesse onde sospettare, da lei si accommiat; e
tornato alla femmine disse che, come sentisse sonare al
Carmino, che poco stare potea, se ne andassi in chiera,
ma di poi fattosi giorno, a bellagio a casa la Baliaccia se
ne ritornasse.
354 Letteratura italiana Einaudi
[171] Rest malcontenta e paurosa la fanciulla; ma
pure obbediente fece quanto egli limpose. Si part Arri-
ghetto, e andssene verso la casa di Bartolomeo per in-
tendere che di lei avvenuto fosse e quel che avesse fatto
Ruberto suo. [172] I n questo mentre aveva il ragazzo
trovato Palmieri, il fratello di madonna Lucrezia, pic-
chiato prima gran pezza; e fattoli la imbasciata, anzi det-
toli quasi le parole formate sue, sera egli furiosamente
levato; e vestitosi, ne and subito a trovarla, ed entrato
in casa, fu da la sorella quasi piangendo riceuto: e do-
gliosa li raccont e feceli credere una sua favola, dicen-
do primamente che da un certo tempo in qua il suo
Marco aveva cominciato a levarsi in sogno, e come spes-
se volte si vestiva e andava non solo per la camera, ma
per tutta la casa a processione; e che, ritornando simil-
mente e rispogliandosi, senza destarsi, se ne tornava nel
letto, n si ricordava la mattina di quel che la notte fatto
avesse. [173] Poi soggiune come la cagione che per lui
mandato aveva era che la note medesima il buono suo
marito aveva fatto lusanza, ma straordinariamente, per-
ch sognando si pensava ella che paruto gli fussi vedere
uno che nel proprio letto, e in presenza di lui, lei sua
donna svergognasse; ondegli levatosi, gli parea chiama-
re il ragazzo; e che arrivato con il lume, colui pigliassino
e legassino, e cos legato poi lasciarcelo in guardia, e ve-
stitosi andarne per il bargello.
[174] Ma cos uscito di casa, e camminando e so-
gnando cotal cosa, si dovette, mi credio (perch altra-
mente stare non puote), svegliarsi per la via; e invasato e
inebbriato e nel sonno e nel pensiero, trovandosi cos
vestito, si dovette credere per vero tutto quel che veduto
avea in sogno; e seguitato la falsa immaginazione, ne
and al capitano e lo men qua con forse dieci de suoi
uomini, promettendoli dare preso colui che pensava fer-
mamente avere lasciato in casa legato. [175] Ma tosto
che arrivati e entrati dentro furono, che non poca paura
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355 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
ci feciono prima con il battere, anzi col quasi rovinare la
porta, doppo con il venire in camera infuriati, per ci
che destami fui per ispiritare veggendo la camera piena
di gente con larme, Marco, cercando di quel che trova-
re non potea, comici come pazzo a gridare, e gridando
dire a me e al famiglio: Dov colui? Che navete voi
fatto?. [176] Noi, non sapendo quello chei si dicesse,
stavamo strasecolati; ed egli pure saffaticava e gridava;
ma perch il bargello parendogli, come era la verit,
che non sapessi quello che si favellassi mostrava che
non gnene sapessi troppo bene, e lo minacciava deller-
rore, egli per sua scusazione raccont tutta la filastroc-
cola che io vi ho narrata, per vera tenendola; e disse per
insino a quelle parole che toccorono non solo a lui e a
me lonore, ma a tutto il parentado nostro e suo. [177]
Ondio non ebbi pazienza, e rispondendo turbata li dissi
poco meno che il nome suo: e avendo il testimonio del
famiglio presente, lo feci restare una pecora, onde il ca-
pitano, parendoli essere stato uccellato, li diede prima
con la spada non so che picchiate.
Ferllo egli? disse Palmieri.
Messer no rispose il ragazzo , che le furono piat-
tonate .
[178] Seguit la donna, come dipoi in tanta collora
venne, che in cambio di quellaltro pigliare lo fece, e me-
narnelo in prigione.
Ora voi vedete soggiunse colei egli non pu fare
che non me ne incresca, e massimo essendo egli inno-
cente; per vi prego che prima che si facci giorno per
nostro onore cavare lo facciate della carcere, acci che
di poi non se ne abbia ad empiere Firenze, ch oltre al
danno, sara maggiore assai la vergogna .
[179] Sorrise alquanto, al finire delle parole sue, Pal-
mieri, e avendo ben compreso il tutto, disse alla siroc-
chia che non dubitasse; e partssi da lei bestemmiando, e
ne and battendo al bargello: e fattolo per sua parte
356 Letteratura italiana Einaudi
chiamare, perci che conoscente era e amico suo gran-
dissimo, tostamente venne; e li fece intendere per quello
che venuto l fussi. [180] Di che si scus gagliardamente
il capitano, come non sapea che parente suo fosse; e ri-
priclli parte di quello che era seguito, e della mattezza
di colui: ma Palmieri tosto gli mozz le parole, dicendo-
li che fatto aveva il debito suo, e a lui il dovere, per s
scioccamente teneva i sogni per veri. [181] Intanto com-
parse Marco uscito di cameraccia, in su la sala; e fatto
lieta cera e inchino a Palmieri, che di gi ringraziato ave-
va il capitano, seco si part; ma tosto che usciti furono
dal palazzo, cominci Marco a dolersi, e narrare cos
comera la cosa a punto. [182] Quando Palmieri, vlto-
segli con un viso brusco, sdegnosamente gli disse una
villania da cani; e narratoli tutto quello che la sorella
detto gli avea, svillaneggiandolo e minacciandolo sem-
pre, lo racchet di modo che non sapea se sera al mon-
do; e pensando che la potessi stare in quella guisa, rest
fra s sospeso e in gran confusione, e massimamente
quando li disse sdegnoso Palmieri:
Sciagurato, furfante, asin battezzato, tu non la meri-
ti: dunque in presenza di tanti fare oltraggio e disonore,
non solo a te e a lei, ch la pi onorata e costumata don-
na del mondo, ma vergogna e ingiuria a tutto il tuo e no-
stro parentado? Matto da catene!
[183] Non aveva ardire Marco, non pure daprire la
bocca, udendo tai parole, ma di alzare gli occhi verso il
cielo; e cos pensieroso e stupido tacendo, seguit Pal-
mieri:
Se non che io ho rispetto e allonore della Lu-
crezia e al mio, ti farei accorto per sempre come si tratti-
no gli imbriachi e i pazzi come tu: ma al nome di Dio, ri-
ga diritto per lavvenire, vedi, riga diritto, e sarai salvo ;
e cos per tutta la strada non rest mai di garrirlo, am-
munirlo, riprenderlo e minacciarlo.
[184] Ma il pi bello fu, quando in sul far del giorno
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357 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
a casa giunsono, la villania rilevata che li disse la donna;
e li andava per insino con le dita in su gli occhi; ed egli
meschino, tacendo sempre, quasi fuori di se stesso pa-
rea, e non sapeva in qual mondo si fusse. Ma Palmieri,
fattogli una ammunizione rigidissima, lo condusse a tale
che accusando s del tutto peccatore, piangendo chiese
perdonanza a lui e alla moglie, e promesse loro di non
parlarne mai. [185] Madonna Lucrezia li perdon beni-
gnamente, e presolo per la mano, con licenzia del fratel-
lo se ne andorono a letto. Palmieri, chiamato il famiglio,
li protest che, se mai di ci sentissi cosa alcuna che da
lui venisse, li taglierebbe un braccio; e ricordato alla si-
rocchia che, quando il marito se ne andava a letto unal-
tra volta, che di dentro serrassi la camera in modo che
non intervenisse pi loro di cos fatti casi, e confortato
alquanto Marco, si part in su lora a punto quando che
il chiaro sole, cavato fuori del Gange la splendida faccia,
a rischiarare comincia e a riscaldare il mondo, e ne and
a fare i fatti suoi. [186] Marco e la moglie, fatto prima la
pace di Marcone, dormirono per ristoro della passata
notte insino a nona, e dipoi si levorono, come se pro-
priamente Marco sognato avesse; per che, o fusse per
paura, o fosse per astuzia, o che pure li paressi da vero
essere stato il sogno, visse di poi con la moglie daccor-
do sempre e pacificamente.
[187] Era, intanto che queste cose seguitorono, Arri-
ghetto giunto a casa Barlotomeo; e aggiratosi intorno a
luscio un pezzo e fatto pi volte un cenno che tra lui era
e il compagno, fu da Ruberto finalmente conosciuto; e
con licenza della donna apertoli, fu da loro pienamente
informato dogni cosa, ed egli medesimamente raggua-
gli loro del tutto; [188] e discorso e ragionato assai so-
pra il successo, determinorono per consiglio dArrighet-
to di fare a Bartolomeo una natta, che si pensassi e per
fermo tenessi davere sognato: e gli ordinorono una ma-
tassa cotale, che non seppe mai ritrovarne il bandolo: e
358 Letteratura italiana Einaudi
ne gli riusc tanto danno, che non se lo sarebbono im-
maginato mai. [189] E a questo effetto, sendo gi co-
minciato a imbiancar laria e per tutto apparita lalba,
susc di casa Arrighetto: e itosene allo speziale della Pal-
la perch litterato era e di sottolissimo ingegno or-
din di pi composizioni una polvere che da uno ebreo,
sendo in Studio a Padova, apparata e sperimentata ave-
va; la quale era possente, per ogni dramma che uomo ne
pigliasse, farlo dormire unora, di maniera che non che
le bombarde e i tuoni, ma abbruciandolo il fuoco, non si
sara, se non fornito il tempo, desto mai; [190] e accn-
cione per quattro ore, accordato lo speziale se ne torna-
va, quando, alluscire di bottega, vidde il ragazzo di
Marco suo zio che per commissione di madonna Lucre-
zia ne andava a Santo Ambruogio a casa la donna di par-
to a farle certe imbasciate e a dire alla fante che tornasse;
[191] e chiamatolo Arrighetto, gli fu da lui, per dirvi in
breve, tutto il fatto narrato di punto in punto; e come
Marco nella fine, chiamatosi colpevole, addomand per-
dono alla moglie e al cognato; e come, partitosi Palmie-
ri, se ne andarono daccordo e in pace al letto. [192] Re-
stnne allegro Arrighetto, e licenziato il famiglio al suo
viaggio, se ne torn a casa, dove laspettavono la giovane
e il compagno; ed entrato per luscio di dietro, diede a
madonna Ginevra la polvere, che, chiamato la fante, am-
maestrata di quanto fare dovesse, ne and ratta a la stan-
za dovera Bartolomeo; e aperto luscio, trov a punto
che dormito il primo sonno risvegliato sera, e fra s
riandava tutte le cose della passata notte. [193] Quando,
veduto la serva, la domand tosto quel che faceva la mo-
glie; ed ella rispose come la non sera ancora levata.
Deh! dissegli , per tua fe, arrecami qualche cosa
da mangiare, che io non mi posso pi reggere; e di poi
stia e dorma quanto le pare e piace .
E la fante a lui:
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359 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
Egli non suole per essere vostra usanza dasciolve-
re: voi non doveste forse iersera cenare.
No dissegli ; spcciati un poco.
S, lasciatemi andare risposella prima che la si
levi, acci che per disgrazia la non mi vedessi ; [194] e
cos detto, se ne usc fuori, e preso un pane, del formag-
gio e una mezza torta che era avanzata loro la sera, ritor-
nata, in su una cassa gliene pose e disse:
Cominciate a mangiare, mentre che io vo per il vi-
no; e avendo il boccale, finse dandare nella volta, e ri-
serrato luscio ritorn in sala: dove Arrighetto, preso un
bicchieri ed empiutolo di vino, tutta la polvere vi aveva
messo; e rimenatola e diguazzatola molto bene, gliele ri-
vers nella metadella, e a lei disse che avesse avvertenza
a rimettervelo tutto.
[195] Ella, lavato il bicchiere, ne and dove laspetta-
va Bartolomeo, che avendo mangiato alquanto affogava
per la sete; e pensando che la venisse dalla botte, preso
subito il bicchiere, le disse:
Mesci tosto .
Ella rivesciato tutto e isgocciolato il boccale, a ffatica
empi il bicchieri. A cui disse Bartolomeo:
Odi qua: che avevi tu paura forse che io non mi im-
briacassi? Io so che non ne avanzer: ora va, e ritorna
per anche : [196] e cos detto, a un fiato si bevve tutto
quel vino che non ne rest gocciola; e oltre che la polve-
re era sottilmente lavorata e anzi che no dolce, per la se-
te e la stanchezza non arebbe conosciuto la sena. [197]
Ma tosto che nel stomaco lebbe, cominci la composi-
zione a fare lopera solita, e non se ne accorgendo casc
in su la cassa addomentato; e la fante, attinto il vino, ri-
tornando lo ritrov dormire, e certificatasi prima, corse
a dirlo alla padrona, la quale subito con i duoi compagni
si messe per dare fine al rimanente dellopera; e giunti
nella soffitta, lo trovorono che morto parea: [198]La
moglie, veggendolo in quella guisa, si maravigli, e non
360 Letteratura italiana Einaudi
pot fare che non le dolesse: pur poi disse che ben gli
sta.
Fossi stato contento alle cose sue, e non andare cos
scioccamente cercando laltrui: non son io per contraf-
fatta, n cos vecchia, che far lo dovesse ; e voltatosi a
Ruberto dise: Non dichio la verit?
Come! Se voi dite la verit? Anzi ste tale le fu ri-
sposto dal suo amante che non uomo nel mondo co-
s ricco, nobile o virtuoso che non si dovesse tenere,
avendovi per consorte, felice e beatissimo .
[199] E voleva seguire pi oltre con le sue lode, quan-
do Arrighetto:
Finite disse , finite: non tanti convenevoli; e aiu-
tatemi di qui levarlo .
E cos come ordinato avevano, chi per le gambe, chi
per le braccia, altri per il collo presolo, lo portarono in
camera sua terrena; perch, avendo portato la scarsella
Arrighetto con tutti gli altri suoi addobbamenti, e vesti-
togli lo stesso giubbone e le medesime calze, in quel mo-
do proprio che gli stava di giorno lo posano a giacere so-
pra il letto, e in su uno desco l vicino messono il lucco, e
appresso la scarsella. [200] E per dare pi colore alla di-
segnata opera, e perch pi verisimile fosse, auti da ma-
donna Ginevra quattro ducati della medesima stampa di
quegli che dati aveano alla balia, con gli otto che rimaso-
no ad Arrighetto, dodici scudi vi messono dentro, i pro-
pri quasi che cavati navea Bartolomeo; e assettato ogni
cosa, i duoi giovani, avendo avvertito e ammaestrata la
donna e la fante di quello che seguire dovessino, serrato
la camera, per luscio di dietro senza essere veduti da
persona si partirono, e ne andorono a casa Ruberto e si
messono a dormire, perci che tutta dua ne avevano di
bisogno e non piccolo.
[201] La donna rimase alle sue faccende, e allusanza
ne and alla chiesa; e fatto le sue devozioni se ne torn,
aspettando che il marito si destasse. Ma tosto che le
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
361 Letteratura italiana Einaudi
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quattrore passorono, e che la polvere ebbe fornito la
operazione, si risvegli Bartolomeo: n prima aperse gli
occhi, sendo la finestra aperta, che riconosciuto ebbe la
camera sua; e maravigliatosi, pensava pure come o
quando quivi venuto o stato portato fosse. [202] E di
poi il vedersi vestito, e de i panni suoi per insino alle pia-
nelle, gli accrebbe tanto di maraviglia e di stupore che ei
non conosceva se ei sera desto o se ei sognava, o se sera
vivo o morto, o se pure Bartolomeo o un altro. E stato
alquanto, infra s disse (molto bene guardato e conside-
rato ogni cosa) [203] Io so che io sono Bartolomeo, e
so anco che io non sogno: per certo che questa la mia
camera, questo il letto, questi che io ho indosso sono i
panni miei; ma chi me gli abbia messi, o qui guidatomi,
non so io gi, quando esser doverrei nella soffitta ; e al-
zato cos la testa, scorse sopra il desco posato il suo luc-
co; e rittosi tosto e guardatolo dapresso, fu certissimo
essere lo stesso che portato aveva il giorno; e ancora alla-
to gli vidde la scarsella. [204] Di che stupito, non sapea
che farsi; e postosi in su il lettuccio, tutte le cose seguite
riand, infra s dicendo: Non dettio alla Baliaccia ieri
dodici ducati? Non andai io per giacermi con la mia Lu-
crezia? E in su il buono disturbati, non fui io nascosto
nellagiamento? Non vi stettio parecchi ore? Non ab-
bracciai io per cos strano modo, in cambio suo, la mo-
glie di Marco? Non fu io, accortosi il marito dellerrore,
preso da loro e legato, e bastonato prima di tal maniera
che ancora mi dolgan le reni? [205] Non finse quel tri-
sto del servo di non mi avere mai visto? Non mi fece
scirre e libermmi nellultimo la donna? Non vennio a
casa mia e, picchiato un pezzo, mi fu dalla serva rispo-
sto; poi, dubitando di mgliama, non entra io per consi-
glio della fante ne la soffitta? Non promessella di venir-
mi a chiamare tosto che la Ginevra andassi alla messa?
Non erio, avendo lasciato i panni tutti in casa Marco
Cimuri, in camicia? [206] Ora come sono io in camera
362 Letteratura italiana Einaudi
terrena, e de gli stessi panni vestito? Che cosa stupenda
questa e non mai pi udita? Che risanare storpiati, che
ralluminare ciechi! Questi sono i miracoli . E quanto
pi sopra ci pensava, tanto pi maravigliosa cosa gli
parea; e poi in altra parte rivolto il pensiero, diceva:
[207] Forse mi sar egli paruto e ar sognato tutte que-
ste cose. Ma come? I danari non si spendano dormendo
; e corso alla scarsella e cerco, ve li trov dentro, tutti
doro e i medesimi si pu dire. Onde vie pi che prima
maravigliato, disse: [208] O io non sono Bartolomeo,
o io sono impazzato, o veramente sono stato affatturato
e guasto; ma se lo dicesse il Cielo, io sono pure in casa
mia, questo il lucco pure, e questa la mia scarsella,
dentro ci sono i dodici ducati, che dati alla Baliaccia
aver mi credea. Io so pure che io sono desto, e non mi
pare essere pazzo, e non credo anche essere stato amma-
liato, e so pure che io son desso, e so che io sono in casa
mia: [209] io lo veggio, io lo conosco, io ne son certisssi-
mo; ma per qual via, o in che modo, o chi mi ci abbia
condotto, non posso io immaginarmi gi: io so che non
per Spirito Santo, ch io non lo merito: n anche per ar-
te diabolica, perch il demonio fa sempre male, e questo
mi pare il contrario .
[210] E cos parlava da s e pensava le pi strane im-
maginazioni del mondo, quando la serva, ammaestrata,
sapendo che gli era desto, lo chiam fortemente dicen-
do:
Oramai, Bartolomeo, levatevi, chegli n otta: ma-
donna Ginevra vuol desinare .
[211] Bartolomeo, stupefatto, stette alquanto sospe-
so; pur le rispose:
Ordinate, che io ne vengo ora : e fra s non sapea
che farsi; ma nella fine si dispose dandare a desinare,
ma non dire cosa alcuna, per vedere se da loro uscissi
niente; e itosene in sala, dove erano in punto le vivande,
lavatosi le mani, ne and a tavola, ma per il dolore, per
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
363 Letteratura italiana Einaudi
Antonfrancesco Grazzini - Lecene
la passione, per la novit e per la maraviglia non mangia-
va n beeva, ma stava come trasognato e semivivo: anzi
sembrava Lazzaro uscito del monumento. [212] Per che
la moglie disse:
Egli non maraviglia che voi non traspognate boc-
cone, avendo dormito tanto; oh non avesse voi bevuto
oppio! E che buona ventura volle dire che iersera, tor-
nato pi tardi assai del solito, non voleste cenare? Anzi
gittatovi cos vestito in su il letto, cominciasti a dormire;
e a noi, che pur vi chiamammo, diceste che risposare vi
volavate, e che serrassimo luscio, e che senza pi infasti-
dirvi da noi cenassimo; e noi cos facemmo: [213] e di
poi la fante andatosene a letto, vaspetta io tre ore gros-
se e scoccolate; ma non venendo, andatomi a letto, per
stracca mi addormentai, e risentitami stamani per tempo
ne venni gi, e aperto luscio, di voi dubitando, vi trovai
vestito dormire a traverso a letto, tanto bene e cos ripo-
satamente quanto vi vedessi mai. [214] Di che contenta,
serrato luscio me ne tornai a le faccende mie, aspettan-
do pure che voi vi levaste; ma poi, venuta lora del desi-
nare, per ci, acci che il tanto dormire non vi facesse
danno, da la serva chiamare vi feci: ora non per trop-
po da maravigliarsi se voi non avete appetito .
[215] Era stato alle parole attento Bartolomeo, che
tanto stupore gli arrecorono, che senza parlare si lev da
tavola e andssene, per chiarirsi meglio, a vedere nella
soffitta se la carpita e il telo e il materasso, come si cre-
deva, ritrovasse; ma trovato (ch la donna, astutissima,
provveduto avea) tutta la stanza piena di lino e di stop-
pa, cotal che pareva che stato vi fosse pettinato un mese,
fu per ismemorare. [216] E doloroso e maraviglioso si
usc di casa, per certificarsi affatto, e andatosene di l da
lArno pass da la casa di Marco, e per sorte trov
luscio serrato, ma sospettando, non vi bad troppo e
non dimand di niente; e ritornatosene in verso casa, da
luscio di dietro se ne and; e veduto le finestre della Ba-
364 Letteratura italiana Einaudi
liaccia serrate, di lei dimandato, da una vicina gli fu ri-
sposto (indettata da la balia e da Arrighetto), come il
giorno dinanzi con la sua fanciulla in villa dun suo ami-
co era ita. [217] Rimase pi che mai attonito Bartolo-
meo e ismarrito, e stava pure in dubbio se gli era o no;
pure, venuta la sera, se ne torn in casa, e senza cenare,
andatosene a letto, sopra ci pensando non trov mai
luogo. Ora affermando, or negando, ora dalla speranza e
dal desio, ora dalla paura e dalla doglia assalito, non po-
teva in un s dimorare troppo; e cos, senza mai chiudere
occhi trapass tutta quella notte, e la mattina di buon
ora levatosi e sdimenticato le solite orazioni, sand per
Fiorenza aggirando, guardando tutte le cose con certa
maraviglia, come se stato fusse forestiero; anzi affisava
altrui gli occhi a dosso, cotal che ei pareva spiritato; e
cos, senza altramente desinare o tornare a casa, con-
sum tutto il giorno.
[218] La sera, come volle la fortuna, si ritrov in bor-
go Ogni Santi, e camminando avanti arriv in sul Prato
circa lunora e mezzo; e come smemorato, non si ricor-
dando pi n della casa n della moglie, cominci lungo
le mura a spasseggiare in gi e in su ratto ratto, e cos
dur insino a mezza notte; [219] e arebbe durato insino
al giorno, mi credio, se non che la debolezza e la stan-
chezza, per non avere in tre giorni, si pu dire, mangiato
niente, e per lessersi aggirato e affaticato molto, tanto
poterono in lui che perder gli fecero le forze corporali:
cotal che, indebolito, casc in piana terra. [220] Ma la
novit, ma maraviglia, lo stupore, la doglia e la malinco-
nia (che fu peggiore assai) perder gli ferono poi quelle
dellanima e dellintelletto: e cos in terra tutto lavanzo
della notte spese ridendo. Ma la mattina in sul levare del
sole cominci a dire e fare le pi diverse e nuove pazzie
che si udissero mai; talch, sendo conosciuto, fu dagli
amici e da i parenti a casa e alla donna condotto, che ne
rest come stimare vi potete, e molti giorni serrato lo
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365 Letteratura italiana Einaudi
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tenne; ma poi, accortasi che gli era pazzo agevole e sol-
lazzevole, lo lasci andare per tutte la casa a sua consola-
zione. [221] Il quale, fuori del mangiare e del bere, altro
non faceva mai che ridere, rispondendo sempre al con-
trario di ogni cosa; e della moglie aveva cos fatta paura,
che a un volgere docchi e a una parola sola tremare tut-
to lo faceva da il capo a i piedi, e sarebbe, per modo di
parlare, ricoverato non che altro in un guscio di noce; e
questo quello che le piaceva sopra ogni altra cosa.
[222] E perch lera dassai e valorosa, prese il governo
della casa e fece tostamente tornare il figliolino, che nel
Mugello tenea, con la balia insieme, attendendo alla vita
sua pi che a se medesima; e avendo tolto un fattore, lo
teneva alle possessioni, e attendeva a vivere onorata-
mente e da gentildonna da bene; di maniera che tutte le
persone per la pi prudente, vertuosa ed onesta donna
di Fiorenza la lodavano.
[223] Ed ella da il primo giorno che dette la volta il
marito, sempre dorm con il suo Ruberto, perci che,
avendo fra loro ordinato, e con laiuto della fante, ogni
notte si trovavono insieme, che non che fussi visto non
dette mai da sospettarne ad uomo, cos diligentemente e
segretamente si seppe governare; perci che non mai di
giorno passare si vidde per quella contrada, n mai a
chiese n a feste dove andassi la donna fu veduto. [224]
Il contrario de gli amanti doggid, i quali non hanno al-
tra boria se non che si sappia che sono innamorati della
tale e della quale, e come gli spagnuoli e i napoletani pi
si contentano assai del parere che dellessere: onde spes-
se volte avviene che con tanti passamenti dalle case e se-
guitamenti dalle chiese danno biasimo di mala sorte e
carico ad alcune giovani, che lo sa Dio e Nostra Donna.
[225] Ors, questo basti per ora: solamente vo dirvi co-
me madonna Ginevra con il suo Ruberto, senza mai da-
re che dire a persona, molti e molti anni felicemente go-
derono del loro amore.
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