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Il ritiro secondo Lama Shabkar

Traduzione e note di Thupten Nyima

Mi prostro ai piedi dell’impareggiabile guru,


protettore degli esseri, la cui mente è una
con quella di Samantabhadra.

Fortunato amico,
ascolta senza distrazione.

Per lo yogi della più segreta Grande Perfezione


non esiste l’uscire dal ritiro,
e neanche l’entrarci.

Nella semplicità al di là di ogni concetto


non c’è alcun limite da attraversare.

Con tutte queste formalità dell’entrare e uscire


uno non può veramente dirsi in ritiro.
Questo è il mio modo di praticare:
nella catapecchia di ritiro che è il mio stesso corpo
dotato delle sei facoltà1, grazie ai tre voti puri2
io spazzo via lo sporco,
le azioni negative delle tre porte3.

Nella corrente delle quattro iniziazioni4,


io lavo via ogni impurità.

Seduto sul cuscino della coscienza fondamentale5


e dei pensieri grezzi e sottili,
io, lo yogi della consapevolezza
che è di per sè luminosa e conoscente,
rimango in quel ritiro che è lo stato naturale spontaneo.

Liberato dai pensieri discorsivi,


rimanendo nei limiti della meditazione
naturalmente perdurante,
temendo come visitatori
l’ottundimento mentale e la follia,
io delimito i confini del mio ritiro
con i paletti della consapevolezza non distratta.

Il mio aiutante di ritiro è la vacuità,


attraverso la quale tutto ciò che sorge
è liberato non appena appare.

Per quanto riguarda la mia pratica


dello stadio di sviluppo,
nello sconfinato palazzo della purezza primordiale
sorta spontaneamente,
l’universo e gli esseri sorgono
come una manifestazione di divinità,
apparenti e tuttavia irreali.

Poichè ogni suono è la vibrazione della vacuità,


la recitazione non è mai interrotta;
i pensieri liberati non appena sorgono
sono la totale apertura del Dharmakaya.
Io offro tutto il cibo e le bevande
come banchetto di offerte6, il cumulo dei meriti,
alla bocca dello stato assoluto non nato.

Sia camminando, che sedendo, o dormendo,


l’unire tutte le azioni alla contemplazione
costituisce il sigillo del Mantrayana7.

Come non esiste oscurità al centro del sole,


per lo yogi l’universo e tutti gli esseri
sorgono come divinità
e lo yogi è soddisfatto.

Come non esistono pietre ordinarie su un’isola d’oro,


per lo yogi tutti i suoni vibrano come mantra
e lo yogi è soddisfatto.

Come un uccello che vola nel cielo limpido e vuoto


non lascia traccia,
per lo yogi tutti i pensieri sorgono come Dharmakaya
e lo yogi è soddisfatto.

Nell’immensità della consapevolezza,


senza alcuna separazione in sessioni di pratica
per lo yogi, la pratica è rilassata e agevole
e lo yogi è soddisfatto.

Nella condizione indivisibile, fin dall’inizio,


sviluppo e completamento sono inseparabili,
si può praticare, o lasciare tutto così com’è.

Anche se si pratica intensivamente,


non c’è niente che debba essere fatto.

Al di là delle attività della mente,


io realizzo che i fenomeni sono il Dharmakaya.

Anche tu, amico mio, dovresti comprenderlo:


senza porre fiducia negli insegnamenti intellettuali,
padroneggia il significato
della grande uniformità senza origine.
Per quanto riguarda la durata di un tale ritiro,
quando, alla morte, la rete del corpo
sarà finalmente stracciata,
e uno è liberato nella chiara luce del Dharmakaya,
questo può dirsi:”abbattere i confini del proprio ritiro”.

La pratica virtuosa di questo ritiro di una vita,


che va oltre lo stabilire di periodi,
era il modo dei grandi yogi del passato.

Ha!Ha!Ha!

Non avendo io fatto questo,


stavo ovviamente scherzando!

Note:

1) Le sei facoltà sono quelle dei sensi, chiamate anche le “sei sorgenti interne”. Si tratta
delle facoltà, o poteri, dell’occhio, dell’orecchio, del naso, della lingua, del corpo e della
mente. Le prime cinque facoltà hanno per base l’organo corrispondente ma non vanno
confuse con esso. Sono infatti delle forme sottili interne, che costituiscono la base delle
coscienze sensoriali. La sesta facoltà è quella mentale, o mente principale.

2) I tre voti puri sono quelli corrispondenti ai tre veicoli:


- i voti di pratimokşa, detti di “liberazione individuale”, corrispondenti all’ Hīnayāna
- i voti del bodhisattva corrispondenti al Mahāyāna
- i voti tantrici, propri del Vajrayāna, detti anche voti di samaya

3) Le tre porte dell’individuo sono il corpo, la parola e la mente, che costituiscono le tre
unità funzionali dell’essere senziente nel regno o sfera del desiderio e in quello della
forma.

4) Le quattro iniziazioni, o per meglio dire le quattro trasmissioni di potere o abilitazioni,


sono l’abilitazione del vaso, l’abilitazione segreta, l’abilitazione della saggezza-conoscenza
suprema e l’abilitazione della parola.

5) La coscienza fondamentale è l’Ālayavijňāna, o coscienza base-di-tutto. La coscienza


fondamentale è il ricettacolo delle tracce o impronte karmiche e suscita, durante
l’emergere in superficie e lo schiudersi dei semi così creati, un’attività cosciente
contaminata, ossia macchiata di ignoranza e di passioni, che coglie un “sè” individuale.
Poichè i semi sono maturati in oggetti apparenti, le cinque coscienze sensoriali e la
coscienza mentale (vedi nota 1) si sviluppano per coglierli; la coscienza mentale
contaminata, tuttavia, se ne impadronisce come di oggetti di attaccamento o di
avversione e crea nuovi karma, che a loro volta lasceranno un’impronta nell’Ālayavijňāna.
Senza interruzione, questa forma una serie omogenea lungo tutte le vite successive: è la
fonte dei tre regni (del desiderio, della forma pura e del senza forma), dei sei destini o
classi di esseri (spiriti infernali, spiriti affamati, animali, esseri umani, semi-dei, dei) e dei
quattro tipi di nascita (da un utero, un uovo, da calore e umidità e da apparizione
miracolosa) e porta con sè i semi, conservandoli. Muta quindi istante per istante, essendo
causa e frutto, nascita e distruzione. E’ perciò il supporto, la base della produzione
condizionata.

6) ll banchetto di offerte o gaņacakrapũja (tib. tsog) costituisce l’offerta straordinaria del


Vajrayāna ed è sempre praticato all’interno di un sādhana. Tsog significa “riunione” in due
sensi: si riuniscono le offerte e si riuniscono i praticanti.
7) Mantrayāna è un’altra designazione per Vajrayāna.

Bibliografia:

Philippe Cornu, Dictionnaire encyclopedique du Bouddhisme

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