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La Capria classico contemporaneo

canone generalmente accolto del Novecento letterario italiano stabilisce, a torto o a ragione, che la narrativa dagli ultimi anni. Trenta fino ai primi anni Cinquanta stata segnata dallinfluenza del neorealismo, mentre la poesia veniva negli stessi anni dominata dalla seconda splendida stagione dellermetismo, con Luzi e Sereni su tutti. Cos fino alla prima met del secolo i nostri scrittori stanno o sembrano stare schierati ordinatamente sotto queste due grandi etichette. Ben presto per tali grandi filoni si esauriscono progressivamente e il compito di chi vuol orientarsi, e orientare, nella selva delle patrie lettere si fa assai pi difficile e ingrato. Cosa accaduto? Dalla met degli anni Cinquanta si fatta avanti una generazione di trentenni che, per dirla con un grande critico, si distacca dal golfo delle certezze stilistiche, etiche e politiche dellet precedente. I nomi di alcuni di questi giovani sono divenuti, alcuni prestissimo altri pi avanti, molto noti, fino a raggiungere la fama. Anche per i pi distratti Pasolini, Sciascia e Calvino (che precocissimo ventenne aveva esordito dieci anni prima) lo stesso Primo Levi, sono nomi risaputi e universalmente osannati, anche in un paese che non legge molto. Allestero questi nomi sono stati dagli anni Sessanta quasi sinonimo di scrittori italiani contemporanei. Meno famoso al loro confronto, il napoletano Raffaele La Capria, nato anche lui allinizio degli anni Venti, che ha recentemente pubblicato Lestro quotidiano, un notevolissimo diario degli ultimi anni La posizione relativamente defilata che La Capria ha tenuto allinterno di una generazione letteraria tanto prolifica da contare tra gli altri ancora Volponi, Testori, Meneghello, Parise, Zanzotto, stata per tuttaltro che irrilevante. Pur senza la fama travolgente di Calvino e il successo pasoliniano fatto anche di scalpore e presto convalidato dal cinema su un piano internazionale, non si pu affatto dire che egli sia stato solo un testimone n tanto meno un comprimario. Certo fu amico fraterno di Goffredo Parise, altro coetaneo e narratore presto autorevolissimo, fu sceneggiatore di Francesco Rosi per film come Le mani sulla citt e Uomini contro, ma anche di Vittorio Caprioli per Leoni al sole. Fu compagno di villeggiature estive di Alberto Moravia e fu ossessionato dal ticchettio mattutino della sua inesausta macchina da scrivere. Ma il fatto di trovare Raffaele La Capria cos spesso (gli esempi

Il

potrebbero moltiplicarsi) ai crocevia della nostra vita letteraria e cinematografica non deve appunto trarre in inganno, inducendo a crederlo un personaggio tanto brillante e socievole da apparire quasi mimetico. No, La Capria stato ed anzitutto un importante e originale scrittore in proprio. Infatti egli ci ha dato nel 1961 con Ferito a morte, una delle migliori prove narrative del dopoguerra, che gli valse uno storico ed esaltante premio strega, seguito poi negli anni dai sempre impeccabili Amore e psiche, La neve del Vesuvio, Larmonia perduta, Fiori giapponesi recentemente confluiti, insieme ad altri, in un ponderoso meridiano che ne raccoglie tutti gli scritti. Detto questo, chiaro che la socievolezza, lamicizia e il bisogno di essa, la capacit (la necessit) di collaborare con gli altri non sono estranei alla grandezza, diciamo la parola, del romanziere La Capria. Ferito a morte, infatti, anzitutto la storia di un gruppo di giovani amici nella Napoli degli anni Quaranta e Cinquanta, la storia di una famiglia della buona borghesia che abita a palazzo DonnAnna a Posillipo, la storia di un amore infelice sullo sfondo della giovinezza che declina, la storia del disagio profondo che pervade i rapporti tra le persone e li deforma, in quel momento storico in quella citt e in quellambiente. Ferito a morte porta dunque con s le stimmate della socievolezza e dellamicizia, anzitutto perch le descrive, le interpreta dallinterno, quasi le anatomizza rappresentando non tanto la vita nella Napoli degli anni Quaranta quanto la realt profonda, in essa, dei rapporti tra gli uomini. Lestro quotidiano si mantiene fedele a distanza di quarantanni a tutti questi temi, racconta ancora della famiglia (il padre la madre, il fratello) degli amici, Giovanni e Kiki fra tutti, ma non manca nemmeno qui la dimensione corale di Ferito a morte, basti solo pensare alla pagina sullinvoluzione di Cesaretto. La scena si spostata a Roma, lo sperimentalismo si attenuato, ma lessenziale di una linea di continuit e di coerenza sicuramente rimasto. Certo, quarantanni dopo Ferito a morte tempo di bilanci. Lopera di La Capria, racchiusa nel meridiano, pu dirsi belle fatta, il panorama umano sempre pi composto di morti, quasi tutti i personaggi de Lestro quotidiano lo sono. Largomento, inutile dirlo, affrontato con un tocco leggero e unironia incantevoli, soprattutto quando finisce inevitabilmente per toccare il protagonista e scrittore. Mi sono svegliato con un allegro pensiero: Ma io sono preparato

davvero a morire? E ho concluso che no. Nonostante il suo tono inevitabilmente definitivo, questo tuttaltro che un libro malinconico, anzi. Probabilmente la gioia che questa lettura ci procura deriva appunto dal rilevare con quanta determinazione e compostezza La Capria si mantiene fedele a stesso. Vi si ritrovano dunque tutti i tratti tematici e stilistici che avevano riassunto in modo esemplare le tendenze e le aspirazioni della generazione letteraria di cui parlavamo allinizio. Essi infatti riassumono le tendenze variamente espresse e modulate di unintera generazione di scrittori che non si sottrae al rischio della ricerca e della sperimentazione ma accetta il confronto con una realt sempre pi sfuggente, che accoglie il richiamo etico al giudizio su di essa ma rifiuta la rigida disciplina dellimpegno militante. E ammirevole insomma come La Capria, mentre tutto nella realt non solo letteraria mutato e non certo in meglio, riesca come sempre a tenere insieme il giudizio politico ed etico sulla vita italiana (che durissimo verso tanti suoi aspetti odierni come lo era stato con la Napoli laurina) senza le rigidezze dellengagement, con una rischiosa aderenza artistica alle cose (una volta Pasolini scrisse che nessuno come La Capria sapeva rappresentare la viva realt quotidiana) giocata appunto battendo vie diverse da quelle di un realismo convenzionale. Il risultato molto spesso conduce allalternanza di spunti saggistici, con un lirismo a volte abbagliante (La Capria defin una volta Ferito a morte un poema in prosa, e nemmeno ne Lestro si smentisce anche se smorza volutamente il tono) e satira, talora affettuosa talora sferzante. Non azzardato dire che tutti questi tratti si ritrovano esemplarmente ne Lestro quotidiano, cos come si erano annunciati in Ferito a morte. Da un punto di vista didattico tutti questi temi consentono forse per lultima volta una trattazione di tipo desanctisiano di una stagione letteraria italiana, interpretata come espressione delle esigenze etiche e sociali di unepoca, che gli scrittori sono chiamati a registrare. Poi, a partire dalla esperienza della neoavanguardia, la fine del mandato etico degli scrittori, il rifiuto programmatico del realismo, il formalismo e la disarticolazione del linguaggio, produrranno risultati ormai estranei e disomogenei a quelli di cui stiamo parlando. Una cesura si sar prodotta. Non piccolo merito di La Capria quello di aver ostinatamente mantenuto la sua voce intelligente e lieve, al di qua di essa. Quella ostinata fermezza e quella levit che gli hanno consentito di assimilare con tenace pazienza lo spirito dei tempi, e di renderlo per la via pi modesta pi diretta e pi personale, soprattutto in Ferito a morte. Che rimane risultato di assoluto equilibrio proprio per la sua capacit di

coniugare in tutta sobriet il massimo di contenuto sociale e storico con il massimo di individualit lirica e alla cui poetica egli rimane ancor oggi fedele.

Renato Calapso

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