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Progetto AssociaGiovani Capitale Sociale dei Giovani e Crescita Comunitaria

antichi mestieri
il viaggio del legno

Amministrazione Frazionale Pesariis PCDP

IL VIAGGIO DEL LEGNO Gli addetti alla lavorazione del legno costituiscono la parte numericamente pi elevata della famiglia artigiana. L'artigianato in Friuli, infatti, sempre stato di notevole importanza, per l'industriosa capacit delle popolazioni locali che seppero lavorare soprattutto il legno in ogni sua possibilit. La produzione di manufatti in legno, per, ha trovato l'ambiente pi fertile in Carnia dove la lunga serie di artigiani falegnami, intagliatori e scultori ha lasciato un'eccezionale eredit di opere. Lungo i secoli furono i boschi, la pastorizia e l'agricoltura a sostenere la misera economia del luogo ed era quindi logico che proprio intorno al legno nascessero e si specializzassero alcuni dei principali mestieri: boscaioli, segantini e falegnami. Spesso poi l'artigianato era una forza complementare delle attivit agricolo-pastorali del nucleo familiare e portava al pareggio il magro bilancio. La bottega del falegname l'ultima tappa del legname dopo che i boscaioli hanno reciso gli alberi, le segherie hanno approntato le tavole e i carrettieri (o i falegnami stessi) con i carri, o con le slitte, trainate da animali lo hanno portato in laboratorio. Inoltre il falegname solo uno degli artigiani che lavorano il legno: lui si dedica in particolare alla costruzione di mobili e serramenti; poi ci sono l'intagliatore (oggi scultore, ma anche zoccolaio o dalmataio), il mastellaio, il costruttore di gerle, il carradore e il carpentiere il quale era l'artigiano specializzato nel montare la struttura in legno degli edifici, questi infatti valutata la grossezza e quindi la portata delle travi, le incastrava le une con le altre e le fissava con dei chiodi di legno di lunghezza variabile, battuti dentro con una sorta d'ascia con due lame, di cui uno serviva a tagliare e l'altra a ripulire l'incastro. Il legno usato era l'Abete bianco, l'Abete rosso o il Larice. Quando, poi, stato portato in uso il cemento, il carpentiere realizza le casseforme in legno di Abete per la colata.

iil lavoro nel bosco l

Il boscaiolo
Una volta che l'artigiano aveva in testa ci che voleva realizzare si recava nel bosco a procurarsi il legname necessario. Il momento migliore era quello della luna d'agosto, anche se i mesi ideali andavano da agosto a dicembre/gennaio, quando la natura ferma, in quanto da gennaio inizia a risvegliarsi il ciclo riproduttivo. Certamente il taglio di grossi quantitativi di tronchi era specifica competenza dei boscaioli, i quali dopo averli abbattuti, li riunivano perch potessero essere trasporti nelle segherie. Un tempo, il boscaiolo era s chi lavorava nel bosco ma in senso generico. Il lavoratore del legno si estendeva in varie attivit specializzate; egli poteva essere: " Fratadr, che provvedeva alla scelta e all'abbattimento delle piante; " Boscadr, che sramava le piante e le sezionava nelle varie lunghezze; scortecciava il materiale resinoso e provvedeva a tutti i lavori relativi all'allestimento e alla rifinitura dei tronchi; " Menu, che dirigeva e realizzava la "menada"(fluitazione, trasporto dei tronchi attraverso il fiume). Era l'addetto a tutti quei lavori dove prevaleva l'uso del "sapn"e cio alla "bignadra", avvallamento del legname, alla costruzione di "plncis lissis" (risine) ponti con del legname, per far transitare i tronchi nelle piccole valli o, deviarli dai calanchi (sieris), dagli sbarramenti o dai cambi di percorsi. I densi boschi che scendono dalle pendici dei monti fin quasi a sfiorare i centri abitati sono stati nei secoli alla base e quasi il fondamento dell'economia della Val Pesarina; attorno al legno si creata una civilt ed una cultura che si esternano nelle diverse attivit che dipendono dallo sfruttamento del bosco e del legname. Il bosco composto in prevalenza da piante aghifoglie, dall'abete rosso (pe), ed in proporzione minore, dall'abete bianco (dana) e dal larice (lar), essenze caratteristiche delle regioni alpine dove ad inverni rigidi seguendo estati umide e piovose (il faggio che prospera soprattutto a fondo valle, non si presta per i lavori di carpenteria ed usato qui per la realizzazione di parti di attrezzi agricoli). Il mestiere del boscaiolo ebbe il momento di massimo sviluppo nel periodo immediatamente seguente alle due guerre, quando il legname necessario alla ricostruzione determin una forte e positiva impennata delle attivit connesse con lo sfruttamento ed il taglio del bosco. Nei racconti dei boscaioli pi anziani, che si dividevano tra l'attivit di contadini e quella dell'esbosco (cui si dedicavano soltanto per alcuni mesi l'anno) sempre presente il riferimento alla "compana", prevalentemente di manovalanza locale, ben affiatata e numerosa, per sopperire con il numero degli elementi la mancanza di strumenti veramente efficaci, come quelli odierni, per abbattere i tronchi. "La compana" provvedeva sia all'esbosco vero e proprio, sia al concentramento delle piante tagliate ai piedi del bosco, sia infine alla traduzione di queste fuori dal bosco. I boscaioli non effettuavano mai il taglio a casaccio, ma selezionavano la pianta, mediante un criterio di diradamento, che dipendeva dall'altitudine, dal terreno e dalla capacit di crescita e di rinnovo degli alberi. Erano abbat-

tute le piante mature, gi scelte ed indicate dalla guardia forestale. Essi inoltre procedevano all'esbosco quando la linfa era inattiva, cio a partire dalla luna di settembre. Era, ed , indispensabile seguire le fasi lunari, altrimenti ne risulter pregiudicato e compromesso il rendimento del legname. La tradizione voleva che i boscaioli muovessero al taglio sempre lo stesso giorno, il 16 agosto, non prima di aver proceduto a "segn" (segnare), per scaramanzia, la scarpa sinistra. La vita del boscaiolo, che rientrava in famiglia solo alla fine della settimana, era molto dura e si svolgeva, da aprile-maggio a novembre, tutta nel bosco e aveva come riferimento uno stavolo o una casera oppure la tipica abitazione transitoria, il "casn", che accoglieva la colonia dei lavoratori per tutta la durata del taglio. Dopo l'esbosco e la segnatura dei toppi (tias) comincia il lavoro per concentrare i tronchi ai piedi del bosco. Per questo lavoro meglio aspettare l'autunno, in quanto le piogge rendono pi scivoloso il terreno e ammorbidiscono "las tias". Si lavorava bene, anche se il terreno era ricoperto da uno strato sottile di neve o di ghiaccio. Spesso si sfruttavano ripidi canali naturali sui fianchi della montagna per l'avvallamento del

legname, ma se l'area disboscata non aveva questi canali i boscaioli erano costretti a costruire canali artificiali per il deflusso a valle del legname; questi canali potevano essere di due tipi: " La plncja se il manufatto si adagiava sul terreno " La lsci se la risina (canale fatto di tronchi d'albero) era sollevata da terra La montagna risuonava degli schianti e dei boati dei tronchi e delle voci dei boscaioli. Nella compagnia vigeva un gergo che permetteva di comunicare gli ordini con poca fatica e ancor minore dispendio di parole: si tratta di voci essenziali e di segnali con i quali ci s'incitava a vicenda nella faticosa impresa di smuovere i tronchi e di riordinarli. Si ripuliva quindi il piazzale concentrando "las tjas" nei punti prestabiliti per poi realizzare il "tasn, ma questo richiedeva che il legname fosse stato scelto e diviso a seconda della qualit. Conclusa anche l'operazione di misurazione e di conteggio da parte dei compratori, il legname destinato alla commercializzazione in localit lontane doveva essere trasportato al di fuori della vallata e questo spesso avveniva attraverso il trasporto dei tronchi attraverso il fiume. Il periodo pi adatto alla fluitazione del legname era compreso tra aprile e maggio, quando si scioglieva la neve e i torrenti, resi grossi, potevano trascinare a valle il legname. Se la portata d'ac-

qua era ritenuta insufficiente, si provvedeva creando delle piene artificiali mediante la costruzione di dighe. In Val Pesarina era noto anche l'uso del "cidolo" (il cidul), una chiusura artificiale del torrente, con griglie, per arrestare il legname e far defluire l'acqua. Gli strumenti utilizzati erano attrezzi per tagliare (ascia, scure, accetta), spaccare e scorticare. L'ascia e la scure si usavano a due mani e servivano per tagliare fusti e legname di grossa mole; inoltre l'ascia serviva per tagliare alberi in piedi e rami grossi, la scure e l'accetta servivano per scorticare e squadrare i fusti. La roncola si utilizzava ad una mano e serviva per legni sottili e ceppaie. Poi il legname veniva squadrato o assottigliato con il cuneo (coni). La sega si utilizzava principalmente per tagliare perpendicolarmente i fusti e soprattutto per abbatterli. Il trasporto dei grossi tronchi dal luogo dell'abbattimento iniziava dallo strascico, cio il rotolamento con funi o ferri ad uncino (sapins), poi si spostavano con la teleferica ed infine, dove si poteva, venivano caricati sul carro e trasportati in segheria.

Il falegname
Spesso i laboratori di falegnameria erano situati in una stanza della casa, oppure in un corridoio, o ancora nella soffitta. Gli artigiani erano molto ingegnosi e non sempre apprendevano il mestiere dal padre, ma piuttosto lo rubavano con gli occhi cio attraverso l'osservazione attenta, l'imitazione e il buon senso, impegnandosi fino a che il prodotto non riusciva. Il legno usato dagli artigiani era quello locale: - L'Abete bianco (dna), l'Abete rosso (pe), il Larice per costruire moboli, serramenti. In particolare l'Abete bianco definito resistente all'acqua e quindi era utilizzato per la costruzione di oggetti a contatto con l'acqua quali i brenti per l'abbeveraggio delle bestie. - Il Faggio (fau), il Frassino (frsint) e il Maggiociondolo (salnc) sono legni resistenti, utilizzati quindi per i mobili, per la costruzione di attrezzi agricoli e per i carri. -Il Carpino (cjarpent) un legno di mezza montagna usato per costruire il mozzo dei carri. - L'Acero (ajar) e l'Ontano (l) sono adatti per il lavoro d'intaglio: maschere, dalmine. Chi entra anche oggi nella bottega di un falegname viene colpito dal gran numero di "impresc'"che, appesi, oppure appoggiati si trovano sul banco (banc) e lungo le pareti del locale, dove sul pavimento "scisciulas" (trucioli) e "siti" (segatura) si accumulano continuamente.

La storia di ogni manufatto che esce dalla bottega diversa, come diversi sono gli strumenti che servono alla trasformazione di ogni "sfila" (listello di legno). Per segare il "marangn" si serve di tipi diversi di seghe: il seg, la sja, il sen Sono numerose e differenziate tra loro anche le pialle ed i pialloni che servono sia a lisciare superfici piane sia a ricavare cornici e modanature. Inoltre, l'attrezzo indispensabile per il falegname era il cosiddetto "servitore" (fami, servidr) il quale consentiva di sostenere all'altezza desiderata la tavola da lavorare. Poi c'erano le morse (smursas) e i morsetti (strengiadars), le une fisse al banco, gli altri mobili, servivano a tentere ferme le assi da piallare o segare. Lo scarpl (scalpello) e la sgifa (la sgorbia) servivano per intagliare, incidere, mentre per raschiare si utilizzava la rspa. Infine il "raft" era un arnese con cui si tracciavano sul legno le linee che poi era necessario seguire. Bisogna anche affermare che nella bottega del falegname non mancava mai un notevole corredo d'asce anch'esse assai diverse per misure, tipo di taglio e manico. La produzione del falegname era molto varia in quanto esso poteva costruire: mobilio, attrezzi per la vita domestica, attrezzi per la vita pastorale e agricola, serramenti. Tenuto conto delle migliaia di capi che fino ad un secolo e mezzo addietro si celavano tra i muri delle case carniche, e delle dimensioni delle tavole di

noce massiccio da cui erano ricavati, non si pu fare a meno di desumere che nei secoli XVII e XVIII le nostre valli erano popolate da migliaia di noci giganteschi con diametro di oltre mezzo metro, dei quali oggi non resta nemmeno il ricordo. Eppure fu quest'abbondanza di preziosa materia prima a rendere possibile quel prodigioso fiorire dell'arte dell'intaglio e dell'intarsio che, applicato alla decorazione dei mobili domestici, mostra a quale altezza d'immaginazione e abilit fossero giunte le nostre maestranze in tutte le valli. Risale, infatti, al rinascimento l'arte 'intagliare e intarsiare (anche se pi raramente) il legno, diffusa oggi in tutta la Carnia. Da questa terra, storicamente votata all'emigrazione, partirono numerosi maestri intagliatori che ebbero modo di far apprezzare in tutta Europa la loro bravura, ma anche di apprendere forme o stili nuovi che, successivamente, entrarono a far parte del patrimonio artistico-tradizionale. Al tempo stesso, per, le difficili comunicazioni tra le vallate, della regione, impedirono una contaminazione tra gli stili propri di ciascuna valle,

favorendo cos lo sviluppo di fogge e forme assolutamente originali. Il mobilio della casa carnica era molto esenziale e si componeva principalmente di letti e armadi ma il mobile che fu maggiormente diffuso nelle case della Carnia, e ritenuto indispensabile per fondare un nuovo focolare, era la cassa, o cassapanca nuziale, in cui era contenuto il corredo della sposa. Questo mobile, fino a qualche decennio addietro non mancava neppure nelle case pi modeste ed quindi logico pensare che sulla cassa nuziale si siano concentrate di preferenza, l'ingegnosit e la perizia degli artigiani locali, e si gareggiasse nell'averla elegante, povera o ricca che fosse, secondo canoni che ne stabilivano le proporzioni, che, anche se non risultano nei documenti, emergono dal confronto fra gli esemplari superstiti, ma soprattutto non era ammissibile sbrigarsela con una copia o una semplice imitazione di un'altra cassapanca.

La cassapanca nuziale (scheda tecnica) La lunghezza della cassa oscillava in media tra m. 1,60 e 1,80; larghezza e altezza si tenevano fra 45 e 60 cm. pari ad un terzo della lunghezza; si aggiungeva di solito un basamento per lo pi in legno sagomato, d'altezza variabile fra 10 e 20 cm. qualche volta sostituito da quattro piedi, gli esterni sagomati o talora scolpiti rozzamente a zampa di leone, diretti verso il davanti. I piedi posteriori costruiti utilizzando tavole di larice. Ma pi che le dimensioni, interessano la struttura e il disegno del mobile. L'ossatura era quanto mai semplice: quattro assi piane e due fianchi, di solito tutti di noce e in un pezzo solo ciascuno; i fianchi assicurati con incastro a coda di rondine. Il lato posteriore sempre grezzo mentre i fianchi erano raramente decorati. Il coperchio era piatto, sporgente qualche centimetro sulla facciata e sui fianchi, articolato con cardine a bandelle. La forma generale era sempre quella del cassone "sansovino", cio del cassone veneto cinquecentesco. Internamente su un fianco c'era un ripostiglio con coperchio dove si nascondevano gli oggetti preziosi. Sotto il coperchio, sul davanti e sui fianchi, correva costantemente un dentello, intagliato da una fila simmetrica d'incavi eseguiti a sgorbia, in direzione perpendicolare al coperchio; il disegno del dentello era per lo pi molto semplice ma talora variato e aggraziato, ora soltanto con fossette puntiforme, ora con archetti o incavi ar-

cuati, ora con minute festonature, ora inclinando gli incavi in direzione obliqua al coperchio, ora simulando con disegno una fila di foglie sfrangiate, o, nelle casse intarsiate, con una stretta fascia di linee chiare disposte a zig-zag. La facciata, secondo il costume friulano, era per lo pi divisa in tre scomparti; due lesene laterali molto larghe e un vasto campo mediano in cui dominava un motivo d'ornato che abbracciava il foro della serratura. Talvolta, soprattutto nelle casse pi larghe, si aggiungeva una lesena centrale. Quando la cassa era montata su piedi, gli anteriori erano disposti in corrispondenza delle lesene e avevano la stessa larghezza di queste ultime, cos da formare quasi una continuazione di esse, nonostante le interruzioni delle cornici rilevate, che di regola inquadravano le lesene stesse e di quelle che sempre segnavano la base della cassa propriamente detta. Quando non si faceva luogo ad un basamento generale, che di regola era ben sagomato, negli esemplari pi ricchi lo si sostituiva con piedi sagomati e intagliati sotto le lesene, e con bande sagomate e intagliate poste fra esse. Anche ai lati della cassa si rendeva talvolta pi aggraziato il contorno con una banda sagomata ed eventualmente intagliata. Tali caratteri si riscontravano tanto nelle vere casse nuziali, che dovevano contenere il corredo della sposa, quanto nelle altre, di dimensioni maggiori, destinate a conservare le granaglie, e altre ancora, pi piccole, per farina e per altri usi, e cos via fino a cassette minuscole come cofanetti o giocattoli. Ma veniamo alle decorazioni di questo mobile che hanno segnato il trionfo dell'intaglio. Nell'alta Carnia occidentale l'ornato traeva l'ispirazione maggiore dalla foglia d'acanto. Ispi-

razione molto singolare, in quanto si tratta di una pianta totalmente estranea nella regione e le cui derivazioni classiche difficilmente potevano essere accessibili ai nostri artigiani, i quali, per di pi, riuscirono a padroneggiare un tale motivo di decorazione, da piegarlo non soltanto alle pi capricciose volute, ma anche a foggiare rosoni, intrecci, incorniciature, e perfino ad inserirvi, senza sforzo apparente, altri motivi floreali. Massima elaborazione ebbe questo stile nella Val Pesarina, dove non di rado venne inserito tra il fogliame una specie di scudo, quasi a racchiudervi uno stemma inesistente. L'intarsio invece era raro in tutta la Carnia, forse perch esigeva una perizia tecnica maggiore che l'intaglio. Un centro di produzione si delineava a Comeglians. Oltre alla cassapanca per il mobilio della vecchia casa carnica era costituito da: - I letti: i quali erano impreziositi dalle testiere che erano decorate con semplici ornamenti geometrici spesso uniti a fiori, ma che possiamo trovare anche con il centro decorato con delle figure sacre come santi, angeli, ecc... - Gli armadi - Gli inginocchiatoi: che erano tra i mobili pi antichi i pi diffusi non solo nei luoghi di culto, ma anche nelle case private, dove si trovavano frequentemente accanto ai letti e sempre nella foggia di armadietto. Ricco o semplice, era fatto come una credenzina con lesene, sportello centrale, cassetto in alto e gradino che nascon-

deva un altro ripostiglio. Anche i tipi pi rustici mostravano qualche elemento decorativo, se non altro un dentello sotto il coperchio, qualche cornice sulle lesene e sullo sportello, qualche Rosellina sulla facciata. I modelli pi ricchi, invece, erano molto ornati d'intagli sul davanti, mentre rimaneva sempre grezza la facciata posteriore perch veniva appoggiata al muro. I piedi sono spesso a zampa di leone. - Le culle Per ragioni di costo, per, anche le suppellettili della cucina erano per lo pi di legno, in quanto i metalli avevano un costo elevato e richiedevano una maggiore lavorazione. Questa stanza, che possiamo considerare la pi importante della casa, era ricca di oggetti di legno che potevano essere fatti da un falegname o costruiti dai componenti della famiglia stessa. La terra madre, infatti, non bastava a nutrire i suoi figli e quindi ogni primavera una moltitudine di uomini emigrava per lavorare e poter mantenere la famiglia, spesso numerosa ma quando l'emigrante faceva ritorno a casa dedicava il suo tempo libero a costruire e decorare mobili e attrezzi. Ad abbellire la casa erano destinate le lunghe sere invernali (la fila) e in particolare nella cucina possiamo osservare: sgabelli, panche e pan-

coni, tavole, credenze, le panarias, le gratalas, la muscia la quale era una trave girevole fra sostegni di pietra incastrati nel muro; alla trave orizzontale si appendeva la grande caldaia di rame, che era poi spostata verso il mezzo del focolare. E poi: macinini, mortati - ricavati da tronchi d'albero e destinati a fare da pesta sale, piatti, scodelle, catini, taglieri, suvrs (era una piccola punta d'abete, ben scorticata e lisciata, cui si lasciavano, solo in punta, "cetanc' pics" e serviva per "saguaja", cio per uniformare, amalgamare tutte le farine), sedonrs o portaposate. Il porta posate - Sedonr Dopo l'alare doppio, l'acquaio e i bronzini, uno degli arredi pi caratteristici della cucina carnica il cos detto "sedonr", appeso al muro come porta posate. Esso un arnese al quale non stata data finora alcun'importanza ma che siamo indotti a ritenere non privo di significato dal punto di vista etnografico. La cassetta molto simile a quelle usate per conservare il sale, ma si distingue subito da queste per avere il fondo forato.

Il nome deriva anche qui dalla posata pi necessaria, che appunto il cucchiaio (sedon). Il modello a cassetta raro da noi dove il modello usuale ha base semicircolare o semiovale, e la parete formata di solito da due sottili assicelle di faggio, curvate e tenute ferme da un passante di legno. Le differenze di forma sono dovute alla maggiore o minore accuratezza del lavoro ed alla foggia della tavoletta dorsale, nella quale si sbizzarriva l'estro dell'artigiano. Inoltre durante "la fila", alla luce della lucerna a grasso o della fiamma del ceppo, i giovani intagliavano le rocche o qualche altro utensile per le loro promesse spose; mentre gli uomini erano intenti a tessere "geis" (cesti) o a modellare "dalbidas"(zoccoli), "buinz"(arco liscio o intagliato che serviva per andare ad attingere acqua alla fontana con due secchi) o "codrs". quindi scontato dire che il legno era il materiale pi usato in assoluto non solo per i mobili o per gli utensili domestici ma anche per quelli da lavoro come: utensili per le malghe, per la vita pastorale, per la vita agricola. Sono in legno e di fabbricazione locale, infatti, anche i pochi mobili e strumenti di lavoro che

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