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Prima edizione novembre 2004 ombre corte
Si ringrazia leditore ombre corte
per aver reso possibile la nuova pubblicazione
Questo volume ha parzialmente usufruito del contributo del progetto
European Liberty and Security. Security Issue, Social Cohesion and
Institutional Development of the Euro- pen Union (Elise), 2002-2005,
finanziato dellUnione Europea e affidato al Dipartimen- to di Scienze
antropologiche dell'Universit di Genova.
Seconda edizione aprile 2011 licenza Creative Commons
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morali dellautore.
Immagine di copertina di Serena Giordano
ndIce
7 PrefazIone
di Alessandro Dal Lago
13 ntroduzIone
CAPTDLD PF|D
LaboratorI del potere
25 Il minore: un mito diviso tra tutela e controllo
33 Lo straniero e la questione dellimmigrazione
42 Il minore straniero come problema sociale
47 Dispositivi di tutela come esclusione
CAPTDLD SECDN0D
l ComItato per I mInorI stranIerI
51 Origini
58 Critiche e consolidamento
65 Pratiche di esclusione
CAPTDLD TEFZD
Lo smaltImento
75 Campagne umanitarie e privatizzazione dei confini
82 Ritorno alle origini
88 Esigenze dello sviluppo umanitario
CAPTDLD QUAFTD
dentIt lIquIda
95 Una cultura su misura
103 Interessi superiori
111 N minore, n straniero
CAPTDLD QUNTD
La burocrazIa del mInore
115 Una citt sotto assedio
123 Una tutela a bassa soglia
138 Competenze e responsabilit
146 Storie di ordinaria burocrazia
CAPTDLD SESTD
Covernare I margInI
149 Unintegrazione flessibile
165 Cacciatori di bisogni
174 Scatole cinesi
CAPTDLD SETT|D
La normalIzzazIone dI un elemento sfuggente
177 Dimmi cosa vuoi, ti dir chi sei
186 A met tra dono e diritto
197 Una rete per minori
207 StorIa dI W.
213 CDNCLUSDN
l mInore nella rete
223 Note
251 8IblIografIa
!"#$%&'()#
di Alessandro Dal Lago
Uningrence innominable a t aux choses, aux circostan-
ces, aux tres, leur hasard daurole.
REN CHAR, La parole en archipel
Il termine minore gi un intero cosmo educativo. Rimanda a una
dimensione anagrafica negativa (sono minori tutti coloro che non hanno
raggiunto let in cui si pienamente in possesso di s), definisce una
mancanza, e quindi attira un buon numero di investimenti istituzionali.
Analogamente allumanit pre-illuministica di Kant, la minore et so-
prattutto una minorit, ovvero una situazione che rende naturalmente in-
dispensabili operazioni di tutela, educazione, assistenza, correzione ed
eventualmente repressione. Come il vuoto attira il pieno, secondo una
primitiva filosofia della natura, cos i minori richiedono lopera di una fol-
la di operatori il cui compito essenzialmente trasformare lassenza in
presenza, la natura in cultura, lanarchia in ordine, lignoranza in compe-
tenza, lillegalismo in legalit. Non parlo, ovviamente, dellistruzione in
quanto tale (il sapere minimo indispensabile a unumanit competente),
ma di educazione, ovvero di formazione dellessere umano socievole. La
tabula rasa della minorit un campo in cui sono indispensabili iscrizioni.
Ed ecco allora che esister un vero e proprio sapere della minorit, ripar-
tito in discipline specifiche (sociali, psicologiche, mediche ecc.), culmi-
nante nella competenza di addetti istituzionali: lassistente sociale, lope-
ratore sociale, leducatore.
Queste figure, sfornate da appositi curricula accademici e temprate
nella pratica quotidiana, sono gli esperti della minorit. Tradizionalmente
il loro mandato zampilla dalle articolazioni locali dello stato e del para-
stato, siano esse giudiziarie o amministrative. Tribunali per i minori e po-
teri locali collaborano nel trattare i minori che escono dalla normale filie-
ra educativa, i soggetti a cui non bastano, per formarsi, le matrici basali
della famiglia e della scuola: minori abbandonati, provvisti di qualsiasi
handicap fisico, psichico o sociale, disturbanti, disordinati, problematici.
Una rete discreta di consulenti connette famiglia e scuola, pronta a tratta-
re, gestire, aiutare chi per qualsiasi micro-patologia sia supposto portare o
causare disfunzioni. Ma ci si sbaglierebbe pensando che la rete si limiti a
catturare piccole pecore nere. Un solerte discorso sociale pronunciato
da una folla di esperti annessi ai tribunali minorili in qualit di giudici
onorari e aggiunti, ma comunque competenti e deliberanti pronto a
fabbricare minori problematici non appena la matrice famigliare o scola-
stica mostri piccole crepe, presunte o reali: separazioni, divorzi, liti in un
caso, ritardi, anomie di classe, bullismi nellaltro. C da scommettere che
questo discorso si espanda ubiquamente in relazione a chi lo pronuncia,
senza rapporto con la realt di chi dovrebbe esserne benificiario. Un di-
scorso che, almeno da noi, sollecitato da unattenzione spasmodica, di
destra o di sinistra, ma sostanzialmente cattolica, ecumenica, per la fami-
glia come cemento della societ.
Qui bisogna essere chiari. Che le normative di sinistra siano rivolte a
potenziare il braccio pubblico in materia minorile, o quelle di destra pi
interessate a favorire le potenze discrete che tutelano autonomamente la
famiglia (associazioni religiose o scuole private) una finta alternativa.
Mostra lesistenza di due tattiche complementari, ma la strategia e soprat-
tutto le forze in campo sono le stesse: alla fine saranno i competenti di mi-
norit quale che sia il loro mandato, direttamente pubblico o pseudo-
privato a gestire i minori problematici: la loro presenza ubiqua, il sa-
pere uniforme, la funzione stabile. Lentamente, il braccio pubblico rinun-
cia ad alcune competenze dirette, coerentemente con la riduzione della
statualit invocata dalla grande maggioranza delle forze politiche. Accan-
to allassistente sociale, magari dotato di contratto a termine invece che di
posto fisso, proliferano i terminali del privato sociale, operatori di coope-
rative, educatori, consulenti di ogni tipo. Quindi, non ha importanza per
conto di quale braccio essi operino. Operano comunque, e producono i
loro effetti. Si potrebbero riempire biblioteche nazionali dei loro rapporti
grigi, studi di caso, suggerimenti, diagnosi, in cui uno psicanalismo an-
nacquato e una sociologia di senso comune si mescolano al gergo polvero-
so delle amministrazioni mandatarie: testi performativi che hanno la forza
di decreto, in quanto comminano cure familiari, audizioni para-giudizia-
rie, visite dal consulente scolastico, psicologico o psichiatrico. Un mondo
che della cura mantiene lambiguit costitutiva di un benessere imposto,
sanzionato, amministrativo.
I recipienti di questo sistema discorsivo e performativo, i minori, non
hanno lo diciamo di sfuggita, tanto la cosa va da s voce in capitolo.
Sono letteralmente infanti. Conosciamo casi di minori sottoposti alle ves-
sazioni pi bislacche e alla carit pi irritante senza che la loro parola pos-
sa essere pronunciata. O se avviene, trascritta. O se trascritta, rispettata. E
ci in nome non di qualche inclinazione perversa degli operatori (anche
se c da interrogarsi sulla neutra perversione della macchina che li invia),
bens della benevolenza, di un interesse sincero, ci mancherebbe, per la
loro sorte. Questo bene minorile, promosso da leggi di tutela dellinfan-
zia, non mira tanto a rafforzare le condizioni di libero sviluppo contin-
gente a cui allude il poeta citato in esergo (laureola dellazzardo o del ca-
8 IL MALE MINORE
so), ma a uniformare le traiettorie delle giovani esistenze al lugubre imma-
ginario educativo delle istituzioni.
Se qualcuno pensasse che in queste righe si pratica liperbole, rifletta
su esempi sotto gli occhi di tutti. Oggi, lorientamento alla professione, al
destino sociale che fa di qualcuno un subordinato o un superordinato,
non si innesca dopo gli studi superiori o sul limitare delladolescenza,
quando qualche sistema scolastico, in base al vostro punteggio, vi asse-
gner a una carriera di artigiano o di scienziato, ma viene retrodatato alle
scuole medie e, ancor meglio, a quelle elementari in una corsa contro il
tempo. E allinizio del tragitto, linsegnante sar spesso in compagnia de-
gli esperti di counseling, che affronteranno il problema del minore nella
sua aurora, quando egli , appunto, un essere da formare e riformare in
solido con lambiente famigliare. Ma la retrodatazione del counseling
complementare allallungamento dellet minorile, come conviene alla so-
ciet delleducazione permanente, dellincertezza del lavoro e della ri-
qualificazione perenne del lavoratore. Cos, quando uno pensa di essere
sfuggito alla minorit, ecco che il mondo della cura si interessa discreta-
mente di lui. In ununiversit di mia conoscenza, unassociazione profes-
sionale, operante nel continente del counseling psicologico, ha proposto
di impiantare un centro di ascolto e cura del disagio studentesco. Una
sorta di Cepu psicoterapeutico, per intenderci.
Stiamo parlando di minori, o mantenuti tali, che rientrano in una por-
zione dellumanit tutto sommato avvantaggiata: quella occidentale, euro-
americana, sviluppata, progredita, bianca. Per quanti problemi abbiano o
siano supposti avere, si tratta comunque di una minorit che si colloca
molto in alto, nella gerarchia delle possibilit. Come suggerisce la saga di
Antoine Doinel, protagonista dei Quattrocento colpi di Truffaut, il ragaz-
zo refrattario, dopo aver visto loceano, sar riacciuffato dagli agenti del
riformatorio, della legge o della psicoterapia. Ma si suppone che alla fine,
sopravvissuto alle angherie dellassistenza, si inoltri incerto e comunque
libero nella vita. Che dire invece dei suoi compagni meno fortunati, i mi-
nori delle minoranze, gli sfortunati bambini marocchini, tunisini, algerini,
senegalesi e (almeno allepoca di Antoine Doinel) italiani, portoghesi e
cos via che vivevano nel dolce suolo di Francia? Trentanni dopo i Quat-
trocento colpi, il reportage di Kassovitz dalle banlieues, La haine, ci ha fat-
to vedere qualcosa dellesistenza dei minori socialmente emarginati,
espulsi dalla citt bianca. E ci ha a che fare, sebbene in forme diverse,
anche con il nostro paese, in cui il razzismo non ha dimora semplicemen-
te perch, a destra e a sinistra, sconveniente parlarne. In poche parole:
alla condizione di minorit dei minori si aggiungono, nel caso dei figli dei
migranti, le etichette dellestraneit, del sospetto, della paura e del di-
sprezzo.
Cio dellesclusione. E del ruolo delleducazione e dellassistenza ai
minori nellesclusione questo libro tratta. Il male minore non parla delibe-
ratamente dei minori, n si proposto di farli parlare. Partendo invece
PREFAZIONE 9
dallassunto foucaultiano che la societ anche costituita dai discorsi del-
le istituzioni (nel linguaggio di Foucault, dal Potere e dai suoi poteri),
questo libro parla soprattutto dei modi (meccanismi, dispositivi discipli-
nari, congegni micro-sociali) con cui le istituzioni fabbricano il minore
straniero a proprio uso e consumo. La scelta di non parlare di ci che i
minori sono o fanno doppiamente corretta. Da una parte, permette di
sospendere i diritti di quel linguaggio gommoso che le scienze sociali, nel
loro punto pi basso e acritico, applicano agli altri, agli stranieri, agli alie-
ni: insensatezza di termini come multiculturalismo, intercultura, ospita-
lit, accoglienza, citt educativa, solidale, partecipata bolle lessicali in
cui quel poco che resta di significazione nella terminologia sociologica
viene tradotto in un vocabolario da assessorati. Dallaltra, permette di iso-
lare lapparato discreto della cura dei minori stranieri nel suo funziona-
mento, nei suoi interessi e nella sua produttivit. Qui si parla dunque dei
modi in cui le propaggini istituzionali dal livello pi alto, ministeriale ai
pi bassi, locali, regionali, provinciali, comunali e di quartiere trattano il
problema-minori.
Prima di indicare qualche aspetto poco noto di questo dispositivo, ri-
badiamo: visto che i minori (specialmente stranieri) non possono parlare,
sarebbe inutile e fuorviante che la sociologia parlasse per loro, magari il-
ludendosi di restituire la loro voce. Tanto pi che, in quanto oggetti di un
apparato, la loro singolarit esistenziale o biografica offre delle occasioni
o delle variazioni sullo spartito, ma conta ben poco nel meccanismo istitu-
zionale. Infatti, come viene mostrato oltre, i minori stranieri sono i porta-
tori di un doppio stigma, rigidamente codificato. Sono minori (attual-
mente o virtualmente) clandestini. Una clandestinit che ha poco o nulla
a che fare con lo status dei genitori (se li hanno), e tutto con lidea pratica
che la microsociologia dei competenti di minorit ha elaborato di loro:
scivolosi come saponette, imprendibili, ubiqui, mimetici. Anomici se indi-
vidualisti, pericolosamente inclini alla socialit deviante, se aggregati (ec-
co la brillante tipologia che gli investigatori di crimini minorili e di bande
hanno stabilito, per esempio, tra maghrebini e sudamericani, tra albanesi
e senegalesi). Abbandonati a se stessi se innocenti, minacce per lordine
costituito se propensi a qualche traffico (ecco la differenza tra un vendito-
re di fiori e uno spacciatore, non diciamo di hashish ma di merci contraf-
fatte). E, in ogni caso, rigidamente affiliati alla propria cultura, che nessu-
no conosce (africani, islamici, arabi, maghrebini, marocchini?), ma che
tutti presuppongono come longa manus operante dietro le attivit che es-
si commettono tra noi e nel loro essere.
Cos, il minore costruito dai competenti di minorit ha preso il posto
della loro individualit. E fin qui sarebbero solo dei minori, delle pagine
bianche da illustrare. Ma, in quanto stranieri, essi sono disciplinati dal co-
dice secondo cui il bene supremo del migrante che smetta di essere mi-
grante. Allora, accanto alla porta stretta della socializzazione subordinata
(chiss in base a quale teologia politico-sociale un minore straniero pu
10 IL MALE MINORE
essere quasi esclusivamente avviato alla carriera di muratore o panettiere),
ecco la predominante prospettiva dellespulsione. No, non dellespulsio-
ne una parola cos poliziesca pu valere per dei dannati adulti da depor-
tare ma del rimpatrio, del ritorno, della ricostituzione di un nucleo
famigliare, che il familismo benevolo delle istituzioni vede come faro nel-
la corretta gestione dellimmigrazione minorile: che essi tornino l, lonta-
no, al di l dei confini, di distese marine e montagne, in qualche valle del-
lAtlante benedetta dai mandorli o cittadina albanese fiorente di imprese
italiane delocalizzate, o sobborgo siderurgico rumeno. E ci per il loro
bene. E cos, ragazzini venuti qui da piccoli o cresciuti a Tangeri (con il
sogno dellEuropa negli occhi), scivolati tra le maglie della famiglia origi-
naria, dei controlli doganali e dei rischi della strada, si ritrovano di l, al
punto di partenza. E magari avevano appreso litaliano, e giocato al pallo-
ne con la maglia della Juventus, e desiderato le loro coetanee, e aspettato
il loro turno davanti al buttafuori per entrare in discoteca, e bevuto una
birra di troppo o venduto o fumato uno spinello attivit che sono indi-
zio di delinquenza per i giovani stranieri, ma ai nostri sono per lo pi con-
sentite o punite con una ramanzina del preside o del maresciallo, persino
nel tempo in cui la moralit pubblica governata da Ignazio La Russa.
Questo libro descrive ed evoca con le parole degli operatori la mac-
china istituzionale preposta ai minori stranieri, la sua implacabilit nel-
lapplicare la benevolenza pubblica o sociale al destino dei giovani clan-
destini. Nella folla di operatori, assistenti, educatori che collaborano al
rimpatrio dei minori non accompagnati, non dobbiamo cercare degli
aguzzini bens, oltre che funzionari del settore pubblico, sinceri attori del
privato sociale, gente che si formata nella cultura della solidariet e for-
se anche in una lettura simpatetica dellimmigrazione. Siamo dunque lon-
tani anni luce dalla spietatezza dei mazzieri parrocchiali di Dickens. Ma,
in cambio, nessun deus ex machina romanzesco o parente ricco o zio di
campagna salter fuori nei capitoli finali a salvare David Copperfield o
Oliver Twist dai bassifondi o dalla cattura della legge. Questi minori stra-
nieri, se non si nascondono nelloscurit del lavoro nero o della piccola
criminalit, finiranno senza scampo nelle maglie del dispositivo. In alcuni
casi resteranno, ma pi spesso saranno reinseriti nella terra dorigine, cio
riportati esattamente al punto in cui erano quando avevano cercato di ve-
nire tra noi. L, dove la benevolenza sociale si arresta e linteresse per i
minori sostituito dai luoghi comuni dellalterit, della differenza e dello
scontro tra civilt.
Questo libro non scende sul terreno delle polemiche. Semplicemente,
con loggettivit di chi sospende, in nome di una buona metodologia, il
presupposto (oggi largamente diffuso nelle scienze sociali) che le istitu-
zioni siano per natura avvolte dalla santit, mostra quali siano i linguaggi
dominanti, i presupposti politico-culturali, i congegni istituzionali e so-
prattutto gli effetti pratici della macchina minorile. Tutto quello che qui
non viene detto lasciato allimmaginazione del lettore. Ma non si tratta
PREFAZIONE 11
di un compito difficile. Una volta terminata la lettura, si tratter semplice-
mente di riflettere quanto, in una societ che si vuole democratica, le pro-
cedure scivolino verso il totalitarismo, quando hanno a che fare con i de-
boli, i poveri, gli stranieri e i senza voce. E come il sistema delle buone in-
tenzioni, laico o cattolico, di destra o di sinistra, pubblico, privato o socia-
le possa obliterare il diritto allautonomia dellesistenza. Si tratter, in-
somma, di pensare uningiustizia tanto pi assordante, quanto pi lusinga
chi ci vive in mezzo con lillusione del bene. E alla fine, ci si potr chiede-
re se lintera logica che presiede a questi piccoli misfatti neo-coloniali non
sia una buona volta, da parte nostra, da rifiutare in blocco, senza collabo-
razioni, partecipazioni e connivenze.
12 IL MALE MINORE
!"#$%&'()%"*
Nel Centro non ci sono minori. Cos, pressappoco, ha dichiarato
uno dei componenti del movimento antirazzista tra i primi a entrare nel
Centro di permanenza temporanea (Cpt) di via Corelli a Milano. Era il
1999. I Cpt introdotti dalla prima legge organica sullimmigrazione
(la Turco-Napolitano) iniziavano a guadagnare la ribalta e gi si mo-
stravano per quello che erano: luoghi di gran lunga peggiori delle prigioni
dove tuttavia finivano uomini e donne senza conti in sospeso con la legge
penale (perch non ne avevano mai avuti oppure perch li avevano gi
saldati). Luoghi che sono cristallini nella loro funzione di esclusione dei
migranti dalla societ, insomma luoghi per non-persone
1
. Per fortuna ri-
sparmiati ai minori. Ma se i minori non sono l, dove sono? Il fatto che
siano loro risparmiati questi posti, significa che lo sono anche le pratiche
di esclusione dirette agli adulti?
In realt, se vero che almeno ufficialmente i minori non sono mai
transitati per i Cpt, anche vero che gi due anni prima dellapertura del
Centro di via Corelli era stato istituito a Milano il Punto sosta, destina-
to ad accogliere i giovani migranti trovati da soli
2
. Certo un luogo affatto
diverso dai Cpt: il personale era (ed ) composto da educatori e non si ve-
devano sbarre. Ma era davvero cos diverso nei fatti? Le percentuali di fu-
ga dal Punto sosta erano elevatissime
3
e questo vuol dire che, quanto-
meno, si trattava di un posto in cui i minori non stavano per propria vo-
lont. Un luogo conosciuto solo dagli addetti ai lavori e nato anche per
implicazioni di ordine pubblico, in quanto forte era la preoccupazione
per i ragazzi trovati in strada. Un luogo in cui il comitato antirazzista e le
delegazioni che da molto tempo sorvegliano, per quanto possibile, latti-
vit nei Cpt, non hanno mai messo piede. Ma questo solo un esempio di
quanto sia residuale la mobilitazione critica quando si tratta del con-
trollo della migrazione minorile.
Il libro prende essenzialmente le mosse da questa possibile e, nono-
stante tutto, trascurata forma di esclusione. E cio dai dispositivi di con-
trollo, protezione ed educazione adottati nei confronti dei minori stranie-
ri. Ma non solo: si occupa anche dellautomatismo con cui la condizione
minorile, e in particolare quella dei minori stranieri non accompagnati,
immediatamente associata alla necessit di tutela che da sola basta a giu-
stificare ogni decisione presa sul minore e forse la stessa disattenzione
per tali dispositivi. Sia chiaro, non mia intenzione negare loggettiva ne-
cessit di soccorrere e di proteggere i minori stranieri, come del resto so-
no oggettive le condizioni di difficolt in cui molti ragazzi si trovano. Tut-
tavia proprio nellindissolubile nesso istituito tra minore straniero e ne-
cessit di tutela che trovano fondamento e legittimazione le pratiche di
esclusione di chi suo malgrado ne diventa oggetto.
A questo proposito opportuno precisare subito che qualunque di-
scorso sul minore straniero deve essere inserito in un contesto pi ampio
definito da alcuni autori paradigma giovanile
4
e in parte anche nellapo-
logia sul culto della fanciullezza
5
. Molti studi sulla minore et (intesa
nel senso pi ampio del termine: infanzia e adolescenza) forniscono dati,
informazioni, descrizioni accurate su questo periodo della vita, finendo
tuttavia per presentarne implicitamente uninterpretazione ideologica,
che in genere la descrive come periodo naturale o perlomeno necessario
dello sviluppo umano. Secondo alcuni autori tali spiegazioni, che rivesto-
no dapparenza scientifica le idee correnti nella nostra cultura, pi che ri-
volgersi ai fanciulli e agli adolescenti ribadiscono posizioni di potere (eco-
nomico, politico e simbolico) consolidate socialmente
6
. Sebbene questo
abbinamento tra et giovanile e potere possa apparire a prima vista azzar-
dato, occorre considerare come tali affermazioni abbiano il pregio di spo-
stare lattenzione sulle aspettative del mondo adulto. Insomma, che cos
linfanzia? Soltanto uno stato biologico, o anche, se non soprattutto, una
condizione socialmente prodotta? E soprattutto, tale categoria in funzio-
ne di chi e com stata costruita?
Si tratta di domande estese e assolute la cui complessit, pi che ri-
solta definitivamente, sar continuamente tenuta sullo sfondo e proble-
matizzata. Qui sufficiente ricordare che nel corso della storia uno dei
principali problemi, in questo campo, stato quello di definire il confine
tra let adulta, o considerata tale, e quella infantile. Il criterio prevalente
stabiliva come appartenente alla seconda categoria tutto ci che non
adulto, ricorrendo a una definizione diacritica. Destino questo che il mon-
do infantile condivide con il mondo sociale in quanto ritenuti, nel di-
scorso dominante, condizioni naturali: entrambi sono accomunati dal po-
tersi esprimere solo passivamente. Infanzia e societ sono dunque due og-
getti che in una prospettiva tipicamente foucaultiana rimandano, ancor
prima che ai soggetti in questione (bambini, individui), alle regole del
potere, alle sue particolari grammatiche
7
.
Seguendo questa trama il minore straniero assume oggi inediti signifi-
cati sociologici (e in parte politici) dettati dalla sua esemplare funzione
specchio
8
rispetto alla societ adulta. Per comprenderne le possibili im-
14 IL MALE MINORE
plicazioni, sar utile partire da unassunzione critica della centralit asse-
gnata alla figura del minore non accompagnato nel processo di definizio-
ne della necessit di tutela sul minore straniero. Non va sottovalutato,
infatti, che lattenzione da parte delle istituzioni, di numerosi studiosi e
delle organizzazioni internazionali nei confronti dei minori stranieri
tende sempre pi a concentrarsi sulla particolare condizione del minore
non accompagnato, soprattutto in virt del presunto nesso con la con-
dizione di sfruttamento e di possibile coinvolgimento nel racket e nella
criminalit organizzata
9
. Tale accostamento e la stessa definizione di non
accompagnato sono quindi i primi elementi rivelatori della percezione
assai controversa di questo particolare tipo di minore, che, infatti, diventa
oggetto di attenzione perch si sposta, per di pi da solo, senza alcuna fi-
gura adulta che possa indirizzarlo e legittimarlo.
Il minore straniero in stato di abbandono ha una caratteristica che lo
rende esemplare, qualcosa che in termini semplicistici ha a che vedere
con il suo esotismo. Intanto spesso concettualmente lontano e quindi
pi astraibile (bambino guerrigliero, mutilato dalle mine anti-uomo o de-
finizioni analoghe che affollano il linguaggio comune). La sua condizione
assume toni diversi quando il minore diventa reale attraversando pi o
meno autonomamente le nostre frontiere. Ebbene, a questo punto, si as-
sommano in lui due figure: quella tipica delle campagne benefiche, che
hanno visto una sorta di globalizzazione dellimmagine buona e tran-
quillizzante di minore (le global marches contro lo sfruttamento lavorativo
dei minori nel terzo mondo, le campagne di boicottaggio contro la Ne-
stl e la Nike, i molteplici progetti e le indagini avviate sullo sfruttamento
sessuale dei minori nel mondo
10
), e quella di elemento di rottura e di mes-
sa a nudo dei nostri paramenti definitori (qui la funzione specchio).
Il minore straniero non accompagnato rappresenta in sostanza un
elemento anomalo o deviante. Infatti, se linfanzia oggetto social-
mente e sociologicamente problematico, costruito relazionalmente e se-
gnato discorsivamente dalle grammatiche del potere, la sovrapposizione
di questo stato ontologico alla particolare condizione di estraneit pro-
pria dellesperienza migratoria moltiplica gli effetti politici di tale oggetto.
E questambivalenza ne determina la particolare criticit, trovando imme-
diata conferma nel fatto che la tutela naturale viene in qualche modo
infranta, o finisce per dissolversi in uno spazio che non pu essere indiriz-
zato o controllato su logiche e prassi proprie dellordine nazionale. In al-
tre parole, rappresenta una prospettiva minacciosa per lassetto della so-
ciet adulta.
Occorre allora chiedersi su quale base sia possibile ristabilire la tutela
su un minore di cui non si sa nulla di certo. Lassunto da cui muovo che
la tutela si configura come un complesso di diritti e doveri in capo al mi-
nore, volto a educarlo/disciplinarlo/trasformarlo in un cittadino adulto
che interiorizza (o, per dirla con Foucault, soggettivizza) norme e rego-
le di condotta e quindi anche facolt di controllo sociale sugli altri, allin-
INTRODUZIONE 15
terno di un ordine nazionale. Inevitabilmente il minore non-cittadino pri-
vo di tutela rappresenta un caso assolutamente inconsueto nel contesto
attuale, in cui lo Stato nazionale non aspira pi a quella sorta di missione
assimilazionista che faceva parte dellespansione coloniale o imperiale e
contemporaneamente tende ad arroccarsi nella protezione dei privilegi le-
gati alla cittadinanza, restringendo la possibilit di accesso dallesterno.
Come vedremo, questo aspetto si traduce in una sorta di dilemma
che riguarda lopzione tutela/espulsione. Inoltre, il caso del minore non
accompagnato, oltre a produrre riflessi sulla costruzione normativa, d
vita a molteplici reazioni contraddittorie negli operatori istituzionali e
non, e quindi nelle istituzioni e nei servizi. Ne una conferma il fatto che
la condizione giuridica del minore straniero, e in particolare di quello non
accompagnato, regolata con strumenti normativi non proprio coerenti e
organici. Questi, nati per regolamentare in modo uniforme i particolari
diritti dei minori stranieri, non solo non sono riusciti a superare i partico-
larismi locali (questo un limite che non riesce a superare nemmeno la
normativa sui minori tout court, che trova unapplicazione a macchia di
leopardo secondo gli orientamenti dei vari tribunali), ma hanno persino
sollevato numerosi dubbi in merito alla propria legittimit costituzionale.
A questo punto azzardo una generalizzazione: quello dei minori stra-
nieri si configura nei presupposti come un argomento di confine, in cui
inclusione ed esclusione sembrano essere facce della stessa medaglia. Si
tratta soggetti che, sia pure avviati a percorsi dinclusione, vivono forme
di esclusione almeno quanto gli adulti. Infatti, anche se raramente pro-
tagonisti di episodi di razzismo, i minori soggiacciono a unostilit pi
sottile e strategica: quella che si consuma attraverso i meccanismi della tu-
tela delle leggi e dei decreti che vengono adottati per regolare la loro con-
dizione. Lesclusione in questo caso passa attraverso la supposta e auto-
matica necessit di protezione. Qualcosa che ha a che vedere con il far
vivere e lasciar morire identificati da Foucault come elementi centrali
delle pratiche di potere biopolitiche moderne. Detto altrimenti, lipotesi
che sorregge questo lavoro dunque che la tutela, declinata nella produ-
zione normativa, funzioni come dispositivo di inclusione/esclusione e
gli operatori, preposti a tradurla in azione, come operatori di inclusio-
ne/esclusione. Andr poi verificato se tra i due sottoinsiemi si creano an-
che meccanismi circolari di rinforzo nellidentificazione dei minori stra-
nieri non accompagnati come categoria sociale da tutelare. Sono tutta-
via opportune alcune precisazioni sugli aspetti teorici con cui si misura
questo lavoro.
La prima riguarda i sistemi di inclusione
11
. Tra le proposte teoriche e
politiche sviluppate intorno al discorso sulla socializzazione possibile di-
stinguere due principali tendenze o prospettive fondate su schemi teorici
e categorie concettuali difficilmente conciliabili (ma entrambe valide)
12
.
La prima una prospettiva di carattere normativo (a cui appartengono
studiosi come Durkheim e Parsons) in cui la socializzazione general-
16 IL MALE MINORE
mente intesa come integrazione dellimmaturo in un ambito societario e
culturale determinato
13
. Laltra una prospettiva individualistico/inter-
pretativa (in cui possono rientrare classici come Weber, Simmel e, pi di
recente, Goffman), che definisce la socializzazione come un processo in-
novativo nella riproduzione sociale, in cui il soggetto ha un ruolo attivo (o
interattivo) e indispensabile nella sua interpretazione: anzi ogni individuo
rivestir diversi ruoli e sar dunque partecipe di diverse forme di socializ-
zazione. Il confine tre queste due scuole non affatto definito e soprattut-
to molto articolato. Si tratta di una suddivisione grossolana che tuttavia
ha il vantaggio di rilevare la distinzione tra due grandi aree di teorici so-
ciali: quelli di tradizione positivista che considerano lindividuo come
un prodotto della societ e per i quali la realt sociale sempre percepita
come esterna; e coloro per i quali la realt non pu essere semplicemente
osservata ma va interpretata o, pi in particolare, coloro che negano log-
gettivit della realt sociale, definendola come costruzione individuale di
ogni soggetto umano
14
. Io far riferimento alla prospettiva normativa,
sebbene sia consapevole che i giovani e le famiglie non sono mai passivi
nei processi di socializzazione e controllo: le strategie della stragrande
maggioranza delle famiglie straniere non sono probabilmente diverse da
quelle adottate dalle famiglie delle classi pericolose di Chevalier; cos
come la storia della giovent straniera contraddistinta dalle stesse re-
sistenze e dalle medesime tensioni verso lautonomia e il mutamento tipici
di qualunque giovent
15
.
Sono consapevole che la prospettiva in cui mi pongo pu essere consi-
derata troppo circoscritta e orientata, in quanto inevitabilmente trascura
la carica oppositiva delle minoranze attive (tradotta in una specifica tra-
dizione di ricerca negli studi post-coloniali
16
). Credo tuttavia che, come
tutti i discorsi sociologici, anche quello sui minori non debba necessaria-
mente proporre ricostruzioni scientificamente fondate della realt sociale,
ma anche rendere espliciti alcuni dispositivi che fondano la propria legit-
timit su una grammatica regolata dal potere. Ripropongo questa im-
postazione, fortemente intrisa del paradigma foucaultiano, molto fre-
quentata intorno agli anni Settanta, con il solo intento di allargare il cam-
po di indagine su questo tema, proprio perch il paradigma patologico-
sociale , nonostante tutto, ancora quello predominante in particolar mo-
do nellinterpretazione dei fenomeni che coinvolgono il composito mon-
do dellet giovanile
17
.
Alla luce di queste premesse il lavoro va diversamente tarato: nel libro
tento di descrivere come lanalisi delle modalit di sviluppo della tutela
possa valere come analisi dei rapporti di potere, come matrice delle tecni-
che di inclusione/esclusione e, in secondo luogo, come queste tecniche
siano apprese, rese neutrali, riprodotte e poste a fondamento di un nuovo
ordine sociale. A questo punto sono necessarie altre due precisazioni: con
i concetti di potere e di dispositivo faccio riferimento alle relative categorie
foucaultiane. La definizione di un potere che intrattiene legami inestrica-
INTRODUZIONE 17
bili con il sapere rende possibile concepire effetti strategici pi profondi
di quelli meramente repressivi: il potere piuttosto incitamento al discor-
so, produttivo di ordine perch trova cittadinanza nelle pratiche diffuse
nellintero corpo sociale. Con Deleuze, per dispositivo intendo innanzi-
tutto un groviglio, un insieme multilineare che risulta non da una strate-
gia prevista e pianificata, ma dalla composizione eterogenea di molteplici
spinte e disegni parziali che si compenetrano nelleffetto finale
18
.
Un lavoro impostato in questi termini richiede necessariamente uno
stile di indagine qualitativo. Il ragionamento sui processi di categorizza-
zione e neutralizzazione, soprattutto in un campo denso di assunti indi-
scutibili come quello dellintervento sulla minore et, rende inevitabile
uno studio del fenomeno dallinterno con lutilizzo di materiali di sen-
so comune. In questo caso non basta infatti descrivere la realt sociale,
ma necessario farlo in base a presupposti che ne illustrino aspetti poco
evidenti o comunque non ovvi
19
. La ricerca costruttivista (e in particola-
re letnografia sociale) vanta ormai un considerevole numero di adepti nei
pi svariati campi dellanalisi sociologica e attualmente ha guadagnato
una posizione consolidata nel panorama scientifico
20
. Le difficolt create
dalla lettura soggettiva degli strumenti di analisi vengono, secondo gli stu-
diosi di questa prospettiva
21
, arginate da una rigorosa definizione del
campo di analisi e delloggetto della ricerca.
In particolare in questo lavoro ho fatto riferimento agli studi intera-
zionisti
22
e genealogici, utilizzandoli luno a completamento dellaltro.
Questi ambiti metodologici presentano non poche affinit: in entrambi
lattenzione si rivolge al carattere architettonico-progettuale dei sistemi
di conoscenza piuttosto che al loro valore di verit
23
; la lente puntata
sulle procedure di costruzione e di funzionamento dei saperi e in partico-
lare sugli effetti prodotti in un determinato contesto. Tanto lapproccio
genealogico-foucaultiano quanto linterazionismo rappresentano una sto-
ria critica che mette costantemente in dubbio ci che ha reperito. Non ri-
cercano i nessi causali e tanto meno le soluzioni, ma piuttosto chiarifica-
zioni e complicazioni al tempo stesso, rilevando limportanza dei fatti ri-
tenuti laterali e le interrelazioni tra un pi vasto numero di attori e avveni-
menti
24
. Tuttavia, almeno in relazione alla ricerca proposta, il metodo in-
terazionista presenta il limite di non indagare il modo in cui le procedu-
re istituzionalizzate interagiscono con il potere (politico) e con il discipli-
namento della societ
25
. I percorsi delle genealogie invece pongono al
centro dellinteresse anche i giochi causali delle dominazioni, la combi-
nazione di quei fattori che nessuno nello specifico domina o in grado di
produrre
26
.
Allinterno di questo frame teorico, lanalisi degli effetti sociali e cultu-
rali della costruzione della categoria di minore non accompagnato com-
porta innanzitutto lestensione del campo empirico a un lavoro prevalen-
temente descrittivo, etnografico, concentrato cio sulla descrizione del-
le pratiche culturali e sullanalisi delle diverse procedure di produzione
18 IL MALE MINORE
e di intervento che la definizione adottata favorisce e determina. Ho cos
sviluppato la ricerca su pi attori e piani, ognuno dei quali comporta luso
di mezzi diversi. La verifica delle ipotesi si incentrata su tre categorie di
attori: le istituzioni coinvolte nei processi di tutela del minore, le organiz-
zazioni del terzo settore (che operano in Italia e nei paesi di origine dei mi-
nori) e il minore-straniero-non-accompagnato. Essa inoltre stata condotta
seguendo il filo rosso delle strategie (pratiche e discorsive) che dal piano
globale (nazionale e internazionale), per ciascuno degli attori coinvolti,
prendono forma e assumono rilevanza nel contesto locale; ci per testar-
ne territorialmente gli effetti e le peculiarit nella traduzione/ produzione
delle politiche e delle pratiche di categorizzazione del minore-straniero-
non-accompagnato. In generale gli strumenti di analisi utilizzati sono
stati, oltre a quello dellosservazione partecipante, le interviste in profon-
dit e lanalisi dei documenti
27
.
Entrando pi nello specifico, per istituzioni coinvolte (nella consape-
volezza che in questo processo entra un maggior numero di attori rispetto
a quelli presi in considerazione) si intendono il sistema politico (nazionale
ed europeo), la pubblica amministrazione, le forze dellordine e il sistema
giudiziario minorile. Tuttavia nel corso dellesposizione non affronter
specificamente loperato del tribunale per i minorenni, n quello della
questura, bens mi concentrer sulla pubblica amministrazione: le infor-
mazioni raccolte con le interviste sono state tuttavia utilizzate sia per de-
scrivere il contesto preso in considerazione dalla ricerca, sia per rendere
pi chiari alcuni passaggi nel corso dellanalisi. Questo perch il ruolo dei
giudici e dei funzionari di polizia, sebbene sia determinante nelle scelte
delle politiche sui minori stranieri, non quasi mai giocato a diretto con-
tatto con i minori. In sostanza, nel loro operato, il minore si rivela non pi
di un documento darchivio o il risultato di nuove indicazioni. Rientra nel-
la definizione di organizzazioni del terzo settore un ampio numero di enti
per lo pi distinguibili in associazioni, cooperative di servizi o sociali, or-
ganizzazioni di volontariato e fondazioni
28
. Il particolare interesse che de-
dicher loro determinato dal ruolo sempre pi importante che queste
occupano nella gestione di alcuni bisogni sociali (in Italia e nei paesi di
provenienza dei migranti) colmando lacune sempre pi frequenti del wel-
fare state
29
. Per alcune categorie di bisogni si pu parlare persino di man-
dato che si esplica con lattribuzione, tramite gara di appalto o convenzio-
ni, della gestione o erogazione diretta di alcuni servizi (in Italia ma anche
allestero in seguito allespansione degli interventi di cooperazione allo
sviluppo). Un discorso a parte merita il minore non accompagnato. Secon-
do quanto sancito nelle citate disposizioni di legge, si intende come tale
il minore che si trova nel territorio dello Stato privo di assistenza e rap-
presentanza da parte dei genitori o di altri adulti responsabili in base alle
leggi vigenti nello Stato italiano. Sar proprio questa definizione (e non
il minore) loggetto di analisi, da vagliare in modo trasversale nei due
contesti precedenti, in quanto raccoglie in s condizioni spesso molto ete-
INTRODUZIONE 19
rogenee e accomunate dal solo fatto che il minore non si trova sotto la
stretta tutela di un adulto.
Infine la scelta del contesto locale caduta su Genova per motivi di
comodit: , infatti, un luogo che si presta in modo esemplare allosser-
vazione etnografica
30
. Una citt con un centro storico densamente abitato
da migranti, in cui si concentra il maggior numero di attivit pubbliche e
private rivolte ai minori stranieri: un luogo in cui giovani venditori di fiori
(gli omologhi dei lavatori di vetri) e salvatori dellinfanzia condividono la
scena interpretando un unico dramma, in cui i minori non necessariamen-
te sono gli attori principali. Un qualunque altro criterio sarebbe altrettan-
to arbitrario, perch piuttosto difficile generalizzare i risultati di una ri-
cerca cos strettamente legata alle scelte politiche e alle pratiche sociali
inevitabilmente diverse in ogni singolo contesto. Ne una conferma la di-
somogeneit, mai superata, nellapplicazione della normativa sui minori
cui facevo cenno precedentemente
31
.
Viste le peculiarit degli attori, le pratiche adottate e le problematiche
incontrate nel percorso di ricerca sono state quelle tipiche delletnografia
sociale (in particolare quella delle organizzazioni
32
). Questo stile di ri-
cerca e di analisi
33
ha informato tutto il mio lavoro sul campo, quindi so-
no necessarie solo alcune brevi precisazioni. In primo luogo, mentre sul
piano nazionale il campo di indagine e i soggetti da intervistare erano pre-
determinati (i documenti ufficiali e le interviste al comitato e alle Ong
convenzionate), nel contesto territoriale gli stessi non erano stabiliti in an-
ticipo: ho preferito infatti usare preliminarmente losservazione parteci-
pante
34
al fine di individuare con maggior cognizione di causa le traietto-
rie di indagine e gli attori da prendere in considerazione nonch mirare i
contenuti delle interviste. Non sempre tuttavia stato possibile effettuare
preliminarmente un periodo di osservazione partecipante (in particolare
presso alcuni enti del terzo settore, soprattutto quelli che lavorano nei
paesi di origine dei ragazzi, il Comitato minori stranieri, il Tribunale per i
minorenni e la Questura) a causa delle caratteristiche strutturali e orga-
nizzative del lavoro dellente di volta in volta preso in considerazione.
Questo ovviamente risultato maggiormente agevole nel contesto territo-
riale. Anche le interviste in profondit hanno risentito di questi aspetti e
spesso hanno richiesto atteggiamenti differenti, anche allinterno della
stessa intervista. Com tradizione in questo genere di etnografia, la tra-
sposizione in forma scritta delle pratiche adottate sui minori stranieri es-
sa stessa una parte inscindibile del processo di ricerca, come lo del resto
lo stesso ricercatore
35
. Quella che propongo dunque consapevolmente
una ricostruzione soggettiva, provvisoria e situata: il risultato di una se-
lezione e di una interpretazione inevitabilmente personale dei materiali e
degli eventi concreti prodotti in un determinato contesto e in un preciso
periodo (che sostanzialmente coincide con gli ultimi tre anni e mezzo).
Ci non significa comunque che una ricostruzione di questo tipo sia arbi-
traria o che rinunci a descrivere una realt del mondo sociale; piuttosto
20 IL MALE MINORE
mi sono proposta di fornire una prospettiva originale: cos, seguendo
esempi ben pi autorevoli
36
, ho preferito dare ampio spazio alle esperien-
ze concrete e alle voci che le hanno raccontate. Unultima precisazione
a questo proposito: nelle trascrizioni delle interviste dove era necessario
ho inserito, tra parentesi quadra, le domande rivolte agli intervistati o
chiarimenti su alcuni aspetti impliciti nel discorso. Come buona norma,
ho usato ogni cautela per proteggere lanonimato degli intervistati elimi-
nando non solo nomi, ma, nei contesti pi riconoscibili (quello locale in
particolare), anche le strutture di appartenenza, facendo esclusivamente
menzione del ruolo.
Alla fine di questo percorso il libro composto idealmente di tre par-
ti. La prima che coincide col primo capitolo si propone innanzitutto
di delineare le coordinate entro cui si muove loggetto della ricerca e di
fornire i presupposti da cui parte il lavoro di ricerca. La ricostruzione del-
le pratiche e delle procedure attraverso cui si costruisce e si definisce il
minore straniero comporta infatti preliminarmente il passaggio attra-
verso i termini che compongono tale identit: il minore e lo straniero. Ter-
mini che, come vedremo, non vanno considerati in modo diacritico, ma
uno a completamento dellaltro come condizioni necessarie e non suffi-
cienti per la definizione del soggetto. Dopo la ricognizione generale dei
diversi approcci sociologici al minore (inteso in senso lato) e allo straniero
arrivo a circoscrivere lindagine sul minore straniero. Le categorie sotto-
poste ad analisi vanno considerate come produzioni discorsive mitiche,
nel senso barthesiano di strategie discorsive che naturalizzano e privano
di storicit i concetti su cui queste vengono applicate
37
. Preciso che li-
deologia e le rappresentazioni mitiche non devono essere considerate
semplici sovrastrutture, ma vengono a far parte degli stessi rapporti so-
ciali di produzione
38
. Infine, alla ricognizione teorica di ciascuna delle
categorie individuate unir quella delle pratiche di protezione/controllo e
inclusione/esclusione a loro connesse. Pertanto intender le tappe propo-
ste, tanto come luoghi in cui si situa il senso comune quanto come labora-
tori di sperimentazione dei sistemi di controllo.
Con i successivi tre capitoli inizia lanalisi e linterpretazione dei mate-
riali raccolti nel corso del lavoro sul campo. La ricerca e la verifica delle
ipotesi si incentrano su due livelli analitici, allinterno dei quali si muovo-
no le tre categorie di attori definiti precedentemente, cui corrispondono
altrettanti capitoli: una ricognizione dei discorsi e delle pratiche delineate
a favore del minore straniero (e in particolare di quello solo), assumen-
do criticamente sia la definizione sia il presupposto nesso con la necessit
di una tutela specifica. Loggetto di questa parte non , quindi, parafra-
sando Becker (1987), il fenomeno in s
39
(che i minori non accompagnati
esistano o meno, che siano in qualche modo individuabili), quanto invece
il fatto che il minore, una volta individuato, entra in una rete complessa di
rapporti, e assume un suo contenuto (effetto) di verit per via del modo
in cui differenti persone e gruppi lo definiscono. Sar inoltre messo in evi-
INTRODUZIONE 21
denza il ruolo dei minori non accompagnati nelleconomia discorsiva
della promozione dei diritti dellinfanzia e del controllo delle frontie-
re. Esso anzi rappresenta lo sfondo concettuale entro cui il lavoro si inse-
risce, e circolarmente definisce il suo punto di partenza e i suoi possibili
approdi, soprattutto se posto in relazione alla progressiva internazionaliz-
zazione e privatizzazione delle politiche sociali. Nei limiti che pu avere
una divisione arbitraria distinguer questa parte del processo di costru-
zione del minore straniero in tre momenti: lidentificazione di un corpus
di norme formalizzate in un apparato di agenzie e di funzionari pubblici
a cui si collegheranno agenzie e funzionari di organizzazioni private , di
una procedura, sviluppata in Italia e nei paesi di provenienze dei minori
(capitoli secondo e terzo) e infine di un soggetto (capitolo quarto).
Gli ultimi tre capitoli prendono in esame le pratiche territoriali. In
questo caso il compito risiede nella comprensione
40
delle politiche atti-
vate dalle istituzioni locali (soprattutto quelle attuate dal comune; capito-
lo quinto) e dalle organizzazioni non profit (capitolo sesto) in favore dei
minori non accompagnati. Vedremo come nella loro relazione tali organi-
smi hanno finito per ridefinire laccesso ai diritti dei minori non accompa-
gnati, riducendoli ulteriormente attraverso la loro privatizzazione. Nel la-
voro sul terreno ho preso in considerazione (tutti) gli interventi specifica-
mente preposti per i minori non accompagnati dallamministrazione pub-
blica e dal privato sociale. Ci al fine di testare gli effetti e le peculiarit
che il processo di categorizzazione produce nella definizione delle politi-
che locali sui minori stranieri e sui minori stessi (capitolo settimo).
Last but not least, ho effettuato interviste e colloqui pi informali con
esponenti delle forze dellordine, della magistratura, membri di associa-
zioni di volontariato, insegnanti delle scuole in cui si rileva unelevata pre-
senza di minori stranieri, dirigenti del comune afferenti ad altri settori che
tuttavia coprono un ruolo decisivo nelle politiche sui minori e dunque an-
che sui minori stranieri. Nei casi in cui non stato possibile svolgere los-
servazione partecipante ho direttamente proceduto alle interviste in
profondit. Sul piano nazionale, come ho gi anticipato, ho effettuato in-
terviste ai componenti del Comitato per minori stranieri per quanto ri-
guarda lanalisi istituzionale; nellambito delle organizzazioni del terzo
settore ho intervistato i membri delle principali Ong convenzionate per i
rimpatri dei minori nei paesi di origine, nonch una serie attori che circo-
lano intorno alla categoria del minore straniero (non accompagnato) e i
membri di alcune Ong che lavorano nel campo della promozione dei di-
ritti dellinfanzia e degli immigrati. Infine una piccola parte di interviste
stata rivolta agli utenti dei servizi nazionali nel tentativo di far emergere,
almeno in parte, laltra faccia della relazione. Nel complesso ho raccol-
to 65 interviste in profondit. A tutte queste persone e a tutti i loro enti di
appartenenza va il mio primo ringraziamento. Senza di loro questo lavoro
non sarebbe stato possibile. Tra questi un ringraziamento particolare va a
Elena Rozzi per i consigli, i materiali, gli spunti. Ma questo libro deve
22 IL MALE MINORE
molto anche a una lunga lista di persone che mi hanno sostenuto, ispirato,
aiutato, criticato, scoraggiato e di nuovo incoraggiato. In particolare Ales-
sandro Dal Lago ha supervisionato il mio dottorato fornendomi preziosi
stimoli per la ricerca, Salvatore Palidda ha discusso con me alcuni aspetti
del lavoro permettendomi di puntualizzare il quadro analitico, Livia Po-
modoro mi ha incoraggiato in un progetto non ortodosso sullo studio del-
la questione minorile, ho inoltre potuto approfittare dellaffetto e della
pazienza di molti amici che qui ringrazio collettivamente. Questo lavoro,
infine, ha preso forma grazie ai consigli di Enzo Colombo e gli insostitui-
bili spunti di Roberto Escobar. Ovviamente io sono lunica responsabile
degli eventuali errori qui contenuti, a tutti gli altri vanno attribuiti solo gli
aspetti positivi di questo lavoro.
INTRODUZIONE 23
CAPTDLD PF|D
LaboratorI del potere
l mInore: un mIto dIvIso tra tutela e controllo
Let giovanile, in tutte le sue sfaccettature, argomento spinoso che si
guadagnato un posto di primo rilievo nelle scienze umane
1
. Bench cia-
scuna delle fasi che la compongono (infanzia, adolescenza e giovinezza)
vanti unautonoma letteratura, sono molti i punti di contatto
2
. Se si voles-
se fare unanalisi di come questo periodo della vita stato analizzato dalle
scienze sociali, il risultato pi lampante sarebbe forse il suo marcato ca-
rattere di liminalit, che spinge a rivolgergli unattenzione ambigua e al
tempo stesso carica di attese
3
. Non , infatti, difficile imbattersi nelluso
metaforico del rapporto bambino-adulto-vecchio accostato alla storia
del genere umano
4
: una caratteristica frequente degli studi proposti sul-
let giovanile la distinzione fra let intesa come condizione sociale e
quella come prodotto culturale di un determinato periodo
5
. opinione
diffusa, pertanto, che sia sterile tracciare i contorni di una storia dellet
giovanile come categoria autonoma senza documentarne il suo carattere
di costruzione sociale
6
, di paradigma
7
.
Lanalisi delle retoriche e delle metafore che compongono e delineano
i paradigmi sulla fanciullezza serve soprattutto a mettere in luce il discorso
che ci si specchia dentro e il tipo di relazione che deriva da queste defini-
zioni, a comprenderne lorigine e infine a individuare i soggetti che da una
prospettiva di questo genere traggono il massimo vantaggio
8
. In questo
senso la storia della giovent, e pi in generale dellet giovanile, appare
come la storia di una classe pericolosa [...] nei confronti della quale,
senza sosta, la societ degli adulti tesse istituzioni rassicuranti che la pos-
sano trasformare in classe laboriosa
9
. Pur nella diversit degli studi a lo-
ro dedicati, linfanzia, ladolescenza e la giovinezza sembrano pro-
cedere secondo un percorso comune caratterizzato da almeno tre tappe: la
scoperta, la conoscenza e la mitizzazione
10
. Secondo alcuni autori, nel se-
condo Novecento si aggiunger un nuovo momento: quello del declino
11
.
Dalle varie ricostruzioni disponibili, emerge che a partire dal XV seco-
lo nascono due classi det (sulla scorta di queste tesi si parlato piuttosto
di una scoperta o di uninvenzione): prima quella dei bambini, e poi
quella dei giovani
12
. Larga parte degli studi storici sulla scoperta di unet
infantile pongono laccento, soprattutto inizialmente, sullesperienza che
di questa si fa allinterno della famiglia; ci ha comportato, come vedre-
mo, un generale disinteresse per quelle strutture politiche e sociali che
hanno giocato un ruolo non secondario in materia dinfanzia
13
. In estre-
ma sintesi un diverso atteggiamento verso linfanzia si sviluppa soprattut-
to nel corso del Seicento, tuttavia listituzionalizzazione della fanciullezza
si impone soprattutto a partire dal XVIII secolo. infatti da questo mo-
mento che prende le mosse una sorta di rivoluzione copernicana nella
teorizzazione della fanciullezza, sempre pi regolata da canoni e relegata
nelle pratiche di cura: questa nuova mentalit sviluppata prima sullinfan-
zia e in seguito sulla giovinezza trover inizialmente cittadinanza presso i
ceti aristocratici e alto-borghesi per allargarsi solo in un secondo momen-
to allintero spazio sociale. Il processo di riconoscimento dellinfanzia si
articola infatti in modo assai differente tra le classi sociali (alcuni parlano
di tre infanzie in relazione alla cultura borghese, operaia o contadina
14
);
diverse sono le immagini, le esperienze concrete e soprattutto i destini:
presso il popolo, infatti, le condizioni di vita dei bambini cambieranno
poco.
La scoperta sociale della fanciullezza ha dato vita, attraverso la sua
idealizzazione nel corso dellet moderna, a una ricca produzione che si
sviluppata tra mito e conoscenza. Questa, come ho anticipato, si caratte-
rizza per lambiguit attribuita allinfanzia proposta: ora come let sim-
bolo della purezza, di una conoscenza intuitiva comparabile a quella
delluomo di natura e superiore alla conoscenza razionale, ora come
let dellignoranza e dellinconsapevolezza, come lepoca che corrispon-
de a ci che nella storia primitivo, barbarico e feroce
15
.
Nel XIX secolo, con lavvento della societ industriale, il periodo di
moratoria sociale tipico della fase preindustriale viene distinto nei
confini e nei contenuti in sottoperiodi: allinfanzia si aggiunge ladole-
scenza ed entrambe vengono individuate, con tutti i loro regolamenti e
ideologie, come momenti preparatori alla fase adulta della vita, laddove
loriginario stadio indistinto della giovinezza diventa il culmine della ma-
turazione a cavallo con let adulta
16
. Alla fine dellOttocento la borghesia
introduce una diversa concezione della condizione giovanile che passa
dallessere pericolosa in s (aspetto che resta tipico dei giovani della clas-
se lavoratrice) allessere pericolosa per s. In sostanza la precocit di-
venta oggetto di preoccupazione e il prolungamento della condizione
giovanile, la condizione ideale per la formazione di un buon adulto
17
.
La necessit di creare le premesse per un buon adulto determina,
nel corso del Novecento, unerosione degli aspetti mitografici a favore di
una conoscenza, fondata su presupposti scientifici, di ogni aspetto dellin-
26 IL MALE MINORE
fanzia, nel tentativo di capirne la vera natura. In realt mito e conoscen-
za convivono crescendo quasi in parallelo e assumendo funzioni e pro-
spettive diverse: luna volta a preservare la legittimit di unet infantile,
laltra a fondarla. Gli studi scientifici si sviluppano lungo tutto il Nove-
cento, pronosticato non a caso da Ellen Key come il secolo del fanciullo:
ossia linizio di unepoca in cui let infantile avrebbe guadagnato un po-
sto centrale nelle ricerche, nelle cure e negli interessi educativi, sanitari e
sociali
18
. Nel complesso, queste trasformazioni producono uno slittamen-
to, o meglio unevoluzione, dallinteresse per le cure dovute ai bambini a
quello per i loro diritti fondamentali. Vengono, infatti, istituite associazio-
ni il cui scopo la promozione, in ogni parte del mondo, del riconosci-
mento di una specificit dei diritti del fanciullo, in ogni campo della vita
sociale: nascono movimenti come lUnicef, il Fondo internazionale delle
Nazioni Unite per linfanzia. Una pietra miliare di questo percorso la
promulgazione (nel 1924) della Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, in
cui il rispetto della tutela viene a investire i bisogni primari del bambino
(nutrizione, integrit fisica, cure) e quelli secondari (socializzazione, istru-
zione, assistenza). In tal modo si impone un atteggiamento sempre pi at-
tento alle esigenze dellinfanzia e alla sua difesa, che raggiunger il suo
culmine a met del secolo scorso. La socializzazione del bambino diventa
centrale nella vita della famiglia: la societ stessa diventa puerocentrica
19
. Alla base di questo nuovo orientamento scientifico e giuridico, si pone
lidea, sempre pi predominante, che ogni male delladulto possa trarre
origine da distorsioni del processo di crescita durante il periodo infantile
e adolescenziale.
La nuova rappresentazione del giovane che va progressivamente co-
struendo un suo percorso autonomo da quello dellinfanzia, sempre pi
relegata allinterno delle scienze pedagogiche , in quanto espressione
della classe borghese, inizialmente minoritaria ma si affermer nel cor-
so primo cinquantennio del 1900. Come sostiene Gillis, i tratti sostanzia-
li che stigmatizzavano una certa giovent come delinquente e precisa-
mente la precocit e lindipendenza dallautorit delladulto erano pro-
prio lopposto di quelli incorporati nel modello di adolescente
20
. Con lo
sviluppo della psicologia il modello borghese arriva a delineare sia il
confine esterno della condizione giovanile sia quello interno, giungendo a
definire un modello interiore. In questo modo la devianza dal modello di
giovane, come il concetto di devianza in generale, diventa una patolo-
gia e non riguarda pi un comportamento di fronte a leggi o consuetudi-
ni ma, soprattutto, devianza da un modello di evoluzione socio-psicolo-
gica
21
: tale modello trova ancoraggio soprattutto nelle teorie di Parsons e
di Merton. Let giovanile costitu in altri termini il banco di prova o il la-
boratorio su cui sperimentare lidea di normalit; allo stesso modo, il ri-
fiuto dei canoni prestabiliti fu utilizzato per istituire un confine tra
conformit e devianza.
Una conferma di questo aspetto si pu trovare anche nellinteresse
27 LABORATORI DEL POTERE
delle scienze sociali nei confronti delluniverso giovanile. Si tratta di una
riflessione e di una ricerca sviluppatasi in Europa e in America, anche se
con modalit diverse che, nel tentativo di dare un senso, di fornire
spiegazioni e di formulare teorie ha messo in sintonia un modello ideale
con le azioni dei diversi giovani della storia, promuovendo la loro pro-
gressiva trasformazione da oggetto, a spazio sociale, a paradigma scientifi-
co
22
. In estrema sintesi, mentre in Europa la produzione culturale relati-
va alla giovinezza si sviluppata soprattutto in ambito letterario, filosofi-
co e nel dibattito epistemologico allorigine delle scienze sociali, in Ame-
rica le scienze sociali, trasfigurando la turbolenza giovanile nelle citt
americane di fine secolo in problema , trasformeranno i giovani stes-
si in privilegiati oggetti di ricerca a partire dagli studiosi di Chicago
23
e
approderanno alla pi tardiva codificazione di una cultura giovanile come
produzione autonoma
24
.
Per concludere, lattenzione alla costruzione di una cultura giovani-
le (che sostituisce progressivamente il concetto di subcultura delinquen-
ziale, configurandosi tuttavia per antonomasia come problematica) ha co-
me conseguenza, da un lato, lallargamento del fronte dellanormalit e,
dallaltro, lo spostamento dellattenzione dalla carenza di risorse, possibi-
lit, e diritti alla supposta difficolt di crescita e sviluppo individuali.
Come ho gi detto, sia il concetto dinfanzia sia quello della giovinezza
seguono larco che va dalla loro scoperta, alla mitizzazione fino a trovare
un destino comune nella loro scomparsa
25
. Ci tuttavia non deve far pen-
sare che questi concetti abbiano perso la loro carica rappresentativa: sem-
plicemente diventa complesso circoscrivere in modo netto il periodo gio-
vanile che ormai sembra essersi dilatato, rompendo gli argini verso il bas-
so e verso lalto, per cui produce adolescenti sempre pi infantilizzati e
adulti sempre pi giovani
26
. I concetti dinfanzia e di giovinezza hanno
subito, nei fatti, unerosione a favore di quello pi generico di consuma-
tori, il pi a lungo possibile esclusi dai canali produttivi
27
.
Negli ultimi anni alle immagini che sono state descritte si sono aggiun-
te quella di uninfanzia abusata e sfruttata e di una giovent disorientata e
inquieta. Tali questioni non sono certo una novit: ci che tuttavia si sta
verificando in questi anni la drammatizzazione della condizione dei
bambini e degli adolescenti nel nostro Paese soprattutto nei resoconti di
importanti enti sorti per la loro protezione
28
. Si passati quindi, dalla sco-
perta dellinfanzia alla sua scomparsa, per arrivare alla vittimizzazione che
mette nuovamente il bambino al centro di nuove regole: questa spetta-
colarizzazione del dolore
29
funziona in sostanza come un rituale di de-
gradazione/deresponsabilizzazione. Se vero che le iniziative di denuncia
hanno indubbiamente il merito di rendere visibili i fenomeni di abuso e di
sfruttamento minorile, allo stesso tempo, tuttavia, esse spesso si limitano a
indagare le responsabilit della famiglia e dellambiente di riferimento o si
spostano al di l dei confini nazionali (con limmagine ormai globalizzata
del minore sofferente). Tali prospettive rischiano di lasciare nellombra le
28 IL MALE MINORE
sempre troppo trascurate responsabilit istituzionali, le influenze e i con-
dizionamenti che provengono in varie forme dal mercato del sociale nel
confinare i minori (anche se con le relative gradazioni) in una condizione
di dipendenza, conseguenza quanto mai inevitabile di un disagio trop-
po facilmente diagnosticato.
Vale dunque la pena di dedicare ancora un approfondimento alla ge-
nealogia dei dispositivi di socializzazione, tutela e controllo del minore,
concentrando lattenzione sul ruolo, non di rado tuttaltro che positivo e
spesso trascurato, assunto dagli apparati istituzionali, dai saperi e dallu-
niverso di professioni che sono nati in relazione a questi temi. Ci ci aiu-
ter a comprendere il successo delle tecnologie positive del potere
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