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La Legge di delegazione europea 2019-2020, legge 22 aprile 2021, n. 53, all’Art.

15,
demandava ad uno o più decreti legislativi di “prevedere il sistema di finanziamento del
governo dei dispositivi medici attraverso il versamento da parte delle aziende che producono
o commercializzano dispositivi medici di una quota non superiore allo 0,75 per cento del
fatturato, al netto dell'imposta sul valore aggiunto, derivante dalla vendita al Servizio sanitario
nazionale dei dispositivi medici e delle grandi apparecchiature”.
In attuazione della legge di delegazione europea, il Governo ha adottato due decreti
legislativi:
(i) il d.lvo 5 agosto 2022 n. 137, riferito ai dispositivi medici;
(ii) il d.lvo 5 agosto 2022 n. 138, riferito ai dispositivi medico-diagnostici in vitro. i quali,
per quanto qui di interesse, si limitano a
- individuare nel Ministero della Salute anche attraverso AGENAS l’autorità
competente a registrare i DM e vigilare su di essi
- istituire un “fondo per il governo dei dispositivi medici alimentato, ai sensi
dell'articolo 15, comma 2, lettera h), della legge 22 aprile2021, n. 53, da una quota annuale
pari allo 0,75 per cento del fatturato, al netto dell'imposta sul valore aggiunto, derivante dalla
vendita al SSN dei dispositivi medici e delle grandi apparecchiature da parte delle aziende che
producono o commercializzano dispositivi medici”
- rinviare ad un successivo decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze, la definizione dei “criteri e le modalità per il versamento delle
quote annuali, per il monitoraggio, nonché per la gestione del fondo di cui al comma 1”.
- prevedere l’istituzione di un osservatorio nazionale dei prezzi dei DM.
Il 9 febbraio scorso è stato pubblicato in GURI il decreto del Ministero della Salute del 29
dicembre 2023, avente per oggetto la definizione dei “Criteri e modalità per il versamento
delle quote annuali, per il monitoraggio, nonché per la gestione del Fondo per il governo dei
dispositivi medici” (di seguito “Decreto”).
Tale Decreto, come anticipato, è stato adottato il 29 dicembre 2023 e pubblicato il 9 febbraio
2024 e prevede che,
a) “a partire dall'anno in corso, dal 1° novembre al 31 dicembre di ogni anno”, le aziende
produttrici o distributrici di dispositivi medici e delle grandi apparecchiature e dispositivi
medico- diagnostici in vitro debbano versare la quota dello 0,75% del valore del fatturato (art.
2, comma 1)
b) entro il 31 dicembre di ogni anno, gli stessi soggetti devono trasmettere al Ministero
della Salute – Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico – una
dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del D.P.R. n. 445/2000 con i seguenti contenuti:
- l’indicazione del valore del fatturato – al netto dell’IVA – derivante dalla vendita al
Servizio Sanitario Nazionale dei dispositivi medici, dei dispositivi medico-diagnostici in vitro
e delle grandi apparecchiature;
- l’importo della quota annuale dello 0,75% del proprio fatturato;
- l’attestazione del versamento della quota.
Quanto, poi, alla destinazione delle risorse, il Decreto prevede che le somme versate dalle
aziende saranno ripartite e destinate come segue:
- per un terzo, all’AGENAS per il finanziamento delle attività del programma nazionale
di valutazione HTA – “Health Technology Assessment” – dei dispositivi medici (articolo 3,
comma 1);
- per massimo un terzo, alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, a
seguito di accordo stipulato in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, da destinare a molteplici attività, tra cui
(i) vigilanza e sorveglianza del mercato, (ii) gestione banche dati, (iii) attività connesse al
tracciamento dei dispositivi medici, (iv) indagini cliniche, (v) attività connesse
all’Osservatorio nazionale dei prezzi dei dispositivi medici (articolo 3, comma 2);
- per un trentesimo, alla Direzione generale di sistemi informativi e della statistica, per
l’implementazione e la gestione dei sistemi informatici necessari al governo dei dispositivi
medici (articolo 4, comma 1);
- per un cinquantesimo, all’AGENAS per la definizione delle linee guida per assicurare
la raccolta, la conservazione, la consultazione e l’interscambio di dati sanitari che implichino
l’impiego di dispositivi medici (articolo 4, comma 2);
- per la parte restante, alla Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio
farmaceutico per le attività concernenti il governo dei dispositivi medici, quali (i) la gestione e
il funzionamento dell’Osservatorio nazionale dei prezzi, (ii) il Servizio di vigilanza e il
Servizio di sorveglianza del mercato (articolo 5).
***
Si tratta, a nostro avviso, di una misura che, pur avendo un impatto economico sensibilmente
inferiore a quello del payback, presenta anch’essa profili di dubbia costituzionalità e di
contrasto con la normativa eurounitaria di cui costituisce attuazione.
In particolare, all’esito di una preliminare disamina del richiamato d.m. del 29 dicembre 2023,
riteniamo che esso possa essere contestato in sede giurisdizionale per i seguenti motivi:
1. Illegittimità della normativa statale per contrasto con il Regolamento (UE) 2017/745
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2017, relativo ai dispositivi medici, con
particolare riferimento all’art. 111 del Regolamento in questione, che prevede la “possibilità
che gli Stati membri riscuotano tariffe per le attività stabilite nel presente regolamento, purché
l'entità delle tariffe sia stabilita in maniera trasparente e sulla base dei principi del recupero
dei costi”.
Il sistema di finanziamento del governo dei dispositivi medici attraverso la creazione di un
Fondo alimentato da una quota a carico delle aziende del settore, previsto dall’art. 15, comma
2 lett. h della legge 53/2021 e dall’art. 28 d.lvo 137/2022, si pone in contrasto con il
Regolamento UE 2017/45 nella parte in cui esso prevede che i costi per le attività ivi
contemplate debbano essere recuperati esclusivamente tramite la riscossione di tariffe, e non
anche attraverso una contribuzione richiesta alle sole aziende che vendono al SSN;
contribuzione che, sotto tale profilo, appare essere una duplicazione della previsione tariffaria
contenuta all’art. 30 dello stesso d.lvo n. 137/2022. Inoltre, il Regolamento è chiaro nello
stabilire la doverosa applicabilità dei principi di trasparenza e di recupero dei costi, principi
che la normativa nazionale non sembra rispettare, in quanto non è affatto chiaro né quali siano
i costi delle attività cui sarebbe destinato il Fondo né, tanto meno, se quella posta a carico
delle aziende sia una “contribuzione” vera e propria ovvero se il Fondo stesso sia interamente
a carico delle aziende medesime, senza oneri per il Governo.
2. Illegittimità della normativa statale per contrasto con gli artt. 3, 10 e 81 TFUE, in
quanto l’istituzione del Fondo e la sua alimentazione attraverso un contributo a carico delle
aziende del settore è una misura che va a colpire solo le imprese italiane, peraltro solo
operanti nel segmento delle forniture pubbliche, con conseguente compromissione delle
regole della concorrenza sia con le altre imprese nazionali che riforniscono soggetti privati,
sia con le imprese straniere.
3. Illegittimità costituzionale della normativa nazionale per contrasto con l’art. 41 della
Costituzione, in quanto il sistema delineato appare, nel suo complesso, irragionevole, dal
momento che, gravando le imprese di un ulteriore contributo (che, ricordiamo, non sostituisce
ma si aggiunge al payback), comprime l’attività imprenditoriale attraverso prescrizioni
eccessive, senza considerare che il settore di riferimento è costituito da imprese che hanno
partecipato a gare pubbliche, ove vige un criterio di sostenibilità dell’offerta in base al quale i
ribassi proposti devono risultare sostenibili in termini di margine di guadagno.
4. Illegittimità costituzionale della normativa nazionale per contrasto con l’art. 23 della
Costituzione,
in quanto, al pari del payback, il prelievo economico disposto sul fatturato delle
aziendefornitrici può essere inquadrato nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per
legge senza la volontà della persona destinataria, di cui all’art. 23 Cost.
La normativa nazionale si pone in contrasto con tale disposizione sia perché fa riferimento al
fatturato e non al margine di utile, colpendo in questo modo l’intero reddito dell’impresa; sia
perché prevede un sistema di contribuzione destinato ad operare a regime, senza alcun limite
temporale e senza che il legislatore abbia provveduto a corredarlo di strumenti finalizzati a
verificare il perdurare della necessità della contribuzione da parte delle aziende, determinando
conseguentemente un’imposizione strutturale, da applicarsi senza limiti di tempo.
Inoltre, almeno per quanto riguarda il primo anno, la misura va ad incidere retroattivamente,
senza che gli operatori abbiano potuto fare gli opportuni accantonamenti e, soprattutto,
abbiano potuto tenerne conto nel formulare l’offerta economica da presentare in gara e nel
conseguente calcolo del margine di utile.

5. Illegittimità costituzionale della normativa nazionale per contrasto con l’art. 3 della
Costituzione, nella parte in cui prevede l’obbligo di versamento della quota solo sul fatturato
“derivante dalla vendita al SSN dei dispositivi medici e delle grandi apparecchiature” e non
anche
i) sul fatturato derivante dai noleggi e/o da altre forme di cessione diverse della vendita,
creando in tal modo una illogica ed ingiustificata disparità di trattamento tra le aziende
operanti all’interno dello stesso settore; ii) sul fatturato derivante dalle vendite al privato dei
medesimi beni. Se la finalità della misura è la compartecipazione delle imprese alle funzioni
di governo dei DM, allora si dovrebbero chiamare a contribuzione anche le imprese che
cedono quei medesimi beni al privato, risultando altrimenti una ulteriore forma di disparità di
trattamento a discapito di chi rifornisce il pubblico.
6. Illegittimità costituzionale della normativa nazionale, con particolare riferimento ai
decreti delegati, per contrasto, sotto altro profilo, con l’art. 3 della Costituzione.
A fronte della previsione, nella legge delega, del versamento pari ad una “quota non superiore
allo 0,75 per cento del fatturato”, i decreti legislativi delegati hanno fissato la “quota annuale
pari allo 0,75 per cento del fatturato”, vale a dire nella misura massima disponibile, in palese
contrasto con il principio di ragionevolezza, che costituisce un naturale corollario del
principio di uguaglianza, ed esige che le norme dell'ordinamento siano adeguate al fine
perseguito.
7. Illegittimità costituzionale della normativa nazionale per contrasto con l’art. 32 della
Costituzione, in quanto aver posto a carico delle imprese un ulteriore contributo (che, ripetesi,
non sostituisce ma si aggiunge al payback) si risolve in un danno per lo stesso sistema
sanitario, perché alternativamente le imprese alzeranno i prezzi o si sottrarranno
volontariamente alle forniture pubbliche, preferendo quale stake holder il solo comparto
privato; e ciò anche in danno dei cittadini meno abbienti che alle cure private non possono
accedere, e, quindi, con lesione del principio costituzionale della parità di accesso alle cure di
tutti coloro che sono presenti sul territorio italiano.

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