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1.

Legislazione in materia portuale (Legge 84/94 “Riordino della legislazione in materia portuale” e
s.m.i.), regolamentazione attuativa e rilevanti indirizzi ministeriali in materia di demanio,
amministrazione e lavoro portuale;
2. Elementi di Diritto della Navigazione e Diritto Civile, ed in particolare i beni pubblici, il Demanio
Marittimo, le concessioni demaniali marittime e le occupazioni abusive, procedimenti di delimitazione
e ampliamento;
3. Normativa sui lavori pubblici, con particolare riferimento al Codice dei Contratti Pubblici (D.lgs. 18
aprile 2016, n.50 e s.m.i);
4. Elementi di diritto amministrativo, in particolare il procedimento amministrativo (Legge 241/1990);
normativa in materia di prevenzione della corruzione (Legge 190/2012); normativa in materia di
trasparenza da parte delle P.A. (Legge 33/2013);
5. Contabilità pubblica, con particolare riferimento all’ordinamento finanziario e contabile delle
Autorità di Sistema Portuale ed al Regolamento di Amministrazione e Contabilità dell’Autorità
Portuale di Ravenna (ora AdSP), fatturazione elettronica nei rapporti con la PA, verifiche e
tracciabilità dei flussi finanziari, scissione dei pagamenti (split payment);
7. Capacità di esame e soluzione di uno o più casi pratici tendenti a verificare la professionalità
posseduta e la capacità di ragionamento;
8. Competenze in tema di problem solving, iniziativa, integrazione, approccio comunicativo.

Fatturazione elettronica nei confronti della PA

PREMESSA

Dal 31.3.2015 diviene generalizzato l’obbligo di fatturazione elettronica delle operazioni effettuate
nei confronti della Pubblica Amministrazione e il conseguente divieto, per quest’ultima, di procedere
al pagamento delle fatture emesse in formato cartaceo.

Quadro normativo di riferimento

La disciplina del suddetto obbligo è rinvenibile nei seguenti provvedimenti:

• l’art. 1 co. 209 - 214 della L. 24.12.2007 n. 244 e successive modifiche, di istituzione dell’ob-
bligo;
• il DM 7.3.2008, che ha istituito il Sistema di Interscambio (SDI), demandato alla trasmissione e
alla ricezione delle fatture dirette alla Pubblica Amministrazione;
• il DM 3.4.2013 n. 55, il quale ha definito le regole tecniche di operatività dell’obbligo e ne ha
individuato la decorrenza, distinguendo per classi di Pubbliche Amministrazioni;
• il DL 24.4.2014 n. 66, conv. L. 23.6.2014 n. 89, che ha anticipato l’avvio dell’obbligo genera-
lizzato di fatturazione elettronica nei confronti della Pubblica Amministrazione e ha ampliato il
contenuto necessario della fattura elettronica.

Rilevano altresì le nuove regole di assolvimento degli obblighi fiscali relativi ai documenti informatici
ed alla loro riproduzione su diversi tipi di supporto, recate dal DM 17.6.2014 (pubblicato sulla G.U.
26.6.2014 n. 146), il quale ha abrogato, dal 27.6.2014 (data della relativa entrata in vigore), il DM
23.1.2004.

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2 SOGGETTI INTERESSATI

2.1 FORNITORI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

La fatturazione elettronica opera, in via obbligatoria, con riferimento a tutte le cessioni di beni e
prestazioni di servizi effettuate nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni.

Soggetti non residenti

Secondo quanto stabilito in via transitoria dall’art. 6 co. 4 del DM 3.4.2013 n. 55, sono attualmente
escluse dall’ambito applicativo della disciplina in esame le fatture emesse da soggetti non residenti
in Italia. Le modalità di applicazione a tali fatture degli obblighi stabiliti dalla citata L. 244/2007
saranno determinate da un successivo DM.

2.2 PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI INTERESSATE

Come sottolineato dalla circ. Min. Economia e Finanze 9.3.2015 n. 1, l’ambito di applicazione
soggettivo dell’obbligo in parola si ricava dall’unione dei soggetti indicati nelle seguenti disposizioni,
seppur le stesse presentino ampie aree di sovrapposizione:

• art. 1 co. 2 del DLgs. 30.3.2001 n. 165;


• art. 1 co. 2 della L. 31.12.2009 n. 196;
• art. 1 co. 209 della L. 24.12.2007 n. 244.

Ne deriva che le Amministrazioni Pubbliche destinatarie della fatturazione elettronica sono:

• le Amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le
istituzioni educative, le aziende ed Amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo;
• le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni;
• le istituzioni universitarie;
• gli Istituti autonomi case popolari;
• le Camere di commercio e loro associazioni;
• gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali;
• le amministrazioni, aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale;
• l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN);
• le Agenzie fiscali (Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e Agenzia del
Demanio);
• il CONI;
• le Autorità indipendenti (es. Autorità garante della concorrenza e del mercato, Autorità per
l’energia elettrica e il gas, Garante per la protezione dei dati personali);
• le amministrazioni autonome;
• gli altri enti e soggetti indicati nell’elenco pubblicato dall’ISTAT, entro il 30 settembre, in base
alla ricognizione operata annualmente (da ultimo, si veda l’elenco pubblicato
sulla G.U. 10.9.2014 n. 210, come modificato dal comunicato di rettifica pubblicato
sulla G.U. 28.10.2014 n. 251).

Ordini professionali

Con l’informativa 11.2.2015 n. 5, il CNDCEC ha precisato che, a partire dal 31.3.2015, l’obbligo di
fatturazione elettronica opera anche per i servizi e le prestazioni erogate nei confronti degli Ordini

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professionali. In un primo momento, il CNDCEC (informativa 2.10.2014 n. 19) aveva escluso gli
Ordini profes- sionali dal novero dei soggetti destinatari della normativa di cui all’art. 1 co. 209 - 214
della L. 244/2007, “in considerazione della loro peculiare natura di enti pubblici associativi e della
non applicabilità nei loro confronti delle disposizioni in materia di finanza pubblica”.

Successivamente, però, il Ministero dell’Economia (nota 27.10.2014 n. 1858/DF), interrogato sulla


questione dalla Federazione degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, ha chiarito che l’obbligo
di fatturazione elettronica deve considerarsi esteso a tutte le amministrazioni di cui all’art. 1 co. 2 del
DLgs. 165/2001 e, di conseguenza, a “tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e
locali”.

Con l’informativa 5/2015, il Consiglio nazionale riporta il diverso orientamento del MEF e fornisce
agli Ordini le istruzioni operative per compiere le attività propedeutiche all’attivazione del sistema di
trasmissione elettronica dei dati.

3 OBBLIGO DI FATTURAZIONE ELETTRONICA VERSO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

I contribuenti che effettuano cessioni di beni e prestazioni di servizi in favore delle suddette
Pubbliche Amministrazioni sono obbligati ad emettere le relative fatture:

• secondo la disciplina propria delle fatture elettroniche (DLgs. 20.2.2004 n. 52 e DLgs. 7.3.2005
n. 82);
• a partire dalle previste decorrenze.

3.1 DECORRENZA DELL’OBBLIGO

Le date di decorrenza dell’obbligo di fatturazione elettronica sono state così individuate:

• 6.6.2014, in relazione ai Ministeri, alle Agenzie fiscali e agli Enti nazionali di previdenza e
assistenza sociale, e alle relative unità periferiche (art. 6 co. 2 del DM 3.4.2013 n. 55);
• 31.3.2015, per tutte le altre Amministrazioni centrali diverse dalle precedenti, e le Ammini-
strazioni locali (art. 25 co. 1 del DL 24.4.2014 n. 66, conv. L. 23.6.2014 n. 89).

Fase sperimentale

Si ricorda che, a partire dal 6.12.2013, il Sistema di Interscambio è stato reso disponibile alle Am-
ministrazioni Pubbliche che, volontariamente e sulla base di specifici accordi con tutti i propri forni-
tori, intendessero avvalersene per la ricezione delle fatture elettroniche (art. 6 co. 1 del DM 55/2013).

3.2 INDIVIDUAZIONE DELLA DATA DI ATTIVAZIONE DEL SERVIZIO

Per ogni ufficio destinatario di fatturazione elettronica, è pubblicata:

• la data a partire dalla quale il servizio di fatturazione elettronica è attivo;


• nell’Indice delle Pubbliche Amministrazioni (IPA), consultabile al sito www.indicepa.gov.it.

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4 DIVIETO DI PAGAMENTO IN ASSENZA DI FATTURA ELETTRONICA

Con l’entrata in vigore dell’obbligo di fatturazione elettronica, le Pubbliche Amministrazioni


interessate non possono procedere al pagamento delle fatture trasmesse in forma cartacea (art. 1
co. 210 della L. 244/2007).

4.1 FATTURE CARTACEE EMESSE PRIMA DELLA DECORRENZA DELL’OBBLIGO

L’art. 6 co. 6 del DM 3.4.2013 n. 55 prevede che, trascorsi tre mesi dalla data di decorrenza
dell’obbligo di fatturazione elettronica, le Pubbliche Amministrazioni non possono procedere ad
alcun pagamento, nemmeno parziale, sino all’invio delle fatture in formato elettronico.
Anche con riferimento alla decorrenza del 31.3.2015 dovrebbe valere il periodo di transizione,
previsto dalla circ. Min. Economia e Finanze e Presidenza del Consiglio dei Ministri 31.3.2014 n. 1
(§ 4), di tre mesi decorrenti dal 31.3.2015 per le Amministrazioni locali e le amministrazioni centrali
non interessate dalla decorrenza del 6.6.2014, durante il quale:

• i fornitori non possono più emettere fatture in forma cartacea;


• le Pubbliche Amministrazioni possono invece accettare e pagare fatture emesse in forma
cartacea, prima della data di decorrenza dell’obbligo di fattura elettronica, in considerazione
del fatto che:

- il momento di ricezione della fattura cartacea è normalmente successivo a quello di emissione;

- una volta ricevuta la fattura, all’interno della Pubblica Amministrazione committente si instaura
una procedura amministrativa volta alla verifica di quanto esposto in fattura, e solo se la verifica si
conclude positivamente l’Amministrazione procede al paga- mento (sono comunque fatte salve le
disposizioni vigenti in materia di termini di paga- mento delle fatture).

Pertanto, ove, allo scadere del termine del 30.6.2015 (tre mesi successivi al 31.3.2015), una
Pubblica Amministrazione centrale (diversa da Ministeri, Agenzie fiscali ed Enti nazionali di
previdenza e assistenza sociale) o locale stesse ancora processando una fattura emessa in forma
cartacea prima del 31.3.2015, l’Amministrazione dovrà portare a termine il relativo procedimento e,
ove sussistano tutte le altre condizioni, procedere al pagamento.

A titolo esemplificativo, posto che, ai sensi dell’art. 21 co. 1 del DPR 633/72, una fattura cartacea
spedita fino al 30.3.2015 deve considerarsi correttamente “emessa”, l’Amministrazione destinataria
è tenuta al relativo pagamento; in tali casi, la procedura di liquidazione e pagamento da parte della
Pubblica Amministrazione può quindi proseguire anche dopo il 30.6.2015, senza che il fornitore sia
obbligato a riemettere la fattura in modalità elettronica.

4.2 FATTURE CARTACEE EMESSE DOPO LA DECORRENZA DELL’OBBLIGO

È, invece, da escludere la possibilità, per le Pubbliche Amministrazioni, di accettare fatture in forma


cartacea emesse successivamente allo scadere dei medesimi termini di decorrenza. Ciò vale anche
con riferimento alle note di variazione volte a rettificare una fattura cartacea emessa prima del
31.3.2015, ma contestata dall’ente destinatario.

5 CARATTERISTICHE DELLA FATTURA ELETTRONICA

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Le fatture elettroniche:

• devono contenere i dati e le informazioni previsti;


• tali dati devono essere rappresentati in un file in formato XML (eXtensible Markup Language),
non contenente macroistruzioni o codici eseguibili tali da attivare funzionalità che possano
modificare gli atti, i fatti o i dati nello stesso rappresentati.

5.1 FIRMA ELETTRONICA

Il documento deve essere sottoscritto con firma elettronica qualificata o digitale, secondo la
normativa, anche tecnica, vigente in materia.

5.2 CONTENUTO INFORMATIVO

La fattura elettronica deve riportare ulteriori informazioni, ad integrazione del contenuto di natura
fiscale previsto dagli artt. 21 e 21-bis del DPR 633/72:

• indispensabili ai fini di una corretta trasmissione della fattura elettronica al soggetto


destinatario, attraverso il Sistema di Interscambio (SDI);
• utili per la completa dematerializzazione del processo di ciclo passivo attraverso l’integra- zione
della fattura con i sistemi gestionali e/o con i sistemi di pagamento (si tratta, ad esempio, dei
dati relativi all’ordine di acquisto, al contratto, nonché alla ricezione dei beni/servizi);
• che possono risultare di interesse per esigenze informative concordate tra cliente e fornitore
ovvero specifiche dell’emittente, con riferimento a particolari tipologie di beni ceduti/prestati,
ovvero di utilità per il colloquio tra le parti (si tratta, ad esempio, dei contatti del trasmittente,
nonché di ulteriori dati anagrafici del cedente o prestatore, quali il codice fiscale o l’iscrizione
ad un Albo professionale).

5.2.1 Codice identificativo dell’Ufficio destinatario della fattura elettronica

Ai sensi dell’art. 3 co. 2 del DM 3.4.2013 n. 55, tra gli elementi essenziali che devono essere
obbligatoriamente riportati nella fattura elettronica, valorizzando il “CodiceDestinatario” presente nel
relativo tracciato, figura il codice univoco assegnato dall’Indice delle Pubbliche
Amministrazioni (IPA).
A tal fine, l’art. 3 co. 1 del DM 55/2013 impone alle Pubbliche Amministrazioni destinatarie di
individuare i propri uffici deputati alla ricezione delle fatture elettroniche da parte del Sistema di In-
terscambio, mediante l’inserimento della relativa anagrafica nell’IPA, il quale provvede ad asse-
gnare un codice univoco a ciascuno degli uffici e a renderlo pubblico tramite il proprio
sito www.indicepa.gov.it.

Termine per il caricamento nell’IPA delle anagrafiche degli Uffici destinatari delle fatture

Le Pubbliche Amministrazioni destinatarie devono completare il caricamento nell’IPA dell’anagrafica


dei propri uffici, deputati alla ricezione delle fatture elettroniche, entro tre mesi prima della data di
decorrenza degli obblighi di fatturazione elettronica (art. 6 co. 5 del DM 55/2013 e circ. Min.
5
Economia e Finanze e Presidenza del Consiglio dei Ministri 31.3.2014 n. 1, § 2). Pertanto, stante
l’anticipo al 31.3.2015 dell’obbligo generalizzato di fatturazione elettronica, nei confronti delle
Amministrazioni centrali (diverse dai Ministeri, dalle Agenzie fiscali e dagli Enti nazionali di
previdenza e assistenza sociale) e delle altre Amministrazioni interessate, il predetto termine di
caricamento è scaduto il 31.12.2014.

Comunicazione del codice Ufficio ai fornitori

Ciascuna Pubblica Amministrazione, una volta ottenuti dall’IPA i codici ufficio di destinazione delle
fatture elettroniche, è tenuta a darne comunicazione ai fornitori, unitamente alla relativa associazione
con i contratti vigenti, ai fini della loro indicazione in sede di emissione delle fatture elettroniche da
inviare al Sistema di Interscambio.

Aggiornamento periodico

Le Amministrazioni Pubbliche curano l’aggiornamento periodico dei propri Uffici nell’IPA.

5.2.2 Codice identificativo di Gara (CIG) e Codice unico di Progetto (CUP)

L’art. 25 co. 2 del DL 24.4.2014 n. 66, conv. L. 23.6.2014 n. 89, ha ampliato il contenuto informativo
della generalità delle fatture elettroniche verso la Pubblica Amministrazione, incluse quelle il cui
obbligo di trasmissione decorre dal 6.6.2014. In particolare, le fatture elettroniche emesse verso la
Pubblica Amministrazione devono riportare:

• il Codice identificativo di Gara (CIG), ovvero il codice attribuito dall’Autorità di vigilanza sui
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Autorità soppressa dal 25.6.2014 e le cui funzioni
sono confluite nell’Autorità nazionale anticorruzione), su richiesta della stazione appaltante,
salvi i casi di esclusione;
• il Codice unico di Progetto (CUP), in caso di fatture relative a opere pubbliche, interventi di
manutenzione straordinaria, interventi finanziati da contributi comunitari e negli altri casi previsti
dall’art. 11 della L. 16.1.2003 n. 3.

Casi di esclusione dall’obbligo di indicazione del CIG

Il Codice identificativo di Gara (CIG) non deve essere indicato nei casi di:

• esclusione dall’indicazione dello stesso nelle transazioni finanziarie, così come previsto dalla
determinazione dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture
7.7.2011 n. 4;
• esclusione dall’obbligo di tracciabilità di cui alla L. 13.8.2010 n. 136, previsti dalla Tabella 1
allegata al DL 66/2014 convertito (soggetta ad aggiornamento periodico), vale a dire:
• acquisto o locazione di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali
beni;
• servizi d’arbitrato e di conciliazione;
• servizi finanziari forniti dalla Banca d’Italia;
• contratti di lavoro;
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• appalti pubblici di servizi aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente
aggiudicatore ad un’altra amministrazione aggiudicatrice o ad un’associazione o consorzio di
amministrazioni aggiudicatrici, in base ad un diritto esclusivo di cui esse beneficiano in virtù di
disposizioni legislative, regolamentari o amministrative pubbli- cate, purché tali disposizioni
siano compatibili con il Trattato sul funzionamento del- l’Unione europea;
• appalti aggiudicati per l’acquisto di acqua e per la fornitura di energia o di combustibili destinati
alla produzione di energia;
• sponsorizzazione pura, ovvero ogni contributo, anche in beni o servizi, erogato con lo scopo di
promuovere il nome, il marchio, l’immagine, l’attività o il prodotto del soggetto erogante;
• prestazioni socio sanitarie e di ricovero, di specialistica ambulatoriale e diagnostica strumentale
erogate dai soggetti privati in regime di accreditamento, senza svolgi- mento di procedura di
gara;
• scelta del socio privato in società miste il cui apporto è limitato al solo finanziamento.

Inserimento del CIG e del CUP nei contratti di appalto

In base all’art. 25 co. 2-bis del DL 66/2014 convertito, i codici CIG e CUP devono essere inseriti, a
cura della stazione appaltante, nei contratti di appalto, nell’ambito della clausola prevista all’art. 3
co. 8 della L. 13.8.2010 n. 136, con la quale le parti assumono gli obblighi di tracciabilità dei flussi
finanziari. Tale clausola deve riportare, inoltre, il riferimento esplicito agli obblighi delle parti derivanti
dall’applicazione della stessa norma.

Mancata indicazione del CIG e del CUP nelle fatture elettroniche

In mancanza dell’indicazione dei predetti codici CIG e CUP nelle fatture elettroniche, ove richiesti, è
fatto divieto alle Pubbliche Amministrazioni di procedere al relativo pagamento (art. 25 co. 3 del DL
66/2014 convertito).

5.2.3 Assolvimento dell’eventuale imposta di bollo

Ai sensi dell’art. 6 del DM 17.6.2014, le fatture elettroniche per le quali è obbligatorio l’assolvi- mento
dell’imposta di bollo devono riportare una specifica annotazione di assolvimento dell’imposta ai sensi
del DM 17.6.2014 in esame.

In particolare, secondo quanto illustrato nelle specifiche tecniche, nei suddetti casi, vanno valo-
rizzati i seguenti campi:

• “BolloVirtuale”, il quale indica l’assolvimento dell’imposta di bollo ai sensi del DM 17.6.2014 (il
valore ammesso è SI);
• “ImportoBollo”, il quale indica l’importo dell’imposta di bollo.

Come stabilito dall’art. 6 del DM 17.6.2014, infatti, l’assolvimento dell’imposta di bollo sui docu- menti
informatici fiscalmente rilevanti deve avvenire:

• mediante versamento con il modello F24, da presentare con modalità esclusivamente


telematiche;
• in un’unica soluzione entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio (quindi, per i soggetti “solari”,
entro il 30 aprile dell’anno successivo, ovvero il 29 aprile in caso di anni bisestili).

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Al fine di effettuare il predetto versamento, la ris. Agenzia delle Entrate 2.12.2014 n. 106 ha istituito
il codice tributo “2501”, denominato “Imposta di bollo su libri, registri ed altri documenti rilevanti ai
fini tributari - articolo 6 del decreto 17 giugno 2014”. Nel modello F24, il suddetto codice è esposto
nella sezione “Erario” in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a debito
versati”, con l’indicazione, nel campo “anno di riferimento”, dell’anno d’imposta per cui si effettua il
versamento, nel formato “AAAA”.

5.2.4 Annotazione “scissione dei pagamenti”

A norma dell’art. 2 del DM 23.1.2015 (pubblicato sulla G.U. 3.2.2015 n. 27), i soggetti passivi che
effettuano operazioni con il meccanismo dello “split payment” sono tenuti ad emettere fattura con
esposizione dell’IVA, recante l’annotazione “scissione dei pagamenti”. Per consentire l’assolvimento
dell’obbligo di emissione delle fatture in applicazione del regime di “split payment”, il formato della
fattura elettronica verso la Pubblica Amministrazione è stato adeguato (versione 1.1 disponibile sul
sito www.fatturapa.gov.it). Nello specifico, nel blocco informativo “DatiRiepilogo”, tra i valori
ammissibili per il campo “Esigi- bilitaIVA” è stato aggiunto il valore “S” (scissione dei pagamenti).

6 TRASMISSIONE DELLE FATTURE ELETTRONICHE

La L. 244/2007, istitutiva dell’obbligo, prevede che le fatture elettroniche siano veicolate tramite il
Sistema di Interscambio (SID):

• gestito dall’Agenzia delle Entrate, la quale si avvale della SOGEI (Società generale di
informatica Spa);
• quale punto di passaggio obbligato di tutte le fatture dirette alla
Pubblica Amministrazione;
• tramite il quale i fornitori delle Pubbliche Amministrazioni sono quindi tenuti a inviare le proprie
fatture.

All’atto della ricezione di una fattura elettronica e una volta superati i controlli previsti per la fattura
stessa, il SDI provvede ad inoltrarla al competente ufficio dell’Amministrazione committente,
identificato tramite il codice univoco riportato nella fattura medesima. In funzione dell’esito di tale
inoltro, il SDI rilascia al soggetto che ha inviato la fattura:

• una ricevuta di consegna, in caso di esito positivo;


• una notifica di mancata consegna, in caso di esito negativo.

6.1 MODALITÀ TECNICHE DI TRASMISSIONE DELLE FATTURE

La trasmissione della fattura al SDI e da questi all’Amministrazione destinataria avviene attraverso


l’utilizzo di uno dei seguenti canali:

• un sistema di posta elettronica certificata (PEC) o un analogo sistema di posta elettronica


basato su tecnologie che certifichino data e ora dell’invio e della ricezione delle comunicazioni,
nonché l’integrità del contenuto delle stesse;
• un sistema di trasmissione per via telematica attraverso il sito del Sistema di Interscambio
(www.fatturapa.gov.it); per accedervi è necessario essere in possesso dell’abilitazione Entratel
o Fisconline o essere provvisti di Carta Nazionale dei Servizi (CNS) precedentemente abilitata
ai servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate;

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• un sistema di cooperazione applicativa, su rete Internet, con servizio esposto tramite web
service (SDICoop); per usufruire di questo canale di trasmissione è necessario accreditarsi
presso il Sistema di Interscambio;
• un sistema di cooperazione applicativa (web service) tramite il Sistema Pubblico di Connettività
(SPCoop); per usufruire di questo canale di trasmissione è necessario accreditarsi presso il
Sistema di Interscambio;
• un sistema di trasmissione dati tra terminali remoti basato sul protocollo FTP (SDIFtp); per
usufruire di questo canale di trasmissione è necessario accreditarsi presso il Sistema di
Interscambio; l’utilizzo di tale modalità presuppone una rilevante struttura a supporto delle
attività informatiche.

L’invio delle fatture può essere effettuato direttamente dal fornitore o tramite intermediari; analo-
gamente, le Pubbliche Amministrazioni destinatarie possono ricevere direttamente le fatture, oppure
avvalersi di intermediari.

6.2 PROCEDURA DI GESTIONE DELLE RICEVUTE E DELLE NOTIFICHE

Il SDI attesta l’avvenuto svolgimento delle fasi principali del processo di trasmissione delle fatture
elettroniche attraverso un sistema di comunicazione che si basa sull’invio di ricevute e notifiche,
anch’esse predisposte secondo un formato XML. La procedura può essere schematizzata nei
seguenti punti:

• il SDI, ricevuta correttamente la fattura, assegna un identificativo proprio ed effettua i controlli


propedeutici all’inoltro al soggetto destinatario;
• in caso di esito negativo dei controlli, il SDI invia una notifica di scarto al soggetto trasmit- tente
(fornitore o terzo trasmittente);
• in caso di esito positivo dei controlli, il SDI trasmette la fattura elettronica al destinatario
(Amministrazione o terzo ricevente);
• nel caso di buon esito della trasmissione, il SDI invia al soggetto trasmittente (fornitore o terzo
trasmittente) una ricevuta di consegna della fattura elettronica;
• nel caso in cui, per cause tecniche non imputabili al SDI, la trasmissione al destinatario non
fosse possibile entro i termini previsti (tempo medio di circa 48 ore, variabile a seconda del
canale di trasmissione), il SDI invia al soggetto trasmittente (fornitore o terzo trasmittente) una
notifica di mancata consegna; resta a carico del SDI l’onere di contattare il destinatario affinché
provveda tempestivamente alla risoluzione del problema ostativo alla trasmissione e, a
problema risolto, di procedere con l’invio; se, trascorsi 10 giorni dalla data di trasmissione della
notifica di mancata consegna, il SDI non è riuscito a recapitare la fattura elettronica al
destinatario (Amministrazione o terzo ricevente), inoltra al soggetto trasmittente (fornitore o
terzo trasmittente) una definitiva “Attestazione di avvenuta trasmissione della fattura con
impossibilità di recapito”;
• per ogni fattura elettronica recapitata al destinatario (Amministrazione o terzo ricevente), il
SDI permette all’Amministrazione, entro il termine di 15 giorni dalla prima comunicazione
inviata al soggetto trasmittente (fornitore o terzo trasmittente), più precisamente dalla data
riportata nella ricevuta di consegna o dalla data di trasmissione della notifica di mancata
consegna, di inviare una notifica di accettazione/rifiuto della fattura e, nel caso, provvede ad
inoltrarla al trasmittente (fornitore o terzo trasmittente) a completamento del ciclo di
comunicazione degli esiti della trasmissione della fattura elettronica;
• se entro il suddetto termine di 15 giorni il SDI non riceve alcuna comunicazione, il SDI inoltra
notifica di decorrenza dei termini sia al trasmittente (fornitore o terzo trasmittente) sia al
soggetto che ha ricevuto la fattura (Amministrazione o terzo ricevente); tale notifica ha la sola
funzione di comunicare alle due parti che il SDI considera chiuso il processo relativo a quella
fattura.

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6.3 IMPOSSIBILITÀ DI RECAPITO DELLA FATTURA ELETTRONICA

La circ. Min. Economia e Finanze e Presidenza del Consiglio dei Ministri 31.3.2014 n. 1 (§ 5) fornisce
alcune indicazioni relative ai casi in cui risulti impossibile recapitare la fattura elettronica, per
mancanza del codice Ufficio destinatario della stessa.

6.3.1 Codice Ufficio dell’Amministrazione non rilevabile dall’IPA

Nel caso in cui il fornitore non abbia ricevuto da parte dell’Amministrazione committente la
comunicazione del codice Ufficio destinatario della fattura elettronica e, pur avendo riscontrato la
presenza dell’Amministrazione nell’IPA, non sia in grado di individuare in modo univoco l’Ufficio
destinatario della fattura, la stessa può essere inviata all’ufficio centrale. Le specifiche operative
allegate al DM 3.4.2013 n. 55, infatti, prevedono che, per ciascuna Amministrazione presente
nell’IPA, sia reso disponibile un Ufficio di fatturazione elettronica “Centrale” denominato
“Uff_eFatturaPA”.

Verifiche del SDI per evitare l’utilizzo improprio del Codice Fatturazione Elettronica Centrale

Ricevuta la fattura recante il Codice Fatturazione Elettronica Centrale, il SDI effettua alcune verifiche
circa l’esistenza nell’IPA di un solo Ufficio di fatturazione elettronica deputato al ricevi- mento della
fattura, sulla base dei dati fiscali di destinazione della fattura in essa contenuti:

• nel caso in cui sia possibile identificare univocamente tale codice Ufficio, il SDI respinge la
fattura inviando al mittente una “notifica di scarto”, segnalando il codice Ufficio identificato;
• in caso contrario, il SDI inoltra all’Amministrazione la fattura ricevuta, che riporta l’indica- zione
del Codice Fatturazione Elettronica Centrale.

Rifiuto da parte delle Pubbliche Amministrazioni della fattura con Codice Fatturazione
Elettronica Centrale
Le Amministrazioni possono rifiutare le fatture inoltrate agli Uffici di fatturazione elettronica
“Centrale”, e riportanti quindi un Codice Fatturazione Elettronica Centrale, esclusivamente nel caso
in cui la fattura non sia attribuibile all’Amministrazione, ivi compresa ogni sua componente
organizzativa, anche in caso di organizzazioni autonome che da essa derivano.

6.3.2 Amministrazione Pubblica non censita nell’IPA

Nel caso in cui il fornitore, non avendo ricevuto alcuna comunicazione da parte dell’Amministra-
zione committente, abbia rilevato l’assenza nell’IPA dell’Amministrazione stessa, il codice Ufficio da
inserire nella fattura elettronica può assumere il valore di default “999999”.

Verifiche del SDI per evitare l’utilizzo improprio del valore di default

Il SDI, effettuate le relative verifiche, sulla base dei dati fiscali di destinazione della fattura in essa
contenuti:
10
• nel caso in cui sia possibile identificare univocamente un Ufficio di fatturazione elettronica,
respinge la fattura inviando al mittente una “notifica di scarto”, segnalando il codice ufficio
identificato;
• nel caso in cui siano individuati più Uffici di fatturazione elettronica afferenti alla stessa
Amministrazione, respinge la fattura inviando al mittente una “notifica di scarto”, segnalando il
Codice Fatturazione Elettronica Centrale dell’Amministrazione individuata;
• in tutti gli altri casi, rilascia al fornitore un’“Attestazione di avvenuta trasmissione della fattura
con impossibilità di recapito”.

7 EMISSIONE DELLE FATTURE ELETTRONICHE

L’art. 2 co. 4 del DM 55/2013 stabilisce che la fattura elettronica si considera trasmessa per via
elettronica, ai sensi dell’art. 21 del DPR 633/72, e ricevuta dalle Amministrazioni destinatarie “solo
a fronte del rilascio della ricevuta di consegna” da parte del SDI.

Secondo la circ. Min. Economia e Finanze e Presidenza del Consiglio dei Ministri 31.3.2014 n. 1(§
3), questa previsione è coerente col disposto dell’art. 21 co. 1 del DPR 633/72 in base al quale “la
fattura, cartacea o elettronica, si ha per emessa all’atto della sua consegna, spedizione, trasmissione
o messa a disposizione del cessionario o committente”.

Infatti, posto che la ricevuta di consegna viene rilasciata in un momento successivo a quello in cui
la fattura è nella disponibilità della Pubblica Amministrazione committente, il rilascio, da parte del
SDI, della ricevuta di consegna è sufficiente a provare sia l’emissione della fattura elettronica, sia la
sua ricezione da parte della Pubblica Amministrazione committente.

7.1 EMISSIONE IN CASO DI NOTIFICA DI MANCATA CONSEGNA

Secondo la citata circ. 1/2014 (§ 3), anche la notifica di mancata consegna è sufficiente a provare
la ricezione della fattura da parte del SDI, e conseguentemente l’avvenuta trasmissione della fattura
da parte del soggetto emittente verso il SDI stesso. Da tali elementi emerge, pertanto, che la fattura
elettronica può considerarsi “emessa”, ai sensi dell’art. 21 co. 1 del DPR 633/72, anche a fronte del
rilascio da parte del SDI della notifica di mancata consegna.

7.2 EMISSIONE IN CASO DI ATTESTAZIONE DI AVVENUTA TRASMISSIONE DELLA FATTURA


CON IMPOSSIBILITÀ DI RECAPITO

L’“Attestazione di avvenuta trasmissione della fattura al SDI con impossibilità di recapito”, quale
messaggio firmato elettronicamente contenente la fattura ricevuta dal SDI, secondo la circ. 1/2014
(§ 5), è sufficiente a dimostrare che la fattura in esso contenuta è pervenuta al SDI nel rispetto delle
regole tecniche di cui al DM 55/2013 e che non è stato possibile recapitarla all’Amministrazione
committente per cause non imputabili al fornitore. In presenza di tale attestato, pertanto, la fattura in
esso contenuta può considerarsi “emessa”. Una volta ricevuto tale messaggio, infatti, il fornitore, che
ha già ottemperato all’obbligo di emissione
della fattura in forma elettronica previsto dall’art. 1 co. 209 della L. 244/2007, potrà comunque
direttamente trasmettere all’Amministrazione committente o mettere a disposizione di quest’ultima
la fattura elettronica. Ad esempio, è possibile:

• trasmettere l’attestato inviato dal SDI, firmato elettronicamente e contenente la fattura


elettronica, tramite un servizio di posta elettronica o altro canale telematico;

11
• ovvero metterlo a disposizione dell’Amministrazione committente tramite portali telematici che
consentano a quest’ultima di effettuare il download dell’attestato e della fattura elettronica nello
stesso inclusa.

Alla ricezione in formato elettronico dell’“Attestazione di avvenuta trasmissione della fattura al SDI
con impossibilità di recapito”, l’Amministrazione committente può prendere visione della fattura in
esso contenuta, e viene a conoscenza del fatto che la medesima fattura è stata correttamente inviata
al SDI. La fattura elettronica contenuta nell’attestato può pertanto ritenersi ricevuta
dall’Amministrazione committente.
Nel caso in esame non trova quindi applicazione il divieto di procedere al pagamento disposto
dall’art. 1 co. 210 della L. 244/2007, in quanto la fattura è stata emessa, inviata e ricevuta in forma
elettronica. Pertanto, ove siano verificate tutte le altre condizioni previste, l’Amministrazione deve
procedere al pagamento della fattura in questione.

8 CONSERVAZIONE DELLE FATTURE ELETTRONICHE

L’art. 1 co. 209 della L. 244/2007, nell’istituire l’obbligo di fatturazione elettronica nei confronti della
Pubblica Amministrazione, prevede l’adozione di procedure elettroniche anche in relazione agli
ulteriori adempimenti di archiviazione e conservazione delle fatture.

8.1 NUOVE REGOLE DI CONSERVAZIONE ELETTRONICA

Con specifico riferimento all’obbligo di conservazione elettronica, la circ. Agenzia delle Entrate
24.6.2014 n. 18 precisa che, nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, il suddetto obbligo vale
tanto per l’emittente quanto per il destinatario della fattura che, implicitamente, è vincolato ad
accettare il processo di fatturazione elettronica.

Al riguardo, per effetto dell’art. 3 del DM 17.6.2014, occorre:

• rispettare le vigenti disposizioni in materia di tenuta della contabilità;


• consentire le funzioni di ricerca ed estrazione delle informazioni dagli archivi informatici.

Il processo di conservazione dei documenti:

• termina con l’apposizione, sul pacchetto di archiviazione, di un riferimento temporale opponibile


ai terzi;
• deve essere effettuato entro tre mesi dal termine di presentazione della relativa dichiara- zione
fiscale annuale.

Rispetto al DM 23.1.2004, vengono meno le previsioni inerenti:

• gli obblighi della sottoscrizione elettronica dell’archivio;


• l’effettuazione almeno ogni 15 giorni del processo di conservazione delle fatture.

Il superamento del termine quindicinale si è reso necessario in relazione ai maggiori tempi richiesti
dalle procedure di validazione delle fatture in ottemperanza alle regole tecniche previste dal DM
3.4.2013 n. 55.

12
8.2 DISCIPLINA TRANSITORIA

In base all’art. 7 del DM 17.6.2014, le disposizioni di cui al DM 23.1.2004 continuano ad applicarsi


ai documenti già conservati alla data del 27.6.2014 (entrata in vigore del DM 17.6.2014), i quali
possono però essere riversati in un sistema di conservazione elettronico tenuto in conformità delle
nuove disposizioni.

9 MISURE DI SUPPORTO PER LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

A norma dell’art. 4 del DM 55/2013, le piccole e medie imprese, abilitandosi al Mercato Elettronico
della Pubblica Amministrazione (MEPA), potranno utilizzare i servizi informatici messi a disposizione
gratuitamente sul portale www.acquistinretepa.it.

I servizi previsti, diretti a facilitare le PMI nel processo di creazione e invio delle fatture in
formato standard al Servizio di Interscambio, consistono nelle seguenti funzionalità:

• adesione al servizio;
• generazione delle fatture nel formato previsto dal SDI;
• servizi di comunicazione con il SDI;
• conservazione delle fatture.

Software gratuiti

All’indirizzo https://fattura-pa.infocamere.it è disponibile, gratuitamente, il servizio base di fatturazio-


ne elettronica dedicato alle PMI che abbiano rapporti di fornitura con le Pubbliche Amministrazioni.

Il servizio consente, per un numero limitato di documenti nell’arco dell’anno, la compilazione delle
fatture verso le Pubbliche Amministrazioni, la trasmissione attraverso il Sistema di Interscambio
(SDI) e il monitoraggio delle fatture inviate.

10 AUTOMATICA ACQUISIZIONE DEI DATI PER IL RILASCIO DELLE CERTIFICAZIONI DEI


CREDITI

In base all’art. 27 del DL 66/2014 conv. L. 89/2014, la trasmissione delle fatture elettroniche alle
Pubbliche Amministrazioni determina l’acquisizione automatica dei relativi dati nell’ambito della
piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni dei crediti, per gli usi
previsti dalla legge, ad esempio:

• cessione del credito ad un intermediario finanziario;


• utilizzo del credito in compensazione.

13
La tracciabilità dei flussi finanziari
16 Febbraio 2011
1. Premessa

All’interno delle recenti normative che il legislatore nazionale ha posto in essere per il contrasto
all’inserimento della criminalità organizzata nelle imprese e nell’economia, una significativa
importanza hanno le disposizioni, applicabili a decorrere dal 7.9.2010, che riguardano la tracciabilità
dei flussi finanziari riguardanti l’esecuzione e la fornitura di lavori e di servizi pubblici.

In particolare, tali norme, contenute nell’articolo 3 della Legge 13 agosto 2010, n. 136[1],
successivamente modificata e, per certi versi anche autenticamente interpretata dall’articolo 6 del
Decreto Legge 12 novembre 2010 n. 187[2], hanno, infatti, lo scopo di prevenire le infiltrazioni
criminali nel settore degli appalti, dei contratti, delle forniture e dei finanziamenti pubblici, creando le
condizioni per la tracciabilità di tutte le risorse finanziarie investite, grazie, soprattutto, alla previsione
dell’utilizzo di conti correnti bancari o postali appositamente dedicati, anche se non in via esclusiva.

L’utilizzo di tali strumenti non rappresenta, sicuramente, una novità all’interno del panorama
normativo nazionale.

Le norme qui in commento si possono, infatti, collegare alle più generali disposizioni antiriciclaggio
del Decreto Legislativo 231/2007, con particolare riferimento sia alle limitazioni all’uso del contante
e degli assegni, sia alle disposizioni contenute nel quinto comma dell’articolo 16 del Decreto Legge
28 aprile 2009, n. 39[3] che, già prevedevano la tracciabilità dei flussi finanziari per i contratti e le
erogazioni pubbliche relative agli appalti concessi per la ricostruzione post terremoto in Abruzzo[4].

Alla norma di legge, hanno fatto seguito delle specifiche linee guida che, elaborate dal Comitato di
coordinamento per l’alta sorveglianza sulle grandi opere, sono state adottate dal Ministero
dell’Interno il successivo 8.7.2009.

Più generale, proprio nel quadro della lotta al riciclaggio ed al contrasto dell’infiltrazione criminale
nell’economia, anche l’UIF si è occupato di questo specifico tema, sensibilizzando, all’interno della
comunicazione del 13.10.2009[5], gli intermediari finanziari al rispetto ed alla verifica di tali regole,
citando, tra queste, anche l’utilizzo da parte di tutti gli operatori economici che partecipano alla
ricostruzione di conti correnti bancari o postali appositamente dedicati.

Allo stesso fine tendono anche le norme contenute nella Legge 15 luglio 2009 n. 94[6], che, tra
l’altro, hanno modificato il D.L. 231/2001[7] inserendo tra i reati per i quali vale il principio della
responsabilità amministrativa degli enti anche i delitti di criminalità organizzata ovvero le condotte
agevolative dei medesimi[8].

E’ palese quale sia l’importanza di tale novità[9] specialmente per le imprese operanti nel settore dei
pubblici appalti e delle pubbliche forniture, ne consegue che per costoro il rispetto e la verifica delle
regole sulla tracciabilità dei flussi finanziari relativi a quelle operazioni deve trovare accoglimento
anche nei modelli organizzativi, la cui esistenza ed idoneità costituisce l’esimente della
responsabilità in capo all’ente medesimo.

14
Oltre che con il monitoraggio delle risorse pubbliche impiegate nelle specifiche attività, l’ obbiettivo
che il legislatore si è posto viene, ovviamente, raggiunto anche attraverso l’utilizzo di altri strumenti
operativi quali i Protocolli di Legalità firmati tra singole stazioni appaltanti, Uffici Territoriali del
Governo e Forze di Polizia (per esempio quello relativo all’esecuzione della BRE.BE.MI), la
costruzione dei Gruppi Interforze presso le singole Prefetture, e, non da ultimi, i controlli e gli accessi
nei cantieri, pianificati in tale sede, grazie anche al ruolo di coordinamento particolarmente
importante che la legge stessa ha assegnato alla Direzione Investigativa Antimafia.

Come facilmente prevedibile dato il suo rilevante contenuto, ma soprattutto considerata l’importanza
delle conseguenze che il legislatore collega al mancato rispetto delle regole, l’articolo 3 ha creato,
al momento della sua entrata in vigore, molti dubbi e perplessità, negli operatori del settore,
relativamente al suo corretto campo di applicazione, alla gestione dei contratti in corso (cosiddetto
“periodo transitorio”) alla pratica esecuzione degli adempimenti ed ai conseguenti ed eventuali
aggravamenti burocratici ed amministrativi.

A fare chiarezza su alcuni punti è intervenuto sia il Ministero dell’Interno con la circolare
13001/118/Gab. del 9.9.2010, riguardante il “periodo transitorio”, sia l’Autorità di Vigilanza sui
Pubblici Contratti (AVCP) con determinazioni numero 8 e numero 10, rispettivamente datate 18
novembre 2010 e 22 dicembre 2010, chiarificatrici di alcuni dubbi anche sul campo di applicazione
delle norma e sulle modalità di gestione dei conti dedicati e d’effettuazione delle singole transazioni
finanziarie.

Sebbene il “periodo transitorio” si stia avviando alla conclusione, non mancano ancora i dubbi e le
richieste di spiegazioni da parte delle imprese, ciò data anche la mancanza di sorta, per così dire,
di giurisprudenza che, come sempre, si svilupperà a seguito della pratica e, soprattutto, come
conseguenza dell’esercizio delle attività di vigilanza e di controllo,

Prima di passare a commentare il contenuto dell’articolo 3, e le pratiche conseguenze che esso ha


nell’ordinaria vita delle imprese del settore, deve essere precisato che, come indicato dalla stessa
AVCP, la norma di riferimento per le definizioni di appalto pubblico, contratto pubblico, fornitura
pubblica, concessione, ecc… è, oltre ovviamente al Codice Civile[10], il Codice dei Contratti, ossia
il Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163[11].

2. Il contenuto della norma

2.1. Il campo di applicazione ed i soggetti passivi

L’articolo 3 obbliga gli appaltatori, i subappaltatori ed i subcontraenti della filiera delle imprese,
nonché i concessionari di finanziamenti pubblici anche europei a qualsiasi titolo interessati ai lavori,
ai servizi ed alle forniture pubbliche ad utilizzare uno o più conti correnti bancari o postali dedicati,
ancorché in via non esclusiva, alle commesse pubbliche, a registrare su di essi tutti i movimenti
finanziari relativi ai quei lavori o servizi, e ad effettuarli o con lo strumento del bonifico bancario o
postale, oppure con altri strumenti che siano, comunque, in grado di garantire la tracciabilità.

Il campo di applicazione è, quindi, molto ampio, tanto da comprendere tutti i contratti di appalto
pubblico, di servizio pubblico, di fornitura pubblica conclusi tra un operatore economico privato
(impresa) ed il committente pubblico, senza alcuna distinzione d’importo, e con o senza la
predisposizione di un’ apposita gara, tutti i relativi subappalti, le relative subforniture, e subcontratti,
le relative procedure in economia, purché effettuate “in cottimo” ossia con affidamento a terzi[12], e
tutte le concessioni di lavori e servizi pubblici[13].

Con la citata determinazione n. 8/2010, l’AVCP ha poi precisato che rientrano tra queste attività
anche quei casi particolari in cui soggetti privati affidano appalti pubblici, quali ad esempio quelli
relativi all’esecuzione di lavori a scomputo di oneri di urbanizzazione, oppure quelli indicati alle
lettere d) ed e) del primo comma dell’articolo 32 del Codice dei Contratti[14].
15
Permangono, ancora, dubbi in merito all’applicabilità della tracciabilità ai casi di erogazione di
finanziamenti pubblici non corrispondenti alla resa di lavori, servizi o di forniture, ossia a quei casi in
cui al contributo pubblico non è direttamente associabile una precisa contropartita, come per
esempio i finanziamenti erogati a titolo di rimborso spese o di generico contributo a favore delle
ONLUS.

Ne consegue che i soggetti passivi sono tutti coloro che a vario titolo (a partire dalla stazione
appaltante, fino all’appaltatore, fino ai subappaltatori ed ai subcontraenti, ecc…) sono parte della
cosiddetta filiera, ossia sono interessati, a qualsiasi titolo, all’esecuzione, anche se non esclusiva,
del contratto d’appalto pubblico per lavori o servizi pubblici[15], nonché i concessionari di lavori e di
servizi pubblici, ossia, più brevemente tutti coloro che ricevono denaro pubblico relativo ad appalti e
contratti per lavori, contratti, forniture, servizi e concessioni pubbliche.

Soffermandosi un attimo sul primo gruppo di soggetti, si può vedere immediatamente come tra
costoro rientrino tutti coloro che, indipendentemente dalle caratteristiche giuridiche, dal tipo di attività
svolta, dalla classificazione o meno come subappalto ex undicesimo comma dell’articolo 118 del
Codice dei Contratti, intervengono a qualunque titolo nella realizzazione dell’opera.

Tale interpretazione, per altro fatta propria dall’AVCP nelle sue due determinazioni, è perfettamente
compatibile sia con lo scopo della norma, sia con quelle disposizioni di legge già sopra citate relative
alla ricostruzione post terremoto in Abruzzo.

Sul primo punto, rammentando come l’articolo 3 tenda ad evitare l’infiltrazione criminale nello
specifico settore dei pubblici appalti, è evidente che la tracciabilità non possa non riguardare anche
quelle attività che, sebbene non classificate dal Codice dei Contratti come subappalto, comportano
comunque l’impiego di risorse finanziarie pubbliche e, spesso, per recentissima esperienza
investigativa, presentano, come gli scavi ed il movimento terra o la rimozione degli inerti, un elevato
rischio di “infiltrazione”.

In ordine, invece, al secondo punto, si deve notare come tale ampia interpretazione fosse già
contenuta nel quarto comma dell’articolo 16 del D.L. N. 39/2009[16] che prevede l’osservanza di
particolari linee guida antimafia elaborate, come visto, dal Comitato per l’alta sorveglianza delle
grandi opere, ai contratti pubblici, ai successivi subappalti e subcontratti, aventi ad oggetto lavori,
servizi e forniture.

Ancora va citato il Decreto Presidente della Repubblica 2 agosto 2010 n. 150[17], recante il
regolamento in materia di rilascio di autorizzazioni antimafia a seguito di accesso nei cantieri, che
individua i soggetti interessati a rilascio di tali documenti, in tutti coloro che intervengono nella
realizzazione dell’opera pubblica indipendentemente dall’importo dei relativi contratti e subcontratti
e dalla natura dell’attività svolta[18].

L’articolo 3 deve, quindi, applicarsi anche nei casi di lavori affidati dalla società concessionaria o
dall’ente aggiudicatore ad imprese collegate, così come ai rapporti interni ad un raggruppamento
temporaneo creatosi allo scopo di aggiudicarsi l’appalto o la concessione pubblica.

Secondo l’interpretazione della AVCP, ai fini della tracciabilità, non rileva, infatti, né il rapporto di
collegamento né il mandato che i singoli componenti del raggruppamento affidano, con scrittura
privata, ad uno di loro allo scopo di rappresentarli nei confronti della Pubblica Amministrazione
appaltante.

Molto spesso le operazioni “intragruppo”, e sovente nei casi di grandi imprese, vengono gestite
attraverso meccanismi di tesoreria accentrata in capo alla capogruppo. In tale caso, l’obbligo di
tracciabilità dev’essere assolto con riferimento a tutti i movimenti in capo alle singole società: è
evidente che, in questi casi, devono essere adottati, principalmente a cura della stessa capogruppo,
tutti i meccanismi burocratici e contabili per assicurare il rispetto dell’obbligo di legge.
16
A seguito delle numerose richieste di pareri e d’interpretazioni, l’AVCP ha specifico che le norme
sulla tracciabilità si applicano anche a:

(a) contratti stipulati dalle imprese pubbliche nell’ambito dei cosiddetti “settori speciali” di cui alla
direttiva 2004/17/CEE, e di cui alla parte III del Codice dei Contratti, e, nei confronti dei quali, ex
articolo 152 di questo stesso testo di legge si applicano le norme generali sui pubblici appalti[19];

(b) contratti che, sebbene esclusi dall’applicazione dello stesso Codice sono riconducibili alle
caratteristiche dell’appalto[20];

(c) transazioni aventi ad oggetto il pagamento di cauzioni e fideiussioni, con la sola deroga relativa
alla non indicazione del Codice Identificativo di Gara (CIG) e del Codice Unico di Progetto (CUP);

(d) operazioni di cessioni del credito tra stazioni appaltanti e cessionari, con l’obbligo, in questo caso,
dell’indicazione del CIG e del CUP.

Analogamente, sono, invece, da ritenersi estranee al campo di applicazione dell’articolo 3:

(a) i contratti di diritto privato stipulati dalle imprese pubbliche al di fuori della loro attività pubblica;

(b) i contratti di servizi che, sebbene pubblici, sono esclusi, ex articolo 19 dall’applicazione del
Codice dei Contratti[21];

(c) appalti pubblici di servizi che riguardano due amministrazioni pubbliche, ad esempio con l’ARPA
per l’esecuzione delle verifiche ed i controlli ambientali. L’esclusione è, in questo caso, motivata
dall’assenza della “terzietà”, nel senso che le risorse finanziarie movimentate restano nell’ambito
pubblico, e sono già sottoposte a tracciamento;

(d) servizi e produzioni in economia solo se effettuate in amministrazione diretta. Anche in questo
caso l’esclusione è motivata dall’assenza del requisito della “terzietà”;

(e) movimentazioni di denaro a favore delle Pubbliche Amministrazioni da soggetti giuridicamente


da loro distinti ma sottoposti ad analogo controllo (ad esempio, la contribuzione della Cassa
Integrazione Guadagni). Anche in questo caso, come in quelli sub c) e d), l’esclusione è giustificata
dall’assenza della “terzietà”;

(f) i pagamenti effettuati a favore di terzi, estranei alla filiera di cui al prima comma dell’articolo 3, per
la corresponsione di indennizzi assicurativi per danni ed espropri. Similmente, ai casi sub c) d) ed
e), quest’esclusione è giustificata dall’estraneità del terzo percettore alla filiera dell’appalto;

(g) le spese economali, ossia le spese che le amministrazioni pubbliche coprono con l’utilizzo, anche
per cassa, di uno specifico fondo detto appunto “fondo economale”, impiegato non a fronte di uno
specifico contratto, ed a condizione che le stesse siano indicate in un provvedimento interno dell’ente
pubblico[22].

Di particolare interesse è il tema relativo all’applicabilità delle norme sulla tracciabilità alle risorse
finanziarie movimentate, nell’ambito dell’esecuzione delle attività rientranti nel campo di
applicazione della norma, a favore di lavoratori autonomi, siano essi più o meno organizzati in forma
individuale, associata o societaria.

L’elemento che, secondo l’AVCP deve ritenersi discriminante è la natura della prestazione che il
professionista è chiamato a fornire[23].

17
Occorre, infatti, distinguere i casi in cui al professionista l’affidamento avvenga in forza di un
conferimento di un incarico professionale all’interno del quale è prevalente la connotazione della
personalità (ad esempio il rilascio di un parere legale), da quello in cui l’affidamento avvenga, al
contrario, in base alla norme del Codice dei Contratti, ed in cui è prevalente la prestazione di un
servizio (servizi di progettazione).

Solo nel primo caso, l’AVCP ritiene applicabili le norme sulle tracciabilità.

2.2. La tracciabilità

Concretamente, la tracciabilità si realizza mediante il rispetto, da parte dei soggetti obbligati, delle
seguenti disposizioni:

(a) utilizzo, per la gestione di tutti i flussi finanziari connessi all’appalto, al subappalto, al contratto,
alla fornitura, alla concessione, ecc…, di uno o più conti correnti bancari o postali dedicati, ancorché
in via non esclusiva, ed i cui estremi devono essere comunicati alla stazione appaltante o all’ente
concedente entro sette giorni dalla loro accensione, se nuovi, oppure dalla loro prima utilizzazione,
se già attivi;

(b) effettuazione di ogni movimento finanziario di cui al punto sub (a) attraverso bonifico bancario o
postale, oppure con altro strumento che garantisca la tracciabilità;

(c) indicazione, in quegli strumenti di pagamento (ad esempio, nella causale del bonifico) del Codice
Identificativo di Gara (CIG) e, nei casi in cui lo prevede la Legge n. 3/2003, del Codice Unico di
Progetto (CUP).

Il conto corrente (o i conti correnti) bancario o postale dedicato, ossia quello che i soggetti obbligati
decidono di utilizzare per la gestione delle risorse finanziarie connesse all’appalto, al subappalto, al
contratto, alla fornitura, al servizio o concessione pubblica, può essere utilizzato anche in via non
esclusiva, nel senso che su di esso possono essere veicolate anche risorse estranee a tale
circostanza[24].

Per lo stesso principio, secondo l’AVCP, se nei confronti della stessa stazione appaltante o del
medesimo ente concedente, sono attivi più contratti, appalti, concessioni, l’impresa può utilizzare un
unico conto (anche se relativo a più rapporti contrattuali), ed ancora, nel caso di conto dedicato in
via esclusiva, è possibile (ad esempio per esigenze di liquidità) anche il prelievo di somme da
destinare ad altri usi, purché il fondo venga ricostituito sempre a mezzo di strumenti che
garantiscano la tracciabilità.

Ne consegue che, nel caso di conto “in rosso”, al fine di effettuare, per esempio, dei pagamenti ai
propri fornitori e/o consulenti, l’impresa può compensare il saldo negativo con altre provviste, purché
ne venga sempre garantita la tracciabilità.

Tali precisazioni, specialmente per le realtà delle medie e piccole imprese, evitano gli aggravamenti
burocratici connessi all’apertura di uno o più nuovi conti, con il conseguente sostenimento dei relativi
costi.

Sebbene, quindi, sul conto indicato (o sui conti indicati) possano essere movimentate anche somme
differenti da quelle relative all’appalto, l’importante è che queste ultime siano obbligatoriamente (a
pena dell’applicazione di sanzioni pecuniarie e contrattuali) movimentate solamente su quel conto
(o su quei conti).

Durante l’esame complessivo delle transazioni su questo transitate, conseguente, ad esempio, ad


una verifica fiscale oppure ad un’indagine di polizia giudiziaria, la riconducibilità dei singoli movimenti

18
all’appalto sarà possibile grazie alla lettura del dettaglio delle singole operazioni, per le quali, ove
obbligatorio, dovranno essere indicati il CIG, ed ove necessario, anche il CUP.

Analogamente, devono essere veicolate sul conto corrente dedicato (o sui conti correnti dedicati)
anche i pagamenti che i soggetti obbligati effettuano, sempre in ordine all’esecuzione dell’opera o
del servizio pubblico, a favore di dipendenti, consulenti, e fornitori di beni, servizi ed immobilizzazioni
tecniche, anche se l’importo loro pagato non è totalmente riferibile all’esecuzione di una singola
opera o di un singolo servizio pubblico.

Come i flussi tra stazioni appaltanti ed appaltatori, e come quelli da questi “a scendere” lungo tutta
la filiera, anche queste transazioni devono avvenire o con bonifico bancario o postale, o con altro
strumento idoneo a garantire la tracciabilità, con l’unica differenza che, secondo quanto indicato
dall’AVCP, in questi casi non è da ritenersi obbligatoria l’indicazione del CIG e del CUP.

Sul conto dedicato (o sui conti dedicati) devono confluire anche quelle operazioni oggetto del terzo
comma dell’articolo 3, e cioè quelle riguardanti i pagamenti effettuati a favore di enti previdenziali,
assicurativi ed istituzionali, per il pagamento di pubblici servizi (tra i quali i tributi), e per la copertura
delle spese di minima entità, mai superiori ai 1.500,00 euro giornalieri[25].

In questi casi, pur restano valido il divieto di impiego del contante, è possibile, in luogo del bonifico,
l’utilizzo di altri strumenti di pagamento. Sul punto, giova osservare come, nonostante, il citato terzo
comma non preveda espressamente che lo strumento alternativo debba, come nel caso dei
pagamenti a fornitori e simili, essere in grado di garantire la tracciabilità, l’AVCP sia è dichiarata di
avviso contrario, pur confermando, anche per essi la non obbligatorietà dell’indicazione del CIG e
del CUP.

Questo parere dell’AVCP[26] pare motivato, se si considera come l’ultimo periodo del terzo comma,
peraltro aggiunto dal D.L. 187/2010, renda possibile disporre di un fondo cassa per il pagamento
delle spese giornaliere, a condizione che esso sia costituito e reintegrato a mezzo di bonifico
bancario o postale o di strumenti che, questa volta per espressa previsione di legge, garantiscano
la tracciabilità.

In sintesi, pur con la condizione della “non esclusività”, sul conto dedicato (o sui conti dedicati)
devono confluire obbligatoriamente ed a mezzo o di bonifico bancario o postale, o di altro strumento
tracciabile, ed in nessun caso mai per contante, tutti flussi finanziari, che, senza alcuna limitazione
d’importo:

(a) partendo dalla stazione appaltante pubblica passano all’appaltatore (al concessionario) privato,
e da questo, poi, scendono per tutta la filiera dei subappalti, dei subcontratti e dei subfornitori;

(b) i soggetti obbligati “diramano” verso i dipendenti, i consulenti, i fornitori di beni, servizi ed
immobilizzazioni tecniche che hanno contribuito, anche pro-quota, alla realizzazione dell’opera o
alla fornitura del servizio;

(c) gli stessi soggetti obbligati originano per i pagamenti a favore di enti previdenziali, assicurativi,
istituzionali, e per la copertura delle spese giornaliere di importo non superiore ai 1.500,00 euro.

Tutto ciò, con il rispetto di precise disposizioni:

(1) per le operazioni sub (a), è l’obbligatorio l’impiego del bonifico bancario o postale, o di altro
strumento che garantisca la tracciabilità, nonché l’inserimento nei giustificativi delle operazioni dei
codici CIG e, dove obbligatorio, CUP;

19
(2) per le operazioni sub (b), è l’obbligatorio l’impiego o del bonifico bancario o postale o di altro
strumento che garantisca la tracciabilità, ma, pur non essendo espressamente stabilito, secondo
l’AVCP non sarebbe obbligatoria l’’indicazione del CIG e del CUP;

(3) per le operazioni sub (c), pur non essendo espressamente indicato, secondo l’AVCP sarebbe,
comunque, obbligatorio l’impiego o del bonifico bancario o postale o di altri strumenti che
garantiscano la tracciabilità (la stessa Autorità consiglia l’uso delle carte di debito o di pagamento),
e non sarebbe, invece, necessaria l’indicazione del CIG e del CUP.

Ancora una volta appare ben evidente quale sia lo scopo che il legislatore intendere raggiungere:
tracciare, al massimo, l’impiego del denaro pubblico, per evitare che esso finisca nelle mani delle
organizzazioni criminali.

Si è più volte fatto cenno alla possibilità di impiego, in luogo del bonifico bancario o postale, di altri
strumenti che garantiscano la tracciabilità: tra questi si possono citare le RIBA, il sistema POS, il
MAV, ed, al limite, anche il Bancomat.

Non è invece consigliabile, ovviamente solo per i le operazioni indicate come sub (a), l’impiego del
RID che, nonostante sia il più diffuso strumento di addebito automatico, pare, per quanto comunicato
dalla stessa AVCP, non essere, al momento, in grado di consentire l’inserimento e la corretta
gestione informatica dei codici CIG e CUP, come visto essenziali (specialmente il CIG) per garantire
la ricostruibilità dei flussi e dei movimenti finanziari.

Alcune precisazioni sono, poi, opportune in ordine all’impiego degli assegni, strumenti ancora
largamente diffusi nel nostro Paese soprattutto nel settore edile delle medie e piccole imprese,
specialmente per i pagamenti a dipendenti, fornitori e consulenti.

Secondo l’AVCP, l’impiego dell’assegno è possibile a condizione che essi vengano tratti dal conto
dedicato, siano muniti sempre della clausola di non trasferibilità (questo, ovviamente, nel rispetto
della soglia dei 5.000,00 euro[27]) e che, laddove non siano rispettate tali condizioni precedenti, il
beneficiario sia in grado legittimamente di rifiutare il pagamento.

E’ evidente come tali condizioni, specialmente in considerazione della non esistenza di un limite
minimo imposto dall’articolo 3, siano sempre determinate dall’assoluta necessità di garantire la
tracciabilità del denaro pubblico.

In merito alla comunicazione da effettuarsi alla stazione appaltante o all’ente concedente, la norma
non precisa né le modalità pratiche, né, tanto meno, il suo contenuto; il legislatore, infatti, si limita a
precisare che essa deve comprendere anche il nominativo delle persone fisiche abilitate ad operare
sui rapporti indicati quali dedicati.

Sul punto, l’AVCP ha specificato che è preferibile l’utilizzo di un procedimento tracciabile


(raccomandata, email certificata, corriere ecc….), e che la comunicazione, debitamente firmata (nel
caso di una persona giuridica dal legale rappresentante o da un suo procuratore) contenga, oltre
ovviamente agli estremi del soggetto obbligato, anche gli estremi completi del rapporto o dei rapporti
dedicati (ABI, CAB, codice CIN ovvero l’IBAN) e dell’intermediario bancario o postale (indirizzo
dell’agenzia o della filiale).

CIG e CUP sono due codici diversi che, in quanto tali, corrispondono ad esigenze differenti.

Ai fini della tracciabilità, ciò che maggiormente rileva è il Codice Identificativo di Gara (CIG) che deve
essere obbligatoriamente[28] richiesto all’AVCP a cura della stazione appaltante, prima
dell’indizione dell’eventuale procedura di gara (il CIG va, infatti, indicato nel bando oppure, in caso

20
contrario, nella lettera d’invito), e che deve comparire nelle richieste di offerte ed assolutamente negli
ordinativi di pagamento[29].

Lo scopo del CIG è identificare, e quindi ex post tracciare, tutti i pagamenti relativi ad ogni singolo
affidamento, che avvengono all’interno del più ampio progetto che, a sua volta, è, invece, indicato
dal Codice Unico di Progetto (CUP), attribuito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze[30].

Prima di analizzare le sanzioni che il legislatore ha previsto in caso di inosservanza della norma, è
necessario fornire alcune indicazioni in ordine agli obblighi che l’ottavo ed il nono comma dell’articolo
3 prevedono a carico della stazione appaltante.

In primo luogo, essa deve inserire nei contratti stipulati con i propri appaltatori, ed a pena di nullità
assoluta, un’apposita clausola che li vincoli al rispetto delle disposizioni in materia di tracciabilità dei
flussi finanziari, e, in secondo luogo, deve verificare che costoro, sempre a pena di nullità assoluta,
facciano lo stesso nei confronti dei contratti da loro stipulati con gli altri componenti della filiera.

Subito dopo l’entrata in vigore della norma, il concreto soddisfacimento di questi obblighi ha sollevato
alcune perplessità in relazione ai contratti già in essere in quel momento.

Il problema del cosiddetto “periodo transitorio” venne immediatamente risolto dalla circolare
130001/118/Gab del 9.9.2010 del Ministero dell’Interno, che stabilì come gli obblighi di tracciabilità
si applicassero solo ai contratti sottoscritti successivamente al 7.9.2010, anche se relativi a bandi
già precedentemente pubblicati.

Per i contratti in essere a quella data, il comma 2 dell’articolo 6 del D.L. 187/2010 prevede
l’adeguamento automatico entro 180 giorni a decorrere dalla data di entrata in vigore della Legge n.
217/2010, norma di conversazione e modifica del sopra citato decreto legge[31].

Le stazioni appaltanti, ed i singoli soggetti obbligati che hanno notizia del mancato adempimento
degli obblighi di tracciabilità da parte delle loro controparti, devono informare la stazione appaltante
stessa, e l’UTG territorialmente competente in ordine alla sede della medesima stazione appaltante.

Il Prefetto è, infatti, l’organo al quale l’articolo 6 della Legge n. 136/2010 assegna il compito di
accertare ed applicare le sanzioni pecuniarie previste dall’ articolo 6 della stessa Legge 136/2010,
secondo le procedure generali della Legge n. 689/1981.

Sempre nel citato articolo 6, il legislatore ha specificato quali siano le sanzioni applicabili:

( a ) l’effettuazione di pagamenti senza servirsi delle banche o delle Poste Italiane Spa è punito con
una sanzione amministrativa compresa tra il 5 ed il 20 per cento dell’importo della transazione;

( b ) il non utilizzo del conto dedicato (o dei conti dedicati), ovvero il non impiego del bonifico bancario
o postale, o di altro strumento idoneo a garantire la tracciabilità, è punito con una sanzione
amministrativa compresa tra il 2 ed il 10% dell’importo della transazione, aggiungendo, poi, che ai
sensi del comma 9 bis dell’articolo 3[32] tale condotta è causa di risoluzione del contratto;

( c ) la mancata indicazione nel bonifico bancario o postale, o negli altri strumenti idonei a garantire
la tracciabilità, del CIG e, solo quando obbligatorio anche del CUP, è punita con una sanzione
amministrativa compresa tra il 2 ed il 10% dell’importo della transazione;

( d ) le operazioni di reintegro dei conti correnti dedicati avvenute senza l’utilizzo del bonifico bancario
o postale, o di altri strumenti idonei a garantire la tracciabilità, è punita con una sanzione
amministrativa compresa tra il 2 ed il 5% di ciascun accredito;

21
( e ) la mancata, tardiva o incompleta comunicazione dei dati identificativi del conto dedicato (o dei
conti dedicati) è punita con la sanzione amministrativa a da 500,00 a 3.000,00 euro.

Il Prefetto territorialmente competente, in ordine al luogo ove ha sede la stazione appaltante o l’ente
concedente, è l’organo deputato all’accertamento ed alla contestazione delle violazioni. Per esse si
applica la procedura prevista dalla Legge n. 689/1981, con l’evidenza che l’eventuale ricorso deve
essere presentato davanti al Giudice del luogo ove ha sede l’UTG accertante.

Anche a carico dell’Autorità Giudiziaria sussiste, fatte salve le esigenze investigative, l’obbligo di
comunicazione all’UTG delle violazioni di cui viene a conoscenza.

[1] Legge 13 agosto 2010, n. 136: “Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia”.

[2] D.L. 12 novembre 2010, n. 187: “Misure urgenti in materia di sicurezza”, convertito con modificazioni dalla Legge 17 dicembre 2010,
n. 217.

[3] Decreto Legge 29 aprile 2009: “Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese
di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile”. Il quinto comma dell’articolo 16 così recita: “Per l’efficacia dei controlli
antimafia nei contratti pubblici e nei successivi subappalti e subcontratti aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture e nelle erogazioni e
concessioni di provvidenze pubbliche, e’ prevista la tracciabilità dei relativi flussi finanziari. … omississ…”.

[4] Anche in quel caso, tuttavia, non si trattava di una novità: misure analoghe erano già state adottate, a livello “locale”, all’interno dei
progetti per la costruzione del ponte sullo stretto di Messina, e per la linea C della metropolitana di Roma.

[5] La comunicazione in argomento è stata emessa in esecuzione delle norme di cui alla lettera b), comma 7 dell’articolo 6 del Decreto
Legislativo n. 231/2007 che assegno all’UIF il compito di elaborare e diffondere modelli e schemi rappresentativi di comportamenti anomali
sul piano economico e finanziario riferibili a possibili attività di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.

[6] Legge 15 luglio 2009, n. 94: “ Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”.

[7] Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231: “Disciplina della responsabilità amministrative delle persone giuridiche, delle società e delle
associazioni prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della Legge 29 settembre 2000, n. 300”.

[8] La Legge n. 94/2009 ha inserito, all’interno del testo del Decreto Legislativo n. 231/2001, l’articolo 24 ter intestato “Delitti di criminalità
organizzata” e così composto:” In relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 416, sesto comma, 416-bis, 416-ter e
630 del codice penale, ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare
l’attività’ delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché ai delitti previsti dall’articolo 74 del testo unico di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, si applica la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote”.

[9] Non deve, tuttavia, essere dimenticato che già nella sua originaria versione il Decreto Legislativo n. 231/2001 contemplava, tra i reati
per i quali si ritiene esistente la responsabilità dell’ente, altre fattispecie penali connesse al mondo dei pubblici incanti quali quelle di
indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche, siano esse
nazionali o meno.

[10] In particolare l’articolo 1655 contenente la definizione di appalto.

[11] Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163: “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive
2004/17/CEE e 2004/18/CEE”.

[12] L’articolo 125 del Codice dei Contratti distingue due tipologie di lavori, servizi e forniture in economia: quelle effettuate mediante
amministrazione diretta, ossia con personale della stazione appaltante che opera sotto la sua stessa direzione e che impiega materiali e
mezzi propri oppure appositamente noleggiati o acquistati, da quelle effettuate in “cottimo fiduciario”, ossia a seguito di procedura
negoziata con affidamento a terzi. Secondo l’AVCP l’articolo 3 è applicabile solo in questo secondo caso.

[13] Le concessioni rientrano nel campo di applicazione dell’articolo 3 in quanto esse, sia secondo il Codice dei Contratti che secondo il
legislatore comunitario, presentano caratteristiche di un appalto pubblico con l’unica eccezione che, in luogo del pagamento, l’operatore
economico riceve il diritto di usare il bene/servizio oggetto della concessione, diritto che può essere anche accompagnato da un prezzo.

[14] Si tratta dell’esecuzione di lavori di edilizia per ospedali, impianti ricreativi e sportivi, per il tempo libero superiori al milione di euro, a
fronte della ricezione di un contributo pubblico in conto capitale o interessi per un importo attualizzato superiore al 50% del valore dei
lavori, e degli appalti di servizi, affidati da soggetti privati, relativamente ai servizi il cui valore stimato, al netto dell’IVA, sia pari o superiore
a 211.000,00 euro, nel rispetto di particolari condizioni indicate.

22
[15] Il terzo comma dell’articolo 6 del D.L. 187/2010 ha espressamente stabilito come debba intendersi il termine “filiera delle imprese”,
intendo questa riferita ai subappalti così come definiti dall’articolo 118 del Codice dei Contratti, nonché a tutti i subcontratti stipulati per
l’esecuzione, anche non esclusiva, dell’opera o per la fornitura del servizio.

[16] Il quarto comma dell’articolo 16, intestato “prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata negli interventi per l’emergenza
e la ricostruzione nella regione Abruzzo” così recita: “I controlli antimafia sui contratti pubblici e sui successivi subappalti e subcontratti
aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture sono altresì effettuati con l’osservanza delle linee guida indicate dal Comitato di coordinamento
per l’alta sorveglianza delle grandi opere, anche in deroga a quanto previsto dal regolamento di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 3 giugno 1998, n. 252.

[17] Decreto Presidente della Repubblica 2 agosto 2010, n. 150: “Regolamento recante norme relative al rilascio delle informazioni
antimafia a seguito degli accessi e accertamenti nei cantieri delle imprese interessate all’esecuzione di lavori pubblici”.

[18] Il secondo comma dell’articolo 1 così recita del D.P.R. n. 150/2010 così recita: “Ai fini di cui al comma 1 sono imprese interessate
all’esecuzione di lavori pubblici tutti i soggetti che intervengono a qualunque titolo nel ciclo di realizzazione dell’opera, anche con noli e
forniture di beni e prestazioni di servizi, ivi compresi quelli di natura intellettuale, qualunque sia l’importo dei relativi contratti o dei
subcontratti”. Rientrano quindi : i noli a caldo, noli a freddo, forniture di ferro, calcestruzzo, cemento, inerti, trasporti, scavo e movimento
terra, smaltimento rifiuti, guardiania, progettazione, servizio di mensa e pulizia di cantiere, ecc….

[19] Rientrano in questa casistica: i casi di finanza di progetto, società di progetto e di locazione finanziaria di opere pubbliche e di pubblica
utilità, comunemente detti di partenariato pubblico, disciplinati dagli articoli 160 bis, 153 e 156 del Codice dei Contratti.

[20] Tra costoro, l’AVCP ha indicato quelli che hanno una particolare importanza strategica vale a dire che riguardano armi, munizioni,
materiale bellico, materiale segregato e quelli aggiudicati sulla base di norme internazionali (articoli 16, 17 e 18 del D.Lgsvo 163/2006) e
quelli compresi nell’allegato II B allo stesso testo di legge.

[21] L’articolo 19 del Codice dei Contratti fa riferimento a: locazione ed acquisto di immobili o di diritti su tali beni, produzione e trasmissione
programmi radiotelevisivi, arbitrato e conciliazione, servizi finanziari relativi all’emissione ed all’acquisto e vendita/trasferimento di titoli, di
lavoro conclusi tra la stazione appaltante ed i propri dipendenti o figure assimilabili.

[22] Si tratta, in linea di massima, di spese di piccola e modica entità, non superiori ad un limite indicato nello stesso provvedimento
interno, ed in genere connotate da requisito di immediatezza e di urgenza: l’AVCP cita, per esempio, l’acquisto di marche da bollo,
quotidiani, biglietti di trasporto, ecc…

[23] Sul punto, si richiama il punto 3. della determinazione n. 8 del 18 novembre 2010.

[24] Così come la definizione di “filiera delle imprese”, anche quella di “non esclusività” è stata precisata dal D.L. 187/2010, ed in particolare
dal quarto comma dell’articolo 6.

[25] Prima delle modifiche introdotte dal D.L. 187/2010, tale importo era di 500,00 euro. Esso, in ogni caso, deve intendersi giornaliero.

[26] Contenuto in entrambe le determinazioni 8/2010 e 10/2010.

[27] La soglia è stabilita dal’articolo 49 del Decreto Legislativo n. 231/2007.

[28] Prima dell’entrata in vigore della Legge 136/2010, la richiesta del CIG non era sempre obbligatoria.

[29] L’AVCP ha stabilito che, nel caso di procedure di urgenza affidate prima della comunicazione del CIG, che esso debba essere inserito
la prima volta almeno negli ordinativi di pagamento.

[30] A differenza del CIG, il CUP ha più che ha altro una funzione di monitoraggio generale degli investimenti pubblici.

[31] Il secondo comma dell’articolo 6 del D.L. 12 novembre 2010 così recita: ““I contratti stipulati precedentemente alla data di entrata in
vigore della legge 13 agosto 2010, n. 136, ed i contratti di subappalto e i subcontratti da essi derivanti sono adeguati alle disposizioni di
cui all’articolo 3 della medesima legge n. 136 del 2010, come modificato dal comma 1, lettera a), dell’articolo 7 del presente decreto, entro
centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Ai sensi dell’articolo 1374 del codice
civile, tali contratti si intendono automaticamente integrati con le clausole di tracciabilità previste dai commi 8 e 9 del citato articolo 3 della
legge n. 136 del 2010, e successive modificazioni".

[32] Comma aggiunto dal D.L. n. 187/2010. 1. Premessa

All’interno delle recenti normative che il legislatore nazionale ha posto in essere per il contrasto
all’inserimento della criminalità organizzata nelle imprese e nell’economia, una significativa
importanza hanno le disposizioni, applicabili a decorrere dal 7.9.2010, che riguardano la tracciabilità
dei flussi finanziari riguardanti l’esecuzione e la fornitura di lavori e di servizi pubblici.

23
In particolare, tali norme, contenute nell’articolo 3 della Legge 13 agosto 2010, n. 136[1],
successivamente modificata e, per certi versi anche autenticamente interpretata dall’articolo 6 del
Decreto Legge 12 novembre 2010 n. 187[2], hanno, infatti, lo scopo di prevenire le infiltrazioni
criminali nel settore degli appalti, dei contratti, delle forniture e dei finanziamenti pubblici, creando le
condizioni per la tracciabilità di tutte le risorse finanziarie investite, grazie, soprattutto, alla previsione
dell’utilizzo di conti correnti bancari o postali appositamente dedicati, anche se non in via esclusiva.

L’utilizzo di tali strumenti non rappresenta, sicuramente, una novità all’interno del panorama
normativo nazionale.

Le norme qui in commento si possono, infatti, collegare alle più generali disposizioni antiriciclaggio
del Decreto Legislativo 231/2007, con particolare riferimento sia alle limitazioni all’uso del contante
e degli assegni, sia alle disposizioni contenute nel quinto comma dell’articolo 16 del Decreto Legge
28 aprile 2009, n. 39[3] che, già prevedevano la tracciabilità dei flussi finanziari per i contratti e le
erogazioni pubbliche relative agli appalti concessi per la ricostruzione post terremoto in Abruzzo[4].

Alla norma di legge, hanno fatto seguito delle specifiche linee guida che, elaborate dal Comitato di
coordinamento per l’alta sorveglianza sulle grandi opere, sono state adottate dal Ministero
dell’Interno il successivo 8.7.2009.

Più generale, proprio nel quadro della lotta al riciclaggio ed al contrasto dell’infiltrazione criminale
nell’economia, anche l’UIF si è occupato di questo specifico tema, sensibilizzando, all’interno della
comunicazione del 13.10.2009[5], gli intermediari finanziari al rispetto ed alla verifica di tali regole,
citando, tra queste, anche l’utilizzo da parte di tutti gli operatori economici che partecipano alla
ricostruzione di conti correnti bancari o postali appositamente dedicati.

Allo stesso fine tendono anche le norme contenute nella Legge 15 luglio 2009 n. 94[6], che, tra
l’altro, hanno modificato il D.L. 231/2001[7] inserendo tra i reati per i quali vale il principio della
responsabilità amministrativa degli enti anche i delitti di criminalità organizzata ovvero le condotte
agevolative dei medesimi[8].

E’ palese quale sia l’importanza di tale novità[9] specialmente per le imprese operanti nel settore dei
pubblici appalti e delle pubbliche forniture, ne consegue che per costoro il rispetto e la verifica delle
regole sulla tracciabilità dei flussi finanziari relativi a quelle operazioni deve trovare accoglimento
anche nei modelli organizzativi, la cui esistenza ed idoneità costituisce l’esimente della
responsabilità in capo all’ente medesimo.

Oltre che con il monitoraggio delle risorse pubbliche impiegate nelle specifiche attività, l’ obbiettivo
che il legislatore si è posto viene, ovviamente, raggiunto anche attraverso l’utilizzo di altri strumenti
operativi quali i Protocolli di Legalità firmati tra singole stazioni appaltanti, Uffici Territoriali del
Governo e Forze di Polizia (per esempio quello relativo all’esecuzione della BRE.BE.MI), la
costruzione dei Gruppi Interforze presso le singole Prefetture, e, non da ultimi, i controlli e gli accessi
nei cantieri, pianificati in tale sede, grazie anche al ruolo di coordinamento particolarmente
importante che la legge stessa ha assegnato alla Direzione Investigativa Antimafia.

Come facilmente prevedibile dato il suo rilevante contenuto, ma soprattutto considerata l’importanza
delle conseguenze che il legislatore collega al mancato rispetto delle regole, l’articolo 3 ha creato,
al momento della sua entrata in vigore, molti dubbi e perplessità, negli operatori del settore,
relativamente al suo corretto campo di applicazione, alla gestione dei contratti in corso (cosiddetto
“periodo transitorio”) alla pratica esecuzione degli adempimenti ed ai conseguenti ed eventuali
aggravamenti burocratici ed amministrativi.

A fare chiarezza su alcuni punti è intervenuto sia il Ministero dell’Interno con la circolare
13001/118/Gab. del 9.9.2010, riguardante il “periodo transitorio”, sia l’Autorità di Vigilanza sui
Pubblici Contratti (AVCP) con determinazioni numero 8 e numero 10, rispettivamente datate 18
24
novembre 2010 e 22 dicembre 2010, chiarificatrici di alcuni dubbi anche sul campo di applicazione
delle norma e sulle modalità di gestione dei conti dedicati e d’effettuazione delle singole transazioni
finanziarie.

Sebbene il “periodo transitorio” si stia avviando alla conclusione, non mancano ancora i dubbi e le
richieste di spiegazioni da parte delle imprese, ciò data anche la mancanza di sorta, per così dire,
di giurisprudenza che, come sempre, si svilupperà a seguito della pratica e, soprattutto, come
conseguenza dell’esercizio delle attività di vigilanza e di controllo,

Prima di passare a commentare il contenuto dell’articolo 3, e le pratiche conseguenze che esso ha


nell’ordinaria vita delle imprese del settore, deve essere precisato che, come indicato dalla stessa
AVCP, la norma di riferimento per le definizioni di appalto pubblico, contratto pubblico, fornitura
pubblica, concessione, ecc… è, oltre ovviamente al Codice Civile[10], il Codice dei Contratti, ossia
il Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163[11].

2. Il contenuto della norma

2.1. Il campo di applicazione ed i soggetti passivi

L’articolo 3 obbliga gli appaltatori, i subappaltatori ed i subcontraenti della filiera delle imprese,
nonché i concessionari di finanziamenti pubblici anche europei a qualsiasi titolo interessati ai lavori,
ai servizi ed alle forniture pubbliche ad utilizzare uno o più conti correnti bancari o postali dedicati,
ancorché in via non esclusiva, alle commesse pubbliche, a registrare su di essi tutti i movimenti
finanziari relativi ai quei lavori o servizi, e ad effettuarli o con lo strumento del bonifico bancario o
postale, oppure con altri strumenti che siano, comunque, in grado di garantire la tracciabilità.

Il campo di applicazione è, quindi, molto ampio, tanto da comprendere tutti i contratti di appalto
pubblico, di servizio pubblico, di fornitura pubblica conclusi tra un operatore economico privato
(impresa) ed il committente pubblico, senza alcuna distinzione d’importo, e con o senza la
predisposizione di un’ apposita gara, tutti i relativi subappalti, le relative subforniture, e subcontratti,
le relative procedure in economia, purché effettuate “in cottimo” ossia con affidamento a terzi[12], e
tutte le concessioni di lavori e servizi pubblici[13].

Con la citata determinazione n. 8/2010, l’AVCP ha poi precisato che rientrano tra queste attività
anche quei casi particolari in cui soggetti privati affidano appalti pubblici, quali ad esempio quelli
relativi all’esecuzione di lavori a scomputo di oneri di urbanizzazione, oppure quelli indicati alle
lettere d) ed e) del primo comma dell’articolo 32 del Codice dei Contratti[14].

Permangono, ancora, dubbi in merito all’applicabilità della tracciabilità ai casi di erogazione di


finanziamenti pubblici non corrispondenti alla resa di lavori, servizi o di forniture, ossia a quei casi in
cui al contributo pubblico non è direttamente associabile una precisa contropartita, come per
esempio i finanziamenti erogati a titolo di rimborso spese o di generico contributo a favore delle
ONLUS.

Ne consegue che i soggetti passivi sono tutti coloro che a vario titolo (a partire dalla stazione
appaltante, fino all’appaltatore, fino ai subappaltatori ed ai subcontraenti, ecc…) sono parte della
cosiddetta filiera, ossia sono interessati, a qualsiasi titolo, all’esecuzione, anche se non esclusiva,
del contratto d’appalto pubblico per lavori o servizi pubblici[15], nonché i concessionari di lavori e di
servizi pubblici, ossia, più brevemente tutti coloro che ricevono denaro pubblico relativo ad appalti e
contratti per lavori, contratti, forniture, servizi e concessioni pubbliche.

Soffermandosi un attimo sul primo gruppo di soggetti, si può vedere immediatamente come tra
costoro rientrino tutti coloro che, indipendentemente dalle caratteristiche giuridiche, dal tipo di attività

25
svolta, dalla classificazione o meno come subappalto ex undicesimo comma dell’articolo 118 del
Codice dei Contratti, intervengono a qualunque titolo nella realizzazione dell’opera.

Tale interpretazione, per altro fatta propria dall’AVCP nelle sue due determinazioni, è perfettamente
compatibile sia con lo scopo della norma, sia con quelle disposizioni di legge già sopra citate relative
alla ricostruzione post terremoto in Abruzzo.

Sul primo punto, rammentando come l’articolo 3 tenda ad evitare l’infiltrazione criminale nello
specifico settore dei pubblici appalti, è evidente che la tracciabilità non possa non riguardare anche
quelle attività che, sebbene non classificate dal Codice dei Contratti come subappalto, comportano
comunque l’impiego di risorse finanziarie pubbliche e, spesso, per recentissima esperienza
investigativa, presentano, come gli scavi ed il movimento terra o la rimozione degli inerti, un elevato
rischio di “infiltrazione”.

In ordine, invece, al secondo punto, si deve notare come tale ampia interpretazione fosse già
contenuta nel quarto comma dell’articolo 16 del D.L. N. 39/2009[16] che prevede l’osservanza di
particolari linee guida antimafia elaborate, come visto, dal Comitato per l’alta sorveglianza delle
grandi opere, ai contratti pubblici, ai successivi subappalti e subcontratti, aventi ad oggetto lavori,
servizi e forniture.

Ancora va citato il Decreto Presidente della Repubblica 2 agosto 2010 n. 150[17], recante il
regolamento in materia di rilascio di autorizzazioni antimafia a seguito di accesso nei cantieri, che
individua i soggetti interessati a rilascio di tali documenti, in tutti coloro che intervengono nella
realizzazione dell’opera pubblica indipendentemente dall’importo dei relativi contratti e subcontratti
e dalla natura dell’attività svolta[18].

L’articolo 3 deve, quindi, applicarsi anche nei casi di lavori affidati dalla società concessionaria o
dall’ente aggiudicatore ad imprese collegate, così come ai rapporti interni ad un raggruppamento
temporaneo creatosi allo scopo di aggiudicarsi l’appalto o la concessione pubblica.

Secondo l’interpretazione della AVCP, ai fini della tracciabilità, non rileva, infatti, né il rapporto di
collegamento né il mandato che i singoli componenti del raggruppamento affidano, con scrittura
privata, ad uno di loro allo scopo di rappresentarli nei confronti della Pubblica Amministrazione
appaltante.

Molto spesso le operazioni “intragruppo”, e sovente nei casi di grandi imprese, vengono gestite
attraverso meccanismi di tesoreria accentrata in capo alla capogruppo. In tale caso, l’obbligo di
tracciabilità dev’essere assolto con riferimento a tutti i movimenti in capo alle singole società: è
evidente che, in questi casi, devono essere adottati, principalmente a cura della stessa capogruppo,
tutti i meccanismi burocratici e contabili per assicurare il rispetto dell’obbligo di legge.

A seguito delle numerose richieste di pareri e d’interpretazioni, l’AVCP ha specifico che le norme
sulla tracciabilità si applicano anche a:

(a) contratti stipulati dalle imprese pubbliche nell’ambito dei cosiddetti “settori speciali” di cui alla
direttiva 2004/17/CEE, e di cui alla parte III del Codice dei Contratti, e, nei confronti dei quali, ex
articolo 152 di questo stesso testo di legge si applicano le norme generali sui pubblici appalti[19];

(b) contratti che, sebbene esclusi dall’applicazione dello stesso Codice sono riconducibili alle
caratteristiche dell’appalto[20];

(c) transazioni aventi ad oggetto il pagamento di cauzioni e fideiussioni, con la sola deroga relativa
alla non indicazione del Codice Identificativo di Gara (CIG) e del Codice Unico di Progetto (CUP);

26
(d) operazioni di cessioni del credito tra stazioni appaltanti e cessionari, con l’obbligo, in questo caso,
dell’indicazione del CIG e del CUP.

Analogamente, sono, invece, da ritenersi estranee al campo di applicazione dell’articolo 3:

(a) i contratti di diritto privato stipulati dalle imprese pubbliche al di fuori della loro attività pubblica;

(b) i contratti di servizi che, sebbene pubblici, sono esclusi, ex articolo 19 dall’applicazione del
Codice dei Contratti[21];

(c) appalti pubblici di servizi che riguardano due amministrazioni pubbliche, ad esempio con l’ARPA
per l’esecuzione delle verifiche ed i controlli ambientali. L’esclusione è, in questo caso, motivata
dall’assenza della “terzietà”, nel senso che le risorse finanziarie movimentate restano nell’ambito
pubblico, e sono già sottoposte a tracciamento;

(d) servizi e produzioni in economia solo se effettuate in amministrazione diretta. Anche in questo
caso l’esclusione è motivata dall’assenza del requisito della “terzietà”;

(e) movimentazioni di denaro a favore delle Pubbliche Amministrazioni da soggetti giuridicamente


da loro distinti ma sottoposti ad analogo controllo (ad esempio, la contribuzione della Cassa
Integrazione Guadagni). Anche in questo caso, come in quelli sub c) e d), l’esclusione è giustificata
dall’assenza della “terzietà”;

(f) i pagamenti effettuati a favore di terzi, estranei alla filiera di cui al prima comma dell’articolo 3, per
la corresponsione di indennizzi assicurativi per danni ed espropri. Similmente, ai casi sub c) d) ed
e), quest’esclusione è giustificata dall’estraneità del terzo percettore alla filiera dell’appalto;

(g) le spese economali, ossia le spese che le amministrazioni pubbliche coprono con l’utilizzo, anche
per cassa, di uno specifico fondo detto appunto “fondo economale”, impiegato non a fronte di uno
specifico contratto, ed a condizione che le stesse siano indicate in un provvedimento interno dell’ente
pubblico[22].

Di particolare interesse è il tema relativo all’applicabilità delle norme sulla tracciabilità alle risorse
finanziarie movimentate, nell’ambito dell’esecuzione delle attività rientranti nel campo di
applicazione della norma, a favore di lavoratori autonomi, siano essi più o meno organizzati in forma
individuale, associata o societaria.

L’elemento che, secondo l’AVCP deve ritenersi discriminante è la natura della prestazione che il
professionista è chiamato a fornire[23].

Occorre, infatti, distinguere i casi in cui al professionista l’affidamento avvenga in forza di un


conferimento di un incarico professionale all’interno del quale è prevalente la connotazione della
personalità (ad esempio il rilascio di un parere legale), da quello in cui l’affidamento avvenga, al
contrario, in base alla norme del Codice dei Contratti, ed in cui è prevalente la prestazione di un
servizio (servizi di progettazione).

Solo nel primo caso, l’AVCP ritiene applicabili le norme sulle tracciabilità.

2.2. La tracciabilità

Concretamente, la tracciabilità si realizza mediante il rispetto, da parte dei soggetti obbligati, delle
seguenti disposizioni:

27
(a) utilizzo, per la gestione di tutti i flussi finanziari connessi all’appalto, al subappalto, al contratto,
alla fornitura, alla concessione, ecc…, di uno o più conti correnti bancari o postali dedicati, ancorché
in via non esclusiva, ed i cui estremi devono essere comunicati alla stazione appaltante o all’ente
concedente entro sette giorni dalla loro accensione, se nuovi, oppure dalla loro prima utilizzazione,
se già attivi;

(b) effettuazione di ogni movimento finanziario di cui al punto sub (a) attraverso bonifico bancario o
postale, oppure con altro strumento che garantisca la tracciabilità;

(c) indicazione, in quegli strumenti di pagamento (ad esempio, nella causale del bonifico) del Codice
Identificativo di Gara (CIG) e, nei casi in cui lo prevede la Legge n. 3/2003, del Codice Unico di
Progetto (CUP).

Il conto corrente (o i conti correnti) bancario o postale dedicato, ossia quello che i soggetti obbligati
decidono di utilizzare per la gestione delle risorse finanziarie connesse all’appalto, al subappalto, al
contratto, alla fornitura, al servizio o concessione pubblica, può essere utilizzato anche in via non
esclusiva, nel senso che su di esso possono essere veicolate anche risorse estranee a tale
circostanza[24].

Per lo stesso principio, secondo l’AVCP, se nei confronti della stessa stazione appaltante o del
medesimo ente concedente, sono attivi più contratti, appalti, concessioni, l’impresa può utilizzare un
unico conto (anche se relativo a più rapporti contrattuali), ed ancora, nel caso di conto dedicato in
via esclusiva, è possibile (ad esempio per esigenze di liquidità) anche il prelievo di somme da
destinare ad altri usi, purché il fondo venga ricostituito sempre a mezzo di strumenti che
garantiscano la tracciabilità.

Ne consegue che, nel caso di conto “in rosso”, al fine di effettuare, per esempio, dei pagamenti ai
propri fornitori e/o consulenti, l’impresa può compensare il saldo negativo con altre provviste, purché
ne venga sempre garantita la tracciabilità.

Tali precisazioni, specialmente per le realtà delle medie e piccole imprese, evitano gli aggravamenti
burocratici connessi all’apertura di uno o più nuovi conti, con il conseguente sostenimento dei relativi
costi.

Sebbene, quindi, sul conto indicato (o sui conti indicati) possano essere movimentate anche somme
differenti da quelle relative all’appalto, l’importante è che queste ultime siano obbligatoriamente (a
pena dell’applicazione di sanzioni pecuniarie e contrattuali) movimentate solamente su quel conto
(o su quei conti).

Durante l’esame complessivo delle transazioni su questo transitate, conseguente, ad esempio, ad


una verifica fiscale oppure ad un’indagine di polizia giudiziaria, la riconducibilità dei singoli movimenti
all’appalto sarà possibile grazie alla lettura del dettaglio delle singole operazioni, per le quali, ove
obbligatorio, dovranno essere indicati il CIG, ed ove necessario, anche il CUP.

Analogamente, devono essere veicolate sul conto corrente dedicato (o sui conti correnti dedicati)
anche i pagamenti che i soggetti obbligati effettuano, sempre in ordine all’esecuzione dell’opera o
del servizio pubblico, a favore di dipendenti, consulenti, e fornitori di beni, servizi ed immobilizzazioni
tecniche, anche se l’importo loro pagato non è totalmente riferibile all’esecuzione di una singola
opera o di un singolo servizio pubblico.

Come i flussi tra stazioni appaltanti ed appaltatori, e come quelli da questi “a scendere” lungo tutta
la filiera, anche queste transazioni devono avvenire o con bonifico bancario o postale, o con altro
strumento idoneo a garantire la tracciabilità, con l’unica differenza che, secondo quanto indicato
dall’AVCP, in questi casi non è da ritenersi obbligatoria l’indicazione del CIG e del CUP.

28
Sul conto dedicato (o sui conti dedicati) devono confluire anche quelle operazioni oggetto del terzo
comma dell’articolo 3, e cioè quelle riguardanti i pagamenti effettuati a favore di enti previdenziali,
assicurativi ed istituzionali, per il pagamento di pubblici servizi (tra i quali i tributi), e per la copertura
delle spese di minima entità, mai superiori ai 1.500,00 euro giornalieri[25].

In questi casi, pur restano valido il divieto di impiego del contante, è possibile, in luogo del bonifico,
l’utilizzo di altri strumenti di pagamento. Sul punto, giova osservare come, nonostante, il citato terzo
comma non preveda espressamente che lo strumento alternativo debba, come nel caso dei
pagamenti a fornitori e simili, essere in grado di garantire la tracciabilità, l’AVCP sia è dichiarata di
avviso contrario, pur confermando, anche per essi la non obbligatorietà dell’indicazione del CIG e
del CUP.

Questo parere dell’AVCP[26] pare motivato, se si considera come l’ultimo periodo del terzo comma,
peraltro aggiunto dal D.L. 187/2010, renda possibile disporre di un fondo cassa per il pagamento
delle spese giornaliere, a condizione che esso sia costituito e reintegrato a mezzo di bonifico
bancario o postale o di strumenti che, questa volta per espressa previsione di legge, garantiscano
la tracciabilità.

In sintesi, pur con la condizione della “non esclusività”, sul conto dedicato (o sui conti dedicati)
devono confluire obbligatoriamente ed a mezzo o di bonifico bancario o postale, o di altro strumento
tracciabile, ed in nessun caso mai per contante, tutti flussi finanziari, che, senza alcuna limitazione
d’importo:

(a) partendo dalla stazione appaltante pubblica passano all’appaltatore (al concessionario) privato,
e da questo, poi, scendono per tutta la filiera dei subappalti, dei subcontratti e dei subfornitori;

(b) i soggetti obbligati “diramano” verso i dipendenti, i consulenti, i fornitori di beni, servizi ed
immobilizzazioni tecniche che hanno contribuito, anche pro-quota, alla realizzazione dell’opera o
alla fornitura del servizio;

(c) gli stessi soggetti obbligati originano per i pagamenti a favore di enti previdenziali, assicurativi,
istituzionali, e per la copertura delle spese giornaliere di importo non superiore ai 1.500,00 euro.

Tutto ciò, con il rispetto di precise disposizioni:

(1) per le operazioni sub (a), è l’obbligatorio l’impiego del bonifico bancario o postale, o di altro
strumento che garantisca la tracciabilità, nonché l’inserimento nei giustificativi delle operazioni dei
codici CIG e, dove obbligatorio, CUP;

(2) per le operazioni sub (b), è l’obbligatorio l’impiego o del bonifico bancario o postale o di altro
strumento che garantisca la tracciabilità, ma, pur non essendo espressamente stabilito, secondo
l’AVCP non sarebbe obbligatoria l’’indicazione del CIG e del CUP;

(3) per le operazioni sub (c), pur non essendo espressamente indicato, secondo l’AVCP sarebbe,
comunque, obbligatorio l’impiego o del bonifico bancario o postale o di altri strumenti che
garantiscano la tracciabilità (la stessa Autorità consiglia l’uso delle carte di debito o di pagamento),
e non sarebbe, invece, necessaria l’indicazione del CIG e del CUP.

Ancora una volta appare ben evidente quale sia lo scopo che il legislatore intendere raggiungere:
tracciare, al massimo, l’impiego del denaro pubblico, per evitare che esso finisca nelle mani delle
organizzazioni criminali.

29
Si è più volte fatto cenno alla possibilità di impiego, in luogo del bonifico bancario o postale, di altri
strumenti che garantiscano la tracciabilità: tra questi si possono citare le RIBA, il sistema POS, il
MAV, ed, al limite, anche il Bancomat.

Non è invece consigliabile, ovviamente solo per i le operazioni indicate come sub (a), l’impiego del
RID che, nonostante sia il più diffuso strumento di addebito automatico, pare, per quanto comunicato
dalla stessa AVCP, non essere, al momento, in grado di consentire l’inserimento e la corretta
gestione informatica dei codici CIG e CUP, come visto essenziali (specialmente il CIG) per garantire
la ricostruibilità dei flussi e dei movimenti finanziari.

Alcune precisazioni sono, poi, opportune in ordine all’impiego degli assegni, strumenti ancora
largamente diffusi nel nostro Paese soprattutto nel settore edile delle medie e piccole imprese,
specialmente per i pagamenti a dipendenti, fornitori e consulenti.

Secondo l’AVCP, l’impiego dell’assegno è possibile a condizione che essi vengano tratti dal conto
dedicato, siano muniti sempre della clausola di non trasferibilità (questo, ovviamente, nel rispetto
della soglia dei 5.000,00 euro[27]) e che, laddove non siano rispettate tali condizioni precedenti, il
beneficiario sia in grado legittimamente di rifiutare il pagamento.

E’ evidente come tali condizioni, specialmente in considerazione della non esistenza di un limite
minimo imposto dall’articolo 3, siano sempre determinate dall’assoluta necessità di garantire la
tracciabilità del denaro pubblico.

In merito alla comunicazione da effettuarsi alla stazione appaltante o all’ente concedente, la norma
non precisa né le modalità pratiche, né, tanto meno, il suo contenuto; il legislatore, infatti, si limita a
precisare che essa deve comprendere anche il nominativo delle persone fisiche abilitate ad operare
sui rapporti indicati quali dedicati.

Sul punto, l’AVCP ha specificato che è preferibile l’utilizzo di un procedimento tracciabile


(raccomandata, email certificata, corriere ecc….), e che la comunicazione, debitamente firmata (nel
caso di una persona giuridica dal legale rappresentante o da un suo procuratore) contenga, oltre
ovviamente agli estremi del soggetto obbligato, anche gli estremi completi del rapporto o dei rapporti
dedicati (ABI, CAB, codice CIN ovvero l’IBAN) e dell’intermediario bancario o postale (indirizzo
dell’agenzia o della filiale).

CIG e CUP sono due codici diversi che, in quanto tali, corrispondono ad esigenze differenti.

Ai fini della tracciabilità, ciò che maggiormente rileva è il Codice Identificativo di Gara (CIG) che deve
essere obbligatoriamente[28] richiesto all’AVCP a cura della stazione appaltante, prima
dell’indizione dell’eventuale procedura di gara (il CIG va, infatti, indicato nel bando oppure, in caso
contrario, nella lettera d’invito), e che deve comparire nelle richieste di offerte ed assolutamente negli
ordinativi di pagamento[29].

Lo scopo del CIG è identificare, e quindi ex post tracciare, tutti i pagamenti relativi ad ogni singolo
affidamento, che avvengono all’interno del più ampio progetto che, a sua volta, è, invece, indicato
dal Codice Unico di Progetto (CUP), attribuito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze[30].

Prima di analizzare le sanzioni che il legislatore ha previsto in caso di inosservanza della norma, è
necessario fornire alcune indicazioni in ordine agli obblighi che l’ottavo ed il nono comma dell’articolo
3 prevedono a carico della stazione appaltante.

In primo luogo, essa deve inserire nei contratti stipulati con i propri appaltatori, ed a pena di nullità
assoluta, un’apposita clausola che li vincoli al rispetto delle disposizioni in materia di tracciabilità dei

30
flussi finanziari, e, in secondo luogo, deve verificare che costoro, sempre a pena di nullità assoluta,
facciano lo stesso nei confronti dei contratti da loro stipulati con gli altri componenti della filiera.

Subito dopo l’entrata in vigore della norma, il concreto soddisfacimento di questi obblighi ha sollevato
alcune perplessità in relazione ai contratti già in essere in quel momento.

Il problema del cosiddetto “periodo transitorio” venne immediatamente risolto dalla circolare
130001/118/Gab del 9.9.2010 del Ministero dell’Interno, che stabilì come gli obblighi di tracciabilità
si applicassero solo ai contratti sottoscritti successivamente al 7.9.2010, anche se relativi a bandi
già precedentemente pubblicati.

Per i contratti in essere a quella data, il comma 2 dell’articolo 6 del D.L. 187/2010 prevede
l’adeguamento automatico entro 180 giorni a decorrere dalla data di entrata in vigore della Legge n.
217/2010, norma di conversazione e modifica del sopra citato decreto legge[31].

Le stazioni appaltanti, ed i singoli soggetti obbligati che hanno notizia del mancato adempimento
degli obblighi di tracciabilità da parte delle loro controparti, devono informare la stazione appaltante
stessa, e l’UTG territorialmente competente in ordine alla sede della medesima stazione appaltante.

Il Prefetto è, infatti, l’organo al quale l’articolo 6 della Legge n. 136/2010 assegna il compito di
accertare ed applicare le sanzioni pecuniarie previste dall’ articolo 6 della stessa Legge 136/2010,
secondo le procedure generali della Legge n. 689/1981.

Sempre nel citato articolo 6, il legislatore ha specificato quali siano le sanzioni applicabili:

( a ) l’effettuazione di pagamenti senza servirsi delle banche o delle Poste Italiane Spa è punito con
una sanzione amministrativa compresa tra il 5 ed il 20 per cento dell’importo della transazione;

( b ) il non utilizzo del conto dedicato (o dei conti dedicati), ovvero il non impiego del bonifico bancario
o postale, o di altro strumento idoneo a garantire la tracciabilità, è punito con una sanzione
amministrativa compresa tra il 2 ed il 10% dell’importo della transazione, aggiungendo, poi, che ai
sensi del comma 9 bis dell’articolo 3[32] tale condotta è causa di risoluzione del contratto;

( c ) la mancata indicazione nel bonifico bancario o postale, o negli altri strumenti idonei a garantire
la tracciabilità, del CIG e, solo quando obbligatorio anche del CUP, è punita con una sanzione
amministrativa compresa tra il 2 ed il 10% dell’importo della transazione;

( d ) le operazioni di reintegro dei conti correnti dedicati avvenute senza l’utilizzo del bonifico bancario
o postale, o di altri strumenti idonei a garantire la tracciabilità, è punita con una sanzione
amministrativa compresa tra il 2 ed il 5% di ciascun accredito;

( e ) la mancata, tardiva o incompleta comunicazione dei dati identificativi del conto dedicato (o dei
conti dedicati) è punita con la sanzione amministrativa a da 500,00 a 3.000,00 euro.

Il Prefetto territorialmente competente, in ordine al luogo ove ha sede la stazione appaltante o l’ente
concedente, è l’organo deputato all’accertamento ed alla contestazione delle violazioni. Per esse si
applica la procedura prevista dalla Legge n. 689/1981, con l’evidenza che l’eventuale ricorso deve
essere presentato davanti al Giudice del luogo ove ha sede l’UTG accertante.

Anche a carico dell’Autorità Giudiziaria sussiste, fatte salve le esigenze investigative, l’obbligo di
comunicazione all’UTG delle violazioni di cui viene a conoscenza.

[1] Legge 13 agosto 2010, n. 136: “Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia”.

31
[2] D.L. 12 novembre 2010, n. 187: “Misure urgenti in materia di sicurezza”, convertito con modificazioni dalla Legge 17 dicembre 2010,
n. 217.

[3] Decreto Legge 29 aprile 2009: “Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese
di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile”. Il quinto comma dell’articolo 16 così recita: “Per l’efficacia dei controlli
antimafia nei contratti pubblici e nei successivi subappalti e subcontratti aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture e nelle erogazioni e
concessioni di provvidenze pubbliche, e’ prevista la tracciabilità dei relativi flussi finanziari. … omississ…”.

[4] Anche in quel caso, tuttavia, non si trattava di una novità: misure analoghe erano già state adottate, a livello “locale”, all’interno dei
progetti per la costruzione del ponte sullo stretto di Messina, e per la linea C della metropolitana di Roma.

[5] La comunicazione in argomento è stata emessa in esecuzione delle norme di cui alla lettera b), comma 7 dell’articolo 6 del Decreto
Legislativo n. 231/2007 che assegno all’UIF il compito di elaborare e diffondere modelli e schemi rappresentativi di comportamenti anomali
sul piano economico e finanziario riferibili a possibili attività di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.

[6] Legge 15 luglio 2009, n. 94: “ Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”.

[7] Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231: “Disciplina della responsabilità amministrative delle persone giuridiche, delle società e delle
associazioni prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della Legge 29 settembre 2000, n. 300”.

[8] La Legge n. 94/2009 ha inserito, all’interno del testo del Decreto Legislativo n. 231/2001, l’articolo 24 ter intestato “Delitti di criminalità
organizzata” e così composto:” In relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 416, sesto comma, 416-bis, 416-ter e
630 del codice penale, ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare
l’attività’ delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché ai delitti previsti dall’articolo 74 del testo unico di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, si applica la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote”.

[9] Non deve, tuttavia, essere dimenticato che già nella sua originaria versione il Decreto Legislativo n. 231/2001 contemplava, tra i reati
per i quali si ritiene esistente la responsabilità dell’ente, altre fattispecie penali connesse al mondo dei pubblici incanti quali quelle di
indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche, siano esse
nazionali o meno.

[10] In particolare l’articolo 1655 contenente la definizione di appalto.

[11] Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163: “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive
2004/17/CEE e 2004/18/CEE”.

[12] L’articolo 125 del Codice dei Contratti distingue due tipologie di lavori, servizi e forniture in economia: quelle effettuate mediante
amministrazione diretta, ossia con personale della stazione appaltante che opera sotto la sua stessa direzione e che impiega materiali e
mezzi propri oppure appositamente noleggiati o acquistati, da quelle effettuate in “cottimo fiduciario”, ossia a seguito di procedura
negoziata con affidamento a terzi. Secondo l’AVCP l’articolo 3 è applicabile solo in questo secondo caso.

[13] Le concessioni rientrano nel campo di applicazione dell’articolo 3 in quanto esse, sia secondo il Codice dei Contratti che secondo il
legislatore comunitario, presentano caratteristiche di un appalto pubblico con l’unica eccezione che, in luogo del pagamento, l’operatore
economico riceve il diritto di usare il bene/servizio oggetto della concessione, diritto che può essere anche accompagnato da un prezzo.

[14] Si tratta dell’esecuzione di lavori di edilizia per ospedali, impianti ricreativi e sportivi, per il tempo libero superiori al milione di euro, a
fronte della ricezione di un contributo pubblico in conto capitale o interessi per un importo attualizzato superiore al 50% del valore dei
lavori, e degli appalti di servizi, affidati da soggetti privati, relativamente ai servizi il cui valore stimato, al netto dell’IVA, sia pari o superiore
a 211.000,00 euro, nel rispetto di particolari condizioni indicate.

[15] Il terzo comma dell’articolo 6 del D.L. 187/2010 ha espressamente stabilito come debba intendersi il termine “filiera delle imprese”,
intendo questa riferita ai subappalti così come definiti dall’articolo 118 del Codice dei Contratti, nonché a tutti i subcontratti stipulati per
l’esecuzione, anche non esclusiva, dell’opera o per la fornitura del servizio.

[16] Il quarto comma dell’articolo 16, intestato “prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata negli interventi per l’emergenza
e la ricostruzione nella regione Abruzzo” così recita: “I controlli antimafia sui contratti pubblici e sui successivi subappalti e subcontratti
aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture sono altresì effettuati con l’osservanza delle linee guida indicate dal Comitato di coordinamento
per l’alta sorveglianza delle grandi opere, anche in deroga a quanto previsto dal regolamento di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 3 giugno 1998, n. 252.

[17] Decreto Presidente della Repubblica 2 agosto 2010, n. 150: “Regolamento recante norme relative al rilascio delle informazioni
antimafia a seguito degli accessi e accertamenti nei cantieri delle imprese interessate all’esecuzione di lavori pubblici”.

[18] Il secondo comma dell’articolo 1 così recita del D.P.R. n. 150/2010 così recita: “Ai fini di cui al comma 1 sono imprese interessate
all’esecuzione di lavori pubblici tutti i soggetti che intervengono a qualunque titolo nel ciclo di realizzazione dell’opera, anche con noli e
forniture di beni e prestazioni di servizi, ivi compresi quelli di natura intellettuale, qualunque sia l’importo dei relativi contratti o dei
subcontratti”. Rientrano quindi : i noli a caldo, noli a freddo, forniture di ferro, calcestruzzo, cemento, inerti, trasporti, scavo e movimento
terra, smaltimento rifiuti, guardiania, progettazione, servizio di mensa e pulizia di cantiere, ecc….

32
[19] Rientrano in questa casistica: i casi di finanza di progetto, società di progetto e di locazione finanziaria di opere pubbliche e di pubblica
utilità, comunemente detti di partenariato pubblico, disciplinati dagli articoli 160 bis, 153 e 156 del Codice dei Contratti.

[20] Tra costoro, l’AVCP ha indicato quelli che hanno una particolare importanza strategica vale a dire che riguardano armi, munizioni,
materiale bellico, materiale segregato e quelli aggiudicati sulla base di norme internazionali (articoli 16, 17 e 18 del D.Lgsvo 163/2006) e
quelli compresi nell’allegato II B allo stesso testo di legge.

[21] L’articolo 19 del Codice dei Contratti fa riferimento a: locazione ed acquisto di immobili o di diritti su tali beni, produzione e trasmissione
programmi radiotelevisivi, arbitrato e conciliazione, servizi finanziari relativi all’emissione ed all’acquisto e vendita/trasferimento di titoli, di
lavoro conclusi tra la stazione appaltante ed i propri dipendenti o figure assimilabili.

[22] Si tratta, in linea di massima, di spese di piccola e modica entità, non superiori ad un limite indicato nello stesso provvedimento
interno, ed in genere connotate da requisito di immediatezza e di urgenza: l’AVCP cita, per esempio, l’acquisto di marche da bollo,
quotidiani, biglietti di trasporto, ecc…

[23] Sul punto, si richiama il punto 3. della determinazione n. 8 del 18 novembre 2010.

[24] Così come la definizione di “filiera delle imprese”, anche quella di “non esclusività” è stata precisata dal D.L. 187/2010, ed in particolare
dal quarto comma dell’articolo 6.

[25] Prima delle modifiche introdotte dal D.L. 187/2010, tale importo era di 500,00 euro. Esso, in ogni caso, deve intendersi giornaliero.

[26] Contenuto in entrambe le determinazioni 8/2010 e 10/2010.

[27] La soglia è stabilita dal’articolo 49 del Decreto Legislativo n. 231/2007.

[28] Prima dell’entrata in vigore della Legge 136/2010, la richiesta del CIG non era sempre obbligatoria.

[29] L’AVCP ha stabilito che, nel caso di procedure di urgenza affidate prima della comunicazione del CIG, che esso debba essere inserito
la prima volta almeno negli ordinativi di pagamento.

[30] A differenza del CIG, il CUP ha più che ha altro una funzione di monitoraggio generale degli investimenti pubblici.

[31] Il secondo comma dell’articolo 6 del D.L. 12 novembre 2010 così recita: ““I contratti stipulati precedentemente alla data di entrata in
vigore della legge 13 agosto 2010, n. 136, ed i contratti di subappalto e i subcontratti da essi derivanti sono adeguati alle disposizioni di
cui all’articolo 3 della medesima legge n. 136 del 2010, come modificato dal comma 1, lettera a), dell’articolo 7 del presente decreto, entro
centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Ai sensi dell’articolo 1374 del codice
civile, tali contratti si intendono automaticamente integrati con le clausole di tracciabilità previste dai commi 8 e 9 del citato articolo 3 della
legge n. 136 del 2010, e successive modificazioni".

[32] Comma aggiunto dal D.L. n. 187/2010.

SPLIT PAYMENT (SCISSIONE DEI PAGAMENTI) FINO AL 2023, COME FUNZIONA

Lo split payment è un regime destinato ai fornitori della pubblica amministrazione per stabilire la

liquidazione e il versamento dell’Iva: vediamo nel dettaglio come, quando e a chi si applica la

scissione dei pagamenti nella fattura elettronica

Il meccanismo dello split payment nella fattura elettronica è stato introdotto dalla legge di stabilità
2015 (Legge 190/2014) per contrastare l’evasione fiscale e in particolare per abbattere l’evasione
dell’Iva, l’imposta sul valore aggiunto (imposta generale sul consumo nell’Unione europea) che
risulta essere il tributo più evaso. Prima è stato ampliato dal DL 50/2017, poi modificato dal decreto
Dignità 2018.

Indice degli argomenti

33
Cosa significa split payment o scissione dei pagamenti

Lo split payment è un processo di scissione dei pagamenti dell’Iva all’erario, nel momento
dell’acquisto di beni e/o servizi, comprati da parte della pubblica amministrazione (PA). Si tratta
di una procedura fiscale applicata esclusivamente ai fornitori della pubblica amministrazione.

La procedura costituisce un’eccezione al funzionamento classico dell’Iva, in genere addebitata in


fattura al cliente e poi versata dal fornitore alle casse dell’Erario. Con il meccanismo della scissione
dei pagamenti è invece la pubblica amministrazione a farlo direttamente. La scissione dei pagamenti
è applicata esclusivamente ai fornitori della Pubblica amministrazione: imprese e professionisti,
tranne quelli esclusi assoggettati a ritenute alla fonte, in base al decreto Dignità 2018. Sono
riconosciuti fornitori della PA coloro che ne fanno richiesta a organici pubblici che applicano lo split
payment.

In generale, i soggetti obbligati allo split payment sono indicati negli elenchi del dipartimento
del Ministero delle Finanze e elenco PA:

• Stato italiano e pubblica amministrazione;


• gli organi statali;
• gli enti pubblici;
• i consorzi costituiti da enti pubblici;
• le aziende sanitarie locali (Asl);
• gli ospedali;
• le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (CCIAA);
• le università;
• i professionisti (esclusi coloro che sono esonerati in base al decreto Dignità del 2018);
• le società pubbliche;
• le società quotate inserite nell’indice Ftse Mib.

Fatturazione con split payment

La scissione dei pagamenti segue questo schema:

• il fornitore incassa il corrispettivo della cessione (o prestazione) senza Iva;


• il committente effettua il versamento dell’imposta all’Erario, seguendo determinate modalità;
• il fornitore emette fattura elettronica indicando la percentuale e l’importo dell’Iva, senza però
caricarle nei confronti del committente, e inserisce la dicitura relativa all’operazione soggetta
a split payment.

Quando si emette fattura con split payment

Il meccanismo della scissione dei pagamenti si applica quando un fornitore ha l’obbligo di emettere
una fattura nei confronti di:

• una pubblica amministrazione (tutta la PA, università, ente pubblico, Comune, Regione
eccetera);
• un altro soggetto indicato all’art. 17-ter, c. 1-bis del D.P.R. 633/1972 (società controllate dallo
Stato, fondazioni pubbliche eccetera);

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Come si registra la fattura con split payment

Le fatture emesse nei confronti della pubblica amministrazione dal fornitore di beni o dal prestatore
di servizi con applicazione dello split payment confluiscono nel registro Iva vendite.

L’Iva esposta nella fattura, però, non entra nella liquidazione Iva del fornitore di beni o del prestatore
di servizi, in quanto la pubblica amministrazione versa al fornitore il solo imponibile
e l’Iva direttamente all’erario.

In contabilità i passaggi necessari sono i seguenti:

• registrare la fattura di vendita in modo tale che sia registrata nel registro Iva vendite e nel
libro contabile. Si esegue la registrazione attraverso un conto Iva differente dal solito conto
Iva su vendite o Iva debito, in modo tale da evitare la registrazione nel calcolo dell’imposta
del periodo;
• la pubblica amministrazione, nei confronti del fornitore, vanta un debito per il solo imponibile,
dunque verserà l’importo dell’Iva al fisco; il fornitore ridurrà il credito che ha verso la pubblica
amministrazione e chiuderà il conto dell’imposta sul valore aggiunto applicata sulle vendite;
• quando si incassa la fattura, si chiude il credito verso la PA.

Cosa scrivere nella fattura

Quando si compila una fattura elettronica con applicazione dello split payment, si procede inserendo
il valore “S“ – che significa scissione dei pagamenti – nel campo/tag 2.2.2.8 del file XML denominato
“EsigibilitaIVA”.

Attualmente, se si configura il campo “EsigibilitaIVA” su “S”, l’Agenzia delle Entrate controllerà che
ciò che è inserito nel campo/tag 2.2.2.2 “Natura” non sia contrassegnato come “N6” ovvero
Inversione contabile.

Ecco cosa occorre scrivere nella fattura:

• si emette fattura elettronica in formato XML, utilizzando il blocco-dati <Esigibilità IVA>


(codice 2.2.2.7) e riempiendo il campo con il valore “S” (che indica lo split payment);
• si riporta in nota la dicitura: Operazione soggetta a split payment – il cedente non incassa
l’Iva ai sensi dell’ex art.17-ter del D.P.R. 633/1972, l’acquirente è obbligato al versamento
all’Agenzia delle Entrate;
• si appone la firma digitale sulla fattura;
• si invia la fattura elettronica tramite il sistema di interscambio (Sdi).

Fino a quando si potrà emettere fattura con split payment

L’Italia potrà continuare a utilizzare lo split payment fino al 30 giugno 2023. La Commissione
europea ha infatti adottato la proposta del Consiglio Ue di estendere l’autorizzazione concessa
all’Italia come misura speciale di deroga a quanto previsto dalla direttiva 2006/112/CE in
materia di Iva.

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Chi è esente da split payment

Nell’elenco fornitori erano compresi tutti i professionisti, ma, in base al decreto Dignità del 2018, lo
split payment non si applica alle prestazioni di servizi svolti dai professionisti soggetti a ritenute alla
fonte a titolo di imposta sul reddito o di acconto. Ricapitolando, sono esclusi dal meccanismo di
scissione dei pagamenti i seguenti fornitori:

• i lavoratori autonomi del regime dei minimi (forfettario e di vantaggio) che aderiscono alle
agevolazioni concesse dalla Legge, senza applicare Iva alle fatture;
• i professionisti che applicano ritenuta d’acconto;
• tutti coloro che sono soggetti a inversione contabile o reverse charge (l’Iva è già a carico del
committente).

Esempio di split payment

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Esempio di fattura con split payment

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Cosa dice l’Art. 17 sullo split payment

Il processo di scissione dei pagamenti è disciplinato dalla Legge Iva e dal permesso, concesso
dal Consiglio dell’Unione europea, di utilizzare questo meccanismo in via temporanea. La
normativa che governa lo split payment è la seguente:

• Art. 17 del D.P.R. 633/1972 (Legge IVA);


• Art. 17-ter, comma 1-bis del D.P.R. 633/1972 (che indica tassativamente i soggetti come
società controllate dallo Stato, fondazioni pubbliche eccetera: le amministrazioni pubbliche,
escluse le debitrici d’imposta ovvero soggette al regime di inversione contabile);
• l’Art. 9, comma 1, del D. Lgs. 471/1997 sottopone a sanzione il fornitore inadempiente
secondo la Circolare 27/2017 dell’Agenzia delle Entrate;
• l’ex art. 26, comma 3 del D.P.R. 633/1972 (regolarizza errori con un’apposita nota di
variazione);
• la Circolare 27/2017 dell’Agenzia delle Entrate (dedicata a errori e sanzioni. La circolare ha
specificato che il fornitore dovrà procedere a regolarizzare la fattura emessa senza la dovuta
applicazione della scissione dei pagamenti. In particolare il fornitore dovrà: emettere una
nota di variazione Iva ex art. 26, terzo comma, del DPR n. 633 del 1972; riemettere una
nuova fattura con l’applicazione dello split payment);
• il decreto Dignità 2018 ha escluso alcune categorie di professionisti dall’elenco;
• la decisione Commissione UE che ha accolto la proposta del Consiglio Ue in merito alla
deroga alla direttiva 2006/112/CE in materia di Iva.

L’Art. 17 del D.P.R. 633/1972

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L’Art. 17 del D.P.R. 633/1972 è la Legge Iva, l’imposta sul valore aggiunto (imposta generale sul
consumo nell’Unione europea), destinato ai debitori d’imposta e sancisce il principio generale
secondo cui l’Iva è dovuta dai soggetti che effettuano cessioni di beni e prestazioni di servizi
imponibili. Essi devono versare l’Iva all’Erario, su base mensile o trimestrale, cumulativamente e al
netto dell’Iva assolta sugli acquisti di beni e servizi e sulle importazioni di beni.

Nell’art. 17 sono previste due modalità di applicazione dell’imposta (la rivalsa viene invece trattata
nell’art. 18):

• l’inversione contabile (o reverse charge), modalità stabilita dall’articolo 17 del D.P.R. n


633/1972, in base alla quale l’Iva, da versare all’Erario, è applicata dal committente o
prestatore;
• la scissione dei pagamenti (o split payment).

Entrambe queste modalità hanno finalità anti-evasione, di riduzione delle frodi fiscali e di
contenimento del divario Iva ovvero il “Vat gap”, la differenza tra il tributo che dovrebbe essere
corrisposto all’erario e quella che è di fatto riscossa.

Lo split payment, esteso fino al 30 giugno 2023, grazie a una decisione della Commissione europea,
è disciplinato dall’articolo 17-ter, Dpr 633/1972, che è stato introdotto dalla legge di stabilità 2015
con l’obiettivo di arginare l’evasione da riscossione dell’Iva (articolo 1, comma 629, lettera b, legge
190/2014).

Art. 17-ter

L’Art. 17-ter riguarda le “operazioni effettuate nei confronti di pubbliche amministrazioni e altri enti e
società”, dunque disciplina la forma di liquidazione IVA tramite split payment.

L’Art. 17-ter disciplina il meccanismo che prevede la scissione dei pagamenti per gli acquisti di beni
e servizi effettuati dalle pubbliche amministrazioni (per i quali queste non siano debitori d’imposta
ovvero per le operazioni non assoggettate al regime di inversione contabile). Il fornitore emette una
particolare fattura in base alla quale l’amministrazione acquirente versa l’imposta direttamente
all’erario, separando il pagamento del corrispettivo dal pagamento della relativa imposta.

Il Dl 148/2017 ha stabilito che il meccanismo della scissione dei pagamenti si applica a tutte le
società controllate dalla pubblica amministrazione (articolo 3). Il dipartimento delle Finanze fornisce
e mantiene continuamente aggiornati gli elenchi delle pubbliche amministrazioni e delle società che
devono applicare lo split payment.

Il Dl 50/2017 ha ampliato il perimetro operativo: lo split payment si impiega per tutte le prestazioni di
servizi e cessioni di beni, rese alle pubbliche amministrazioni che appaiono nell’elenco dell’Istat ed
altri soggetti ad “alta affidabilità fiscale”, come, per esempio, società controllate dallo Stato e società
controllate direttamente dagli enti pubblici territoriali (articolo 1).

Il decreto ha abolito la norma che escludeva lo split payment dall’applicazione ai compensi dei
professionisti.

Ma il decreto Dignità 2018 (Dl 87/2018), in vigore dal 14 luglio 2018, è tornato alla disciplina
originaria: ha nuovamente escluso i compensi dei professionisti dall’applicazione dello split payment.

Il Dl 87/2018 ha introdotto misure in materia di semplificazione fiscale e, relativamente alla Legge


Iva, ha ritoccato l’ambito applicativo del meccanismo della scissione dei pagamenti. Ha stabilito che
lo split payment non si applica alle prestazioni di servizi (dove gli acquirenti sono le pubbliche
amministrazioni) sui cui compensi si applica la ritenute alla fonte. In base al Dl 87/2018, i compensi
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dei professionisti vengono esclusi dal perimetro operativo del meccanismo della scissione dei
pagamenti.

Sanzioni ed errori

Se il fornitore non annota in maniera chiara che la fattura è sottoposta alla procedura dello split
payment, è passibile di sanzione prevista dall’art. 9, comma 1, del D. Lgs. 471/1997 (secondo la
Circolare 27/2017 dell’Agenzia delle Entrate).

Se il fornitore fattura applicando la scissione dei pagamenti, ma omette di indicare la presenza dello
split payment e, soprattutto, applica l’Iva a carico del committente, dovrà mettersi in regola.
Ricordiamo, infatti, che la percentuale e l’importo dell’imposta devono essere esposte in
fattura, ma non caricate in rivalsa nei confronti del cessionario. In caso di errori, la Circolare 27/2017
dell’Agenzia delle Entrate stabilisce, infatti, che sono necessarie una nota di variazione ex. art. 26,
c. 3 del D.P.R. 633/1972 e, parallelamente, un nuovo documento contabile corretto.

L’omesso (o ritardato) versamento all’Erario, per conto del fornitore, dell’Iva da parte della pubblica
amministrazione e società, nel regime di split payment, prevede una sanzione pari al 30%
dell’imposta omessa (o ritardata).

Split payment e reverse charge

Il reverse charge [ex lett. a-ter), dell’art. 17, comma 6, del Dpr. n. 633/72] si applica nei confronti dei
soggetti passivi d’imposta: il Comune in quanto ente pubblico diventa debitore d’imposta solo
quando il servizio in questione rientra tra le attività rilevanti ai fini Iva.

Sono assoggettate a reverse charge (inversione contabile) le nuove prestazioni (pulizia,


demolizione, installazione di impianti e completamento degli edifici).

Quando si effettuano prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di


completamento relative agli edifici nei confronti di una PA, il servizio menzionato (pulizia,
demolizione, installazione impianti e completamento) riguarda attività istituzionali: poiché il Comune
è il “consumatore finale” deve essere utilizzato lo split payment e non il reverse charge.

Ecco due esempi, per capire quando si fattura con il meccanismo del reverse charge e quando
invece si applica lo split payment:

1. Se il Comune usa un suo locale di 100 mq per attività commerciale, l’impresa che svolge le
pulizie del locale a un costo di 1000 euro, dovrà emettere fattura con il meccanismo del
reverse charge riportando la dicitura: “Operazione non soggetta ad addebito di Iva, reverse
charge ai sensi della lett. a-ter), dell’art. 17, co. 6, del Dpr. n. 633/72.”
2. Se il Comune ha un locale di 200 mq, di cui 120 mq adibiti ad attività istituzionale, mentre nei
restanti 80 mq svolge attività commerciale, il costo di pulizia per il locale è pari a 2.000 euro.
L’impresa di pulizia dovrà però emettere una fattura con i seguenti importi: 800 euro ricadono
nell’ambito dell’attività commerciale del Comune, quindi la relativa fattura deve applicare il
reverse charge, riportando la dicitura per l’inversione contabile; invece, 1200 euro rientrano
nell’ambito dell’attività istituzionale del Comune, quindi alla relativa fattura non si applica il
reverse charge bensì lo split payment: l’impresa di pulizia deve inserire in fattura i 1200 euro
con l’apposita dicitura per lo split payment.

Il reverse charge richiede che il prestatore e il committente eseguano gli obblighi comunicativi e
dichiarativi Iva, applicando correttamente le regole.
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Come funziona lo split payment per la pubblica amministrazione

Attraverso la scissione dei pagamenti, gli enti della pubblica amministrazione che effettuano acquisti
di beni e di servizi, versano l’Iva a debito – risultante dalla fattura dei propri fornitori – direttamente
all’erario.

La pubblica amministrazione che, in veste istituzionale, compra beni e/o servizi soggetti a split
payment, versa l’Iva tramite il modello F24 “enti pubblici”.

La pubblica amministrazione che opera in veste commerciale e le società godono di una modalità
alternativa nell’applicazione dello split payment:

• possono versare l’Iva tramite modello F24, presentato entro il 16 del mese successivo a
quello in cui l’imposta richiede l’esigibilità, senza accedere a compensazioni e con la futura
applicazione di un codice tributo ad hoc;
• possono segnare le fatture nel registro entro il 15 del mese successivo a quello in cui il tributo
diventa esigibile, annotando il mese precedente come riferimento; possono mettere in conto
l’Iva relativa alla liquidazione periodica del mese dell’esigibilità; hanno la possibilità di inserire
le fatture nel registro degli acquisti per applicare la detrazione dell’imposta.

Sono previste tre modalità del versamento d’imposta per le pubbliche amministrazioni:

• split payment modello F24 Enti pubblici per PA: con codice tributo “620E”, indicando il codice
fiscale nella sezione contribuente; la denominazione cella PA che effettua il pagamento; la
lettera F nella sezione “Dettaglio versamento”; il codice tributo 6040 nella causale; mese e
anno per cui si esegue il versamento, nel riferimento A e B) e per chi è titolare di conto
corrente alla Banca d’Italia;
• versamento unificato per le PA con conto corrente presso Poste italiane;
• direttamente alle entrate del bilancio dello Stato.

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