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UMANIZZARE IL BRAND
Strategie in ottica human
www.maggiolieditore.it
e-mail: clienti.editore@maggioli.it
di Roberto Zarriello
Se dovessi tracciare una linea tra passato e presente del mio lavoro di
imprenditore e professionista del marketing e della comunicazione, a guardia
del confine posizionerei il concetto di “società liquida” del filosofo polacco
Zygmunt Bauman. Per me (ma credo per molti) è stato fonte di ispirazione,
anche per il mio lavoro di giornalista.
La faccio breve: nella società moderna, “l’unica certezza è non avere certezza”. O
meglio, come disse proprio Bauman in uno dei suoi numerosi interventi, in
noi deve essere chiaro che “il cambiamento è l’unica cosa permanente e che
l’incertezza è l’unica certezza”.
Sta tutto qui il codice per decifrare la mappa del vivere moderno. Un codice che
può essere esteso ad ogni disciplina: dalla politica all’economia, dal mondo
dell’educazione all’istruzione, dalla comunicazione al marketing. E così via. Il
volume che avete tra le mani si concentra proprio su temi come la
comunicazione e il marketing contemporaneo, riuscendo ottimamente a
svelare il codice di questo cambiamento.
Senza dimenticare un’altra regola che può sembrare contraddittoria alla luce di
quanto detto prima, ma che, in effetti, non lo è: se tutto è fluido, anche il
codice di lettura della nostra società moderna è soggetto a continui
cambiamenti e contaminazioni. E così, i concetti di digitale, brand, social,
macchina e umano possono unirsi, fondersi, scomparire o evolversi a seconda
degli scenari, delle mode o degli avvenimenti (anche causali) che ogni giorno
contribuiscono a scrivere la nostra storia su questo pianeta.
Oggi il mondo cambia in fretta. Nella comunicazione e nel marketing si è
passati dalla fase di orientamento al prodotto a quella di orientamento al mercato.
E si parla sempre di più di orientamento al consumatore. Se volete comprendere,
con semplicità e con efficacia, come sono avvenuti questi cambiamenti e come
funzionano i nuovi parametri, dovete leggere questo libro.
Una lettura che troverete molto utile anche per comprendere come si è evoluto
negli anni il concetto di brand e quello di consumatore. Un volume che traccia
una strada anche per capire gli scenari futuri del settore della comunicazione e
del marketing. Uno fra tutti: l’incidenza del “fattore umano”. Può sembrare
una contraddizione rispetto ad una società che “abusa” del concetto di digitale
per descrivere ogni azione umana. Invece il concetto di umanizzazione (come è
stato dimostrato in questo libro) è sempre forte. Anzi, più forte che mai. A
patto che l’essere umano sappia adattarsi alla “fluidità” della società moderna
(con le soft skills?).
E i brand si stanno adattando ai cambiamenti dei consumatori? Si stanno
umanizzando? E come sta cambiando il loro uso dei social? Le risposte le
troverete qui. Un ottimo punto di partenza (o di arrivo, se volete) per riflettere
su quello che sta accadendo o che accadrà in futuro nel mondo della
comunicazione e del marketing.
Buona lettura!
Introduzione
di Barbara Cattani
1 L’ergonomia è la scienza che si occupa di studiare l’interazione fra l’essere umano e la tecnologia.
L’ergonomia cognitiva, in particolare, è la branca dell’ergonomia che si occupa dell’interazione tra
l’uomo e gli strumenti per l’elaborazione dell’informazione studiando i processi cognitivi coinvolti e
suggerendo soluzioni per migliorare tali strumenti.
CAPITOLO 1
Il concetto di umanizzazione
Il concetto di umanizzazione
1
service as distinct from those of other sellers.”
(Trad.: Nome, termine, design, simbolo o qualsiasi altra caratteristica che identifica il bene o il
“The set of expectations, memories, stories, and relationships that, taken together, account
2
for a consumer’s decision to choose one product or service over another.”
(Trad.: L’insieme di aspettative, ricordi, storie e relazioni che, considerati insieme, rappresentano
3
“To make someone or something kinder, gentler, or more agreeable.”
4
“To make (something) more humane or civilized”.
5
To portray or endow with human characteristics or attributes.
consumatori
Una volta accennati i principali luoghi virtuali in cui può avvenire l’incontro
con l’utente, è evidente come sia cambiato in maniera rivoluzionaria il
parametro comunicativo da seguire; l’utente non deve essere visto come una
“macchina da soldi”, ma come un partner con il quale intraprendere una
duratura relazione lavorativa. Per questo la parola d’ordine non deve essere
vendita, ma informazione e sensibilizzazione… umana.
La domanda alla quale voglio rispondere in questo paragrafo è: alla luce del
nuovo parametro comunicativo suggerito dalle nuove necessità degli utenti, qual è il
ruolo dell’umanizzazione del brand?
Il ruolo dell’umanizzazione per ogni brand è fondamentale. Infatti, i
consumatori sono alla ricerca di aziende che parlino direttamente a loro, nel
loro linguaggio e siano pronte ad interagire nel luogo e nel momento in cui lo
desiderano di più. Tuttavia, lo human touch non deve intervenire solo nella fase
di interazione, ma deve essere un asset portante che compare in maniera
strutturale fin dalla fase di realizzazione della strategia comunicativa, e permea
l’intero processo di interazione tra consumatore e brand.
c. Dispositivi verbali: una vasta gamma di tattiche verbali sembra indurre nel
consumatore l’attivazione del processo di antropomorfizzazione. Tra queste
dare al prodotto un nome umano, descriverlo in prima persona ed etichettarlo
in termini di genere non fanno altro che incrementare la percezione degli
utenti ad avvertirlo come umano. Proprio per questo spopolano sul web siti
internet all’interno dei quali ci sono avatar che parlano e seguono convenzioni
prettamente umane. Ad aumentare questa tendenza c’è la rappresentazione
sociale del brand attraverso slogan come “X è il tuo principale alleato” oppure
“con X contro le macchie più ostinate” (creando, in questo secondo caso, una
sorta di divisione tra buoni e cattivi).
d. Figure retoriche: l’utilizzo delle figure retoriche è una tecnica che,
storicamente, ha sempre portato i propri frutti. L’impiego di metafore o
similitudini che rimandano sia alla sfera visiva che acustica, innescano nei
consumatori la tendenza a riconoscere nel brand caratteristiche umane. Uno
degli strumenti più efficaci è proprio la personificazione attraverso la quale è
possibile raffigurare il brand con una forma o con una fisionomia simile a
quella degli esseri umani.
Un’ulteriore modalità è la rappresentazione del marchio attraverso un
personaggio (umano o idealizzato) che lo rappresenta; in questo contesto
risultano particolarmente efficaci figure archetipiche come l’eroe, il mago, il
fuorilegge perché favoriscono la creazione di una vera e propria storia intorno
al brand stesso.
Infatti, per un’azienda disporre di uno strumento narrativo forte che consenta
di rimarcare in maniera immediata e iconica i propri valori e il posizionamento
sul mercato, favorisce nei consumatori la tendenza a percepire il brand con dei
tratti umani.
Più avanti approfondiremo il concetto di storytelling, ma per adesso è
importante cominciare a collocarlo all’interno di una strategia di
umanizzazione, comprendendone il ruolo.
e. Altri elementi: senza dover entrare nel dettaglio, è interessante sottolineare
come alcuni studiosi11 abbiano dimostrato che i consumatori delle culture
collettiviste (Cina e India) abbiano una spiccata tendenza alla umanizzazione
dei brand per questioni culturali e religiose rispetto agli abitanti degli Stati
Uniti che sono esposti al contrario con maggiore frequenza ad oggetti
tecnologici.
È
È opportuno evidenziare come anche elementi di tipo sociale possono incidere
in maniera rilevante in questo processo: alcuni di questi possono essere la
tendenza alla socialità dell’utente, uno stile di vita solitario, oppure elementi
puramente circostanziali e situazionali o stili culturali (individualismo o
collettivismo).
Una volta che il consumatore è entrato in contatto con il brand che possiede
caratteristiche human è naturalmente predisposto ad interagire e a riconoscergli
tali caratteristiche “umane”. In particolare, quelle che vengono assegnate con
maggiore frequenza e che hanno una connotazione più positiva sono:
• affidabilità: se gli utenti giudicano un brand come umano, sono più inclini a
conferire al marchio una maggiore affidabilità. Questo implica non solo che,
agli occhi dell’utente, il brand sia in grado di comprendere le necessità
intrinseche del consumatore, ma che agisca in maniera eticamente corretta per
appagarle. Un esempio emblematico di questo aspetto è riscontrabile nel
settore dell’automotive: è stato recentemente confermato come la fiducia dei
passeggeri verso un’automobile che presenta caratteristiche umane (sensori di
parcheggio, parcheggio autonomo oppure “pilota automatico” o sensori di
rilevamento della stanchezza) sia superiore rispetto a quelle che non le avevano.
Il discrimine per le ditte automobilistiche non consiste nel numero di
accessori, ma nell’abilità di trasmettere sicurezza e affidabilità, caratteristiche
che notoriamente appartengono agli esseri umani e non alle automobili.
Ovviamente, in questo caso particolare rientrano numerosi fattori quali – ad
esempio – l’affidabilità che il consumatore attribuisce agli esseri umani in
generale, la modalità con cui elaborano e interpretano il messaggio
pubblicitario e la pietra di paragone utilizzata;
• attribuzione di correttezza: gli utenti che riconoscono al brand delle
caratteristiche umane, sono inclini ad attribuirgli correttezza e onestà nelle
azioni che compie. Questo sentimento diventa particolarmente importante
riguardo le politiche commerciali: infatti, qualora un brand abbia lavorato
correttamente nella direzione human, il consumatore sarà più incline a
giustificare anche attività come l’aumento dei prezzi purché supportate da un
aumento della qualità del prodotto stesso;
• attribuzione di meriti o di colpe: la percezione di un brand come umano
comporta delle ripercussioni anche nel meccanismo di attribuzione delle colpe
e dei meriti al brand stesso. Ad esempio, il consumatore sarà meno incline a
dare un giudizio negativo sul sapore di un biscotto che presenta delle
sembianze antropomorfe rispetto ad uno che non le mostra.
A questo proposito, una ricerca condotta utilizzando le tecniche di imaging
FMRI (risonanza magnetica funzionale) suggerisce che i tratti human di un
brand attivano particolari aree del cervello associate al ragionamento implicito
e immaginario, nonché quelle relative alla rielaborazione affettiva. Queste
specifiche aree cognitive si attivano non appena il consumatore entra in
contatto con un brand con dei tratti caratteristici human, tanto che è stato
possibile anticipare – con una buona approssimazione – quali fossero i marchi
ai quali stavano pensando i consumatori proprio in base alle aree del cervello
attivate.
L’umanizzazione al tempo
transformation
(Fonte: Hootsuite)
13-17 anni 3% 4%
35-44 anni 7% 9%
45-54 anni 5% 5%
55-65 anni 3% 3%
65+ anni 2% 3%
Numerosi studiosi, tra cui quello di Luciano Floridi, docente a Oxford, hanno
rivelato quali siano le ripercussioni pratiche di questo gigantesco fenomeno che
è il digitale, tanto da essere chiamato “la quarta rivoluzione”.1
“La prima rivoluzione è stata quella di Copernico che, con la sua teoria eliocentrica, ha tolto
la Terra – e quindi l’essere umano – dal centro dell’universo. Poi Darwin ci ha dimostrato
che l’uomo non era nemmeno al centro del regno animale. A quel punto speravamo di
essere al centro dello spazio mentale, ma Freud ha smentito questa tesi scoprendo
l’inconscio. Sono state tre rivoluzioni di autoconsapevolezza. Ora sta avvenendo una quarta
Pensavamo: ‘Quando si tratta di gestire l’informazione siamo i più bravi del mondo:
giochiamo a scacchi, guidiamo l’automobile, ecc. ecc.’. Invece ci sono robot che giocano a
scacchi, guidano l’auto per noi, fanno financial trade online molto meglio di noi. Il digitale ci
ha tolto per la quarta volta dal centro del mondo dove ci eravamo collocati.”
Quello che bisognerebbe fare è porre come fulcro delle proprie riflessioni e
strategie il consumatore: ecco la matrice del business customer centred.
Queste riflessioni hanno subito un’ulteriore evoluzione negli ultimi anni che ha
portato ad un ulteriore passo avanti: infatti, oggi, al centro dell’universo
azienda non c’è tanto (e solo) il consumatore, ma la relazione con esso.
A conferma di questo si colloca il cambiamento del ruolo del digitale nel
sistema salute e nell’ambito sanitario nella direzione del connected care. A
questo proposito, per esempio, nel 2018 sono stati investiti circa 50 milioni
per il processo di digitalizzazione della cartella clinica e sono stati aperti
numerosi canali di comunicazione alternativi con il paziente (il 57% dei
medici specializzati utilizza WhatsApp per comunicare con il proprio paziente).
Analogamente nel caso di relazioni tra le aziende, il fulcro è diventato il
rapporto instaurato tra esse. Infatti, stanno nascendo interessanti sinergie tra
aziende che possono e vogliono condividere i propri dati.
(Fonte: Hootsuite)
In ogni caso tra i settori prediletti dagli imprenditori che hanno compreso
l’importanza della comunicazione online ci sono i social media; passando ai
numeri, le aziende che curano i propri profili social e soprattutto attraverso essi
si preoccupano di interagire con i propri clienti / consumatori, hanno
registrato un aumento del fatturato pari al 30%.
Tra le piattaforme più efficaci rimane Facebook (utilizzata dall’81% degli
utenti), seguita da Instagram, considerata efficace dal 53% delle aziende a
fronte del 71% della propria “sorella maggiore” dall’icona blu.
Il numero totale di utenti attivi su Facebook mensilmente è di 31 milioni –
48% utenti femminili e 52% utenti maschili: dal punto di vista aziendale,
questo significa che ogni giorno possono essere raggiunti 31 milioni di
potenziali clienti interessati al proprio servizio.
Particolarmente interessanti sono i dati sull’engagement degli utenti su questa
piattaforma, ossia il grado di coinvolgimento – anche emotivo – e di
interazione.
(Fonte: Hootsuite)
In questo ampliamento del rapporto tra domanda ed offerta, l’umanizzazione del marketing gioca
un ruolo strategicamente centrale.
Riportare le persone, e le relazioni con esse, al centro del piano di marketing significa creare un
ufficio conversazioni con i clienti. Ecco dunque perché è così importante evitare tutte le forme di
standardizzazione, evitare di affidare esclusivamente a fornitori esterni tutte le attività di
comunicazione senza avere un referente interno in grado di coordinare un dialogo con il mercato e i
fornitori di servizi marketing.
Lasciate pure il mercato fatto di conversazioni di bassa qualità ai vostri competitor, lasciate che
navighino in una classica situazione di oceano rosso, lasciate che credano questa condizione
normale. Voi, invece, aspirate ad un altro livello di mercato. Un livello oggi finalmente possibile. Un
nuovo livello di mercato dove la qualità delle relazioni commerciali non fa bene solo al cliente, ma
in uno splendido gioco virtuoso apporta benefici a tutti gli attori.
Come spesso ripeto, il mercato è il luogo in cui viviamo, e un tocco di ecologia anche a questo
ecosistema non guasterebbe affatto. Elevare la qualità del nostro ambiente di lavoro attraverso
l’umanizzazione è una forma di egoismo altruistico! Lo affermo per tutti quegli imprenditori che
confondono l’attenzione alla persona con una sorta di morbidezza nel business, abituati ad una
cultura domanda/offerta push. Chiaro è che il passaggio da un atteggiamento all’altro prevede un
tempo di latenza, di adattamento. Questo getta sempre nel panico l’imprenditore dal carattere
azione/reazione. Bisogna concedersi il tempo della riorganizzazione. Una rigidità, in questo senso,
si trasforma in una forma di immobilismo dell’impresa. Genera una discordanza con le dinamiche
del nuovo livello di mercato. È inevitabile.
Il cliente va dove trova ascolto e soprattutto dove vede comprese appieno le sue istanze e le sue
attese. È veloce poiché surfa leggero nel web, nelle chat. Raccoglie feedback, pareri, impressioni in
modo rapido. Alterna freneticamente online e offline in un dialogo continuo e in una
rappresentazione continua di sé stesso in relazione a prodotti e servizi.
Una co-narrazione costante, molto istintiva. Direi sempre più di pancia, legato a meccanismi
empatici ed un po’ entropici.
Insomma, tutt’altro che un automa diligentemente incanalato seppur illusoriamente cosciente.
Libertà di espressione come cliente, lui non acquista. Lui vive esperienze, sceglie dei percorsi fatti
di prodotti e servizi. Il cliente che poi si rappresenta nel proprio tessuto sociale co-narrando in un
primo livello (tra sé e le marche), poi confrontandosi tra sé ed il proprio sistema sociale di
riferimento che aggiunge elementi influenzanti sul percepito della esperienza.
Quanta narrazione del suo percorso con i vostri prodotti e servizi, della sua esperienza in prima
persona ed in riferimento al proprio ambiente siete attrezzati ad ascoltare?
Possiamo concludere dicendo che nella affannosa ricerca di differenziazione dai competitor, prima
di tentare di lavorare sul prodotto o sul prezzo o sulla distribuzione, lavoriamo sulle persone con le
quali ci vogliamo relazionare.
L’umanizzazione non si può improvvisare, è un percorso. Partire in anticipo ora, garantisce un
vantaggio competitivo reale.
L’approccio H2H assume una rilevanza cruciale non solo (e non tanto) nella
comunicazione generica attraverso i canonici canali digitali, ma soprattutto
quando si tratta di customer service.
Tradizionalmente è un settore che ha permesso a molte aziende di fare la
differenza, soprattutto in positivo: questa tendenza si è accentuata ancora di
più nell’era della digitalizzazione nella quale l’utente connesso “pretende” che
l’azienda – a prescindere dal reparto con cui sta parlando – sia perfettamente
informata sulla sua situazione.
La ragione di questa mutata necessità risiede nel cambiamento radicale del
parametro comunicativo che viene attuato dal consumatore medio: infatti,
soprattutto negli ultimi anni, si è passati da un approccio multicanale ad uno
omnicanale.
Che cosa sono le soft skill? Sono state date tante definizioni di questo concetto
a seconda del punto di vista da cui veniva analizzato. In questo contesto credo
che una buona definizione di soft skill sia l’insieme di abilità che rendono gli
esseri umani capaci di adattarsi all’ambiente. Si tratta di competenze trasversali
che difficilmente possono essere ricondotte a “sa utilizzare i congiuntivi” e,
forse proprio per questo, sono complesse da inserire all’interno di un
algoritmo. Esempi di soft skill sono la creatività, l’equilibrio e la tolleranza,
elementi che all’interno del customer care possono rivelarsi di un’importanza
cruciale.
Oltre a queste prime tre soft skill credo che difficilmente la tecnologia potrà
sostituire alcune tra le principali inclinazioni dell’individuo, legate alle
caratteristiche della sua personalità, alle sue qualità, agli atteggiamenti e alle
abilità socio-comunicative che possiede.
Una capacità molto importante per le figure che si occupano del cosiddetto
customer service di un’azienda è quella del farsi comprendere, sia a voce che
per iscritto: questa skill, soprattutto per la parte legata all’oralità, è difficile da
trasmettere ad un algoritmo o ad una componente robotica che sostituisca la
parte human.
Ulteriore skill, fondamentale per apportare un approccio maggiormente
human ad un customer service, è l’adattabilità: in questo caso bisogna
riconoscere che la tecnologia potrebbe avere la meglio su un classico customer
service gestito da impiegati. Infatti, è in generale molto apprezzato un brand se
mette a disposizione dei consumatori un servizio di assistenza con la massima
flessibilità oraria, nella migliore delle ipotesi addirittura 24 ore su 24.
Nonostante questo aspetto – ed il fatto che le tecnologie, come l’intelligenza
artificiale, si stanno sempre più sviluppando – in futuro si parlerà sempre di
più di business H2H, ovvero human to human.
1. L. Floridi, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Cortina, 2017.
CAPITOLO 3
Come umanizzare
il tuo brand
Come umanizzare il tuo brand
Sin dai tempi della scuola ci è stato insegnato che fare gruppo avesse
necessariamente una connotazione negativa, che volesse dire necessariamente
mantenere una stretta sfera di persone e che fosse un modo limitato di vedere
le proprie idee, dato che la condivisione era limitata alla scelta di persone che
avevamo già fatto in partenza con interessi in comune.
È chiaro che l’evoluzione del concetto di gruppo era ancora molto lontana
dall’idea che ne abbiamo oggi, noi sempre alla ricerca di un riscontro, che non
perdiamo occasione di chiedere pareri – sia che stiamo affrontando una scelta
importante sia che vogliamo un’opinione sul quale sia il migliore caffè da
Starbucks.
Ci suona così tanto assurdo il fatto che il marketing ci parli di un
fondamentale processo percettivo definibile come distorsione selettiva? Quello
che ci porta ad una naturale affermazione di teorie, comportamenti e
preferenze che in realtà già abbiamo inconsciamente sostenuto nella nostra
mente?
Dove non c’è più distinzione tra l’online e l’offline, è lì che pone le sue radici il
concetto di community: il gruppo che originariamente racchiudeva le proprie
idee è oggi una comunità aperta, una sharing economy propriamente detta.
Che siate un’azienda che vede nei propri clienti – attuali o futuri – una
sorgente potenziale di nuove idee o che siate un imprenditore mosso all’ascolto
dei gap di bisogni da soddisfare per poter creare efficacemente la start up del
futuro, il fatto di utilizzare Facebook in maniera creativa è forse la chiave del
successo del social network.
Il luogo di incontro prima era un parco dove giocare a pallone, ora è un irreale
punto di appuntamento dove gli amici materializzati si chiamano membri e le
squadre rossa e blu sono diventate community.
Non si tratta più di una partita sul campo, ma di una sfida nello stesso mondo
virtuale di persone che potenzialmente potrebbero soggiornare in emisferi
diversi, pienamente consapevoli che sul tavolo, mentre si trovano davanti al
caffè con cornetto della mattina, oltre quel computer ci potrebbe un tè da
sorseggiare in Cina prima di andare a dormire.
Non è un caso che Mark Zuckerberg, creando il social network che ha
cambiato la storia, abbia detto:
“Tutto ciò che ha fatto Facebook è stato di dare a tutte le persone in tutto il mondo
il potere di connettersi”
Quello che forse troppo spesso dimentichiamo è che alla base del successo del
digitale ci sono sempre persone.
valore
Ora che hai capito che il valore distintivo lo può apportare solo la qualità
professionale, l’esperienza e il vissuto della singola persona, e che disponi del
potenziale necessario per creare il tuo business, devi saper mettere in chiaro chi
sei tu.
Ora che sai chi sei, o chi vuoi diventare, devi indagare sulle ragioni più
profonde che ti spingono a voler creare – o ad aver già creato – una
community. Sapere esattamente che cosa e come comunicare, approcciando in
maniera adeguata ed efficace nei confronti dei propri utenti di riferimento, è
una delle più importanti abilità di ogni brand.
Infatti, soprattutto se la tua idea è quella di migliorare l’immagine o di
accrescere la fama del brand attraverso i suoi profili social, devi avere due
concetti ben chiari:
• scopo: può sembrare banale, ma il punto di partenza potrebbe essere proprio
la domanda “perché vuoi creare la tua community? Quali vantaggi pensi che gli
utenti possano apportare all’immagine del tuo brand o alla tua persona?
• argomento: è bene promuoversi sempre e comunque, parlando solo di se
stessi o è preferibile spaziare su diversi argomenti di interesse per la
community?
Sicuramente, prima di creare una community, dovrai chiarire subito le risposte
ad alcune domande: A cosa mi serve questa community? Quali argomenti
intendo trattare? A chi mi rivolgerò?
In risposta alla prima domanda, riguardante lo scopo di una community,
posso affermare – sulla base della mia esperienza – che creare una community
solida per un brand è importante per diversi motivi.
Innanzitutto, tramite il tuo gruppo di utenti di riferimento, puoi promuovere
il tuo personal brand o il tuo brand aziendale. In secondo luogo, le community
sono utilissime per la gestione dei clienti e la promozione di eventi e prodotti,
nonché di un network marketing.
Qualsiasi sia la tua motivazione ed il tuo obiettivo finale, ricorda che tutte le
community che hanno uno scopo ben preciso e che sono efficaci – ovvero ben
gestite – richiedono tempo ed impegno: del resto, lo scopo e l’argomento
devono essere in linea con l’immagine che si vuole dare – di sé o del proprio
brand – ed inoltre devono essere chiari fin da subito!
Non incorrere nell’errore comune di partire creando una community e solo
successivamente stabilire queste caratteristiche: in questo modo rischi di
prendere in giro i membri che fanno parte della community e di generare un
effetto controproducente.
Se intendi fare customer care, diffondere i tuoi contenuti, raccogliere
recensioni o umanizzare il tuo brand, la creazione di una community è
esattamente ciò che fa per te.
Infatti, attraverso questo gruppo virtuale di utenti target – ad esempio sul
famosissimo social network Facebook – potrai non solo offrire assistenza
tecnica ai clienti, membri del gruppo, ma anche conoscerli meglio e raccogliere
recensioni in modo gratuito, senza dover ricorrere a costose e lunghissime
indagini di mercato.
Il fatto stesso di disporre di un profilo aziendale sui principali social media e di
gestirlo, rispondendo ad eventuali domande poste dai clienti-utenti della
community in nome del brand, è un fattore di grande appeal: è proprio questo
uno degli strumenti che permettono di umanizzare un brand, rendendolo agli
occhi dei clienti più concreto, sicuro e vicino alla vita e alle esigenze dei
consumatori.
Sicuramente, il fatto di ricevere recensioni pubbliche all’interno di una
community di consumatori potrebbe apparire come un’attività molto rischiosa
nonché un’arma a doppio taglio. In effetti, non puoi sapere se le recensioni
positive saranno maggiori alle critiche.
Eppure, se lavori bene e sei consapevole di punti forti e limiti del tuo brand,
non dovrai preoccuparti di questa eventualità: anche nel caso in cui ricevessi
pareri negativi, denigratori ed ingiustificati, oltre a difenderti in prima persona
potrai contare sugli altri utenti della community, che faranno valere le tue
qualità e non esiteranno a dire la loro, controbattendo le argomentazioni di chi
ha lasciato quel commento negativo.
In questo modo anche gli utenti esterni alla community, che seguono la
discussione per curiosità o perché intenzionati a diventare clienti del brand,
vedranno il forte legame che lega la tua marca al suo seguito. D’altronde, (più
umanizzazione di così?) in queste situazioni, anche se con radici in una critica,
chi ci guadagna è il brand stesso, che verificherà facilmente il grado di fedeltà
dei suoi clienti e guadagnerà in credibilità e fiducia agli occhi di potenziali
nuove personas.
Tornando invece all’importanza dell’argomento ciò che ti suggerisco è di
parlare di te o del tuo brand, ma non in maniera esagerata ed esclusiva: evita in
ogni caso l’autocelebrazione, è una strategia nella maggior parte dei casi
controproducente e che non genera consensi da parte degli utenti, nemmeno
dei più appassionati e fedeli.
Parla di qualcosa che conosci, non diffondere bufale e non inventare nulla:
informati a fondo, preparati un piano editoriale con gli argomenti da trattare e
prediligi ciò che ti riguarda – direttamente o indirettamente – ciò che conosci e
ciò che interessa ai membri della tua community.
3.4 A chi ti rivolgi
L’importanza del passaggio dal target alle personas (non si parla più a semplici
consumatori pensati come macchine produci soldi, ma come persone in carne
ed ossa alle quali fornire un valore aggiunto attraverso i propri servizi).
L’ultima delle domande preliminari da porsi prima di creare una community –
oltre alla prima riguardante lo scopo e alla seconda in tema argomentazione –
concerne la scelta del target di riferimento a cui rivolgersi.
Se ti intendi di marketing, o hai effettuato delle ricerche a riguardo, avrai
sentito spesso tre parole: segmentazione, target e buyer personas. Questi
termini racchiudono in sé tre differenti concetti, che sarà bene che tu
comprenda in modo chiaro prima di dedicarti alla creazione di una
community, per evitare di investire tempo e fatica in uno strumento poco
efficace.
La segmentazione consiste nell’identificazione, suddivisione e
raggruppamento dei propri utenti in piccoli gruppi di persone con
caratteristiche simili, come sesso, età, zona, professione ecc. I criteri per la
segmentazione più utilizzati sono quello geografico, sociodemografico,
psicografico e comportamentale.
Grazie a questa pratica, la tua comunicazione potrà essere più mirata ed i
contenuti più dinamici, personalizzati, in linea con interessi, necessità e gusti
dei clienti del brand in questione.
Soprattutto in quest’epoca in cui il mercato è estremamente competitivo, la
segmentazione risulta di fondamentale importanza per i brand: infatti, il
marketing si è sempre più evoluto, arrivando a considerare molto più
importanti le persone e le esperienze rispetto ai prodotti e ai servizi stessi. Di
riflesso gli utenti sono diventati sempre più esigenti nei confronti dei brand,
che per accontentarli devono umanizzarsi e creare comunicazioni e prodotti
sempre più personalizzati.
Per target invece si intende il mercato al quale si decide di rivolgersi, tra tutti
quelli individuati tramite segmentazione. Il proprio target di riferimento può
essere formato da persone che hanno interessi simili e che possono diventare
potenziali clienti del tuo brand per le affinità.
Per sviluppare una corretta ed efficace strategia di marketing è necessario
stabilire con certezza e precisione il proprio target: infatti, ad esempio, un certo
tipo di comunicazione può essere accattivante ed attraente per i più giovani e
totalmente indifferente per gli adulti, e viceversa. Oppure, nella scelta del social
da utilizzare per la creazione della propria community contano le
caratteristiche delle persone che fanno parte del proprio target, per scegliere
quale tra i diversi social network possa avere più appeal.
Infine, con il termine buyer personas si indicano i clienti immaginari, risultato
di uno studio di dati e di statistiche molto preciso e dettagliato. Esse sono
rappresentazioni fittizie, e alquanto generalizzate, del cliente ideale, delle
persone che puoi definire come i migliori consumatori che vorresti avere dalla
tua parte e a cui vorresti vendere il tuo prodotto o servizio.
Trovare le proprie personas non è un compito facile e, addirittura, c’è una
domanda che dovrai porti prima di intraprendere qualsiasi azione di
marketing: di cosa hanno bisogno le mie buyer personas?
Solo quando troverai una categoria di persone che concepisce il tuo prodotto o
il tuo servizio come risposta ad una determinata necessità o esigenza potrai dire
di aver idealizzato le tue personas. A quel punto potrai concentrare le tue
strategie di marketing, il tuo budget e le tue energie su un target ben definito
di persone, stabilito in seguito ad una precisa ed accurata segmentazione.
Le tue buyer personas devono necessariamente essere interessate a ciò che
promuovi: aggiungere gente a caso nella tua community non ti servirà a
crescere anzi, sarà un’azione del tutto controproducente, che ti servirà ad
accrescere il numero in termini di massa, ma non ti aiuterà sicuramente ad
accrescere l’interesse nei confronti del tuo brand. Non rischiare di ritrovarti
con milioni di membri fittizi e zero engagement: meglio una community
composta da pochi utenti ma con un alto tasso di fedeltà nei confronti della
marca e che generano un notevole numero di interazioni.
Questo libro è nato così come recita il suo titolo: in modo molto human.
Affonda le proprie radici nell’esperienza che ho avuto il privilegio di vivere con
le persone, dai risultati che ho ottenuto insieme ai miei clienti applicando le
nozioni che hai letto in questo manuale di digital human marketing.
È un libro che parla di come comunicare alle persone, di umanizzazione, e
come poteva essere scritto da una persona sola? Tutte le riflessioni custodite in
queste pagine sono il frutto di intensi dialoghi tra amici, colleghi e contributi
di persone di cui ho la massima stima e che hanno permesso la mia crescita
professionale dal punto di vista tecnico.
Grazie Angelica Eruli per aver preso e migliorato notevolmente il libro con il
tuo lavoro di editor, sei una grande professionista.
Grazie a Barbara Cattani per la bellissima persona che sei e che non hai saputo
nascondere nella tua magnifica introduzione.
Grazie a Roberto Zarriello per i preziosi consigli e per aver scritto la prefazione:
non avrei voluto la scrivesse nessun altro!
Grazie per il lavoro prezioso e ricco di spunti importantissimi che hanno dato
un valore aggiunto profondo al libro: Leonardo Prati, Andrea Saletti, Luigi de
Seneen: vi ammiro molto!
Grazie Alessio Visentin: presenza costante e fondamentale per la mia vita e il
mio lavoro!
Grazie a Gaetano Romeo, amico e mentore che mi ha dato la possibilità di
pubblicare con questa super casa editrice.
E infine la mia dedica speciale va a te Emanuele: sei un figlio straordinario e mi
riempi di idee e di spunti incredibili senza i quali non sarei quella che sono!
L’autrice
Samantha Visentin
Barbara Cattani
Leonardo Prati
Andrea Saletti
Web marketing manager di Pronesis srl. Consulente e formatore di
neuromarketing e scienza della persuasione applicate al web in ambito
universitario e aziendale. Autore del libro “Neuromarketing e scienze cognitive
per vendere di più sul web”. Coordinatore di dipartimento in AINEM
(Associazione Italiana Neuromarketing). Speaker ai principali eventi formativi
dedicati agli specialisti del web sul tema della psicologia digitale.
Roberto Zarriello
Z-Access
https://wikipedia.org/wiki/Z-Library
ffi
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