A B
Un fiume giallo dal corso lento, un gruppo di
salici che si muovono alla brezza tepida ad
agosto e quattro fanciulli intenti a giocare alla
grandezza, come certamente i grandi uomini vi
giocano anch'essi. Quattro allegri fanciulli,
vocine acute, cuori innocenti felicemente
inconsapevoli dei compromessi e delle
stanchezze che i quarantacinque anni portano
con sé.
I tre ragazzi, Ben, Dick e Winthrop, dopo aver
sofferto per tutta la primavera il malanno delle
lezioni di storia, cercavano adesso di farle
servire a buon uso giocando a Cristoforo
Colombo e alla regina Isabella. Però non si
mettevano d'accordo su chi di loro dovesse
fare l'Isabella; e ferveva la discussione,
quando nella selvetta dei salici o meglio quel
poco di terreno tutto ingombro di foglie ch’era
propriamente il bosco sacro dei ragazzi, capitò
invece una ragazza che cantava.
- Eccotela! C'è l'Anna Vickers. Può farla lei
l'Isabella - disse Winthrop.
- Ma va, quella ci rovina tutto - disse Ben. -
Però credo anch'io che per l’Isabella andrebbe
meglio lei di noialtri.
- Macché, non va bene. Anche a baseball non
è buona affatto.
- Non è gran che buona a baseball, ma è stata
lei a gettare quella palla di neve al reverendo
Tengbom.
- Già, quest’è vero. La palla di neve l'ha
gettata lei.
La ragazza, le mani sui fianchi, si fermò
dinanzi a loro. Era un bel pezzo di ragazzina,
con le spalle forti e le gambe magre. A parte la
chiara freschezza della pelle, l'unica sua
bellezza erano gli occhi, due occhi scuri, vivaci
e straordinariamente grandi.
- Vieni a giocare all’Isabella e a Colombo - le
chiese Winthrop.
- Non posso - disse Anna Vickers. – Sto
giocando a Pedippo.
- E chi diavolo è questo Pedippo?
Un fiume che scorre giallo e lento, salici che
gestiscono nella tiepida brezza d’agosto, e
quattro bambini che giocano ai grandi
personaggi, come indubbiamente devono
giocare nella realtà i grandi personaggi.
Quattro bambini con la voce acuta, innocenti
e avidi, beatamente ignari che compromesso
e tedio arriveranno sui quarantacinque.
I tre maschi, Ben, Dick e Winthrop, essendo
stati afflitti tutta la primavera dalle lezioni di
storia, cercavano ora di trasformarle in
qualche cosa di decentemente utile giocando
a Cristoforo Colombo e alla regina Isabella.
Erano in disaccordo su chi di loro dovesse
fare Isabella. Mentre discutevano, nel
boschetto di salice soffice di foglie, angolino
sacro ai fanciulli, arrivò canterellando una
ragazzina.
“Urca, c’è Anna Vickers” disse Winthrop.
“Isabella allora la fa lei.”
“Ma no, ci rovina tutto!” disse Ben. “Però mi
sa che Isabella la saprebbe fare meglio lei di
un altro.”
“Oh no, impossibile! Non vale niente a
baseball.”
“No, non a baseball, però ha tirato una palla
di neve al reverendo Tengbom.”
“Già, è vero, la palla l’ha tirata.”
La ragazzina si fermò davanti a loro, mani
sui fianchi – un pezzo di ragazzina con le
spalle forti e le gambe sottili. Di bello, oltre al
chiarore fresco della pelle, aveva gli occhi,
scuri, incredibilmente grandi e ardenti.
“Dài, vieni a giocare a Colombo e Isabella” la
invitò Winthrop.
“Non posso, sto giocando a Pedippo.”
“E chi diavolo è Pedippo?”
“Era un santo eremita. Pelippo, forse, ma a
ogni modo un santo eremita. Era un gran
C D
Un lento fiume giallo che scorre, salici che si
muovono nell'aria tiepida d'agosto e quattro
bambini che giocano alla grandezza, come,
senza dubbio, devono fare i grandi uomini.
Quattro bambini dalla voce acuta, innocenti e
impazienti, beatamente ignari del fatto che il
compromesso e la stanchezza arriveranno a
quarantacinque anni.
I tre ragazzi, Ben, Dick e Winthrop, dopo aver
sofferto per tutta la primavera scorsa per le
lezioni di storia, cercarono di farne un uso
decente interpretando la Regina Isabella e
Colombo. C'era disaccordo su chi di loro
dovesse essere Isabella. Mentre discutevano,
arrivò in quel saliceto, quel piccolo luogo
illuminato dalle foglie e sacro alla fanciullezza,
una ragazza che cantava.
"Grillo, ecco Ann Vickers. Sarà Iserbella",
disse Winthrop.
"Ah, no, accidenti, si prenderà tutto", disse
Ben. "Ma credo che possa interpretare
Iserbella meglio di chiunque altro".
"Ah, non può! Non è brava a giocare a
baseball".
"No, non è molto brava a baseball, ma ha
tirato una palla di neve al reverendo
Tengbom".
"Sì, è così, ha tirato quella palla di neve".
La ragazza si fermò davanti a loro, con le
braccia aperte: un pezzo di ragazza, con
spalle robuste e gambe sottili. La sua unica
bellezza, a parte la freschezza della pelle,
erano gli occhi, scuri, sorprendentemente
grandi e desiderosi.
"Vieni a giocare a Iserbella e Colombo", chiese
Winthrop.
"Non posso", disse Ann Vickers. "Sto giocando
a Pedippus".
"Che diavolo è Pedippus?".
Un fiume giallo che scorre lento, salici che si
muovono nell'aria tiepida d'agosto e quattro
bambini che giocano a darsi importanza, come,
senza dubbio, fanno anche i grandi uomini.
Quattro bambini dalla voce acuta, innocenti ed
entusiasti, beatamente ignari del fatto che a
quarantacinque anni arriveranno compromessi e
stanchezza.
I tre ragazzi, Ben, Dick e Winthrop, dopo aver
patito le lezioni di storia per tutta la primavera,
cercarono di farne un uso decente giocando a
Cristoforo Colombo e la Regina Isabella. Non
riuscivano a mettersi d’accordo su chi di loro
dovesse essere Isabella. Mentre discutevano,
nel boschetto di salici – su quel tappeto di foglie
consacrato ai maschi – arrivò canterellando una
ragazzina.
"Che cavolo, ecco Ann Vickers. Isabella la fa
lei", disse Winthrop.
"E no, accidenti, quella ci rovina tutto", disse
Ben. "Però mi sa che per fare Isabella è meglio
lei di noi ".
"Invece no! A baseball fa pena".
"Non sarà granché a baseball, ma ha tirato una
palla di neve al reverendo Tengbom".
"Sì, è così, è stata lei a tirare quella palla di
neve".
La ragazzina si fermò davanti a loro, con le mani
sui fianchi: un pezzo di ragazza, spalle robuste e
gambe sottili. La sua unica bellezza, a parte la
freschezza della pelle, erano gli occhi, scuri,
sorprendentemente grandi e intensi.
"Vieni a giocare a Isabella e Colombo", esordì
Winthrop.
"Non posso", disse Ann Vickers. "Sto giocando a
Pedippus".
"Chi diavolo è Pedippus?".
"Era un vecchio eremita. Forse si chiamava
- Era un Santo eremita. Pedippo o forse anche
Pelippo, non so. Certo è che era un santo
eremita. Un gran principe, che poi aveva
lasciato il palazzo reale quando s'era accorto
che là dentro tutto era male, e così aveva
abbandonato le gioie della carne e stava
continuamente nel deserto, vivendo di
semplice avena, sicuro… d'avena ed olio di
noci, e non smettendo mai di pregare.
- Che gioco antipatico. Quell’avena poi!
- Ma tutte le belve del deserto stavano attorno
a lui, gatti selvatici e altre fiere: le aveva
domate, ed esse andavano a sentirlo
predicare. Ora devo appunto fare la predica. E
che orsi ci sono! Giganteschi!
- Vieni prima a far l’Isabella. Su, vieni, che
mentre sei l’Isabella, ti lascio tenere il mio
revolver. Però poi me lo restituisci: quando
faccio Colombo il revolver devo tenerlo io.
Glielo porgeva infatti ed Anna lo esaminava
prudentemente. Non aveva mai avuto in mano
l'arma famosa, benché sapesse anche lei,
come tutti i ragazzi del paese, di quell'ordigno
non comune che Winthrop possedeva. Era un
vero revolver modello 22 completo in tutte le
sue parti, ma ad onor del vero aveva una
canna così piena di ruggine fino alla bocca,
che non si sarebbe riusciti a farci entrare uno
stuzzicadenti. Affascinata e un po’ nervosa, la
ragazzina lo brandì, sentendosi subito
diventare eroica ed attiva a quel contatto, e
perdendo, come era da temere, la casta
austerità dell'eremita Pedippo.
- Su, dunque – diss’ella.
- Allora tu sei l’Isabella ed io Colombo - disse
Winthrop. - Ben è il re Ferdinando e Dick un
cortigiano invidioso. Siccome tutti questi
straccioni della corte mi danno contro, tu gli
dici di smetterla e…
Anna in quel mentre era corsa sotto il ramo
rotto di un salice e piegandoselo sulla testa
con la mano sinistra, perché la destra era
sempre stretta sulla magica rivoltella,
cominciava a darsi arie autorevoli e a
comandare: - Inginocchiatevi, miei fedeli. Tu
principe che poi se ne andò dal palazzo
reale perché capì che era malvagio, e lasciò
tutte le gioie della carne e andò nel deserto e
visse di farinate e marmellata di noccioline,
eccetera eccetera, là nel deserto, e pregava
tutto il tempo.”
“Che strazio di gioco. Farinate!”
“Ma le bestie feroci del deserto, tutte quante
gli stavano intorno, pantere e leopardi
eccetera, e lui le addomesticava e loro
andavano a sentirlo predicare. Adesso la
predica gliela faccio io. E orsi grandi enormi!”
“E dài, vieni a fare Isabella, prima” disse
Winthrop “ti faccio tenere la mia rivoltella
mentre fai Isabella, ma poi me la riprendo.
Me la riprendo quando faccio Colombo!”
Gliela tese, e lei la esaminò con
circospezione. Non aveva mai tenuto in
mano quell’arma famosa, benché in tutta la
contrada i bambini sapessero del formidabile
tesoro posseduto da Winthrop. Era una
rivoltella vera, una calibro 22, e non le
mancava niente, anche se è vero che la
canna era talmente arrugginita che dalla
bocca non ci sarebbe passato neanche uno
stuzzicadenti. Anna la maneggiava
affascinata e un po’ nervosa. Tenerla in
mano la faceva sentire eroica e fattiva; c’è
da temere che in lei la casta austerità di
Pedippo svanisse di colpo.
“Ci sto” disse.
“Tu sei Isabella e io sono Colombo” spiegò
Winthrop. “E Ben è re Ferdinando, e Dick un
cortigiano geloso. Perché, sai, tutti quanti a
corte ce l’hanno con me, e tu devi dirgli di
piantarla e…”
Fulminea, Anna afferrò un ramo di salice
spezzato. Con la sinistra – la destra
stringeva sempre la rivoltella incantata – se
lo tenne a mo’ di diadema sul capo e
tornando con sussiego fra loro comandò: “In
ginocchio, miei fidi. Tu no, Ferdinando, ho
"Era un vecchio eremita. Forse era Pelippus.
Comunque, era un vecchio eremita. Era un
grande principe e poi lasciò il palazzo reale
perché vide che era malvagio, rinunciò a tutte
le gioie della carne e andò a vivere nel deserto
con - oh, con farina d'avena e burro d'arachidi
e così via, nel deserto, e pregò tutto il tempo".
"Questo è un gioco marcio. Farina d'avena!".
"Ma le bestie selvagge del deserto, erano tutte
intorno a lui, catamonti e tutto il resto, e lui le
addomesticò e loro venivano a sentirlo
predicare. Ora andrò a predicare a loro! E agli
enormi orsi!".
"Oh, prima gioca a Iserbella", disse Winthrop.
"Ti lascerò prendere il mio revolver mentre sei
Iserbella - ma lo riprenderò - avrò il revolver
mentre sono Colombo!".
Lui gliela consegnò e lei la ispezionò con
giudizio. Non aveva mai avuto in mano la
famosa arma, anche se era noto in tutta la
terra dei bambini che Winthrop possedeva un
oggetto così notevole. Era un vero revolver, un
calibro 22, completo in tutte le sue parti, anche
se è vero che la canna era così piena di
ruggine che uno stuzzicadenti non avrebbe
potuto essere inserito nella canna. Ann la
sventolò, affascinata e un po' nervosa. Tenerlo
in mano la faceva sentire eroica e attiva; si
temeva che perdesse subito la casta austerità
di Pedippus.
"Va bene", disse.
"Tu sei Iserbella e io sono Colombo", disse
Winthrop, "Ben è re Ferdinando e Dick è una
cortigiana gelosa. Vedi che tutti i ragazzi della
corte mi fanno i dispetti, e tu dici loro di
smetterla e...".
Ann si avvicinò a un ramo di salice spezzato.
Lo tenne ricadente sulla testa con la mano
sinistra - sempre con la destra stringeva il
revolver incantato - e tornando verso di loro
chiese: "Inginocchiatevi, miei signori. No, tu
Ferdinando, immagino che tu debba stare in
Pelippus. Comunque, era un vecchio eremita.
Era stato un grande principe, ma poi lasciò il
palazzo reale perché capì che tutto era
malvagio, rinunciò alle gioie della carne e andò
a vivere nel deserto mangiando… farina d'avena
e burro d'arachidi e roba così, nel deserto, e
pregava tutto il tempo".
"Che schifo di gioco. Farina d'avena!".
"Ma gli animali selvaggi del deserto gli stavano
intorno, puma e tutti gli altri, e lui li addomesticò
e loro andavano a sentirlo predicare. Ora vado a
predicare a loro! E pure a orsi enormi!".
"Dài, prima fai Isabella", disse Winthrop. "Ti
lascio tenere il mio revolver - ma me lo riprendo
– l tengo io il revolver mentre faccio Cristoforo
Colombo!".
Le porse la pistola e lei la ispezionò con giudizio.
Non aveva mai avuto in mano la famigerata
arma, anche se tutti i bambini sapevano che
Winthrop possedeva un oggetto così notevole.
Era un vero revolver, calibro 22, completo di
tutte le sue parti, anche se la canna era così
piena di ruggine che non ci sarebbe passato
neanche uno stuzzicadenti. Ann lo sventolò,
affascinata e un po' nervosa. Con quello in
mano si sentiva eroica e attiva; la casta austerità
di Pedippus sembrava già scomparsa.
"Okay", disse.
"Tu sei Isabella e io Colombo", disse Winthrop,
"Ben è re Ferdinando e Dick è un cortigiano
geloso. Vedi che tutti gli uomini a corte mi
attaccano e gli dici di smetterla e...".
Con uno scatto, Ann si avvicinò a un ramo di
salice spezzato. Lo tenne ricadente sulla testa
con la mano sinistra - la destra stringeva ancora
il revolver incantato - e tornando a passetti
affettati verso di loro ordinò: "Inginocchiatevi,
signori miei. Tu no, Ferdinando, mi sa che tu
devi stare in piedi, se sei il mio consorziato – no,
no, Ferdinando. Tu sei il mio consorte e
dovresti stare alzato. Ma forse no… Meglio
che ti inginocchi anche tu, per essere più
sicuri. Ora ti prego, Colombo che posso io fare
per te quest'oggi?
Il prosternato Winthrop rispose a gran voce: -
Maestà, il mio desiderio è andare a scoprire
l'America… Adesso, Dick, comincia a darmi
contro…
- Mah! Cosa devo dire io… regina, non dategli
ascolto, è un pazzo sfrenato. Non ci sono
Americhe. Le sue navi scivoleranno giù
dall'orlo della terra.
- Cortigiano, chi dirige questa impresa? Io
sola! Dovessi dare la metà del mio Regno, le
tre navi saranno sue! Che ne pensi,
consorte… ohi, parlo con te, Ben!
- Chi? Io? Oh! Per me va benissimo, regina.
- Allora recati alle navi.
Sulla riva del fiume era legata una vecchia
barca da sabbia. I quattro ragazzi vi si
precipitarono subito, Anna in testa a tutti,
correndo assai più forte degli altri e agitando
trionfante e affannata la rivoltella: - Ora farò
Colombo - cominciò a gridare non appena fu
giunta alla barca.
- Tu non lo farai! - protestò Winthrop. -
Colombo sono io! Non potrai mica fare Isabella
e anche Colombo! E poi sei una ragazza, tu.
Dammi quel revolver!
- Faccio anche Colombo. Lo faccio meglio di
tutti. Andiamo, voi non sapete neppure i nomi
delle navi di Colombo.
- Io li so, invece.
- Bene, quali erano?
- Sul momento non posso… ma neanche tu,
sapientona.
- Come, neanche io? - Incalzò Anna. - Si
chiamavano Pinto, Santa Lucia e… e
l'Armada.
- Già, proprio così! Meglio che lo faccia lei
Colombo – esclamò meravigliato l'ex re
Ferdinando, ed il grande navigatore in
gonnellino guidò allora la sua ciurma fedele a
bordo della Santa Lucia e il suo gran salto
attraverso quei tre buoni piedi d'acqua fangosa
idea che devi stare in piedi se sei mio
consorte… No, forse è meglio che ti
inginocchi anche tu, per star nel sicuro. E ora
di grazia, Colombo, che cosa posso fare per
te oggi?”
Il genuflesso Winthrop strillò: “Maestà, voglio
andare a scoprire l’America… Dài, Dick;
attacca, contrastami!”
“Ma, non so cosa dire… Non gli date retta,
regina, è un mentecatto. Non c’è nessuna
America. Tutte le sue navi scivoleranno giù
dall’orlo della terra.”
“Chi comanda qui, cortigiano? Io! Certo che
avrà le tre navi, dovessero costarmi metà del
mio regno. Che cosa ne pensi consorte? Ehi
Ben, dico a te.”
“Chi? Io? Oh, per me va bene, regina.”
“Alle navi dunque!”
Ormeggiata alla riva del fiume c’era una
vecchia chiatta da sabbia. I quattro bambini
vi si diressero di corsa; Anna, roteando la
rivoltella, precedeva gli altri; era la più veloce
ed eccitata. Alla chiatta urlò: “E adesso sarò
Colombo!”.
“No, Colombo sono io!” protestò Winthrop.
“Non puoi essere Isabella e anche Colombo.
E poi sei una donna; dammi quella rivoltella!”
“Io sono anche Colombo! Il Colombo più
magnifico. Figurarsi. Voialtri on sapete
neanche i nomi delle caravelle di Colombo!”
“Io li so”.
“E dilli allora!”
“Be’, adesso non saprei… Ma neanche tu li
sai, sapientona!”
“Non li so, non li so!” Anna cantava vittoria.
“Erano la Pinto, la Santa Lucia e… e
l’Armada!”
“Accipicchia, ha ragione. Mi pare che è
meglio se Colombo lo fa lei” stupì lo
spodestato re Ferdinando, e il grande
navigatore guidò la sua fedele ciurma a
bordo della Santa Lucia, superando con un
balzo tutt’altro che da delicata fanciullina il
tratto d’acqua fangosa.
piedi, se sei il mio concerto - no, forse è meglio
che ti inginocchi anche tu, tanto per essere
sicuri. Ora, prego, Colombo, cosa posso fare
per te oggi?".
Il Winthrop inginocchiato urlò: "Vostra Maestà,
voglio andare a scoprire l'America.... Ora inizia
a prendere i granchi, Dick".
"Ah, caspita, non so cosa dire.... Non
ascoltatelo, Regina, è un pazzo. Non c'è
nessuna America. Tutte le sue navi
scivoleranno via dal bordo della terra".
"Chi è che comanda, cortigiana? Io! Certo che
può avere tre navi, se devo dargli metà del mio
regno. Cosa ne pensi, concerto? - Tu Ben,
cioè tu?".
"Chi? Io? Oh, per me va bene, regina".
"Allora vai alle navi".
Sulla riva del fiume era ormeggiata una
vecchia chiatta di sabbia. I quattro bambini si
diressero verso di essa, mentre Ann brandiva il
revolver. Li guidò tutti, la più veloce e la più
eccitata. Arrivati alla chiatta, gridò: "Ora
diventerò Colombo!".
"Non lo sei", protestò Winthrop. "Io sono
Colombo! Non puoi essere Iserbella e
Colombo! E sei solo una ragazza. Dammi quel
revolver!".
"Lo sono anch'io, Colombo! Sono il miglior
Colombo. Così adesso! Non sai nemmeno
dirmi i nomi delle navi di Colombo!".
"Lo so fare anch'io!".
"Beh, quali erano?".
"Beh, non posso... Nemmeno tu,
furbacchione!".
"Oh, non posso, non posso!", si affrettò a dire
Ann. "Erano il Pinto e il Santa Lucheea e... e
l'Armada!".
"Accidenti, è vero. Immagino sia meglio che
sia Colombo", si meravigliò il detronizzato re
Ferdinando, e la grande navigatrice condusse
il suo fedele equipaggio a bordo della Santa
Lucia, né il salto attraverso quel metro di
acqua fangosa fu un'esibizione delicata e
fanciullesca.
anzi, forse è meglio che t’inginocchi anche tu,
tanto per essere sicuri. Ora, di grazia, messer
Colombo, cosa posso fare per voi oggi?".
Dalla sua posizione inginocchiata, Winthrop urlò:
"Vostra Maestà, voglio andare a scoprire
l'America.... Ora comincia ad attaccarmi, Dick".
"Ah, mannaggia, non so cosa dire.... Non
ascoltatelo, Regina, è pazzo. Non c'è nessuna
America. Tutte le sue navi scivoleranno giù dal
bordo della terra".
"Chi è che comanda, cortigiano? Io! Certo che
può avere tre navi, mi costasse pure metà del
mio regno. Cosa ne pensate, consorziato? – Tu,
Ben… cioè voi?".
"Chi? Io? Oh, per me va bene, regina".
"Allora alle navi".
Sulla riva del fiume era ormeggiata una vecchia
chiatta per la sabbia. I quattro bambini la
raggiunsero di corsa, Ann brandendo il revolver.
Era davanti a tutti, la più veloce e la più agitata.
Arrivati alla chiatta, gridò: "Adesso faccio
Cristoforo Colombo!".
"Proprio no", protestò Winthrop. "Sono io
Colombo! Non puoi fare Isabella e pure
Colombo! E poi sei solo una femmina. Dammi
quel revolver!".
"Lo faccio anch'io Colombo! Sono il miglior
Cristoforo Colombo. Sta’ a vedere! Non sai
nemmeno dirmi i nomi delle navi di Colombo!".
"Li so, li so".
"Ah sì, e quali erano?".
"Beh, in questo momento... Nemmeno tu li sai,
intelligentona!".
"Oh, in questo momento, in questo momento!",
gli fece il verso Ann. "Erano il Pinto e il Santa
Lucia e... e l'Armada!".
"Wow, è vero. Mi sa che è meglio se Colombo lo
fa lei ", si meravigliò il detronizzato re
Ferdinando, sicché la grande navigatrice
condusse il suo fedele equipaggio a bordo della
Santa Lucia, con un balzo per attraversare quel
metro di acqua fangosa che non fu né
aggraziato né femminile.
non fu precisamente una dimostrazione di
belle maniere da signorina.
Colombo prese il suo posto di comando a
prua, se di prua si può parlare per una simil
specie di barca e, portandosi una mano agli
occhi allo scopo di meglio raccoglier lo
sguardo su quella distesa di trenta piedi di
sponda, annunciò: - Si avvicina una tempesta
orribile! Ai vostri posti, miei uomini! Ammainate
la randa. Imbrogliate le altre vele! Corpo d'un
cane, che lampi e tuoni! Andiamo, presto, miei
bravi! Il capitano viene anche lui a darvi una
mano.
Così tra di loro, avevano già calato tutte le
vele, quando la tempesta si abbatté sul prode
legno. La tempesta (aiutata in parte dalla
ciurma che si agitava e saltava su un lato della
barca) minacciava di capovolgere la sfortunata
navicella, ma i marinai la fronteggiavano
nobilmente con allegre grida. Senza dubbio
infondeva loro sì gran coraggio l'esempio del
capitano, che ritto in piedi, la gamba destra
fieramente appoggiata in avanti, una mano sul
petto, l'altra stretta sull’impugnatura del
revolver, gridava con voce alta e sonante:
bum! Bum! Bum!
Ma la tempesta continuava maligna.
- Ora cantiamo un coro per far vedere che
abbiamo del fegato - comandò la capitanessa
Colombo attaccando la sua ballata favorita:
“Tintinnate campanelle
Tintinnate per la via.
Sulla slitta ad un cavallo
Com'è bello! Che allegria!”
La tempesta cessava.
Già si avvicinavano all'isola Watling. Anna
aguzzava lo sguardo oltre la torbida superficie
dell'acqua, rotta dal salto di qualche luccio,
allorché d'un tratto avvistò lungo la spiaggia
un'orda di selvaggi in corsa.
- Guardate, laggiù, tra le palme e le pagode. I
pellirosse - ammonì Colombo. Prepariamoci a
vendere a caro prezzo la nostra vita!
- Sì certo! - consentiva la ciurma guardando a
bocca aperta l'orrore di quella fila di piante di
Colombo prese posto a prua (se una chiatta
possiede una prua) e, riparandosi gli occhi
dal sole e scrutando oltre i dieci metri del
fiumiciattolo, urlò: “Una spaventosa tempesta
si avvicina, marinai! Ammainate la vela
maestra! Terzaruolate tutte le altre! Che
tuoni, che lampi, figliuoli! Fate presto, miei
bravi, che il vostro comandante vi dà una
mano!”
Insieme ammainarono tutte le vele prima che
l’uragano si avventasse contro il superbo
vascello. L’uragano (aiutato forse dalla
ciurma tutta adunata su un lato della chiatta
a saltellare su e giù) minacciava di
capovolgere la sventurata caravella, ma la
ciurma nobilmente lanciava grida di gioia. La
incitava senza dubbio l’esempio del
comandante che, ritto, la gamba destra
arditamente piantata in avanti e una mano
sul petto, teneva con l’altra la rivoltella
puntata e a gran voce sparava: “Bum, bum,
bum!”
Ma la tempesta continuava maligna.
“Cantiamo in coro e facciamo vedere che i
nostri cuori non tremano!” comandò
Colombo, e attaccò la sua ballata preferita:
“drin drin drin; drin drin drin,
Campanelli tintinnate.
Com’è bello andare in slitta,
Dietro il trotto del cavallo!”
La tempesta si quietò.
Si avvicinavano ora all’isola di Watling.
Aguzzando la vista sulle acque tumultuose,
qua e là rotte dal salto di un luccio, Anna
scorse orde di selvaggi vagare sulla sponda.
“Guardate laggiù fra le palme e le pagode!
Pellirosse scocciatori!” avvertì Colombo.
“Dobbiamo prepararci a vender cara la
pelle!”
“Benissimo” convenne la ciurma guardando
a bocca aperta la temibile fila di erbacce
Colombo si posizionò a prua - per quanto
un'imbarcazione a due alberi possieda una
prua - e, oscurando gli occhi e guardando oltre
i trenta piedi di insenatura, gridò: "Sta
arrivando una grande e terribile tempesta,
uomini miei! Chiudete la randa! Scrollate tutte
le altre vele! Gatti miei, come tuona e si
schiarisce! Datevi da fare, miei prodi, e il
vostro comandante vi darà una mano!".
Tra loro riuscirono ad ammainare tutte le vele
prima che l'uragano si abbattesse sul valoroso
vascello. L'uragano (forse aiutato
dall'equipaggio, che stava su un lato della
chiatta e saltava su e giù) minacciava di
rovesciare la sfortunata caravella, ma
l'equipaggio esultava nobilmente. Senza
dubbio erano incoraggiati dall'esempio del loro
comandante, che stava in piedi con la gamba
destra arditamente spinta in avanti, una mano
sul petto e l'altra che teneva la rivoltella,
mentre osservava, a voce alta: "Bang, bang,
bang!".
Ma la tempesta continuò, ferocemente.
"Cantiamo una canzone per dimostrare che
abbiamo un cuore forte!" ordinò Colombo, e li
guidò nella sua ballata preferita:
"Jingle bells, jingle bells,
Jingle all the way.
Oh! Che divertimento cavalcare
in una slitta aperta con un solo cavallo!".
La tempesta si placò.
Si stavano avvicinando all'isola di Watling.
Scrutando attraverso l'acqua turbolenta,
spesso interrotta dal balzo di un grongo, Ann
percepì bande selvagge che si aggiravano
sulla riva.
"Vedi, laggiù, tra le palme e le pagode! Pesanti
pellerossa!", avvertì Colombo. "Dobbiamo
prepararci a vendere cara la nostra vita!".
"Proprio così", concordò il suo equipaggio,
sbalordito dalla spaventosa fila di erbacce
Colombo si posizionò a prua - per quanto
un'imbarcazione del genere possieda una prua -
e, riparandosi gli occhi per guardare al di là dei
trenta piedi di insenatura, gridò: "Uomini, sta
arrivando una terribile tempesta! Chiudete la
randa! Scrollate tutte le altre vele! Per mille
baleniere, che tuoni e fulmini! Datevi da fare,
miei prodi, e il vostro comandante vi darà una
mano!".
Tra tutti, riuscirono ad ammainare le vele prima
che l'uragano si abbattesse sul valoroso
vascello. L'uragano (forse aiutato
dall'equipaggio, che stava su un lato della
chiatta e saltava su e giù) minacciava di
rovesciare la sfortunata caravella, ma
l'equipaggio esultava nobilmente. Senza dubbio
erano incoraggiati dall'esempio del comandante,
in piedi con la gamba destra arditamente avanti,
una mano sul petto e l'altra che impugnava la
rivoltella, mentre a voce alta faceva "Bang,
bang, bang!".
Ma la tempesta continuò, feroce.
"Cantiamo una canzone per dimostrare che
abbiamo un cuore forte!" ordinò Colombo, e
intonò la sua ballata preferita:
"Jingle bells, jingle bells,
Jingle all the way.
Oh! What fun it is to ride
In a one-horse open sleigh!
La tempesta si placò.
Si stavano avvicinando all'isola di Watling.
Scrutando attraverso l'acqua turbolenta, spesso
bucata dal balzo di un grongo, Ann scorse
bande selvagge che si aggiravano sulla riva.
"Guardate laggiù, tra le palme e le pagode!
Quegli scocciatori di pellerossa!", avvertì
Colombo. "Dobbiamo prepararci a vendere cara
la pelle!".
"Giusto", concordò l’equipaggio, fissando a
bocca aperta la spaventosa fila di erbacce al di
verbasco che invadevano la sponda.
- Cosa vi credete di fare, ragazzi?
Una voce del tutto ignota, questa.
E infatti voltandosi a guardare videro che a
riva c'era un ragazzo sconosciuto, un ragazzo
nuovo. Anna lo fissava con occhi accesi da
ammirazione, ché le pareva un eroe uscito da
un libro di favole. Non aveva mai provato alcun
timore di Ben o di Winthrop: si sentiva uomo
quanto loro meno che nell'arte di sputare e di
giocare al baseball. Ma il ragazzo sconosciuto,
di forse due anni maggiore di lei, quello era un
dio, un guerriero, un capo, una minaccia, uno
splendore: la testa ricciuta, le spalle larghe, la
vita stretta, e un sorriso sardonico, e un naso
sottile e sprezzante.
- Cosa vi credete di fare, ragazzi?
- Stiamo giocando a Colombo. Vuoi giocare? -
La ciurma era sorpresa dalla mitezza di Anna.
- Peuh! Che giocare! - ed egli fu a bordo d'un
salto netto, mentre gli altri s'erano tanto
affannati ad arrampicarsi e a lasciarsi cadere
dentro. - Vediamo quel fucile – diss’egli con
noncuranza prendendo il revolver di mano a
Colombo che glielo abbandonava con
reverente soggezione. Lo aprì d'un solo scatto
e guardò dentro la canna. - Non vale un
accidente. Lo getterò in acqua.
- No, te ne prego - implorò Anna prima che
Winthrop, il proprietario, potesse levare
guerreschi rumori di rivendicazione.
- Eccotela, tieni, piccola. Tu chi sei? Come ti
chiami? Io Adolfo Klebs. Mio padre ed io
siamo appena venuti in questa città. Lui è
calzolaio. È un socialista. Ci stabiliremo qui se
non ci cacciano via. Da Lebanon ci hanno
cacciato via. Infatti. ma io non avevo certo
paura di loro! – “Provate a toccarmi se volete
un pugno in un occhio!” così dissi alla guardia,
e lui non provò a toccarmi, no davvero! Allora,
andiamo, giochiamo a Colombo adesso.
Colombo sarò io. Dammi ancora quell'arma.
Voi, ragazzi, lesti al parapetto della nave. C'è
una bella infornata di pellirosse in quelle
canoe.
sull’altra sponda del fiumiciattolo.
“Oh ragazzini, che vi credete di fare?”
Era una voce ignota.
Si volsero a guardare; lì ritto sulla riva c’era
un ragazzo nuovo. Anna sgranò gli occhi
ammirata, ché questo era un eroe uscito da
un libro di racconti. Tipi come Ben e
Winthrop non le ispiravano nessuna
soggezione; nell’arte del baseball e degli
sputi, no, ma per il resto sapeva d’esser loro
pari. Il ragazzo sconosciuto, di due anni
forse maggiore di lei, era invece un dio, un
guerriero, un capo, una minaccia, uno
splendore: i capelli erano ondulati, le spalle
larghe, la vita snella. Sorrideva sardonico, il
naso fine e sprezzante.
“Che cosa vi credete di fare, ragazzini?”
“Giochiamo a Cristoforo Colombo. Vuoi
giocare?” La ciurma si stupì
dell’arrendevolezza di Anna.
“Puah! Giocare!” Lo sconosciuto saltò a
bordo – un balzo preciso mentre per gli altri
si era trattato di un tonfo faticoso e pesante.
“Vedere quell’arma!” Tolse, con indifferenza,
la rivoltella a Colombo, e lei lasciò fare, con
occhi adoranti. L’aprì di scatto e guardò nella
canna. “Non vale una cicca. La sbatto via.”
“Oh no, per favore!” Fu Anna a gemere,
prima che Winthrop, il proprietario, potesse
uscire in un urlo.
“E va bene, ragazzina. Tientela. Chi sei?
Come ti chiami? Io mi chiamo Adolfo Klebs.
Papà e io siamo appena arrivati in città. Fa il
calzolaio. È socialista. Staremo qui, se non ci
cacciano. Da Lebanon ci hanno cacciato. Ah,
ah! Ma non mi facevano paura! “Toccami e ti
do un calcio in un occhio!”, così gli ho detto
al poliziotto. E lui aveva paura di mettermi le
mani addosso. Dài dunque con questo
Cristoforo Colombo. Io sono Colombo.
Ridammi quella rivoltella. E voi, bambini,
datevi da fare, allineatevi, c’è una caterva di
pellirosse che arrivano in canoa.”
mullen al di là dell'insenatura.
"Cosa credete di fare, ragazzi?".
La voce era perfettamente strana.
Si voltarono e videro, in piedi sulla riva, un
nuovo ragazzo. Ann lo guardò con viva
ammirazione, perché era un eroe uscito da un
libro di fiabe. Nei confronti di compagni come
Ben e Winthrop non aveva alcuna soggezione;
tranne che nelle arti del baseball e dello sputo,
si riteneva un uomo bravo quanto loro. Ma
quello strano ragazzo, forse di due anni più
grande di lei, era un dio, un guerriero, un
leader, una minaccia, uno splendore:
riccioluto, dalle spalle larghe, dalla vita sottile,
sorrideva cinicamente, il naso sottile e
sprezzante.
"Cosa credete di fare, ragazzi?".
"Stiamo giocando a Colombo. Volete
giocare?". L'equipaggio fu sorpreso dalla
mitezza di Ann.
"No! Stiamo giocando!" Lo straniero saltò a
bordo: un salto netto dove gli altri avevano
ansimato e si erano afflosciati. "Vediamo
quella pistola". Prese il revolver da Colombo,
con noncuranza, e lei lo cedette con
venerazione. La aprì di scatto e guardò nella
canna. "Non è un buon segno. La butto in
mare".
"Oh, ti prego, non farlo!". Fu Ann a gemere,
prima che Winthrop, il proprietario, potesse
emettere versi bellicosi.
"Va bene, ragazzo. Tienilo. Chi sei? Come ti
chiami? Mi chiamo Adolph Klebs. Io e mio
padre siamo appena arrivati in città. Lui è un
calzolaio. È un socialista. Ci stabiliremo qui, se
non ci cacciano. Ci cacciano dal Libano. Ah!
Non avevo paura di loro! Se mi tocchi ti do un
calcio nell'occhio", è quello che ho detto al
poliziotto. Aveva paura di toccarmi. Beh, dai,
se dobbiamo giocare a Columbus... Io sarò
Columbus. Ridammi quel fucile. Ora voi
ragazzi datevi da fare e allineatevi ai lati della
barca. C'è una marea di pellerossa che sta
arrivando in canoa".
Ed era Adolph-Columbus che ora osservava:
là del rio.
"Cosa vi credete di fare, bambini?".
La voce era assolutamente sconosciuta.
Si voltarono e videro, in piedi sulla riva, un
nuovo ragazzo. Ann lo osservò con viva
ammirazione, perché quello era un eroe uscito
da un libro. Nei confronti di compagni come Ben
e Winthrop non aveva alcuna soggezione:
tranne che nelle arti del baseball e dello sputo, si
riteneva uomo quanto loro. Ma quel ragazzo
sconosciuto, forse di un paio d’anni più grande,
era un dio, un guerriero, un condottiero, una
minaccia, uno splendore: capelli ricci, spalle
larghe, vita sottile, sorrideva cinicamente, il naso
sottile e sprezzante.
"Cosa credete di fare, bambini?".
"Stiamo giocando a Cristoforo Colombo. Vuoi
giocare?". L'equipaggio fu sorpreso dalla
mitezza di Ann.
"Puah! Giocare!" Lo straniero balzò a bordo: un
balzo netto, dove gli altri avevano arrancato
ansimanti. "Vediamo quella pistola". Prese il
revolver da Colombo, con noncuranza, e lei lo
cedette con venerazione. La aprì di scatto e
guardò nella canna. "Non serve a niente. La
butto in acqua".
"Ti prego, non farlo!". Fu Ann a piagnucolare,
prima che Winthrop, il proprietario, potesse
lanciarsi in versi bellicosi.
"Va bene, bimba. Tienilo. Chi sei? Come ti
chiami? Io sono Adolph Klebs. Mio padre e io
siamo appena arrivati in città. Fa il calzolaio. È
socialista. Ci stabiliremo qui, se non ci cacciano.
Ci hanno cacciati da Lebanon. Non avevo paura
di loro! Se mi tocchi ti do un calcio nell'occhio",
così ho detto al poliziotto. E lui aveva paura di
toccarmi. Allora, forza, dobbiamo giocare a
Colombo. Cristoforo Colombo lo faccio io.
Ridammi quella pistola. Ora bambini, datevi da
fare e allineatevi sul fianco della barca. C'è una
marea di pellerossa che si stanno avvicinando
sulle canoe".
E il nuovo Colombo-Adolfo gridava a sua volta,
Bum! bum! bum!, abbattendo quei primitivi
americani a colpi di fucile e in tal modo
insegnando loro a conoscere la civiltà
europea. Dei suoi seguaci nessuno era più
leale né più turbolento di Anna Vickers.
Era la prima volta ch’essa sentiva d'aver
incontrato un maschio superiore a lei e la sua
resa le dava più gioia di quanta non ne avesse
avuta dall'audace e gaia supremazia di un
tempo.
Il padre di Anna Vickers era ispettore
scolastico nella residenza di Waubanakee,
cittadina situata un po’ a sud del centro dello
stato d’Illinois. Tutti lo conoscevano come “il
professore”, e per la sua posizione egli
apparteneva ai notabili del paese, in tutto tre
dottori, due direttori di banca, tre avvocati (uno
dei quali giudice di pace), il proprietario dei
magazzini Boston, e i vari ministri Episcopali,
Congregazionalisti e Presbiteriani.
Materialmente Waubanakee non entra molto
nella storia di Anna. Come la più gran parte
degli americani che si rigirano continuamente
fra Main Street e la Fifth Avenue o tra
Michigan Avenue e Market Street, e al
contrario della più gran parte degli inglesi e dei
continentali che dalla provincia vanno ad
abitare le metropoli, Anna dopo la fanciullezza
non si mantenne in contatto col suolo natio.
Morti che le furono i genitori, non ebbe più
motivo di ritornarvi, né mai sentì il desiderio di
acquistare laggiù un castello quando avesse
raggiunto i più alti gradi della carriera e degli
onori, né di venir sepolta nel piccolo cimitero
del suo paese, come più di un viceconsole
anglo-indiano ha lasciato scritto nelle sue
ultime volontà.
A soli dieci anni essa aveva perduto la madre,
e poco dopo finiti gli studi le era morto anche il
padre. Non aveva fratelli né sorelle. Con
l'andar del tempo, per Anna, Waubanakee era
divenuto un ricordo tra gaio e commosso, il
E fu adesso Adolfo Colombo che cominciò a
gridare “bum, bum, bum”, mentre presentava
la cultura europea agli aborigeni d’America
sparandogli addosso; e di tutti i suoi seguaci
nessuno fu più rumoroso e leale di Anna
Vickers.
Mai prima di allora ella si era imbattuta in un
maschio di cui sentisse la superiorità; e nella
resa trovò più gioia che nella gaia, tronfia
supremazia di prima.
A Waubanakee, cittadina del centro-sud
dell’Illinois, il padre di Anna Vickers era
ispettore scolastico, noto come “il
professore”. La sua posizione lo poneva fra i
notabili del luogo, insieme con tre medici,
due direttori di banca, tre avvocati (uno dei
quali giudice di pace), il proprietario del
Boston Store e i pastori delle tre chiese,
l’anglicana, la congregazionalista e la
presbiteriana.
Waubanakee in sé e per sé non ha una gran
parte nella storia di Anna. Come quasi tutti
gli americani che passano da una Main
street a Fifth Avenue o a Michigan Avenue o
a Market Street, e a differenza di quasi tutti
gli inglesi ed europei che vengono dalla
provincia, passata la fanciullezza, Anna non
restò in contatto con il paese natale; non vi
ritornò più dopo la morte dei genitori; non
sentì mai il desiderio di acquistarvi una
proprietà, a coronamento di carriere e di
grandezze, né di essere sepolta, a mo’ di un
governatore inglese dell’India, nel cimitero
del villaggio.
Sua madre morì quando lei aveva appena
dieci anni, e suo padre un anno prima che
entrasse al college. Non aveva né fratelli né
sorelle. Waubanakee fu per lei, nell’età
matura, solo un ricordo, in parte tenero, in
"Bang, bang, bang!" mentre introduceva la
cultura europea agli americani primitivi
abbattendoli, e tra tutti i suoi seguaci nessuno
era più fedele, o rumoroso, di Ann Vickers.
Non aveva mai incontrato prima un maschio
che sentisse come suo superiore, e
nell'arrendersi provava più gioia che nella
spensierata e presuntuosa supremazia di un
tempo.
Nella cittadina di Waubanakee, nell'Illinois, un
po' più a sud del centro dello Stato, il padre di
Ann Vickers era sovrintendente scolastico,
conosciuto sempre come "professore". La sua
posizione lo rendeva uno dei nobili locali,
insieme a tre medici, due presidenti di banca,
tre avvocati (uno dei quali giudice di pace), il
proprietario del Boston Store e i ministri
episcopali, congregazionali e presbiteriani.
Fisicamente, Waubanakee non entra molto
nella storia di Ann. Come la maggior parte
degli americani che passano da Main Street
alla Fifth Avenue o a Michigan Avenue o a
Market Street, e a differenza della maggior
parte dei britannici e dei continentali di
provincia, dopo l'infanzia non mantenne alcun
contatto con la sua terra natia; non vi tornò mai
dopo la morte dei genitori; non aveva il
desiderio di acquistarvi una villa, come culmine
di carriere e grandezze, o, come un
proconsole anglo-indiano, di essere sepolta
nel cimitero del villaggio.
Sua madre morì quando aveva solo dieci anni,
suo padre un anno prima che Ann andasse
all'università. Non aveva fratelli o sorelle.
Quando era ormai di mezza età, Waubanakee
era un ricordo, un po' umoristico, un po'
Ed era Adolph Colombo a fare "Bang, bang,
bang!" mentre presentava la cultura europea ai
nativi americani abbattendoli, e tra tutti i suoi
seguaci nessuno era più fedele, o scatenato, di
Ann Vickers.
Che non aveva mai incontrato prima un maschio
che sentisse superiore, e nell'arrendersi provava
più gioia che nella propria spensierata e
presuntuosa superiorità di un tempo.
Nella cittadina di Waubanakee, nell'Illinois, poco
a sud del centro dello Stato, il padre di Ann
Vickers era sovrintendente scolastico, da
sempre noto come "professore". La sua
posizione lo rendeva uno dei notabili locali,
insieme a tre medici, due presidenti di banca, tre
avvocati (uno dei quali giudice di pace), il
proprietario del Boston Store e i ministri
episcopali, congregazionali e presbiteriani.
Geograficamente, Waubanakee non entra molto
nella storia di Ann. Come la maggior parte degli
americani che passano da Main Street alla Fifth
Avenue o a Michigan Avenue o a Market Street,
e a differenza della maggior parte dei britannici e
degli europei di provincia, dopo l'infanzia non
mantenne alcun contatto con il paese natio; non
vi tornò mai dopo la morte dei genitori; non ebbe
il desiderio di acquistarvi una tenuta come
culmine di carriere e grandezze, né, come un
proconsole anglo-indiano, di essere sepolta nel
cimitero locale.
Sua madre morì quando Ann aveva solo dieci
anni, suo padre un anno prima che andasse
all'università. Ann non aveva fratelli o sorelle.
Giunta alla mezza età, Waubanakee era un
ricordo, un po' umoristico, un po' commovente:
ricordo giovanile di un mondo romantico,
irreale, perduto per sempre.
Eppure quella piccola città, i suoi costumi, e
tutti i principi professati da suo padre, erano
rimasti in lei, ed avevano avuto la loro parte in
tutto ciò ch’essa doveva fare nella vita. Serietà
di condotta, onesto lavoro, lealtà verso i
congiunti e gli amici, regolare pagamento dei
debiti, sdegno dei facili guadagni (tale da fargli
rifiutare una piccola eredità lasciatagli da uno
zio ch’egli non stimava) e un orgoglio, che non
si compiaceva mai di vanterie né si piegava
all'adulazione, questo era stato il codice
morale di suo padre. Ed in quella Nuova York
dove non era difficile trovare anche fra i
professionisti e gli scienziati, parassiti e
sicofanti, e piccola gente godereccia, un po’
imbrogliona, un po’ bugiarda, le leggi di quel
codice erano sempre state presenti all'animo
di lei; ed ella pertanto non se n'era mai doluta
e aveva cercato loro qualche spiegazione nelle
teorie freudiane. Il fatto è che, sebbene ne
ridesse lei stessa, Anna non si sentiva a posto
se coi primi del mese non aveva pagato tutti i
suoi conti.
Una volta in una conferenza, Carl Van Doren
aveva detto che in sostanza, prima di lasciare
il suo piccolo villaggio di Hope nell'Illinois, egli
vi aveva già conosciuto tutte le persone
incontrate di poi nella vita. Ella gli aveva dato
ragione: il falegname svedese di Waubanakee,
che parlava di Swedenborg, differiva solo
nell'accento dal granduca russo ch’ella,
trent'anni dopo, aveva conosciuto a Nuova
York e sentito barcamenarsi amabilmente sullo
stesso argomento in un mare magno di
elucubrazioni metafisiche.
In realtà Waubanakee doveva esserle
impressa bene in fondo al cuore se ella si
sorprendeva a classificare subito tra la gente
buona o la cattiva le persone di cui faceva
conoscenza. Questo modo di giudicare
imparato alla scuola festiva della Chiesa
presbiteriana di Waubanakee le rimase per
tutta la vita. Ecco per esempio una così detta
parte buffo – un quadro che aveva visto in
giovinezza, irreale, romantico e perduto.
Eppure quella cittadina con le sue usanze, e
i principi di vita di suo padre, influenzarono
tutto ciò che avrebbe fatto nella vita.
Moderazione, onesto lavoro, niente debiti,
lealtà verso compagni e amici, sdegno per i
facili guadagni (una volta rifiutò la piccola
eredità di uno zio che non aveva goduto
della sua stima), e un orgoglio che non gli
permetteva né di umiliarsi né di imporsi: tutto
ciò costituiva il codice d’onore di suo padre,
e in una New York in cui anche fra chi si
occupava di problemi sociali non mancavano
gli scrocconi, i sicofanti e gli allegri bugiardi,
gentucola anche negli imbrogli. Quel codice
la perseguitò sempre, ma non aveva
rimpianti o complessi freudiani al riguardo…
e, nonostante ridesse di sé, se ai primi del
mese non aveva pagato tutti i conti, viveva a
disagio.
Una volta in una conferenza sentì Carl Van
Doren affermare che, sostanzialmente, tutta
la gente che egli doveva incontrare nella vita,
l’aveva già conosciuta prima di lasciare
Hope, il suo paesello natale nell’Illinois. Anna
trovò giusta l’osservazione. Il falegname
svedese di Waubanakee che parlava di
Swedenborg differiva solo per l’accento dal
granduca russo che trent’anni dopo a New
York ella avrebbe sentito amabilmente
pasticciare frivolezze metafisiche.
Sì, così radicata era Waubanakee nel suo
cuore che per tutta la vita le capitò di
sorprendersi a incasellare ingenuamente le
persone da lei conosciute in “buoni” o
“cattivi”, proprio come aveva fatto la sua
maestra alla scuola domenicale della chiesa
presbiteriana di Waubanakee. Ecco qua un
tipo affascinante, spiritoso, sorridente, che fa
commovente: un'immagine che aveva visto in
gioventù, irreale, romantica e perduta.
Eppure quella piccola città e le sue abitudini, e
tutti i principi di vita di suo padre, entrarono in
tutto ciò che avrebbe fatto nella vita. Sobrietà,
lavoro onesto, pagamento dei debiti, lealtà
verso la compagna e gli amici, disprezzo per le
ricompense non meritate - una volta rifiutò una
piccola eredità da parte di uno zio che aveva
disprezzato - e un orgoglio che non gli avrebbe
permesso di cedere né di fare il prepotente,
erano il codice di suo padre, e in una New
York in cui spocchiosi e sicofanti e persone
gaiamente bugiarde, graziose e piccole, che
giocano, non erano sconosciuti nemmeno tra
gli assistenti sociali e gli scienziati, quel codice
la perseguitava, e lei non era dispiaciuta o
freudiana al riguardo. ... e, anche se rideva di
se stessa, se non aveva pagato tutte le bollette
entro il 4 del mese, era inquieta.
Una volta aveva sentito Carl Van Doren dire in
una conferenza che prima di lasciare il suo
villaggio natale di Hope, nell'Illinois, aveva
incontrato, in sostanza, tutti quelli che avrebbe
mai incontrato. Ann era d'accordo. Il
falegname svedese di Waubanakee, che
parlava di Swedenborg, differiva solo per
l'accento dal granduca russo che trent'anni
dopo avrebbe incontrato a New York e che
avrebbe ascoltato con amabilità mentre si
dilungava in una spuma di metafisica.
Sì, Waubanakee era così radicata nel suo
cuore che per tutta la vita Ann si sorprese a
classificare ingenuamente i conoscenti in
Buoni e Cattivi, così come aveva fatto la sua
insegnante della scuola domenicale nella
chiesa presbiteriana di Waubanakee. C'era un
tipo affascinante, spiritoso, sorridente,
appartenente ai migliori circoli di New York,
un'immagine che aveva visto in gioventù, irreale,
romantica e perduta.
Eppure quella piccola città e le sue abitudini, e i
principi di vita di suo padre, entrarono in tutto ciò
che avrebbe fatto nella vita. Sobrietà, lavoro
onesto, onorare i debiti, lealtà verso la
compagna e gli amici, indignazione per le
ricompense non meritate – una volta rifiutò una
piccola eredità da parte di uno zio che aveva
disprezzato – e un orgoglio che non gli avrebbe
permesso di strisciare né di fare il prepotente,
erano il codice di suo padre, e in una New York
in cui scrocconi e sicofanti e allegri bugiardi,
individui meschini che si comportavano
meschinamente, non erano una rarità nemmeno
tra gli assistenti sociali e gli scienziati, quel
codice di condotta le era rimasto addosso, e non
le dispiaceva né sentiva complessi freudiani al
riguardo... e, anche se rideva di se stessa, se
non aveva pagato tutte le bollette entro il quattro
del mese, non era tranquilla.
Una volta aveva sentito Carl Van Doren dire in
una conferenza che prima di lasciare il suo
villaggio natale di Hope, nell'Illinois, aveva
conosciuto, in sostanza, tutti quelli che c’erano
da conoscere. Ann era d'accordo. Il falegname
svedese di Waubanakee, che parlava di
Swedenborg, differiva solo per l'accento dal
granduca russo che trent'anni dopo avrebbe
incontrato a New York e avrebbe sentito
ingarbugliarsi amabilmente in una spuma di
metafisica.
Sì, Waubanakee era così radicata nel suo cuore
che per tutta la vita Ann si sorprese a
classificare ingenuamente i conoscenti in Buoni
e Cattivi, così come aveva fatto la sua
insegnante della scuola domenicale nella chiesa
presbiteriana di Waubanakee. C'era un tipo
affascinante, spiritoso, sorridente, appartenente
ai migliori circoli di New York, che non ripagava
“persona affascinante”, un uomo spiritoso,
piacevole, ammesso nella migliore società di
nuova York, un uomo che non restituiva mai il
denaro che “chiedeva in prestito” e
regolarmente non manteneva i suoi inviti a
pranzo. Per la piccola Anna Vickers di
Waubanakee, mai del tutto sparita dall'animo
della grande riformatrice, al secolo Dott. Prof.
Anna Vickers, quest’uomo andava messo tra i
cattivi né più né meno che l’ubriacone di
Waubanakee, anch’egli giudicato tra i cattivi
dal suo povero padre, il Professore.
Di tale pregiudizio ella non trovò mai a pentirsi
troppo.
La sua vita svolgendosi in un periodo in cui la
tradizione della patria americana aveva già
messo base, ella ebbe tanto poco da
vergognarsi del suo piccolo paese di provincia,
come un Primo Ministro inglese o un Premier
francese d'esser nato in un villaggio di Scozia
o di Provenza. Precedentemente, tra la
maggior parte degli americani che assieme a
un sottile accorgimento vantavano una certa
esperienza del mondo, esisteva la moda o di
lamentare, poniamo, lo sciovinismo dello stato
d’Arkansas, o, con un'umiltà all'incontrario, di
esaltare i rustici pregi del medesimo. Ma Anna,
assieme con centoventi milioni di altri
americani, aveva la fortuna di vivere nel
momento magnifico e terribile in cui gli Stati
Uniti cominciavano a non vedersi più come
una prole illegittima dell'Europa, ma a sentirsi
padroni in casa loro e orgogliosi del proprio
nome.
È pur vero che le ambiziose e lungimiranti
figlie d'America, di cui Anna è un tipo, sono
legate da un ben tenue filo ai loro villaggi e
sinanche alle loro famiglie, a meno che non
siano di recente origine ebrea, italiana o
tedesca. È pur vero che esse hanno perduto a
questo modo la sicura ricchezza che si trova
nella solidarietà delle famiglie europee; ma è
ugualmente certo che si sono liberate
dall'incesto spirituale e morale di parentele
ch’esse mal sopportavano.
parte dell’ambiente più in vista di New York:
costui non restituisce mai quanto si è fatto
prestare, e non mantiene mai i suoi inviti a
pranzo. Bene, per la piccola Anna Vickers di
Waubanakee, che non sparì mai del tutto
nella “Grande Riformatrice dott. Prof. Anna
Vickers”, quest’uomo andava messo fra i
“cattivi” – proprio come a Waubanakee suo
padre “il professore” classificava “cattivo”
l’ubriacone del paese.
Di questo pregiudizio Anna non si rammaricò
veramente mai.
Ella visse quando ormai si era formata una
tradizione americana, per cui non dovette
vergognarsi della sua origine provinciale
americana più di quanto si vergogni del suo
villaggio natale in Scozia un primo ministro
britannico, o della Provenza uno francese.
Precedentemente era di moda, fra quasi tutti
gli americani più consapevoli e con un po’
d’esperienza del mondo, di ammettere
sospirando lo sciovinismo e la ristrettezza
mentale dell’Arkansas, o, con umiltà,
all’incontrario, esaltarne la rustica
perfezione. Anna ebbe invece, e con lei altri
centoventi milioni di americani, la
straordinaria fortuna di vivere nel momento,
splendido e terribile insieme, in cui gli Stati
Uniti cominciavano confusamente a sentirsi
non prole illegittima dell’Europa, ma padroni
nella propria altera casa.
Sono ormai logori i legami che uniscono le
ragazze americane ambizione e avventurose
come Anna non solamente al villaggio
natale, ma addirittura alla famiglia, a meno
che la loro origine non sia ebraica o tedesca
o italiana, giunti di fresca data. Se in tal
modo esse perdono la ricchezza e la
sicurezza che offre la solidarietà della
famiglia europea, in compenso si liberano
dall’incesto spirituale e sociale di tali
fastidiose parentele.
che non ripagava mai il denaro "preso in
prestito" e non rispettava mai i suoi impegni a
cena. Ebbene! Per la piccola Ann Vickers di
Waubanakee, che non si è mai spenta del tutto
in quel grande riformatore che è la dottoressa
Ann Vickers (Hon. LL. D.), quest'uomo era
cattivo - era cattivo proprio come l'ubriacone
del villaggio di Waubanakee era cattivo per
suo padre, il professore.
Era un pregiudizio che non avrebbe mai potuto
rimpiangere.
Era arrivata abbastanza avanti nella tradizione
americana per non vergognarsi di un'origine
provinciale americana come un Primo Ministro
britannico si vergogna della sua nascita in un
villaggio scozzese o un Premier francese della
Provenza. Fino al suo giorno e al suo
momento, era di moda tra la maggior parte
degli americani con un'acuta consapevolezza
e una certa esperienza del mondo o sospirare
che l'orgoglio dell'Arkansas è insulare e
sciovinista o, con un'umiltà inversa, vantarsi
delle sue perfezioni rustiche. Ma Ann ha avuto
la straordinaria fortuna (insieme a circa
120.000.000 di altri americani) di vivere nel
magnifico, anche se spaventoso, momento in
cui gli Stati Uniti cominciarono a vedersi
goffamente non come un figlio illegittimo
dell'Europa, ma come il padrone della propria
orgogliosa casa.
Le ragazze americane ambiziose e
intraprendenti come Ann sono legate solo da
corde sfilacciate non solo ai loro villaggi
d'origine, ma persino alle loro famiglie, a meno
che non siano di recente origine ebraica,
tedesca o italiana. Se in questo modo perdono
la ricchezza e la sicurezza della solidarietà
familiare europea, allo stesso modo sono
libere dall'incesto spirituale e sociale di queste
relazioni assillanti.
Ma a Manhattan, un giorno Ann sarebbe stata
mai il denaro "preso in prestito" e non rispettava
mai i suoi impegni a cena. Ecco! Per la piccola
Ann Vickers di Waubanakee, mai del tutto
cancellata dalla grande riformatrice Dott. Ann
Vickers (dottorato in Legge), quell'uomo era
cattivo – cattivo proprio come l'ubriacone del
villaggio di Waubanakee era cattivo per suo
padre, il professore.
Era un pregiudizio di cui non si sarebbe mai
pentita.
Era arrivata abbastanza avanti nella tradizione
americana per non vergognarsi di un'origine
provinciale come un Primo Ministro britannico
non si vergogna della sua nascita in un villaggio
scozzese o un Premier francese della Provenza.
Fino a quel momento, tra la maggior parte degli
americani con un'acuta consapevolezza e una
certa esperienza del mondo era andato di moda
sospirare per l’orgoglio insulare e sciovinista
dell'Arkansas o, con un'umiltà inversa, vantarsi
delle sue rustiche perfezioni. Ma Ann ebbe la
straordinaria fortuna (insieme a circa
120.000.000 di altri americani) di vivere nel
magnifico - benché spaventoso - momento in cui
gli Stati Uniti cominciarono a vedersi goffamente
non come figli illegittimi dell'Europa, ma come
padroni della propria orgogliosa casa.
Le ragazze americane ambiziose e
intraprendenti come Ann sono ormai legate solo
da corde sfilacciate non solo ai villaggi d'origine,
ma persino alle famiglie, a meno che siano di
origine ebraica, tedesca o italiana. Se in questo
modo perdono la ricchezza e la sicurezza della
solidarietà familiare europea, sono tuttavia libere
dall'incesto spirituale e sociale di queste
relazioni assillanti.
Ma, a Manhattan, un giorno Ann sarebbe stata
moderatamente contenta di essere imparentata,
Tuttavia, anche a Manhattan, Anna dovette un
giorno sentirsi piuttosto lieta d'essere
appartenuta attraverso suo padre e
Waubanakee a quella classe borghese che
fino al 1917 era stata la sola America.
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Ma a Manhattan Anna si sarebbe un giorno
sentita serenamente lieta d’essere legata,
tramite sua padre e Waubanakee, alla
colonia borghese che, fino al 1917, fu la sola
America.
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leggermente contenta di essere imparentata,
attraverso il padre e Waubanakee, con la
colonia borghese che, fino al 1917, era l'unica
America.
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attraverso il padre e Waubanakee, con quella
colonia borghese che, fino al 1917, era l'unica
America.
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