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Beatrice Garzelli
(Università per Stranieri di Siena)
1
Andruetto 2010 = [V].
2
Sulla traduzione del tempo in Veladuras cf. Garzelli 2012: 181-189.
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Sui motivi della sintaxis parcelada, della dislocazione sintattica, delle frasi
sospese e delle ripetizioni enfatiche cf. Múñoz Medrano 2008: 215-228.
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Sulla definizione di termini culturali e di realia, così come sulle strategie
traduttive ad essi connesse, si vedano, tra gli altri, i seguenti studi: Calvi (2003:
11 e 2006: 67-70); Rega 2010: 245-256.
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Come asserisce B. Osimo (2010: 157) «tranne in testi di carattere pragma-
tico non dedicati alla cultura emittente, nei quali il dato di realtà può essere, in
taluni casi, sostituito con un dato di realtà della cultura ricevente (naturalizza-
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V, I, p. 24. «Quando vidi Gregoria mi assalirono i ricordi e il tempo in cui
mio padre era vivo e venivamo qui a passare le feste con mia nonna; le feste e
anche il mio compleanno che è a febbraio, nel periodo di Carnevale. Arrivava-
mo a San Salvador e ancora prima di partire per Tumbaya mi appariva il silen-
zio dei monti. Avrei potuto camminare a occhi chiusi, avrei saputo ugualmente
che ci trovavamo alla Quebrada, perché il silenzio mi penetrava dentro le ossa
e c’era come un odore di melassa e involtini dappertutto.
Mia nonna suonava il flauto e cantava le bagualas, ma questo succedeva
prima, quando io e mia sorella eravamo piccole e venivamo qua e il mio papà
batteva il tamburo e suonava il mandolino» (V, I, p. 25).
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Sul tema delle implicazioni culturali nel processo traduttivo e sul concetto
di ideal reader cf. James 2002.
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Si tratta, nei tre casi, di una sostituzione con un termine che designa un da-
to di realtà della cultura ricevente che tende ad un fenomeno di “naturalizza-
zione” (Osimo 2010: 157).
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res, sino muy despacio para que nadie la escuchara, pero mi padre la
escuchó esa tarde9.
Esos colores en los potes, esos que vi con estos ojos dando brincos.
Así es como sucedieron las cosas que le digo: me levanté de donde
estaba sentada y me acerqué a la puerta, pasé al taller y me arrimé a la
mesa. Eran como coyuyos el pan de oro, los ferrites y la purpurina, el
tierra sombra, el azul talo, el blanco de titanio... y el mordiente con
ese olor que se le mete a uno adentro 10.
9
(V, IV, p. 78). «Un giorno Gregoria fece le tortillas alla brace, come era
solita fare mia nonna Rosa, fece l’impasto sopra il tavolo che era in cortile. Fa-
rina, strutto, acqua calda, uguale a come lo faceva mia nonna. Impastava can-
tando le bagualas che si cantano qui, ma molto piano perché nessuno la sentis-
se, ma mio padre la sentì quel pomeriggio» (V, IV, p. 79).
10
(V, II, pp. 34-36). «Quei colori nei vasetti, quelli che vidi con questi occhi
saltando di gioia. Successero così le cose che le dico: mi alzai da dove ero se-
duta e mi avvicinai alla porta, entrai nel laboratorio e mi accostai al tavolo. E-
rano come grandi cicale il dorato, la ferrite e la porporina, la terra d’ombra, il
blu notte, il bianco di titanio…e il mordente con quell’odore che ti penetra den-
tro» (V, II, p. 37).
11
Sui diversi approcci traduttivi basati sul maggiore o minore adeguamento
del testo ai destinatari, cf. Diadori 2012: 52-54.
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Era un algarrobo enorme ese que estaba en el centro del patio y ocu-
paba todo lo que había. Un algarrobo con las ramas hasta abajo, cas-
tigando el suelo. Pero más castigaba la rama de más alto, porque ahí
estaba mi padre, colgado estaba de la rama, como si fuera un pájaro
de esos que salen por la noche a chupar sangre o como un muñeco
desarrapado y chueco, un muñeco de estopa o de ceniza colgando sin
fuerza como las piernas mías 12.
12
(V, IV, p. 72). «Era un carrubo enorme quello che si trovava in mezzo al
cortile e occupava tutto lo spazio. Un carrubo con i rami fino a terra, che colpi-
vano il suolo. Ma più di tutto colpiva il ramo più alto, perché lì stava mio pa-
dre, era appeso al ramo, come se fosse un uccello di quelli che escono la notte
per succhiare il sangue o come un fantoccio cencioso e storto, un fantoccio di
stoppa o di cenere che penzola senza forza come le mie gambe» (V, IV, p. 73).
13
V, I, p. 30. «È quello che mi viene in mente, ora che tutto quello che ho è
ciò che è stato di mio padre e di mia nonna, da quando mia nonna Rosa risiste-
mò questa capanna che era di sua madre per proteggersi dalle trombe d’aria e
qui portò i suoi lama e i suoi guanaquitos e vi si trasferì, vi si trasferì prima che
passasse un uomo che andava verso il nord, prima che l’uomo la mettesse in-
cinta, e da allora tutto questo fu suo e di mio padre, e ora è anche mio» (V, I, p.
31).
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pregio della sua carne e per la lana che fornisce. Un secondo ter-
mine presente nel passo necessita a nostro avviso di una specifica
riflessione, legata a questioni lessicografiche: la protagonista allu-
de infatti al rancho della nonna, che diventerà per lei il luogo sim-
bolo da cui far ripartire la propria vita dopo l’elaborazione del lutto
e il suo allontanamento volontario dalla casa della madre. Rancho
avrebbe potuto essere interpretato e tradotto con l’italiano «fatto-
ria», dato che è proprio lì che la nonna di Rosa alleva i lama e i
guanacos per poter vivere, tuttavia il suggerimento dato dall’au-
trice nella fase della traduzione è stato prezioso per capire meglio
l’estrema povertà del contesto e dell’edificio: se ‘fattoria’, ‘ranch’
o ‘masseria’ sarebbero stati fuorvianti, l’impiego invece di ‘capan-
na’ va nella direzione di dare nel testo tradotto lo stesso effetto – o
quasi – dell’originale.
Dopo alcune pagine, troviamo l’espressione leña de llama y de
guanaco: andrà segnalato a margine che leña va intesa nell’acce-
zione tipicamente argentina di «estiércol seco […] que se emplea
como combustibile»14; si accenna infatti al letame prodotto da que-
sti animali, ancora oggi usato come combustibile e impiegato dai
vasai del nord-ovest argentino per cuocere i loro manufatti, i co-
siddetti cacharritos ai quali allude a più riprese la ragazzina nel
corso del suo racconto:
14
DRAE, s.v.
15
V, II, p. 48. «Mi dettero il nome di mia nonna, così mi chiamo, e questa è
la prima cosa che mi viene in mente. Lo stesso nome e cognome, che è anche il
cognome di mio padre, perché mio padre non ha avuto un padre. Ho il suo no-
me e mi piacciono le cose che piacevano a lei, e ho questa facilità nel fare i
miei cocci come li faceva lei, e nel cuocerli con sterco di lama e di guanaco»
(V, II, p. 49).
16
Sul tema cf. Eco 2003.
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17
Colla: voce di origine quechua che designa gli indios o i meticci che vi-
vono sull’altipiano andino.
18
V, III p 56. «Non somiglio fisicamente per niente a mio padre, e neppure a
mia nonna Rosa, e questo è quello che mi fa arrabbiare, dottoressa, perché sono
per metà italiana nel corpo e nella faccia, e tutti dicono che sono uguale a mia
madre. Al contrario mia sorella Luisa somiglia a loro, da fuori dico, perché per
il resto non vuole sapere niente del mondo di quaggiù che mi chiama come una
voce da dentro» (V, III, p. 57).
19
DRAE, s. v.
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Bibliografia citata
20
Sul tema cf. Groff 2011: 151-156 e Ivančić 2011: 157-172.
21
Sul motivo della invisibilità del traduttore cf. Venuti 1995.
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