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Cercherò di riportare quanto osservato con compiutezza ed oggettività in merito agli esiti della

missione guidata dalla Gilda degli Esploratori presso il pianoro di Ashkaj, in quello che rimane
della Tarassia, avvenuta il XXX giorno dell'Albero 1114.

Ero deputato alla manutenzione del macchinario predisposto dal Concilio delle Gilde, su
iniziativa e coordinamento della Gilda degli Esploratori. L'intento della compagine riunita il XXX
giorno dell'Albero era di entrare nel portale che conduce nel Senza Nome, da cui si suppone sia
uscita la creatura chiamata Denea. L'obiettivo era quello di scovare informazioni utili per
arrestare o quantomeno rallentare l'avanzata del Vortice e la tanto temuta fine della Creazione.
Senza perdermi in lungaggini tecniche, riporterò solo che l'attivazione del congegno ha avuto un
grande successo: l'anima dei viaggiatori, veicolata e mossa dall'energia del Circolo consumato nel
procedimento, è passata attraverso il portale. Inaspettatamente, i loro corpi originali sono rimasti
su Elempos fisica, repulsi da una barriera di metallo liquido che ho facilmente identificato come
metallaxis. Il rarissimo reagente era talmente brillante e perfetto che la sua superficie sembrava
quasi uno specchio: sorprendentemente, mi sembrava di poter vedere al di là di esso, come anche di
ascoltare i rumori di voci ed armature. Potevo, di fatto, vedere i compagni che si risvegliavano
dall'altra parte dello specchio, ma allo stesso tempo ne scorgevo i corpi ai miei piedi. Mi sono reso
conto di non poter fare niente: se avessi spento il macchinario, cosa sarebbe stato delle figure che
scorgevo al di là dello specchio? Ho deciso di riporre i corpi al sicuro all'esterno del Circolo, giacché
se il macchinario avesse dato segni di instabilità sarebbero stati i primi a soffrirne le conseguenze.
A quel punto sono tornato verso la pozza di metallaxis e ne ho osservato la superficie. Ciò che ho
visto nello specchio turberà i miei sogni per molti mesi, ne sono certo.
I viaggiatori elempiani si svegliavano in una piana verde: alla loro vista si presentava una
possente fortezza, circondata da mura: oltre le mura, un lucore bianco, uno spazio inesistente, un
grande vuoto bianco. La compagine di Elaviani si muoveva in un mondo immobile. Diverse
creature si ponevano di fronte a loro, racchiuse nel freddo abbraccio della stasi, immortalate
nell'ultimo attimo di vita prima della fine. Interagire con esse sembrava impossibile: troppo fredda
la superficie della loro pelle, inavvicinabili i loro sensi. Con passi incerti gli Elempiani hanno
raggiunto le porte della fortezza, presso le quali diverse gracili creature si assiepavano, immobili
anch'esse, statue viventi contorte in espressioni angosciate. Ho visto la compagine disperdersi alla
ricerca di presenze di vita, indagare la struttura della fortezza, perdersi nelle sue stanze. Una di
esse in particolare conteneva qualcosa di inaspettato: sedute su due troni, come a fronteggiarsi,
due entità dotate di enorme potere, legate da catene. Non è stato difficile, neanche da questa parte
dello specchio, comprendere che esse erano in tutto e per tutto Rune di quarto Cerchio: erano Dèi.
Anche loro erano immobili ed inavvicinabili. Al centro della stanza era posto un singolare
cristallo, all'apparenza indistruttibile. Nel momento in cui tale cristallo è stato mosso, il mondo è
uscito dalla stasi gelida del Senza Nome, ed il tempo è tornato a scorrere: le due divinità sono
tornate a muoversi col mondo. Di fatto, poco potevano; le catene mistiche che le costringevano
nella fortezza erano state poste su di loro proprio dai mortali che abitavano quella creazione, il cui
nome è Kairihen. I loro poteri erano inutili, ma la loro coscienza era presente ed interrogabile.
Data la loro natura duale ed il loro aspetto, ci si riferiva a loro semplicemente come Padre e
Madre. Il primo era una divinità logica, sapiente e fatalista; la seconda era una divinità ferale,
istintiva e sanguinaria. Gli abitanti di Kairihen, mortali e non, erano coscienti dell'avvenuta fine,
e non si aspettavano di poter tornare ad esistere. Nel rispetto del dualismo divino, le due razze
dominanti erano assai dissimili: la più civilizzata era composta di individui fragili ma molto
sapienti, esperti in ciò che possiamo equiparare all’ingegneria e all’arte rituale; la più bestiale era
composta da individui molto robusti, dotati di corna ed armi naturali, il cui unico scopo sembrava
cacciare e sopraffare.
Grazie all'interazione con i due Dèi e con le creature inferiori, sono stati compresi alcuni fatti
rilevanti e sono stati definiti alcuni punti mai trattati prima: in quel mondo è avvenuta
l'invasione da parte di Denea ed Alastor; la prima cercava di contrastare direttamente i loro Dèi,
per assorbirne la parte elementale, a loro direttamente legata. Il secondo si è limitato a conquistare
le terre selvagge, costruendo un unico immenso clan di cui lui era il capo incontrastato. Ershev, di
fatto, si è solo “affacciato” su Kairihen, giudicandola inadeguata ai suoi scopi.
Con ogni evidenza, Kairihen è una creazione che ha preceduto la nostra. A quanto pare, le
porzioni di realtà consumate nel Vortice vengono, in parte, conservate in un enorme continente,
custodito nel ventre del Senza Nome. Il cristallo non è che una sorta di chiodo, per così dire, che
tiene vincolati alla stasi i mondi imprigionati. Come ciò sia possibile è tutt'ora ignoto. È
impensabile, peraltro, progettare di liberare queste parti di creazione. Il Senza Nome, infatti,
reagisce alle manomissioni. Una creatura ricoperta di ghiaccio, che alcuni sembravano chiamare
“matrice”, ha allarmato il macchinario della fine dei mondi. In un tempo brevissimo, decine di
costrutti metallici hanno invaso la fortezza, nel tentativo di riportare un nuovo cristallo nella
sede designata, condannando Kairihen ad una nuova stasi. I costrutti erano quasi indistruttibili,
violenti ed efficienti. Mentre loro avanzavano, la compagine elempiana arretrava e si disperdeva
ancora, ma nel frattempo riusciva a scoprire, interrogano il Padre, che i pezzi distrutti della Runa
di Creazione di Kairihen erano custoditi proprio in quella fortezza. In breve, gli Elempiani hanno
valutato la possibilità di ricostruire la Runa di Creazione, grazie al potere delle due divinità, con
l'intento di guadagnare due preziosi alleati nella lotta per la sopravvivenza di Elempos. La
decisione non è stata unanime e di fatto ha incentivato un forte dibattito in seno alle forze
elempiane. Le poche ore che il macchinario garantiva ai viaggiatori passavano veloci, mentre
questi mettevano le mani, uno ad uno, sui pezzi della Runa di Kairihen. Mentre la fredda luce
scemava, le menti cominciavano a perdere lucidità, i muscoli si stavano stancando, e gli assalti
delle creature non accennavano a diminuire.
Quando la Runa di Creazione è stata finalmente riunita, lo specchio ha iniziato ad incresparsi e le
immagini, i suoni, apparivano troppo lontani, sbiaditi. Ho visto che gli Elempiani conducevano le
due divinità, forse libere, presso l'altra parte dello specchio, proprio di fronte a me. Ho udito un
urlo di dolore che mi ha reso quasi sordo, poi più nulla. In un lampo argenteo, io ed i corpi dei
viaggiatori siamo stati sbalzati di qualche metro da un'onda d'urto. Sono corso di volata presso i
corpi inermi, e grande è stato il mio sollievo quando ho notato che uno ad uno essi si stavano
riprendendo. D'un tratto, il mio volto è stato catturato da una luce tenue, candida, che proveniva
dallo specchio ormai in frantumi. Mi è parso di scorgere un sorriso benevolo, qualcosa che non
avevo mai visto prima... forse il sorriso di una divinità. È durato meno di un attimo: due orrori
metallici sono usciti dal portale che ormai stava richiudendosi: se era una divinità, è tornata nella
stasi in cui il Senza Nome la costringe.

In fede,

Ettore da Rocca Leone


Studente dell'Accademia delle Arti Arcane

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