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Introduzione

La passione per il calcio l’ho avuta fin da piccolo.


Già a 2 anni prendevo a calci un pallone. A 5 anni ho iniziato a giocare a
calcio nel Rapolano. Ho sempre giocato con ragazzi o più grandi o più
piccoli di me questo fino all’anno scorso. Ora non gioco più a Rapolano
ma a Foiano e finalmente con ragazzi della mia età, purtroppo con
l’avvento del covid non abbiamo giocato molto. Abbiamo fatto 5 partite in
totale, 3 amichevoli e 2 di campionato e anche gli allenamenti sono stati
interrotti più volte.
Il calcio mi ha fatto crescere sia fisicamente che mentalmente e come
molti altri sport di squadra aiuta a farti crescere come persona. Ti insegna
a stare insieme agli altri, a rispettare gli avversari e le persone più grandi
di te, ti insegna a saper vincere e perdere. Inoltre ci sono anche gli
allenatori che spronano a dare il meglio di te, a mettere in campo tutta la
cattiveria che hai e come dice Antonio Conte: “Uscire dal campo con la
maglia sudata”. Queste cose ti fanno riflettere. In caso di sconfitta dicono
di fare un’analisi personale e pensare se hai dato il massimo oppure se
potevi fare ancora meglio. Tutti questi insegnamenti sono utili nello sport
ma servono anche per la vita in generale.

Quando ero piccolo mi piaceva molto un giocatore della Juventus che era
Arturo Vidal. Mi piaceva come giocava, perché in campo metteva sempre
tanta grinta e si metteva a disposizione della squadra. Quando poi sono
cresciuto nel mio cuore è entrato un altro grande campione che è Paulo
Dybala. È stato acquistato dal Palermo ed è arrivato alla Juventus per 32
milioni di euro nell’estate del 2015. Appena l’ho visto giocare mi è subito
piaciuto ed è tuttora il mio giocatore preferito. Quando gioca è una gioia
per gli occhi, è un giocatore dal talento cristallino e pieno di classe. Le sue
prime 3 stagioni sono state le migliori alla Juventus, poi con l’arrivo di
Ronaldo non ha trovato molto spazio e ha avuto molta difficoltà a
imporsi. La scorsa stagione sembrava fosse tornato quello di una volta,
ma poi quest’anno ha subito un brutto infortunio che l’ha costretto a
stare fermo 3 mesi. La squadra quest’anno non sta andando troppo bene
e neanche Dybala. Il motivo di tutto questo è Cristiano Ronaldo. Giocatore
fenomenale che però “costringe” la squadra a giocare per lui e non per la
squadra. Campioni come Dybala o Ronaldo sono giocatori che spesso
entrano nel cuore dei tifosi. Diventano il simbolo della squadra per vari
motivi che possono essere: il loro attaccamento alla maglia, le giocate, i
gol che solo loro sono in grado di fare.
Per ogni squadra c’è un giocatore simbolo, per esempio Insigne al Napoli,
Immobile alla Lazio, Ibrahimović al Milan o per citare tempi meno recenti
Totti alla Roma, Del Piero, Pirlo e Buffon alla Juventus, Cavani al Napoli e
molti altri.

Questo sport è diffuso in tutto il mondo, specialmente in Europa e in


Sudamerica
Lo scopo del gioco è quello di fare gol. Per segnare un gol, bisogna far
entrare la palla nella porta della squadra avversaria. Per fare questo i
giocatori non possono usare né mani né braccia: principalmente si usano i
piedi. Le partite sono disputate da due squadre composte da 11 giocatori
l’una. 10 giocatori in campo e uno in porta. Le partite hanno una durata di
90 minuti, che sono divisi in 2 tempi da 45 l’uno e sono intervallati da una
pausa di 15 minuti. Il campo è di forma rettangolare con dimensioni che
possono variare: la lunghezza può andare dai 90 metri fino ai 120 metri, la
larghezza invece da un minimo di 45 metri a un massimo di 90 metri. Le
mani possono essere usate esclusivamente dal portiere, questo però
solamente in una zona specifica del campo che è l’area di rigore. L’area di
rigore è un rettangolo, che si trova davanti alle due porte, di 40,32 metri
in larghezza e 16,50 metri in lunghezza. L’area di rigore è però anche a
favore della squadra avversaria, perché se la squadra che attacca subisce
un fallo in questa zona di campo è rigore. Il punto di battuta del calcio di
rigore è segnato da un cerchio nell’area. Il dischetto si trova ad una
distanza di 11 metri dalla riga di porta ed è centrale rispetto a
quest’ultima. In campo oltre ai giocatori ci sono anche gli arbitri che sono
4:
 Il direttore di gara
 I 2 guardalinee
 Il 4° uomo
Questi devono far rispettare il regolamento di gioco che è raggruppato in
17 paragrafi:
1. Il terreno
2. Il pallone
3. Il numero dei giocatori
4. L’equipaggiamento e la tenuta dei giocatori
5. L’arbitro
6. I guardalinee
7. La durata della partita
8. Il calcio d’inizio
9. Il pallone in gioco e non in gioco
10. Il punto segnato
11. Il fuorigioco
12. I falli e le scorrettezze
13. I calci piazzati di punizione
14. Il calcio di rigore
15. La rimessa in gioco laterale
16. Il calcio di rinvio
17. Il calcio d’angolo

Di seguito espongo la storia del calcio, dai primi giochi che ricordano
vagamente questo tipo di sport, fino ad arrivare ai giorni nostri.
Racconterò l’evoluzione del gioco del calcio negli anni, descrivendo
marginalmente il periodo storico degli avvenimenti.

Rinascimento

Tra il XIV e il XVI nacque in Italia una nuova forma di cultura che in pochi
anni si diffuse in tutta Europa: il Rinascimento. Il Rinascimento nacque a
Firenze, poi si sviluppò in Toscana e nelle più ricche città italiane che in
pochi decenni si abbellirono di opere d’arte meravigliose.
In questo periodo si colloca la nascita del Calcio Fiorentino.
Le partite venivano organizzate solitamente nel periodo del Carnevale ma
non solo. La più famosa è sicuramente quella giocata il 17 febbraio 1530,
cui si ispira la moderna rievocazione, quando i fiorentini assediati dalle
truppe imperiali, di Carlo V (Carlo V d'Asburgo è stato imperatore del
Sacro Romano Impero Germanico e arciduca d'Austria dal 1519, re di
Spagna dal 1516, e principe dei Paesi Bassi come duca di Borgogna dal
1506), diedero sfoggio di noncuranza mettendosi a giocare alla palla in
piazza Santa Croce. Questo gioco, come tutti i giochi con la palla europei,
derivava dagli antichi giochi Greci. Il calcio fiorentino dava luogo a incontri
ufficiali nelle grandi ricorrenze tra i partiti (squadre) dei verdi e dei
bianchi, rispettivamente della riva sinistra e destra dell'Arno. Il campo di
gioco era Piazza Santa Croce ed il partito che vinceva si appropriava delle
insegne avversarie. Ogni partito era formato da 27 giocatori: 15 divisi in
tre gruppi di 5, che formavano la linea degli innanzi ed avevano compiti di
attacco; 5 chiamati sconciatori, formavano la seconda linea e avevano il
compito d'intralciare le manovre avversarie; 4 componevano la terza linea
ed erano i datori innanzi, cioè rilanciavano la palla verso gli innanzi; 3
infine, formavano l'estrema linea dei datori indietro, che impedivano agli
innanzi avversari di raggiungere con la palla il fondo del campo e
conquistare una caccia e quindi fare punto.

Attualmente quell'antico gioco è ricordato a Firenze, ogni anno, con una


fedele ricostruzione in costume. Nel XVII secolo un gioco simile al calcio
fiorentino si praticava anche a Venezia e Bologna, dove però fu proibito
poco tempo dopo.

Età moderna

In Inghilterra, riabilitato nel 1617 da Giacomo Stuart, il gioco con la palla


ricominciò liberamente ad essere praticato, soprattutto dai giovani che
frequentavano i college e le università inglesi. Le classi si sfidavano tra
loro, erano sempre composte da dieci alunni ciascuna e a questi si
aggiungeva il maestro, nel ruolo di portiere. Ecco spiegato il motivo del
numero di calciatori in campo nel calcio contemporaneo e del ruolo del
capitano, evoluzione della figura del maestro.

Qui nacquero le prime regole scritte di un gioco denominato dribbling-


game, antenato sia del calcio che del rugby, che vedeva affrontarsi due
squadre di 11 o 22 giocatori e prevedeva sia l'uso dei piedi che delle mani.
Ma ancora, nel 1820, sussisteva confusione tra un tipo di gioco e l'altro, le
cui evidenti differenze originarono, in seguito, una separazione e la
nascita della Rugby Union, nel 1846.

Un primo tentativo di unificazione si ebbe con le 14 regole, quando al


Trinity College di Cambridge si riunirono giocatori in rappresentanza di
diversi istituti per stilare una prima bozza del regolamento del gioco del
football.

Il 24 ottobre 1857 venne fondato il primo club di football al mondo, lo


Sheffield Football Club, che giocò la sua prima partita al Parkfield House, e
nel 1858 furono scritte le Sheffield Rules (Regole di Sheffield).

Calcio contemporaneo

Il 26 ottobre 1863 il calcio ha riscontro istituzionale. A Londra, in Great


Queen Street presso la Free Mason's Tavern si danno appuntamento i
rappresentanti di undici club e associazioni sportive londinesi per creare
la prima federazione calcistica nazionale, una struttura unitaria che
prenderà il nome di Football Association. Scopo primario è codificare in
maniera organica e omogenea il nuovo gioco. Il problema era trovare un
compromesso con lo sport per eccellenza nel mondo anglosassone che
già allora andava sotto il nome di football: il rugby. Alla fine venne deciso
che con il nuovo gioco nessun giocatore potesse correre con la palla tra le
mani o caricare l'avversario. Il calcio che conosciamo oggi ha finalmente
intrapreso la sua strada.
Agli esordi quasi non c’era alcuna distinzione di ruoli tra i giocatori.
Con il trascorrere degli anni nascono a poco a poco "specializzazioni" che
porteranno ad una sommaria distinzione tra attaccanti e difensori. È
questo il periodo in cui si tende ad equilibrare lo sbilanciamento in avanti
delle squadre e il risultato più evidente è l'arretramento di tre attaccanti: i
mediani. Ma è con gli inizi del 1870 che lo schieramento in campo assume
quell'impostazione ben presto diffusa in tutto il mondo, che rimase
attuata per molti decenni, ed era costituita da un portiere, due terzini, tre
mediani e cinque attaccanti.
Questo schema è così tradizionale che fino a poco tempo fa era utilizzato
per presentare, sui giornali e nelle telecronache, le formazioni, anche se
ormai da molto tempo nessuna squadra si sognava di schierarsi sul campo
secondo lo schema sorpassatissimo e anche suicida, ancorché classico,
noto come 2-3-5.

Nel 1871, intanto, vengono codificate le dimensioni del pallone, fa la sua


comparsa la figura del portiere come unico giocatore al quale fosse
consentito toccare la palla con le mani, e nasce la federazione scozzese.
Nel 1875 è la volta di quella gallese. Solo tre anni più tardi un arbitro
utilizzerà per la prima volta un fischietto per dirigere una gara.

Notevoli e rapidi progressi si ebbero poi anche nei materiali usati per
costruire il pallone. Tutti i giochi con la palla infatti fino al XIX secolo
furono condizionati dai limiti tecnici della loro oggettistica: l'insicura
elasticità delle vesciche di animali, la scarsa sensibilità delle sfere di tela
riempite di turaccioli, la difficoltà di reperire sostanze espansive. La
rivoluzione merceologica fu compiuta dall'avvento del caucciù, che gli
inglesi trapiantarono dalle foreste sudamericane nei loro possedimenti
dell'Oceano Indiano. L'invenzione della camera d'aria rese poi possibile un
notevole progresso nel controllo e nella mobilità della sfera. Nel 1880 si
aggiunge un'altra federazione alle tre già esistenti: quella irlandese. Sei
anni dopo, nel 1886, viene fondato l'International Football Association
Board (IFAB), organo costituito dalle quattro federazioni britanniche di
Inghilterra, Scozia, Irlanda e Galles, con il compito di far rispettare le
regole del gioco e se necessario, di apportarvi modifiche. Tale organo è
tuttora in vigore ed è l'unico, a livello mondiale, a decidere in tema di
regolamento del gioco. Sempre nel 1886 viene ufficialmente riconosciuto
il professionismo sportivo: i calciatori sono cioè equiparati alle altre
categorie di lavoratori e devono conseguentemente percepire un
compenso per l'opera prestata. Una decisione che provoca dure reazioni
da parte di alcuni ambienti che, nel 1907, daranno vita ad un'altra
associazione.

Nel 1890 le porte sono finalmente dotate di reti, una innovazione


importante basata sul brevetto di un cittadino di Liverpool: Mister
Broodie. Due anni più tardi fa la sua comparsa il calcio di rigore.

In Gran Bretagna il calcio si era ormai consacrato come fenomeno


sportivo e sociale, capace di coinvolgere migliaia di spettatori e affollare
gli stadi. Alla finale di F.A. Cup nel 1887 erano presenti 27.000 spettatori,
che sarebbero diventati 110.000 quattro anni più tardi. Alla passione degli
studenti si aggiunse quella degli imprenditori. Questi ultimi rimasti
estranei ai primi passi del nuovo gioco, se ne erano innamorati solo
quando esso aveva completato le sue strutture formali. Contribuendo così
alla costruzione degli stadi, al finanziamento dei club, alla nascita del
primo mecenatismo sportivo al mondo. Al football si erano ormai
avvicinati anche i ceti medi e i colletti bianchi delle manifatture e delle
banche, meno entusiasta era invece rimasto il mondo delle professioni
liberali, mentre quello degli intellettuali appariva abbastanza diviso,
famosa al riguardo è l'invettiva del Premio Nobel Kipling contro gli
entusiastici sostenitori del nuovo sport: "voi che saziate le vostre piccole
anime con gli idioti fangosi del football”. Nonostante ciò il calcio era
ormai in grande ascesa in tutto il regno, pronto per varcare i confini
nazionali e diffondersi in tutta Europa.

Nel frattempo il gioco si è diffuso un po' ovunque nel mondo in


particolare nei paesi che subivano l'influenza dell'allora impero
britannico. Nel 1891 nacque la Federazione calcistica della Nuova
Zelanda, nel 1892 quella del Sud Africa, nel 1893 quelle di Argentina,
Belgio e Cile, nel 1895 quella Svizzera, nel 1898 quella italiana e nel 1900
quella della Germania.

Il primo campionato con partite di andata e ritorno e punteggi per la


classifica fu naturalmente in Inghilterra nel 1889, a cui poi seguirono
Argentina 1893, Francia 1894, Belgio 1895, Olanda e Svizzera 1897.

La prima partita ufficiale tra nazionali, fuori dai confini inglesi fu disputata
tra la nazionale di calcio dell'Austria e la nazionale di calcio dell'Ungheria
il 12 ottobre 1902 e vide la vittoria dei primi per 5-0.

La FIFA, acronimo di Fédération Internationale de Football Association,


viene fondata, senza gli inglesi, il 21 maggio 1904 per iniziativa di Francia,
Svizzera, Paesi Bassi, Belgio, Svezia, Danimarca e Spagna; nel 1905 c'è
l'affiliazione degli inglesi.

La definitiva consacrazione del gioco e della sua diffusione avvenne con le


Olimpiadi di Londra del 1908. Nel 1914, la FIFA acconsentì a riconoscere il
torneo olimpico come un "campionato del mondo per dilettanti", e da
allora prese parte attiva nell'organizzazione dell'evento. A questo punto si
tenne la prima edizione delle olimpiadi riconosciute dalla FIFA, nel 1920, e
ad imporsi fu il Belgio. Invece nelle due edizioni successive (1924 e 1928)
il successo arrise all'Uruguay. Nel 1928 la FIFA decretò che si poteva
finalmente organizzare una Coppa del Mondo. Poiché l'Uruguay aveva
conquistato per due volte il titolo del mondo (anche se per dilettanti), nel
1930 la FIFA lo scelse come paese ospitante della prima edizione per
professionisti, in concomitanza con il centenario dell'indipendenza dello
stato sudamericano. Anche questa competizione viene vinta dall'Uruguay.
Da quel momento la Coppa del Mondo si svolge regolarmente ogni 4
anni. La Coppa Internazionale è stata la prima competizione continentale
per squadre nazionali di calcio regolarmente disputata in Europa, la quale
metteva di fronte le compagini nazionali dell'Europa centrale (in quegli
anni le squadre più forti di tutto il continente). Della coppa, che
costituisce un importante precursore del campionato europeo per
nazioni, si disputarono sei edizioni, dal 1927 al 1960. Nel 1955 nasce la
UEFA Champions League, competizione europea per club a cadenza
annuale. Nel 1960 invece nasce la Copa Libertadores, sempre a cadenza
annuale, ma riservata a squadre dell'America Latina.

IL CALCIO IN ITALIA

L’Italia tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento

Gli equipaggi delle navi di sua maestà britannica avevano fatto conoscere
il calcio ai giovani di Genova, Livorno e Palermo. Gli impiegati delle varie
filiali delle ditte inglesi avevano poi organizzato le prime società sportive.
Ma non meno importanti per la nascita e lo sviluppo del calcio in Italia
furono i contatti col football francese, che riuscì a organizzare il suo primo
campionato nel 1894.
Il gioco del calcio nella sua formula più moderna viene così introdotto in
Italia dal capriccio di pochi e annoiati ospiti stranieri, ed è quasi naturale
pertanto che, per affinità culturale e di modi di vita, la regione destinata a
fare da culla a questa nuova moda sportiva fosse il Piemonte, cioè quella
più disponibile e aperta nei confronti di tutto ciò che apparteneva ai
costumi d’Oltralpe. Il Piemonte, nonostante avesse politicamente
condotto a buon fine il Risorgimento, era tra le regioni del nuovo regno
forse quella che aveva meno tradizioni di Italianità, con il suo territorio a
cavallo delle Alpi, una larga fetta del quale era di lingua francese.
Lo stesso Cavour stentava a tenere, in Parlamento, interi discorsi in lingua
italiana. Come Mazzini e come Garibaldi, l’artefice politico dell’unità
d’Italia era nato suddito francese, e una sorella di Napoleone era stata
addirittura sua madrina di battesimo. In quanto alla borghesia, solo dopo
molte resistenze e per ragioni squisitamente pratiche, la lingua italiana
venne accettata dalla buona società torinese.
Oltre a questo, se passiamo all’esame delle ragioni concrete dello
sviluppo del calcio lungo l’arco alpino Occidentale, va sottolineata la
superiorità economica del Piemonte e della Lombardia che erano già due
regioni all’avanguardia rispetto al resto d’Italia.

Se il calcio conobbe i suoi primi successi in Liguria, Piemonte e Lombardia,


(le prime città, infatti, che crearono società sportive calcistiche furono
Torino, Genova, Milano, Vercelli, Casale Monferrato ecc) la moda del
nuovo gioco si diffuse subito ovunque. Le differenze e le animosità tra le
varie regioni d’Italia, quello che viene definito il ‘campanilismo’ degli
italiani, voluto dalla geografia e dalla storia, fu un humus fecondo per il
calcio, che alimentò subito le rivalità tra le squadre.
Certo quei primi entusiastici protagonisti delle contese calcistiche,
combattute davanti a pochi curiosi (che definirono quella moda una
“corbelleria passeggera”) non avrebbero potuto immaginare che pochi
anni dopo, il Paese intero si sarebbe riversato nelle piazze per la vittoria di
una squadra di calcio, e che le più alte autorità dello stato, dagli anni del
fascismo ai giorni nostri, avrebbero ricevuto i calciatori al loro cospetto.

Il giorno in cui si disputa il primo campionato di calcio, l’8 maggio 1898 il


paese sta vivendo il momento più acuto della sua prima crisi dopo l’unità
nazionale, per diversi tumulti di varie origini, in molte città.
Ma quel momento segnò la fine di un decennio di violenza e aprì la strada
ad un’età più prospera e tranquilla.
Fiorirono nuove fabbriche al nord. Il desiderio di evasione delle classi
agiate fece nascere l’abitudine ad andare in villeggiatura.
Comincia l’era dell’elettricità. Le prime automobili percorrono rombanti le
strade polverose. Si progettano edifici in cemento armato. Giolitti
propone una nuova politica. Verdi muore nel 1901 cedendo il passo alla
nuova musica di Puccini. Il giovane socialista Mussolini si affaccia alla
scena politica e tiene un discorso per commemorare il musicista
scomparso.
Il calcio dei primi anni

Non abbiamo purtroppo documenti ufficiali che ci informino sul livello


tecnico del calcio italiano delle origini, ma numerose testimonianze orali,
rilasciate dai protagonisti di quelle prime partite, concordano su questi
punti: calcio a seguire senza precisione e senza dosature, col pallone
incollato quanto più possibile al piede; ricerca della potenza di tiro, e
precedenza assoluta, nelle scelte dei giocatori, a quanti ne fossero
naturalmente dotati; gioco volante di piede e di testa.
Le tribunette che circondavano gli spazi erbosi erano precarie costruzioni.
I pali delle porte erano spesso sconnessi e la traversa disegnava a volte
una bella curva.
I giocatori arrivavano sul terreno già pronti, con la divisa sportiva sotto il
vestito civile, che deponevano al lato delle porte, lasciando al portiere
l’incarico, tra una parata e l’altra, di controllare che nessun estraneo si
avvicinasse al “guardaroba”.
I giocatori di quel tempo erano tutti rigorosamente dilettanti e
provvedevano di tasca loro all’equipaggiamento di gioco.

Era davvero un calcio diverso quello delle origini, ricco di quadretti


pittoreschi. Quando pioveva, l’arbitro e talora perfino il portiere,
scendevano in campo con l’ombrello.

I primi campionati sono stati disputati tra poche squadre, andando via via
ad aumentare di numero con gli anni, e coinvolgendo anche squadre
dell’Italia Centrale e Meridionale.
Nel 1905 la federazione si iscrisse alla FIFA.
In quegli anni la corrente ostile al tesseramento di giocatori stranieri era
molto forte, mentre già si ventilava l’esigenza di una sistemazione
economica dei giocatori.
Si continuava a giocare comunque in maniera empirica col solo scopo di
mandare avanti la palla. Negli stessi anni in Gran Bretagna, si
contrapponevano già due scuole: quella inglese, tutto gioco alto, con
passaggi forti e lunghi, e quella scozzese che preferiva gli schemi
rasoterra, con passaggi brevi, resi possibili dalla rapidità di smarcamento
dei suoi giocatori. Fu la scuola scozzese a fare proseliti in Europa,
influenzando notevolmente il calcio danubiano e anche quello italiano. In
piena battaglia polemica circa l’utilizzazione o meno di giocatori stranieri
la Pro Vercelli trionfò su tutti con una squadra di soli italiani.
Il 23 maggio 1915 un giorno prima della dichiarazione di guerra
all’Austria-Ungheria un comunicato della Federazione sospese il torneo
all’ultima giornata. Negli anni successivi il campionato rimase sospeso,
per riprendere nel 1920. Durante la Grande Guerra (1915-1918) molti
giocatori di calcio caddero sul campo di battaglia. Tra essi Virgilio Fossati,
capitano dell’Inter e della Nazionale e Felice Milano quattro volte
campione d’Italia con la Pro Vercelli.

IL FASCISMO, IL PROFESSIONISMO E I PRIMI STRANIERI

I giocatori intanto, esaurita la prima generazione dei pionieri provenienti


dalla ricca e media borghesia, cominciarono ad essere reclutati in
ambienti proletari. Gli allenamenti divennero più frequenti. Il travolgente
dilagare della passione calcistica portò ad un forte incremento degli
incassi. Tutti questi elementi favorirono l’avvento del professionismo nel
1924. Il calcio-mercato però offendeva la coscienza di quanti erano
rimasti dilettanti nello spirito. Ma l’espansione del fenomeno non
consentiva più la difesa di certi principi. Il calcio stava diventando
spettacolo, rito, appagamento di massa. Era già un altro gioco capace di
coinvolgere interessi economici molto vasti.
Nel frattempo il regime fascista aveva assunto i pieni poteri in tutto il
paese e influenzò anche la politica della Federazione.
Le politiche protezionistiche vietavano l’utilizzo di calciatori stranieri. Ma
sul finire degli anni ’20 in occasione delle olimpiadi di Amsterdam del ’28
venne alla ribalta l’Argentina con i suoi gioielli. La Juventus incurante delle
reazioni del regime acquistò Mumo Orsi, definito dalla critica “La stella di
Amsterdam”. A Orsi furono offerte 100.000 lire più una Fiat 509 (foto),
più uno stipendio principesco da 8.000 lire al mese.
Mussolini voleva che il football fascista fosse il primo del mondo, così
accettò di buon grado che le società mettessero gli occhi sui giocatori
creoli che avevano qualche nome italiano e farne giocatori italiani a tutti
gli effetti per poterli usare anche in nazionale. Questa politica portò alle
dimissioni del selezionatore Rangone, che non accettava stranieri in
nazionale e venne sostituito dal più accomodante Vittorio Pozzo.
Gli oriundi vennero così ufficialmente integrati nel ceppo del nostro
calcio.
La Juventus, con l’appoggio sociale e finanziario della famiglia Agnelli,
anche grazie ai tre oriundi Orsi, Cesarini e Monti negli anni a cavallo
dell’inizio del girone unico aveva costruito una squadra dall’impalcatura
robusta ed elegante, tale da garantirle un periodo di egemonia durato
cinque anni (’31-’35). Quella Juve consentì a Pozzo di costruire l’ossatura
della grande squadra che avrebbe poi vinto il titolo mondiale nel ’34. Il
cemento che univa i giocatori era il cameratismo, la concordia più
schietta, l’amicizia e la simpatia aperta.

LE VITTORIE DEI MONDIALI 1934 e 1938

La seconda edizione della coppa del mondo ebbe il suo svolgimento in


Italia nell’estate del 1934. Per l’alto costo finanziario della
manifestazione, ben poche federazioni erano in grado di accettarne
l’onere. La nostra federazione invece, sostenuta dal governo fascista, si
assicurò il torneo del quale non era difficile intuire l’importanza politica.
La coppa del mondo, all’epoca chiamata coppa Rimet, premiando il
coraggio dei nostri dirigenti, si concluse con un utile enorme vicino al
milione di lire.
Per la preparazione della squadra Pozzo ebbe poteri assoluti, paragonabili
solo a quelli di un proconsole.
Alla finale ci arrivammo dopo aver battuto gli Stati Uniti 7-1 allo stadio
Nazionale del P.N.F. di Roma, la Spagna con un doppio confronto (prima
partita finita in pareggio 1-1 e quindi ripetuta come da regolamento di
allora) e vinta 1-0 allo stadio Giovanni Berta di Firenze e l’Austria in
semifinale al San Siro di Milano vinta per 1-0.
La finale si svolse il 10 giugno 1934 alle ore 15:00 allo stadio nazionale
P.N.F. di Roma contro la forte squadra cecoslovacca, dodici treni speciali
di cui quattro provenienti dalla Cecoslovacchia, convennero a Roma per la
finale. Gli Azzurri si presentano con questa formazione: Combi,
Monzeglio, Allemandi; Ferraris IV, Monti, Bertolini; Guaita, Meazza,
Schiavio, Ferrari, Orsi.
I Boemi passarono in vantaggio nel secondo tempo, ma a 9 minuti dalla
fine Orsi pareggia e nei tempi supplementari Schiavio segna il definitivo 2-
1, dopodiché gli Azzurri salirono in tribuna d’onore per ricevere la coppa
dalle mani di Mussolini.
In quell’aria di festa nacquero canzoni, in stile patriottico fascista, per
ricordare la grande emozione della vittoria della Coppa del Mondo.
A tal proposito mi piace ricordare una registrazione del mio bisnonno che
canta una di queste canzoni e che di seguito trascrivo.
L’Italia anche nel calcio s’è fatta vittoriosa
L’Italia anche nel calcio s’è fatta vittoriosa
Si videro a Firenze gioca’ con gli spagnoli
Gli intrepidi italiani forti e bravi figlioli
E dopo due partite di fuga a tu per tu
Ancora una vittoria per gli italiani fu.
Il popolo italiano l’è tutto entusiasmato
Vederli gioca’ i nostri nello stadio a Milano
Contro la forte squadra che l’Austria mandò
Ancora una vittoria l’Italia riportò.
La squadra dei boemi allor restonno in lotta
Perché l’erano furbi anche di astuzia cotta
A Roma l’ebbe il vanto di vederli gioca’
Contro l’undici nostri con molto affaticar
Lo stadio del littorio l’era così gremito
Di folla entusiasmata sembrava l’infinito
C’eran le principesse tra quell’autorità
E ancora il nostro Duce era pieno d’ansietà
La prima a entrare in campo è la squadra boeme
Quando la squadra azzurra in campo penetrò
Dagli infiniti evviva lo stadio lì tremò
Gli azzurri si presentano con questa formazione
Combi, Meazza ed Orsi l’intrepido campione
Monzeglio ed Allemandi i bravi due terzin
Schiavio, Ferrari, Guaita e Monti e Bertolin
Principia il primo tempo zero a zero in quel cemento
Ma nel secondo tempo Puccino fa il goal
Così per i boemi il punto lo segnò.
Ma dopo come un razzo in rete entrò il pallone
Che fa scattare i piedi a tutte le persone
L’è Schiavio vincitore che il tiro bel segnò
La coppa dei campioni l’Italia conquistò

Fu quello, senza alcun dubbio l’inizio del periodo più felice del calcio
italiano. Il successo conseguito dalla squadra azzurra non fu occasionale.
Ne diedero conferma il Bologna, vincendo la prima Mitropa Cup, poi il
torneo dell’Esposizione a Parigi e la nazionale olimpica, guadagnando la
medaglia d’oro a Berlino, con una squadra di giovani, tutti studenti.
Suggellò questa superiorità la conquista della Coppa del Mondo del 1938,
con una formazione che Pozzo aveva saputo rinnovare per nove
undicesimi. Dei campioni del ’34 rimanevano soltanto Meazza e Ferrari.
L’esordio a Marsiglia fu catastrofico, ma fu proprio quella brutta figura
iniziale, come sarebbe accaduto 44 anni dopo in Spagna, che saldò
moralmente la squadra che batté Brasile, Francia e Ungheria in un
ambiente ostile, con una superiorità tecnica indiscussa. La nazionale
italiana portò la tecnica di gioco talmente tanto in alto da non poter
svilupparla più di quanto lo era già. Dopo i due successi mondiali, gli
Azzurri esaurirono le risorse tecniche e tattiche. Meazza e Ferrari, che fino
a quel momento avevano rappresentato il centro motore della squadra,
stavano vivendo il tramonto della loro carriera calcistica. Al loro posto
Pozzo reclutò due giovani del Venezia: Mazzola e Loik. I due non
convincevano il pubblico, ma Pozzo continuò per la sua strada e il 19
aprile del 1942 i due giovani, riuscirono a conquistare il pubblico di San
Siro, giocando un’ottima partita contro la Spagna, che fu battuta per 5-0.
Pozzo era convinto che con questa squadra l’Italia avrebbe potuto vincere
il terzo titolo mondiale. Questo però non accadde perché a causa della
seconda guerra non furono disputati i due seguenti campionati del
mondo.
Mazzola e Loik continuarono a giocare, come amavano poi ricordare, “per
un chilo di burro” mentre si consumava la grande tragedia del Paese tra
stragi e rovine, sotto l’incubo dei bombardamenti e della disfatta.

LA TRAGEDIA DI SUPERGA E GLI STRANIERI

L’ultimo campionato disputato durante la guerra fu quello del 42-43 vinto


dal Torino. Dopo l’8 settembre del 43 cominciò in Italia la vera guerra
all’interno del Paese, che si concluse con la liberazione di Milano del 25
aprile 1945.
In questi due anni ovviamente non fu giocato il campionato di calcio.
Alla ripresa, per ben 4 stagioni consecutive il Grande Torino si aggiudicò
tutti gli scudetti, diventando una delle squadre più forti di tutti i tempi.
Ma stava per consumarsi una tragedia che lasciò un dolore incredibile tra
la popolazione tutta e un vuoto nel mondo del calcio.
Valentino Mazzola, giocatore del Torino, aveva promesso al capitano del
Portogallo Ferreira, giunto alla fine della carriera, che il Torino avrebbe
disputato una partita in suo onore. Il 30 aprile 1949 i granata ottennero
un pareggio a Milano contro l’Inter che gli aveva praticamente garantito
la vittoria del quinto scudetto. I giocatori chiesero al presidente Novo,
costretto a letto per una malattia, il permesso di partire per Lisbona e
volarono per quel fatale appuntamento. L’incontro per onorare l’addio al
calcio di Ferreira fu disputato il 3 maggio 1949. Il giorno dopo il “Conte
Rosso”, così era chiamato l’aereo del Torino, ripartì per atterrare a
Malpensa. Il pomeriggio era piovoso e il cielo si era fatto scuro. Il telefono
squillò alle 17:20, era il segretario del Torino che annunciava la caduta di
un aereo a Superga. Novo era tranquillo ma chiese comunque di trovare
maggiori informazioni. Così il suo segretario Copernico decise di andare a
Superga per verificare la situazione. Sul piazzale della basilica Copernico
venne riconosciuto dal dottore Alito della Questura di Torino, che andò
verso di lui e lo abbracciò. Ormai non c’erano più dubbi. Con un filo di
voce Copernico chiese: “Tutti?”. “Si, tutti” gli rispose il dottore, e svenne.
Novo non sapeva ancora niente, ma capì tutto quando Copernico tornò.
Nessuno, per colpa del brutto tempo, si era accorto dell’ostacolo contro il
quale stava andando addosso l’aereo. Apparve dal nulla dall’oscurità.
L’aereo stava andando ad una velocità di 250 Km all’ora e quando il pilota
vide l’ostacolo era troppo tardi e il velivolo esplose non appena ci fu
l’urto. 31 calciatori morirono all’istante, un istante in cui il calcio italiano
ha perso la sua migliore gioventù.
Subito dopo la sciagura di Superga, il calcio italiano entrò in crisi. Stava
nascendo il calcio-spettacolo e si pensò che il vivaio non bastasse più.
La Federazione permise ai club il tesseramento di tre giocatori stranieri,
che vennero reclutati soprattutto tra gli attaccanti e sul mercato
scandinavo. Tra i nomi da ricordare c’è il trio milanista composto da
Nordhal, Liedholm e Gren grazie ai quali il Milan riconquistò lo scudetto
nel ’51 dopo 44 anni. Intanto i campionati del mondo disputati in Brasile,
del 1950 documentarono l’avvenuta decadenza del calcio italiano,
denunciando l’inizio di una crisi sostanziale e di metodo che doveva
durare circa un ventennio.
IL TOTOCALCIO

L’idea di un concorso pronostici sui risultati delle partite di calcio fu


proposto per la prima volta nel 1936. Ma il regime fascista decise di
salvaguardare il campionato da ogni interferenza di carattere speculativo.
Oltretutto l’attività sportiva era interamente sovvenzionata dallo stato,
che aveva fatto dello sport uno strumento di educazione e di propaganda.
Dopo la caduta del regime uno degli errori strutturali più gravi del nuovo
stato democratico fu quello di negare allo sport uno spazio nell’ambito
dei nuovi programmi educativi della gioventù. Vennero aboliti tutti i
contributi a favore del CONI che si trovò così sprovvisto di qualsiasi
entrata. Fu ripresa allora l’idea di istituire un concorso pronostici al fine di
raccogliere i mezzi necessari alla ricostruzione degli impianti sportivi. Il 5
maggio 1946 nacque la schedina che nel giro di pochi anni si trasformò in
fenomeno di costume e garanti allo sport italiano quelle risorse che lo
stato gli aveva negato.

IL VETO ANDREOTTI, IL CATENACCIO E LA RIVOLUZIONE DI HERRERA

Dopo la guerra lo sfrenato desiderio di evasione, i sogni di una facile


popolarità, le antiche rivalità regionali e comunali, portarono le società
allo sfacelo economico mentre gli impianti di gioco rimanevano quelli
degli anni ’30. Il governo per far fronte a questa situazione emise il “Veto
Andreotti” nel 1953 con il quale si aboliva la possibilità di tesserare
giocatori stranieri con la sola eccezione dei discendenti dei nostri
emigrati. Una cocente delusione per la nazionale fu di non essere riusciti a
qualificarsi per i Mondiali del 1958.
Dal punto di vista tattico nel corso degli anni ’50 dapprima l’Ungheria e
poi il Brasile -vincendo i Mondiali in Svezia nel 1958- utilizzarono lo
spettacolare 4-2-4, con il quale il marcamento a zona sostituiva il
marcamento a uomo.
A poco a poco in molti Paesi cominciarono a usare questa tattica. Ma per
ogni azione esiste un’azione contraria.
Così l’Inter di Foni (ex campione olimpico e del mondo), trasformatosi in
tecnico di lodevole cultura tattica, vinceva due scudetti consecutivi nel ’53
e nel ’54 suscitando scandalo con una soluzione di gioco estremamente
difensiva, “il catenaccio”, che mai era stata adottata prima da una
squadra di grandi ambizioni.
Negli anni a venire anche Helenio Herrera portò avanti con successo la
tattica del catenaccio raccogliendo negli anni ’60 successi a livello
nazionale e internazionale (2 coppe dei campioni).
Lo schema del “catenaccio” era il seguente: 3 attaccanti, 2 mediani, 4
difensori, e dietro a questi, si imperniava su una nuova figura di giocatore,
il “libero”. Questo era un giocatore liberato dai compiti di marcatura e
incaricato di spazzare tutta la zona della difesa, di correre in aiuto dei suoi
compagni in difficoltà e tappare le falle.
Il “catenaccio” e il suo libero imposero un gioco basato sul contropiede ed
efficacie in difesa, ma piuttosto noioso ai fini dello spettacolo, con incontri
spesso inchiodati sullo 0 a 0 o comunque avari di gol.

ALTRE DELUSIONI PER LA NAZIONALE

Negli anni ’60 ancor prima dell’Inter il Milan riuscì ad avere successi
internazionali come la Coppa dei Campioni del 1963. Ma per la nazionale
gli anni ’60 furono disastrosi. Nel 1962 nelle fasi finali della Coppa del
Mondo in Cile, avevamo una rosa fortissima, con giocatori come Sivori,
Altafini, Maschi, Sormani, e i giovani Bulgarelli e Rivera. Ma proprio
l’inclusione di tanti oriundi ci procurò tante antipatie che si trasformarono
in una furibonda campagna anti italiana da parte dei mezzi di
comunicazione cileni. Perfino gli arbitri si misero contro gli Azzurri,
facendoci uscire con un arbitraggio parzialissimo. Il culmine della
delusione fu ai successivi mondiali inglesi del ’66. La squadra italiana pur
avendo buoni giocatori fu battuta dalla Corea per 1-0 facendoci uscire dal
mondiale. Gli Azzurri furono accolti al rientro in Italia con lanci di
pomodori.
Successivamente a questo episodio, pensando che i troppi stranieri nel
nostro campionato non favorissero l’affermarsi di giovani calciatori
italiani, fu deciso il blocco totale degli stranieri nel nostro campionato,
salvo che per i già presenti nel nostro Paese. Il blocco durò fino alla
stagione ’80-’81.

RINASCITA DEL CALCIO ITALIANO

Nel 1968 Artemio Franchi, che stava raccogliendo largo seguito in Europa
come dirigente capace e preparato, ottenne per l’Italia l’organizzazione
del campionato europeo. In semifinale gli Azzurri riuscirono a prevalere
sui sovietici solo per sorteggio, la finale, contro la Iugoslavia, finì in parità
e venne ripetuta due giorni dopo, vincendo nettamente con i gol di Riva e
Anastasi. Il titolo europeo ruppe una lunghissima crisi e premiò una
generazione di giocatori che solo due anni prima era stata bocciata dai
pomodori coreani, portò infine alla ribalta un campione straordinario
come Riva.
Riva detto “Rombo di Tuono”, con i suoi gol contribuì a portare l’unico
scudetto della storia a Cagliari nel 1970. Nella stessa estate si tennero i
campionati del mondo in Messico. La nazionale italiana era formata da
buoni giocatori tra i quali si possono citare Riva, Rivera e Mazzola. Fu
mitica la semifinale contro la Germania Ovest vinta per 4-3. La finale ci
vide sconfitti contro il favoritissimo Brasile nel quale giocava ancora Pelè
che vinse il suo terzo mondiale.
Gli anni ’70 videro nel campionato italiano l’egemonia quasi incontrastata
della Juventus. La stessa Juventus nel ’77 riuscì a vincere la sua prima
coppa internazionale, la Coppa Uefa (quella che poi è diventata l’Europa
League). È da ricordare che questa è stata l’unica squadra italiana a
vincere un trofeo internazionale con soli giocatori italiani. Molti di questi
parteciparono ai mondiali in Argentina dell’anno successivo. La nostra
nazionale, guidata dal C.T. Enzo Bearzot, fece una buonissima figura
piazzandosi al quarto posto grazie a giocatori dal carisma di Bettega e
grandi scoperte come Cabrini e Rossi. Bearzot guidò la nazionale anche
nei quattro anni successivi che portavano al mondiale di Spagna 1982. Nel
frattempo c’è da ricordare lo scandalo del calcio scommesse del 1980 che
coinvolse molte società e alcuni giocatori anche molto noti come
Giordano e Paolo Rossi. Quest’ultimo finì di scontare la squalifica due
mesi prima del mondiale spagnolo ciò nonostante Bearzot credette in lui
e lo aggregò al gruppo.

Il 1980 fu anche l’anno del ritorno degli stranieri, fu possibile per ogni
società di Serie A tesserare un solo giocatore estero. Arrivarono super
campioni, attratti da ottimi contratti. Nei primi anni arrivarono
dall’Argentina Bertoni e Passarella, dal Brasile Junior, Falcao e Cerezo. C’è
da spendere una parola in più per l’acquisto della Juventus di “Le roi”
Michelle Platini, che deliziò il calcio italiano con la sua classe unica. Zico,
clamorosamente acquistato dall’Udinese. E “El pibe de oro” Diego
Armando Maradona che sconvolse letteralmente la città di Napoli per
diversi anni.

Il campionato ‘81/’82 passerà alla storia come il campionato degli


sponsor. Il calcio aveva molti debiti e si presta a fare la pubblicità ad
alcune ditte disposte a finanziarne parzialmente l’attività. Nascono quindi
le maglie con le scritte.

IL MONDIALE 1982

Partiamo per il mondiale di Spagna con una squadra forte. Bearzot aveva
mantenuto molti dei giocatori del mondiale precedente, con rinforzi
importanti come Bruno Conti che poi sarà definito da Pelè come migliore
giocatore del mondiale. La formazione tipo di quel mondiale è la
seguente:
Zoff, Gentile, Cabrini; Oriali, Collovati, Scirea; Conti, Tardelli, Rossi;
Antognoni, Graziani
La partenza non è delle migliori, la squadra è contestata da tifosi e
giornalisti. Bearzot viene bersagliato per la scelta id lasciare Paolo Rossi in
campo che non è al meglio della condizione. Dopo i primi tre deludenti
pareggi passiamo al secondo turno con il morale sotto i tacchetti ma nel
girone successivo con orgoglio riusciamo a battere l’Argentina di
Maradona e il Brasile di Falcao, Zico e Socrates che erano le squadre
favorite per il titolo. Rossi comincia a segnare, il morale è alle stelle, così
battiamo facilmente la Polonia in semifinale e la Germania in finale per
3-1. Rossi aveva ripagato la fiducia di Bearzot vincendo la classifica
marcatori con 6 reti e vincendo il pallone d’oro.
Di quel mondiale ricordiamo alcuni eventi memorabili che sono rimasti
nella storia:
la tripletta di Rossi contro il Brasile, il rigore sbagliato di Cabrini in finale,
l’urlo di Tardelli dopo aver segnato il secondo gol nella stessa partita,
Pertini che esulta in tribuna e la partita a scopa tra Pertini, Bearzot, Zoff e
Causio durante il viaggio di ritorno nell’aereo presidenziale.

GLI ANNI ‘80

Questi sono stati gli anni del cosiddetto “edonismo reaganiano”, di Papa
Giovanni Paolo II, del dialogo Reagan-Gorbaciov che porta alla fine della
guerra fredda nel 1989 con la caduta del muro di Berlino.
Il campionato italiano era definito il campionato più bello e difficile del
mondo grazie a grandi giocatori italiani e stranieri e al tatticismo
esasperato degli allenatori. Nel 1985 la Juventus conquista la Coppa dei
Campioni, giocata contro il Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles, in un
clima surreale, mentre nelle tribune si consumava una delle più grandi
tragedie del calcio. Morirono 39 persone, a seguito delle intemperanze
degli hooligans inglesi e a causa della struttura dello stadio fatiscente.

La seconda metà degli anni ’80 fu caratterizzata dal Milan del nuovo
presidente Silvio Berlusconi. Scommise su un allenatore sconosciuto al
grande calcio, Arrigo Sacchi l’omino di Fusignano. Sacchi portò una
ventata nuova nel calcio italiano puntando sul gioco a zona, fuorigioco e
pressing. Il suo calcio fu rivoluzionario e funzionò anche grazie a giocatori
come Baresi, Maldini e i 3 olandesi Gullit, Van Basten e Rijkaard. Vinsero
un campionato e 2 coppe dei campioni. Il ciclo vittorioso del Milan
continuò anche dopo Sacchi con il suo vice Capello. In quegli anni il
principale contendente era il Napoli di Maradona. Che dire di Maradona…
genio e sregolatezza, classe sublime, droga, collusione con ambienti
camorristici, ma forse il miglior giocatore di sempre che è riuscito a
portare gli unici 2 scudetti a Napoli ed è riuscito a vincere “da solo” il
mondiale del 1986. Da ricordare i due gol con l’Inghilterra:
il primo di mano e il secondo segnato dopo una fantastica azione
personale partita da centrocampo finno alla porta avversaria.

GLI ANNI ‘90

Nell’estate del 1990 si sono tenuti i mondiali in Italia, sulle note di “Notti
magiche”. Il giocatore simbolo del mondiale è Totò Schillaci che ne era fu
il capocannoniere con 6 reti. L’Italia arrivò al terzo posto battuta
dall’Argentina di Maradona e Caniggia in semifinale, che poi perderà la
finalissima con la Germania Ovest.

In Italia nel ’92 si conclude il “maxiprocesso” di Palermo con il quale si


comincia a combattere la mafia in modo importante. La mafia si ribella
con le stragi di quell’estate in cui persero la vita anche Falcone e
Borsellino. Scoppia lo scandalo “Tangentopoli” che cambia la geografia
politica del nostro paese e favorisce l’entrata in politica di Berlusconi
l’anno successivo.

I mondiali successivi furono giocati negli USA in un clima torrido. La


nazionale fu affidata a Arrigo Sacchi che cercò di trasmettere le sue idee
innovative. L’esperienza fu comunque molto positiva nonostante la
sconfitta in finale ai rigori con il forte Brasile. Tra i nostri giocatori su tutti,
Franco Baresi e Roberto Baggio.
Questo fu il primo evento in cui comparvero i nomi dei giocatori sulle
maglie.

A livello di club nel 1991 cambia la formula della Coppa Dei Campioni
diventando Champions League. Le squadre italiane sono competitive
vincendo una coppa ciascuno Milan e Juventus, rispettivamente nel ’94 e
nel ’96.

Nel ’92 venne introdotto un inno ufficiale per questa competizione,


composto da Tony Britten e basato sull'inno di incoronazione Zadok the
Priest di Georg Friedrich Händel. L’inno viene eseguito nella cerimonia di
apertura di ogni partita della competizione e nella sigla di apertura e
chiusura dei programmi televisivi a essa dedicati.
Il testo è costituito da frasi e parole in inglese, tedesco e francese, le tre
lingue ufficiali dell'UEFA. In occasione delle finali, viene inserita in
controcanto la lingua dello stato ospitante.

Nel ’93 vennero introdotti i numeri dall’1 al 99. Fino a questo momento le
squadre si schieravano in campo con i numeri dall’1 all’11, mentre a
livello di campionati europei e mondiali i numeri erano fissi dall’1 al 22.

LA SENTENZA BOSMAN

Nel 1995 il calciatore belga Jean-Marc Bosman era in forza al RFC Liegi
malgrado un contratto scaduto nel 1990. La sua volontà di passare al club
francese del Dunkerque fu però vanificata, in quanto questo non offrì,
com'era al tempo in uso nel calciomercato europeo, all'altra squadra una
sufficiente contropartita in denaro. Posto intanto fuori rosa, Bosman si
rivolse alla Corte che, in base all'articolo 39 dei trattati di Roma, dichiarò
restrittivo il sistema dell'epoca. Il 15 dicembre fu approvata una nuova
norma, in base alla quale i calciatori dell'Unione europea potevano
trasferirsi gratuitamente, alla scadenza del contratto, a un altro club
purché facente parte di uno Stato dell'UE.
La sentenza impedì alle varie leghe continentali di porre un tetto al
numero di stranieri, qualora ciò risultasse discriminatorio verso atleti
dell'Unione. L'UEFA, tra l'altro, consentiva di convocare un massimo di 3
stranieri per le sue competizioni.
In tal senso, fu possibile imporre limitazioni soltanto ai calciatori
extracomunitari ovvero di Stati non facenti parte dell'UE. Ciò ebbe
ripercussioni anche sui vivai, in quanto le società manifestarono la
tendenza a preferire l'acquisto di stranieri rispetto alla crescita dei
nazionali.

Riguardo alla Serie A un rapporto FIFA ci dà le seguenti statistiche sugli


stranieri del nostro campionato a seguito della sentenza Bosman:

Nella stagione 1989-90, prima dell'avvento della sentenza, il campionato


ospitava 53 stranieri (massimo 3 per squadra)
Il campionato 1999-00 faceva registrare 155 stranieri, il 32,49% del totale
Nel 2009-10 si contavano 228 stranieri (computando anche gli oriundi),
vale a dire il 41% degli atleti complessivi.

ANNI 2000 E IL QUARTO TITOLO MONDIALE

Nel mondiale di Corea-Giappone del 2002 l’Italia è tra le squadre favorite


avendo a disposizione grandi giocatori, tanti dei quali vinceranno il
mondiale successivo. Questo mondiale si ricorda soprattutto per
l’arbitraggio pessimo e parziale da parte dell’ecuadoriano arbitro Moreno.

Nel 2006 poco prima del mondiale scoppia per il calcio italiano una nuova
bomba: Calciopoli.
Vengono revocati due scudetti alla Juventus che viene anche spedita in
Serie B con una penalizzazione di -9 punti. Anche il Milan ed altre squadre
pagano con penalizzazioni pur restando in Serie A.
Arriviamo alla vigilia del mondiale in un clima rovente con molti giocatori
freschi di trasferimento e con la vergogna di calciopoli addosso.
Come se non bastasse all’inizio del mondiale, Gianluca Pessotto, ex
calciatore e neo dirigente della Juventus tentò il suicidio buttandosi dalla
palazzina della sede. Gli ex compagni juventini lasciarono il ritiro per un
giorno per andarlo a trovare. Forse anche questo episodio, nella sua
drammaticità, ha rafforzato il legame dei giocatori dando un’ulteriore
spinta alla squadra.
Gli Azzurri, allenati da Marcello Lippi, partono bene battendo subito per
2-0 il Ghana con gol di Andrea Pirlo e Vincenzo Iaquinta, poi pareggio
contro gli USA con gol di Gilardino. Con la partita successiva si conclude il
girone vincendo per 2-0 contro la Repubblica Cieca di Nedved, grazie ai
gol di Materazzi e Inzaghi. Gli ottavi di finale non iniziano al meglio e la
partita contro l’Australia rimane fissata sullo 0-0 fino al 95’, quando
Grosso dopo una bellissima azione nella parte sinistra del campo viene
steso in area di rigore. È il momento di Francesco Totti che con freddezza
segna un gol importantissimo. I quarti vengono giocati contro l’Ucraina di
Shevchenko, la partita si mette subito nei giusti binari con un grande gol
di Zambrotta da fuori area al 6’ minuto. Nella ripresa Toni con 2 gol fissa il
risultato sul 3-0. È il momento dell’attesissima semifinale contro la
favorita squadra tedesca. Il risultato è quello dello 0-0 per molti minuti,
dopo un gol di Toni in fuorigioco e una grande azione personale di
Gilardino con tiro che si stampa sul palo. La partita si sblocca al 119’ con
gol di Grosso su assist di Pirlo. La Germania tenta il pareggio che però non
avviene e dopo una grande azione dell’Italia in contropiede Alex Del Piero
segna il 2-0 che chiude definitivamente la gara.
È il 9 luglio 2006 e si gioca la finale tra Italia-Francia. La partita si mette
nel migliore dei modi per i francesi che al 7’ minuto passano in vantaggio
su rigore di Zidane. Al 19’ pareggia Materazzi di testa su una pennellata di
Pirlo da calcio d’angolo.
L’episodio simbolo di questo mondiale è la testata di Zidane nei confronti
di Materazzi al 110’ che ne provoca l’espulsione e macchia l’ultima partita
di un grande giocatore. Finita in parità la partita si decide ai calci di rigore,
per i francesi sbaglia Trezeguet mentre i nostri vanno tutti a segno:
Pirlo, Materazzi, De Rossi, Del Piero e infine un inaspettato Fabio Grosso
che regala la vittoria agli Azzurri e quindi il quarto titolo mondiale.

Io purtroppo non c’ero.


Sono nato quasi un anno dopo. Il 12 maggio 2007.
Ma avrei voluto esserci, e magari essere grande abbastanza per
festeggiarne la vittoria e vivere in quell’atmosfera gioiosa che mi ha
sempre affascinato nei racconti e nei filmati che ho visto fin da quando
ero piccolo.

Negli anni a venire ho finalmente potuto vivere i successivi mondiali, ma


sfortunatamente non mi hanno lasciato ricordi indelebili.
Per i mondiali 2010 in Sud Africa ricordo solo di aver comprato in spiaggia
una vuvuzela strumento che tormentava dagli spalti le partite. Sul piano
dei risultati, nulla da ricordare.
Anche quattro anni dopo in Brasile il ricordo che mi è rimasto impresso
non riguarda le imprese della nazionale, ma è il tormentone “Maracanã”.
Degli ultimi mondiali disputati, in Russia nel 2018, non ci sono ricordi
italiani anche perché noi non c’eravamo, dopo una brutta sconfitta con la
Svezia alle qualificazioni.

A questo punto aspettiamo un’altra gioia dalla Nazionale che spero possa
arrivare agli Europei di quest’estate o al mondiale del Qatar del 2022.

Tornando alle squadre di club, nell’ultimo decennio c’è da ricordare il


triplete dell’Inter di Mourinho del 2010, e la cavalcata della Juventus che
vince 9 scudetti consecutivi dal 2011 al 2020 con gli allenatori Conte,
Allegri e Sarri.
In questo periodo la Juventus ha disputato 2 finali di Champions,
entrambe perse, raggiungendo il poco ambito record di 7 finali non
vittoriose.
Il 1° settembre 2016 debutta a Bari la moviola in campo, la “VAR” (Video
Assistant Referee), durante l'amichevole Italia-Francia.

Una citazione se la meritano Ronaldo e Messi, due giocatori che dal 2010
hanno vinto tutto con le rispettive squadre, Real Madrid e Barcellona e si
sono susseguiti anno dopo anno nella conquista del Pallone d’Oro.
Ronaldo è approdato nel nostro campionato nel 2018 acquistato per la
cifra record per il campionato italiano di 100 milioni, e con un ingaggio
sempre record di 30 milioni all’anno. Da citare anche il trasferimento più
oneroso della storia del calcio che è avvenuto nel 2017. Si tratta di
Neymar che lascia il Barcellona per unirsi al PSG per 222 milioni di euro.

Il problema finanziario delle squadre, come abbiamo visto, si protrae fin


dalla notte dei tempi. Tuttavia nonostante il fairplay finanziario imposto
dalla UEFA i bilanci sono sempre più in negativo per moltissime squadre
europee, specialmente per i top clubs.

Anche per questo motivo il 18 aprile 2021, dopo mesi di colloqui segreti,
la stampa francese parla della nascita di una nuova lega europea: la Super
League.
La comunicazione ufficiale della nascita di questa nuova lega arriva alle
00:15 del 19 aprile 2021 ma dopo solo 48 ore i maggiori club inglesi si
chiamano fuori, seguiti a ruota da tutti gli altri.
il cosiddetto flop super lega è spiegato dal fatto che i club scissionisti non
si aspettavano una reazione così contraria dei tifosi e dei politici di tutta
Europa.
Ora le tre squadre che credono ancora nel progetto sono Juventus, Real
Madrid e Barcellona, e rischiano di non poter partecipare alle
competizioni UEFA anche in caso di qualificazione.
Qual è l’avvenimento più caratteristico del gioco del calcio?
IL GOAL, per questo mi piace riportare la poesia a esso dedicata.

GOAL

Il portiere caduto alla difesa


ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non veder l’amara luce.
Il compagno in ginocchio che l’induce
con parole e con mano, a rilevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.

La folla – unita ebrezza – par trabocchi


nel campo. Intorno al vincitore stanno,
al suo collo si gettano i fratelli.
Pochi momenti come questo belli,
a quanti l’odio consuma e l’amore,
è dato, sotto il cielo, di vedere.

Presso la rete inviolata il portiere


– l’altro – è rimasto. Ma non la sua anima,
con la persona vi è rimasta sola.
La sua gioia si fa una capriola,
si fa baci che manda di lontano.
Della festa – egli dice – anch’io son parte.

L’autore è il poeta Umberto Saba che nacque a Trieste, all'epoca ancora


parte dell'Impero austro-ungarico, il 9 marzo 1883. La poesia è stata
pubblicata poco prima del mondiale nel 1934.
La poesia descrive gli attimi di gioia e tristezza dopo un gol, sia in campo
che su gli spalti in modo sorprendentemente vero. Parte con la
descrizione della tristezza del portiere che ha subito il gol, per poi passare
all’estrema felicità del marcatore, dei suoi compagni di squadra e del
pubblico che sembra che stia entrando in campo. Come ultimo parla del
portiere della squadra vincitrice che non dimostra la felicità che ha dentro
con esultanze particolari ma lanciando baci alla squadra dalla propria
porta. Il portiere come descritto nella poesia rispetto ad ora è una figura
particolare perché rimane lì immobile mentre oggi i portieri corrono
anche ad abbracciare i marcatori e questo dà un senso di unione di
squadra ancora maggiore.

FAIR PLAY
Fair play is a code of conduct for sportsmen and fans. It encourages
respect and solidarity both in the stadium and in society. Sport can help
to stop injustice around the world such as discrimination, racism and child
labor and can promote better health and equal education opportunities
for boys and girls and the integration of handicapped people in society.
For this reason, FIFA co-operates with important international human
rights organizations, such as UNICEF.

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