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CAPITOLO III.

AI E PRODOTTI VIDEOLUDICI

3.1 Teoria dei giochi e le sue radici


Gli scacchi ormai sono uno dei più importanti campi di interesse e applicazione per l’I.A. e
i motori scacchistici. Grazie all’implementazione dell’I.A. ormai i giocatori hanno modo di
analizzare e perfezionare le loro mosse sempre in modo più raffinato, tutto ciò però è
possibile soltanto grazie alla capacità dei motori scacchistici stessi che sono in grado di
valutare posizioni e prendere decisioni informate, rendendo così l’I.A. un elemento
fondamentale. Però prima ancora di addentrarci nei processi di utilizzo dell’I.A, dobbiamo
capire tutta la tecnica alle spalle che c’è nel gioco degli scacchi, partendo dalla Teoria dei
Giochi.
La teoria dei giochi moderna nasce nel 1944 con il libro “Theory of Games and Economic
Behaviour” di John Von Neuman e Oskar Morgenstern, rispettivamente un matematico ed
un economista. Per definizione: “La teoria dei giochi è una disciplina matematica che
analizza situazioni di confitto in cui vi sono interazioni tra uno o più soggetti, tali per cui le
decisioni di un soggetto possono influire sui risultati del rivale secondo un meccanismo di
retroazione e finalizzate al massimo payoff del soggetto” , però la parola giochi non li va a
comprendere tutti, ma bensì soltanto quelli strategici, e si vanno a contare tra esse anche
le situazioni che generano cooperazione e/o conflitto tra più individui che hanno un
interazione tra di loro. Senza interazione non c’è strategia. Quindi la teoria dei giochi
prende proprio in esame questo tipo di situazioni e le modella come un modello
matematico.
Per fare tutto ciò dobbiamo però analizzare dall’esterno il comportamento dei giocatori, i
quali entrambi hanno noti diversi punti:
- Essere a conoscenza di tutti i giocatori
- Tutte le possibilità strategiche di cui hanno a disposizione
- Qual è il risultato (o payoff) che ottiene ogni giocatore dopo una determinata
azione.
- Se un giocatore gioca in maniera razionale.
Dopo che sono state modellate queste cose, e messe in un contesto di gioco e situazione
strategica, la teoria dei giochi si pone le seguenti domande e cerca di dargli una risposta:
- Quali sono le scelte strategiche che faranno i diversi giocatori?
- Sapendo quali siano gli obiettivi, come si possono ottimizzare le strategie scelte dai
giocatori?
Le risposte a queste due domande dipendono poi dal modello che si va a costruire e dalle
ipotesi sugli intenti dei giocatori, facendo una distinzione importantissima. La teoria dei
giochi differenzia tra gioco cooperativo e non cooperativo. Dove nel gioco cooperativo i
giocatori possono collaborare tra loro per massimizzare il risultato finale. Nel gioco non
cooperativo al contrario ogni giocatore è indipendente, e gioca per massimizzare il proprio
payoff dal gioco.
Quindi quali obiettivi si pone la teoria dei giochi? Se ne pone principalmente uno, ma con
un aspetto di duplicità, ovvero fornire indicazioni predittive sul comportamento dei giocatori
e delle loro scelte durante il gioco, e fornire indicazioni normative sulle scelte ottimale che
gli stessi giocatori dovrebbero fare. Però per raggiungere questi obiettivi, bisogna fare
delle ipotesi restrittive sulle regole e sui giocatori stessi. La prima ipotesi è che i giocatori
agiscano in modo razionale, ovvero:
- Ogni giocatore ha un sistema coerente di preferenze sugli esiti del gioco
- Ogni giocatore opera le sue scelte perseguendo in modo inflessibile le sue
preferenze
- Ogni giocatore è intelligente ed è un logico perfetto
La seconda ipotesi invece si basa sul fatto che le regole del gioco siano conoscenza di
entrambi i giocatori, le quali comprendono principalmente:
- La lista dei giocatori
- L’elenco di strategie pure disponibili per ogni giocatore
- I risultati che ogni giocatore ottiene in corrispondenza di ogni possibile strategia e
sue combinazioni
- Che ogni giocatore ipoteticamente è un massimizzatore razionale
Il fatto che le regole siano di conoscenza comune per i giocatori significa che ogni
giocatore è consapevole che ogni altro giocatore è a conoscenza delle regole come lo è
lui. Questo perché ogni giocatore potrebbe preferire una strategia rispetto ad un’altra se
suppone che il suo avversario non conosca il regolamento nella sua pienezza.

3.2 Applicazione della teoria dei giochi agli scacchi


Applicando il linguaggio della teoria dei giochi agli scacchi, cosa sono per essa?
Con gli scacchi parliamo di un gioco con un numero finito di mosse senza elementi
aleatori, quindi un gioco di tipo deterministico che vede due giocatori sfidarsi avendo a
disposizione in ogni momento le informazioni complete. Perciò li si definiscono ad
informazione perfetta perché:
- Due avversari alternano mosse e conoscono lo stato di gioco in ogni momento
- Le mosse ammesse dalle regole ogni turno sono ben chiare e finite.
- Il gioco termina con la vittoria (e quindi la conseguente sconfitta dell’altro) di un
giocatore, o in caso di partita patta (finita in parità)
Inoltre, parliamo di un gioco non cooperativo a somma-zero: ovvero che il vantaggio di uno
dei due giocatori caratterizza lo svantaggio dell’avversario. Il gioco si svolge a turno,
ovvero in modo sequenziale, e spesso con l’uso di un cronometro per regolamentare il
tempo. Ogni turno è composto da una singola mossa. In più da regolamento la partita può
finire in un pareggio se nelle ultime 50 mosse non c’è stata la cattura di un singolo pezzo e
non è stato mosso un pedone. Il teorema del minmax ci garantisce anche l’esistenza di
una partita perfetta, però il numero di mosse all’interno del gioco degli scacchi è
veramente elevato, superiore anche alla capacità di analisi di un computer. La prima
mossa del bianco ha 20 diverse aperture che comprendono: gli otto pedoni che possono
muoversi di una singola o doppia posizione in avanti, e le 4 posizioni dei cavalli, Anche il
giocatore nero può fare le stesse mosse quindi dopo già due mosse abbiamo un 20*20 =
400 tipologie diverse. Successivamente ad ogni nuova mossa le possibilità non saranno
più venti per turno, ma sempre di più perché molti più pezzi avranno la capacità di
spostarsi liberamente sulla scacchiera. E’ stato verificato da alcuni studi che dopo le tre
mosse le possibilità sono 8902, che diventano 71852 alla quarta, 8098963 alla quinta e
così via. La crescita del numero massimo di mosse non è uniforme, ma varia in base alle
fasi della partita, avendo un incremento spiccato nella fase centrale del gioco in cui la
maggior parte dei pezzi sono al centro della scacchiera e quindi con maggiore possibilità
di movimento. Andando verso la fine del gioco dove il numero di mosse cala
drasticamente diventando anche meno delle venti mosse iniziali verso le ultime mosse
della partita. Il numero massimale di mosse per turno quando i pezzi sono ancora tutti
sulla scacchiera si può calcolare con la somma delle mosse di ogni singolo pezzo (2 il
pedone, 8 il cavallo, 13 l’alfiere, 14 la torre, 27 la regina e 8 il re) per il numero di pezzi (8
pedoni, 2 cavalli, 2 alfieri, 2 torri, 1 regina e 1 re):

(2*8) + (8*2) + (13*2) +(14*2) +27+8 = 121

Invece il numero medio di mosse per turno (con tutti i pezzi ancora sulla scacchiera) si
calcola sommando il numero medio di mosse di ogni singolo pezzo (1 il pedone, 5 il
cavallo, 8.5 l’alfiere, 14 la torre, 22,5 la regina e 6,5 il re) sempre per il numero di pezzi:

(1*8) +(5*2) +(8.5*2) +(14*2) +22.5+7= 92.5

In pratica però questo numero sarà sempre inferiore perché non ha in considerazione la
mancanza dei pezzi dalla scacchiera, situazione molto possibile verso metà partita, o
anche il fatto che alcuni pezzi potrebbero limitare i movimenti di altri essendo sulla loro
traiettoria. Tendenzialmente si parla di 30-40 mosse in una posizione media. Per
semplificare i calcoli si considera che ogni volta che ciascuno muove ha a disposizione 20
possibilità e che la partita abbia fine al raggiungimento di 40 mosse. Quindi facendo i
calcoli il numero di posizioni possibili è:

Con un calcolo ancora più accurato si è dimostrato che il numero totale di posizioni in una
partita da 40 mosse è:
Per dare un valore più concreto alla grandezza di questo numero, si pensi che i computer
attuali eseguono 10^18 operazioni al secondo e che un anno è composto da 3.15*10^7
secondi. Ipotizzando che si ha modo di analizzare 10^8 posizioni al secondo, si può
calcolare il numero di anni che sono necessari per analizzare le 10^43 posizioni:

Quindi utilizzando uno dei processori moderni servirebbero 3.17*10^17 anni per analizzare
tutte le posizioni utilizzabili. Facendo un confronto, l’universo ha 10^10 anni circa.
Però il numero di posizioni conterebbe anche alcune posizioni illegali, per esempio il re
che viene messo sotto scacco, l’avanzamento di due caselle dei pedoni dove però esclude
la promozione dei pedoni in nuove unità. Tenendo conto degli aggiustamenti elencati
sopra Victor Allis calcolò un limite maggiore di 5*10^52 e un valore reale di 10^50
posizioni. Però attraverso programmi più recenti è stato fatto successivamente un upper
bound riguardo il calcolo del numero di posizioni:

Calcolando il numero stimato di possibili posizioni, passiamo successivamente al calcolo


del numero di partite possibile, le quali sono sicuramente un numero maggiore perché
include tutte le posizioni che sono state ripetute all’interno del gioco. Consideriamo gli
scacchi come un albero: con una media di 35 mosse possibili ogni turno, perciò 35 figli per
ogni nodo dell’albero con una partita dalla durata di 40 mosse per ciascun giocatore,
otteniamo:

Quindi 10^123 possibili partite, ci fu un calcolo simile di questo valore effettuato dal
matematico Claude Shannon che fu 10^120 e venne chiamato in suo onore “numero di
Shannon” . Questo numero è maggiore ad un googol (10^100) ed anche al numero di
atomi osservabili nell’universo che è una stima tra 4*10^79 e 10^81. Il che ha portato alla
conclusione che al momento è impossibile risolvere il gioco degli scacchi.
3.3 L’albero di gioco degli scacchi e i suoi algoritmi.
Per descrivere a livello grafico i giochi di tipo sequenziale come gli scacchi si utilizza un
albero di gioco, con i nodi che rappresentano le posizioni mentre gli archi le conseguenti
mosse legali. In questo albero la radice rappresenta la posizione iniziale dei pezzi
all’interno della scacchiera, i figli le possibili posizioni raggiungibili dalle mosse legali e le
foglie sono le posizioni finali. Come visto in precedenza la radice possiede venti figli,
mentre la media dei figli per ogni nodo si aggira tra i trenta e i quaranta. Il numero delle
partite possibili secondo la stima di Shannon vista in precedenza è 10^120 (quindi il
numero di nodi), mentre le diverse posizioni possibili 10^43, valori che sono impensabili da
calcolare ed analizzare per i calcolatori. Quindi l’analisi va limitata ad un albero parziale
che per ottenerlo si utilizzano due strategie principali, dette anche “strategie di Shannon”:
- Strategia di tipo A: esplorazione di tipo per “forza bruta”. Si sfrutta l’effetto orizzonte,
ovvero si valuta ogni mossa possibile per ogni posizione nella scacchiera fino ad un
determinato livello dell’albero di gioco. Negli ultimi tempi un computer ottimizzato
appositamente per l’analisi dell’albero di gioco può arrivare ad esplorare circa alberi
profondi 12/24 semimosse in un tempo di 3 minuti, ovvero il tempo medio di una mossa in
torneo.
-Strategia di tipo B: esplorazione con tipo di valutazione euristica. Si cominciano a valutare
per ogni posizione solo le mosse più “interessanti”; quindi, seguendo una certa euristica si
comincia a valutare quali siano le mosse migliori e quindi tralasciando rami che portano ad
altre mosse. Così questo tipo di strategia dà la possibilità di analisi più profonde nell’albero
di gioco.

Per il primo ventennio (tra il 1955 e il 1975) la ricerca si è focalizzata sulle strategie di tipo
euristico, però non fu mai scoperta una combinazione potente abbastanza per poter
stabilire quali fossero le mosse da utilizzare e quali da scartare. Quindi per analizzare
l’albero di gioco si passò all’utilizzo della strategia di tipo “forza bruta”, rappresentando in
un albero con nodi di un certo peso tutte le possibili evoluzioni del gioco partendo da una
determinata mossa. Per raggiungere questa soluzione viene utilizzato un algoritmo
chiamato minimax, che viene dal teorema del minimax di John Von Neumann. L’algoritmo
funziona scegliendo ogni mossa possibile così da ridurre al minimo la quantità dei
vantaggi massimi che l’avversario può ottenere. Come può farlo? L’algoritmo esplora fino
all’ “effetto orizzonte” tutti i possibili nodi dell’albero e misura la qualità dell’ultima posizione
raggiunta attraverso una valutazione posizionale. Visto che l’algoritmo ha come obiettivo
quello di ridurre al minimo il valore della migliore posizione che l’avversario può
raggiungere, il peso della mossa è direttamente proporzionale a quanto la mossa stessa
diminuisce il valore della posizione dell’avversario. Utilizziamo per convenzione +∞ e -∞
per simboleggiare le mosse che portano allo scaccomatto di un giocatore o del suo
avversario. Chiamiamo il giocatore Max e il suo avversario Min, analizziamo ora lo
pseudocodice dell’algoritmo minimax:

L’algoritmo ha in input il nodo che deve analizzare e la massima profondità che è possibile
analizzare dall’albero e in output il valore del nodo che viene dato, così che il giocatore
sceglie la mossa che impatta al più la contromossa dell’avversario, minimizzandone gli
effetti. Nella successiva immagine c’è una dimostrazione del funzionamento dell’algoritmo
minimax:
L’algoritmo utilizzando la funzione di valutazione comincia a stabilire i pesi dei nodi nel
livello più basso dell’albero. Dopo di che li direziona verso l’alto secondo le regole del
minimax. Se nel penultimo livello deve muovere Max (gli insiemi neri come da figura),
significa che i nodi in quel livello raffigurano il massimo delle valutazioni dei loro rispettivi
figli. Quindi se prendiamo per esempio il nodo -8 e -5, ci andrà il peso maggiore ciò -5.
Successivamente tocca a Min che prenderà il valore minimo nel livello, quindi tra -5 e 11
prenderà -5. Questo processo dell’algoritmo continua a fare valutazioni di minimi e
massimi dei figli assegnandoli ai genitori, fino a che non si raggiunge la radice, la quale nel
nostro caso sceglie il nodo con valore massimo (ovvero 4, tra 4 e -5), ovvero il nodo che
permette di minimizzare la massima perdita.
L’ipotesi alle fondamenta di questo metodo implica che più l’albero da valutare è profondo
e più aumenta l’efficacia dell’algoritmo. Al contrario delle aspettative, ovvero se un albero
ha profondità maggiore risulta più difficile valutarne le posizioni finali, studi pratici ci danno
conferma che programmi con hardware più veloci sconfiggono sistematicamente
programmi con hardware più lenti, per quanto riguarda l’analisi estesa dei nodi.
C’è un modo per poter semplificare il minimax che viene chiamato negamax. L’algoritmo in
questione utilizza il fatto che nei giochi a somma zero max(a,b) = -min(-a,-b). Più
dettagliatamente nel nostro caso la posizione di un giocatore è la negazione della
posizione dell’avversario, andando così a non esserci il bisogno di distinguere tra il
giocatore Min e Max nel percorso di propagazione dei valori verso la radice, ma
semplicemente attribuendo al nodo padre il massimo dei valori dei figli con segno
cambiato, semplificando il processo rispetto al minimax, dove era necessario calcolare il
massimo e il minimo in modo alternato, dove qui invece ci basta un solo calcolo per dare il
valore che ci serve ad ogni posizione. Lo pseudocodice del negamax è il seguente:
La complessità degli algoritmi visti è O(bd), dove b rappresenta il branching factor (la
media di figli per nodo coincidente al numero medio di mosse per posizione) e d
rappresenta la profondità dell’albero.
Un altro algoritmo utilizzato è l’AlphaBeta, il quale deriva dai due precedenti algoritmi,
osservando come essi eseguono una visita completa dell’albero fino al livello orizzonte,
valutando però anche nodi che non contribuiscono oggettivamente alla valutazione della
radice non influendo sulla mossa ideale da prendere. L’algoritmo, quindi, idealizza di
tagliare i rami che non vanno a influenzare la valutazione alla fine, producendo due effetti
positivi: la complessità di ricerca è drasticamente ridotta, ed essa quindi va ad influenzare
anche alla riduzione dei tempi di ricerca. Ma come funziona? Prima di tutto si esegue una
ricerca di tipo depth-first-search (di profondità) da sinistra a destra, successivamente si

prendono due valori denominati α e β, i quali rappresentano la posizione più vantaggiosa


e quella più sfavorevole in ogni punto. Nel dettaglio se Max è il primo giocatore a fare la
mossa (quindi giocatore massimizzante) e Min invece il giocatore minimizzante, si ha:
- Abbiamo α che rappresenta il punteggio minimo che Max è in grado di ottenere;
all’inizio il suo valore equivale a -∞. Durante il calcolo dell’algoritmo coincide con il
valore della mossa più sfavorevole possibile attualmente calcolata per Max.
- Abbiamo β che rappresenta il punteggio massimo che Min è in grado di ottenere;
all’inizio il suo valore equivale a +∞. Durante il calcolo dell’algoritmo coincide con il
valore della mossa più vantaggiosa possibile attualmente calcolata per Min.
Quindi ogni nodo è come se avesse un’etichetta con i valori di α e β, e con
l’approfondimento della ricerca essi vengono aggiornati automaticamente. Se durante il

processo dell’algoritmo in un determinato nodo il valore di α è maggiore di β, la ricerca


di blocca al di sotto del nodo e l’algoritmo passa al sottoalbero successivo,
permettendo così di eliminare quel ramo e tutti i suoi figli. Si parla così di taglio alpha in
determinate condizioni:
- Quando è in esame un nodo N con mossa al giocatore avversario, ovvero Min.
- Il genitore di N ha un valore provvisorio maggiore di N.
- Il nodo N ha figli non ancora valutati che si possono tagliare.
Si parla invece di taglio beta nelle condizioni:
- Quando è in esame un nodo N con mossa al giocatore Max.
- Il genitore di N ha un valore provvisorio minore di N.
- Il nodo N ha altri figli non ancora valutati che si possono tagliare.
Lo pseudocodice di questo algoritmo è:

Vediamo adesso un esempio generale dell’algoritmo alphabeta:


Come vediamo nell’immagine soprastante mediante i tagli si vanno a cancellare i valori
che non vanno a influenzare il valore della radice; quindi, che non sono di interesse per la
mossa che vogliamo compiere. Il risultato finale è un miglioramento delle prestazioni in
valori di complessità rispetto agli algoritmi minimax e negamax. Nel caso più sfavorevole
in cui non dovessero esserci tagli nell’albero, avremmo la stessa complessità
dell’algoritmo minimax, quindi O(bd). Però tendenzialmente visti i tagli dei rami, la
complessità scende a O(bd/2) = O(√bd). In termini pratici se minimax e negamax vedono N
nodi, alphabeta ne vede √N.

3.4 Il modello probabilistico sui singoli pezzi della scacchiera.


Questa sezione spiega l’efficacia dei singoli pezzi sulla scacchiera attraverso un modello
probabilistico, ovvero come la probabilità di mettere il re del nostro avversario sotto
scacco. Si parte prendendo uno dei sei pezzi del gioco degli scacchi (pedone, torre,
cavallo, alfiere, regina, re) e lo si va a posizionare in una casella casuale delle 64 della
scacchiera, mettendo il re del nostro avversario in una delle 63 che restano, considerando
il posizionamento dei due pezzi in modo equiprobabile. Il nostro obiettivo è quello di
calcolare la probabilità P che il pezzo scelto nella posizione x metta sotto scacco il re
avversario nella posizione y; definendo la probabilità con un denominatore comune,
andiamo invece a definire il numeratore di queste frazioni come il valore relativo del pezzo
sulla scacchiera. Le probabilità andranno confrontate con la relativa efficacia dei vari pezzi
della scacchiera nelle tre situazioni in cui verranno valutati: ovvero l’apertura, il mediogioco
ed il finale. Il nostro obiettivo è quello di analizzare come varia la forza del pezzo in base al
flusso della partita di gioco.
Per prima cosa definiamo Σ (spazio campionario che include tutti i possibili esiti) come
l’insieme delle coppie (x,y), dove x rappresenta la posizione messa sotto studio del nostro
pezzo sulla scacchiera e y la posizione del re del nostro avversario. Viste le 64 posizioni
della scacchiera, x potrà avere quella quantità di possibili, dove y invece ne avrà 63, visto
che una casella è già occupata in precedenza da x. Il che ci porta ad avere una quantità di
coppie possibili pari a 64*63 con la cardinalità di Σ pari a 4032 elementi. Per ragioni di
praticità le probabilità espresse in frazioni avranno come denominatore comune 36.

3.4.1 Valore relativo del pedone.


Il pedone è il pezzo più numeroso e più debole della scacchiera, dove ogni giocatore ne
possiede 8 e l’unico movimento a loro disponibile è quello di una sola casella in avanti,
eccetto per la loro prima mossa dove possono avanzare per eccezione di due caselle
invece che due. Nonostante il pedone si muova in verticale è l’unico pezzo che mangia gli
altri pezzi della scacchiera in modo diverso dal suo movimento, ovvero nelle due caselle
oblique a lui adiacenti. La sua casella di partenza è la seconda fila, ma se raggiunge
l’ottava e ultima riga, il proprietario può far promuovere il pedone rimuovendolo dalla
scacchiera e cambiarlo con un qualsiasi pezzo ad eccezione del re. In modo che un
pedone riesca a mettere sotto scacco il re, devono distare di una casella l’uno dall’altro,
però il pedone non può avvicinarsi senza una copertura di un altro pezzo che lo protegga,
altrimenti verrebbe mangiato dal re. Quindi P(Ped|R) = 0, dove però per calcolare la
probabilità che un pedone P(Ped) coperto da un altro pezzo possa mettere sotto scacco il
re, bisogna fare delle considerazioni:
- I pedoni cominciano la partita sempre dalla seconda fila; se il re si trova nella prima
è impossibile quindi metterlo sotto scacco. Per semplicità andiamo ad escluderli
riducendo quindi la scacchiera a 56 caselle.
- Si va ad escludere che i due pedoni si muovano di due caselle alla loro prima
mossa. Un’ipotesi molto probabile visto che i pedoni difficilmente vanno a contatto
con il re avversario al di fuori della parte finale della partita, poiché il re è un pezzo
ben protetto fino alla fine, ed i pedoni sono dei pezzi lenti muovendosi di una
singola casella.
- Ipotizziamo di trascurare la promozione del pedone e che quindi i pedoni nell’ultima
fila abbiano modo di dare scacco al re come in tutte le precedenti. Altrimenti ci
sarebbe bisogno di fare un calcolo di volta in volta in base a quale pezzo il
giocatore abbia scelto per la promozione.
- Rimangono quindi sette file composte da 8 caselle ciascuna, dove i pedoni nelle
caselle laterali di ogni fila minacciano solo due caselle, mentre i pedoni delle caselle
centrali minacciano rispettivamente 2 caselle ciascuno.
Quindi con queste ipotesi la probabilità che un pedone metta sotto scacco il re è
rispettivamente:

Quindi Ped è un sottoinsieme di Σ e comprende la raccolta di caselle che il pedone


minaccia. Arrotondando il valore del pedone ad 1/36 tenendo in conto anche le
considerazioni precedenti. Anche se è un pezzo debole il pedone ha ruoli molto importanti
in tutte le fasi della partita. All’inizio il suo scopo è quello di controllare il centro della
scacchiera proteggendo così i pezzi più importanti. Nel medio gioco fungono da protezione
per gli altri pezzi specialmente il re. Nel finale spesso sono invece un elemento chiave per
la vittoria, in particolar modo se si riesce a portarli dall’altro lato della scacchiera dove
vengono promossi per un pezzo a scelta. In teoria un giocatore potrebbe possedere 9
regine (promuovendo tutti i pedoni della scacchiera più la regina iniziale), 10 cavalli, alfieri
e torri. Nonostante ciò, solitamente il pezzo che si sceglie di far diventare al pedone è la
regina, poiché è il pezzo più forte in gioco.

3.4.2 Valore relativo della torre.


La torre è uno dei pezzi di forza maggiore. L’aspetto particolare della torre è quello di
muoversi verticalmente e orizzontalmente di quante caselle vuole. Le 4 torri sono
posizionate ai quattro angoli della scacchiera all’inizio della partita. Proprio per questa
peculiarità la torre è sempre in grado di minacciare fino a 14 caselle, 7 orizzontali e 7
verticali. Quindi la probabilità che la torre metta sotto scacco il re dell’avversario posto in
modo casuale nella scacchiera è pari a:

T è un sottoinsieme di Σ e comprende la raccolta di caselle che la torre minaccia. Nel


denominatore c’è la cardinalità di Σ, quindi tutte le caselle possibili per due pezzi sulla
scacchiera, mentre al numeratore troviamo il numero di caselle che la torre minaccia il re.
Nel dettaglio si può piazzare la torre in uno spazio qualsiasi dei 64 della scacchiera e il re
in uno dei 14 minacciati dalla torre, quindi 14*64.

Come detto in precedenza le probabilità vengono espresse con il denominatore comune


36, quindi P(T) = 2/9 = 8/36. Però questa stima non è del tutto accurata perché, se la torre
si trova a minacciare il re in una casella adiacente alla sua, lui potrebbe mangiarsi la torre.
Quindi per utilizzare in campo pratico la P(T) dobbiamo tenere conto delle possibili
posizioni dove il è in grado di mangiare il pezzo. Definiamo quindi P(T|R) la probabilità
condizionata che la torre dia scacco al re data la posizione del re stesso, e facciamo
anche qui le nostre considerazioni:
- 36 caselle centrali dove la torre minaccia il re 14 volte, togliendo le 4 in cui il re
minaccia la torre, quindi 10 (si escludono quelle diagonali perché la torre non ci si
può muovere).
- 24 caselle di bordo dove la torre minaccia il re14 volte, togliendo le 3 in cui il re
minaccia la torre, quindi 11.
- 4 caselle agli angoli dove la torre minaccia il re 14 volte, togliendo le 2 in cui il re
minaccia la torre, quindi 12.
Correggendo la probabilità:

La torre ha la sua maggiore efficacia nel medio gioco e nella parte finale, perché
posizionata agli angoli della scacchiera e coperta dai pedoni laterali, che solitamente sono
gli ultimi ad essere mossi. Come detto anche in precedenza con i pedoni, i giocatori
tendono ad avere il controllo delle zone centrali, lasciando le zone laterali in secondo
piano, visto che le zone centrali permettono uno sviluppo più rapido e impattante del
gioco.

3.4.3 Valore relativo del cavallo.


Il cavallo all’interno del gioco degli scacchi si muove a L, ovvero il suo movimento consiste
di due passi in orizzontale e poi uno in verticale (o viceversa due passi in verticale seguiti
da uno orizzontale), ed è l’unico pezzo che ha possibilità di saltare sia i pezzi alleati che
avversari compensando la difficoltà del cavallo a minacciare i pezzi a lui adiacenti. Per lo
stesso fatto non c’è bisogno di fare alcuna modifica a P(C) al contrario di come è stato
fatto per la torre. Per calcolare P(C) si osservano le possibili situazioni dove il cavallo si
può trovare. Ci sono i 4 angoli, quindi 4 posizioni dove ogni cavallo minaccia 2 caselle.

Esistono poi 8 posizioni dove il cavallo controlla 3 caselle, esistono 20 posizioni dove ne
controlla 4, esistono 16 posizioni dove ne controlla 6 ed infine ne esistono 16, quelle
centrali dove ne controlla 8.
Perciò andiamo a sommare le seguenti caselle e dividiamo il tutto per la cardinalità di Σ:

C è un sottoinsieme di Σ che comprende la raccolta di caselle che il cavallo minaccia.


Dalla dimostrazione soprastante si vede come il cavallo in posizioni centrale ha
un’efficacia migliore perché minaccia molte più caselle, inoltre la capacità unica di poter
saltare i pezzi alleati e nemici lo rende un pezzo fondamentale ad inizio partita per il
controllo del centro della scacchiera. Se si vanno a vedere tutte le aperture più famose, i
cavalli insieme ai pedoni centrali sono spesso i primi pezzi a muoversi sulla scacchiera.

3.4.4 Valore relativo dell’alfiere.


L’alfiere è il pezzo con la caratteristica di muoversi solitamente in obliquo di un qualsiasi
numero di caselle. Ogni giocatore ne possiede due, uno si muove solo sulle caselle
bianche, e l’altro soltanto sulle caselle nere. Dividendo la scacchiera in diversi anelli si può
analizzare nel dettaglio l’efficacia dell’alfiere e la quantità di caselle che esso minaccia di
volta in volta:
Il primo anello, ed il più grande è composto da 28 caselle, seguito dal secondo che ne
contiene 20, il terzo 12 ed infine il quarto e ultimo ne contiene 4. Si nota come gli alfieri
controllano lo stesso numero di riquadri quando posizionato sugli stessi anelli e quindi
minacciare di conseguenza il re avversario quando è su una di quelle posizioni. Partendo
dal primo anello un alfiere controlla 7 caselle, nel secondo anello un alfiere nel controlla 9,
un alfiere nel terzo anello ne controlla 11 e infine un alfiere sul quarto anello ne controlla
13, come illustrato nelle successive figure.
Sfruttando lo stesso meccanismo utilizzato per il cavallo calcoliamo P(A) ovvero la
probabilità che un alfiere possa mettere sotto scacco il re nemico piazzato casualmente
sulla scacchiera:

A è un sottoinsieme di Σ che comprende la raccolta di caselle che l’alfiere minaccia. Però


come nel caso della torre, bisogna considerare la probabilità condizionata dell’alfiere P(|A|
R), quindi la probabilità di scacco dell’alfiere al re condizionata dalla posizione del re
stesso. Escludiamo perciò le caselle adiacenti in diagonale all’alfiere poiché il re potrebbe
mangiarlo se si trovasse in quella posizione, andando ad eliminare quindi una posizione
se l’alfiere e in uno dei quattro angoli, due posizioni se l’alfiere è nel primo anello (angoli
esclusi), escludiamo infine quattro posizioni se l’alfiere si trova indistintamente nel
secondo, terzo o quarto anello. Rifacendo il calcolo otteniamo:

Allo stesso modo del cavallo, la forza dell’alfiere è maggiore al centro della scacchiera,
rendendolo un pezzo fondamentale e molti efficace ad inizio partita, perdendo poi efficacia
nel medio gioco dove è circondato da molti più pezzi che limitano e vincolano i suoi
movimenti, tornando infine un pezzo fondamentale verso la fine del gioco quando la
maggior parte dei pezzi non c’è più, essendo in grado di raggiungere ogni angolo della
scacchiera molto rapidamente.

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