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08/02/23, 09:58 “Il futuro della vita”.

Gli stupidi ci crederanno e chiederanno di essere curati – ItaliaVeranews

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“Il futuro della vita”. Gli stupidi ci crederanno e chiederanno di


essere curati
 Angelo Garofoli< https://italiaveranews.it/author/angelo-garofoli/>
 01/10/2022
 In primo piano < https://italiaveranews.it/category/in-primo-piano/>
Importante scoperta libraria acquisita nella rete poco tempo fa. Vogliamo condividere con i

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08/02/23, 09:58 “Il futuro della vita”. Gli stupidi ci crederanno e chiederanno di essere curati – ItaliaVeranews

lettori questo interessante libro pubblicato nel 1981 in Francia. Quanto segue appare molto
attuale con i cambiamenti in atto. Di seguito ampi stralci.
Jacques Attali, ha un cursus honorum (Studi in ingegneria all’École Polytechnique,
dottorato in scienze economiche e specializzazione all’Ena, l’École nationale
d’administration dalla quale escono i più importanti dirigenti della pubblica
amministrazione francese) che dopo numerose esperienze anche all’Eliseo l’ha portato,
oggi, ad essere professore di economia all’Università Paris IX – Dauphine. Attali è anche
l’uomo che ha ‘scoperto’ Emmanuel Macron, presentandolo al presidente Hollande
del quale è diventato consigliere. Ha ricoperto delicati incarichi come quello di
collaboratore del presidente Francois Mitterand in un sodalizio cominciato nel 1973
e diventato ancora più stretto quando, nel 1981, l’esponente politico sarà eletto presidente
della repubblica. E proprio del 1981 è l’intervista rilasciata per un libro di Michel
Salomon, L’Avenir de la Vie (Il Futuro della Vita), edito per i tipi di Seghers, nel quale
Attali spiega la sua visione in merito al futuro dello stato sociale: “Si potrà accettare l’idea
di allungare la speranza di vita a condizione di rendere gli anziani solvibili e creare
in tal modo mercato”. Come risolvere il problema? “L’eutanasia sarà uno degli
strumenti essenziali del nostro futuro”, spiega, aggiungendo che “in una società capitalista,
delle macchine permetteranno di eliminare la vita quando questa sarà
insopportabile o economicamente troppo costosa”.

Michel Salomon, è un giornalista e medico. Nel 981, Salomon ha intervistato venti scienziati tra cui
sette premi Nobel. Egli racconta così la sua conversazione con Jacques Attali. In quell’intervista,
fornisce un chiaro avvertimento di come guardano dall’alto in basso noi, plebaglia, avvertimento che è
il progetto di quello che stanno facendo, per cambiare il mondo, economicamente e politicamente,
usando le varie e perpetue emergenze.

Di seguito ampi stralci.

“Nel futuro (cioè adesso, 41 anni dopo, da allora 1981 ad oggi 2022) si tratterà di trovare un modo
per ridurre la popolazione. Inizieremo con i vecchi, perché non appena ha più di 60-65 anni,
l’uomo vive più a lungo di quanto produce e costa caro alla società. Poi i deboli e poi gli inutili che
non fanno nulla per la società perché ce ne saranno sempre di più, e soprattutto finalmente gli
stupidi.”

“L’eutanasia mira a questi gruppi; l’eutanasia dovrà essere uno strumento essenziale delle nostre
società future, in tutti i casi. Naturalmente, non possiamo giustiziare persone o allestire
campi. Ci libereremo di loro facendo loro credere che è per il loro bene.”

«Una popolazione troppo grande e per la maggior parte inutile, è qualcosa di economicamente troppo
costoso. Socialmente, è anche molto meglio per la macchina umana fermarsi stridendo piuttosto che
deteriorarsi gradualmente. Non saremo in grado di dare test di intelligenza a milioni e milioni di
persone, potete immaginare!

“Qualcosa troveremo o la causeremo, una pandemia che prende di mira certe persone,
una crisi economica, vera o no, un virus che colpirà il vecchio o il grande, non importa, i deboli
soccomberanno ad esso, i timorosi e gli stupidi ci crederanno e chiederanno di essere
trattati. Avremo avuto cura di aver pianificato il trattamento, un trattamento che sarà la
soluzione.

“La selezione degli idioti sarà quindi fatta da loro stessi: andranno al macello di loro
iniziativa.”

Fonte:
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV4087_Armstrong_Pandemia_per_spopolare_1981.html
<
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV4087_Armstrong_Pandemia_per_spopolare_1981.html>

JACQUES ATTALI, 1981: io credo in un nuovo totalitarismo …


P.S. un testo (fin troppo) profetico di quarantuno anni fa.
trad. da: Michel Salomon, L’Avenir de la Vie, ed. Seghers 1981, pp. 264-279
(il testo, contiene un piccolo numero di passaggi non ben resi, di cui ci scusiamo)
M.S. = l’intervistatore Michel Salomon
J.A. = l’intervistato Jacques Attali
Michel Salomon: Perché un economista s’interessa con tanta passione alla medicina,
alla salute …

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08/02/23, 09:58 “Il futuro della vita”. Gli stupidi ci crederanno e chiederanno di essere curati – ItaliaVeranews

Jacques Attali: Studiando i problemi economici generali della società occidentale ho constatato che i
costi della salute sono uno dei fattori essenziali della crisi economica. La produzione di consumatori e
il loro mantenimento costano cari, ancora di più che la produzione delle merci stesse.
Gli uomini sono prodotti da servizi che essi si rendono gli uni gli altri, in particolare nell’ambito della
sanità, la cui produttività economica non aumenta molto rapidamente. «La produttività della
produzione delle macchine» aumenta più rapidamente della produttività relativa della produzione dei
consumatori.
Questa contraddizione sarà tolta da una trasformazione del sistema di salute e di educazione in
direzione di una svolta commerciale e industriale. Chiunque analizzi la storia economica si rende conto
che la nostra società trasforma sempre più le attività artigianali in attività industriali, e che un
crescente numero di servizi resi da uomini ad altri uomini diventano sempre più oggetti prodotti
all’interno di macchine.
L’incontro di queste due domande porta a chiedersi: la medicina può anch’essa essere prodotta da
macchine, che verrebbero a rimpiazzare l’attività del medico?
M.S.: Una domanda che sembra un po’ accademica, teorica …
J.A.: Certo, ma rende conto della crisi attuale. Se la medicina dovesse – come l’educazione – essere
prodotta in serie, la crisi economica sarebbe presto risolta. È un po’ il punto di vista dell’astronomo che
dicesse: «Se i miei ragionamenti sono esatti, lì c’è una stella …». Se questo ragionamento è esatto e se
la nostra società è coerente, la logica conduce a questo: come altre funzioni sono state mangiate, nelle
fasi anteriori della crisi, dall’apparecchio industriale, la medicina diventa un’attività prodotta in serie –
e questo ci porta alla metafora.
Quest’ultima significa che il medico è largamente rimpiazzato da protesi che hanno per ruolo il
recuperare la funzione del corpo, di ristabilirla o di sostituirvisi. Se la protesi tenta di fare la medesima
cosa, essa lo fa come lo fanno gli organi del corpo, e dunque essa diviene una copia di organi del corpo
o di funzioni del corpo. Siffatti oggetti sarebbero dunque delle protesi da consumare. Nel linguaggio
economico la metafora è chiara: è quella del cannibalismo. Si consuma del corpo. Quindi a partire dalla
metafora (e ho sempre pensato che fosse quella la fonte del sapere) mi sono posto due domande:
1. Il cannibalismo è parente di una terapeutica?
2. Esiste una sorta di costante nelle differenti strutture sociali, la quale farebbe in modo che un
cannibalismo assiomatizzato, sganciato dal modo in cui era vissuto e ricondotto a degli operatori,
nel senso matematico del termine, si ritrovi nel cammino terapeutico?

Anzitutto, il cannibalismo sembra poter essere spiegato piuttosto largamente come strategia
terapeutica, fondatrice. In secondo luogo, pare che tutte le strategie di guarigione, in rapporto alla
malattia contengano una serie di operazioni fatte dal corpo stesso ma fatte anche dal cannibalismo, e
che esse si ritrovino in tutte queste strategie: selezionare segni che si va a osservare, sorvegliarli per
vedere se evolvono bene o male, denunciare ciò che va a rompere l’ordine di tali segni, ciò che
chiamiamo il Male; negoziare con il Male, separare il Male.
Tutti i sistemi di guarigione hanno così impiegato queste medesime operazioni: selezione dei segni,
denuncia del male, sorveglianza, negoziazione, separazione. Tali differenti operazioni dicono anche
una strategia del politico: selezionare segni da osservare, sorvegliarli per vedere se va tutto bene,
denunciare il male, il capro espiatorio, il nemico, e allontanarlo. Ci sono rapporti molto profondi tra la
strategia a riguardo del Male individuale e la strategia a riguardo del Male sociale.
È questo che mi ha spinto a pensare, in fondo, che la distinzione tra Male sociale e Male individuale
non fosse una distinzione molto chiara. Queste diverse operazioni fondamentali si applicavano a
periodi storici differenti, su differenti concezioni che si potevano avere della malattia, del male, del
potere, della morte, della vita, e dunque di colui che deve adempiere la funzione di designazione del
male, di separazione.
Altrimenti detto, ci sono le medesime operazioni, i medesimi ruoli, ma non sono i medesimi attori che
recitano le parti. E la pièce non si mette in scena al medesimo momento.
M.S.: Da qui a fondare una teoria a partire dal cannibalismo storico o mitico … Il suo
saggio ha sconvolto e scioccato non soltanto i medici, ma anche i malati che tutti in
potenza siamo, insomma l’opinione pubblica …
J.A.: Questo saggio è un triplice tentativo:
Anzitutto è il tentativo di raccontare una storia economica del Male, la storia dei rapporti con la
malattia.

In secondo luogo è quello di mostrare che ci sono in qualche modo quattro periodi dominanti, e
dunque tre grandi crisi tra le quali si strutturano le oscillazioni di sistema; e che ogni oscillazione
non tocca soltanto il guaritore, ma anche la concezione stessa della vita, della morte, della
malattia.

In terzo luogo, infine, quello di mostrare che dette oscillazioni riguardano i segni e non la
strategia, che resta quella del cannibalismo, e che di fatto si parte dal cannibalismo per farvi
ritorno. Insomma, si può interpretare tutta la storia industriale come una macchina che traduca
il cannibalismo fondatore, primo rapporto col male, in cui gli uomini mangiano gli uomini, in
cannibalismo industriale, in cui gli uomini diventano merci che mangiano merci. La società
industriale funzionerebbe come un dizionario con differenti tappe nella traduzione: ci sono
lingue intermedie, in qualche modo – quattro grandi lingue. C’è l’ordine fondamentale, l’ordine
cannibale. È lì che compaiono i primi dèi, che sono cannibali e nei miti che seguono,

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storicamente, gli dèi cannibali si mangiano tra loro: poi diventa terribile per gli dèi essere
cannibali.

In tutti i miti che ho studiato, nelle differenti civiltà, la religione serve in qualche modo a distruggere il
cannibalismo. Per il cannibalismo, il male sono le anime dei morti. Se voglio separate l’anima dei morti
dai morti, bisogna che ne mangi i corpi. Perché il miglior modo di separare i morti dalle loro anime è
mangiarne i corpi. Dunque ciò che è fondamentale, nella consumazione cannibale è la separazione.
Ecco dove volevo arrivare: la consumazione è separazione.
Il cannibalismo è una formidabile forza terapeutica del potere. Allora perché il cannibalismo non
funziona più? Eh … perché a partire dal momento (lo si vede bene nei miti – e offro un’interpretazione
tanto del lavoro di Girard sulla violenza quanto di quello di Freud in Totem e tabù, nel quale egli vede
il totem e il pasto totemico come fondatori e il pasto totemico scompare nella sessualità) in cui dico che
“mangiare i morti” mi permette di vivere, allora … vado a cercare da mangiare.
Dunque il cannibalismo è guaritore, ma al contempo è produttore di violenza. Ed è così che cerco di
interpretare il passaggio alle proibizioni sessuali, che sono sempre le medesime che le proibizioni
cannibaliche.
Perché è evidente che se uccido mio padre, o mia madre, o i miei figli, impedirò la riproduzione del
gruppo. Eppure sono quelli che è più facile uccidere, considerando che vivono accanto a me. Gli
interdetti sessuali sono interdetti secondari in rapporto a quelli della nutrizione. In seguito si
ritualizza, si mette in scena il cannibalismo in via religiosa. In qualche modo si delega, si rappresenta,
si mette in scena. La civiltà religiosa è una messa in scena del cannibalismo. I segni che si osservano
sono quelli degli dèi.
La malattia è la possessione da parte degli dèi. Le sole malattie che si possono osservare e guarire sono
quelle di possessione. La guarigione, infine, è l’espulsione del male, il male che in quel caso è il
Maligno, vale a dire gli dèi. E il guaritore principale è il sacerdote.
Ci sono sempre due guaritori, lungo tutto il corso del processo: c’è il denunciatore del male e c’è il
separatore, che ritroveremo in seguito sotto i nomi di medico e di chirurgo. Il denunciatore del male è
il prete, il separatore è il chirurgo.
Ho cercato di mostrare da una parte che il ritualismo cristiano è fondamentalmente cannibale. I testi di
Luca su “il pane e il vino” che sono “il Corpo e il Sangue di Cristo”, e che se lì si mangia dànno la vita
sono dei testi cannibalici, evidentemente terapeutici: c’è di questi testi una lettura medica, e al
contempo cannibalica, che molto forte.
Cerco poi di raccontare la storia del rapporto della Chiesa con la guarigione, e di vedere poco a poco,
senza dubbio a partire dal XII o XIII secolo, che appare un nuovo sistema di segni. Si osservano non
più solamente le malattie che vengono dagli dèi, ma anche quelle che vengono dal corpo degli uomini.
Perché? Perché l’economia comincia a diventare organizzata. Si esce dalla schiavitù.
Le malattie dominanti sono le epidemie che cominciano a circolare come gli uomini e le merci. I corpi
degli uomini poveri portano la malattia e c’è una totale unità tra la povertà (che prima non esisteva
perché quasi tutti erano o schiavi o padroni) e la malattia. Essere poveri o malati significava la
medesima cosa dal XIII al XIX secolo.
Dunque la strategia riguardo al povero in politica e quella riguardo al malato non sono differenti.
Quando si è poveri, ci si ammala; quando ci si ammala, si diventa poveri. La malattia e la povertà non
esistono ancora. Ciò che esiste è l’essere poveri e malati, e una volta che si siano designati il povero e il
malato la giusta strategia consiste nel separarli, nel contenerli, non nel guarirli ma nel distruggerli: nei
testi francesi chiamiamo questo il rinchiudere – la reclusione, nei testi di Foucault.
Si rinchiude in molti modi: la quarantena, il lazzaretto, l’ospedale e in Inghilterra le work houses. La
legge sui poveri e la carità non sono dei mezzi per aiutare le persone, ma per designarle in quanto tali e
per contenerle. La carità non è altro che una forma di denuncia.
M.S.: Il poliziotto diventa il terapeuta al posto del prete.
J.A.: Esatto. La religione si ritira e prende un altro potere, perché non può più assumere il potere di
guarigione. Certo, ci sono già dei medici, ma questi non giocano se non un ruolo di consolazione, e ne è
prova il fatto che il potere politico, molto sagacemente, non riconosce ancora i diplomi dei medici. Il
potere politico considera che il suo principale terapeuta è il poliziotto, certo non il medico. Del resto in
Europa, all’epoca, non c’era che un medico per 100mila abitanti.
Ma torno al terzo periodo, nel quale non è più possibile recludere i poveri perché sono troppo
numerosi. Questi ultimi devono, al contrario, essere intrattenuti perché diventino dei lavoratori. Essi
cessano di essere dei corpi per divenire delle macchine.
E i segni che si osservano sono quelli delle macchine. La malattia, il male, costituiscono la panne. Il
linguaggio clinico isola, oggettiva ancora un po’ il male. Si designa il male, lo si separa e lo si espelle.
Per tutto il XIX secolo, con la nuova sorveglianza che è l’igiene, la nuova riparazione, la nuova
separazione medico-chirurgica, si vedono il poliziotto e il prete scomparire dietro al medico.
M.S.: E oggi tocca al medico cadere nella trappola …
J.A.: Oggi la crisi è triplice. Da una parte, come nel periodo anteriore, il sistema non può assicurare da
sé il proprio funzionamento. Oggi in un certo senso la medicina è largamente incapace di curare tutte
le malattie perché i costi diventano troppo elevati.
D’altra parte, si osserva una perdita di credibilità del medico. Si ha molta più fiducia in dati quantificati
che nel medico.
In ultimo, appaiono malattie o forme di comportamento che non sono più soggette alla medicina
classica. Queste tre caratteristiche conducono a una sorta di continuum naturale che passa dalla
medicina classica alla protesi e ho cercato di distinguere tre fasi che si compenetrano mutuamente in

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questa trasformazione.
In una prima fase, il sistema tenta di durare sorvegliando i proprî costi finanziari. Ma questa volontà
sfocia nella necessità di sorvegliare i comportamenti e dunque di definire delle norme di salute, di
attività, alle quali l’individuo deve sottomettersi. Così appare la nozione di profilo di vita sostenibile in
riferimento alle spese sanitarie.
Donde si passa alla seconda fase, che è quella dell’autodenuncia del male grazie agli strumenti di
autocontrollo del comportamento. L’individuo può così conformarsi alla norma del profilo di vita e
diventare autonomo rispetto alla propria malattia.
Il principale criterio di comportamento era, nel primo ordine, dare un senso alla morte; nel secondo
ordine, contenere la morte; nel terzo ordine, aumentare la speranza di vita; nel quarto, quello in cui
viviamo, è la ricerca di un profilo di vita sostenibile in riferimento alle spese sanitarie.
La terza fase è costituita dall’apparizione di protesi che permettono di designare il male in maniera
industriale. Così, per esempio, le medicine elettroniche come le pillole associate a un micro-computer
che permettono di rilasciare nel corpo, a intervalli regolari, delle sostanze, elementi della regolazione.
M.S.: Insomma la salute, con la comparsa di queste protesi elettroniche, sarà il nuovo
motore dell’espansione industriale …
J.A.: Sì, in conclusione tutti i concetti tradizionali scompaiono: produzione e consumo scompaiono,
vita e morte scompaiono perché la protesi rende la morte un momento fluido …
Io credo che l’importante della vita non sarà più lavorare ma essere in situazione di consumare, essere
un consumatore tra altre macchine di consumo. La scienza sociale dominante fino al momento
presente è stata la scienza delle macchine.
Marx è un clinico perché designa il male, la classe capitalista, e la elimina. Egli tiene, in un certo senso,
il medesimo discorso di Pasteur. La grande scienza sociale dominante sarà la scienza dei codici,
informatica e poi genetica.
Questo libro è del resto anche un libro sui codici perché cerco di mostrare che vi è una successione fra i
codici: il codice religioso, il codice poliziesco, il codice termodinamico e oggi il codice informatico e ciò
che chiamiamo la sociobiologia.
Questo discorso teorico non è utile che se l’avvenire non si produce: non eviteremo di essere cannibali
se non cessando di diventarlo. Io credo che l’essenziale, perché una teoria sia falsa, non è che sia
falsificabile, bensì che sia falsificata. Il vero non è il falsificabile, ma il falsificato.
M.S.: La sua tesi sfocia in una riflessione concreta sulla medicina, anche con dei termini
temporali; sono forse le primizie di una riflessione concreta di uomo politico e di
economista sull’organizzazione della medicina?
J.A.: Non lo so. Per il momento non voglio pormi tale questione. Io credo che la prima cosa che ho
voluto mostrare – solo questo – sia che la guarigione è un processo in piena trasformazione verso un
modello di organizzazione che nulla ha a che vedere con quello attuale, e che la scelta è tra tre tipi di
attitudine:
o conservare attualmente la medicina come è stata finora,
o accettare l’evoluzione e fare che essa sia la migliore possibile, con una maggiore uguaglianza
nell’accesso alle protesi,
oppure una terza evoluzione nella quale il rinvio al male è pensato in un modo nuovo, che non sia
né quello del passato né quello dell’avvenire del sistema cannibalico: sarebbe un’attitudine
prossima all’accettazione della morte, in modo da rendere la gente più cosciente che la cosa
urgente non sta nel dimenticare né nel ritardare, né nell’attendere la morte, ma al contrario nel
volere che la vita sia più libera possibile.

E così, io penso che a poco a poco ci si polarizzerà attorno a questi tre tipi di soluzione, e io voglio
mostrare che, secondo me, l’ultima è veramente umana.
M.S.: Sa di utopia sociale. Alle volte è pericoloso essere utopici …
J.A.: L’utopia può avere caratteristiche differenti a seconda che si parli di utopia come di un sogno
assoluto – e allora il sogno è un sogno di eternità – o che ci si riferisca all’etimologia della parola, vale a
dire a ciò che non ha mai avuto luogo, e allora si tenta di vedere quale tipo di utopia è verosimile.
Ora, io credo che se si vuole comprendere il problema della salute, bisogna rendersi conto del fatto che
esistono delle utopie verosimili. L’avvenire è necessariamente una utopia, ed è molto importante
comprendere che essa non è pericolosa, perché parlare di utopia significa accettare l’idea che l’avvenire
non ha niente a che vedere con i prolungamenti di tendenze attuali.
Direi perfino che tutti i futuri sono possibili a parte uno, cioè il prolungamento della situazione attuale.
M.S.: L’avvenire è quella protesi particolare che sono tutte le medicine del futuro – e del
presente – che aiutano l’uomo a sopportare meglio la sua condizione…?
J.A.: Trovo spaventosa questa fascinazione per le medicine contro l’angoscia, per tutto ciò che può
essere un modo di eliminare l’angoscia … ma come una merce e non come un modo di vita.
Cerchiamo di dare mezzi per rendere tollerabile l’angoscia e non di creare le funzioni per non essere
più angosciati.
E poi, tutte le medicine del futuro che sono legate al controllo del comportamento possono avere una
maggiore incidenza politica.
Sarebbe possibile in effetti rendere conciliabile la democrazia parlamentare con il totalitarismo, poiché
basterebbe mantenere tutte le regole formali della democrazia parlamentare, ma al contempo
generalizzare l’utilizzo di codesti prodotti perché il totalitarismo sia quotidiano.
M.S.: Le pare concepibile? Un 1984 orwelliano basato su una farmacologia del
comportamento …

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J.A.: Io non credo all’orwellismo, perché si tratta di una forma di totalitarismo tecnico con un “Big
Brother” visibile e centralizzato. Io credo piuttosto a un totalitarismo implicito con un “Big Brother”
invisibile e decentralizzato. Le macchine che sorveglino la nostra salute, che noi potremmo possedere
per il nostro bene, ci asserviranno per il nostro bene. In qualche modo subiremo un condizionamento
dolce e permanente …
M.S.: Come vede l’uomo del XXI secolo?
J.A.: Credo che bisogni distinguere nettamente due tipi di uomo del XXI secolo, vale a dire: l’uomo del
XXI secolo dei Paesi ricchi e l’uomo del XXI secolo dei Paesi poveri. Il primo sarà certamente un uomo
molto più angosciato di oggi, ma che troverà la sua risposta al male di vivere in una fuga passiva, nelle
macchine anti-dolore e anti-angoscia, nelle droghe, e che tenterà ad ogni prezzo di vivere una sorta di
forma commerciale di convivialità.
Ma accanto a ciò, sono convinto che l’immensa maggioranza, la quale avrà conoscenza di tali macchine
e del modo di vita dei ricchi, ma che non vi avrà avuto accesso, sarà straordinariamente aggressivo e
violento. È da questa distorsione che nascerà il grande caos che potrà tradursi sia in guerre razziali, di
conquista, sia mediante l’immigrazione nelle nostre contrade di milioni di persone che vorranno
condividere il nostro modo di vita.
M.S.: Lei crede che il genio genetico sia una delle chiavi del nostro avvenire?
J.A.: Io credo che il genio genetico sarà tra la ventina d’anni a venire una tecnica tanto banale, tanto
conosciuta e presente nella vita quotidiana quanto lo è oggi il motore a scoppio. Del resto, vi si può
ravvisare e stabilire un medesimo tipo di parallelismo.
Con il motore a scoppio si potevano fare due cose:
o privilegiare i trasporti collettivi e facilitare la vita delle persone
o produrre delle automobili, strumenti di aggressività, di consumo, di individualismo, di
solitudine, di stoccaggio, di desiderio, di rivalità…

Abbiamo scelto la seconda soluzione. In altri termini, con il genio genetico si potrebbero a poco a poco
creare le condizioni di una umanità che liberamente assuma sé stessa, ma collettivamente, oppure
invece creare le condizioni di una nuova merce, stavolta genetica, che sarebbe fatta di copie di uomini
vendute agli uomini, chimere o ibridi utilizzati come schiavi, robot, mezzi da lavoro …

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ave
“Io combatto la tuaran
idea, che è diversa dalla
mia, ma sono prontoonl
a battermi fino al prezzo
della mia vita perchè
inetu, la tua idea, possa
esprimerla liberamente”
>
Voltaire

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