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05/06/23, 17:15 Caso Emanuela Orlandi, le amiche: una in clinica psichiatrica, l'altra drogata | Corriere.

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Caso Orlandi, la storia (inquietante) delle amiche:


una in clinica psichiatrica, l'altra sedata. Un
compagno minacciato di morte
di Fabrizio Peronaci

Raffaella, l'ultima a vedere Emanuela, fu pedinata a lungo, si ammalò e non si è mai


ripresa. Silvia, al quale la scomparsa confidò di doversi allontanare per qualche tempo, è
stata sottoposta a trattamenti farmacologici

Emanuela Orlandi 40 anni dopo, i misteri non finiscono mai: ci sono anche
degli effetti collaterali inquietanti, da brividi, nella storia della "ragazza con la
fascetta" scomparsa il 22 giugno 1983. Che fine hanno fatto le amichette e i
compagni che a vario titolo furono testimoni, inconsapevoli e involontari,
dell'accaduto? Cosa è successo loro? Una, Raffaella, compagna di musica
all'epoca 19enne, raccontò alla stampa quanto le aveva detto Emanuela Orlandi
prima di sparire (la proposta di lavoro per la Avon e altro) e da quel momento
fu pedinata, minacciata, intimidita da personaggi mai identificati: rimase
talmente sotto choc da farsene una malattia per tutta la vita. Oggi, a 59 anni, è
ricoverata in una clinica psichiatrica.
Un'altra amica, Silvia, compagna di classe al Convitto nazionale, disse a un
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giornalista che Emanuela le aveva confidato che si sarebbe allontanata da


casa «per un po' di tempo». Una testimonianza delicata, che fa
balenare contatti pregressi. Da quel momento Silvia, oggi 55enne, è passata da
un trattamento farmacologico all'altro e il cugino denuncia: «Per non farla
parlare l'hanno irretita, sedata, annichilita. Non la sento da anni. Potrebbe anche
essere morta».
Un terzo ragazzino, Pierluigi, anche lui iscritto al liceo scientifico frequentato da
Emanuela, stesso nome (forse non a caso) di quello del primo telefonista che
contattò gli Orlandi, fu ripetutamente minacciato di morte. Era venuto a sapere
qualcosa? Nel 1987 chiamò in diretta "Telefono giallo" e con voce rotta
esclamò: «Se parlo mi ammazzano». Poi trovò riparo all'estero, dove vive tuttora,
a 55 anni, con pochissima voglia di parlare dell'evento che gli ha stravolto la
vita.

Pressioni e intimidazioni
Ebbene, c'è anche tutto questo nel già complicatissimo, inafferrabile, per certi
verso mostruoso intrigo legato alla scomparsa della figlia quindicenne del messo
pontificio di papa Wojtyla. Emanuela Orlandi fu allontanata da casa con un
tranello nell'ambito di in un piano di ricatto contro il pontefice polacco, ma gli
ideatori dell'operazione andarono oltre, coinvolgendo altri minori: da un lato,
infatti, utilizzarono qualche amica confidando che avrebbe riferito quanto
venuto a sapere (così da far partire i ricatti sotterranei) e, dall'altro, non
mancarono di esercitare pressioni e intimidazioni tali da provocare gravi
choc. È un territorio poco scandagliato e inquietante, quello delle amicizie della
scomparsa, che riserva molte sorprese: anche Raffaella, Silvia, Pierluigi (e per
certi versi Sonia, nel caso gemello di Mirella Gregori) hanno pagato un prezzo
carissimo e sono da considerare vittime a tutti gli effetti. Ecco le loro storie.
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Raffaella, mai più ripresa dallo choc


La vicenda di Raffaella Monzi, compagna del corso di musica presso il
complesso di Sant'Apollinare (ultimo luogo frequentato dalla scomparsa), è
nota. Emanuela al termine della lezione di canto corale, attorno alle 19 del 22
giugno 1983, raccontò a Raffaella (4 anni più grande, all'epoca abitante con la
famiglia in via Panisperna) di aver ricevuto una proposta di lavoro (del tutto
inverosimile) per distribuire volantini della ditta di cosmetici Avon, il sabato
successivo, in occasione di una (inesistente) sfilata di moda in cambio della cifra
(spropositata) di 375 mila lire (erano tutti messaggi in codice, leggi qui).
La triste novità oggi, 40 anni dopo, è che quella bella ragazza bionda con i
capelli ricci non si è mai ripresa. Alla soglia dei 60 anni, è rinchiusa in una
struttura psichiatrica fuori Roma, nei pressi di Subiaco. Fu la mamma a spiegare,
in una intervista: «Da quel giorno del 1983 la vita di Raffaella non è stata più la
stessa. Eravamo tanto esasperati e spaventati che decidemmo di andare via da
Roma e di trasferirci a Bolzano, ma c'erano persone che hanno continuato a
controllarci. Raffaella fu seguita da un giovane biondino. Ogni volta ce lo
trovavamo davanti e un giorno le disse: “Vieni via con me, lascia i tuoi
genitori…”».

Il manifesto sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e l'amica Raffaella Monzi (Rai, Chi
l'ha visto?)

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La telefonata: «Sua figlia è bellissima...»


Una situazione angosciante, la sensazione di avere il fiato di qualcuno molto
cattivo sul collo... Così prosegue il racconto della signora Monzi, riferendosi agli
agganci per strada da parte del "biondino": «Fu un episodio che ci colpì anche se
decidemmo di non darci peso, pensando che fosse uno spasimante. Tornati a
Roma, Raffaella mi raccontò che una persona la fotografava per strada. E un
giorno ricevetti una telefonata: “Ho visto tua figlia sul treno: è bellissima. La
voglio sposare”. Non ho mai saputo chi fosse e come avesse il nostro numero di
telefono. Di certo era una persona che la controllava. Per mia figlia è stato un
incubo dal quale non si è più ripresa». Raffaella non mise più piede alla scuola
di musica "Da Victoria" e al ritorno da Brunico, dove quell'estate per tentare di
distrarsi lavorò come baby sitter, si iscrisse al conservatorio di Santa Cecilia.
Perché i rapitori la misero nel mirino? L'intento era tenerla in pugno,
terrorizzarla per evitare che rivelasse qualcosa? Il dubbio, leggendo i verbali di
interrogatorio, viene dal passaggio in cui Raffaella ricorda che Emanuela, oltre
alla faccenda della Avon, la disse di aver appuntamento con una persona.
Forse il timore del "biondino" (e più ancora dei suoi superiori, veri registi
dell'azione) era che la scomparsa avesse confidato a
Raffaella dettagli utili all'identificazione?

Silvia e le confidenze di Emanuela


C'è poi Silvia Vetere, compagna di classe al II liceo scientifico del Convitto
nazionale... «Emanuela aveva intenzione di trovarsi un lavoro. Non aveva voglia
di studiare e faceva sega a scuola». Le sue dichiarazioni messe a verbale sia nel
1983 (22 luglio) sia nel 2008 (11 novembre, nell'ambito della seconda inchiesta)
sono state le uniche in controtendenza rispetto all'immagine "casa e chiesa" resa
pubblica dai familiari della "ragazza con la fascetta". Niente di grave, beninteso.
Qualcosa certamente di non disdicevole, comune a milioni di adolescenti:
Emanuela era un po’ ribelle e con poca voglia di stare sui libri, cosa d'altronde
palesata dalle due materie (latino e francese, con un 4 e un 5) nelle quali era
stata rimandata a settembre e dalla sfilza di 6 restanti. Piuttosto, c'è un passaggio
dei verbali di Silvia, oggi 55enne, che appare rilevante ai fini di una corretta
ricostruzione dell'accaduto: «I professori le chiedevano cosa volesse fare e lei
rispondeva che aveva intenzione di cercarsi un lavoro».

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Puntata di Tandem (Rai) del 20 maggio 1983: a sinistra Silvia Vetere e a destra Emanuela
Orlandi. La classe era stata invitata in trasmissione

La frase-chiave: «Non mi vedrete per un po'»


Ecco, questo non era mai affiorato: una sorta di determinazione a cambiare
vita, a rompere le righe. Fu sull'onda di questo stato d'animo che, ingenuamente,
cadde nel tranello dell'allontanamento da casa, magari con la promessa che
sarebbe tornata presto? Tale scenario è rafforzato da un altro spunto: la frase
riferita da Silvia Vetere a un giornalista de L'Unità, che la pubblicò il 13 luglio
1983: «Non mi vedrete per un po’», aveva confidato Emanuela all'amica, a fine
maggio. Segno che era stata già agganciata? Che era consapevole di essere stata
coinvolta in un "gioco avventuroso", ma tutto sommato non poi così pericoloso e
destinato a durare poco? «Fra il maggio e l’ottobre 2014 avevo cercato Silvia
Vetere. Prima all’abitazione del 1983 e poi tramite la sorella, che però mi spiegò
come fosse impossibilitata a parlare, perché affetta da seri problemi di
salute», ha spiegato Tommaso Nelli nel libro "Atto di dolore". Addirittura non in
grado di esprimersi, insomma: un trauma irreversibile.

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Il titolo su "L'Unità" del 13 luglio 1983

Il cugino: «Silvia narcotizzata»


Sono proprio i «seri problemi di salute» di Silvia, rivisti oggi alla luce della
complessità dell'operazione-Orlandi, a gettare ombre angoscianti. Il fatto di
essere venuta a conoscenza di retroscena utili a fini investigativi può aver
esposto la ragazzina? Per il cugino Massimo Festa, 61 anni (sua nonna materna
Anna era la sorella del nonno di Silvia), non v'è ombra di dubbio. «Silvia è
stata vittima di un ulteriore sequestro, è stata portata in strutture psichiatriche
per impedirle di ripetere quel che sapeva su Emanuela Orlandi. Quel che le era
stato confidato era scomodo. Per questo è stata prelevata a più riprese,
bombardata di farmaci, narcotizzata, annichilita nel corpo e nella psiche, in
una struttura per tossicodipendenti, nella fascia a nord di Roma, e in centri
specializzati per pazienti psichiatrici. Quel 13 luglio 1983, tramite l'articolo
su L'Unità, cominciò a emergere che era in possesso di informazioni delicate, e
successivamente, negli interrogatori, potrebbe essere stata intimidita. Fatto è che
non si è mai più ripresa. Anche grazie al ruolo avuto da una nostra parente, non
ho più avuto modo di incontrare Silvia da molti anni. Ora potrebbe anche
essere morta». Un racconto sconvolgente, da delineare meglio, ma ancorato ad
alcuni dati di fatto: sarà oggetto delle prossime indagini sul caso Orlandi?
Resta soltanto una foto, di Silvia la compagna di classe: un caschetto di capelli
castani (inquadrati dal cerchietto rosso) nella puntata di Tandem, sulla Rai, alla
quale tutta la classe era stata invitata il 20 maggio 1983. In un altro fotogramma
c'è Emanuela, accanto alla conduttrice...

Pierluigi, dubbi e coincidenze


E veniamo alla terza storia, quella di Pierluigi Magnesio, pure lui 55enne,
compagno di classe di Emanuela (e di Silvia), non è mai stata al centro
dell'attenzione mediatica ma è in realtà importante, contiene indizi di peso, a
lungo valutati dagli inquirenti. Accadde questo. A Pierluigi, anche lui cittadino
vaticano, figlio di un elettricista in servizio presso la Santa Sede, gli investigatori
pensarono subito per una semplice associazione: così si era autonominato il

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primo telefonista, il "Pierluigi" con la voce posata e senza inflessioni (per questo
ribattezzato dalla famiglia "il pariolino") che chiamò a casa Orlandi tre giorni
dopo il mancato ritorno a casa, la cui voce non fu però registrata in quanto papà
Ercole non aveva ancora approntato una segreteria telefonica. Fu il sostituto
procuratore generale Giovanni Malerba, nella sua requisitoria dell’agosto 1997
a chiusura dell'inchiesta iniziata ben 14 anni prima, a dare rilievo al compagno
di classe, fino al punto da ipotizzare che fosse stato lui - sotto pressione o
minaccia - il primo telefonista: «Non sembra azzardata l’ipotesi che il ‘Pierluigi’
delle prime tre telefonate possa identificarsi nel predetto Magnesio
Pierluigi; l’età del giovane al momento del fatto induce senz’altro a escludere il
suo consapevole e volontario coinvolgimento nel sequestro; e tuttavia, ove il
‘telefonista’ Pierluigi si identificasse nel Magnesio, dovrebbe inferirsi che questi
fosse stato contattato dai sequestratori e indotto, verosimilmente con minacce, a
effettuare le prime telefonate in funzione di depistaggio. Ove così fosse, ancora
oggi il Magnesio potrebbe fornire utilissimi elementi per l’identificazione dei
sequestratori. Appare pertanto utile, se non necessario, approfondire l’indagine
sul punto».

Corrado Augias in Rai, sul caso Orlandi-Gregori

La telefonata in tv: «Se parlo mi ammazzano»


Auspicio rimasto lettera morta, però: nell'inchiesta successiva (2008-2015) gli
investigatori saranno assorbiti dalle verifiche sul ruolo avuto dalla banda della
Magliana (qui "Aliz", il messaggio in codice che dimostra il coinvolgimento del
boss De Pedis) e dal telefonista reo confesso, quel Marco Accetti che
consegnerà il flauto riconosciuto dalla famiglia come quello di Emanuela.
Tornando a Magnesio, lo si può quindi considerare testimone e al tempo
stesso vittima dei fatti? Questo fu lo scenario tratteggiato nelle primissime

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indagini. Ipotesi rafforzata, peraltro, da quanto successo in diretta tv il 27 ottobre


1987, quando a "Telefono giallo" arrivò una telefonata: «Buona sera, sono
Pierluigi. Se parlo, mi ammazzano». Gelo in studio. Corrado Augias sulle
spine. Si trattava di Magnesio? Secondo i successivi approfondimenti della
Procura di Roma sì, era proprio l’amico di Emanuela. Nuove e angoscianti
domande: perché il compagno di scuola finì in pericolo? Che genere
di intimidazioni subì e da chi? E ancora: il suo trasferimento all'estero, in un
Paese non rivelato, ha avuto a che fare con l'essere stato "intercettato" dal
sequestro Orlandi?

La commissione parlamentare
Dubbi, misteri, nuovi spunti. Domani 6 giugno si torna a parlare del caso
Orlandi-Gregori al Senato, a proposito del varo della commissione
parlamentare d'inchiesta, messo in discussione dai partiti della maggioranza
dopo i recenti attacchi del fratello a Giovanni Paolo II, che hanno provocato
anche la replica di papa Francesco. L'esito della nuova fase di ricerca della verità,
dal punto di vista politico, appare quindi molto più in bilico rispetto a due mesi
fa, quando la Camera votò il disegno di legge in prima battuta, all'unanimità. Ma
un dato è certo: sono tante, troppe le coincidenze che via via affiorano in questo
torbido intrigo, a pochi giorni dal 40°anniversario del mancato ritorno a casa di
Emanuela. (fperonaci@rcs.it)

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05 giugno 2023 (

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