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Callimaco

T. 13 (V) Per i lavacri Composto in distici elegiaci e in dialetto dorico letterario, l’Inno V si immagina can-
di Pallade tato in occasione della festa celebrata ogni anno ad Argo in onore di Pallade, nel
corso della quale la statua della dea è trasportata su un carro a bagnarsi nelle acque
del fiume Inaco. Il carme ha un andamento mimetico conferitogli dai discorsi diretti
pronunciati dai partecipanti alla cerimonia. La voce narrante è quella di un bandito-
re sacro, che dà indicazioni alle donne sulle modalità di compimento del rito.
La descrizione dei preparativi per il bagno ha il suo motivo centrale nell’atteg-
giamento austero di Atena, che respinge da sé le tentazioni della frivolezza,
incompatibili con il carattere guerriero della dea, di cui vengono accennate le
imprese belliche. In questo contesto si colloca anche il rifiuto dei profumi e dello
specchio, che sono armi subdole della civetteria di Afrodite.
La presenza della statua della dea comporta una vera e propria epifania divina
e nessun occhio maschile può posarsi sul simulacro nel momento dell’abluzione
rituale: il banditore ricorda a tal proposito che al popolo di Argo è vietato per
quel giorno di attingere alle acque del fiume e a questo si aggiunge il divieto di
guardare le fattezze della dea durante il bagno.
La parte narrativa dell’inno propone come monito l’esempio di Tiresia, figlio del-
la ninfa Cariclo prediletta da Atena: secondo una versione rara del mito, egli si
trovò nei pressi della fonte dell’Ippocrene nel momento in cui la madre e Atena
stavano facendo il bagno e vide la nudità della dea. Immediatamente perse la
vista, e alle rimostranze di Cariclo, Atena chiarisce che l’accecamento di Tiresia,
imputabile a leggi divine immutabili, avrà come compenso e risarcimento i doni
della dea: la profezia, una vita lunghissima e la persistenza delle facoltà cono-
scitive anche dopo la morte.

Voi che versate il lavacro di Pallade, uscite tutte,


uscite: or ora il nitrito delle cavalle
sacre ho udito, e la dea è pronta a venire1.
CEALLIMACO
SIODO

1. la dea è pronta a venire: l’occasione immaginata è una processione rituale della statua di
Atena argiva: la statua viene portata fino alla riva del fiume Inaco, dove viene spogliata, poi
lavata, unta di profumi e rivestita.
2 CALLIMACO
Accorrete, o bionde Pelasghe, accorrete.
5 Atena mai ha lavato le grandi braccia,
prima di strigliare i fianchi delle cavalle:
neanche quando insozzate di sangue tutte recava
le armi tornando dagli empi figli della terra2,
ma prima dal carro il collo delle cavalle
10 sciolse, e lavò nelle correnti di Oceano
il sudore e le macchie, e nettò tutta
la schiuma rappresa dalle bocche che morsero il freno.
Su, andate, Achee, e non profumi né alabastri a Pallade
– sento il suono dell’asse del carro nei mozzi! –
15 non profumi, voi pel lavacro, né alabastri
– perché non ama Atena i misti unguenti –
recate né uno specchio: sempre bello è il suo viso.
Anche quando il Frigio3 giudicò la contesa sull’Ida,
non nell’oricalco4 la grande dea, né del Simoenta5
20 mirò nel lucido vortice.
Ed Hera nemmeno. Cipride invece prese un bronzo splendente
e spesso la stessa ciocca due volte acconciò.
Ma quella, dopo duplice corsa di sessanta doppi stadi,
come presso l’Eurota i Lacedemoni
25 astri6, con arte esperta si massaggiò usando semplici
unguenti, stirpe del suo stesso virgulto7,
o fanciulle, e il rossore salì al viso, quale di precoce
rosa o di chicco di melograno è il colore.
Perciò anche ora portate solo un po’ di olio maschio8
30 con cui Castore, con cui anche Eracle si unge.
E recatele un pettine tutto d’oro, così che all’ingiù la chioma
ravvii, nettando le ciocche lucenti.
Esci, Atena: ti attende la schiera gradita,
le vergini figlie dei grandi Arestoridi9.
35 Atena, ecco si porta anche di Diomede lo scudo,
secondo il costume che agli Argivi antichi
Eumede insegnò, tuo sacerdote amato.
Egli una volta, inteso che a lui complotto di morte

2. gli empi figli della terra: i Giganti.


3. il Frigio: Paride.
4. oricalco: leggendario metallo prezioso (qui uno specchio di oricalco).
5. Simoenta: il fiume che scorre nel territorio di Troia.
6. Lacedemoni astri: i Dioscuri (Castore e Polluce), spesso immaginati come astri.
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7. virgulto: l’olio, prodotto dall’olivo offerto in dono da Atena all’Attica nella contesa con Posi-
done per il possesso della regione.
8. olio maschio: quello tratto dall’olivo selvatico. Eracle è poi citato in quanto patrono dei giochi
di Olimpia, nei quali aveva introdotto l’olivo selvatico.
9. Arestoridi: Arestore era genero del dio fluviale Inaco, e padre di Argo. Qui gli Arestoridi sono
in generale gli Argivi.
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il popolo tramava, in fuga la tua immagine sacra
40 con sé portando andò, e abitò il monte Kreion,
il monte Kreion. E te, dea, collocò tra rocce
scoscese, che ora son dette Pallatidi.
Esci, Atena, distruttrice di città, dall’aureo cimiero,
tu che gioisci del frastuono di scudi e cavalli.
45 Oggi, acquaiole, non attingete. Oggi, Argivi,
bevete alle fonti, non al fiume.
Oggi, voi serve, le brocche a Fisadea
o ad Amimone10, figlia di Danao, portate.
Sì, perché mescendo le acque ad oro ed a fiori
50 giungerà Inaco dagli almi monti
ad Atena portando bello il lavacro. Ma tu, uomo Pelasgo,
bada: di non veder la regina, pur senza volerlo!
Chi vedesse nuda Pallade, la protettrice della città,
guarderà alla sua Argo per l’ultima volta.
55 Atena, sovrana, esci! Io nel frattempo una storia
a questo dirò. Non è mio il racconto, l’ho appreso da altri.
Fanciulle, a Tebe Atena un tempo una ninfa
moltissimo ebbe cara tra le compagne,
di Tiresia la madre. Mai la lasciava:
60 anche quando all’antica Tespie
(...) o ad Aliarto guidava
le cavalle, attraversando i campi dei Beoti,
o a Coronea, dove sacro a lei un boschetto odoroso
e altari son presso il fiume Kourálios11,
65 spesso la dea la portò sul carro.
E i sussurri delle ninfe ed i cori
non le erano grati se non li guidava Cariclò.
Ma molte lacrime la attendevano,
lei che pure era compagna cara di Atena.
70 Un giorno infatti, sciolte le spille dei pepli,
presso la fonte del cavallo12, Eliconia dalle belle correnti,
facevano il bagno. La calma del meriggio regnava sul monte.
Entrambe facevano il bagno, ed era l’ora del meriggio,
e grande calma regnava su quel monte.
75 Ma ancora Tiresia solo coi cani, la guancia appena da barba
scurita, si aggirava per il luogo sacro.
Mosso da sete indicibile giunse alle acque della fonte,
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10. a Fisadea o ad Amimone: Physadeia ed Amymone erano due delle principali fonti del territorio
di Argo, che traevano il nome da due figlie di Danao.
11. il fiume Kourálios: Tespie, Aliarto e Coronea (presso il fiume Kourálios) sono località della
Beozia occidentale.
12. la fonte del cavallo: Ippocrene (chiamata «la fonte del cavallo», perché scaturita dal colpo di
zoccolo di Pegaso), presso la vetta dell’Elicona.
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sciagurato, e, senza volerlo, vide la proibita visione.
E a lui, benché adirata, così parlò Atena:
80 «Figlio di Eueres, che non più gli occhi avrai indietro!,
qual demone ti ha condotto per la dura via?»
Disse, e la notte prese gli occhi al fanciullo.
Lì rimase, senza parola: bloccò l’angoscia
le gambe e la disperazione la voce frenò.
85 Ma la ninfa gridò: «Che hai fatto a mio figlio,
Signora? è questa di voi dee l’amicizia?
Hai preso gli occhi al mio fanciullo. Sciagurato ragazzo,
hai visto il petto e i fianchi di Atena,
ma non vedrai più il sole! Ah, me sventurata,
90 ah monte, ah Elicona, che mai più accosterò,
molto hai preteso in cambio di poco! Hai perso dei cervi
e pochi caprioli ma hai di mio figlio le luci».
E la madre, con entrambe le braccia il figlio stringendo,
il cordoglio dei lamentosi usignoli13
95 levava con profondi gemiti. Ebbe pietà della compagna la dea,
e tale parola Atena le disse:
«Divina donna, rimedita ancora quanto per l’ira
tu hai detto: non io ho reso cieco tuo figlio!
Non è cosa dolce per Atena di fanciulli gli occhi
100 rapire. Ma così dicono le leggi di Kronos:
chiunque, se non lo scelga il dio stesso, un immortale
guardi, a gran prezzo paga tale visione.
Divina donna, non si può revocare questo
atto. Le Moire così hanno filato lo stame,
105 fin da quando lo generasti. Ricevi ora,
o figlio di Eueres, la ricompensa dovuta.
Quante vittime sull’altare brucerà in futuro la figlia di Cadmo,
e quante Aristeo, in preghiera per l’unico
figlio, il giovane Atteone. Finanche cieco vorranno vederlo14!

13. lamentosi usignoli: il canto dell’usignolo era sentito come espressione di dolore materno, dalla
leggenda di Tereo, il cui figlio Iti fu per gelosia ucciso dalla madre, poi trasformata in usignolo.
14. vorranno vederlo: «La storia di Atteone, figlio di Autonoe (“la figlia di Cadmo”), trasformato
in cervo e divorato dai propri cani, è utilizzata alla stregua di exemplum mitico per consolare
Cariclò; ma, con un trattamento dei livelli cronologici che la poesia ellenistica aveva ereditato
dalla lirica narrativa arcaica, l’evento mitico è collocato nel futuro rispetto al livello dell’evento
narrato. [...] Che la colpa di Atteone consista nell’aver veduto Artemide al bagno è attestato per
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la prima volta qui: in altre fonti arcaiche l’eroe è invece colpevole di essersi vantato miglior
cacciatore di Artemide, di aver tentato di violentarla, o di essersi reso rivale di Zeus volendo
sposare Semele. La cecità di Tiresia è invece connessa alla visione di Atena già dal logografo
attico Ferecide (V sec.). È difficile dire se uno dei due miti sia stato modellato sull’altro (rispet-
tivamente da Ferecide o da Callimaco): dato lo stile della narrazione mi sembra tutto sommato
improbabile che qui Callimaco stia inventando un nuovo mito» (G.B. D’Alessio).
CALLIMACO 5
110 Lui anche compagno di corse della grande Artemide
sarà. Ma non lo salveranno allora le corse e sui monti
in comune la caccia con l’arco,
quando, pur senza volerlo, vedrà i graziosi lavacri
della dea: le cagne stesse del loro padrone
115 allora faranno banchetto. E l’ossa del figlio la madre
di rovo in rovo andrà raccogliendo.
“Beata – dirà – e fortunatissima fosti,
perché a te cieco è tornato dai monti il fanciullo”.
Compagna mia, lascia dunque i lamenti. Costui, in grazia tua,
120 da molti altri doni otterrà:
lo renderò indovino, ai posteri celebre in canto,
in vero di molto sugli altri eccellente.
Conoscerà gli uccelli, sono propizi, di quali il volo
è infruttuoso, e di quali infauste sono le ali.
125 Ed ai Beoti molti oracoli, e molti a Cadmo
vaticinerà, e più tardi ai grandi Labdacidi15.
Gli darò anche un grande bastone, che bene i piedi gli guidi;
gli darò termine di vita longevo,
e lui solo, quando morrà, cosciente tra i morti
130 andrà, onorato dal potente Conduttore di popoli».
Così disse e col capo accennò. È efficace il cenno
di Pallade: ad Atena sola Zeus tra le figlie
ha concesso di avere tutti i poteri del padre.
Voi che versate il lavacro, nessuna madre ha generato la dea
135 ma la testa di Zeus, e la testa di Zeus non accenna
il falso (...) la figlia.
Adesso Atena arriva davvero. Orsù, accogliete
la dea, voi fanciulle che avete tale incombenza,
con grida pie, e preghiere ed urla di gioia.
140 Salve, dea, e ti sia cara Argo Inachia.
Salve, tu che esci col carro. Possa indietro tu ancora guidare
le tue cavalle. Proteggi dei Danai16 l’intero dominio.
[Tr. di G.B. D’Alessio]
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15. i grandi Labdacidi: Laio ed Edipo.


16. Danai: qui sta per Argivi.
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Analisi del testo


Per operare questa mimesi letteraria dell’antico rituale relazione fra le due sfere, qui simboleggiata dalla sor-
argivo, Callimaco – come sottolinea Marco Fantuzzi – ha te di Tiresia che dapprima, per aver visto senza volere
ricreato forme della lirica cultuale arcaica al cui inter- Atena nuda al bagno, è privato della vista, ma poi,
no moduli come l’attacco in imperativo, l’invocazione a consolazione di sua madre Cariclò, viene risarcito
dell’epifania divina, il dualismo fra poeta come maestro dalla dea col dono della profezia.
di cerimonia e coreuti come esecutori dell’azione ritua- Una favola patetica (aperta proprio con «una vol-
le, e più in generale il tenore espressivo di tipo «prag- ta...», ποκα al v. 57) dove coinvolgimento emotivo
matico», rappresentavano convenzioni riconosciute del e distacco ironico, brusca semplicità di modi (come
genere. nella veemente protesta di Cariclò) e ammiccamenti
In questa prospettiva la zona narrativa, quella che eruditi, vigore narrativo e indugi digressivi (ad es. il
occupa il nocciolo del carme (vv. 57-136), tende a richiamo alla sorte comparabile di Atteone) si alter-
recuperare l’antica funzione di esempio didattico in- nano e si compensano in una miscela di effetti e di
tegrato nell’obiettivo del rito: quello di rendere onore registri espressivi che richiedono al lettore una non
alla divinità celebrata anche col ribadire i confini che meno variegata risposta estetica.
separano uomini e dèi e col sottolineare l’ambivalente
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