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Editing: Keja Galli

Lettura finale: Francesca Ancarani, Lisa Ci, Erica Baronti, Cristina Rotoloni
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È vietata la riproduzione, anche parziale, di ogni forma o mezzo, senza
espresso permesso scritto dall’autore. Le richieste per l’utilizzo del presente
romanzo o di parte di esso devono essere inviate a:
emanuelaporta@me.com

Questo libro è un’opera di fantasia. I nomi, i personaggi, i luoghi e gli


eventi descritti sono frutto dell’immaginazione dell’autrice, oppure sono
stati usati in modo fittizio. Ogni riferimento a cose, persone o fatti
realmente accaduti è puramente casuale ai fini della narrazione.
A Marco e Giorgia.

Alla mia famiglia.

A tutti coloro che


credono nei sogni
e lottano per realizzarli.
Non è poi così scontato.
“Non ci siamo mai dedicati
Dedicati le, le canzoni giuste
Forse perché di noi
Non ne parla mai nessuno
Non ci siamo mai detti le parole
Non ci siamo mai detti le parole giuste
Neanche per sbaglio
Neanche per sbaglio in silenzio”

Se piovesse il tuo nome, Elisa e Calcutta

“Sappi che sceglierei te, sceglierei te mille volte, che fosse


per me sarei già lì ad abbracciarti per tutta la notte, o tutta la
vita.”
(Charles Bukowski)
“Come tutte le droghe forti, il vero primo amore è
interessante solo per coloro che ne sono prigionieri.
E, come per tutte le droghe forti e che danno assuefazione,
il vero primo amore è pericoloso.”

Stephen King, La sfera del buio


1

EMMA

Rimaniamo così, abbracciati nel silenzio più timido di questo


universo costruito soltanto per noi. Ogni cosa diventa perfetta,
i brutti ricordi scompaiono, il male nutrito per tutto questo
tempo non esiste più. Siamo liberi, siamo insieme. Due anime
gemelle che non vogliono mai più perdersi per strada.
Lui ha un’aria calma, serena. È bellissimo vederlo così,
senza quei dannati demoni che sono parte di lui e che tanto lo
tormentano. Che, malgrado tutto, sono diventati anche i miei.
Il suo sguardo mi sa leggere dentro. Sappiamo entrambi che
ai suoi occhi sono incapace di mentire. Quegli stessi occhi che
ora mi stanno dicendo quanto ha bisogno di me. Anch’io ne ho
bisogno, come l’aria che respiro.
La sua mano mi accarezza la guancia, il volto sempre più
vicino al mio; finalmente le sue labbra mi sfiorano, mi
confondono. Pensavo non fossimo destinati a questa vita
insieme, ma forse mi sbagliavo.
Non ricordo quanto tempo abbia trascorso lontana da lui,
mi sembra un’eternità.

Maledizione, il campanello! Non ci credo…


Proprio nel bel mezzo di un sogno che desideravo fare da
secoli. Scatto in piedi, trafelata e un po' confusa. Guardo
l’orologio, sono appena le otto e quarantacinque. Chi diavolo è
a quest’ora del mattino e, soprattutto, il giorno del mio
compleanno?
Non connetto ancora come si deve, ma credo di sapere chi
stia scampanellando con questa insistenza. Assonnata e immersa
nel mio mondo, mi trascino verso la porta per andare ad aprire.
Mi dovrei sentire abbastanza ridicola con addosso il pigiama
dell’Incantevole Creamy, ma chi se ne frega.
«Chi è?» chiedo, rispondendo al citofono.
«Tanti auguri a te, tanti auguri a te. Tanti auguri, cara Emma,
tanti auguri a te!» È Claudia, la mia migliore amica.
«Grazie! Sei una matta, lo sai? Sali!» Aveva promesso che
oggi mi avrebbe portato la colazione per farmi gli auguri, ed
eccola qui. Siamo entrambe in ferie, per fortuna, e abbiamo in
programma una giornata memorabile.
Lei è una delle poche costanti della mia vita. La nostra
amicizia è nata qualche anno fa al lavoro. Ci siamo trovate subito
in sintonia e da allora non ci siamo più separate. Non so davvero
cosa combinerei senza Claudia, se non ci fosse lei in mezzo a
tutto questo casino che mi circonda da molto tempo, mi sarei
persa di sicuro.
Sale le scale e arriva in un attimo. Tiene in mano un sacchetto
color paglia, che mi auguro contenga dei cornetti appena sfornati
e due enormi cappuccini fumanti. La esorto a entrare.
«Tanti auguri, buon compleanno!» Sembra appena uscita da
un catalogo di moda. È super abbronzata, ama l’estate e il caldo
e, al contrario di me, le piace stare sdraiata a crogiolarsi al sole
per ore, anche soltanto nel giardino di casa sua. Questa
invidiabile tintarella è frutto del suo ultimo viaggio a Santorini,
dal quale è tornata poco meno di un mese fa. Sono stati soltanto
dieci giorni, ma mi è mancata moltissimo. «Stavi ancora
dormendo?» Per lei, dormire fino a tardi è inconcepibile. Per lei,
il mattino ha l’oro in bocca. Io, quando posso, invece, adoro
restare a letto senza far nulla.
«Sì, in fondo è il mio compleanno, ho tutto il diritto di
prendermela con comodo. E poi, non devo prepararmi neppure
il caffè. Siediti, facciamo colazione.» Afferro con avidità il
sacchetto, mentre la mia amica posa sul tavolo i due bicchieri
fumanti. Mi è venuta fame in un attimo.
«Tete? Scommetto che dorme ancora.» Tamburella sul tavolo
con le dita, le unghie appena fatte di un meraviglioso color
corallo.
«Sì, è nella sua cameretta.» Sbadiglio e bevo un sorso di
cappuccino. «Credo nemmeno tu sia riuscita a svegliarla con
quel dannato campanello: ieri sera era distrutta, ha giocato come
una matta per la maggior parte del pomeriggio dai miei,
correndo dietro a Zeus. Quel cane si farebbe fare qualsiasi cosa.»
Sono una ragazza madre, attualmente single. Mi rendo conto
che le parole madre e single nella stessa frase non stiano affatto
bene, ma sto cercando in ogni modo di conciliare queste due
condizioni, consapevole delle mille difficoltà che ogni giorno mi
tocca affrontare.
I primi tempi sono stati durissimi. Dover crescere una figlia
da sola è stato un vero e proprio trauma. Dalla mia, ho da sempre
due guerrieri che mi coprono le spalle e valgono per un intero
esercito: i miei genitori. Inutile dire che, a parte lo shock di
diventare nonni così presto, i mille dubbi, le incazzature e le
litigate, sono pazzi di lei. Senza di loro, non sarei mai riuscita ad
affrontare questa situazione da sola. Mi hanno supportata in ogni
momento di difficoltà, aiutandomi a crescere questa bambina
meravigliosa.
Ho già detto che la mia vita è un casino?
«Sembra un angelo quando dorme. È sempre più bella.
Quell’idiota del padre non sa cosa si perde» dice Claudia,
tornando dalla sua cameretta. Poi, si accorge di aver esagerato.
«Scusa, cambio subito argomento. Allora, quali sono i piani di
oggi? Come preferiresti trascorrere questa bella giornata?»
Affonda i denti nella brioche. «Mmh, è troppo buona!»
«Indossi le infradito e dal tuo vestito spunta una spallina
fucsia. Vediamo se indovino… piscina?» Bevo un altro sorso di
cappuccino, divertita della sua espressione. «C’è anche
Tommy?» Le faccio l’occhiolino e la osservo. Ha un fisico da
modella. Non è troppo vanitosa, ma le piace mostrarsi sempre al
meglio, perché la fa sentire bene. Non sono mai a disagio
insieme a lei, anche se devo ammettere che è impossibile non
notarla.
«No, frena. Hai ragione, pensavo di andare in piscina, ma
questa giornata è solo per noi. È una mattinata meravigliosa e
Tommy ci andrà con i suoi amici, ma oggi è il tuo compleanno
e decidi tu. Quindi, forza!»
Ho davvero voglia di passare una bella giornata tutti insieme.
Oggi è la mia festa e sono al settimo cielo e se è felice anche lei,
tanto meglio. E poi Tete adora stare a mollo nell’acqua e i corsi
di nuoto stanno dando i loro frutti.
«Non abbiamo fretta. Prima devi aprire il mio regalo.» I suoi
occhi scuri brillano di gioia mentre estrae dalla borsa un
delizioso pacchetto.
Mi illumino anch’io perché, nemmeno a dirlo, conosco già il
suo contenuto.
La nostra amicizia è nata da un’enorme passione comune: la
lettura. Abbiamo iniziato così a conoscerci meglio, parlando dei
nostri romanzi del cuore, scambiandoci consigli e nuovi testi da
poter recensire insieme. Ancora oggi, è nostra abitudine farlo.
La tradizione vuole che a ogni compleanno ci regaliamo un
libro. È un rituale ormai consolidato e sono certa lo sarà ancora
per moltissimo tempo.
«Buon compleanno, amica mia, con tutto il cuore.»
Scarto in fretta quella confezione deliziosa, quasi con avidità.
Guardo il titolo e la abbraccio più forte che posso.
«Grazie! Era proprio…»
«Quello che volevi. Lo so. Ti avrei preso una nuova uscita,
ma non fai che parlare di questa saga, de La Torre Nera e de La
sfera del buio. Ne ho quasi la nausea, a essere sincera. So bene
quanto ti piaccia King, ma non mi spiego davvero cosa ci trovi
di così bello. Non mi permetterei mai di sminuire un mito
vivente, ma ti prego: leggi qualcosa di diverso, qualche volta.
Fallo per me.»
«Sì, lo so, non è proprio il tuo genere. Ma La Torre Nera è la
saga più bella di tutti i tempi.»
«Non volevo nemmeno prendertelo. So bene quanto ti
appassiona leggere i suoi libri e ne conosco anche il motivo.
Quest’autore riesce sempre a riaprire vecchie ferite. Ricordi quel
libro che ti aveva regalato? Credi abbia già letto anche questo?»
Claudia cerca di provocarmi, forse per riuscire a capire una volta
per tutte cosa mi passa per la testa.
«L’ho sognato, sai? Christian. Questa mattina. Poi hai
suonato il campanello e mi sono svegliata. È stato così reale, così
vicino. Mi è sembrato quasi di poterlo toccare. È stato
meraviglioso.»
«Lo hai sognato? Dopo tutto questo tempo? Ti ha spezzato il
cuore e tu lo sogni… Toglitelo dalla testa, ti ha già incasinato
abbastanza la vita.»
Non parliamo spesso di lui, a dire il vero quasi mai. Lei lo
detesta, pur non conoscendolo affatto: è arrivata nel momento in
cui avevo bisogno di qualcuno che mi raccogliesse da terra,
ridotta in mille pezzi e abbandonata. Ero sola, smarrita e
sanguinante e lei ha riattaccato con la colla i cocci ormai
sbeccati, ricucito con pazienza ogni ferita, guarito i lividi; grazie
a questa amica così speciale ho ricominciato a vivere e a volermi
di nuovo bene. Non la ringrazierò mai abbastanza. Per questo lo
disapprova completamente e gli riserva sempre i suoi insulti
migliori, ma ormai ne sono insensibile, ci sono abituata.
Lui è sparito dal mio mondo da tantissimo tempo e mi manca
ancora come l’aria che respiro.
«Che cosa dovrei fare? Scusarmi perché l’ho sognato? È
successo, e allora? Lui non è qui e non tornerà. Sono andata
avanti. Hai ragione, mi ha strappato il cuore dal petto e lo ha
buttato per terra, ma ora è tutto passato. Quanti anni sono
trascorsi? Mille?»
«No, Emma. Solo cinque, da quando ti ho vista piangere per
quello stronzo la prima volta. Ti ha uccisa con il suo egoismo e
ancora non sei riuscita a venirne fuori, e non fare finta di niente.
Sei maledettamente infelice. E la colpa è soltanto sua. Non posso
fare a meno di infuriarmi, ti voglio troppo bene per vederti
ancora soffrire così. Mi spaventa il fatto che possa accadere di
nuovo.»
Le sue parole mi pugnalano e mi mortificano, ma sono stufa
di questi discorsi. Non me la sento proprio di ribattere.
«Mi dispiace… forse non avrei dovuto. Non parliamone più.
Oggi è la tua giornata. Vai a cambiarti, aspettiamo che si svegli
Tete e andiamo in piscina.»
In quel momento, una tenera vocina frena ogni mio pensiero.
«Mamma?»
Mi volto verso la mia piccola, rivolgendole un sorriso carico
d’amore, poi torno su Claudia. «Dai, zia, andiamo a preparare
Tete e godiamoci questa bella giornata.»
Devo andare avanti, lo so benissimo. Ci sto provando con
tutta la forza che ho in corpo.
Se solo non lo avessi sognato…
2

EMMA

Dico a me stessa di lasciarmi andare almeno per oggi e di


pensare soltanto a divertirmi.
Fanculo. Fanculo a lui e al mio sogno del cazzo. Oggi voglio
stare bene. In fondo, me lo merito.
Raggiungiamo Tommy e gli altri, non è difficile trovarli. Ci
sono cresciuta in questo posto: è qui che ho passato moltissimi
week-end delle mie estati da adolescente, i venerdì sera a ballare
e fare il bagno con tutta la compagnia, quando nessuno di noi si
poteva permettere le vacanze al mare e cercavamo l’alternativa
più simile.
Ora che sono mamma, lo frequento ancora molto spesso: mia
figlia lo adora e ormai conosce i miei amici. Sono sempre stati
meravigliosi con lei. Non avrà un papà, ma di sicuro ha
tantissimi zii. Del resto, è impossibile non volerle bene.
«Buon compleanno, Emma!» urlano all’unisono appena li
raggiungo. «E tu vieni qui, pasticcina.»
I ragazzi riempiono Tete di baci e la aiutano a sistemarsi, le
tolgono lo zainetto dalle spalle e stendono il telo di spugna sul
prato. La viziano in tutto e per tutto e lei sa bene che da loro può
ottenere qualsiasi cosa. In meno di due minuti è già in costume
e si spalma la crema solare.
«Grazie, amici, siete speciali.» Sistemo per terra il mio
asciugamano. «Dove sono gli altri?»
«Stanno giocando a beach… A proposito, Claudia… è andato
anche Tommy» risponde Ale.
Lei posa la borsa e in un batter d’occhio corre da lui. Non si
è nemmeno cambiata, tanta è la voglia di vederlo. È davvero
cotta, e lui di lei. Non potrebbe esserci coppia migliore.
Ale mi si avvicina. Ci conosciamo da molto tempo ed è un
bel tipo, devo ammettere che mi è sempre piaciuto. È una
persona vera, di quelle che si mostrano per quello che sono,
prendere o lasciare.
«Allora, come stai? Sei pronta per questa sera? So che Edo ti
porta fuori a cena, ed era ora! Sei contenta?» Ci si potrebbe
facilmente innamorare di lui, con quegli occhi azzurri come il
cielo e quell’aria da spaccone stampata sulla faccia che piace
tanto alle ragazze.
«Cazzo, Ale, non avete proprio segreti!» Sbuffo. Ammetto
che tutte queste domande un pochino mi irritano.
«Che vuoi che ti dica? È il mio fratellone, dai, come potrei
non saperlo? Ricorda che sono stato io a convincerlo a chiederti
di uscire.» Ridacchia.
Già, Edoardo… Ho un appuntamento con lui questa sera. Non
accadeva dalla notte dei tempi. Ho deciso di dargli una
possibilità. È così diverso da Ale, il più furbetto e il più giovane
dei due, che ora è nella fase solo divertimento e niente
preoccupazioni. Edo è decisamente più tranquillo. Ci siamo
conosciuti tramite amici comuni e ci siamo piaciuti subito. Non
è la prima volta che mi invita a uscire, ma finalmente ho trovato
il coraggio di buttarmi. Al diavolo le mie stupide paure!
Nascondo a fatica di essere emozionata come una ragazzina.
«Mi ha detto che oggi non verrà…» ribatto, mentre mi spalmo
la protezione.
«No, lavora; è troppo sfigato per essere in ferie la settimana
dopo Ferragosto. Mi ha chiesto di salutarti, in caso tu ci fossi
stata. Immagino vi siate già sentiti, no?» Si diverte moltissimo a
prendersi gioco di me.
«Sì, infatti. Tuo fratello è molto dolce, al contrario di te. Mi
ha mandato un messaggio di auguri davvero carino. Passa a
prendermi più tardi per andare a cena. E per rispondere alla tua
domanda, impiccione che non sei altro, sono felice che mi abbia
invitata. È una situazione un po’ complicata, lo ammetto. Mi fa
piacere che a lui non pesi.»
Trovo strano avere un appuntamento in piena regola, ma ho
voglia di uscire con qualcuno, di lasciarmi andare e, magari,
innamorarmi di nuovo. Tuttavia, avere una figlia e frequentare
un ragazzo che non è suo padre è un casino. Devo andarci con i
piedi di piombo. Sento di dover proteggere la mia bambina. Non
posso di certo presentarle il primo che capita. Se mai avrò un
compagno, dovrà essere degno di lei, prima di ogni altra cosa.
Dopo suo padre, quasi tutte le mie storie sono state un disastro
totale, ma credo comunque di avere le carte in regola per vivere
la mia età con spensieratezza e divertirmi con le mie coetanee,
ci posso almeno provare. Forse ho soltanto paura di buttarmi
dentro a questa nuova avventura. Di sicuro, lo scoprirò questa
sera.
«Mamma, andiamo a fare il bagno?» Tete ha già i braccioli
addosso e il suo costumino rosa è in bella vista.
Mi distrae subito dai brutti pensieri, scacciandoli via. «Certo,
amore.» La vedo correre verso l’acqua, con quelle coscette tutte
da mordere. Cosa c’è di più bello che stare con lei?
Trascorro una bellissima giornata con mia figlia, Claudia e i
ragazzi, e il tempo ci sfugge dalle mani. È arrivata l’ora di
andare, devo portare Tete dai miei genitori. Santi nonni! Meno
male che ci sono loro a darmi una mano. È necessario che mi
prepari per la cena e per la serata. Manca qualche ora, ma già
sento l’ansia che mi assale e il cuore che batte forte. Spero di
non fare figuracce.
Raccolgo le mie cose e saluto i ragazzi.
Claudia e io ci dirigiamo verso la macchina felici e piene di
energie, quando all’improvviso Ale mi corre incontro e mi
sussurra all’orecchio: «Edo è fortunato a uscire con te questa
sera, buon divertimento». Mi bacia sulla guancia e scappa via.
«Ti adoro!» gli urlo, mentre si allontana correndo. Senza
rendermene quasi conto, sorrido e mi sento davvero bene.
3

EMMA

Pochi minuti alle venti. Sono agitatissima. All’improvviso,


questo appuntamento mi sembra inopportuno e mi sento come
una ragazzina alle prime armi.
Ormai è fatta, devo solo avere il coraggio di buttarmi una
volta per tutte. In fondo, me lo merito.
Mi sento particolarmente bella con questo vestito giallo che
fa risaltare l’abbronzatura in modo fantastico e mi calza a
pennello. Claudia disapproverebbe senz’altro, ne sono certa,
perché lei è una maniaca dell’outfit perfetto. Io, invece, mi sento
bene così: l’imperfezione è una costante della mia vita e la trovo
addirittura rassicurante. La perfezione mi ha sempre annoiata.
Per questo lo ami ancora.
Per fortuna, il cellulare mi distrae dai miei pensieri folli.

CLAUDIA: Non fare cazzate, mi raccomando. E


divertiti. È un figo. Se te lo fai scappare, sei una
cogliona.

EMMA: Ok, tranquilla. Non temere. Domani ti


racconto. Ti voglio bene.

CLAUDIA: Anche io. Aggiornami il prima


possibile. Divertiti!

Mentre leggo l’ultimo messaggio, suona il campanello.


Edoardo spacca il secondo per quanto è puntuale e ne sono
felice. Odio i ritardatari.
Questo ragazzo mi sta facendo la corte nel modo giusto: è
gentile, paziente e, soprattutto, rispetta i miei tempi. Non c’è una
volta che sia troppo insistente quando mi cerca, ma riesce
comunque a non farmi mai mancare la sua presenza. Dal canto
mio, devo darmi una svegliata se non voglio vederlo sparire nel
nulla. Per quanto indulgente e premuroso, non aspetterà in
eterno.
Scendo le scale, lo trovo sotto casa appoggiato alla sua bella
macchina sportiva, ma devo ammettere che anche alla guida di
un catorcio non passerebbe di certo inosservato. Sarò anche
meno lucida e razionale del solito per colpa dell’ansia, tuttavia
questa sera lo trovo particolarmente sexy. Pelle abbronzata,
camicia bianca a maniche corte, bermuda blu e le sue
immancabili Air Jordan ai piedi: davvero niente male. Mi chiedo
cosa ci faccia con me, ma scaccio subito via questi stupidi
pensieri e mando al diavolo le mie patetiche insicurezze.
«Buonasera, bellezza, e buon compleanno!» Mi abbraccia,
dandomi un bacio sulla guancia. Un bacio piccolo, sussurrato,
dolce. Un ottimo inizio.
«Grazie mille. Allora, come stai? Ho visto tuo fratello oggi,
in piscina. Peccato tu non ci fossi.»
Edo mi informa che è ancora pieno di impegni lavorativi, ma
che manca poco alla fine del tunnel. Da vero gentiluomo, mi
apre la portiera e mi fa salire in macchina.
Ha un sorriso che ti mette subito di buon umore, così solare
che diventa quasi contagioso. Anche i suoi occhi scuri sorridono
in un modo meraviglioso, mentre guida mi lancia poche rapide
occhiate che mi fanno sentire bene, come non capitava da tempo.
Non mi accorgo nemmeno di essere arrivata al ristorante, tanto
sono presa da lui.
La cena non potrebbe essere più piacevole e il cibo migliore:
il vino mi ha senz’altro aiutata a sciogliermi e, chiacchierando,
scopro che abbiamo parecchie cose in comune. Il lavoro, per
esempio: siamo entrambi nello stesso settore e di certo
l’argomento ha aiutato la conversazione a decollare, ma anche
moltissimi interessi. E poi, cosa più importante, la tremenda
voglia di farci sorprendere dalla vita. Lui però ha qualcosa che
gli invidio sul serio: un animo sereno e trasparente. Si capisce
subito che è una persona in pace con sé stessa e con il mondo
intero. Dentro di me, invece, regna il caos totale.
«Hai trascorso una bella giornata?»
«Sì, davvero bella. Questa mattina mi ha svegliata Claudia
portandomi la colazione a casa, poi ho visto i miei amici in
piscina. Tete si è divertita come una matta, sai? E ora questa
bella cena insieme. Un compleanno da ricordare.»
«Mi fa piacere sentirtelo dire. Spero tu sia felice della serata
quanto me. È da moltissimo tempo che spero di conoscerti
meglio.»
«Certo che lo sono. È passato un bel po’ dall’ultimo
appuntamento. Non sono molto fortunata nelle relazioni.»
Bene, l’ho detto. Tanto si sarebbe accorto da solo della mia
totale incapacità di rapportarmi con il genere maschile.
«Mi dispiace. Posso chiederti come mai?»
«Troppe delusioni, forse. Troppe aspettative. Troppi casini.
Ho deciso di riprovarci. Mi manca avere qualcuno accanto.»
«Possiamo fare un tentativo, che ne dici?» Mi stringe la
mano.
«Direi che siamo qui per questo, no?» rispondo timidamente.
«Lo vorrei tanto. Da quando ti conosco, ho sempre visto in te
qualcosa di diverso dalle altre, mi sembri una persona fuori dagli
schemi.»
«Sicuramente qualcosa di diverso c’è. Una figlia, per
esempio? Questo sì, mi rende senz’altro molto particolare.»
Rido, scherzandoci sopra.
«Emma, non è assolutamente un problema. So bene che stai
crescendo una bambina da sola. Ti ammiro e ti rispetto per ciò
che fai e credo di poter capire quali siano le tue priorità. Vedrai
che andrà bene, fidati di me.»
Quasi riesce a convincermi. Sono proprio le parole che
volevo sentirmi dire.
A fine serata, mi riaccompagna a casa e accetta di salire nel
mio appartamento.
«La piccola?» chiede, una volta varcata la soglia.
«Dorme dai miei. Ho bisogno dei miei spazi e, per fortuna, lo
capiscono. Non è così semplice. A volte mi sembra di non
combinare nulla di buono; altre, di essere la mamma migliore
del mondo. Forse ho soltanto bisogno di vivere la mia età.»
«Per questo abiti da sola?» Si guarda intorno, curioso.
«Sì, anche per questo. Grazie al cielo ho un lavoro che non
mi fa mancare nulla e posso vivere come meglio credo. Sarò
grata ai miei in eterno, per tutto l’aiuto che mi stanno dando.»
Sorrido. «Ora basta parlare di loro. Posso offrirti un caffè?»
Cerco di farlo sentire a suo agio.
«No, ti ringrazio. Sto bene così. Siediti qui, accanto a me.»
Lo accontento, ma sento che l’ansia sta tornando.
«Ancora tanti auguri.» Mi accarezza la schiena, poi dalla
tasca dei bermuda tira fuori un sacchettino bianco. Rimango
senza parole.
«Non avresti dovuto. Prima la cena e ora anche un regalo, è
troppo…»
«No che non lo è, l’ho fatto con piacere, credimi. Puoi aprirlo
quando sei sola? Queste cose mi imbarazzano.»
«Certo, anche se sarà molto difficile resistere. Grazie.»
Ci guardiamo intensamente. Sento che stiamo per perderci in
una potente passione e la chimica fra di noi è fortissima. Non è
più tempo di parlare. Ci baciamo prima ancora di rendercene
conto in un modo molto dolce all’inizio, più appassionato
qualche istante dopo. I nostri sguardi sono pieni di intimità e
desiderio. Edo mi bacia il collo e le spalle, sto per perdere il
controllo.
L’istinto sta per chiudere la porta in faccia alla ragione. Mi
afferra i fianchi e mi trascina sopra di lui. Il fuoco mi attraversa
tutto il corpo e questa sensazione mi piace tantissimo. Lo
desidero.
Gli sbottono la camicia e lo bacio sul petto, assaporando con
la lingua il gusto di quella pelle abbronzata. Con delicatezza mi
sfiora il seno e a questo punto perdo completamente la lucidità.
È un momento perfetto. Non potrebbe andare meglio di così.
Non ho alcun motivo di sentire la sua voce, quella voce che
proprio non mi vuole dare tregua, rimbombare nella mia mente.
Sei una bella donna.
All’improvviso, divento un pezzo di ghiaccio. Mi manca il
respiro. Non credo alle mie orecchie e di aver potuto sentire
quelle parole, di poter essermi ricordata così bene quel tono
calmo e vellutato, ma così inquieto al tempo stesso.
Perché non vai via da me? Perché continui a farmi del male?
Non li voglio più i tuoi maledetti demoni, devi lasciarmi in pace.
Così non ce la faccio più!
«Emma, che succede? Non ti senti bene?» Edo si accorge che
qualcosa non va. Studia la mia faccia, la interroga. «Che ti
prende? Ho fatto qualcosa di sbagliato?»
Succede che non ce la faccio, che rovino sempre ogni cosa e
che ho il terrore di non riuscire a provare nulla di ciò che ho
provato con lui.
Per lui.
«Mi… mi dispiace. Davvero. Non te lo so spiegare, era tutto
perfetto, ma io… non so che cosa mi stia succedendo…»
balbetto, quasi non riesco a parlare. Non riesco nemmeno a
giustificarmi. Posso soltanto fissare quegli occhi così intensi che
si scontrano con il mio sguardo colpevole.
«Non devi farlo. Non voglio che ti senti obbligata a fare nulla,
se non sei ancora pronta. Se deve accadere, voglio sia speciale
per entrambi.» Edoardo mi sposta dalle sue ginocchia.
Con dispiacere, leggo sul suo volto la delusione più totale. Mi
sento una stupida. Sono riuscita a ferire anche lui.
Dice di essere confuso, ma al tempo stesso è sicuro che
potrebbe nascere qualcosa di bello fra noi due. Partirà per le ferie
la prossima settimana e starà via per una decina di giorni. Mi
consiglia di approfittare di questo periodo per riflettere e capire
ciò che realmente desidero.
La sua reazione mi sorprende. Resto meravigliata da un
atteggiamento così maturo. Pochi ragazzi in una situazione del
genere si comporterebbero in questo modo.
«Lo farò, ti prometto che lo farò. Scusami» sussurro. Non
capisco se mi sento più mortificata o sollevata. Edo mi dice
arrivederci con un bacio e mi lascia sola con i miei pensieri.
Sono una persona tremenda. Come ho potuto essere così
insensibile? Me lo merito proprio questo casino, non mi stupirei
se non volesse più rivedermi.
Sono talmente arrabbiata con me stessa che mi sento esausta.
Crollo sul divano e avverto di stare mille volte peggio
quando vedo il pacchettino bianco che devo ancora aprire. Lo
scarto, al suo interno c’è un biglietto.

“VORREI LA INDOSSASSI PER ME, MI FARESTI FELICE. TUO,


EDOARDO”.

È una collana d’argento con un piccolo ciondolo a forma di


cuore e una E incisa. Che tesoro.
Mi sento davvero una stupida, ma ormai è andata e non posso
rimediare. Almeno per ora.
Indosso il pigiama e mi infilo sotto le lenzuola. Rimarrò
single a vita, e sarà soltanto a causa mia e di tutte le stronzate
che ho in testa.
Aspettami.
4

EMMA

«Cos’è che hai fatto? Fammi capire, Emma, ripetimelo


ancora una volta… che cazzo hai fatto? Perché non ci voglio
credere.» Claudia è furiosa e non posso darle torto. Ho mandato
tutto a puttane perché ho sentito una voce ronzarmi in testa. Un
appuntamento perfetto con un ragazzo perfetto… Per cosa? Una
voce immaginaria. La sua voce.
«Come sei suscettibile! In fondo, ho evitato di scopare al
primo appuntamento, che male c’è? Dovresti dirmi brava!»
«Falla finita con queste ipocrisie! Lo sappiamo bene che non
si è trattato di scopare, non cercare di prendermi in giro. È un
miracolo se lo rivedi ancora. Dico, ti rendi conto di come ti
comporti? Sembri una matta. La devi smettere, Emma, basta con
queste fesserie.» È proprio arrabbiata. «Adesso ti dico cosa fare
e ascoltami bene: prendi quella cavolo di scatola e buttala via.
Non deve rimanere nemmeno un briciolo di polvere di quello
stronzo indegno. Lo capisci o no che ti sta rovinando la vita?
Sono passati troppi anni. Ti prego, fallo per me, liberati di lui.
Vedrai che dopo ti sentirai meglio e magari ricomincerai a
vivere. Promettilo.»
«Te lo prometto.» Le lacrime mi bagnano il viso. «Devo
dimenticarlo una volta per tutte. Hai ragione tu: non posso
continuare così.» Chiudo la conversazione telefonica e decido di
agire, non posso più aspettare oltre.
Claudia fa riferimento a un contenitore marrone che ho
custodito gelosamente per tutto questo tempo. Non me ne sono
mai separata. Persino quando ho traslocato, non ho permesso a
nessuno di toccare quella scatola così preziosa, fra le decine che
i miei amici si passavano l’uno con l’altro per darmi una mano.
Ricordo di aver lanciato quegli imballi di cartone fra le braccia
di chiunque volesse aiutarmi. Qualsiasi cosa, tranne quella. Era
troppo importante per essere lasciata incustodita, anche solo per
qualche istante.
Non l’ho mai aperta, fino a oggi. È piena di ricordi troppo
dolorosi. Ciò che mi è rimasto di lui è lì dentro. Non so nemmeno
spiegare perché conservo ancora le sue cose, ma quello che sto
per fare l’ho rimandato per troppo tempo.
Prendo coraggio e sollevo il coperchio: non resto sorpresa nel
rivedere ciò che contiene. L’immensa nostalgia che ho di noi mi
travolge come un fiume in piena.
Non c’è molto al suo interno, in realtà, e forse è proprio per
questo che ogni oggetto è così prezioso. C’è un libro, L’ultimo
cavaliere di Stephen King, la nostra più grande passione
comune. Non ho il coraggio di aprirlo, perché mi farebbe troppo
male. Contiene una dedica che scrisse per me e che conosco a
memoria. Ricordo la prima volta che la lessi, non ne avevo
ancora compreso appieno il significato, e non avevo idea di
quanto fosse vero.
Mai una frase sprecata, un complimento, una battuta.
Christian misurava tutto ciò che diceva, mentre io parlavo come
se non ci fosse un domani. Per questo, le sue parole si
conquistarono di diritto la virtù più grande che potessero avere:
la credibilità.
Sotto il libro, ritrovo l’etichetta che strappai da quella tuta che
mi piaceva tanto e che gli stava così bene. Nonostante fosse la
sua preferita, me la prestava spesso. La indossavo quasi sempre
prima di addormentarmi, facendo finta che lui fosse con me.
C’è anche quella maledetta lettera che mi spedì dall’Irlanda.
Le sue parole mi fecero così male che ancora oggi non ho
superato del tutto quell’immenso dolore. Sento gli occhi che
bruciano e altre lacrime che arrivano all’improvviso, troppo
prepotenti per essere trattenute.
Mi rendo conto di singhiozzare, di piangere così forte che
devo costringermi a smettere, se non voglio che mia figlia mi
veda in questo stato. Mi asciugo il viso e prendo quella maledetta
scatola, la chiudo e mi dirigo in fretta verso la porta per scendere
a buttare quei ricordi dolorosi nei bidoni della spazzatura in
strada. Urto il bracciolo del divano, il contenitore finisce per
terra e tutto ciò che vi è all’interno si riversa sul pavimento. La
cosa per me più preziosa si apre a metà: nel vederla, dimentico
subito dove sono diretta. È come se fossi ipnotizzata.
È la mia Smemoranda gialla, datata ’94: ho nostalgia di lei e
delle belle notizie che spesso mi ha portato. Mi mancano i bei
momenti che ancora custodisce fra le sue pagine.
Lo conobbi a metà estate e, poco dopo l’inizio della scuola,
si era appropriato del mio diario, facendolo diventare il suo. Ci
annotava i suoi pensieri e spesso mi dedicava delle lettere
d’amore. Ogni tanto me lo restituiva perché potessi leggerlo, con
la pretesa di riaverlo indietro il più presto possibile. Di sovente
anche io scrivevo per lui. Quella corrispondenza epistolare così
esclusiva metteva a nudo i nostri sentimenti, facendoci sentire
ancora più intimi. Non esistevano segreti fra quelle pagine,
nessun timore o imbarazzo. Soltanto le nostre anime, prive di
qualsiasi velo.
Quando mi lasciò all’improvviso, rilessi le sue parole fino
allo sfinimento e rinchiusi i miei ricordi in quella scatola,
cercando di dimenticarli per sempre.
È passato tanto tempo da quella volta, ma l’istinto di rivivere
tutto daccapo e di far riaffiorare frammenti di passato ormai
sfocati mi costringe a sedermi, con in mano quel pezzo di vita
consumata, e rileggere tutto, ancora una volta.
5

EMMA

18 Settembre 1994

Ciao, ragazzina,
ci vediamo da venticinque giorni, ormai. Mi fai
stare bene. Per me è una gran cosa, sai? Di solito
sono sempre nervoso o incazzato con il mondo, ma
quando sono con te non mi succede mai. Ti ho
giudicata male, all’inizio, lo ammetto: ti credevo
una stronzetta arrogante e viziata, e invece sto
scoprendo che sei l’esatto opposto.
Ho deciso di usare il tuo diario per un po’ di
tempo, vediamo cosa ne esce fuori. Sono distrutto
questa sera, ma spero di sognarti.

P.S.Oggi eri bellissima con la mia maglietta


addosso.

Notte, C.

Ci conoscemmo verso la metà di luglio, quando lui e il suo


amico Carlo si unirono di punto in bianco alla mia compagnia,
grazie ad amici in comune. Non partimmo proprio con il piede
giusto: all’inizio ci limitavamo a salutarci soltanto per
educazione, non ci parlavamo quasi mai.
Christian si era trasferito in un paesino vicino al mio qualche
mese prima. Veniva da una grande città e se ne vantava ogni
volta che ne aveva l’occasione.
Un pomeriggio di metà agosto, arrivò nella piazzetta del
paese, salutando un po’ tutti, come faceva di solito, e quasi mi
calpestò, mentre scendeva dal motorino. Sulla faccia
un’espressione di sfida, arrogante al limite della decenza. Mi
infastidiva soltanto a guardarlo. Era consapevole della sua
bellezza, non c’era ombra di dubbio. I capelli biondi, lunghi
quasi fino alle spalle e gli occhi verdastri non passavano di certo
inosservati. Non era altissimo, però aveva un fisico asciutto e
ben proporzionato. Gli piaceva essere ammirato, ma al tempo
stesso voleva essere lasciato in pace, non capivo il perché. La
cosa che più mi attraeva era il suo sguardo, che lo faceva
sembrare molto più maturo rispetto alla sua età. Dava
l’impressione di aver già vissuto e visto cose più grandi di lui,
come se avesse bruciato le tappe e, in quella fase della sua vita,
fosse tormentato dagli eventi trascorsi.
«Ehi, guarda cosa fai! Cazzo, mi vuoi investire?» Furono
quelle le prime parole che gli rivolsi, squadrandolo dall’alto in
basso con l’espressione più antipatica che potessi usare. Non lo
sopportavo quando faceva lo sbruffone in quel modo.
Quel suo fare da essere superiore con me non attaccava, non
ero per niente affascinata dalla storia del ragazzo che ci
propinava lezioni di vita soltanto perché arrivava da una grande
città.
«Non ti ho neanche vista. Comunque è una giornata di merda,
non ti ci mettere anche tu.» Acido e antipatico come pochi.
Non mi sopportava, glielo si leggeva in faccia. Meglio così,
perlomeno non ci saremmo dati fastidio per il resto dell’estate.
«Ah, davvero? Quanto mi dispiace! Ognuno ha i suoi
problemi, sai?» risposi incazzata. Chi si credeva di essere?
Stupido arrogante.
«Oh, ma certo. Quali sono i tuoi, sentiamo? Non trovi più la
tua Barbie preferita?» Scosse la testa con aria di sufficienza e,
senza darmi il tempo di ribattere, risalì sul motorino, pronto per
ripartire. Prima di dare gas, però, mi lasciò di stucco. «Ci
vediamo alla festa, ragazzina.»
«Sei uno stronzo!» Divenni paonazza e i miei amici
iniziarono a ridere. Fortuna che era sparito. Se fosse rimasto un
minuto di più lo avrei ricoperto di insulti da capo a piedi.
Quell’idiota mi aveva ricordato all’improvviso degli impegni
di quella sera. Mari, una mia carissima amica, cuore pulsante
della compagnia, stava per dare una festa a casa sua e aveva
invitato un sacco di gente. Si preannunciava una serata epica.
«Perché gli hai detto di venire? Era proprio necessario? Non
capisco perché debba esserci anche lui.» Sbuffai, rivolta alla mia
amica. Non mi sarei di certo lasciata rovinare la serata da quel
maleducato, anzi, lo avrei ignorato per tutto il tempo, fingendo
che non esistesse.
«Perché ormai è uno di noi, e poi mi piace il suo amico Carlo,
mica posso invitare soltanto lui, no? È un ragazzo molto
simpatico, in caso tu non te ne fossi accorta... A proposito, io
vado a casa e inizio a sistemare tutto, ci vediamo alle nove e
mezza. Puntuale, mi raccomando.»
Doveva essere impazzita per trovarlo così simpatico. Va bene
sbavare dietro al suo amico e voler farsi notare, ma non fino a
quel punto.

La festa fu davvero leggendaria, le serate che organizzava


Mari erano imbattibili. Tanto cibo, tanta roba da bere, ottima
musica, gli amici di una vita. C’era anche quello stronzo
arrogante, ma per tutto il tempo non mi rivolse la parola e non
mi guardò nemmeno, nonostante con il vestito che avevo deciso
di indossare non passassi di certo inosservata.
Mi ero divertita a ballare insieme ai miei amici fino a sentirmi
esausta. Stavo per andarmene quando, salutando i ragazzi, mi
accorsi che l’idiota mi stava fissando. Ricambiai, attratta dai
suoi occhi come fossero calamite, senza riuscire a levargli i miei
di dosso.
Oltrepassando il cancello della padrona di casa, continuai a
sentirmi osservata e difatti mi accorsi di averlo dietro di me. Non
era affatto male con quei jeans sgualciti e quella maglietta
bianca. Non eravamo mai stati così vicini, ci guardavamo in un
modo diverso dal solito, quasi senza odiarci.
«Già te ne vai, ragazzina? Favola della buonanotte e poi di
corsa a nanna?» Ridacchiò.
«Vuoi leggermela tu?» Lo stavo provocando, infastidita per
come mi trattava. Incredibile il modo in cui riusciva in un istante
a cambiare le carte in tavola.
«Volevo parlare un po’ con te, ma credo di non avere più il
tempo per farlo.» Il suo tono era calmo, pacato, dolce.
Come ci riusciva?
«Si è fatto molto tardi, avresti dovuto pensarci prima.»
«Non immaginavo avessi ancora il coprifuoco.»
«Sono molto stanca. E poi, non credo sia affar tuo a che ora
devo rientrare.» Era proprio uno stronzo. «Buonanotte, se sei in
giro ci vediamo domani.» Non vedevo l’ora di andarmene a casa.
Quella conversazione non avrebbe portato proprio a nulla ed ero
anche assonnata.
«Emma?» La sua espressione era cambiata completamente,
avevo davanti a me un ragazzo del tutto diverso. «Scusa per
come ti ho trattata oggi. È un periodaccio e ho i nervi a fior di
pelle. Non avrei dovuto. E scusami anche per questa sera: avrei
voluto chiacchierare un po’ con te, conoscerti meglio. Lascia che
ti accompagni a casa.» Era molto carino nel guardarmi in quel
modo.
«Abito poco distante da qui, vado a piedi, ma ti ringrazio.»
«D’accordo, come vuoi tu. Vengo con te, va bene?» insistette.
«Okay.»
Che imbarazzo.
«Bella festa, vero? Te ne sei accorto almeno?»
«A essere sincero, sono stato occupato per la maggior parte
del tempo in una conversazione molto interessante con Sandra.
È una bravissima ragazza e sei fortunata ad avere un’amica come
lei. È stato bello parlarle, dico sul serio. Non credo lei possa dire
la stessa cosa. La prossima volta che cercherò di fare
conversazione, sono sicuro che farà di tutto per evitarmi.» Rise
di gusto. «Comunque, non sono qui per parlare di lei. Piuttosto,
raccontami qualcosa di te.»
«Per esempio?»
«Cosa ci fa una così bella ragazza a una festa del genere da
sola, senza un fidanzato accanto o uno straccio di qualcuno che
la corteggi?»
Che domande sono?
«E tu che ne sai? Scusa, ma che cavolo di idea ti sei fatto di
me? Mi trovi tanto sfigata? Per prima cosa, è stata una festa fra
amici, sai, sono cresciuta insieme a quei ragazzi... Non potrei
mai stare con uno di loro.»
Idiota.
«Poi?»
«Poi non sono cazzi tuoi.»
Razza di arrogante.
«Sei molto bella questa sera. Volevi fare colpo su qualcuno
in particolare?»
«Cosa te lo fa pensare?» Non ero riuscita a fare a meno di
arrossire.
«Dai, stavo solo chiedendo, non ti arrabbiare. Ho avuto
l’impressione che mi guardassi spesso. Perché non ti sei
avvicinata?»
Non capivo se facesse sul serio o si divertisse a prendermi
soltanto in giro. Non mi fidavo di lui. «Non so di cosa tu stia
parlando. Ti sbagli di grosso.» In quel momento, lo vidi chinarsi
e raccogliere qualche fiore di campo.
Rimanemmo in assoluto silenzio. Camminammo senza fretta
lungo la strada sterrata che ci avrebbe portati davanti a casa mia.
Intorno a noi, le luci e i rumori di una bellissima notte d’estate,
le stelle che riempivano il cielo e una luna incredibilmente
brillante a illuminarci la via. Il frinire di qualche grillo che
cantava allegro nella frescura di quelle ore ci riportò alla realtà.
In effetti, non serviva parlare: era tutto perfetto così.
«Abito qui» dissi, indicandogli con un gesto il cancello
d’ingresso.
«Bel posto. Non fare tardi, entra. Buonanotte.»
«Buonanotte.» Mi diressi verso l’ingresso principale quasi
forzando il mio corpo in quella direzione. La sua indifferenza mi
ferì all’istante e mi sforzai di non girarmi indietro per guardarlo
ancora una volta.
«Emma?» Mi voltai verso di lui e la sua improvvisa vicinanza
non mi lasciò di certo indifferente. «Eri la più bella della festa,
questa sera. E non solo questa sera.» Con mio grande stupore,
mi prese la mano e me la baciò, per poi scomparire in fretta dal
mio campo visivo.
Entrai in casa molto confusa. Mi aveva proprio incasinato le
idee e lo avrebbe fatto spesso, da quel momento in poi.
Una volta a letto, i pensieri presero il sopravvento. Per quanto
volessi negarlo a me stessa, quel ragazzo aveva qualcosa che mi
faceva battere il cuore. Mi girai e rigirai fra le lenzuola senza
riuscire a prendere sonno. Non feci che pensare a lui.
Che mi succede?
Fino a qualche giorno prima quasi non esisteva, invece in
quel momento non riuscivo a levarmelo dalla testa. Non
capivo… Perché non dire di più? Perché non provare a baciarmi?
Forse era stato meglio così, forse mi sbagliavo e mi stava solo
prendendo in giro. Ripensai alle sue parole, ai suoi occhi, a
quanto avrei voluto che si avvicinasse a me, invece sembrava
che nemmeno lo volesse. Probabilmente, era soltanto frutto della
mia fantasia. Ero troppo confusa.
Il giorno dopo non si fece vivo. Ero sempre più convinta che
fingesse di essere qualcun altro, forse per paura di esporsi o di
essere giudicato, forse per orgoglio o diffidenza. Sentivo che la
mia antipatia iniziale nei suoi confronti si stava trasformando in
qualcos’altro, ne avevo la controprova ogni volta che notavo la
sua assenza e quasi ne sentivo la mancanza. Mi chiesi dove fosse
finito, lo avrei voluto con me in quelle allegre serate estive.
Sembrava sparito nel nulla.
Dove diavolo ti sei cacciato?
Alcuni giorni dopo la festa, incontrai Sandra. Avrei voluto
farle mille domande e sapere qualcosa in merito a quella lunga
chiacchierata con Christian, ma avevo troppa paura di essere
fraintesa. Per fortuna, fu lei stessa a raccontarmi tutto. Era
bastato complimentarmi con lei per il suo nuovo taglio di capelli
che subito era partita come un fiume in piena, pronunciando il
suo nome, quello che tanto volevo sentirle dire.
«Questo taglio è esagerato! Non per vantarmi, ma non c’è
persona che non mi faccia i complimenti. Pensa: addirittura
Christian, l’altra sera, me lo ha fatto notare. Proprio lui che se ne
frega di queste cose.»
«Ah, sì, ti ho vista. Avete chiacchierato per tutta la festa.
Secondo me ci stava provando…» Ero curiosa di sentire cosa
avrebbe detto.
«Ma chi, lui? Con me?» Rise divertita. «Sì, come no. A parte
l’apprezzamento sui capelli, non mi ha proprio calcolata. Anzi,
ha parlato l’intera serata di una persona soltanto. O, per meglio
dire, io ho dovuto farlo! Monotematico, proprio.»
«Ma di chi?» Non ci capivo più niente.
«Ma sei scema o davvero non ci arrivi? Indovina un po’?
Parlavamo di te. Mi chiedi anche di chi? Ti mangia con gli occhi
da quando è con noi, ce ne siamo accorti tutti.»
«Ma se mi tratta sempre di merda! Mi stava quasi investendo
con il motorino, l’altro giorno. Non hai sentito cosa mi ha detto?
È stato proprio uno stronzo.»
«Sarà, ma alla festa di Mari all’improvviso mi dice: “Parlami
di lei. Parlami di Emma. Ho bisogno di sapere ogni cosa.” Molto
romantico, non trovi?»
Più che romantico, mi parve insensato, dato che non mi aveva
degnata nemmeno di uno sguardo.
«Mi è sembrato molto coinvolto. Credo che tu gli piaccia sul
serio e che dovresti provare a conoscerlo un po’ meglio, è un
tipo a posto. Stareste bene insieme.»
Forse Sandra aveva ragione, dovevo capire cosa provassi per
quel ragazzo perché, in fin dei conti, non mi era del tutto
indifferente. Si era offerto di accompagnarmi a casa e mi aveva
fatto piacere, ma non mi fidavo di lui: c’era qualcosa di strano
nel modo in cui si comportava che non mi convinceva affatto.
Da allora era sparito, e avevo notato la sua assenza. Forse non
volevo ancora ammetterlo, ma in cuor mio sapevo che Christian
cominciava a interessarmi.
“Eri la più bella della festa questa sera, e non solo questa
sera.”
Ero stata da poco mollata dal mio primo amore, mi aveva
scaricata in meno di un minuto per andare a divertirsi. Che cosa
avrei potuto pretendere? In fondo, avevamo soltanto diciassette
anni e l’intera vita davanti. Forse, in quel momento, quel ragazzo
avrebbe potuto essere la giusta distrazione, e magari Sandra
aveva ragione.
Un giorno come tanti, decisi di uscire e mi ritrovai in piazza
con tutta la compagnia. L’estate era quasi finita, le giornate non
erano più così afose e l’aria fresca profumava ancora di grano.
Finalmente era tornato. Lo osservai di nascosto e mi accorsi
che, fino a quel momento, non lo avevo mai guardato con la
dovuta attenzione. I capelli, per esempio… non mi ero mai
accorta di quel vezzo. Gli arrivavano a metà viso, ribelli,
disobbedienti. Si capiva che dovessero piacergli molto: si
vedeva da come li scostava dal volto per accompagnarli dietro
alle orecchie.
Fui rapita dal suo sguardo nel momento in cui mi posò gli
occhi addosso e non riuscii a fare a meno di fissarlo. C’era
qualcosa, però, che non mi piacque: un’espressione molto
insofferente. Avrei voluto tanto sapere il perché. Salutava tutti e
scambiava qualche battuta stupida con i miei amici: in breve
tempo era riuscito a integrarsi alla perfezione all’interno del
gruppo, ormai era uno di noi. Perché non me n’ero mai accorta?
Possibile che fosse antipatico soltanto a me?
«Ciao, ragazzina, come stai? È da un po’ che non ci vediamo,
ti sono mancato?» Era ancora più bello quando sorrideva, forse
perché non lo faceva spesso.
«Non direi proprio» mentii e mi sorpresi a pensare che, in
effetti, mi era mancato sul serio.
«Io invece sono sicuro di sì. Ti va di fare un giro?» Stava
fissando il motorino, poi si voltò verso di me e la sua espressione
divenne irresistibile, la tristezza di pochi istanti prima del tutto
scomparsa.
«Con lo scooter?»
«Sì, ti porto in un posto. Dai, salta su!»
Salutammo i ragazzi e andammo via.
«Tieniti» disse ad alta voce. «Non vorrei ti sporcassi il tuo bel
vestitino cadendo.»
«Sì, ma tu vai piano» borbottai.
Mi aggrappai a lui e annusai il suo profumo. Mentre guidava,
afferrò la mia mano senza dire una parola e la strinse forte fra la
sua, forte come il battito del mio cuore.
Il tragitto fu breve e ci fermammo dopo poco: osservai ogni
suo gesto, quel suo fare lento, rilassato, la sua aria distaccata,
come se niente lo toccasse davvero fino in fondo. Si era fatto
buio e il panorama lasciò entrambi a bocca aperta. Dall’alto dei
colli, potei osservare la mia terra nella sua bellezza. In cielo, la
luna piena e splendente illuminava i nostri visi. In tutta la mia
vita, quella fu la sensazione più sincera che avessi mai provato
fino a quel preciso istante: ero nel posto giusto al momento
giusto.
Christian aveva un’espressione molto calma. Non c’era
traccia del ragazzo arrogante e scorbutico conosciuto qualche
tempo prima. Non parlava, rimaneva in silenzio, limitandosi a
osservare. Scese dallo scooter lasciandomi tutto lo spazio per
sedermi comoda. In piedi, di fronte a me, mi accarezzò le
braccia. Avevo i brividi.
«Hai paura?» Potei sentire il suo respiro accelerare.
«Dovrei? Vuoi forse fare qualcosa contro la mia volontà?»
Sorrise e abbassò lo sguardo. Lo rialzò all’improvviso,
accarezzandomi timidamente una guancia, in viso ancora quella
tristezza che lo contraddistingueva.
«Non hai paura di conoscere come sono davvero?» I suoi
occhi mi trafissero. Impossibile mentirgli.
«No. Certo che no. Perché dovrei?» Ero confusa.
«Forse potrei non piacerti» disse piano. Le sue mani sulla
pelle mi inebriavano.
«Allora sei tu che hai paura, non io. Io non ce l’ho» lo sfidai.
Gli accarezzai i fianchi, avvicinandolo ancora di più al mio
corpo.
«Ho cercato di non farlo, sai? Di lasciarti perdere, ignorarti…
ma tu hai qualcosa che sa di buono, che mi fa sentire il bisogno
di averti vicino. Non faccio che pensarti da quando ti conosco e
anche se mi costa ammetterlo, non voglio che ti allontani da
me.» Gli tremava la voce.
«Per quale motivo hai cercato di lasciarmi perdere? Non
capisco.»
«Non voglio che i miei demoni diventino i tuoi. E ho paura
che possa succedere. È complicato da spiegare…» Sembrava
vulnerabile, e dannatamente sincero.
«Tu allora non lo permettere. Almeno non questa sera.» Non
potevo resistere ancora a lungo, lo strinsi a me sempre più forte.
Si avvicinò un altro po’, e il tempo si fermò. La distanza fra
noi era minima. Ci guardammo rapiti e lui mi prese le mani. Era
una sensazione bellissima, mi sembrò di essere sospesa in aria,
di non capire più nulla, di volere soltanto che la sua pelle
sfiorasse la mia. Sentivo freddo. Poi, finalmente, mi baciò, e i
brividi svanirono in un istante. Sentii tutto il suo calore intorno
a me. Fu un bacio meraviglioso, lungo, tenero, da perdercisi
dentro e non ritrovare più la via del ritorno. Mi sentii
scombussolata: per la prima volta in vita mia, avevo perso
l’equilibrio e capito all’istante che mai avrei rinunciato a
un’emozione così intensa. Nessuno era stato capace di farmi
provare una cosa del genere con un solo bacio. Solo lui.
Si staccò dalle mie labbra per guardarmi, ma solo per un
istante: ritornò veloce sulla mia bocca con il suo sapore, il suo
respiro, il suo corpo. Con tutto sé stesso. Fui sconvolta da una
tale intensità emotiva, che per la prima volta in diciassette anni,
sentii vibrare ogni corda dell’anima, ogni battito del cuore, ogni
frammento di pensiero. Si interruppe all’improvviso e mi
osservò con un’espressione strana, quasi colpevole.
Mi abbracciò forte, e il suo abbraccio fu più dolce che mai.
Avrei pensato a quel primo bacio per un tempo infinito
provando una malinconia quasi insopportabile. Ancora non
sapevo quanto mi sarebbe mancato.
Trascorremmo la serata così, parlando poco e rimanendo
abbracciati per tutto il tempo. Non perdemmo mai il contatto
fisico. Tra di noi c’era un’alchimia pazzesca, il mio cuore
batteva all’impazzata, non lo controllavo. Mi sentivo felice e mi
godetti ogni istante. Si capiva che gli piaceva stare in silenzio,
lo mostrava in ogni suo gesto: guardava spesso il cielo, le stelle,
poi mi osservava e gli si leggeva in faccia un totale senso di pace.
Mai mi sarei aspettata un’uscita del genere, soprattutto con un
tipo come lui. Ma, in fondo, non lo conoscevo affatto.
«Non ho mai visto degli occhi scuri come i tuoi. Sono quasi
neri. Sono bellissimi, non posso fare a meno di fissarli.»
Per fortuna era buio, perché fui certa di essere arrossita. Mi
parlava piano, con la sua voce tranquilla e vellutata. «So di
sembrare un cretino» continuò, «ma sai? Adoro guardare il cielo
di notte. Mi fa stare bene, mi calma. Le stelle, la luna, guarda
che spettacolo. In cielo non esiste più nulla. Non esistono il
tempo o lo spazio, non esiste distanza. È come se l’universo
fosse privo di emozioni.»
«Ti manca casa tua?»
Non so perché, ma gli feci questa domanda d’istinto. Sapevo
che si era trasferito da poco, e credevo che quel senso di
inquietudine che non lo abbandonava quasi mai potesse essere
legato in qualche modo alla mancanza delle sue radici, degli
amici di sempre, delle abitudini.
Non avrei potuto formulare un pensiero più sbagliato.
«Casa mia?» Fece un cenno di diniego con la testa. «È come
se mi chiedessi se mi manca l’inferno.»
Quella sera mi aveva permesso di entrare nella sua vita. In un
certo senso, ero una privilegiata. Prima di allora, nessuno aveva
mai avuto questa possibilità, soltanto io. Non lo sapevo ancora,
ma Christian aveva un disperato bisogno di sentirsi amato.
6

EMMA

21 Settembre 1994

Voglio scusarmi con te, ragazzina,


per quando ti ho portato alla Quercia e ho
cercato di trattarti come tutte le altre. A proposito,
ci vado spesso, sai? Mi piace coricarmi sull’erba a
leggere e a riflettere. Sei così scema che ora starai
sicuramente pensando che l’erba mi piace fumarla.
E invece, quando sono lì il mondo intero non esiste
più e posso permettermi di costruirne uno tutto mio.
In questo momento ne fai parte anche tu. Infatti è
un mondo meraviglioso. Fino a quando vorrai
esserci, mi sentirò la persona più fortunata
dell’intero universo. Vorrei che da qui non te ne
andassi mai. A volte mi comporto di merda per
allontanarti di proposito, tanta è la paura di
perderti. Sono un coglione, lo so.
Quel dannato giorno, la parte peggiore di me ha
preso il sopravvento, e non ho potuto fare altro che
obbedirle. La famosa vocina in testa, hai presente?
Ti ho portato nel mio posto preferito, non per
condividerlo, ma per usarti, come ho sempre fatto
con tutte le ragazze che ho avuto in passato, solo per
un po’ di squallido sesso. Volevo soltanto stare con
te, riportarti a casa e non vederti più: meglio
troncare la cosa sul nascere, prima che fosse troppo
tardi e non riuscissi più a fare a meno di te. Il piano
era semplice: tu mi avresti odiato e poi lasciato solo
al mio destino. Sarebbe finito tutto e me lo sarei
meritato. A quanto pare, anche il mio corpo si è
ribellato a questa merda e… diciamoci la verità: ho
fatto la figura di quello a cui non... sì, dai, hai
capito, hai addirittura pensato che fosse colpa tua e
io te l’ho lasciato credere.
Sono proprio uno stronzo, lo so. Pensavi di non
essere abbastanza bella per me e tutte quelle cazzate
che dite voi ragazze. So di averti delusa. L’ho letto
nel tuo sguardo quando ti ho riaccompagnata a
casa. I tuoi occhi non possono mentire. Mi sono fatto
schifo da solo.
Mentre leggi mi avrai già perdonato, ma voglio
solo che tu sappia ancora una volta quanto mi
dispiace.

Tuo, C.

Aveva ragione: ero delusa e ferita. Mi conosceva da poco, ma


mi leggeva dentro come nessuno aveva mai fatto prima, anche
se era evidente il modo squallido in cui si era comportato. Mi
aveva trattata come una facile, come un oggetto senza
importanza, senza averne alcun diritto.
Non so bene nemmeno io cosa fosse successo, ma i suoi piani
erano andati in fumo quando non era nemmeno riuscito ad
arrivare fino in fondo. Si era bloccato di colpo, come se si fosse
accorto di aver commesso un terribile errore, come se si fosse
reso conto di non desiderarmi abbastanza. Avevo addirittura
pensato di avere fatto qualcosa di sbagliato, qualcosa che lo
avesse infastidito a tal punto da aver cambiato idea, ma…
’Fanculo, era stata tutta colpa sua!
Un disastro totale. Il primo momento di vera intimità fra noi
rovinato per sempre. Come se non bastasse, avevo notato una
cicatrice sul suo braccio e gli avevo chiesto preoccupata cosa
fosse. Mi aveva urlato in faccia di farmi gli affari miei, era
diventato scontroso e irritabile.
Non riuscivo ancora a credere che fosse riuscito a farmi
sentire così stupida e insignificante. Proprio lui, capace di
portarmi in cielo e cullarmi in mezzo alle stelle solo con un
sorriso.
Una mattina, lo trovai seduto in sella al suo scooter davanti
al cancello di casa mia. Per fortuna, non era ancora ricominciata
la scuola, i miei genitori lavoravano e avevo la casa libera.
Uscii in strada. La sua faccia non prometteva nulla di buono.
Era cupo in volto e mi disse delle parole che non ho mai più
dimenticato. «Mi dispiace. Davvero. Se solo sapessi perché mi
comporto come uno stronzo...» Si torturava le mani, senza
riuscire a guardarmi in faccia. Era arrabbiato con il mondo
intero, sembrava qualcosa di insormontabile e, in quel momento,
non mi trasmise nulla di buono.
«Puoi parlarmene, se vuoi.» Cercai di mascherare la mia
delusione causata dal nostro ultimo incontro e di fargli capire
che poteva confidarsi con me.
«Lascia stare, non ti piacerebbe sentirlo. È nella mia natura
cercare di allontanare le persone, in particolar modo quelle a cui
tengo, è una specie di meccanismo di autodifesa. Era tutto molto
più semplice prima di conoscerti, perché sei come un antidoto
contro un dolore velenoso che mi scorre dentro, e io non voglio
più allontanarti da me, non ci riesco.»
Non lo avevo mai visto così strano, sembrava che avesse
paura di essere giudicato. Ogni cosa era sfocata, confusa,
impalpabile. Avrei voluto capire di più, ma non credevo mi
avrebbe concesso molto altro.
«Vorrei cancellare ogni cosa e ricominciare daccapo. Mi stai
incasinando le idee come mai prima d’ora. Ti sento talmente
vicina da averne quasi paura, e mi chiedo come sia possibile. In
fondo, non sai nulla di me, ma sento la necessità di averti al mio
fianco, perché mi fa stare bene. Sempre che tu non abbia
cambiato idea.»
Finalmente ebbe il coraggio di incrociare il mio sguardo e mi
pugnalò con quei suoi occhi inquietanti e meravigliosi al tempo
stesso, che mi fecero percepire tutto il suo disagio.
«Christian, hai ragione. È vero, io di te non so niente, ma sto
imparando a conoscerti giorno dopo giorno. Non sei facile da
gestire, lo ammetto. Quello che so per certo è che non mi sono
mai sentita così viva da quando stiamo insieme e coinvolta in
una storia appena cominciata. Magari è destinata a diventare
importante o magari no, ma vale la pena tentare, ne sono
convinta. Sono disposta a conoscerti per quello che sei, perché
ho come l’impressione che tu non mi abbia mostrato la parte più
fragile di te, quella che cerchi di proteggere e di tenere nascosta
al mondo intero. Forse non sei pronto a lasciarti andare, almeno
non ancora, ma non prendiamoci troppo in giro: devi fare una
scelta e la devi fare subito. O ti fidi di me o te ne vai, senza
voltarti indietro. Per quel che mi riguarda, io non ho alcuna
intenzione di andarmene, ci sono troppo dentro, ormai.» Feci un
bel respiro e lo guardai dritto negli occhi, con aria severa, ma
fiera di me stessa e delle mie parole.
A un tratto, Christian esplose. Non avevo mai visto nessun
ragazzo piangere, non sapevo nemmeno come reagire. Restai
immobile a fissarlo qualche secondo, poi d’istinto mi avvicinai
a lui. Mi tirò forte a sé e mi strinse fra le braccia, continuando a
piangere e buttare fuori tutte quelle lacrime che aveva di certo
trattenuto fino a quel momento. Poi si calmò, si asciugò gli occhi
e mi fissò. Sentii la paura invadere il mio corpo.
«Che fossi un coglione, lo sapevi già. Non so dirti quanto mi
dispiace, non ho una spiegazione per come mi sono comportato
e nemmeno una giustificazione. È successo e basta. Sono stato
malissimo, credimi, proprio a te vado a fare questa carognata.
Hai ragione tu, o dentro o fuori. Quindi basta cazzate, se mi vuoi
ancora, sono dentro, e questa volta sul serio. Emma, ti prego,
dimmi che mi vuoi ancora.»
Quegli occhi. Quella sofferenza.
«Ti voglio ancora.» Gli accarezzai i capelli. «Basta con le
cazzate.»
Finalmente ci baciammo e, al contrario della volta
precedente, Christian, si lasciò andare in modo sincero,
abbandonandosi a me. Sentii che mi desiderava con tutto sé
stesso. I nostri baci divennero sempre più intensi e pieni di
passione, non riuscivamo più a controllarci e a tenere ferme le
mani.
«Andiamo dentro» lo invitai. «Sono a casa da sola.»
«Ti prego, non infierire. Non sai quanto mi piacerebbe, ma
non posso restare.» Si scostò i capelli e li sistemò dietro alle
orecchie. «Devo tornare in città con mia madre, partiamo fra
pochissimo. Ho dei casini da sbrigare. Torno fra una settimana,
almeno spero. Mi dispiace, sono costretto ad andare, ma se
potessi rimarrei qui con te.»
«Quali casini?» Osservai la sua espressione incerta. «Ah sì,
fammi indovinare: cose che non vuoi dirmi.»
«Cose che riguardano il mio passato e che ancora mi fanno
stare male. Cose che ancora non riesco a esternare. Un giorno
forse, lo farò. Fidati di me, ci voglio provare. Tu però devi essere
paziente, se vuoi che funzioni davvero.»
Notai all’improvviso una strana macchia d’inchiostro
sull’avambraccio sinistro, un piccolo tatuaggio. Sembrava fosse
stato appena fatto, così gonfio e arrossato.
«È nuovo?» gli domandai sorpresa.
Ieri non mi pare lo avesse.
«Me lo sono fatto questa notte da solo, con ago e china. Non
è venuto benissimo, ma in fondo è il significato che conta.» Mi
fissò così intensamente da togliermi il fiato. «È una lacrima:
serve a ricordarmi che ti ho ferita. Ogni volta che succederà, ne
aggiungerò una. Mi sono promesso di non doverne mai
disegnare altre.»
«Perché fai queste cose?» In quel momento era a me che
veniva da piangere.
«Perché non ho mai avuto qualcosa di bello in vita mia e ho
il terrore di perderlo.»
«Mi aspetti un attimo qui? Vado un secondo in casa, ma
arrivo subito.» Ebbi un’idea.
«Sì, certo. Poi però devo andare.»
Quando ritornai da lui, gli consegnai il bigliettino che avevo
appena scritto.
«Che cos’è?»
«Una piccola nota. Leggila spesso questa settimana, anzi,
imparala a memoria. Promesso?» Gli sorrisi.
«Promesso. E qualunque cosa sia, grazie. Per tutto. Ti troverò
qui, al mio ritorno?» Anche lui sorrise.
«Certo. Sarò qui per te. Tu, intanto, cerca di stare bene.»
«Questa tienila tu.» Mi posò sulle spalle la felpa della tuta,
mi baciò e se ne andò via.
Uniti ma separati. Sarebbe stata una settimana difficile per
entrambi. Molto probabilmente la sua più della mia. Non ci
capivo nulla, ma sentivo che stava affrontando qualcosa di più
grande di lui senza l’aiuto di nessuno.

COSE BELLE CHE NON SAI DI AVERE:

ME (forse questo lo hai capito!)

NOI (questo lo devi mantenere, per ora hai fatto schifo)

TE STESSO (sei un figo spaziale, non te ne sei ancora


accorto?)
7

EMMA

Sabato mattina.
Sono le dieci e mezza di sabato mattina, e io e Tete ci siamo
appena svegliate, ma ho deciso che oggi me la prenderò comoda.
Questa notte sono riuscita a riposare benissimo come non
succedeva da tempo.
Spesso mia figlia dorme in camera con me. Adoro quando le
sue manine stringono forte le mie e la riempio di baci. È una
bambina meravigliosa: sembra un angioletto, con quei riccioli
biondi e le guanciotte rosa. Se potessi, le darei il mondo. Di
sicuro, le ridarei il suo papà. È assurdo che debba crescere senza
di lui. Non mi ha mai chiesto molto in merito, è troppo piccola
per fare certe domande, anche se sono certa che arriverà il giorno
in cui vorrà sapere la verità, e il solo pensiero mi fa tanta paura.
Sono in fermento: oggi Edoardo ritorna dalle vacanze. Non
ci siamo più visti né sentiti dalla sera del mio compleanno. Ho
avuto il tempo necessario per pensare a noi e sono pronta a
rivederlo il prima possibile. Ho deciso di riprovarci, di
concedermi ancora una possibilità. Voglio cominciare a fare sul
serio.
Il mio diario è sul comodino e a volte leggo qualche pagina,
ma ho finalmente capito che non voglio liberarmi del passato.
Quello che sono oggi lo devo anche a ciò che ho vissuto, ma
devo ammettere di sentirmi una persona completamente diversa.
Se mi guardo indietro, faccio fatica a riconoscermi. Tutto mi fa
pensare che è davvero arrivato il momento di ricominciare
daccapo, che questa sia la volta buona.
Chiamo Claudia. Parliamo dei nostri programmi per il week-
end: lei trascorrerà due giorni di assoluto relax al mare con
Tommy. Poi mi chiede della Smemo, forse per sapere se ho
seguito il suo consiglio.
«No, non l’ho buttata. Non me ne voglio separare, tutto qui.
In fondo, per voltare pagina non basta gettare via un vecchio
diario. Il cambiamento vero deve venire da dentro.»
«Brava, hai l’atteggiamento giusto. Cerca di lasciare il
passato alle spalle. Datti la possibilità di essere di nuovo felice.»
«Intendi con Edo?»
«Certo, con Edo. E con chi se no?»

Trascorro il sabato oziando nella quiete più totale, non ho


preso nessun impegno. Voglio soltanto rilassarmi.
La piccola gironzola per casa con le costruzioni in mano: una
nuova, momentanea passione che la tiene impegnata per
parecchio tempo, senza dovermi chiamare ogni trenta secondi.
Devo ammettere che quando è così indaffarata a giocare è quasi
come se non ci fosse.
Sto leggendo il libro che mi ha regalato Claudia e lo adoro.
Sono appassionata di Stephen King da una decina di anni e lei
lo sa bene. Mi ha stregato fin dal primo libro che ho letto, IT, e
da allora non ho più smesso. A nessuno dei miei coetanei è mai
interessato leggere, figuriamoci King. Mi hanno presa in giro
molto spesso, dandomi della nerd per questa mia grande
passione. Alcune volte è stato frustrante non poter condividere
con nessuno il mio amore per la lettura, fino a quando non è
arrivato lui.
Neanche a farlo apposta, proprio King era il suo autore
preferito. Lo scoprii per caso, la prima volta che entrai in camera
sua.
8

EMMA

24 Settembre 1994

Ti confondo le idee, vero, ragazzina?


Oggi ci siamo andati davvero vicino, non sai
quanto mi sia dovuto trattenere. Morivo dalla voglia
di strapparti i vestiti di dosso e fare l’amore con te,
una, due, mille volte. Mi fai impazzire con quei
pantaloncini aderenti: non penso di poter
sopportare nemmeno l’idea che tu esca vestita così
da sola. Sto diventando geloso e ancora non so se
sia un bene o un male. Per ora, è un dato di fatto. Ci
siamo avvicinati ancora ed è stato bellissimo.
Oggi abbiamo fatto una cosa ben più importante
del sesso: abbiamo condiviso dei momenti di vita,
quelli che fanno paura, i più difficili da affrontare.
Sai che cosa ho scoperto? Che la paura diminuisce
quando sei con me.
P.S. La prossima volta non credo riuscirò a
fermarmi.

Tuo, C.

Christian tornò dal viaggio con sua madre decisamente più


tranquillo. Doveva aver risolto qualcosa di vitale importanza e,
anche se morivo dalla voglia di sapere cosa fosse, mi ripromisi
di non chiedergli nulla. Stavamo benissimo insieme, avevamo
passato dei giorni meravigliosi e lui era la persona più adorabile
del mondo, quando si trovava in quello stato di grazia.
Trascorremmo insieme ogni istante a nostra disposizione,
vivendo un sogno a occhi aperti, la nostra storia d’amore. Il
destino sembrava aver puntato su di noi tutto ciò che possedeva,
e ne aveva ricavato una vera fortuna.
Era un pomeriggio di fine estate quando mi portò a casa sua.
Eravamo da soli.
Entrai in camera da letto, dove una stanza grande e luminosa
ospitava una libreria di legno chiaro, piena zeppa di romanzi di
ogni genere. Tutto avrei immaginato, tranne che potesse essere
un lettore così accanito: due scaffali dedicati al mio autore
preferito, non ci potevo credere.
Accarezzai con delicatezza le copertine di quei libri.
«Ti piace King?» Gli brillavano gli occhi.
«Stai scherzando? È il mio scrittore preferito.»
Era proprio destino.
«È ufficiale. Sei la donna della mia vita.» Sorrideva tanto da
farmi girare la testa.
«Sto leggendo Le notti di Salem.» Ecco la nerd che uscì allo
scoperto.
«Vampiri. Ottima scelta. Io invece Cose Preziose. Te lo
posso prestare, se vuoi.»
Già immaginavo le conversazioni che avremmo potuto fare,
al solo pensiero non stavo quasi nella pelle.
«Non ci credo» dissi.
«Non ci credo» rispose.
Ci guardammo per una frazione di secondo e finimmo l’uno
fra le braccia dell’altra, senza nemmeno rendercene conto. I
nostri baci divennero sempre più profondi e sempre meno
innocenti. I nostri respiri agitati: era un crescendo di emozioni,
sentivo i brividi pervadere tutto il mio corpo. Lo desideravo con
un’intensità mai provata prima di allora. In quel momento, la
sola cosa che volevo era stare con lui. A fatica, Christian riuscì
a staccare il suo corpo dal mio, facendo un passo indietro.
«Ti mostro una cosa.»
Si tolse la maglietta e sentii il fuoco accendersi dentro di me.
Aveva un fisico asciutto e proporzionato, che mi attraeva ogni
giorno di più. Mi avvicinai con le peggiori intenzioni, poi lo
osservai meglio e vidi qualcosa che mi fece venire i brividi. Il
petto e le braccia erano pieni di cicatrici, qualcuna quasi
invisibile, altre più profonde, più gravi. Era evidente che quei
segni fossero ormai guariti da tempo, ma testimoniavano senza
dubbio un passato tale da giustificare quel suo costante
malessere. Ero senza fiato: forse quei demoni di cui parlava con
amarezza stavano per uscire allo scoperto.
«Non voglio domande, ti prego, non sono ancora pronto»
proseguì. «Un giorno, forse… per ora non ce la faccio.» Alzò lo
sguardo, poi ritornò su di me e continuò. «Non mi sono mai
spogliato davanti a nessuna donna. Questi segni li hai visti
soltanto tu. È la prima volta che li mostro a qualcuno.»
«E a quante donne li avresti dovuti esibire? Quante ne avrai
mai avute?» Cercai di sdrammatizzare quella brutta situazione e
lui lo apprezzò.
Basta parlare. Lo dovevo avere. Volevo lui e tutto quello che
lo riguardava, il brutto e il bello, il paradiso e l’inferno. In quel
preciso momento, però, bramavo soltanto il suo corpo.
Mi tolsi la maglietta, lui mi slacciò il reggiseno con forza. Ci
abbracciammo seminudi e il contatto della nostra pelle che si
sfiorava era dinamite pura. Lo desideravo da impazzire.
Ci sdraiammo sul letto e mi infilò piano la mano dentro le
mutandine. Il suo tocco era caldo e delicato.
«Aiutami» sussurrò maliziosamente. «Fammi capire cosa ti
piace.» Prese la mia mano e la infilò sotto la sua, dentro alla
biancheria intima.
Ci muovevamo insieme, le dita che si sfioravano lente senza
provare alcun senso di vergogna o imbarazzo, solo la
consapevolezza che con lui sarei stata capace di fare qualsiasi
cosa. Le nostre mani si copiavano in ogni gesto, la sua seguiva i
miei movimenti e nel frattempo continuava a baciarmi
dappertutto. Esplosi all’improvviso nel piacere assoluto, lui lo
capì, la sua bocca si avventò sulla mia con trasporto. Non avrei
mai smesso di voler sentire il sapore delle sue labbra.
«Tutto questo mi eccita molto» aveva sussurrato in tono
spinto. Mi girava la testa. «Adesso ti faccio sentire come piace
a me.» Prese la mia mano e mi insegnò come muoverla: era lui,
in quell’istante, a dettare le regole del gioco. Un gioco che a
breve gli sarebbe piaciuto come non mai. Ci coricammo vicini,
abbracciati, dopo quella passione appena consumata.
«Stai bene?» Sarei rimasta a guardarlo per ore.
«Certo, benissimo. Sfido chiunque a non sentirsi bene in un
momento come questo.» Il suo sorriso era la cosa più bella che
avessi mai visto.
«Intendo se stai bene con me» continuai. «A volte sembri
felice, a volte sembra ti sforzi di esserlo. Dimmi come posso farti
sentire meglio…»
«Non andare via. Resta anche quando sarà difficile, anche
quando ti chiederai se valga la pena restare.» Mi baciò in un
modo tenero, sincero, accarezzandomi i capelli e sfiorandomi le
labbra con le dita. Mi studiava con quello sguardo così
particolare, tranquillo e tormentato, che quasi mi intimoriva. Era
diverso da tutti i ragazzi che avevo conosciuto, così complicato
per la maggior parte delle volte e misterioso, ma mi faceva
sentire come non era mai riuscito nessuno. Non c’era persona
che mi fosse entrata sottopelle in quel modo.
Ci rivestimmo con calma e passammo il pomeriggio insieme,
ascoltando musica e parlando tantissimo.
«Avremmo potuto andare fino in fondo. Perché non lo
abbiamo fatto?» gli sussurrai, mentre giocavo con i suoi capelli.
«Ti porto per la prima volta a casa mia e cerco subito di
approfittarmi di te? Non voglio ti faccia impressioni sbagliate.»
«Sul serio? Cosa mi tocca sentire! Tu davvero ti preoccupi
delle prime impressioni, adesso?» Gli risi in faccia.
«Mi preoccupo soltanto che tu stia bene. Quando tieni a
qualcuno è quello che devi fare. Mi sarebbe sembrata una
mancanza di rispetto, tutto qui.»
In quel momento, capii che, forse, mi stavo innamorando di
lui. Era una persona meravigliosa.
Il bacio che ci scambiammo non poteva essere più dolce. Mi
guardai intorno e mi accorsi di un piccolo acchiappasogni
appeso al letto. «Sembra funzioni. Almeno così si dice.»
«Sì, certo. Tiene lontano gli incubi notturni e gli spiriti cattivi
che vogliono farci del male.» Ci credeva davvero. «Non dormo
mai senza quello vicino. Non scherzo, sai? Dovresti averlo
anche tu.» Mi abbracciò, appoggiando la testa sulla mia spalla e
chiuse gli occhi. «Ma forse tu sei in grado di tenerli a bada…»
sussurrò.
Restammo così, per un tempo che avrei voluto non finisse
mai.
9

EMMA

«Pronto?» Edo risponde con voce allegra e squillante.


«Bentornato! Come stai?» È bello poter parlare di nuovo con
lui.
«Ciao, Emma, io benone e tu?»
«Anche io, grazie. Come sono andate le ferie? Ti sei
divertito? E Ibiza? Confesso di aver provato una punta di
invidia.»
Beato lui, che si è fatto una vacanza come si deve.
«Sì, alla grande. Mi sono divertito molto. Sono stato in un
sacco di locali, ce ne sono davvero per tutti i gusti e le spiagge
sono paradisiache. Chissà, un giorno potremo tornarci insieme.
Spero di vederti presto, così ti racconto.»
Ecco l’assist che aspettavo.
«Ti ho chiamato proprio per questo motivo. Non ci giro
troppo intorno. Mi sono comportata come una scema, lo
ammetto, ma vorrei riprovarci, se sono ancora in tempo, sempre
che tu sia d’accordo…» gli confesso mentre mi mordicchio le
unghie, in attesa di sentirlo parlare.
«Ne sei sicura? Io ne sarei felice, perché tu mi piaci sul serio,
Emma, e sento che fra di noi potrebbe nascere qualcosa di
speciale. Spero tu sia convinta di ciò che mi hai appena detto,
che i tuoi dubbi siano spariti. Sarebbe un peccato non tentare.»
«Nessun dubbio. Voglio ricominciare daccapo e credo di
poterlo fare con te.»
«Non sai quanto ne sia felice. Ricominciamo, allora. Domani
dopo cena?»
La sera dopo, Edoardo si presenta alla porta con un mazzo di
fiori. Adoro queste manifestazioni d’affetto: nonostante mi sia
comportata malissimo, continua a riempirmi di attenzioni.
«Ciao, Emma. Questi sono per te. Wow, ti sta benissimo.»
Fissa la catenina che mi ha regalato e sono felice che l’abbia
notata. La indosso sempre, la considero una cosa speciale. Lo
faccio entrare in casa, felice che sia tornato da me.
«Sei troppo gentile, sono meravigliosi. Li metto subito in un
vaso.»
«Mi sei mancata. Questo è un pensiero per la piccola.» Mi
sorprende porgendomi un sacchettino. Al suo interno c’è una
maglietta di Ibiza in formato mini, davvero deliziosa. «Quando
l’ho vista, ho pensato subito a lei.» Ne parla e si imbarazza. Lo
abbraccio e lo riempio di baci. È stato davvero gentile a
ricordarsi di Tete.
«È proprio il suo stile. Le piacerà un sacco. Questa sera
dorme fuori, ma domani sono certa che vorrà indossarla subito.»
Lo ringrazio e lo faccio sedere, offrendogli un caffè e
invitandolo a raccontarmi ogni dettaglio della sua vacanza.
È ancora più abbronzato di quando è partito, davvero niente
male. Mi soffermo e mi incanto, mentre lo ammiro in tutta la sua
bellezza, e arrossisco a causa di alcuni pensieri a luci rosse che
mi passano per la testa in questo momento.
Racconta del suo viaggio senza tralasciare nulla, ed è un
piacere sentirlo parlare: ha un tono di voce così allegro e
rassicurante che potrei ascoltarlo per ore. Mi infonde fiducia.
Non ha bisogno di fingere, non porta stupide maschere: la sua
forza risiede tutta nell’onestà.
Parliamo per l’intera serata e le ore trascorrono veloci, ma le
parole non ci bastano più. Abbiamo bisogno di sentirci, di
diventare intimi, di lasciarci andare. Basta uno sguardo complice
per accendere la forte attrazione che c’è fra di noi e
incominciamo a baciarci subito con trasporto.
«Questo divano non ha portato molta fortuna, l’ultima volta»
mi dice, mentre le sue carezze si fanno sempre più stuzzicanti.
«Andiamo di là.» Indico la mia camera.
Mi prende in braccio e, quando siamo nella mia stanza, mi
posa sul letto, cominciando a toccarmi dappertutto. Rivederlo è
stata la scelta giusta: mi piace molto e ho voglia di stare con lui.
Le nostre labbra non riescono a separarsi e a poco a poco ci
togliamo i vestiti di dosso; le mani arrivano ovunque, desiderose
di conoscere i nostri corpi, e le nostre lingue non resistono alla
tentazione di assaggiare nuovi sapori. Scivola dentro di me e ci
muoviamo insieme, occhi negli occhi. È da tempo che non provo
qualcosa di così profondo, non mi sembra neanche vero.
Finalmente riesco a non pensare a nulla e a godermi l’attimo,
senza nessuna stupida paranoia. Il suo corpo atletico si fonde con
il mio, lo assecondo prima lentamente, poi in modo sempre più
frenetico e spinto, fino al momento del piacere. Ci guardiamo
appagati e felici, senza smettere di baciarci: è stato fantastico.
Le coccole a letto sono un po' goffe, i nostri sguardi imbarazzati,
come è giusto che sia la prima volta che si fa l'amore con
qualcuno. Edo è dolce e attento, mi piace che si prenda cura di
me. Ho bisogno di sentirmi speciale per qualcuno.
«Qualcosa non va?» sussurra, accorgendosi della mia
timidezza.
«Al contrario, è stato tutto perfetto. Credo solo mi ci voglia
del tempo per abituarmi a tutto questo. A sentirmi così bene.»
«E io cercherò di fare in modo che tu ti senta sempre così. È
una promessa.» Riprende a baciarmi e ad accarezzarmi. Le sue
mani sulla pelle e la sua bocca vogliosa mi reclamano. Mi lascio
andare fra le sue braccia, ricambiando ogni gesto.
«Ti fermi a dormire?» Gli accarezzo il petto.
«Mi piacerebbe, ma domani devo alzarmi all’alba per andare
da un cliente. Devo guidare parecchio e vorrei riposare un po’.
Temo che se restassi qui non riuscirei a chiudere occhio, ci
sarebbero molte cose che potremmo fare... che non vedo l’ora di
fare, ma domani sarebbe un disastro totale.»
«Sono d’accordo, anche se dubito ti possa andare male
qualcosa, ma ti capisco. Anche a me piace essere in forma al
lavoro.»
«Tu invitami ancora, però, ok? La prossima volta rimarrò con
estremo piacere.» Si alza dal letto, guardandomi in modo
malizioso per la frase appena pronunciata.
«Lo farò, promesso.»
Si ricompone con calma, con quel suo modo di fare posato ed
elegante. Lo accompagno alla porta.
«È stato tutto perfetto.» Mi guarda intensamente. «Sei
fantastica.»
«Anche tu.» Ci scambiamo ancora un lungo bacio. Mi piace
il suo sapore.
«Ora devo scappare. Ti chiamo domani. Buonanotte.»
«Buonanotte.»
Abbiamo trascorso una serata unica, anche se non sono
riuscita a lasciarmi andare completamente, e non mi riferisco al
sesso. Quello non è stato affatto male. Non sento ancora le
farfalle nello stomaco: ormai è diventato fisiologico che io
fatichi ad abbandonarmi subito alle emozioni, ma è stato bello
comunque. Quanto mi piacerebbe farmi travolgere dalla
situazione, buttarmi a capofitto fra le sue braccia senza aver
paura di farmi male… Edoardo è la persona giusta per una storia
importante, lo sento.
Sei una bella donna.
All’improvviso, mi assale una sensazione che, purtroppo,
conosco fin troppo bene. Una tremenda malinconia mi spinge a
rileggere di quelle emozioni che ancora rimpiango. La magia, il
turbamento mai più provato, l’alchimia pazzesca. L’essere due
metà di qualcosa che, unite, combaciano alla perfezione.
Uniti ma separati, amandosi senza poterlo fare davvero.
La mia Smemo gialla, ormai sgualcita dal trascorrere del
tempo, è ancora sul mio comodino e non vede l’ora di
raccontarmi quella storia.
10

EMMA

2 Ottobre 1994

Hai una canzone preferita? Io sì, lo sai bene anche


tu: l’ascolto e la riascolto spesso nel mio walkman, un
numero infinito di volte, fino a non poterne quasi più.
Riavvolgo il nastro e ricomincio daccapo come vorrei
fare in questo momento. Vorrei rimandare tutto
indietro fino a ieri sera e riviverlo di nuovo,
all’infinito. È stato il giorno più bello della mia vita e
il merito è tuo. Per tutto questo tempo ho vissuto come
un automa, inebetito da qualche cazzo di droga, senza
provare alcun tipo di sentimento. Ora, invece, mi sono
ripreso, è come se fossi ritornato a vivere. Sono
perdutamente innamorato di te e, più di tutto, amo
quello che non si può vedere con gli occhi. Amo come
sei. Ieri non ho avuto il coraggio di dirtelo, sono un
vigliacco, lo so bene, ma ti amo come non sono mai
stato capace di fare finora.
Credevo che l’amore fosse una debolezza, qualcosa
di inutile, per persone insicure e bisognose di buoni
sentimenti, ma ho scoperto che, invece, è un uragano
che ti travolge in un attimo, un fiume in piena. L’amore
sei tu.
Tu mi hai cambiato la vita, hai avuto il coraggio di
sconvolgerla e di farmi capire quanto sia bella.
Non ti ringrazierò mai abbastanza.

Ti amo, C.

Avevo intuito fin da subito che sarebbe stata una serata


speciale dal momento in cui vidi Christian indaffarato a cucinare
per me. Sua madre avrebbe trascorso il week-end fuori casa, e
mi aveva invitato a passare la notte con lui. Raccontai ai miei
genitori che sarei andata a dormire da Paola, la mia amica del
cuore: non ci sarebbero stati problemi, lo facevo spesso, bastava
che lei mi reggesse il gioco.
A casa di Christian, la tavola era apparecchiata in modo
impeccabile e le candele accese rendevano l’atmosfera molto
romantica. Aveva davvero cucinato tutto lui, si era solo fatto
aiutare un pochino dalla madre nel pomeriggio, prima della sua
partenza. Persino quel delizioso dolce al cioccolato era opera
sua. Non mi aveva permesso di fare nulla per l’intera serata,
diceva che ero sua ospite e che non dovevo preoccuparmi di
niente. Mi sentivo una principessa.
Quella sera, davanti a me non c’era più il ragazzo complicato
e ombroso con il quale avevo avuto a che fare quasi tutti i giorni,
ma il suo esatto opposto. Era tranquillo e accomodante,
sembrava addirittura felice.
Dopo cena, passammo il tempo a chiacchierare: avevo
trovato il mio posto nel mondo. Sentivo che, ovunque fosse
andato, sarei stata al suo fianco per sempre. Parlammo di tutto:
dei nostri sogni, delle nostre paure, di quello che ci piaceva fare,
della scuola, dei nostri amici, delle nostre famiglie. Mi aveva
aperto il suo cuore e io avevo fatto la stessa cosa. Ridemmo
come pazzi. Io e lui insieme, non serviva altro.
«Ce ne andiamo a letto? Si è fatto tardi.» Chiuse gli occhi e
rilassò piano il collo, allungando indietro la testa.
«Hai sonno? Sembri stanco» dissi, mentre gli accarezzavo i
capelli.
«Proprio per niente.»
«Allora sì, è il momento di andare.» Il mio cuore batteva
all’impazzata.
Accese una candela anche in camera e un buonissimo
profumo di vaniglia invase la stanza. Ogni cosa era al suo posto,
credo avesse pianificato ogni dettaglio per rendere quella serata
indimenticabile.
Il suo letto era enorme e, senza dire nulla, ci sedemmo
insieme per poi spogliarci lentamente a vicenda, senza alcuna
fretta. I nostri occhi erano spettatori di qualcosa di meraviglioso
che stava per accadere, non smisero mai di guardarsi. Christian
mi accarezzava i capelli, il viso, la bocca: i suoi baci erano così
profondi e teneri tanto che in un istante mi riscaldarono il cuore,
per poi liberarmi da qualsiasi inibizione. Il desiderio, ebbe quasi
subito la meglio sui sentimenti, lo volevo con tutta me stessa.
Non potevo più aspettare.
Scivolò sopra di me, il suo sguardo era complice e la sua
bocca bisognosa.
«Ne sei proprio sicura? Lo vuoi sul serio?» Non era mai stato
così bello come in quel momento.
«Con tutta me stessa.» Annuii.
Alla fine, successe. Ci appartenemmo. Eravamo finalmente
diventati una cosa sola e, inutile dirlo, era stato stupendo. Ci
abbracciammo sotto le lenzuola, sfiorandoci la pelle con le dita,
ci baciammo piano e ovunque. E restammo vicini, con gli occhi
chiusi, ascoltando i nostri respiri farsi sempre più lenti fino a
addormentaci in piena notte, indossando soltanto il profumo del
nostro amore appena consumato.
Riposammo per qualche ora, poi Christian si svegliò
all’improvviso, chiamandomi.
«Emma» sussurrò. Sentivo il suo corpo incollato al mio.
«Sono qui.»
«Allora non è stato un sogno.» Sospirò felice.
«Più o meno sì. Stiamo sognando, ma siamo nel mondo
reale» farfugliai ancora assonnata.
«Si chiama sognare a occhi aperti» mi corresse ridendo.
«Si chiama amore. Forse è successo qualcosa di magico in
poco tempo, o forse siamo soltanto due pazzi scatenati, ma io ti
amo dal profondo del mio cuore.»
Cazzo, l’avevo detto!
«Dimmelo di nuovo, ti prego.»
«Ti amo con tutta me stessa, come non ho mai amato nessuno
al mondo.»
Non mi rispose. Prese il mio viso tra le mani e mi baciò con
la lingua, mi leccò le labbra, il collo e le spalle. In un attimo
riprendemmo da dove avevamo lasciato poco prima, ma in modo
del tutto diverso, quasi fossimo animali affamati.
Stanchi, sudati e più uniti che mai, ci addormentammo quasi
subito, abbandonati l’uno vicino all’altra.
La mattina dopo fu l’odore del caffè a svegliarmi. Lui
canticchiava nell’altra stanza mentre preparava la colazione, e in
quel momento fui io a chiedermi se stessi sognando, perché mi
sembrava impossibile poter essere così felice.
Quando entrò in camera, aveva sul volto un sorriso quasi
surreale. Indossava una maglietta bianca e un paio di
pantaloncini neri. Una visione. Si sedette in fondo al letto e mi
osservò. Non mi dimenticherò mai il modo in cui mi guardava.
Fu uno dei frammenti più belli della mia vita, di quelli che non
si potrebbero spiegare nemmeno con mille parole. Eppure, era
bastato uno sguardo per farmi provare quell’immensa emozione.
Un istante unico e irripetibile. Un attimo soltanto, per una vita
intera.
Facemmo una doccia, divertendoci come bambini sotto il
getto dell’acqua, insaponandoci a vicenda, poi ci rivestimmo e
decidemmo di uscire a fare una passeggiata.
Era una meravigliosa giornata di fine settembre e i tipici
colori della campagna in quel periodo dell’anno trasformavano
il panorama in qualcosa di magico, almeno per me, che amavo
l’autunno da sempre. Era la mia stagione preferita e quell’anno
avevo un motivo in più per amarla così tanto.
Camminavamo mano nella mano, felici, rilassandoci e
godendo di quel momento di pace assoluta.
Ci divertimmo a fantasticare sul nostro futuro, fare progetti,
scambiarci sogni, idee, promesse. Christian mi descrisse
addirittura la sua casa ideale, di color avorio su due piani, con le
imposte marrone scuro e una grande altalena in giardino.
Era pieno di sorprese. Lo guardavo ammirata, senza parole.
Lui si accorse della strana espressione sul mio volto.
«Vorresti scappare, vero? Forse sto correndo troppo?»
Sistemò quei suoi capelli color miele.
«No, affatto.» Mi fermai un istante. Poi gli feci una domanda,
entusiasta. «Solo, possiamo dipingere le pareti di celeste?» Lui
sorrise e io esplosi di felicità.
Ci abbracciammo così forte da farci quasi male. Mi baciò con
tutta la dolcezza del mondo.
«Grazie.» Mi sussurrò all’orecchio.
Purtroppo, i nostri progetti non si sarebbero mai realizzati.
11

EMMA

Devo acquistare il regalo per Claudia e sono pessima in


queste cose. Fra la bambina, il lavoro, la casa, le uscite serali e
Edoardo non ho un attimo di tempo. O forse sono soltanto io che
non riesco a gestirlo nel modo più opportuno. Comunque devo
darmi una mossa, se voglio essere al ristorante fra poche ore:
questa sera festeggiamo il compleanno della mia migliore amica
con tutta la compagnia e non voglio fare tardi. Edo verrà a
prendermi verso le sette e sono ancora in alto mare.
Senza rendermene conto, finisco in libreria. Adoro i libri e
trascorrerei ore intere fra questi scaffali. Ho sempre amato
leggere fin da ragazzina; credo che la lettura sia la massima
espressione di libertà che ci possiamo concedere: leggere ci
rende liberi come nient’altro al mondo può fare.
Mi costringo a pagare e ad andarmene da questo luogo
magico e, mentre torno a casa in tutta fretta, mi preparo a
trascorrere una serata speciale. Faccio una cosa indispensabile
per poter essere tranquilla e godermi la serata: chiamo i miei
genitori e mi assicuro che con Tete vada tutto bene.
Claudia ci ha invitati in un agriturismo da favola dove, oltre
all’aperitivo, ci servono anche la cena. È tutto perfetto; è
innegabile: c’è la sua firma dietro a questa festa. Claudia non
trascura mai alcun particolare, quello che la circonda deve essere
impeccabile.
Seduti al tavolo della festeggiata ci siamo io, Edoardo e
Tommaso. Proprio quest’ultimo mi distoglie dai soliti pensieri
nostalgici e mi riporta alla realtà. «Ehi, Emma! Quel pacchetto
quando glielo darai?» La sua espressione da saputello mi
infastidisce ogni volta, ma per amore della mia amica faccio
finta di nulla.
Tommy e Claudia si rispecchiano alla perfezione. Sono fatti
per stare insieme proprio perché sono uguali, con l’unica
differenza che uno dei due è, ai miei occhi, insopportabile.
Anche lui precisino, preoccupato di apparire prima che di essere,
sempre ben vestito e curato, con la parola giusta al momento
giusto. Il classico tipo con cui non uscirei mai.
«Hai ragione, Claudia, scusami. Questo è per te, con tutto il
mio cuore. Buon compleanno» le dico, e le consegno il
pacchettino.
«Sai, Edo, queste due matte si regalano sempre la stessa cosa
ai rispettivi compleanni da quando si conoscono: dei libri! Dico
io, non vi siete ancora rotte di leggere in continuazione?»
«Falla finita!» lo rimprovera la mia amica. «È la nostra
tradizione e la sarà per sempre.» Mentre parla, scarta il regalo,
Va‘ dove ti porta il cuore, di Susanna Tamaro. «Tu sì, che mi
conosci! Ti voglio bene, Emma.» Mi mostra un sorriso
dolcissimo.
Edo mi tiene per mano. Gli piace Claudia e la nostra amicizia
così speciale. È simpatico a tutta la mia compagnia e si sta
integrando molto bene. Succede così, quando si tratta di lui,
piace sempre a tutti.
«Anch’io credo di sapere quello che vuoi» interviene
Tommy, quasi ingelosito. «E ho un regalo speciale per te,
tesoro.» Tira fuori una scatolina e la posa sul tavolo, di fronte a
lei. Al suo interno, non c’è un anello di fidanzamento – grazie
al cielo –, ma una chiave dorata.
«È proprio vero?» Claudia è in visibilio. Abbraccia il suo
ragazzo e lo bacia con passione.
«Sì, finalmente l’ho trovata.»
«Ragazzi, ditelo anche a noi, a questo punto siamo curiosi di
sapere» interviene Edo, bevendo un sorso di vino.
«Claudia, devi dirmi qualcosa?» Sono scioccata.
«Sì, eccome! Io e Tommaso andiamo a vivere insieme.» Batte
forte le mani proprio come farebbe una ragazzina.
«È la chiave della nostra casa. Quella perfetta per noi» si
pavoneggia Tommy. Poi si gira verso di lei. «Domani vieni a
vederla anche tu. Ti piacerà senz’altro.»
«Andate a convivere in un posto che non hai mai visto?»
Questa sì che è un’enorme stupidaggine.
«Emma, che importa? Mi fido di Tommy e sono certa che
sarà fantastica. Non sei felice per me?»
«Ma certo! Certo che sono felice per te. Per voi. Solo che mi
sembra tutto così strano… Ti conosco meglio di chiunque altro
al mondo e questo atteggiamento non è proprio da te. Scusa se
te lo dico così, davanti a tutti, ma secondo me stai facendo una
scelta troppo azzardata. Forse dovresti pensarci un po’ su.»
Da quel momento la serata prende una piega diversa, e fra di
noi si crea una tensione poco piacevole.

Rientriamo a casa molto stanchi.


«Resti qui, questa sera? È tardi e domani è domenica» chiedo
a Edoardo. «Non accetto un no come risposta.»
«Molto volentieri. Sono a pezzi e ho bisogno di dormire.»
Sembra frastornato dall’alcol che ha in corpo e io non sono da
meno.
«Anche io sono stanca, non vedo l’ora di coricarmi.» Lui si
accorge che qualcosa mi frulla in testa e mi osserva con un’aria
strana. «Non ti sembra tutto troppo perfetto? Andare a convivere
in una casa che non ha mai visto, solo perché lo ha deciso lui?
Non ti sembra un po’ troppo forzato? Secondo me, certe scelte
si devono fare insieme. È assurdo» dico perplessa.
«Non mi sembrava così dispiaciuta e nemmeno costretta a
farlo. Magari si fida di lui o magari vuole soltanto vivere la sua
storia senza curarsi del posto. Sono una gran bella coppia e sono
fatti l’uno per l’altra» ribatte, mentre lo guardo sbottonandogli
la camicia.
«Comunque, non è da lei. È una maniaca del dettaglio. Non
ho idea del perché non abbia visto quella casa, ma qualcosa non
mi convince» insisto.
«Forse sei così abituata a restare delusa dalla vita che non
credi esistano più le cose belle, quelle senza nessun segreto
misterioso che devi per forza scoprire. Ho paura che lo farai
anche con me, fra un po’ di tempo, che tenterai di capire cos’ho
che non va, senza averne alcun motivo.»
Non posso credere che sia stato capace di dirmi una cosa del
genere. Sento la rabbia montare dentro e insieme la certezza che
Claudia gli abbia riferito qualche parola di troppo. Sembra quasi
che intuisca il mio pensiero.
«Claudia mi ha raccontato molte cose. È preoccupata per te,
vuole solo che tu sia felice» continua.
Da quando mi parlano alle spalle?
«In che modo? Andando in giro a raccontare i fatti miei? Di
quanto siano patetiche e fallimentari le mie storie passate?»
Certe confidenze dovrei farle io, al mio ragazzo, non di certo
la mia migliore amica.
«Non le storie, la storia. Quella che ti ha sconvolto la vita.
Dici di averla superata, ma in fondo sai benissimo di esserci
ancora dentro fino al collo» continua, mentre si siede sul divano.
«E tu che ne sai di quella storia? Come puoi sapere cosa ho
superato e cosa no?» gli domando indispettita.
«Io non ti farei mai una cosa del genere. Non ti abbandonerei
mai così, su due piedi. È questo che ti fa paura. Hai paura di
innamorarti sul serio e di essere lasciata di nuovo da sola. Hai
paura di soffrire. Ma non succederà, non con me.» Il suo tono è
pieno di comprensione, la sua espressione è sincera. Io, però,
non riesco ad accettare questa sua intromissione.
«Non posso credere che tu mi stia dicendo queste cose.»
«Mi dispiace averti ferita, ti chiedo scusa. Voglio solo farti
capire quanto tenga a te. Se ne vorrai parlare, io ti ascolterò.
Solo, non litighiamo, ti prego.»
«Vorrei soltanto lasciarmi il passato alle spalle, e in questo
modo non ci riuscirò mai. Vorrei solo avere il mio spazio. Ora
però sono stanca e anche tu. È meglio se andiamo a dormire.»
Non c’è posto per il romanticismo questa notte. Andiamo a
letto con l’amaro in bocca e ci abbandoniamo entrambi a un
sonno profondo.
12

EMMA

28 Ottobre 1994

Amore,
c’è un’altra lacrima tatuata sul mio braccio da
questa notte. Non l’hai ancora vista, ma quando
succederà t’incazzerai parecchio. Non mi avresti
mai permesso di farla, ne sono certo. Sono
terrorizzato al solo pensiero di come tu ti possa
sentire, dopo quello che ti ho confessato.
Per quanto io abbia cercato di reprimerli, per
quanto mi sia sforzato di trattenerli, per quanto mi
sia opposto con tutte le mie forze, oggi sono crollato,
esausto, dentro me stesso. I miei demoni interiori
sono usciti fuori nel modo peggiore in cui potesse
accadere: te li ho vomitati in faccia tutti insieme. Ti
giuro che mi odio per quello chi ti ho fatto, non puoi
immaginare quanto, ma oggi, grazie a te, ho
realizzato il mio desiderio più grande: essere libero.
Libero da quell’immenso dolore, da quella
paura, da quella vergogna. Ho provato così tanta
rabbia e così tanto odio che mi sono sentito lacerato
per tutto questo tempo. Ho attraversato l’inferno e
cercato di non morirci dentro e soltanto ora capisco
che ne è valsa la pena, perché alla fine di quella
sofferenza ho trovato te. Tu: la mia roccia, la mia
forza, il mio coraggio.
Ma si è anche avverato ciò che ho sempre temuto,
ciò di cui ti avevo avvertita: i miei demoni sono
diventati anche i tuoi. Perdonami, amore, non avrei
mai voluto farti questo. Non avrei mai voluto doverti
distruggere come ho fatto oggi.
Hai fatto tantissimo per me da quando ci
conosciamo, più di chiunque altro in tutta la mia
vita. Non ti ringrazierò mai abbastanza. Farò
qualsiasi cosa per renderti felice come meriti, lo
giuro. Ogni giorno, se me lo permetterai.
Questa lacrima è il simbolo del male che ti ho
fatto, ma da cui tu stessa mi ha liberato.
Non lo dimenticherò. Mai.

Ti amo, Emma.
Per sempre, C.

Il giorno più duro della nostra storia, ma il più importante. È


stato terribile, la peggior giornata vissuta in vita mia. Lui invece
ne aveva già vissute tante di giornate orribili, ed era giunto al
capolinea.
Era pomeriggio e il cielo non prometteva nulla di buono, di
sicuro sarebbe venuto a piovere a momenti. L’aria era fresca;
novembre, del resto, era ormai alle porte. Il mio adorato autunno
cominciava a farsi sentire in modo prepotente.
Qualcuno suonò al campanello. Ero sola in casa e andai a
vedere chi fosse, anche se lo immaginavo. Verso quell‘ora,
infatti, Christian veniva da me, quasi tutti i giorni. Lo aspettavo
impaziente e restai delusa quando scoprii che non si trattava del
mio amore, ma del suo amico Carlo. Che cosa ci faceva qui?
Sembrava molto scosso.
«Ciao, Emma, mi dispiace piombare così, all’improvviso, ma
si tratta di...» Non finì la frase.
«Cosa gli è successo?» chiesi preoccupata.
«Non lo so, ma è fuori di sé. Sono passato da lui come al
solito, saremmo venuti da voi ragazze, ma era sconvolto. Non so
se abbia preso qualcosa o se stia male per i cazzi suoi, ma non è
il Christian che conosco, non l’ho mai visto in questo stato. Non
è voluto venire con me, mi ha solo detto che andava alla Quercia
e ha aggiunto di non seguirlo. Dice che vuole essere lasciato in
pace. Non sapendo cosa fare, ho pensato di venirti a prendere.
Cerchiamo di ritrovarlo, poi ci inventeremo qualcosa. Prendi il
giubbotto e andiamo.»
«Alla Quercia? Deve essere qualcosa di serio se si è rifugiato
lì, sai che ci va quando vuole isolarsi dal resto del mondo. È il
suo posto segreto. Il nostro, a dire il vero.»
In dieci minuti arrivammo a destinazione e la pioggia iniziò
a farsi sentire. Riconobbi il suo scooter parcheggiato, ma di lui
non c’era traccia. Ci guardammo intorno poi, in lontananza, lo
scorgemmo sulla riva del fiume, girato di spalle e in ginocchio
dentro l’acqua.
«Non sta per niente bene. Sta soffrendo, Emma, e non so cosa
fare. Non posso vederlo così.» Carlo mi guardò preoccupato.
«Ora ci penso io. Grazie per essere venuto da me, sei un buon
amico.»
«Vi lascio soli, forse è proprio questo di cui ha bisogno. Vado
da Mari. Mi trovi lì per qualsiasi cosa. Buona fortuna.»
Mi incamminai verso Christian con il cuore che batteva
all’impazzata. Quando gli fui vicina, mi accorsi che era fradicio.
Aveva le gambe bagnate e stava tremando, ma ero certa che,
anche girato di spalle, si fosse accorto della mia presenza.
«Vattene, Emma, vattene via!» urlò, buttando fuori una
terribile disperazione. Non riusciva nemmeno a guardarmi.
«Amore, ti prego, dimmi cosa succede.» Mi uccideva vederlo
in quello stato. Non sapevo bene cosa fare, non avevo mai visto
nessuno ridursi in quel modo.
Si voltò, fissandomi. Sul viso aveva impresso un dolore così
evidente che mi straziò il cuore. Aveva la bava alla bocca e gli
occhi iniettati di sangue. Sembrava sconvolto. Quel suo male
interiore lo stava consumando ogni giorno di più.
«Parlami, ti prego, voglio solo aiutarti.» Doveva liberarsi di
quel macigno a tutti i costi. Ne aveva bisogno per poter andare
avanti.
Mi voltò di nuovo le spalle, ma, all’improvviso, si mise a
parlare, esausto. «Il nero è un colore sopravvalutato. Si dice che
stia bene con tutto. Non penso proprio… Credo invece sia il
colore della sofferenza, di qualcosa che muore. Il colore delle
botte, dei lividi, del mio malessere interiore. Dei pugni presi. Del
disagio che sento. Del disagio subìto. Dell’anima fragile e ferita.
Del mio dolore. Dell’odio che provo verso il mondo intero.
Dell’umiliazione continua. Vorrei tanto vedere i colori.»
Ero confusa. «Mi dispiace, non riesco a capire…» cercai di
dire, ma mi interruppe subito.
«Bob. Era il soprannome dell’uomo che mi ha fatto questi
segni sul corpo. È stato il compagno di mia madre. Ha accolto
in casa un pazzo psicopatico che si è tanto divertito a farmi del
male. Ero soltanto un ragazzino minuto e indifeso. Mi ha
maltrattato per anni, in modi sempre più meschini e violenti, ma
è stato furbo. È riuscito quasi sempre a non lasciarmi segni
evidenti e, comunque, ho imparato a nasconderli benissimo.
Nessuno se ne sarebbe mai accorto.» Lo ascoltai piangere e
singhiozzare. Lo osservai vomitare. Ansimava e tossiva forte.
Non mi degnò di uno sguardo, ma quando provai a fare un
piccolo passo verso di lui, fece cenno di no con la mano.
«Ha minacciato spesso di uccidermi se lo avessi raccontato a
qualcuno. Di uccidere mia madre. La picchiava, sai? Mai in mia
presenza, ma quegli occhi privi di emozioni e quei lividi strani
su tutto il corpo… Insomma, lo avevo capito. Credo che anche
lei sapesse, o quantomeno sospettasse ciò che subivo quasi ogni
giorno, ma era completamente piegata al suo volere e
terrorizzata anche al solo pensiero di poter fare una mossa per
difendersi, o difendermi. Non la biasimo per questo, mi dispiace
soltanto di non essere riuscito a proteggerla. Mia madre è una
donna molto fragile e indifesa. Sono cresciuto in quell’inferno,
provando odio e meditando vendetta ogni secondo della mia
vita.
Un giorno, un paio di anni fa, quel bastardo ha aperto la porta
della mia camera con un calcio, poi l’ha chiusa a chiave. Non
aveva mai abusato di me fino ad allora e di sicuro non lo avrebbe
mai fatto. In quel momento ho giurato a me stesso che non ci
avrebbe mai più toccato. Mi sono scagliato contro di lui con tutta
la forza che avevo. L’ho buttato per terra e l’ho preso a calci
ovunque, con tutta la rabbia e la disperazione accumulata. Gli ho
fatto molto male. Avrei voluto ucciderlo, quel figlio di puttana.»
Si prese un istante per respirare.
«C’è stata una denuncia, un processo, una sentenza. Ricordi
quando sono andato via con mia madre a settembre? È stato
proprio per sistemare questa storia. Così, poco più di un anno fa,
siamo scappati da quella merda: mamma mi ha portato qui, a
casa della nonna.» Riprese a vomitare di nuovo nel fiume. Poi,
il suo sguardo tornò su di me.
Quella volta, mi permise di avvicinarmi: aveva il viso
pallidissimo e le labbra viola. I suoi respiri erano troppo veloci,
in affanno. Pensai fosse un attacco di panico. Si alzò in piedi e
iniziò a urlare con tutto il fiato che aveva in corpo: «Perché io,
perché?» Barcollò verso di me e mi fissò. Era sfinito da quel
pianto disperato. In quel preciso istante, fui consapevole di
quanto il ragazzo che avevo di fronte e che amavo con tutta me
stessa avesse sofferto, a soli diciassette anni. Mi resi conto di
quanto fosse ingiusto e orribile. Anche io scoppiai a piangere e
non riuscii più a fermarmi. Lui mi abbracciò forte, fortissimo.
Stava tremando e non si reggeva quasi in piedi. Temevo potesse
svenire da un momento all’altro.
Costrinsi me stessa a essere forte, ma mai avrei potuto capire
cosa realmente avesse passato, perché era una cosa troppo
grande e spaventosa per una ragazzina come me.
Mi sentivo piccola e impotente al tempo stesso. Christian era
stato protagonista di un film horror per gran parte della sua
esistenza e io, in quel momento, non avevo idea di cosa fare.
Lui era cresciuto così in fretta, vivendo una vita che non
meritava, io in confronto ero una bambina e stavo appena
incominciando a capirlo nel profondo.
Mi sentivo inadeguata e avevo paura come non mai. Ero
confusa e impreparata su ciò che sarebbe successo d’ora in poi.
Ero certa di una cosa soltanto: lo amavo ancora di più. Avrei
fatto di tutto per aiutarlo, bastava soltanto che me lo chiedesse.
«Perdonami, non avrei mai voluto tu lo sapessi, di certo non
in questo modo.» Le lacrime ricominciarono a scorrere senza
che se ne rendesse conto. «Ma io non ce la faccio più a tenermi
dentro questo inferno. Aiutami, Emma, ti prego. Non posso
andare avanti così ancora per molto.»
Lo guardai, asciugandogli il viso. Aveva un assoluto bisogno
che qualcuno si prendesse cura di lui. Stava tremando, era
pallido e bagnato fradicio. «Sono qui per te. Ti starò accanto, te
lo prometto. Lo affronteremo insieme. Ora andiamocene via.
Avremo tempo per parlare.»
Tornammo da lui in scooter. Stavamo congelando: per strada,
l’aria era fredda e noi zuppi d’acqua. La pioggia sembrava non
volerci dare tregua. Per fortuna il tragitto fu breve.
Appena entrati in casa sua, ci levammo i vestiti mettendoli ad
asciugare sul termosifone. Christian preparò un bagno caldo, che
si rivelò un vero toccasana. Entrammo insieme nella vasca,
infreddoliti. Lui era seduto dietro di me, e io mi abbandonai
sopra il suo petto.
La sensazione dell’acqua era meravigliosa.
Restammo immobili per un po’ di tempo, con gli occhi chiusi.
Eravamo senza forze, senza parole, ma insieme. Sentivo che
sarebbe andato tutto bene.
«Mi dispiace. Non te la meriti questa merda.» Fu lui il primo
a parlare. Mi baciò sul collo.
«Sei tu che non meriti questa sofferenza. Ora capisco i
demoni. Capisco il tuo timore quando dicevi che sarebbero
diventati anche i miei, perché non si può rimanere indifferenti a
una cosa del genere, è impossibile.»
L’istinto di piangere era difficile da trattenere.
«Lo so. Mi odio per quello che ti ho fatto, devi credermi.»
«E io invece ti amo, ti amo ancora di più. Come non ho mai
amato nessuno e come non amerò mai. Sei il solo per me e lo
sarai per sempre.»
«Sei tutta la mia vita. Quella che comincia adesso. Quella che
sento di meritare. Ti amo, Emma, non puoi sapere quanto.»
Restammo ancora per qualche minuto nell’acqua, abbracciati
e in silenzio. Una volta rivestiti, ci ritrovammo a parlare con una
tazza di tè in mano, più uniti che mai.
«Ti senti un po’ meglio?» Ero ancora molto preoccupata per
lui.
«Mi sento svuotato, finalmente, dopo un’infinità di tempo. È
una sensazione meravigliosa.»
Finimmo di bere il nostro tè e una volta a letto crollammo in
un sonno profondo, dormendo per il resto del pomeriggio.
Per fortuna smise di piovere e verso sera Christian mi riportò
a casa. Dopo esserci salutati, osservai di nuovo i suoi occhi
verdastri per un istante, prima che se ne andasse. Tirai un sospiro
di sollievo quando mi accorsi di non notare più nel suo sguardo
quel tormento in cui ero abituata a vedermi riflessa.
13

EMMA

Ho fatto pace con Edo questa mattina. Svegliarmi con lui


accanto è stato molto piacevole, nonostante gli screzi della sera
precedente. Mi ci potrei abituare ad averlo qui intorno. Dopo
esserci riappacificati fra le lenzuola e aver fatto un’abbondante
colazione a letto, mi saluta controvoglia, desideroso di restare
ancora e ricominciare tutto daccapo. Purtroppo, dobbiamo
proprio salutarci.
Le parole che mi ha detto ieri sono vere, lo ammetto, ma
senza dubbio inopportune. In fondo, chi è lui per farmi la predica
sulla vita? Senza sapere nulla della mia storia e senza saperlo da
me, soprattutto. Usciamo insieme da troppo poco tempo, stiamo
imparando a conoscerci e mi sto sforzando di avere un
atteggiamento diverso. Un messaggio sul cellulare mi distoglie
da questi pensieri.

EDOARDO: Sono appena andato via e già mi


manchi. Mi dispiace. Non sono affari miei e non
avrei dovuto dirti quelle cose.

EMMA: E io non avrei dovuto prendermela tanto.


Un giorno ti racconterò delle mie paure.

EDOARDO: Quando sarai pronta. Ti prometto che


non ti farò pressioni.

EMMA: Grazie. È importante per me.


EDOARDO: Anche tu sei importante per me. A più
tardi. P.S. Sei stata incredibile questa mattina…

È già metà pomeriggio e me la sono presa con molta calma.


La festa di ieri sera mi ha stordita e l’alcol ingerito ha
decisamente peggiorato la situazione.
Ripenso all’annuncio di Claudia e Tommy. Non sono rimasta
sorpresa soltanto io, ma quasi tutti i nostri amici. Non ci voglio
proprio pensare: in questo momento sarà con il fidanzato
perfetto, nella casa perfetta, a gongolare. Tanto perfetta che non
l’ha neppure vista, prima di decidere se davvero lo fosse. In ogni
caso, non dovevo sbottare in quel modo, con quell’uscita
infelice. Claudia mi conosce bene e sicuramente avrà intuito le
mie paure. Decido comunque di mandarle un messaggio e di
porgere un rametto d’ulivo.

EMMA: Mi dispiace molto per come mi sono


comportata ieri sera. È stata una festa bellissima
e ho rovinato tutto. Puoi perdonarmi?

CLAUDIA: Non hai bisogno di farti perdonare.


Vorrei soltanto averti dalla mia parte. Voglio che
tu sia felice per me. Non mi sembra di chiedere
troppo…

EMMA: Hai ragione. Sei la mia migliore amica.


Sarò sempre dalla tua parte. Ti voglio bene.

CLAUDIA: Anche io, zuccona. Stiamo andando


nella nuova casa. Sono felicissima.

EMMA: E io curiosissima. Aggiornami appena


puoi!
Ora che ho sistemato a dovere il mio appartamento, sono
quasi pronta per andare a riprendere Tete. Telefono a mia madre.
«Stavo per chiamarti io. Qui c’è Bea che sta giocando con la
piccola, se la vieni a prendere ora la farai rimanere malissimo.
Falle divertire finché vogliono. Perché non la lasci qui anche
questa sera? In casa abbiamo tutto quello che ci serve, poi
domani mattina l’accompagniamo noi all’asilo. Passa solo a
portare il sacchetto con il cambio, va bene?» È felicissima di
tenerla ancora con lei.
«Con me eri più severa, lo ricordo molto bene. Le permetti di
fare ciò che vuole, non ti riconosco più.»
«Quando sarai nonna, capirai. Allora, siamo d’accordo?»
«Sì, però passamela un momento, fammici parlare.»
Il suono della sua vocina allegra mi riempie il cuore di gioia,
resterei per ore ad ascoltare quei discorsi strampalati di bimba.
Le prometto che andrò a salutarla domani mattina all’asilo,
prima di andare al lavoro.
Non è stato semplice scoprire di diventare madre. Ho sofferto
da pazzi dopo la storia con Christian e affrontare quel senso di
vuoto è stato un vero trauma. Come ciliegina sulla torta, quella
gravidanza così improvvisa e inaspettata. Oggi mi chiedo quali
altre sorprese mi possa riservare il destino. Di sicuro, mi ha
portato la cosa più bella che potessi avere dalla vita: una figlia.
Mi preparo una cena veloce e mentre mangio squilla il
telefono. Claudia mi aggiorna su tutto. La casa la soddisfa in
pieno, è proprio come l’aveva sempre sognata. Ha le chiavi e
non vede l’ora di mostrarmela. La sua voce mi spacca i timpani
da quanto strilla di felicità.
Le propongo di andarci subito, avendo la serata libera. Posso
passare a prenderla e accompagnarla al suo nido d’amore, in
modo che me lo possa mostrare. Ci accordiamo di vederci da lei
fra un’ora. Mi cambio e chiamo Edo per raccontargli i
programmi della serata. Lui mi raccomanda di mordermi la
lingua se vedo o sento qualcosa che non mi piace. In fondo,
Claudia è così felice che sarebbe un peccato rovinare questo bel
momento.
Gli prometto che sarò buona e mi accordo per uscire. Vorrei
tanto che ci vedessimo in settimana. Accetta felice e sembra
essersi già dimenticato dei dissapori che ci sono stati fra di noi.
«Aspetto che mi chiami.»
«Ci sentiamo domani. Ora va’ a vedere questa casa, voglio
che mi racconti tutto, ormai sono quasi più curioso di te!»
Vado a recuperare Claudia e, come immaginavo, è già in
strada che mi aspetta. Sale in macchina in totale stato di grazia.
«Questa volta hai dubitato del mio ragazzo, ma ti dovrai
ricredere. Ha scelto la casa dei nostri sogni, non avrebbe potuto
fare di meglio. È stupenda! Sono certa ti piacerà. È a dieci minuti
dalla tua, cosa vuoi di più? Devo ammetterlo, Tommaso mi
conosce proprio bene.» Sembra un fiume in piena, non l’ho mai
vista così.
«Sono felice per te, amica mia. Coraggio, muoio di
curiosità.» C’è allegria nell’aria.
«Ci trasferiremo durante il week-end, dobbiamo giusto
portare le cose necessarie per dormire e cucinare. Se manca
qualcosa, lo andiamo a prendere sabato o in settimana, ma chi se
ne frega! Non sto più nella pelle. Questa sera avrei voluto
dormire lì con Tommy, ma deve cenare dai suoi e abbiamo
dovuto rimandare. Meglio, così mi dici se ti piace o meno. Mi
raccomando: la verità, ok?»
Parcheggiamo e facciamo giusto due passi. Saliamo al terzo
piano di una palazzina nuova, ben tenuta e ordinata. Che Tommy
abbia davvero fatto centro? Vedremo. Fino alla fine non gliela
voglio dar vinta.
La porta d’ingresso mi piace tantissimo: è una blindata color
verde salvia, molto elegante. La chiave che ha in mano Claudia
gira silenziosa nella serratura. Entra in casa per prima, poi fa un
passo indietro e si volta verso di me di scatto.
«Che c’è?» Non capisco perché non siamo ancora entrate.
Con gli occhi sbarrati si porta l’indice davanti alla bocca,
facendomi segno di stare zitta. Mi trascina per un braccio,
entriamo, c’è qualcosa che non va. Non accendiamo le luci e,
come due ladre, restiamo nella penombra a fissarci. C’è un
profumo molto dolce che aleggia ovunque e candele accese che
illuminano l’intero corridoio.
Se il mio intuito avesse ragione, vorrei non aver mai detto a
Claudia di uscire questa sera e dall’espressione che ha in volto
credo che anche lei la pensi con me.
Da una camera, non ho idea quale, sentiamo un uomo e una
donna ansimare concitatamente. Riconosco subito la voce di
Tommy non appena dalla sua bocca escono volgarità degne di
un film porno. È tutto molto confuso, ma estremamente chiaro.
La mia amica è fuori di sé. Nei suoi occhi furenti leggo quello
che sta per succedere: raggiunge in un istante quella che
immagino sia la camera da letto e si blocca scioccata sulla soglia,
mentre i due amanti sono ancora ignari di ciò che accadrà a
breve. Batte le mani e applaude per lo spettacolo indegno offerto
da quel traditore.
«Bravi! Bella esibizione. Complimenti, brutto bastardo.»
Accende la luce, trovandola a fatica. Povera amica mia. Conosce
a malapena quell’appartamento e già deve odiarlo… «Chi cazzo
è lei? Sei un porco! Ti odio, non ti voglio vedere mai più.» Inizia
a piangere e urlare. «Siamo stati qui oggi pomeriggio, brutto
pezzo di merda. L’hai scelta tu, questa casa, vero? “Finalmente
l’ho trovata…” Ma che cazzo dici? Da quanto tempo vieni qui a
scopare? Mi fai schifo!»
Nel frattempo, si è avvicinata al letto con l’intento di
schiaffeggiarlo. La osservo mentre lo colpisce in faccia, stento a
credere ai miei occhi. Riconosco la stronza, la conosco di vista:
è la commessa di un negozio di fiori vicino al nostro ufficio, avrà
come minimo quindici anni più di Tommaso.
«E tu che cazzo ci fai qui?» Tommaso mi guarda con odio.
Poi si rivolge a Claudia. «Perché hai portato anche la tua amica
sfigata?»
Sfigata io?
«Fatti i cazzi tuoi, stronza! Sei sempre fra i coglioni!»
Mi urla addosso come un pazzo.
Idiota.
«Non ti azzardare a trattarla così, brutto verme» interviene
Claudia. «Ero venuta a mostrarle la casa. Mi sentivo così felice
e orgogliosa di noi… Ora, invece, mi viene da vomitare.» Si gira
verso quella donna, non vorrei essere nei suoi panni. «E tu chi
cazzo sei? Da quanto tempo ti scopi il mio ragazzo? Guardati.
Potresti essere sua madre!»
«Calmati, stronza, stai buona. Non sapevo avesse la
fidanzatina. Fatti raccontare tutto da lui» le risponde e finisce di
vestirsi.
«Tutto cosa?» Claudia le si avvicina e le tira un ceffone in
pieno volto. A questo punto intervengo e le blocco le braccia.
Devo usare tutta la forza che ho in corpo, è una furia in questo
momento. Ha un’espressione terribile. «Dimmi solo il perché»
dice, rivolgendosi a quell’essere indegno. «Dimmi che cosa ti ho
fatto per meritarmi questa umiliazione, perché io da sola proprio
non ci arrivo.» Odio vederla così. Mi si spezza il cuore.
Lui non proferisce parola. Non ha nemmeno il coraggio di
risponderle. Evita il suo sguardo disperato ma sincero e, ancora
una volta, la ferisce con il suo silenzio imbarazzato.
«Andiamo a casa, Emma.»
Tommy l’ha completamente distrutta. «Sei proprio un
coglione.» Che piacere poterglielo dire in faccia. Non sono
riuscita a resistere. «La mia amica non merita di certo di stare
con una feccia come te. Sei uscito allo scoperto, mi fai proprio
pena. A proposito, gran bella casa.»
Vado via sbattendo la porta più forte che posso.
Claudia scende le scale, io prendo l’ascensore. Quando la
raggiungo è in un mare di lacrime. Trema come una foglia ed è
pallida in viso. Quando sale in macchina, mi rivolge a malapena
la parola. «Voglio andare a casa, ti prego, portami via da qui.»
14

EMMA

25 Novembre 1994

Ciao, ragazzina,
oggi sei stata fantastica, ti sei superata.
Ricorda questa cosa: quando hai accanto una
persona che tiene a te, che farebbe di tutto per farti
felice, puoi dire di essere un privilegiato.
Non servono grandi cose, basta avere la persona
giusta accanto.
Oggi è stato tutto perfetto, non avresti potuto fare
di meglio. Il miglior compleanno che abbia mai
avuto.
Hai distrutto la mia oscurità con la tua luce
meravigliosa.

Sei l’amore, C.

Ero agitatissima. Aspettai che arrivasse da me e, come tutti i


pomeriggi, stavo contando i secondi.
Era una giornata speciale: lui ancora non lo sapeva, ma
avremmo festeggiato il suo compleanno. Diciassette anni, come
i miei. Aveva già vissuto così tanto e sofferto le pene
dell’inferno. In confronto, io ero solo una bambina. Avrei voluto
regalargli esclusivamente dei bei momenti, compresa quella
giornata.
Sentii suonare il campanello e corsi ad aprire subito. Non una
parola, ci guardammo negli occhi e ci abbracciammo forte.
«Ti amo, tesoro, buon compleanno.» Ero raggiante.
«Sei dolce, ragazzina. Te lo sei ricordata, vedo.» Cercò di
prendermi in giro, ma era arrossito e non riuscì a nascondere
quanto gli facesse piacere essere al centro dell’attenzione,
almeno per quel giorno. «Ti amo» ripeté con quegli occhi
verdastri, che erano una meraviglia. Aveva uno sguardo
ipnotico, ogni cosa in lui era sconvolgente e irresistibile, almeno
per me.
«Ora entra in casa.» Lo presi per mano. «Vieni qui.» Ero più
impaziente di Christian stesso. Gli indicai una sedia in cucina,
lui si accomodò e si divertì a osservare quel teatrino e tutta la
mia innata goffaggine. Tirai fuori dalla tasca una benda.
«Cosa vuoi farmi?» Aveva un sorriso spudorato, tanto da
riuscire a mettermi in imbarazzo: potevo quasi leggere i pensieri
sconci che gli passavano per la mente.
«Non farti strane idee.» Gli coprii gli occhi con quel pezzo di
stoffa. «Non sbirciare, sta’ zitto e fermo.»
In un attimo, tirai fuori una piccola torta dal frigorifero. Era
la prima volta che cucinavo un dolce e non avevo idea di come
poteva essere venuto, ma non sembrava così disastroso. Lo
appoggiai sul tavolo e accesi le candeline. «Sei pronto?»
Tastò l’aria intorno, trovò le mie mani e mi tirò verso di sé.
«Prontissimo.» Mi abbracciò forte.
Gli liberai gli occhi.
«L’hai fatta tu?» Arrivano le note dolenti.
«È così evidente? È una mezza schifezza, ma giuro che ho
fatto del mio meglio.»
Che vergogna!
«No, non ti devi dispiacere, sembra molto invitante. È bello
che l’abbia cucinata tu.» Di sicuro, mentiva sapendo di mentire,
ma mi faceva molto piacere. Sembrava addirittura commosso.
«Spegni le candeline ed esprimi un desiderio.»
Christian soffiò i numeri infilati sul dolce, fra i miei applausi.
«Auguri, tesoro mio.» Lo baciai intensamente, una, due, dieci
volte. Non avrei mai smesso. «Allora, qual è il tuo sogno? So
che non vale dirlo, ma lo vorrei tanto sapere. Sono certa che si
avvererà comunque. Meriti il meglio dalla vita.»
«Stare con te» rispose deciso.
«Sì, lo so. È meraviglioso. Oltre a questo, intendo» insistetti.
«Come oltre a questo? Non lo sminuire» continuò, deluso.
«Non volevo farlo. Voglio dire, prima di noi cosa sognavi?»
«Proprio nulla. Queste sono cose tipiche di te, ragazzina. Non
avevo sogni, ma soltanto incubi. Sono cresciuto come un cane
randagio, per strada, affamato e ingordo di cibo e di vita. Una
vita felice, capisci, non quella merda. Una vita con te…» mi
rivelò con amarezza. Mi sentii una stupida. «Il tuo sogno, invece,
quale sarebbe?» continuò.
«Realizzare il tuo.»
Ci scambiammo un bacio lento e sincero e capii che era
impagabile sentirsi in quel modo.
«La vogliamo assaggiare?»
Era da urlo con quel maglioncino blu e, in quel momento,
avrei voluto levargli tutti i vestiti di dosso. Era il mio unico
pensiero, non potevo farci nulla. Era l’effetto che aveva su di
me.
«Che cosa?» Ero in confusione totale, travolta dal suo
profumo così buono.
«La torta, amore, la torta. Se c’è altro che vorresti
assaggiare…» Gli piaceva stuzzicarmi. Gli brillavano gli occhi.
«Smettila, stupido. Sì, la torta. Ne sei proprio sicuro?» Io non
ci tenevo per niente.
«Ma certo, sii coraggiosa.»
Presi i piattini e ne tagliai due fette.
«Non sembra affatto male» disse, mentre ne assaggiava un
pezzettino. «Infatti è molto buona. Visto? Devi avere più fiducia
in te stessa, ragazzina.» La finì tutta. Ancora oggi, non so dire
se lo avesse fatto per educazione o perché gli era piaciuta sul
serio.
«Ho un regalo per te.» Dissi con imbarazzo. «Mi dispiace,
Christian, non ho soldi e mi sono dovuta arrangiare. Però l’ho
fatto con il cuore, spero ti piaccia.»
«I regali non sono necessari. Sul serio, c’è tutto quello che
desidero qui, di fronte a me, ma grazie, hai fatto più di quello
che avresti dovuto.» Scartò il piccolo pacchettino blu che aveva
fra le mani. Non potendo comprargli nulla, avevo registrato per
lui una cassetta con le nostre canzoni preferite. Ascoltava musica
di continuo, quindi avevo pensato che sarebbe stato un regalo
perfetto.
Quando vide il nastro, il titolo e le canzoni che avevo inserito,
non si finse felice come per la torta, ne era entusiasta!
«Mi lasci sempre senza parole. È il miglior regalo che potessi
ricevere. Ogni volta che ascolterò questa cassetta penserò a te. E
la ascolterò molto spesso, ci puoi scommettere. Guarda qui che
pezzi!» Si alzò, avvicinandosi, in piedi di fronte a me. Mi prese
il viso fra le mani e mi baciò con dolcezza. «Grazie.»
Ricambiai quel bacio. Sentii il suo respiro addosso, così
chiusi gli occhi e annusai l’odore della sua pelle. Appoggiai la
testa sulla sua spalla, gli accarezzai il collo con le labbra, per poi
ritrovare quello sguardo.
«Che ne dici se adesso giochiamo un po’?» sussurrò,
guardandomi desideroso.
«A cosa?» Lo stuzzicai, certa che qualche minuto dopo
saremmo stati completamente nudi.
«Andiamo in camera tua, così te lo mostro.» Allungò la mano
verso il tavolo e afferrò la benda.
Ci spogliammo in fretta prima di buttarci sul letto. A dire la
verità, non aspettavamo di fare altro da quando Christian era
entrato in casa. In quel periodo, proprio non riuscivamo a
resisterci. Trascorrevamo la maggior parte del nostro tempo nudi
e in camera da letto.
«Sdraiati e dammi le mani.» Si accorse del timore nei miei
occhi. «Tranquilla, ti assicuro che ti piacerà.» Mi legò i polsi alla
testiera e incominciò a baciarmi ovunque. La sensazione di
essere in suo potere mi faceva impazzire. Pensai che avrei potuto
fare di tutto con lui, gli avrei concesso qualsiasi cosa se solo me
l’avesse chiesta. Lui era un diavolo tentatore, un serpente a
sonagli che si divertiva a strisciare sul mio corpo, provocandomi
ogni volta. Da quando era entrato nella mia vita, facevo e
pensavo cose che non avrei osato neanche immaginare. O, forse,
stavo solo crescendo. In fondo, stavo diventando una donna.
Scivolò dentro di me; fare l’amore era incredibile, ogni volta
più bello. Mentre ci muovevamo all’unisono, mi sciolse le mani
e io affondai le unghie nella sua schiena. Gli piaceva, lo sentivo
dai suoi gemiti. All’improvviso, lo fermai. Lo bendai per la
seconda volta quel pomeriggio, poi scivolai io sopra di lui.
Mi mossi piano per godere del suo corpo nel migliore dei
modi, per assaporare quelle sue espressioni così vogliose. Gli
leggevo in faccia quanto mi desiderasse, sentivo quel piacere
crescere sempre di più, da non poterne fare a meno. Aumentai il
ritmo, lui fece altrettanto e ci perdemmo in quel modo fino a
oltrepassare il limite.
Gli tolsi la benda. Eravamo entrambi storditi dal sesso appena
goduto. Christian mi abbracciò forte e mi accarezzò la schiena.
«Con te è stata la prima volta. La prima volta che ho fatto
l’amore.» Nessuno mi aveva mai guardata così.
Presi nuovamente la benda e legai insieme i nostri polsi. Ci
confondemmo dentro mille baci.
«Non serve» sussurrò. «Siamo legati dall’interno, le mie
radici sono intrecciate alle tue. Sono così radicate l’una dentro
l’altra che sono impossibili da separare. Così profonde che, se
qualcuno provasse a spezzarle, si farebbe male. Ti assicuro, si
farebbe molto male.»
«Io ti amo.» Riuscii a dirgli soltanto questo, nei miei occhi
luccicavano lacrime di pura felicità.
«Anch’io, ti amo. Grazie per questo giorno.»
15

EMMA

Claudia è letteralmente sparita dopo quell’orribile serata.


Sono giorni che non si presenta al lavoro, è assente da due
settimane e io non so più che cosa inventarmi. Ho provato a
cercarla, l’ho sommersa di messaggi e di telefonate, ma nulla.
Vorrei tanto aiutarla, anche se ci sono già passata: quando ti si
spezza il cuore, purtroppo, devi aggiustartelo da sola. Io posso
soltanto starle vicina, come ha fatto in passato lei con me. Forse
è troppo presto e ha soltanto bisogno dei suoi spazi, per accettare
quanto è accaduto. Deve toccare il fondo, io l’aiuterò in seguito
a risalire.
Intanto, la mia storia con Edoardo sta andando a gonfie vele.
Quella conversazione che tanto ci aveva infastidito è diventata
un ricordo sciocco. Non abbiamo più toccato l’argomento: non
ho voglia di fare l’ennesimo viaggio nel passato per raccontargli
di Christian, sento che non è ancora arrivato il momento giusto.
Lui rispetta i miei sentimenti e io non posso che essergliene
grata. Mi sento serena, come non accade da un’infinità di tempo.
Vuoi sentirti serena o di nuovo pazza d’amore?
Metto subito a tacere quella vocina fastidiosa che ogni tanto
si insinua dentro i miei pensieri.

Tre settimane dopo aver vissuto quella scena schifosa con


Tommy e la sua amante, Claudia si fa viva.
«Voglio uscire a divertirmi questo venerdì, ci stai? Ho tutta
l’intenzione di ballare, bere, ubriacarmi e non pensare a niente,
scatenarmi sui tavoli e ridere come una scema. E poi, desidero
sentirmi bella e che tutti mi guardino. Solo con te posso riuscire
a fare questa stronzata. Per favore, non dirmi di no, facciamola
e basta.» Ha deciso di vendicarsi del suo ex, è chiaro, nel modo
più semplice del mondo. Claudia non passa di certo inosservata
e rimorchiare un ragazzo, per lei, non è difficile. Devo solo
controllare che la situazione non degeneri. E poi, è una vita che
non vado a ballare. In fondo, che male c’è se mi diverto un po’
anch’io?

Sono proprio arrugginita, lo devo ammettere, entrare in un


locale verso l’una di notte non è più mia abitudine. Da quando
ho avuto Tete, al massimo il coprifuoco scatta alle nove e mezza.
Claudia è agghindata da rimorchio, le mie previsioni si sono
avverate con puntualità. Anche io non passo inosservata: ho
deciso di indossare un vestito azzurro fluo con tacchi color
corallo. Forse un po’ stravaganti, ma di grande effetto.
Entriamo nel locale e cerchiamo entrambe gli occhi di
qualcuno di familiare, ma nulla, nessuno dei nostri amici si vede
all’orizzonte. Devo ammettere che l’intera compagnia si è un po’
persa in queste settimane, ma con quello che è accaduto è
comprensibile. Nonostante Tommy abbia torto marcio, ciò che
è successo fra loro resta fra loro, non riguarda nessun altro. Gli
amici veri non giudicano, ma supportano e aiutano.
Andiamo al bar e ci facciamo portare subito due cocktail alla
frutta, di quelli coloratissimi, rigorosamente alcolici.
«È un figlio di puttana» mi grida nelle orecchie Claudia.
«Non lo perdonerò mai, lo odio per quello che mi ha fatto»
continua, e ordina il secondo giro. Avevamo una gran sete e ci
siamo scolate quei bicchieri in un attimo. «È tutta la settimana
che mi cerca, ma io non ci voglio parlare. I miei sono scioccati:
gli piaceva così tanto quel bravo ragazzo. Tanto vale cercarsi dei
cattivi ragazzi, come quelli che piacciono tanto a te.»
«Non credi di esagerare un pochino? Non sono attratta dai
cattivi ragazzi, non lo sono mai stata. Diciamo solo che abbiamo
gusti completamente diversi…» Decido di non infierire troppo,
mi sembra chiaro che non ho davanti la solita Claudia a cui tanto
sono affezionata.
Ride e continua a bere. Non è abituata a buttare giù alcol. Io,
invece, devo ammettere che me la cavo alla grande, per lo meno
in questo momento.
Andiamo a ballare e non passa molto tempo prima di essere
notate da un paio di tipi che ci salutano e si avvicinano. Sono
molto carini, anche se per Claudia non fa differenza. Uno dei
due è davvero uno schianto.
Che sto facendo?
Il tizio si accorge del mio sguardo interessato e non perde
tempo.
«Ciao, mi chiamo Francesco, posso offrirti da bere? Sei molto
bella.» Ci mettiamo a ballare un po’ insieme prima di andare al
bar. Siamo qui per divertirci, che male c’è?
«Sono Emma. Piacere di conoscerti. Sì, andiamo a bere, ma
viene anche la mia amica.» Temo il peggio, perché Claudia
questa sera è una bomba a orologeria.
Beviamo ancora con i nostri nuovi amici, ormai l’alcol è
entrato in circolo e quando succede diventa tutto molto facile,
divertente, giusto.
Ci ributtiamo in pista, io con Francesco e Claudia con…
Come si chiamava? Ma che importa!
Passano pochi minuti e la vedo strusciarsi provocante contro
quel tipo. Non gli sembrerà vero che una come lei gli si conceda
così, senza fare fatica. È ubriaca e non ci pensa due volte: gli
infila la lingua in bocca e lo bacia in centro pista, toccandolo
dappertutto.
«Claudia, che cazzo stai facendo? Lo sai o sei completamente
fuori di testa?» Sono preoccupata per lei, non voglio che faccia
cose di cui si potrebbe pentire.
«Tranquilla, amica mia, sono qui per questo. So bene quello
che faccio, quindi non rompere!» Riprende a baciare quello
sconosciuto.
«Devo andare in bagno» mi intrometto di nuovo. «Vieni con
me?»
«Dai, che palle, vacci da sola, la strada la sai. Io ho da fare
con… come hai detto che ti chiami?»
Sarebbe inutile insistere, quindi vado a cercare la toilette
senza di lei. È adulta, se vuole divertirsi è liberissima di farlo, io
non glielo impedirò di certo.
Il bagno è fuori dal locale; sto per entrare, ma mi sento tirare
per un braccio. È Francesco, mi ha seguita. Mi viene un colpo,
perché fino a quel momento pensavo non ci fosse nessuno.
Intorno a noi, infatti, non c’è anima viva.
«Sportiva, la tua amica» scherza. «Tu, invece? Una cosa è
certa, sei da sballo.» Si avvicina e prova a baciarmi. Lo spintono
forte lontano da me, guardandolo con disgusto.
Chi diavolo si crede di essere?
Lui cerca di spingermi dentro al bagno delle signore e ci
riesce. Sono terrorizzata. Prova a baciarmi di nuovo, ma io
riesco a divincolarmi e, quando mi accorgo che sta tentando di
chiudere la porta a chiave, temo il peggio. Per fortuna riesco a
scappare e a correre fuori da lì.
La strada non è più deserta come un attimo prima: un gruppo
di ragazzi è uscito fuori dal locale a bere e fumare una sigaretta.
Sono salva. E sconvolta. Che razza di persona può fare una cosa
del genere?
Disgustata da quel comportamento, cerco di tornare dentro il
locale più in fretta che posso. Voglio andarmene via subito,
prima però devo trovare Claudia. La vedo in centro pista con le
mani sul sedere di quel ragazzo appena conosciuto. Mi precipito
da lei e li separo con violenza.
«Voglio andare via. Andiamo, per favore.» Se solo
immaginasse il motivo…
«Emma, te l’ho già detto, sto bene! Mi voglio solo divertire
un po’.» Sbatte quegli occhioni da cerbiatta che la rendono così
innocente e sensuale.
«Ti prego, devo andarmene da qui…» Scoppio in un pianto
improvviso.
«Che cazzo è successo? Ti ha fatto qualcosa il suo amico?»
Ho tutta la sua attenzione, adesso.
«Niente, andiamo via, poi ti spiego in macchina. Ti prego,
Claudia, non voglio rimanere un secondo di più.»
Ce ne andiamo senza salutare nessuno e in un attimo siamo
fuori da quel posto. Una volta in auto le racconto ogni cosa, so
bene che non mi giudicherà.
«Non so proprio cosa sarebbe potuto succedere se non fossi
riuscita a liberarmi. Volevo solo passare qualche ora a
divertirmi, senza rischiare di essere violentata da uno
sconosciuto.»
«Lo dirai a Edoardo?»
«Non lo so. So soltanto che è tutto sbagliato. Tutto. Tu e
Tommy, io e Edo. Perché ogni cosa sta andando per il verso
sbagliato? Il destino, le persone, le situazioni. Perché ci
comportiamo così?» Scoppio a piangere.
«Non te lo so dire, Emma. Su una cosa però hai ragione: è
tutto sbagliato.»
16

EMMA

4 Gennaio 1995

COSE CHE MI PIACCIONO DI TE

 Il modo in cui mangi le patatine fritte e ti


sporchi le labbra di ketchup.
 Ascoltarti cantare a squarciagola, sapendo
che non te ne frega un cazzo di essere
intonata.
 Ogni volta che mi dai ragione davanti a
tutti, nonostante stia dicendo un’enorme
stronzata.
 Vederti con la mia tuta addosso: sta molto
meglio a te che a me.
 Toglierti quella tuta.
 Quando mi guardi.
 Come mi guardi.
 Ogni volta che ti siedi di fianco a me. Con
te accanto potrei superare tutto.
 I tuoi occhi, una calamita per i miei.
 Che stai leggendo Cujo. Adori Stephen
King, questo la dice lunga su chi sei.
 Le tue mutandine rosa con i cuori.
 Tutte le volte che mi prendi per mano.
 Quando pronunci il mio nome.
 Ogni volta che andiamo alla Quercia, ci
corichiamo su una coperta e restiamo in
silenzio per quasi tutto il tempo, per poi
raccontarci un sacco di cose.
 Che con te posso tirare fuori i miei pensieri
senza vergognarmene.
 Quando mi vedi triste e dici cazzate per
farmi ridere.
 Noi due insieme (per sempre, grazie).

COSE CHE NON MI PIACCIONO DI TE

Te lo dico un’altra volta. Per ora non ne ho


trovata nemmeno una.

Con amore, C.

16 Febbraio 1995

Ti è piaciuto il mio regalo, ragazzina? Abbiamo gusti


uguali, in fatto di libri…
La lettura mi ha tenuto a galla quando stavo per
affondare, tu invece mi hai salvato.
Sono geloso dei miei romanzi, non può toccarli
nessuno.
Ritieniti molto fortunata.

Tuo, C.
Ci eravamo lasciati alle spalle un inverno meraviglioso, le
cose fra di noi non sarebbero potute andare meglio. Eravamo
diventati inseparabili: amici, confidenti, amanti, complici.
Crescevamo insieme giorno dopo giorno ed era fantastico. E
pensare che all’inizio della nostra storia nessuno avrebbe
scommesso su quei due ragazzini così diversi che non si stavano
neppure simpatici… ma ce n’eravamo sempre fregati degli altri
e dei loro stupidi giudizi.
Studiavamo insieme quasi tutti i giorni e il nostro rendimento
scolastico era addirittura migliorato. Un pomeriggio, andai da
Christian molto presto, volevo prepararmi alla perfezione per il
compito di algebra della mattina dopo. Il mio intento era
prendere un voto alto e dovevo darmi da fare. Lui, invece,
ripassava storia, annoiandosi a morte.
«Perché non fai una pausa? Non sei stanca? Riposati un po’
gli occhi.» Se ne uscì.
Ero seduta alla scrivania e a un tratto sentii il suo respiro sul
collo. Mi alzai, ma non ebbi il tempo di fare nulla perché mi tirò
verso di sé, cominciando a baciarmi come mai prima di quel
momento. Mi voleva, capii subito dove sarebbe finita
l’intenzione di studiare.
«Dammi tregua, dai, mi manca poco» gli sussurrai vicino alle
labbra.
«Sta’ zitta e lascia perdere tutto.» Era irresistibile quando mi
baciava così. Mi scostò i capelli; la sua bocca era molto vicina
al mio lobo. Sapeva che mi piaceva da morire quando mi
stuzzicava in quel punto preciso. «Fammi vedere se hai le
orecchie a sventola» scherzò, ma la sua mano era già dentro le
mie mutandine. Sussultai di piacere.
«No che non le ho» mormorai eccitata. «Tu, piuttosto, pensa
al tuo bel naso storto» lo pungolai, prima di perdere
completamente il controllo.
«Apri le gambe e dimmi che mi vuoi.»
«Ti voglio.» Lo strinsi forte.
«Adesso?»
«Sempre. Ora stai zitto.»
Facemmo l’amore, quella volta con una passione così forte
che si consumò in fretta dentro di noi e ci fece esplodere
all’unisono in pochissimo tempo. Fu pazzesco. L’espressione
che aveva in viso… non mi aveva mai guardata così. Riusciva a
farmi sentire sua in un modo che solo lui conosceva. Non potevo
più di farne a meno: lo amavo senza condizioni.
Dopo aver liberato i nostri istinti, Christian si era calmato e
aveva continuato a baciarmi con dolcezza. Era tutto quello che
volevo e che non avevo mai saputo di volere, ma, come al solito,
mi bastò qualche sua parola per ritornare dentro a quell’inferno.
Il suo.
«Me lo ha rotto, il naso. Mi ha spezzato anche due dita della
mano destra, se vuoi proprio saperlo.» Si chinò su di me e mi
baciò di nuovo, con tutta la tenerezza di cui era capace. Io non
riuscii a trattenere le lacrime che arrivarono prepotenti. «Non
piangere per me.» Sentii il suo immenso dolore nel pronunciare
quelle parole. «Io voglio vederti ridere. Voglio che tu sia felice.»
«Non posso immaginare quello che hai passato.»
«Non puoi, infatti. E nemmeno voglio che tu lo faccia. Vorrei
soltanto dimenticare.» Mi abbracciò forte e io respirai il suo
profumo attraverso la sua maglietta.
Christian rivolse lo sguardo verso i suoi libri, si alzò e da uno
scaffale ne prese uno. Neanche a dirlo, era di Stephen King.
«Questo è per te. Lo devi leggere. Sono sicuro che ti piacerà
moltissimo. È il mio preferito.» Me lo consegnò in modo quasi
solenne, proprio come si fa con una cosa molto preziosa. «In un
certo senso, parla di noi.»
Al suo interno c’era una dedica per me, appena sotto al titolo:

Ancora non so come finirà questa storia, ancora


non so che cosa siamo. Una cosa però è certa: io
sono Roland e tu sei la mia Torre Nera. Io ti
raggiungerò.
Un giorno capirai.
Ti amo, C.

Quel messaggio e quelle parole mi sarebbero rimaste nel


cuore per sempre. Leggendo quel libro, il significato di ciò che
mi aveva scritto prese forma.
Quel messaggio fu la sua più grande bugia.
17

EMMA

Ripenso a ieri sera e a tutto quello che è successo. Sono stata


un’idiota e ora mi sento malissimo.
Devo distrarmi e cambiare umore in fretta, perché ho
promesso a Tete una giornata speciale. Questa parola per lei vuol
dire una cosa soltanto: andare sulle giostre.
Al centro commerciale l’atmosfera è veramente magica e non
solo per i più piccini. Mancano due settimane a Natale e i negozi
e le aree adiacenti sono ricoperte da luci e festoni. È davvero una
meraviglia.
Adoro questo periodo dell’anno, è sempre stato il mio
preferito e, ora che sono mamma, sento ancora di più l’atmosfera
unica delle feste natalizie. Ci sono le giostre, la slitta con Babbo
Natale, la cassetta della posta per imbucare la letterina, musica
e costumi per tutto il centro. Insomma, un luna park in piena
regola. Sono felice di passare una giornata così: ho la testa
intasata dai cattivi pensieri dalla scorsa notte. Qualche ora di
puro divertimento con mia figlia è proprio quello di cui ho
bisogno.
Ho invitato anche Claudia: quando siamo uscite da quel
locale ero troppo sconvolta per parlare, vorrei sfogarmi un po’
con lei e scrollarmi di dosso questo pessimo umore.
Se la piccola me lo permettesse, potrei acquistare qualche
regalo in anticipo, anche se non credo sarà così magnanima.
Infatti, non appena vede la giostra con i cavallini comincia a
tirare come una matta per poterci salire. Ha tanti di quei gettoni
che potrebbe non scendere più.
Dopo mezz’ora arriva Claudia: è in anticipo e a quanto pare
non ha fatto fatica a trovarmi.
«Quanti giri ha già fatto?» chiede lei. Tete si accorge della
sua presenza e la saluta rumorosamente. «Come ti senti?»
«Malissimo. Non ho quasi chiuso occhio, pensando a quello
che sarebbe potuto succedere: non ci sono giustificazioni per
come si è comportato quello stronzo.»
«È stata una serata da dimenticare, anche io non sono stata un
ottimo esempio» mi consola, mentre tira fuori il portafogli dalla
borsa. «Piccola mia! Come stai? Sei bellissima con questo
completino rosso!» La stringe forte e l’aiuta a scendere.
«Zia! Sei bella tu!» Tete la riempie di baci con quella sua
boccuccia perfetta.
«Tieni, amore, questi soldini sono per te. Andiamo a
cambiarli in gettoni e poi riparti sulla giostrina che vuoi.»
«Evviva!» urla felicissima.
Quanto si vogliono bene, queste due.
Tete sale sulla giostra alla guida della carrozza di Babbo
Natale, mentre io e Claudia riprendiamo la conversazione.
«Sai, ho riflettuto molto in queste settimane. Ho pensato al
rapporto che avevo con Tommy, alla nostra storia, alle
menzogne a cui ho creduto. Una parte di me sapeva che non era
la storia perfetta che tutti ci invidiavano e che ci eravamo
nascosti dietro una folle apparenza. Stavamo bene, certo, ma
spesso fingevamo di essere felici davanti agli altri, quando
invece non facevamo altro che litigare. A malapena ci
sopportavamo.» Claudia è in imbarazzo nel farmi questa
confidenza.
«Perché me lo dici soltanto ora?»
«Perché io non sono come te. Tu non hai paura dei giudizi
delle persone, te ne freghi se ti accettano o meno. Ti mostri per
ciò che sei senza curarti di nulla. Ci vuole coraggio a essere così,
io quel coraggio non ce l’ho e temo non lo avrò mai nella vita.»
Si sforza di non piangere.
«Allora che cosa fai? Preferisci fingere che tutto vada bene,
così che le persone possano approvarti e invidiarti? Hai ragione,
Claudia, non fa per me, odio le ipocrisie.» Ho esagerato, e me
ne rendo conto immediatamente. «Scusa, mi dispiace, non avrei
dovuto. In fondo, non ho proprio nulla di cui andare fiera.
Guarda dove mi hanno portata i miei errori.»
«Ti hanno portata alla libertà. Vivi la tua vita come vuoi,
senza scendere a compromessi, fai sempre quello che ritieni
giusto e, se sbagli, lo fai con la tua testa. Le tue scelte ti hanno
portata a essere una donna. Io, invece, ho bisogno
dell’approvazione delle persone che ho vicino per sentirmi
sicura.» Si volta di scatto a guardare la carrozza e Tete, che
frusta le renne di Babbo Natale.
«Non ti pesa essere sempre giudicata? Non ti pesa dover
accontentare le aspettative di chiunque? Essere la migliore?
Sono sempre stata sicura di una cosa, fin da piccola: al mondo
c’è posto per tutti, anche per quelli che non si sono qualificati in
alcun modo. Non significa che non siano altrettanto speciali.
Ognuno di noi ha un universo dentro di sé, unico e prezioso, che
sicuramente vale la pena scoprire. Chi sono gli altri per
giudicarci primi, secondi o ultimi in qualcosa? Per emettere
stupidi giudizi? Preferisco vivere una vita imperfetta piena di
seconde possibilità, ma reale, piuttosto che una vita finta e
costruita in apparenza inattaccabile, ma infelice. Questo
insegnerò a mia figlia, perché ci credo fino in fondo. Ho fatto
molti errori in passato, ma mi rimbocco le maniche e mi
impegno per migliorare, senza preoccuparmi del giudizio di
nessuno. Non potrei mai fare qualcosa solo per accontentare i
benpensanti.»
«Ti invidio, sai? Vorrei tanto essere come te.»
«Sei ancora troppo ferita da tutto quello che ti è successo.
Non hai nulla da invidiarmi. Sei giustissima così, piena di buone
qualità, e sei l’amica migliore che si possa avere. Ci sei sempre
per me, anche quando ne combino di ogni, anche oggi. E invece
di farmi la predica, guarda cosa mi tiri fuori. Cerca soltanto di
vivere per te stessa, di essere felice prima di chiunque altro. Il
resto verrà da sé.» Ci abbracciamo forte, orgogliose della nostra
amicizia.
Pranziamo insieme e ci facciamo un sacco di risate con Tete.
Concludiamo con un buon caffè, mentre la piccola sta finendo
di scrivere la letterina per Babbo Natale. Mi obbliga a metterla
in borsa per andare a imbucarla nella cassetta della posta,
all’ingresso del centro commerciale. Ancora sedute al tavolo da
pranzo, quasi mi viene un colpo nel momento in cui vedo
Edoardo avvicinarsi. Chiedo a Claudia di badare un attimo a
Tete e vado a salutarlo: non voglio che conosca mia figlia, non
in questo momento.
«Guarda chi si vede, non ti sei più fatta sentire. Tutto bene
ieri sera?» Evita di baciarmi e ne sono felice.
«Direi proprio di sì. Ci siamo divertite molto. Scusa se sono
sparita, ma oggi ho promesso alla piccola di portarla sulle
giostre. Ti avrei chiamato più tardi.»
Forse.
«Tranquilla, ci sentiamo dopo e ci mettiamo d’accordo per
uscire, così mi racconti tutto. Ora scusami, ma sto cercando
qualcosa di speciale da regalare a una persona molto
importante.»
Incrocio lo sguardo di Claudia e mi sento rincuorata.
«Tutto bene?»
«Alla grande.» La mia espressione si commenta da sola.
18

EMMA

25 Giugno 1995

Ciao, ragazzina,
ho dei progetti per noi e vorrei realizzarli il
prima possibile. Ne abbiamo parlato oggi alla
Quercia, ne eri entusiasta. Guarda che non sono
soltanto fantasie, sai? Faccio sul serio.
Un giorno, i nostri sogni si avvereranno. Sta
soltanto a noi realizzarli.

Tuo, C.

Era una meravigliosa domenica d’estate. Avevamo


organizzato un picnic, io e lui da soli. Avevo preparato dei
panini, nello zaino qualche dolcetto e qualcosa da bere.
Alle dieci in punto, Christian mi passò a prendere in motorino
per andare nel nostro posto preferito di sempre: la Quercia. Nel
pomeriggio, ci avrebbero raggiunto i nostri amici per fare tutti
insieme il bagno nel fiume. Ormai il bel tempo era esploso e il
caldo si era fatto quasi insopportabile.
Ci sdraiammo ai piedi del grande albero, sopra la coperta
grigia che aveva portato Christian. Quel posto era speciale.
Immerso nel verde di un enorme prato naturale, nel silenzio più
assoluto; in lontananza si sentiva a malapena il rumore
dell’acqua che scorreva.
C’eravamo soltanto noi, nessun altro.
Ci rilassammo distesi sulla coperta godendoci quella pace:
nulla avrebbe potuto farci stare meglio che rimanere così, mano
nella mano, senza il bisogno di parlare, i nostri corpi vicini, gli
occhi chiusi, mentre ascoltavamo sereni i suoni della natura.
Nulla, eccetto una cosa.
Mi sentii accarezzare appena sotto il seno, aprii gli occhi e lo
osservai.
«Sono un uomo fortunato, lo sai?» Il sole gli illuminava il
viso.
«Non sei un uomo» lo presi in giro.
«Sei una bella donna» disse poi, con la sua bocca sulla mia.
«Non sono una donna» e ricambiai il suo bacio.
«Ora no, ma un giorno lo sarai. Solo, non volevo aspettare
dieci anni per dirtelo» sussurrò sorridendo.
«Sei sicuro che fra dieci anni sarai ancora qui?»
«Certo che no, ma sono sicuro che sarò ovunque sarai tu. Non
ho dubbi su questo. Ho riflettuto molto sul futuro: il prossimo
anno sarà quello del diploma, l’ultimo prima dell’università,
ammesso che vorremmo andarci. Potrei trovarmi un lavoro e
cercare una casa tutta per noi. Non la casa dei nostri sogni, ma
qualcosa alla nostra portata. Sarebbe pur sempre un inizio e
potremmo vivere insieme. Tu potresti continuare a studiare,
oppure no, basta che tu stia con me. Penserò a tutto io.» Cercava
di leggere un segno di approvazione nei miei occhi. Si scostò i
capelli davanti al viso, provocandomi.
«Fai sul serio o mi prendi in giro?»
«Mai stato così serio, Emma. Io ti amo e non c’è giorno che
non vorrei passare con te. Perché aspettare? Io non ce la faccio
ad aspettare, e tu? Vuoi vivere con me?» Mi sorrise.
«Sì, certo che sì! Sarebbe un sogno che si avvera… non vedo
l’ora di svegliarmi con te ogni mattina.» La vicinanza fra noi si
fa in un attimo molto pericolosa.
Indifferenti a tutto ciò che succedeva intorno a noi, ci
concedemmo l’uno all’altra, senza risparmiarci in nulla.
Poco dopo pranzammo, e trascorremmo un bel pomeriggio
con l’intera compagnia. Facemmo il bagno, prendendo un po’ di
sole, e ci divertimmo come matti. Il tempo scorreva in fretta e
decidemmo di mangiarci una pizza.
Partimmo in gruppo con i motorini, ma Christian e io ci
fermammo un momento da lui a prendere un paio di felpe per
paura di sentire freddo durante la serata. Entrammo in casa
pensando di essere soli, ma seduta in cucina trovammo sua
madre in lacrime.
«Buona sera, signora» salutai in imbarazzo e finsi di non
essermi accorta di nulla. Mi piaceva quella donna, anche se
l’avevo vista soltanto un paio di volte: sembrava una persona
molto affabile, disponibile. Aveva sempre il sorriso sulle labbra
e una parola gentile.
«Ciao, Emma.» A rispondere fu la sua voce spezzata dal
pianto.
«Mamma, cos’hai? Che succede?» Christian era molto
preoccupato; i due si scambiarono uno sguardo complice e
spaventato al tempo stesso.
Quell’espressione che non vedevo da parecchi mesi era
ritornata nei suoi occhi, ma stavolta avevo un’enorme paura che
potesse rimanerci molto a lungo.
«Come mai siete qui? Non dovreste essere in giro a
divertirvi?» lei cambiò discorso, ma io non riuscii a distogliere
l’attenzione da quelle lacrime.
«Siamo solo di passaggio, andiamo via subito. Ceniamo fuori
con alcuni amici, ma se vuoi accompagno a casa Emma e ti
faccio compagnia.» Sentii che c’era qualcosa che non andava e
che si voleva liberare in fretta di me. Non riuscivo a dire una
parola.
«No, figurati, non voglio rovinarvi di certo questa bella
serata. Solo… non fare troppo tardi, tesoro, ho bisogno di
parlarti.»
Ancora misteri, ancora segreti. Che cosa c’era che non
andava in quella famiglia?
«Promesso, mamma, torno presto. Cerca di stare tranquilla.»
Christian le diede un bacio prima di uscire.
Per tutta la serata lo sentii strano, assente. Era evidente che
aveva fretta di riportarmi a casa e di andare dalla madre. Non
parlava quasi con nessuno, nemmeno con me. Stava facendo
finta che fosse andasse tutto bene, ma rividi in lui quel ragazzo
che avevo conosciuto l’anno prima, pieno di rabbia e di dolore.
Lo riconobbi, purtroppo, anche se in cuor mio avevo sperato di
non incontrarlo mai più.
«Amore, che hai? È tutta la sera che non sei più tu. Ti prego,
dimmi cosa c’è che non va. Sai che puoi fidarti di me.»
«Emma, cosa dici? Sono solo un po’ preoccupato.»
«Stai mentendo, dimmi cosa c’è… Hai paura che ciò che
tormenta tua madre abbia a che fare con il vostro passato? Non
tenerti tutto dentro, per favore. Niente segreti fra di noi, giusto?
Voglio solo sapere cosa provi» insistetti con fermezza.
«Sei proprio paranoica. Non sarà nulla di grave. Piuttosto,
lasciami andare da lei. Ci vediamo domani.» Un bacio veloce,
senza guardarmi nemmeno negli occhi, e sparì nel nulla il più in
fretta possibile.
Quella fu l’ultima sera in cui lo vidi.
19

EMMA

Quando osservo mia figlia dormire beata nel suo lettino, tutti
i pensieri, le angosce e i dubbi che mi assillano scompaiono.
Potrei trascorrere ore intere a guardare il suo bel faccino dalla
pelle perfetta e quei riccioli biondi. Se solo suo padre la vedesse,
se ne innamorerebbe all’istante, ne sono certa. Sono così fiera di
lei, è meraviglioso osservarla crescere ogni giorno di più.
Voglio che sia felice sempre e che al suo fianco ci siano delle
persone che le vogliano bene in modo sincero. Non smetterò mai
di proteggerla e vegliare su di lei, anche se non è così semplice
fare tutto da sola, lo devo proprio ammettere.
Se solo potessi sapere quanto è straordinaria tua figlia, forse
potrei smettere di far finta di parlare con te, di raccontarti di
lei. Merita di avere un padre più di ogni altra cosa al mondo.
Il cellulare suona e interrompe i miei pensieri tristi. È
Edoardo. Mi faccio coraggio e rispondo, chiacchieriamo per un
po’ e decidiamo di vederci questa sera per andare al cinema. Non
ho idea di cosa potrà accadere e con quale coraggio lo guarderò
in faccia, ma in questo momento non ci voglio proprio pensare.
Ormai ci frequentiamo da mesi: dovrei avere occhi soltanto per
lui, invece di mentirgli. Non so dire perché non gli ho raccontato
nulla dell’altra sera, in fondo è una persona molto comprensiva
e un ragazzo intelligente, e so bene che non mi darebbe colpe
che non ho. Inoltre, sono sicura che non mi farebbe soffrire.
Forse è proprio questo che non va. Invece di cercare le farfalle
nello stomaco come un tempo, cerco la sicurezza di un rapporto
che non mi farà stare male.
Ho bisogno più che mai di rilassarmi, anche se in realtà sono
un fascio di nervi.

Il film che abbiamo scelto di vedere è spassosissimo. Dopo il


cinema, ci fermiamo a bere qualcosa in un locale alla moda.
«Tutto bene, Emma?» Di sicuro si è accorto del mio stato
d’animo.
«Certo, tutto benissimo.» Sorrido, sorseggiando il mio gin
tonic.
«Dai, raccontami dell’altra sera, sono curioso.» Ero certa che
avrebbe insistito per sapere della discoteca.
Mi prende il panico. «Ah sì, il locale era molto esclusivo,
proprio come mi avevi detto tu, gran bella musica. Ti fermi da
me, questa sera?» Cerco di cambiare discorso, mi sudano le
mani.
«Lo so anch’io che il locale non è male. Intendevo dire se vi
siete divertite, se avete passato una bella serata…» Mi guarda
dritto negli occhi, scrutando i miei pensieri.
«Sì, siamo state bene. Abbiamo ballato per tutto il tempo e
bevuto un po’.»
«Quanto un po’? Non hai conosciuto nessuno?» Eccolo che
arriva al punto.
«Sei geloso? Non lo avrei mai detto» lo stuzzico.
«Certo che sono geloso! Dico, ma ti sei vista? Non passi mica
inosservata, sai? Sono sicuro che c’è sempre qualcuno pronto a
farsi avanti, soprattutto in certi locali.»
Arrossisco, imbarazzata dalle sue parole. Gli confesso che
non sono più abituata a sentirmi così, che da quando ho avuto
Tete mi sembra di aver perso tutta la mia femminilità. È bello
sentirsi di nuovo al centro dell’attenzione.
«Credo che tu sarai sempre al centro della mia attenzione.
Devi solo volerlo. Tu mi hai preso il cuore.»
Non credo di essere pronta a questo tipo di dichiarazioni,
forse non riesco ancora a provare la stessa cosa per lui. In questo
momento mi sembra tutto incerto e in bilico. Edoardo capisce la
situazione, ma fa finta di nulla. «Brindiamo a noi due» dice,
alzando il bicchiere in aria.
«A noi due» ribatto, felice e anche un po’ brilla.
Il mattino dopo mi sveglio con un gran mal di testa, ma mi
ricordo ogni particolare. Dopo aver trascorso qualche ora a bere,
bicchiere dopo bicchiere, Edo è diventato l’uomo della mia vita
a tutti gli effetti, ma purtroppo l’influenza dell’alcol è stata
determinante nel farmelo pensare. Abbiamo fatto sesso per quasi
tutta la notte e, per quanto sia stato fantastico, ora che sono qui
a fissarlo mentre dorme al mio fianco non sono più sicura di
nulla. Stiamo bene insieme, non posso certamente negarlo, ma
dentro di me sento che c’è qualcosa che non va, che c’è qualcosa
fuori posto. Forse è semplicemente troppa la paura di lasciarmi
andare, forse è talmente grande il desiderio di volermi ancora
innamorare… che non ci riesco. O forse il passato torna
costantemente a galla e mi tormenta. Vorrei che fosse più
semplice, ma non lo è mai, quando si tratta del mio cuore.
Lascio dormire Edo e mi alzo per preparare la colazione. Mi
manca Tete che mi abbraccia la mattina dandomi il buongiorno,
così decido di chiamare mia madre per sapere come sta la mia
dolce bambina. Mi rendo conto soltanto in questo momento che
sono quasi le undici del mattino.
«Buongiorno! Immagino tu abbia trascorso una bella serata
con il tuo ragazzo» ridacchia.
«Scusami. Abbiamo fatto tardi. Non mi sono resa conto
dell’ora.» Spero non mi chieda i dettagli.
«Stai tranquilla. Qui è tutto a posto. Sono contenta per te. Era
ora che trovassi un ragazzo come si deve. Ti fosse successo
prima, avresti lasciato fuori dalla tua vita certa gentaglia.»
Per quanto tempo me lo rinfaccerà?
«Mamma, ti prego, ne abbiamo parlato un milione di volte.»
«Lo dico solo perché ti voglio bene, e mi fa piacere saperti
felice.» La sua voce si fa più dolce.
«Non correre troppo. Mi ci vuole un po’ di tempo. Hai
ragione, mi sembra di vivere finalmente qualcosa di bello, ma
ho ancora dei dubbi. Ci sto provando, ma le paure sono tante…»
«Lasciati andare, per una volta, potrebbe essere la persona
giusta…»
Come se fosse facile saperlo.
«Ci proverò, mamma, promesso. Voi invece? Com’è andata
con Tete? A che ora vuoi che la passi a prendere?»
«No, non venire, goditi ancora un po’ la giornata. La
portiamo a mangiare fuori, vuole andare al ristorante come i
grandi. Ci sentiamo dopo. Divertiti e tieniti stretto quel
ragazzo.»
Ho i genitori migliori del mondo.
«È una bambina molto fortunata, addirittura al ristorante! Va
bene, chiamami quando tornate. E, mamma… grazie.»
Nonostante i miei dubbi, sono felice di poter passare altro
tempo sola con lui. Ritorno a letto e mi infilo sotto le lenzuola.
Non avevo notato che fosse ancora completamente nudo.
20

EMMA

26 Giugno 1995

Il sole illuminava l’inizio di quella bellissima giornata e


decisi di fare due passi all’aria aperta per distendere i nervi.
Mille pensieri mi passavano in testa e nemmeno uno di questi
era positivo.
Non serviva proprio a nulla avere un atteggiamento così
catastrofico: in fondo, dovevo solo aspettare qualche ora e nel
pomeriggio sarei andata da Christian a chiedere spiegazioni, o
forse sarebbe stato lui a venire da me. Mentre passeggiavo,
ascoltavo a tutto volume una copia della cassetta che gli avevo
regalato per il compleanno. Quelle canzoni mi facevano pensare
ai momenti trascorsi insieme. Istanti unici e indimenticabili
accanto al ragazzo dei miei sogni.
Eravamo giovani; forse, in quel momento, nessuno lo credeva
possibile, ma io sapevo per certo che lui era la persona giusta per
me, che avevo avuto la fortuna di incontrare a soli diciassette
anni. Qualsiasi cosa mi dovesse dire, sarebbe andata bene, e io
lo avrei aiutato, sarei rimasta al suo fianco. Sarei stata lì per lui
e insieme avremmo aggiustato quello che non andava. Questa
situazione così assurda era soltanto un’altra piccola prova, uno
scherzo del destino, nulla di più. Noi eravamo più forti di tutto.
Insieme.
Quando arrivai nei pressi di casa mia, il mio umore era
completamente diverso: i brutti pensieri in quel momento mi
sembravano soltanto delle stupide paranoie.
Ancora pochi passi e raggiunsi il cancello, girai la chiave
nella serratura e con la coda dell’occhio controllai la cassetta
della posta, come facevo sempre. Vidi qualcosa al suo interno,
qualcosa di giallo. Mi avvicinai, sgranando gli occhi.
La mia Smemo!
Quando me l’aveva portata? Il giorno prima l’aveva ancora
con sé, ne ero certa. Doveva essere passato quella notte, dopo
aver parlato con sua madre. Perché lo aveva fatto? Perché non
portarmela di persona, come sempre? Forse voleva che leggessi
qualcosa che aveva scritto ieri, forse era importante.
Mi precipitai in casa a prendere le chiavi di quel dannato
porta lettere e corsi ad aprirlo. Accidenti, cosa stava
succedendo?
Cercai in fretta l’ultima pagina scritta e cominciai a leggere
tutte le parole, una per una, il più attentamente possibile.
Non credevo ai miei occhi.
Ricominciai daccapo più o meno una decina di volte. A quel
punto, sentii che le gambe stavano per cedermi, che le forze
stavano venendomi meno. Mi costrinsi a entrare in casa e a
sedermi, l’agenda aperta sulle mie ginocchia e su quella
maledetta pagina.

26 Giugno 1995

Amore mio,
è quasi l’una di notte. Fra poco ti riporterò il
diario che per molto tempo ha custodito i miei
pensieri e ti ha permesso di conoscerli. Mi
mancherà molto scriverti. Ho appena finito di
parlare con mia madre ed è stato orribile, ma… non
posso fare altrettanto con te. Non ho il coraggio di
affrontarti, perché se ti confidassi ciò che sta
succedendo non riuscirei più a mantenere la
promessa fatta alla donna che mi ha cresciuto. Devo
andare via, fuggire il più lontano possibile da qui.
Non posso spiegarti, anche se vorrei tanto farlo.
Sono sicuro tu abbia già capito che riguarda ancora
una volta il mio passato.
Voglio che tu sappia che non ti ho mai mentito
sui miei sentimenti, che non proverò mai più in vita
mia un amore così grande. Sei diventata tutto il mio
mondo e questo non cambierà mai. È totalmente
folle e irrazionale, ma ho soltanto diciassette anni e
ho paura. È una cosa molto più grande di me.
Ti penserò e ti amerò ogni secondo. Sei e sarai
per sempre l’amore della mia vita. Ti prego, trova
la forza di perdonarmi, un giorno.
Ti amo e lo farò per sempre.
C.

Ancora incredula, reagii d’istinto: alzai la cornetta del


telefono e composi il numero di casa sua, ma non rispose
nessuno. Uscii fuori e, come una pazza, cercai la mia bicicletta.
Dovevo andare subito da lui: avremmo parlato e tutta quella
storia sarebbe finita. Stava mentendo, non capivo per quale
motivo si divertisse a farmi stare così male, ma glielo avrei
chiesto di persona. Lui sarebbe stato lì ad ascoltarmi e io avrei
ottenuto le spiegazioni che mi meritavo, con delle scuse e la
promessa che ogni cosa sarebbe tornata come prima. Sì, sarebbe
andata così, lo sentivo. Doveva esserci per forza una
giustificazione.
Non appena arrivai davanti a casa di Christian, lanciai la bici
in strada e suonai il campanello, una, due, cento volte, ma nulla.
Gridai forte il suo nome, pregai di rispondermi, implorai di
aprire. Era inutile, non c’era nessuno. Con il cuore a pezzi,
smarrita davanti a un’abitazione deserta, mi abbandonai a un
pianto disperato.
Perché lasciarmi in quel modo, senza spiegarmi nulla?
Perché sparire così in fretta? Perché all’improvviso, tutto quel
dolore immotivato?
Ero certa che sarei impazzita, senza risposte alle mie
domande e i brutti pensieri che tuonavano dentro la mia testa.
Nelle settimane successive, mi presentai tutti i giorni davanti
a quella casa. Christian poteva tornare da un momento all’altro
e io dovevo controllare che non succedesse in mia assenza.
Avevo pensato di cercarlo anche nella sua città d’origine, ma
non era alla mia portata, era troppo lontana da me e io troppo
giovane e inesperta per poterlo trovare.
Nessuno sapeva nulla di lui, del suo passato, nessuno poteva
aiutarmi: ero l’unica ad averlo conosciuto davvero, a custodire i
suoi segreti più profondi, ero diventata la sua migliore amica e,
forse, il suo grande amore, anche se non ne ero più così certa.
Il tempo scorreva lento, ma per forza di cose doveva andare
avanti. Mi trascinai insieme alle lancette dell’orologio, che certi
giorni sembrava non si muovessero nemmeno. Trascorsi i primi
mesi a piangere e a disperarmi per lui, tanto che i miei genitori
e i miei amici si preoccuparono per me. Non mangiavo quasi
nulla e dormivo di rado.
I mesi diventarono anni. Ero arrabbiata con il mondo intero.
Del tutto insensibile a qualsiasi evento esterno, vivevo con il
vuoto più assoluto dentro di me. Arida di sentimenti, ma avida
di felicità, presi atto di essere stata lasciata senza una
spiegazione razionale. Dovetti accettare quelle sue parole e il
fatto che non sarebbe tornato mai più, ferendomi a morte.
Ero stata abbandonata in ogni modo possibile.
Mi trovo a leggere questo diario e a provare le stesse
identiche emozioni di un tempo. Il tempo passa e finalmente sto
imparando a prendere le distanze dalla nostra storia, anche se
sono passati quasi sette anni e non ho ancora dimenticato.
Purtroppo, credo non succederà mai. Oggi sono soltanto molto
più consapevole e triste perché ho capito che è giunto il
momento di voltare pagina una volta per tutte.
Solo, basterebbe un cenno e io lo raggiungerei in capo al
mondo.
21

EMMA

«Abbiamo trascorso dei momenti unici insieme, non credo li


replicherò mai con nessuno. Certo, ci eravamo barricati dietro a
quella maschera di perfezione, che non poteva mai mancare,
soprattutto per Tommy, ma io lo amavo davvero. Ora capisco
quello che hai sempre cercato di spiegarmi. Il tuo amore con
Christian è stato immenso, anche se ti ha fatto soffrire fino a
toglierti il respiro e fatto provare un dolore enorme. Lo hai amato
con tutta te stessa, adesso lo so. E anch’io, come te, lo amo
ancora, nonostante i suoi difetti. Mi manca da impazzire. Non
posso negarlo.» Fiumi di lacrime bagnano il viso di Claudia,
mentre mi racconta quanto si senta lacerata nel profondo.
È uno strazio vederla ridotta così. Conosco bene questa
sensazione: è in crisi di astinenza dalla droga che le piace di più.
È qualcosa che anche io ho provato per moltissimo tempo e
che mi ha completamente fatta a pezzi. Una condizione a cui non
mi sarei più sottoposta. È giunto il momento di cambiare, una
volta per tutte. Devo soltanto volerlo, per me e per Tete.
Claudia mi osserva con gli occhi stanchi e consumati dal
pianto e si soffia il naso.
«Come fai a essere così bella anche quando sei a pezzi
proprio non lo so, solo tu ci riesci» scherzo. Potrebbe avere
chiunque, se soltanto lo volesse.
«Ma se sono un cesso, dai!» Si asciuga le lacrime e beve un
sorso d’acqua.
«Sai dove mi ha portato quell’amore così grande? A illudermi
che le cose potessero cambiare, ad aspettare che tornasse da me,
che un domani tutto si sarebbe sistemato e che avrei smesso di
soffrire. Solo a perdere tempo, tantissimo tempo. Ho trascorso
gli anni più spensierati della mia giovinezza pensando a lui.
Sette anni di vita, annullando me stessa, nella speranza che
tornasse da me. È stato il mio grande amore. Ma sai cosa ti dico?
Che l’unico grande amore, adesso, è la mia splendida bambina.
Per il resto, ho deciso di voltare pagina, e dovresti farlo anche
tu. Risparmiati tutte queste sofferenze, togliti dalla testa i
pensieri romantici e i ricordi.» Servo in tavola un vassoio con
del tè e dei dolcetti secchi. Per quanto questo momento possa
essere triste e deprimente, adoro i pomeriggi trascorsi con
Claudia qui a casa mia a parlare, confidandoci i nostri segreti più
intimi. Il tempo trascorso con lei è prezioso e ora, sedute sul
divano a piangere e scambiarci pezzi di cuore, sento di volerle
ancora più bene di ieri.
«Non riesco più a capire se ciò che conta davvero è fare la
cosa giusta o essere soltanto felici.» Afferra la tazza fumante in
attesa di qualche perla di saggezza.
«Questo è il dilemma dell’intera umanità. Di sicuro non ho la
risposta in tasca, ma se vuoi sapere come la penso, allora ti dico
che bisogna lottare per qualcosa quando ne vale veramente la
pena, e avere il coraggio di ammetterlo quando non è così, anche
se fa male da morire.»
«Ne valeva la pena, Emma? Per te, ne valeva la pena?» Si
riferisce a Christian.
«Sì, l’ho creduto con tutta me stessa. Ora invece non ne sono
poi così sicura, lo sto lasciando andare. Ho bisogno di guardare
avanti. La storia con Edoardo va a gonfie vele. Lo ammetto, ho
avuto dei dubbi, ma è arrivato il momento di pensare a noi due.»
È proprio vero che da adulti si scende sempre a compromessi,
persino con noi stessi. Da giovani è più semplice, è tutto bianco
o nero, poi arrivano le sfumature e diventa sempre più
complicato.
Tra l’altro, io non ho mezzi termini, ma ho molte cose a cui
pensare, prima fra tutte il benessere e la stabilità di Tete. Non
sarebbe bellissimo se mia figlia crescesse con una figura
maschile accanto? In fin dei conti, ha tutto il diritto di avere un
padre che si occupi di lei.
Dopo aver ascoltato le mie riflessioni, la mia amica mi chiede
se sto pensando a Edoardo così seriamente, se siamo già a questo
punto della nostra relazione.
«Quanto ci vuole per capirlo? Persino tu, dopo tanti anni, ti
saresti mai aspettata una cosa così brutta? Non dico che domani
gli farò conoscere Tete, ma che forse è la persona che fa per me.
Quella giusta, intendo. Anche se quella giusta, non sempre
corrisponde alla proiezione esatta dei nostri desideri, ma quello
è un caso molto raro.»
«Già, soprattutto se hai bene in mente a chi dovrebbe
corrispondere…» ribatte la mia amica.
Per fortuna, il cellulare interrompe questo discorso così
confuso. Le arriva un messaggio di Tommy e me lo mostra.

TOMMASO: Ti prego, devo parlarti. Dobbiamo


vederci, sai che prima o poi dovrà succedere.

«Che intenzioni hai?» le domando.


«Devo andare» risponde lei, imbarazzata. «Ti racconterò
tutto, ora lasciami andare.» Fugge da casa mia prima ancora di
darmi il tempo di replicare qualcosa.
La capisco, in fondo. A parole sono brava, ma non mi
vergogno ad ammettere che, se avessi avuto anche una sola
possibilità con Christian, non me la sarei di certo lasciata
scappare.
La invidio, in questo momento. Farei qualsiasi cosa per
poterlo rivedere ancora, anche per una volta soltanto.
22

EMMA

28 Luglio 1995

Christian era sparito chissà dove ormai da un mese, e stavo


ancora malissimo a causa sua. Non era cambiato proprio nulla,
anzi, stavo sempre peggio, ero disperata. La sera prima avevo
fatto tardi e avevo bevuto qualche bicchiere di troppo,
vomitando l’anima non appena rientrata a casa.
Era quasi mezzogiorno e non avevo per nulla voglia di
alzarmi, tantomeno di prepararmi il pranzo. Mi sentivo
indifferente alla vita e restavo rinchiusa in un maledetto limbo
di apatia, senza sapere in che modo venirne fuori.
Come se non bastasse, l’odioso suono del campanello mi
stava facendo impazzire e mi costrinse a un contatto forzato con
il mondo esterno che avrei evitato volentieri. Non volevo vedere
nessuno, non mi andava di parlare, di fare nulla senza di lui.
Volevo rimanere in standby fino al suo ritorno.
Perché sarebbe tornato da me.
Un’altra volta quel cazzo di campanello: risposi al citofono,
ma solo per poter scacciare in fretta quel seccatore, chiunque
fosse.
«Chi è?»
«Posta! Deve firmare una raccomandata internazionale.»
«Arrivo.» Cercai di ricompormi. Mi pettinai i capelli con le
mani e sistemai la maglietta nera dei Guns N’ Roses, quella che
gli piaceva così tanto.
Aprii la porta e, incuriosita, ritirai quella raccomandata.
Mentre firmavo la ricevuta, guardai la busta e riconobbi la sua
calligrafia all’istante.
Cominciai a tremare.
Ringraziai il postino e lo liquidai in fretta.
Con le lacrime agli occhi e il cuore in gola, voltai la lettera e
subito notai un particolare che mi lasciò senza fiato: il
francobollo. Raffigurava un albero dalla chioma verde e, al
posto dei frutti, tanti cuori rossi. Era una stampa molto
particolare e vivace. Ma quello che mi colpì davvero fu la parola
impressa sul francobollo: EIRE.
Irlanda? Non credevo potesse essere così distante.
Cosa stava succedendo?
Poco più di un mese prima, la mia vita era perfetta. In quel
momento, invece, ero in balia degli eventi e non riuscivo più a
capire quale fosse il mio ruolo in quella storia o quale potesse
essere mai stato. Forse lo avrei scoperto in quel momento.
Feci un bel respiro, rientrai in casa, mi sedetti e, facendo
appello a tutto il mio coraggio, aprii la busta.

Emma,
sei l’amore della mia vita e lo sarai per sempre.
Quando ti ho vista per la prima volta con quella
maglietta gialla aderente e quei pantaloncini corti
di jeans, quando mi hai stretto la mano e ci siamo
presentati, mi sono innamorato di te all’istante. Tu
mi hai rapito il cuore. Amo tutto di te, tutto il tuo
mondo e una miriade di piccole cose che in questo
momento mi mancano come l’aria. Piccoli dettagli
che hanno reso la mia vita talmente felice da non
essere in grado di descriverlo a parole.
Tu, invece, mi ami ancora? O forse mi stai
odiando, anche in questo preciso momento? No, io
credo di no. Non sei fatta per l’odio, non ne saresti
capace. Sei fatta per le cose belle, sei la stella più
luminosa dell’intero universo. Ti ricordi la prima
volta che abbiamo visto le stelle? Ti ricordi il nostro
primo bacio? Io non lo dimenticherò mai. Non mi
dimenticherò mai di te.
Sono in Irlanda, ti sto scrivendo proprio da qui:
quando leggerai questa lettera sarò già ripartito,
sono soltanto di passaggio. Ti prego, Emma, non
cercarmi perché sarebbe tutto inutile, non mi
troveresti. Non posso chiederti di capirmi, non ti ho
dato nemmeno la spiegazione che meriti, ma non
posso farlo. Sono fuggito via perché non ho la forza
di affrontare gli eventi che il destino mi ha posto
davanti, e di trascinarti con me dentro questo buco
nero, anche se mi manchi da impazzire. L’idea di
averti ferita mi fa stare malissimo. Ti prego, cerca
di voltare pagina e riconquistare la felicità che
meriti.
Voglio che tu faccia una cosa per me, anche se so
bene di non avere alcun diritto di chiedertelo.
Ricordi il week-end al mare che abbiamo progettato
per tanto tempo? Parti da sola, fermati a dormire
per una notte, ascolta il suono delle onde e, quando
ti svegli, immagina che la nostra storia sia stata un
sogno meraviglioso, uno di quelli che capitano
soltanto una volta in una vita intera. Fallo per me.
Io l’ho già fatto, e quel sogno lo porterò per sempre
nel cuore.
Volta pagina, Emma. Vai avanti. Perdonami, un
giorno, se ti sarà possibile. Ricordati sempre di quel
ragazzo che all’improvviso ti ha stravolto la vita,
che ti ha amata come non pensava di essere capace
e che ti amerà sempre.
Tu mi hai cambiato in meglio, mi hai ridato un
senso di pace che avevo perduto troppo presto, mi
hai reso ciò che sono e di cui vado fiero. È stato
incredibile incontrarti. Ti penserò, ti cercherò, ti
amerò ogni giorno. Non ti dimenticherò mai.
Ogni volta che guarderò il cielo, cercherò di
vedere oltre, nella speranza di incontrarti ancora
una volta.
Addio, amore, grazie per avermi regalato i
momenti più belli della mia vita.

Per sempre, C.

Una bomba nucleare. Una catastrofe. Non avrei mai creduto


di potermi sentire ancora peggio di come mi aveva ridotta in quei
maledetti giorni. Le sue parole mi avevano completamente
distrutta, quel poco rimasto ancora integro in me non esisteva
più.
Mi inginocchiai sul pavimento, abbandonandomi a un pianto
disperato. Accarezzai le pagine di quella lettera, ne toccai le
parole quasi illudendomi di poter toccare il suo corpo.
C’erano mille domande senza risposta, ogni cosa era confusa
e accadeva tutto troppo in fretta. Non avevo avuto il tempo di
metabolizzare, di accettare i fatti. Mi sembrava una situazione
surreale. La fine del mondo.
Come se non bastasse, a breve avrei ricevuto una notizia che
avrebbe stravolto per sempre la mia vita. Non sarei mai stata più
la stessa persona.
23

EMMA

Tete è al settimo cielo: è la mattina di Natale ed è super


emozionata. È sveglia dalle cinque e ho dovuto farla restare un
po’ nel letto con me nel vano tentativo di farla riaddormentare,
ma niente: ha resistito soltanto fino alle sei, poi ci siamo dovute
alzare per forza. La curiosità di sapere se fosse passato Babbo
Natale è diventata incontenibile.
Ieri sera abbiamo lasciato sul tavolo della cucina un vassoio
con del latte caldo e qualche biscotto, e aggiunto anche un paio
di carotine fresche per le renne. La mia piccola non sta più nella
pelle: camminiamo piano verso l’albero, ma è preoccupata di
poter trovare ancora tutto come lo abbiamo lasciato. Poi, appena
si accorge che la tazza è vuota e le carote rosicchiate, impazzisce
di gioia.
«Mamma, è venuto qui, a casa mia! Guarda cosa mi ha
portato!» Mi abbraccia. Ride forte, fortissimo. Batte le mani.
«Certo, tesoro. Sei una brava bambina e lui lo sa. Ti ha
portato tantissimi regali.» Adoro vederla così felice.
Apriamo ogni pacchetto. Le ho preso tutto ciò che ha chiesto,
se lo merita. È una bambina eccezionale, forte e indipendente:
non si lamenta mai e ha un carattere tranquillo e affabile. So bene
che le manca il suo papà e che si sforza con tutta sé stessa per
non farmelo pesare. Così piccola e così sensibile. È davvero
straordinaria.
Dopo aver scartato un numero infinito di doni, la piccola si
mette a giocare con un cagnolino parlante, io invece mi
rimbocco le maniche e comincio a montare la sua nuova cucina
giocattolo. È enorme, e so già che per mettere insieme tutti i
pezzi mi ci vorranno ore.
La mattinata trascorre in questo modo, fino a quando non è il
momento di cambiarci e andare a pranzo.
A casa dei miei genitori, la tavola è apparecchiata
divinamente: la tovaglia rossa ricamata con pigne e aghi di pino,
i piatti bianchi con il bordino dorato e un magnifico centro tavola
realizzato con le stelle di Natale. Il cibo è abbondante e delizioso
e facciamo tutti onore a questo squisito banchetto.
Vedrò Edo nel tardo pomeriggio: oggi è giusto dedicare la
giornata alla famiglia e stare insieme a chi ci è più caro. Sono
tanto fortunata, perché vicino a me ho delle persone eccezionali,
non potrei volere di più.
Tete è intenta a scartare pacchetti di qualsiasi dimensione: i
regali che Babbo Natale ha portato dai nonni sono uno più bello
dell’altro e sono tantissimi! È stata dura convincerla a sedersi
insieme a noi per il pranzo, ma in un modo o nell’altro ce
l’abbiamo fatta.
A tavola, chiacchieriamo del più e del meno, e a un tratto mia
madre attacca con le solite domande. «Con Edoardo come va?»
«Non potrebbe andare meglio.» Le rispondo sincera.
«Che piacere sentirtelo dire. Tienitelo stretto, ce ne sono
pochi così. Quando glielo presenterai?» Guarda verso la
piccolina.
«Voglio aspettare ancora un po’, devo esserne sicura. Non
voglio commettere errori e non voglio che si affezioni a
qualcuno per poi capire che non è la persona giusta e rischiare
di farla soffrire. Voglio essere prudente.»
«Hai ragione. Tete non c’entra nulla con gli sbagli del
passato. Lei non deve pagare le conseguenze dei tuoi errori.»
Me lo ricorda anche oggi.
«Sì, mamma, me lo hai ripetuto un milione di volte e su
questo siamo d’accordo.»
«Nessuna notizia di suo padre? Mia nipote è obbligata a
passare un altro Natale senza sapere nemmeno chi sia. Povera
piccola… Tutto per colpa dei suoi stupidi egoismi. A pensarci
bene, meglio così: meglio nessuno, piuttosto che un poco di
buono. Lei non merita uno così…»
«Hai ragione, mamma. Merita soltanto ciò che c’è di bello in
questo mondo. Ci ho pensato anch’io, sai? Ai meravigliosi
momenti irripetibili che non torneranno più, e che forse un
giorno suo padre rimpiangerà. Nessuno potrà mai restituirgli il
tempo perso con sua figlia, ma per questo pagherà la sua
coscienza. Oggi vorrei soltanto passare una bella giornata.» Non
ho voglia di discuterne in questo momento. Oggi vorrei soltanto
passare una bella giornata.» Non ho voglia di discuterne in
questo momento.
«Certo. È Natale. Scusami, Emma, nemmeno per te è una
situazione semplice. Tu più di tutti devi fare la cosa giusta per
entrambe, in particolare per lei. Si merita un padre e tu un
compagno. E un po’ di tranquillità.»
«Tempo al tempo, mamma. Non c’è fretta.»
Lascio Tete dai miei per incontrare Edo. Abbiamo pensato di
trovarci da me per lo scambio dei regali. Nessun programma per
quanto riguarda la cena: chi ha voglia di mangiare dopo un
pranzo come quello appena consumato? Credo che andremo
subito a teatro per vedere il Gospel: abbiamo preso i biglietti due
mesi fa e già allora stavano andando letteralmente a ruba.
Lui arriva a casa mia poco dopo di me. È elegantissimo:
completo blu, cravatta e camicia bianca, sta davvero molto bene.
«Buon Natale, amore» mi augura, entrando. Mi bacia felice,
con quel suo sorriso contagioso. Stringe fra le bracca un pacco
gigante tutto colorato.
«Buon Natale anche a te. Che eleganza.» Non riesco a fare a
meno di dirglielo. «È enorme quel pacchetto…»
«Questo è per… no, non è per te. È per Tete, spero le possa
piacere.»
«Davvero? Sei incredibile! Le piacerà sicuramente. Hai
sempre un pensiero per lei, lo apprezzo molto. Sai che non sei
tenuto a farlo, vero?»
«Lo so. Credimi quando dico che per me è un piacere.» La
dolcezza nei suoi occhi mi conferma le sue parole.
«Ti credo. Non sai quanto sia importante per me.»
«Anche tu sei uno schianto, comunque.» Mi guarda
soddisfatto. Ammetto di fare ancora la mia figura. Ho scelto di
mettere un tubino nero a maniche lunghe, calze con brillantini
dorati e tacchi alti. In fondo, la giornata lo richiede.
«Allora, com’è andata oggi? Raccontami, dai!»
«Benissimo. Io e Ale abbiamo mangiato troppo, come tutti
gli anni. Mia madre è sempre la solita esagerata. A proposito, ti
saluta.»
«Grazie, che gentile. Falle tanti auguri da parte mia.»
«Voi invece? È passato Babbo Natale?»
«Eccome! È andata molto bene, sono sveglia dalle cinque
perché Tete scalpitava per aprire i regali, non stava più nella
pelle, dovevi vederla. Anche noi abbiamo esagerato a pranzo,
ma oggi come si fa a mangiare poco? Che ne dici se preparo due
belle tazze di tè per digerire?»
«Ne avrei proprio bisogno, ti ringrazio.» Indica il divano.
Preparo il tè e lo beviamo in cucina chiacchierando delle
nostre famiglie. C’è allegria nell’aria.
«Vado un secondo in camera a prendere una cosa» gli dico,
ansiosa di dargli il suo regalo. Torno con il pacchetto in mano.
«Buon Natale, tesoro. Questo è per te.» Sono certa gli piacerà.
Ho scelto un portafoglio in pelle, senza dubbio nel suo stile.
La sua espressione me lo conferma non appena scarta il
pensiero. «È davvero perfetto, grazie!» Il regalo è stato
azzeccato, perché ne aveva bisogno, mi dice. «Ora è il mio
turno» sussurra. Edoardo tira fuori dalla tasca dei pantaloni una
scatolina infiocchettata in un nastro dorato. Ci guardiamo negli
occhi: i suoi pieni di gioia, i miei un po’ spaventati. Mi invita ad
aprirla senza paura.
Mi venga un colpo! È proprio ciò che pensavo: un anello così
brillante come non ne avevo visti mai, se non nei film romantici,
quando l’uomo si inginocchia davanti alla propria compagna e
le fa la proposta di matrimonio. Sono in panico, non sono pronta.
Sono senza parole.
«Non ti sto chiedendo di sposarmi, stai tranquilla. È solo che
voglio di più. Voglio un impegno. Per me sei speciale e la nostra
storia è diventata molto importante. Io ti amo.»
Non credo ancora alle sue parole, mi sembra un sogno che si
sta per realizzare. Edo vuole un impegno, una promessa, vuole
che ci fidanziamo!
Dopo tanto tempo, credo di aver trovato l’amore che ho
cercato così disperatamente e il coraggio di aprire ancora una
volta il mio cuore ferito, lasciandomi andare una volta per tutte.
Finalmente, sento di fare la cosa giusta e di essere pronta per un
nuovo inizio.
Sfilo l’anello dalla scatolina e lo indosso. È uno splendore e
di sicuro è al posto giusto.
«Anch’io ti amo» gli confesso. «Non potrei sentirmi meglio
di così.» Ed è vero, perché tutti i miei dubbi sembrano spariti.
Edo mi vuole davvero, ed è questo quello che desidero con tutta
me stessa, per me e per Tete. Qualcuno che mi ami senza
incertezze.
24

EMMA

8 Settembre 1995

Il mare a settembre era meraviglioso e la temperatura ancora


molto piacevole, nonostante fossero passate da un pezzo le sette
di sera. Passeggiavo da sola sul bagnasciuga a piedi nudi,
immersa nei miei pensieri: il viaggio in treno era durato quasi
tre ore, ma ne era valsa la pena. Ero da poco diventata
maggiorenne e come dono di compleanno avevo chiesto ai miei
genitori di farmi vivere questa esperienza da sola. Mi avevano
regalato un paio di giorni di vacanza, che per me avevano
un’importanza vitale, perchè era stato Christian a chiedermi di
partire.
Il tempo sembrava essersi fermato. Ormai non c’erano quasi
più turisti, le vacanze erano giunte al capolinea un po’ per tutti
e le spiagge si presentavano semi-deserte.
Restai da sola con il mare: con lui potevo confidarmi e fargli
sapere i pensieri più profondi, essere me stessa. A lui potevo dire
la verità.
Camminavo tranquilla, godendomi quei preziosi momenti di
solitudine, mentre il sole mi abbracciava e mi scaldava il viso e
le gambe. Feci una lunghissima passeggiata riflettendo su tante
cose, poi mi sedetti sulla spiaggia a osservare l’orizzonte. Ero in
pace.
Forse Christian aveva ragione quando mi aveva chiesto di
fare questa cosa. Che strana sensazione lasciarsi per sempre, in
un modo così assurdo: ancora non riuscivo a credere di essere lì
solo per esaudire un suo desiderio. Ero così afflitta che accettai
di fare anche quello, pur di potermi sentire più vicina a lui.
Rientrai in albergo e ordinai la cena. Nell’attesa, tornai in
camera per fare una doccia e cambiarmi. Ricordavo ancora
quella nostra conversazione, a proposito di un’ipotetica vacanza,
avvenuta nel suo letto.

«A cosa stai pensando?» Non riuscivo a staccargli gli occhi


di dosso, aveva soltanto i boxer che si era infilato da poco.
Avevamo appena fatto l’amore. Gli avevo accarezzato quelle
lacrime tatuate sul braccio, baciandolo lentamente sul collo.
Piccoli baci quasi sfiorati, i suoi preferiti. Lui mi aveva
accarezzato la schiena con un’espressione assente, come se
sognasse a occhi aperti.
«Vorrei fuggire via per un fine settimana, io e te da soli. Dove
ti piacerebbe andare?» Mi baciava le dita delle mani, il polso,
il braccio. Avevo i brividi ovunque.
«Al mare» avevo risposto senza alcun dubbio. «Vorrei fare
una passeggiata sulla spiaggia, mano nella mano, ascoltando
quel suono meraviglioso che adoro. Magari rimanere lì fino a
tardi, mangiare qualcosa, poi andare a letto. Addormentarmi e
risvegliarmi con te al mio fianco, guardarti mentre dormi,
svegliarti all’improvviso.»
«Continua, se hai il coraggio.» Ero ancora nuda, la sua
bocca già sul mio seno.
«Lasciarmi fare tutto quello che ti viene in mente, tutto quello
che vuoi tu.» Gli avevo accarezzato i capelli.
«Adesso, invece, cosa vuoi che ti faccia?» La sua mano
strisciava sul mio corpo e la sua lingua sfiorava la mia.
«Quello che vuoi. Lo vedi che non mi basti mai? Io voglio
solo te. Non cambierò idea. Non succederà mai.» Non riuscivo
a parlargli, sentivo di stare per perdere il controllo.
«Ti prometto che ti porterò al mare, in spiaggia, a cena e poi
a letto e con il rumore dell’acqua in sottofondo, faremo delle
cose che ricorderemo per sempre.» Si era fermato. I suoi occhi
mi incantavano. «Che ne dici se anticipassimo i tempi?»
«Dico che è ora di smettere di parlare.»
Ci eravamo baciati con dolcezza e passione e i nostri corpi
erano diventati una cosa sola, fondendosi insieme, muovendosi
all’unisono l’uno contro l’altro. Avevamo fatto piano, per far
durare quel momento il più a lungo possibile. Ogni volta era
sempre più bello, ogni volta ci appartenevamo un po’ di più.

In quell’istante, potevo soltanto aggrapparmi ai ricordi,


perché nulla faceva più parte della realtà, c’ero soltanto io, qui
al mare. Ero rimasta sola, ed ero lì per accettarlo, nonostante mi
provocasse un immenso dolore.
La cena era squisita, avevo ordinato tutto a base di pesce.
Immaginavo ci fosse lui di fronte a me, a sorseggiare del vino
bianco tenendomi la mano. Sarebbe stato così romantico…
Saremmo stati la coppia più bella della sala, questo era certo.
Lui, con quell’aria così misteriosa e taciturna e io, quella che
non stava mai zitta e diceva sempre quello che pensava. Lo avrei
fatto ridere per tutto il tempo e Christian, dopo aver finito di
cenare, mi avrebbe chiesto di andare via, per stare da soli a
guardare le stelle. Io avrei fatto qualsiasi cosa per farlo felice.
Sarebbe stato perfetto.
Invece eccomi lì, sola con me stessa. Chi lo avrebbe mai
immaginato…
Intorno a me, giovani coppie innamorate si guardavano in
quel modo intenso, come se tutto intorno a loro non esistesse.
Simpatiche famiglie rumorose ridevano insieme ai loro figli,
godendosi quei momenti preziosi, prima di ritornare alla solita
routine quotidiana.
Io a che cosa sarei mai tornata? Come sarebbe stata la mia
vita da quel momento in poi? Non riuscivo a immaginarmi senza
di lui, mio malgrado dovevo cominciare ad abituarmici. Non
sarebbe stato facile, ma ce l’avrei fatta. Non avevo alcuna scelta.
Avevo diciotto anni e non potevo pensare di rimpiangerlo per
tutta la vita, anche se mi mancava in un modo assurdo. Da
provare dolore. Al petto. Al cuore. All’anima.
Finii di bere il mio caffè e uscii dalla sala. Salii in camera e
mi accoccolai su una poltrona che dava sul balconcino della mia
stanza, da cui si poteva osservare tutta la spiaggia. Mi rilassai e
chiusi gli occhi. Sentivo che avrei ricordato per molto tempo
questa serata così particolare. Le lacrime scesero abbondanti, ma
non le trattenni: era il momento giusto per farlo.
Sulla spiaggia ormai buia, giovani ragazzi giocavano a
pallone, ridendo e chiacchierando di donne, sogni nel cassetto,
giorni che sarebbero arrivati. Avrei voluto essere come loro,
piena di gioia di vivere, di speranze e di progetti per il futuro. In
fondo, era tutto nelle mie mani. Alla mia età, avrei dovuto essere
io la padrona del mio destino.
Mi alzai e rientrai, diretta verso il bagno. Mi sciacquai il viso,
poi mi guardai allo specchio: dal giorno seguente sarei ripartita
da zero, sarei andata avanti senza di lui, come del resto lui aveva
già fatto. Quella sarebbe stata l’ultima notte. Purtroppo, il tempo
a nostra disposizione era scaduto. Non ci sarebbe stato mai più
un noi. Quella notte lo avrei lasciato andare, come fosse stato
tutto un sogno.
La mattina seguente, mi svegliai abbastanza presto. Mi
sentivo bene, tranquilla e di buonumore. Avevo dormito
profondamente, contro ogni mia previsione. Feci colazione e
pagai il conto, pensando ai miei genitori con immensa
gratitudine per avermi regalato quei momenti preziosi. Prima di
rimettermi in viaggio, mi diressi ancora una volta in spiaggia.
Osservai l’orizzonte, i miei sentimenti erano cambiati:
l’inquietudine e la tristezza dei giorni precedenti erano
scomparsi. Era giusto così.
Restai immobile a godermi il panorama, fino a quando non fu
il mare stesso a sussurrarmi che era ora di andare. Fissai un
punto indefinito davanti a me. Sorrisi.
Addio, amore, è stato tutto bellissimo. Così bello da sembrare
reale. Invece, è stato soltanto un sogno meraviglioso. Ti amo.
Mi voltai e lasciai alle mie spalle quell’immensa distesa
d’acqua, ritornando serena alla mia vita.
25

EMMA

«Ci sentiamo domani, ok?»


Un’altra settimana di lavoro è finita e Claudia è raggiante. Per
fortuna, il week-end è arrivato.
«Vado via in fretta, questa sera: ho un impegno romantico e
devo farmi bella.» Ride, fa l’occhiolino, timbra ed esce di corsa
dall’ufficio.
Per fortuna si è buttata alle spalle quell’orribile vicenda con
il suo ex: non ha perdonato Tommaso, anzi, lo ha umiliato
facendolo sentire una nullità assoluta, comportandosi con lui nel
peggior modo possibile: ignorandolo.
Dopo avergli concesso la possibilità di spiegarsi, Claudia lo
ha ricoperto di insulti intimandogli di non farsi più rivedere.
Come abbia trovato quel coraggio è ancora un mistero, ma è
stata la scelta migliore che potesse fare. È in gamba, la mia
amica, può senz’altro aspirare a qualcuno che la faccia felice sul
serio, invece di accontentarsi di un bugiardo traditore.
In questo momento, sta attraversando una fase molto
spensierata: si vuole soltanto divertire, uscire e conoscere nuovi
amici. L’unica costante della sua vita sono io, per il resto è in
atto una vera e propria rivoluzione.
Quanto sono fiera di lei!
Ricevo un altro messaggio da parte del mio fidanzato, che
non mi dà tregua da questa mattina.

EDOARDO: Esci da quell’ufficio e vieni subito a


casa mia.
EMMA: Non ti è bastato tutto quello che abbiamo
fatto questa notte?

EDOARDO: Tu non mi basti mai, amore. Ti prego,


non farmi aspettare troppo.

EMMA: Se la metti così... Il tempo di indossare


qualcosa di adeguato e arrivo.

EDOARDO: Mi farai perdere la ragione, uno di


questi giorni.

EMMA: L’intento è quello. A dopo. Ti amo.

EDOARDO: Fai più in fretta che puoi. Ti voglio da


impazzire. Ti amo tanto.

Per quanto mi riguarda, ho trascorso i mesi più freddi


dell’anno nel migliore dei modi. La mia storia con Edoardo è
letteralmente decollata. Abbiamo vissuto momenti molto intensi
e ora siamo più uniti che mai. La fortuna gira dalla mia parte e
non potrei chiedere di più. Il nostro rapporto è salito di livello,
diventando ogni giorno più importante per entrambi, più di
quanto avrei pensato potesse accadere. Il suo anello risplende e
io lo porto al dito con orgoglio, non lo tolgo mai: sono fidanzata
ed è una sensazione meravigliosa. Ho deciso di fargli conoscere
Tete in estate e, se tutto andrà bene, potremmo persino pensare
a una vacanza, noi tre insieme. Sarebbe un sogno! Sono certa
che a lei piacerebbe moltissimo.
Dopo aver salutato Claudia, anche io mi preparo per uscire
dall’ufficio: riordino la scrivania e me ne vado. Scendo le poche
scale che mi portano fuori dall’edificio e faccio una passeggiata
fino alla macchina: è primavera inoltrata, i colori e i profumi
della natura in questo periodo sono davvero unici.
Mi godo l’aria fresca e il sole tiepido mentre cammino felice
quando, all’improvviso, mi suona il cellulare. Lo cerco
velocemente all’interno della borsa e riesco a recuperarlo quasi
subito. Squilla ancora e il display mi segnala che la chiamata
viene da un numero sconosciuto.
«Pronto?» Il mio tono non potrebbe essere più infastidito.
A un tratto, però, il mondo si ferma, non è più primavera, non
è più venerdì. Non è più niente di niente. Ci sono soltanto io,
sospesa, in un mondo lontano.
Il cuore batte all’impazzata, quasi a scoppiarmi nel petto. Il
rossore aggredisce il mio volto e le guance scottano, gli occhi mi
fanno male da morire perché le lacrime tentano di uscire
prepotenti. Mi gira la testa.
La borsa mi cade in mezzo alla strada e non posso
raccoglierla perché sono paralizzata, non riesco a muovere
nemmeno un dito.
Sto viaggiando nel tempo, sto tornando indietro.
Quella voce. Quelle parole. Quel tono così pacato e
rassicurante. La strada di casa che ho perso e ritrovato. Il mio
posto nel mondo.
Lui.
Dopo tutto questo tempo, dopo aver perso ogni speranza,
dopo essere riuscita a rinchiuderlo nella scatola insieme ai miei
ricordi. Dopo aver trovato la forza di andare avanti.
Mi sento svenire, ma devo mantenermi lucida. Riprendo il
controllo di me stessa e, incredula, lo ascolto. Posso sentire con
esattezza quanto mi sia mancato, posso quasi toccare questa
sensazione: mi accorgo in un attimo che questi anni passati non
sono serviti a nulla, che farei qualsiasi cosa per riaverlo. Le
emozioni sepolte per tanto tempo chissà dove, arrivano dritte
allo stomaco… e mi sembra di vivere un sogno.
«Emma... Emma, sono io.»
“Certe volte la gente mente soltanto tacendo.”

Stephen King, La metà oscura


26

CHRISTIAN

Faroe Island, Mykines

Ammiro l’orizzonte dal vecchio Faro Holmur, nella parte più


occidentale dell’isola. Vengo qui ogni volta che posso, dal
giorno in cui mi sono trasferito: ricordo ancora la prima volta
che mi sono trovato di fronte a questi paesaggi incantati. C’è
qualcosa qui che ha dell’incredibile e che, ancora oggi, non
finisce di stupirmi. Sembra di vivere una fiaba popolata da elfi,
draghi e streghe cattive.
Vivo qui da quasi due anni e di rado rinuncio a godere di
questa bellezza. Amo camminare fino a questo punto dell’isola,
partendo dal piccolo villaggio per attraversare le montagne
coperte d’erba, salire fra le scogliere e il ponte di ferro a
strapiombo sull’oceano. Lo faccio quasi ogni giorno.
Centinaia di pulcinelle di mare mi fanno compagnia.
L’istintiva paura di queste meravigliose creature nei miei
confronti è un ricordo ormai lontano. A volte, mi ci siedo in
mezzo e riesco persino ad accarezzarle. Non è semplice vivere
in questi luoghi, il clima è ostile e gli abitanti molto pochi. Meno
di quaranta persone, tra cui io. Nonostante le dicerie
sull’inospitalità dei locali, non potrei essermi integrato meglio,
tanto che considero questa meravigliosa terra anche un po’ mia.
Sarà difficile lasciarla.
Guardo il mare, ne sono dipendente. Da ragazzo, vivevo in
una grande città: il cemento era il mio mare. Non pensavo che
questo elemento, per me innaturale, potesse entrarmi dentro così
tanto da non poterne più a farne meno.
Non c’è stato giorno che non lo abbia guardato senza pensare
a lei. Non c’è giorno che non la vorrei qui con me. Spesso le
parlo e le racconto come sto trascorrendo la mia vita, poi mi
faccio coraggio e le confesso perché l’ho lasciata senza darle la
spiegazione che meritava. No, non sono pazzo. Provo e riprovo
a mettere insieme le parole, perché presto vorrei riuscire a dirle
ogni cosa di persona. Tornerò a casa fra poco, finalmente libero
di vivere la mia esistenza e di rivendicare ciò che mi appartiene
più di ogni altra cosa al mondo: il suo amore.
Sono cresciuto con poche certezze nella vita, tipo che il sole
sorge a est o che non ti regala niente nessuno. Più di tutto, però,
sono certo che lei sia la mia anima gemella e che nessuna al
mondo potrebbe mai prendere il suo posto.
Mai.
Per fortuna, oggi esiste la tecnologia, a differenza di quando
io ed Emma eravamo ragazzini. Non ho fatto fatica ad avere
informazioni che la riguardassero, mi è bastato saper cercare. Ho
scoperto dove lavora e di cosa si occupa: è una grafica
pubblicitaria piuttosto brava, a quanto pare, almeno da ciò che
ho potuto leggere in rete. Giorni fa, mi sono spacciato per un
cliente e ho chiamato in studio per avere il suo numero di
cellulare, è stato un gioco da ragazzi. Peccato che sul sito web
dell’azienda non ci sia nemmeno una sua fotografia: sono
impaziente di sapere com’è diventata, anche se sono certo sia
bellissima.
Il momento è arrivato e, accanto al mio amato faro, in piedi,
di fronte all’Oceano Atlantico, mi faccio coraggio: cerco il suo
numero e premo il tasto CHIAMA, pregando che mi risponda.
«Pronto?» Lei.
Il mondo si ferma, almeno il mio. Riconoscerei quella voce
fra un milione. La conosco così bene che mi accorgo subito del
suo tono seccato, forse perché un numero sconosciuto la sta
disturbando e a lei non piace non sapere con chi parla.
«Emma… Emma, sono io.» Trovo il coraggio di pronunciare
quelle poche parole, sperando che a sua volta lei mi abbia
riconosciuto. Passano attimi interminabili, ho il cuore che mi
scoppia nel petto, mentre le onde del mare si alzano rumorose
verso il cielo.
«Sei… sei tu?» balbetta. È incredula, emozionata, non sa cosa
dire.
«Sì, sono proprio io. Come stai?» Sono in preda al panico e
quasi non mi escono le parole dalla bocca. Temo che qualunque
cosa dica possa sembrare ridicola.
«Sei davvero tu? Sto… sto bene, almeno credo.» Le trema la
voce e scoppia a piangere.
«Non piangere, ti prego. So che non sono degno nemmeno di
parlarti, ma ho bisogno di farlo. Sto per tornare, Emma. Presto
tornerò da te, se ancora lo vuoi.» Mi lascio andare come un
fiume in piena.
«Perché ora?» La sento fredda. Improvvisamente, ha
cambiato tono.
«Perché posso farlo. Il mio esilio è finito, se così si può dire.
Ho tante cose da raccontarti. Ti prego, fra qualche giorno sarò a
casa. Ho bisogno di spiegarti ogni cosa. Dammi la possibilità di
farlo.»
«Quando?» Ancora quel gelo.
«Presto. Giusto il tempo di trovare il biglietto aereo.»
«Si può sapere dove sei?» Ora mi sembra nervosa.
«In un arcipelago danese. Sono alle Isole Faroe ormai da un
paio d’anni, a Mykines, di preciso. Non ho fatto altro che
pensare a te, è stato dolorosissimo starti lontano, un inferno.»
«Non so nemmeno dove siano queste isole. Perché soltanto
ora? Hai idea di quanto sia stata male? Dolorosissimo, dici. Ti
rendi conto di quanto mi hai fatto soffrire?» Odio sentirla così.
«Posso soltanto immaginarlo. Non ho giustificazioni, ma non
pensare che me la sia cavata meglio. Devo spiegarti tutto. Ti
prego, Emma, non dirmi di no.»
«Chiamami quando torni in Italia. Ora scusami, ma sono
troppo sconvolta.»
«Vorrei tanto che tu mi perdonassi. Mi impegnerò con tutto
me stesso perché accada.»
È tutto ciò che voglio.
«Chiamami quando arrivi. Ora ti devo lasciare.» E mi attacca
il telefono in faccia.
È un inizio. Magari non quello sperato, ma è pur sempre un
inizio. Non posso avanzare alcun tipo di pretesa, ma almeno ho
avuto il coraggio di chiamarla e dirle che fra poco sarò da lei.
Un passo in avanti. Non vedo l’ora di sapere come ha trascorso
tutto questo tempo, come se l’è cavata in mia assenza. Di sicuro
bene: è sempre stata lei quella forte, fra i due. È grazie a lei se
ho trovato il coraggio di restare a galla.
L’ho lasciata che era poco più di una ragazzina e non vedo
l’ora di ammirare la bellissima donna che di sicuro è diventata.
Farò il possibile per avere una seconda occasione, prego perché
lei torni da me.
Mi stringo nella giacca a vento e ho i brividi in tutto il corpo.
Anche se siamo a fine maggio, fa molto freddo. Ammiro il
tramonto, offuscato quasi del tutto dalla nebbia. Onde alte e
rumorose si infrangono sugli scogli, il vento gelido cerca di
entrarmi nelle ossa e a breve ci riuscirà. È ora di rientrare, il
sentiero verso casa non è breve e temo che possa incominciare a
piovere da un momento all’altro. Il clima qui è sempre molto
incerto, come lo è stata tutta la mia vita, del resto.
Torno a casa per trovare la stabilità che cerco da sempre, alla
quale mai come ora sono pronto.
27

CHRISTIAN

Mi sveglio presto da molto tempo: ho imparato a fare mie le


abitudini dei pochissimi abitanti dell’isola. Sono uno di loro e ne
vado fiero. Queste terre, così lontane da tutto, mi hanno ridato
una seconda vita, un’altra possibilità: l’occasione di riflettere su
me stesso e di poter migliorare giorno dopo giorno. Qui è Madre
Natura la padrona di casa, e in questo luogo così fiabesco le
piace stare in assoluto silenzio. Solo il rumore del mare, della
pioggia e degli animali hanno il diritto di interromperlo. Ho
imparato in fretta a convivere con questa pace così surreale, a
esserne amico e averne rispetto.
Ho avuto un’infinità di tempo per pensare, perché quando si
vive così isolati dal resto del mondo si impara a conoscere
aspetti della propria persona che mai sarebbero emersi in
condizioni abituali. Sono diventato un uomo, grazie a questa
terra.
Sono sicuro che un giorno tornerò qui, in questo mio piccolo
regno, che amo con tutto me stesso. Ricordo che quando sono
arrivato a Mykines, quest’abitazione aveva l’aspetto di una
vecchia catapecchia. Quasi mi ero pentito di aver accettato il
lavoro come custode, ma più passava il tempo, più la sentivo
mia, tanto da cominciare a restaurarla e darle una nuova vita. Se
la meritavo io, di certo lei non poteva essere da meno.
Ho lavorato senza sosta per lunghi e interminabili giorni e
tutti gli abitanti mi hanno aiutato a compiere quell’impresa
titanica, senza alcuna eccezione. All’interno, ho sostituito infissi
e porte: ho speso molti dei miei risparmi, ma ne è valsa la pena.
L’ho ridipinta da cima a fondo e oggi posso dire con orgoglio
che è l’alloggio più bello di tutto il villaggio. Senza qualcosa di
Emma, però, non avrei mai potuto considerarla davvero casa
mia.
Un pomeriggio di fine autunno, avevamo fantasticato
riguardo a una nostra ipotetica casa e mi aveva chiesto di
dipingere le pareti di celeste, il suo colore preferito. Avrebbe
colorato il mondo intero di quella sfumatura, forse anche me.
Ho costruito un’altalena in giardino, immaginando lei seduta
a dondolarsi, infagottata nel suo piumino grigio a fare i conti con
il freddo. La posso quasi vedere dalla finestra: un giorno mi
piacerebbe affacciarmi e osservarla mentre si volta
all’improvviso verso di me e sorride. Chissà se riuscirà mai a
perdonarmi e seguirmi fino a qui, dove sembra finisca il mondo.
Lo so, è assurdo solo pensarlo.
Bussano alla porta e i miei pensieri scompaiono all’istante.
Vado ad aprire. «Sonni, amico mio, che ci fai a quest’ora del
mattino?» Il mio danese migliora giorno dopo giorno.
«Buon giorno, amico. Randi ti manda il pane fresco fatto da
lei per la colazione.»
«Ringrazia tua moglie da parte mia. Non so come farei senza
di voi, vi devo davvero molto.»
«E noi dobbiamo molto a te. Ti saremo per sempre grati.»
«È un onore per me potervi dare una mano. Dai, entra che ti
preparo un buon caffè, come solo un italiano sa fare. Ammettilo,
un po’ di tradizioni di casa mia te le ho fatte conoscere!»
Ridiamo divertiti.
«Grande scambio culturale e culinario, senza ombra di
dubbio.» Sonni si siede e la sua faccia sorridente diventa buia e
triste. Si guarda intorno e si accorge subito che qualcosa non va.
Ci sono le mie cose sparse ovunque: vestiti, scarpe, effetti
personali, la mia attrezzatura fotografica e le valigie accanto al
divano in attesa di essere riempite.
Preparo la moka e la metto sul fuoco.
«Che storia è questa?» Ha già capito tutto.
«Sto per partire. Devo andare a casa. Vado a prendere Emma,
ho bisogno di lei.» Sonni conosce bene la nostra storia, non ha
bisogno di altre spiegazioni.
«Tornerai?» Sono certo che mi capisca, perché l’amore che
prova per Randi è forte quanto il mio per Emma.
«Ti voglio raccontare una cosa, amico. Da ragazzo, sono
sempre stato quello che poteva dare di più. Etichettato fin dal
primo giorno di scuola come quello difficile, problematico,
ingestibile. Quello a cui la professoressa diceva: “Se solo ti
impegnassi al massimo… se pensassi al tuo futuro… un giorno
ti pentirai di non averlo fatto…”. Come se, in quei pochi mesi di
scuola, lei fosse in grado di prevedere con certezza assoluta cosa
mi sarebbe accaduto nella vita, cosa sarei diventato e cosa
soprattutto non sarei mai stato capace di essere. Forse è arrivato
il momento di dimostrare qualcosa, di dare di più. Farò di tutto
per riaverla con me. Per rispondere alla tua domanda… Beh,
dipenderà da lei, ma io lo spero. Ormai considero questa terra
come casa mia. Ieri, quando l’ho sentita al telefono, era così
diversa dalla mia Emma, così piena di rabbia e di rancore. Non
so nemmeno se mi rivorrà, figurati se riesco a immaginare di
portarla qui.»
«Se non ti vorrà, torna da solo. Ti accoglieremo a braccia
aperte. Qui avrai sempre una famiglia, ragazzo mio. Non
conosco Emma, ma se ti ama anche solo la metà di quanto tu dici
di amare lei, sono certo che tornerà da te. Te lo auguro.» Mi
abbraccia forte.
«Ho bisogno di un amico che tenga d’occhio la mia casa. So
bene di chiederti molto. Puoi farlo per me?»
«Siamo una famiglia, certo che lo farò. Te lo prometto.
Quando parti?»
«Domani. Ho il volo da Vagar alle tredici e quindici. Arrivo
a Milano sei ore dopo, facendo un breve scalo a Copenaghen,
giusto il tempo di salutare mia sorella. Mi dispiace dirtelo
all’ultimo momento, ma voglio tornare da lei il prima possibile.
Non posso aspettare un minuto di più.»
«Non ti preoccupare. Forse è meglio in questo modo, senza
avere il tempo di pensare troppo. È più facile lasciarti andare.
Vieni a cena da noi questa sera, ci saluteremo come si deve.»
«Con enorme piacere. Grazie, Sonni.»
Per il resto della giornata ho altri programmi in mente.
Saluterò l’isola a modo mio, passeggiando fino al vecchio faro,
coricandomi in mezzo alle mie adorate pulcinelle. Sentirò molto
la mancanza di questo mondo che, con il tempo, ho imparato a
fare mio.
28

CHRISTIAN

Ammiro il panorama dal finestrino dell’aereo e ho una fitta


al cuore, perché mi rendo conto soltanto in questo momento che
sto per chiudere un capitolo molto importante della mia vita.
Dall’alto, queste isole sembrano smeraldi, tanto è brillante il
verde dei prati che le ricopre per intero. Come da programma,
faccio scalo a Copenaghen; non ho molto tempo a disposizione,
il mio aereo riparte fra una cinquantina di minuti. Mia sorella è
già in aeroporto che mi aspetta per salutarmi.
Lucrezia è sempre stata molto bella. Ci siamo visti
pochissimo, durante la mia infanzia. È più grande di me di una
decina di anni ed è mia sorella soltanto da parte di madre, ma di
questo non ci è mai importato, ci siamo sempre voluti bene.
Proprio quest’ultima ha fatto in modo di tenerci sempre in
contatto, incoraggiando una corrispondenza epistolare molto
vivace, durata tutto il periodo della mia infanzia e della mia
adolescenza. Mi ha sempre parlato di lei, facendo in modo che
la conoscessi bene anche se a distanza, considerandola una
figura di riferimento, una persona su cui poter sempre contare e,
ovviamente, una parte importante di me e della mia famiglia.
Lulù si è trasferita qui a Copenaghen a soli nove anni. Suo
padre ha lasciato nostra madre per una donna danese che ha
voluto ritornare a casa, trasferendosi con tutta la famiglia,
compresa la sua figliastra: del resto quella ragazzina non si
sarebbe mai separata dal papà, con il quale ha sempre avuto un
legame più unico che raro.
La scelta di trasferirsi in Danimarca si era rivelata quella
giusta: ottime scuole, ottimo lavoro, ottime prospettive per il
futuro. È stata Lucrezia a ospitarci quando all’improvviso
abbiamo lasciato l’Italia. Mi ha aiutato a trovare un lavoro e a
farmi conoscere le persone migliori da frequentare. Mi ha dato
una mano con la nuova casa e, di certo, non sarei mai approdato
alle Faroe senza il suo aiuto e il suo sostegno. In fondo, quando
ci siamo ritrovati, ero poco più di un ragazzino e avevo bisogno
di lei più che mai.
La mamma è mancata quasi tre anni fa e Lucrezia mi è stata
sempre accanto. Non mi ero mai sentito così, in vita mia: prima,
avevo perso Emma, l’amore della mia vita; qualche anno dopo,
anche la donna che mi aveva messo al mondo se n’era andata.
Distrutto, privo di motivazioni e senza alcuna voglia di andare
avanti, sentivo di non avere più nessuno scopo.
Proprio allora, arrivò quella proposta dalle Isole Faroe. Fu lei
che mi spinse a partire per Mykines. Contro qualsiasi
aspettativa, la decisione di trasferirmi si è rivelata la cosa più
giusta che potessi fare.
«Fratellino, come stai? Fatti abbracciare! Che muscoli ti sono
venuti dall’ultima volta.» Quasi tutti gli uomini presenti in
aeroporto ci stanno osservando. Mia sorella è da sballo, potrebbe
fare la modella, se soltanto lo volesse. Invece è una cervellona
e, da ciò che ricordo, si è sempre spesa ad aiutare le persone in
difficoltà, dedicando quasi tutto il suo tempo a fare del bene.
Lucrezia fa parte di un’importante organizzazione a scopo
benefico, che lavora a stretto contatto con il settore turistico
della città.
«Lulù! Più passa il tempo e più lasci tutti senza fiato.» La
stringo forte, fortissimo, chissà quando ci capiterà di rivederci
ancora.
«Ti dovrei picchiare. Sono passati due anni da quando ci
siamo abbracciati così! E pensare che quasi non volevi partire.
Le isole devono essere spettacolari.»
«Sono stato decisamente occupato. Perdonami, ti prego…» le
dico con sguardo languido.
«La tua espressione da seduttore con me non attacca. Mi sei
mancato.»
«Anche tu.» Vorrei avere più tempo da dedicarle.
«Allora… torni a casa da lei, finalmente. Sei pronto a
rivederla?» Le ho raccontato così tante volte della nostra storia
che è impossibile dimenticarsene.
«Prontissimo. Anche se non credo di poter dire la stessa cosa
di Emma. Avessi ascoltato il tono della sua voce quando le ho
telefonato…»
«Quando ti rivedrà, capirà ciò che vuole. Si ricorderà dei suoi
sentimenti. Non potrà non amarti. Come si fa a non amarti?»
«Ti voglio bene, Lulù. Sono felice che ci siamo ritrovati.
Questi anni con te sono stati un regalo inaspettato della vita.
Dopo tanta sofferenza, forse è arrivato il momento di essere
felici.» Ne sono sicuro, merito anch’io qualcosa di bello.
«Devi cominciare a credere che te lo meriti. Torna da lei e
costruite insieme il vostro futuro. Guardati: ormai sei un uomo.
Quel ragazzino rancoroso che mi ha chiesto aiuto tanti anni fa
non esiste più. Poi vieni qui e fammela conoscere, sono stufa di
sentirne soltanto parlare.» Si distrae per un attimo. «Ora devi
andare, stanno chiamando il tuo volo. Ti voglio bene, fratellino,
grazie per il tempo trascorso insieme. La mamma sarebbe
orgogliosa di te.»
«Un giorno avremo ancora tempo per noi. Tanto tempo. Non
passeranno di nuovo tutti questi anni, te lo prometto.» La stringo
forte a me e scappo verso il mio volo, verso la mia casa. Faccio
fatica a crederci, sto per tornare da lei.

Atterro a Milano in perfetto orario, scendo dall’aereo e mi


accorgo di quanto questo clima mi sia mancato. Mi tolgo subito
la felpa e rimango in maglietta. Sono le otto di sera e ci saranno
almeno venti gradi, incredibile.
Ricordo tutto della mia città, le sensazioni provate da
ragazzino: la periferia che t’intrappola dentro di sé e tu che
diventi parte di lei, anche se Dio solo sa quanto vorresti levartela
di dosso. Il timore costante di essere un reietto, un emarginato,
qualcuno da evitare perché la città ti permette di scomparire
piano e diventare invisibile, persino quando vorresti che il
mondo intero ascoltasse il tuo disperato bisogno di aiuto.
Noleggio un’auto direttamente in aeroporto e mi metto alla
guida, quasi emozionato. Sto per tornare alla mia vita, ancora
non mi sembra vero.
Ho già preso accordi con la signora che si è occupata di
gestire il tutto durante la mia assenza, così da incontrarci e
ritirare le chiavi di casa. Il tragitto è breve, poco meno di un’ora
di strada.
Sono molto stanco, ma prima di fare una doccia e andare a
letto, voglio chiamarla per sentire la sua voce, sperando che
questa volta sia migliore dell’ultima.
«Pronto?» Emma non è sorpresa, ora che conosce il mio
numero.
«Ciao… Come stai? Sono qui. Sono arrivato in questo
momento.»
«Sto bene, grazie. Com’è andato il viaggio?» La sua voce non
promette nulla di buono.
«Tutto come doveva andare, sono solo molto stanco.»
«I tuoi piani?»
«Vederci il prima possibile, se sei d’accordo.»
«Direi proprio di sì. Hai molte cosa da spiegarmi e non voglio
aspettare più di quanto non abbia già fatto. Ho bisogno della
verità, credo di meritarla.»
«Non sei felice che io sia tornato?»
«Ho sofferto troppo, Christian, per una decisione che hai
preso tu per entrambi. Sono quasi impazzita dal dolore e ora ti
ripresenti all’improvviso a sconvolgermi ancora la vita. Cosa ti
aspetti? Che ti accolga a braccia aperte?» Le sue parole mi
feriscono, ma ha ragione. «Sono cambiate molte cose.»
«Tu? Sei tu a essere cambiata? O sei sempre la mia Emma?»
«Sono cresciuta e anche molto in fretta. Non sono più una
ragazzina ingenua e sprovveduta. Ho un lavoro e sono
indipendente, ho delle responsabilità.»
«Hai un ragazzo?» Non ci giro intorno.
«E tu?» Ribatte asettica.
«Mi dispiace, non ho alcun diritto di farti queste domande, lo
so. Ti prego, vediamoci presto, vuoi? Sono qui per te. Non c’è
altro che mi trattenga.»
«Domani a pranzo?» mi chiede con durezza.
«È perfetto.»
Mi spiega dove incontrarci, ma mi anticipa che non avrà
molto tempo a disposizione perché dovrà tornare al lavoro. È un
inizio, so che non devo forzarla in alcun modo. Mi basterà
guardarla negli occhi per capire se è ancora la mia Emma. I suoi
occhi non mi mentirebbero mai.
29

CHRISTIAN

La prima mattina in Italia dopo anni. È una sensazione strana,


una situazione così surreale che stento a credere sia vera, ma è
bellissimo essere a casa dopo tutto questo tempo.
Ho dormito come un sasso questa notte, ma soltanto a causa
del viaggio, che ieri mi ha distrutto: sono certo che, se non fossi
stato così stanco, non sarei riuscito a chiudere occhio dall’ansia
di rivederla. Ci siamo, è arrivato il momento che fino a poco
tempo fa non credevo potesse accadere mai più.
Per non pensare troppo, decido di fare una corsa nei dintorni
e poi farò colazione in un bar: il profumo del caffè e delle
brioches appena sfornate se lo sognano in tutto il resto del
mondo. Quanto mi sono mancate le vecchie abitudini! Me ne
rendo conto soltanto ora che stanno prendendo il sopravvento.
Vado in garage e osservo con nostalgia il mio vecchio
scooter, incredibile quanti ricordi mi tornino in mente solo a
guardarlo. A malincuore, quasi sentendomi in colpa nei
confronti del mio amico a due ruote, salgo in sella a una vecchia
bicicletta e pedalo verso una meta ben precisa. Sono curioso di
andare alla Quercia per sapere se è ancora tutto come un tempo,
o se qualcosa è cambiato.
Ho trascorso tantissimi pomeriggi in compagnia di
quell’albero e dei miei amati libri di Stephen King. Quando ho
conosciuto Emma, ho portato anche lei nella mia tana. Abbiamo
passato ore a chiacchierare e a ridere, a scambiarci i sogni e a
farci promesse, sicuri che le avremmo mantenute. Abbiamo fatto
l’amore, liberi e spensierati. Ci sembrava di avere il mondo in
mano e forse è stato davvero così, anche se per un tempo molto
limitato.
Rimango meravigliato quando appoggio la bici al vecchio
albero e mi accorgo che è ancora tutto come ricordavo. Quasi mi
commuovo, tanta è l’emozione che questo posto mi provoca
dentro, riportando a galla i ricordi più cari. Decido di fare una
lunga passeggiata sul fiume, aspettando che arrivi il momento di
rivederla.
Una volta a casa, faccio una doccia e mi cambio. Salgo in
macchina e mi dirigo verso il luogo del nostro appuntamento.
Sto correndo da lei, con il cuore che non risponde nemmeno a sé
stesso.
Ho bisogno che vada bene, ho bisogno di riaverla con me.
Emma è seduta al tavolo, la osservo parlare con un cameriere,
credo stia ordinando qualcosa per ingannare l’attesa. Quasi non
riesco a respirare: sapevo che sarebbe diventata bellissima, ma
trovarmela davanti, dopo tutto questo tempo, mi fa emozionare
come un bambino. A un tratto si gira e si accorge di me: mi arriva
addosso come un pugno in pieno stomaco. Mi trafigge con un
solo sguardo. Mi guarda e mi sorride timida, mi studia da cima
a fondo, cercando di capire chi e cosa sono diventato. Di fronte
a lei, ora, c’è un uomo: il ragazzino pieno di problemi che aveva
bisogno di essere incoraggiato, e a cui trasmetteva tutta la sua
forza, oggi non c’è più.
Mi avvicino al tavolo. «Posso sedermi?» le chiedo
gentilmente. Non so quale sia la mia espressione in questo
momento, ma me la sto facendo sotto.
Annuisce. Non riesce a parlare. I suoi meravigliosi occhi
luccicano commossi. Ci guardiamo con una tale intensità che
tutto scompare. Nei nostri sguardi c’è il peso degli anni trascorsi
separati, il dolore per le occasioni perse, la rabbia per ciò che
non ci siamo mai detti. È pura emozione. Un’enorme,
indescrivibile, emozione. Ci siamo soltanto noi due.
Le afferro la mano, ma Emma la ritrae subito, come se avesse
preso una forte scarica elettrica sfiorandomi la pelle. I nostri
sguardi si intrecciano e si osservano con forza, senza lasciare
mai il contatto che si è creato. Stiamo tremando. I nostri
sentimenti sono così intensi che è difficile trattenerli dentro di
noi, quasi stanno per esplodere fuori dai nostri corpi. Devo dire
qualcosa, lei non lo farà per prima.
«Sei una bella donna.» Sorrido.
«Non vedevi l’ora di dirlo, vero?» Emma si mette a ridere e
si asciuga le lacrime. Dio, come mi è mancata quella risata.
«Anche tu sei cambiato. Stai benissimo, dico davvero.» Si
accorge che le sto fissando il polso e continua. «Dormi ancora
con uno scacciapensieri accanto al letto? Io ho rimediato in
modo diverso.» Già, se lo è fatto addirittura tatuare.
«Sì, sempre. Ne ho avuto molto bisogno e non sono l’unico,
a quanto pare.»
«Vedo che hai aggiunto una lacrima. La terza…»
Anche lei si accorge subito dei segni che ho sulla pelle.
«Immagino che tu sappia anche il perché.»
«Per tutto il male che mi hai fatto?» incalza, pronta.
«Emma, lascia che ti spieghi, per favore.»
Il cameriere per fortuna ci interrompe, ordiniamo il pranzo e
subito dopo siamo di nuovo soli.
«Emma, non litighiamo» aggiungo. «Ti prego, non sono qui
per questo.» È l’ultima cosa che voglio.
«Esigo una spiegazione, lo sai. Quindi, coraggio, dimmi
perché mi hai fatto una cosa così orribile. Voglio saperlo.»
«Sono qui per raccontarti tutto.» Sto per parlare, ma poi vedo
un altro tatuaggio. Una scritta sull’avambraccio, un nome. Tete.
Mi assale una tremenda gelosia. Non riesco a controllarla, anche
se non è il caso di fare una scenata proprio in questo momento.
«Prima spiegami che cosa significa quel nome» le chiedo, con
un tono che forse non avevo mai usato prima d’ora con lei.
«Scusa, che cosa? Con quale diritto pretendi che io ti dia delle
spiegazioni?»
«Ti ho fatto solo una domanda. Forse quella scritta è il
diminutivo di un nome maschile? C’è un altro uomo nella tua
vita, posso chiedertelo?» Sono terrorizzato dall’idea che possa
avermi dimenticato e che possa essere felice accanto a un’altra
persona.
«No. Non puoi. Come ti permetti di fare domande sulla mia
vita, dopo che sei sparito nel nulla per sette anni? Sette anni...
un oceano di tempo. Poi un giorno ti svegli, chiami dal tuo bel
paradiso sperduto e dici che stai tornando a casa. Due giorni
dopo sei qui a chiedermi se sono andata avanti, guardandomi
dritto negli occhi. Tu non puoi avanzare nessuna pretesa e hai
una bella faccia tosta ad accusare me quando ti presenti con un
anello di fidanzamento al dito. Credi non me ne sia accorta?
Credi non conosca il significato di quell’anello?» È furiosa.
Indosso un Claddagh Ring, un anello di fidanzamento celtico.
Forse avrei dovuto toglierlo prima di incontrarla, ma volevo
raccontarle questa storia di persona. Mai mi sarei aspettato che
il nostro primo incontro potesse prendere una simile piega.
«Mi dispiace, Emma, non hai motivo di arrabbiarti. C’è una
spiegazione anche per questo anello. Ma forse è proprio come
temevo. Hai dimenticato. Sei andata oltre.» Un senso di
amarezza e smarrimento mi opprime come mai prima d’ora.
«C’è una spiegazione per tutto, ma non hai ancora detto nulla.
Sai cosa ti dico? Che non ti devo proprio un bel niente. Di certo
non ti spiegherò del mio tatuaggio e delle altre cose che ti sei
perso in questi anni.»
«Voglio soltanto sapere, non posso pretendere nulla da te, hai
ragione, ma almeno raccontami come sei riuscita ad andare
avanti.»
«Andare avanti? Perché sei qui? Cosa vuoi, Christian?
Fammi capire. Vuoi che ti perdoni?»
«Che mi perdoni? Forse chiedo troppo, ma vorrei solo poter
riavere ciò che un tempo ci rendeva così felici. Vorrei poter
riavvolgere il nastro e ricominciare tutto daccapo. Sono qui per
questo, non ho alcun motivo per rimanere, a parte te. Potrei
ripartire con il prossimo volo e tornarmene a casa.» Ora sì che
l’ho ferita. I suoi occhi mi mostrano quel grande dolore.
«Che diavolo stai farneticando? Non era con me che avresti
voluto avere un futuro? E ora chiami casa un posto dimenticato
da tutti. Sei sicuro di voler essere davvero qui? Di volermi
ancora? Per fare cosa, lasciarmi di nuovo e tornare da dove sei
venuto? Mi dispiace, non te lo permetterò, non lo sopporterei
un’altra volta.» La guardo incredulo. Si sta alzando per
andarsene via. «Ho sofferto anche troppo. Se davvero è quello il
tuo posto, forse faresti meglio a ritornarci. Ti auguro la felicità
che meriti, con tutto il cuore.» Sta per fare un passo in avanti,
ma la afferro per il braccio.
«Emma! Guardami negli occhi e dimmi che ti sono
indifferente. Che incontrarmi non ti ha fatto nessun effetto.
Dimmi che non vuoi rivedermi mai più.»
Ci scambiamo un lungo, lunghissimo sguardo, quando a un
tratto scoppia in lacrime. Lascio la presa e scappa via.
I suoi occhi non possono mentirmi, lo sa bene anche lei.
Nonostante tutto, c’è ancora una speranza.
30

CHRISTIAN

Decido di lasciarla in pace per qualche giorno: il nostro


incontro non è andato proprio come speravo e ci ha messi a dura
prova. È arrabbiata e rancorosa nei miei confronti, ma in fondo
me lo aspettavo.
La cosa che mi tormenta di più è quel tatuaggio. Quel nome.
Tete.
Emma non ha voluto dirmi di chi si tratta, ma non può essere
qualcuno di poco conto, altrimenti non sarebbe inciso sulla sua
pelle. Avevo previsto tutto, anche la possibilità di un’altra
persona nella sua vita, un altro uomo intendo, ma se pensarlo è
stato difficilissimo, viverlo è un vero inferno. Sono sempre stato
molto geloso di lei, proprio io che non ho mai provato nulla per
nessuno. Assurdo. Sto morendo di gelosia anche adesso, ma non
posso far altro che conviverci. Verrà il momento delle
spiegazioni, ne sono certo.
Mi sembra tutto così strano e le mie insicurezze iniziano a
prendere il sopravvento. Non sono più tornato in questo posto
dalla notte in cui ho riportato il diario di Emma a casa sua. Io e
mia madre siamo letteralmente fuggiti da qui. Avrei potuto dirle
ogni cosa, portarla con noi, ma mai avrei potuto privarla della
sua vita. Mi avrebbe seguito ovunque, anche in capo al mondo,
pur di non perdermi. Vorrei poter pensare di aver ritrovato la
stessa ragazza che amavo un tempo, ma stento a crederlo. Ci
sono ancora troppe cose da dire, da capire. Voglio rivederla il
prima possibile.
Cerco l’indirizzo del suo ufficio e la mattina dopo mi
presento molto presto davanti alla porta di ingresso, sperando di
poterla incontrare. Ho bisogno di raccontarle la mia storia. Dopo
mi potrà mandare al diavolo, ma prima dovrà ascoltare ciò che
ho da dirle.
Eccola che arriva: c’è una ragazza al suo fianco, forse una
collega. È molto appariscente e senza dubbio molto bella, ma io
non ho occhi che per lei. Mi precipito di fronte prima che varchi
la soglia del palazzo.
«Ciao.» La sorprendo. Lei si irrigidisce.
La ragazza sconosciuta parla per prima. «È lui?» Emma
annuisce. «Piacere. Io sono Claudia.» Mi tende la mano. «Non
avrei mai voluto, ma ho sentito molto parlare di te, moltissimo,
se ti fa piacere saperlo. Io sono quella che ha raccolto i cocci
quando era a pezzi per colpa tua. Avrei tante cose da dirti, sai?
Per tua fortuna, non ho il tempo materiale di farlo in questo
momento.»
«Piacere mio» rispondo. «Puoi lasciarci per un attimo da
soli?» In fondo, di lei e di ciò che pensa non me ne importa
proprio niente.
«Se tra dieci minuti non sali, ti vengo a prendere. Addio,
straniero.» L’amica stronza si eclissa salendo le scale
dell’edificio.
«Ti prego, parliamo. Dopo ti prometto che sparirò dalla tua
vita, se è questo quello che vuoi, ma parliamo.»
«Non ora, ok?»
«Questa sera, da me. Ti ricordi dove abito?»
«Certo che mi ricordo, io sono sempre rimasta qui! Non sono
io a essere scappata come una ladra. Devo fare un paio di
telefonate e ti faccio sapere» mi risponde seccata.
«A chi? A chi devi chiedere il permesso di vedermi?» Sono
confuso.
«Smettila, per favore. Non ti devo alcuna spiegazione. Ti
chiamo più tardi.» Mi volta le spalle e se ne va, lasciandomi per
strada come un idiota.
So di meritarlo. Sono sempre più convinto che ci sia qualcun
altro nella sua vita: chi cazzo deve chiamare per avere il
permesso di uscire? Sto impazzendo. Questo non sapere mi
manda fuori di testa. Lei è troppo importante, non posso perderla
di nuovo.

Torno a casa e cerco di rilassarmi. I ricordi del passato


riaffiorano prepotenti nella mia mente, anche grazie al lavoro
fatto in questi giorni. Avverto la presenza di mia madre in ogni
stanza.
Mi manca moltissimo. È stata l’unica persona che ha sempre
cercato di proteggermi quando ero soltanto un bambino, ma il
mostro che ci siamo ritrovati in casa dopo l’abbandono di mio
padre era troppo forte per lei, troppo potente per noi. Non
avremmo mai potuto sconfiggerlo. Penso alla sua vita così
infelice e a quanto abbia sofferto. Di sicuro avrebbe meritato
molto di più.
Finisco di buttare via oggetti, mobili, vestiti, resti di un
passato che non esiste più. Eliminare tutto quello che non serve
mi fa stare molto meglio. Le uniche cose che conservo sono i
miei amati libri: senza rendermene conto, mi ritrovo a sfogliare
quelli di King e non so quante volte leggo le parole Ti amo scritte
da Emma. Quando gliene prestavo uno, me lo riportava
completamente pasticciato e pieno di disegni o di frasi. Potevo
sentire tutto il suo amore attraverso quelle scritte. Roba da
ragazzini, è vero, ma quei sentimenti sono stati così puri e forti
da non poter credere che il tempo li abbia scalfiti anche solo in
minima parte. Non lo posso accettare. Spero siano ancora sepolti
nel suo cuore e che da un momento all’altro escano fuori con
prepotenza. Io non ho bisogno di liberarli, sono sempre stati
esposti alla luce del sole, non ho mai avuto la necessità di
soffocarli. Sono loro stessi a sopraffarmi, la maggior parte delle
volte.
Mi costringo a smettere di pensare a lei, ma, poco dopo, arriva
un suo messaggio.
EMMA: Ci vediamo da te alle 21.

Rispondo subito, prima che cambi idea.

CHRISTIAN: Ti aspetto.

Le compro dei fiori. Spero le facciano piacere. Devo cercare


di riconquistarla, ma in fondo non la conosco più come un
tempo. La mia Emma non è più la stessa, come me, del resto.
Siamo cresciuti entrambi. Se non fosse stato per lei, non sarei
mai diventato l’uomo che oggi sono orgoglioso di guardare allo
specchio.
Sono pronto a essere tutto ciò che vorrà. Glielo devo.
31

CHRISTIAN

Finalmente arriva la sera. A quest’ora fa ancora molto caldo,


ma mi ci sto abituando.
Lei è puntuale, scende dalla macchina e il suo sguardo
incontra subito il mio. Toglie il fiato da quanto è bella, succede
ogni volta che la osservo. I capelli lunghi, gli occhi grandi e
vivaci, il corpo da dea. Mai visto essere più perfetto.
Ancora non mi sembra vero. È come se all’improvviso tutto
prendesse vita, luce, forma. Come se ogni cosa avesse un senso.
«Entra pure, è aperto» le dico dal cortile. «Sono così felice di
vederti… Andiamo in casa, ti offro da bere.»
«Grazie. Credo proprio di averne bisogno. È una buona idea
e ci aiuterà a parlare.»
«Queste sono per te.» Le porgo il mazzo di rose rosse che ho
preso per lei questo pomeriggio.
«Sono bellissime, grazie, ma non era necessario.»
«Sì, invece. Anche volendo, non riuscirò mai a colmare il
tempo perso. Comunque, ci provo.» Tiro fuori dal frigorifero
una bottiglia di vino bianco. «Sei d’accordo? Ti piace il vino?»
Non so nemmeno questo di lei. A diciassette anni nessuno di noi
due poteva dire di essere un gran bevitore.
«Molto. Va benissimo.» Si avvicina al tavolo e afferra il
bicchiere. «Versa pure.» Mentre me lo porge mi accorgo che le
tremano le mani. «Hai sistemato casa? È tutto così ordinato e
lucente.» Si guarda intorno.
«Ho pulito per bene e buttato via quello che non serviva e che
mi procurava soltanto brutti ricordi» rivelo tristemente.
«Tua madre? È tornata anche lei?»
«È mancata. Poco meno di tre anni fa» dico con un nodo in
gola. «Una leucemia fulminante se l’è portata via prima che ce
ne rendessimo conto. Non abbiamo potuto farci nulla.»
«È terribile. Mi dispiace moltissimo. Mi è sempre piaciuta
tanto, sai?»
«Me lo ricordo. E tu piacevi a lei. Mi ha incoraggiato a stare
con te fin da subito. Non puoi immaginare quanto mi manchi.»
È arrivato il momento di dirle ogni cosa. Glielo leggo in viso:
vuole sapere la verità, non può più aspettare. Per quanto sia
difficile, lo devo fare. Verso ancora da bere, prendo coraggio e
inizio a raccontare.
«Quella sera sono rientrato a casa e mi sono accorto che non
si era mossa da dove l’avevamo lasciata quando ce ne siamo
andati. Era sconvolta. Bob era ritornato come un demonio, era
uscito di prigione e l’aveva trovata. Voleva rimettersi con lei a
ogni costo e venire a vivere qui, proprio in questa casa.
Minacciava di farci del male se lo avesse respinto. Era successo
quello stesso giorno e non sapeva cosa fare, poche volte l’avevo
vista così disperata. Io, invece, volevo andare a cercarlo per
ucciderlo. Emma, te lo giuro, lo avrei ammazzato con le mie
stesse mani. Volevo che morisse davanti ai miei occhi. Non gli
avrei più permesso di far soffrire nessuno in tutta la sua
miserabile vita. Mia madre sapeva bene che ne sarei stato
capace, e il solo pensiero la terrorizzava. Abbiamo discusso per
qualche ora, poi è riuscita a calmarmi e insieme abbiamo capito
cosa fare, se così si può dire. Ci saremmo trasferiti per un po’ di
tempo da mia sorella a Copenaghen, partendo immediatamente.
Non ho potuto fare altro che assecondare suo il volere. Ero in
preda al panico e succube di una rabbia interiore impossibile da
gestire.» Bevo tutto il mio vino con un lungo sorso.
«Aspetta un attimo… Hai una sorella? Perché lo vengo a
sapere soltanto adesso?» Anche Emma finisce il suo vino,
sembra molto scossa. Non sapendo cosa fare, le verso di nuovo
da bere.
«Sorellastra, per la precisione. Da parte di madre. Quando
sono nato, viveva già in Danimarca. Ci siamo visti pochissimo.
Non so perché non te ne abbia mai parlato, mi dispiace.»
«Continua, coraggio» sussurra con un filo di voce.
«Mentre mamma faceva di corsa le valigie e svuotava il
frigorifero, io prenotavo due biglietti di sola andata per
Copenaghen. Quando ho confermato quella prenotazione, ho
sentito il cuore andare in frantumi. Siamo partiti la mattina dopo,
all’alba, lasciando tutto così com’era. Non ho avuto la forza di
affrontarti perché se lo avessi fatto non sarei riuscito a partire.
Così, ho scritto quella lettera sul tuo diario e nella notte l’ho
infilata nella cassetta della posta di casa tua. Come un
vigliacco.»
Emma tira fuori dalla borsa quel cimelio giallo.
«Credo di sapere a memoria tutto quello che mi hai scritto:
l’ho letto milioni di volte, non so nemmeno io per quanto tempo.
Strano che si vedano ancora le parole, perché le ho consumate
con le lacrime.»
«Ce l’hai ancora, non posso crederci. Deve essere stata dura
per te. Mi dispiace.»
«Ho sempre pensato che ti avrei seguito in capo al mondo.
Avrei lasciato tutto per te senza nemmeno pensarci. Perché non
dirmelo? Sarei partita con voi, se solo ti fossi degnato di
parlarmene. Perché non ti sei fidato di me?»
«Non ho alcun dubbio. So che mi avresti seguito, ma dimmi,
come avrei potuto essere così egoista da farti una cosa del
genere? Come avrei potuto allontanarti dalla tua famiglia, dagli
amici, dal tuo futuro? Non è mai stata una questione di fiducia.
Insomma, guardati ora. Hai un lavoro di tutto rispetto e ti sei
costruita una vita. Con quale diritto avrei potuto privarti di
questo?»
«Già. Con quale diritto… Così hai deciso di privarmi di te.
Lo hai deciso per entrambi senza spiegarmi nulla. Mi hai
spezzato il cuore, non hai giustificazioni. Mi è crollato il mondo
addosso quando mi hai mandato quella maledetta lettera
dall’Irlanda.»
«Mi dispiace.» Dico mortificato.
«Lo hai già detto. Parlarmi delle Faroe e di come ci sei finito.
Parlami della terra che chiami casa.»
«A Copenaghen, mia sorella ha un ottimo lavoro e gode di
una posizione di rilievo. Grazie a lei, ho conosciuto delle
persone che mi hanno aiutato a trovare diversi impieghi. Ho
lavorato per qualche mese in un bar e, dopo, in un paio di
ristoranti. La sera andavo a scuola per imparare quel dannato
danese. Ci ho messo del tempo a farmi entrare in testa quella
cazzo di lingua, ma ci sono riuscito e ho potuto cambiare
impiego aspirando a qualcosa di meglio. Ho iniziato per caso in
un ufficio per il turismo e mi sono ritrovato a gestire tutte le
filiali della città. Mi è sempre piaciuto il mio lavoro, tanto che
ho trascorso quattro anni senza fare altro. Ero diventato uno
stacanovista e ho accumulato qualche risparmio.»
«E dopo?»
«Mia madre si è ammalata, lasciandoci nel giro di pochi mesi.
Io e Lucrezia non abbiamo potuto fare nulla, la malattia è stata
troppo aggressiva. Ha sofferto moltissimo e noi con lei. Proprio
in quel periodo è arrivata alla mia attenzione una richiesta dalle
Isole Faroe. Stavano cercando un custode, in particolare a
Mykines. Serviva un tuttofare, qualcuno che si sporcasse le
mani, non di certo uno come me, abituato a passare le sue
giornate seduto comodo davanti a un computer.»
«Tu però hai accettato.»
«Già. Vuoi sapere perché? Non ero felice. Non lo sarei stato
neanche in quelle dannate isole, senza di te non lo sarei mai stato
da nessuna parte, ma almeno avrei dato un senso alla mia vita,
aiutando qualcuno. Mi sarei sentito utile.»
«È stato così?» continua a chiedermi.
«Fin dal primo giorno. È una terra difficile, inospitale, fredda.
Ma le persone sono meravigliose e mi hanno accolto come un
figlio. Ho persino acquistato una casa e, con l’aiuto di tutti gli
abitanti, l’ho restaurata. Ho scattato qualche fotografia per te.
Aspetta, te le voglio far vedere.» Mi alzo barcollante per colpa
del vino, prendo lo zaino e i miei preziosi scatti. Glieli mostro.
«È bellissima! Accidenti, questo posto sembra il paradiso.»
Emma è incantata dalla bellezza del paesaggio, poi si blocca.
«L’altalena! E la casa… L’hai dipinta come dicevi di volerla!
È meravigliosa.»
Se lo ricorda, cazzo.
Mi guarda in quel modo che mi fa sentire bene da fare schifo.
«Guarda questa» le dico sottovoce.
«Hai dipinto le pareti di celeste. Non ci credo.» Le lacrime le
bagnano il viso. Cerca di calmarsi bevendo ancora del vino, poi
mi guarda seria mentre si asciuga le guance. «Perché sei
tornato?»
«Bob è morto dieci giorni fa. Mi ha chiamato il mio avvocato.
Un incidente con la moto. Quella bestia ha avuto la fine che ha
sempre meritato. È morto, capisci? Il mio peggior incubo è finito
e, con lui, tutti i miei pensieri malsani e la sete di vendetta. Sono
venuto per te, perché sei ancora il mio amore. Io non ti ho mai
dimenticata. I miei desideri sono sempre quelli di un tempo.
Farei qualsiasi cosa per riaverti. Ora che sai la verità, ti prego di
perdonarmi. E se anche tu provi ancora gli stessi sentimenti,
torna da me.» Emma è così pallida in viso che quasi non sembra
lei. Una lacrima feroce le riga la guancia. «Se c’è una cosa che
non riesco a sopportare è quella di vederti piangere. Sapere poi
che è per causa mia… mi fa impazzire.» La osservo
attentamente, ora mi sembra così fragile e indifesa. Vorrei
stringerla fra le mie braccia e confortarla, farle capire che andrà
tutto bene. Vorrei rimediare ai tanti sbagli fatti in passato. Sono
stato crudele, egoista e immaturo, ma allora ero soltanto un
ragazzino impaurito.
«Non mi sento molto bene. Forse ho bevuto troppo. Ho
bisogno di coricarmi.» Non so se sia il vino o le troppe emozioni,
ma mi sembra quasi sul punto di svenire.
«Certo, fatti aiutare. Ti tengo io. Stenditi sul divano.» Appena
la sfioro, provo qualcosa che risveglia ogni mio ricordo. Il
contatto con la sua pelle basta per farmi tornare indietro nel
tempo, per desiderarla come allora. «Come ti senti?»
«Ho bisogno di chiudere gli occhi per un attimo» sussurra a
fatica.
«Riposati un po’. Io sono qui» la conforto. Prendo una sedia
e mi avvicino il più possibile. Lei si addormenta quasi subito.
Ogni volta che si abbandona accanto a me, non posso fare a
meno di guardarla. Ne sono del tutto rapito. Quella pace sul viso
e quella sua espressione così innocente mi infondono un senso
di calma e sicurezza come nessun’altra cosa al mondo. I
problemi scompaiono e rimaniamo soltanto noi.
Veglierò io su di lei questa notte. Di certo, nessuno spirito
maligno la verrà a cercare.
32

CHRISTIAN

Ho sempre pensato di essere nato sbagliato, non adeguato a


questo mondo, di non avere la capacità o l’attitudine di esserne
all’altezza. Per la prima volta, guardandola, intravvedo la
possibilità di considerare che, forse, è stato lui stesso a risultare
del tutto sbagliato per me. Quel mondo che ora non mi
appartiene più, perché di fronte a me se ne presenta uno
completamente nuovo, fatto di amore, possibilità e cose belle.
Sono finalmente nel posto giusto.
Lei si sveglia all’improvviso, apre gli occhi e il cuore sta per
esplodere. Non c’è cosa più bella, per me non c’è mai stata.
«Come ti senti? Stai bene?» Cerco di muovere i muscoli
intorpiditi dalla scomodità della sedia e mi stropiccio gli occhi
stanchi.
«Che ore sono?» È molto agitata.
«Le due di notte. Cazzo, tesoro, hai paura che i tuoi si
preoccupino per te? Sei grandicella, ormai» scherzo, senza
capire il motivo di quest’ansia. Una volta se ne fregava di regole
e orari.
«Vivo da sola da un bel pezzo. Non sei l’unico a essere
cresciuto, ragazzino. Vieni qui, accanto a me.»
«Emma, non credo sia una buona idea.» Non posso farlo.
«Voglio solo abbracciarti. Ti prego, Christian, ne ho
bisogno.»
Mi siedo vicino a lei e subito mi attira a sé, appoggiando la
testa sopra al mio petto. I battiti del mio cuore sono incalcolabili.
Non riesco a muovermi, forse perché ho paura di fare qualcosa
di sbagliato. Aspetto che sia Emma a fare la prima mossa.
«Quanto mi sei mancato» sussurra. Mi stringe ancora più
forte. «C’è stato un momento in cui ho pensato di impazzire,
senza di te. Ora quella sofferenza sembra svanita in un istante.»
La ascolto e le accarezzo i capelli. Vorrei baciarla, coccolarla,
stringerla forte anch’io, ma non oso muovermi. Temo possa
respingermi da un momento all’altro e non lo sopporterei.
«Forse perché è arrivato il nostro momento, non credi? In
fondo, ne abbiamo tutto il diritto.» Riesco solo a dirle queste
parole.
«Ho una figlia.» Emma all’improvviso si volta verso di me e
mi guarda dritto negli occhi. Mi manca il respiro. Ricambio il
suo sguardo, cercando di capirci qualcosa. «Già, ho una figlia»
ripete. «Non te lo aspettavi, vero?» Non mi piace
quell’espressione di sfida che ha in viso.
«Una figlia…» ribatto sconvolto. «Questo sì che è un bel
cambiamento. Quindi ti sei rifatta una vita. Hai una famiglia.
Non capisco perché tu non me lo abbia detto subito. Quel
tatuaggio…»
«È il suo soprannome.»
«Il padre?» chiedo umiliato.
«Non ha un padre. Non la conosce nemmeno» confessa a
fatica.
«Cosa vuol dire che non la conosce nemmeno? Per quale
motivo?» Sono confuso.
«Non ha voluto farlo, tutto qui. Lei è solo mia.»
«Cosa? Che razza d’uomo abbandona la sua famiglia? Che
schifo di persona rifiuta il sangue del suo sangue? Spiegami,
Emma, cosa cazzo è successo?»
«Proprio tu giudichi gli altri, tu che mi hai piantata in asso in
cinque minuti? Falla finita con queste ipocrisie» mi vomita in
faccia quello che pensa una volta per tutte.
«Io non l’avrei mai abbandonata.» È la verità.
«Certo, giusto. Quando si tratta delle altre persone è facile
sputare sentenze. Per le nostre azioni, invece, abbiamo sempre
una scusa pronta, vero?»
«Una scusa, dici? Ma quale scusa, cazzo! Ti ho appena
raccontato di tutta la merda che ho dovuto sopportare…»
«Mi dispiace. Non intendevo dire questo. Perdonami, è stato
ingiusto da parte mia.»
«No, scusami tu. Ho esagerato. Hai appena detto una cosa che
mi ha sconvolto, cerca di capirmi.» Devo darmi una calmata.
«Questo cambia tutto, vero? Non sei più così sicuro di
volermi, ora che sai la verità.»
«Ho bisogno di sapere di più. Raccontami la tua storia, è il
tuo turno adesso.»
«Mi sembrava di essere stata chiara. Io non ti devo spiegare
proprio niente. Non puoi tornare pensando che sia tutto come lo
avevi lasciato. Sono andata avanti: spesso con la forza della
disperazione, spesso come un treno in corsa, molte volte senza
sapere nemmeno dove sbattere la testa. Devo farlo per lei, la
devo proteggere. La sto crescendo da sola e me la cavo alla
grande. Meriterebbe un padre, ma purtroppo non ce l’ha. Non è
stato difficile soltanto per te, mi sono fatta un culo enorme, se
proprio ci tieni a saperlo.»
«Ora capisco le telefonate e la tua apprensione immotivata.
Hai una figlia…» Mi sento morire. «Deve essere meraviglioso.
Doveva essere con me.» Mi asciugo gli occhi. È solo colpa mia
se è andata in questo modo.
«Quante cose ti sei perso. Mi dispiace, Christian. Le nostre
strade si sono separate, giuro che non lo avrei mai voluto. Non
sono stata io a deciderlo. Mi dispiace se una bambina da crescere
è una cosa troppo grande per te, ma lo capisco. Vorrei fosse tutto
diverso, vorrei che avessimo la felicità che meritiamo, ma
purtroppo non è così.»
«Non parlarmi come se mi stessi lasciando, non è finita fra di
noi. Non farlo mai più. Non in questo modo. Mi stai facendo
male.»
«Devo andare via. Ho bisogno di pensare. Credevo di non
rivederti mai più, e ora sei qui… Mi dispiace, ma non ci riesco,
non adesso. Devo uscire da questo posto.» Ricomincia ad
agitarsi e si alza per raggiungere la porta.
«Emma, è notte fonda, aspetta almeno fino a domani mattina»
le dico seguendola.
«Voglio andare a casa!» insiste, agitata.
«Va bene. Come vuoi tu, basta che ti calmi. Almeno mandami
un messaggio quando arrivi.» Siamo fuori in cortile ormai. Apre
il cancello e si dirige verso la macchina. Mi sta sfuggendo di
nuovo e io non posso far altro che stare a guardare. «Non
trattarmi come un amico.»
«Non lo farei mai. Non lo sei. Buonanotte.»
«Buonanotte, Emma. Guida piano.»
Sono sconvolto. Ho sempre pensato di aver avuto una vita
schifosa e incasinata. Ho sempre creduto che la sua fosse tutta
in discesa, che se la stesse cavando alla grande senza di me. Se
non me ne fossi andato, ora non dovrebbe crescere una figlia da
sola.
Torno a letto; riesco ancora a sentire il suo profumo, che mi
aiuta a distendere i nervi. Ho molti pensieri che mi passano per
la testa e fatico a prendere sonno. Mi accorgo che ha lasciato qui
il suo vecchio diario e mi metto a sfogliarlo.
Quanti ricordi!
Se è la stessa di un tempo, di sicuro ha scritto qualcosa per
me. Arrivo all’ultima pagina, quella che ho riempito di dolore il
giorno in cui sono partito. Non mi stupisce affatto ciò che trovo.
Emozionato come sempre, comincio a leggere le sue parole.
33

CHRISTIAN

24 Maggio 2002

Quando ho risposto al telefono, oggi pomeriggio,


tutto mi sarei aspettata tranne che di sentire la tua
voce. Mi dispiace se non sono riuscita a esprimere
le mie emozioni, ma mi hai sconvolta.
Quante volte ho sognato di riabbracciarti di
nuovo, di poter stare con te. Forse era il mio modo
per sentirti vicino. Per molto tempo sono andata
avanti così, fino a quando non ho smesso di
sognarti.
Da quel giorno, sono diventata molto triste. Ho
avuto il terrore di dimenticarmi del tuo viso e della
tua voce, addirittura di noi. Mi sono aggrappata a
questo diario e ai tuoi pensieri. Ogni tua parola è
impressa nel mio cuore.
Non ho mai dubitato di te e dei tuoi sentimenti.
Ho sempre creduto nel nostro amore, anche quando
mi hai lasciata. Mi hanno dato tutti della stupida,
ma io non ci ho mai badato.
Adesso che stai per ritornare, ho paura di
incontrarti: non so più nulla di quel ragazzo che ho
amato tanti anni fa. Ho il terrore di sapere tutto
quello che hai vissuto, anche se ho disperatamente
bisogno di conoscere la verità. Ho paura che non
funzioni più. Io non sono cambiata molto. In fondo,
sono sempre la solita Emma, quella a cui piacciono
le piccole cose, che piange davanti a un bel film, che
quando comincia a parlare non la smette più. La
stessa persona che ha condiviso con te quei
maledetti demoni che pensavamo di sconfiggere
insieme. Sono quella ragazza che si è persa nei tuoi
occhi, sentendosi al centro del mondo.
Tu, invece, chi sei? Cosa sei diventato? Sei
ancora il ragazzo che ho amato o sei cambiato del
tutto? Non vedo l’ora di saperlo e, al tempo stesso,
non vorrei mai scoprirlo. Per la prima volta, dopo
non so quanto tempo, mi sento viva, entusiasta di
avere qualcosa per cui sperare.
La verità è che ho ancora bisogno di te come
l’aria che respiro.
Tua,
Emma

Emma ha una figlia. È un pensiero che mi ossessiona più del


suo amore, che è rimasto intatto.
Una figlia. Perché non vuole parlarmi di lei? Perché non mi
racconta cos’è successo? Vorrei tanto saperne di più, ma non mi
concede di entrare nella sua vita. Non è ancora pronta a lasciarsi
andare e ad ammettere che mi ama. Nulla è cambiato, l’ho visto
nei suoi occhi. L’ho letto nelle sue parole.
Ho parecchie cose su cui riflettere. Non si tratta soltanto di
noi. Ora c’è una bambina di mezzo e io non voglio essere un
problema. Ripenso alla mia infanzia e al fatto di essere cresciuto
senza un padre: di sicuro, oggi sarei un uomo diverso, più forte
e consapevole, se avessi avuto un esempio da seguire.
Provo rabbia per quella bimba. Che razza di essere immondo
può rifiutare una figlia? Penso a Emma e mi chiedo come abbia
potuto frequentare una persona del genere e invischiarsi in una
storia simile.
Dovrai essere più forte degli altri, piccola, e lottare il doppio.
Sono certo che ce la farai, tua madre è una forza della natura,
ti aiuterà ogni giorno e combatterà sempre al tuo fianco. Non
dubitarne mai.
Prendo sonno e dormo fino a tarda mattinata. Il suono del
cellulare mi riporta alla realtà. Mi sveglio di colpo e rispondo
con la voce ancora impastata dalla notte. Chi cazzo è?
«Pronto?» Sbadiglio senza potermi trattenere.
«Hai fatto tardi ieri sera, immagino.» Proprio non ho idea di
chi sia. «Sono Claudia, la migliore amica di Emma. Chiedo
scusa per aver rubato il tuo numero dal suo cellulare, ma vorrei
parlarti. Da sola. E vorrei che non le dicessi nulla.»
Senti questa!
«Cosa vuoi?» Non mi piace questa Claudia.
«Parlarti! Te l’ho appena detto. Sei sveglio o dormi ancora?»
L’antipatia in persona.
«Non sono interessato, chiariamo subito la cosa.»
Ovviamente mi diverto a prenderla in giro, ma davvero, non ho
alcuna intenzione di vederla.
«Razza di stupido, ma chi ti vuole! Voglio soltanto fare
quattro chiacchiere con te a proposito di Emma, faccia a faccia.»
«Con tutto il rispetto, non credo siano affari tuoi. Lei è libera
di fare ciò che crede, e poi non voglio prediche da parte tua.
Forse non lo sai, ma sono cresciuto da un bel pezzo. Chi ti credi
di essere?»
«Sono quella che l’ha vista piangere e soffrire come un cane
in tutti questi anni. Quella che, purtroppo, è a conoscenza del
male che le hai fatto, quella che ha cercato di consolarla e fare
in modo che ti dimenticasse una volta per tutte. Se soltanto
sapessi quanto le voglio bene, la smetteresti subito di fare il
cretino e ascolteresti cosa devo dirti.»
«Va bene, amica del cuore. Sei libera in questo momento? Se
vuoi, possiamo fare colazione insieme.»
«L’ho già fatta da ore, stupido! Vienimi a prendere a casa, ti
porto fuori a pranzo. E mettiti una camicia, se ce l’hai. Non
voglio che mi vedano in giro con un selvaggio.»
Che caratterino!
Decido di accettare l’invito e prepararmi. Quale camicia? Se
pensa mi faccia dare ordini come un perfetto idiota, si sbaglia di
grosso. Non ho voglia di parlare di Emma con lei, non ne voglio
parlare con nessuno. Lei è affar mio, fa parte di me, è il tesoro
della mia anima, il pensiero più dolce della mia mente. Emma
sono io, e lei è me. Siamo una cosa unica, per sempre. Uniti o
separati, questa condizione non cambierà mai.
Vado a recuperare Claudia all’indirizzo che mi ha mandato
sul cellulare e, a questo punto, voglio proprio sapere che cos’ha
di tanto importante da dirmi.
Razza di rompipalle.
34

CHRISTIAN

Eccola, mentre mi aspetta in strada tutta agghindata e truccata


come se dovesse andare a una cena importante o a una festa
esclusiva. Come fa a essere la migliore amica di Emma? Quelle
due non hanno nulla in comune, eccetto il lavoro, ne sono certo.
Accosto e la faccio salire, sperando non chiacchieri troppo.
«Buongiorno, straniero, alla buon’ora. Quanto ti ci è voluto
per prepararti? È da un pezzo che ti aspetto qui fuori.»
«Buongiorno a te. Tu mi hai chiamato, quindi non mi
rompere le palle e non temere, tutto quel trucco che ti sei
spalmata sul tuo bel faccino non si rovinerà di certo per qualche
minuto di attesa.»
«Immaginavo che fossi così rozzo e cafone. Esteticamente
non sei male, lo devo ammettere, ma per il resto lasciamo
perdere. Come ha fatto Emma a perdere la testa per uno come
te? A me non succederebbe mai.»
Arrogante.
Nemmeno mi conosce e già mi giudica. Anche io, comunque,
non saprei che farmene di una come lei. Inoltre, dice di sapere
tutto di me, perché di sicuro Emma le ha raccontato ogni cosa.
Immagino già la pesantezza della discussione che affronteremo
durante il pranzo.
Metto in moto la macchina e quell’arpia mi indica la strada
per il ristorante. Non appena entriamo, fa gli onori di casa. Parla
con tutti e si diverte a fare la civetta, nemmeno fosse il suo
locale!
«Dai, vieni. Andiamo a sederci al nostro tavolo» comanda
con tono autoritario.
È sempre così odiosa?
Ordiniamo il pranzo e, dopo aver atteso i nostri piatti,
possiamo parlare, anche se non ho ancora ben capito di che cosa.
«Sputa il rospo, coraggio. Spero che ne valga la pena, visto
che mi hai buttato giù dal letto.»
«Falla finita. Giù dal letto alle undici passate. Basta parlare
di te, non sei il centro del mondo. Sai perché siamo qui. Ti ho
chiamato per lei. So bene quanto sia stata seria la vostra storia e
quanto vi siate amati. In tutti questi anni ho visto quanto ha
sofferto, quanto si è sforzata di andare avanti, senza mai riuscirci
fino in fondo. Ha dovuto imparare a fare la madre, a crescere
una bambina da sola. È straordinaria con Tete. È importante che
tu capisca una cosa: devi accettare il passato e cominciare a
considerare il vostro amore come una favola che porterai per
sempre nel cuore. Lei lo farà. Non ti dimenticherà mai, ne sono
certa.»
«Dove vuoi arrivare, Claudia? Cosa stai cercando di dirmi?»
Purtroppo, credo di esserci arrivato da solo.
«Ci è quasi riuscita, sai? A voltare pagina e a essere serena.
È riuscita a ritrovare un po’ di felicità, che di sicuro si merita.
Ha aspettato così a lungo e ora è a tanto così dall’essere felice.
Poi dal nulla arrivi tu.»
«Mi stai dicendo che c’è un altro?» La rabbia prende il
sopravvento.
«Mi dispiace, ma sì, c’è un’altra persona, da circa un anno. È
un bravo ragazzo e la ama moltissimo. Le ha persino regalato un
anello di fidanzamento, che guarda caso ha tolto il giorno in cui
tu le hai telefonato. Vorrebbe fargli conoscere sua figlia, capisci
cosa significa? Potrebbe avere un futuro fantastico con lui e
quella bambina potrebbe avere il padre di cui ha tanto bisogno e
che le è sempre mancato. È in buone mani, te lo posso garantire.
L’ho vista infelice per troppo tempo e le voglio troppo bene per
vederla buttare tutto all’aria e tornare con te.» Mi pugnala in
pieno petto. «Scusa se sono così diretta, ma so che lei non avrà
mai la forza di dirtelo. Per questo l’ho fatto io, al suo posto.»
Claudia però lo ha fatto di nascosto. Emma non sa nulla di
questo incontro, se ricordo bene le parole della sua cara amica.
Infatti, mi conferma di averlo fatto a sua insaputa, ma a fin di
bene, e aggiunge che anche io ho il diritto di sapere la verità, e
che ora ho tutti gli elementi per fare la scelta migliore. È
convinta che stia conducendo un gioco sleale, per poter tornare
con lei a ogni costo, ma io non sono tornato per condurre nessun
tipo di gioco, soprattutto se riguarda la donna della mia vita. E
la verità l’avrei voluta sentire dalla sua stessa bocca, quando si
sarebbe sentita pronta a parlarmene, non di certo dalla sua amica
impicciona.
L’ho lasciata nel peggiore dei modi, è vero, non ho
giustificazioni. Lo so bene. Claudia è libera di pensare che sono
il più grande bastardo che abbia mai conosciuto, la persona più
egoista del mondo, ma non me ne frega un cazzo di quello che
le passa per la testa. Credo non abbia nemmeno il diritto di
ipotizzare chi o cosa potrebbe farla davvero felice. Apprezzo
comunque il gesto, si sta comportando da amica, glielo concedo.
Lo farei anch’io, se si trattasse di qualcuno a cui tengo davvero.
Perché gli amici si sostengono, si proteggono, si aiutano.
«Ti odio per il male che le hai fatto. Sei inarrivabile, lo sei
sempre stato e temo lo sarai sempre, nessuno al mondo potrà mai
competere con te. Sei la sua ragione di vita. Solo sua figlia è
riuscita a prendere il tuo posto, lo capisci? Di tutto il resto non
le è mai importato nulla.»
«Non pensi che io provi la stessa cosa per lei? Non credi che
anche lei sia la mia ragione di vita e che lo sia sempre stata? Da
quando l’ho conosciuta, ho amato soltanto lei. Da quando ho
incrociato il suo sguardo, ho capito di aver trovato il mio riflesso
nello specchio, la luce che ha spazzato via il buio dentro di me.»
«Non hai avuto altre storie in tutto questo tempo?»
«No, nessuna storia degna di essere ricordata. Qualche
avventura di poco conto… Non me ne frega un cazzo di
nessun’altra.» Lei non può capire cosa significhi amare così.
«Io so soltanto una cosa: non voglio mai più vederla soffrire
così tanto a causa tua. Puoi promettermi almeno questo?»
«Te lo giuro. Non succederà mai più, anche a costo di farmi
da parte. Hai la mia parola. Da dove vengo io, la parola data
conta molto.»
«Non sei poi così male.».
«Nemmeno tu, quando non fai la stronza. Forse un giorno
potremmo diventare amici.»
«Comincia a non fare soffrire Emma, per il resto ci possiamo
lavorare.» Sul suo volto compare un sorriso sincero.
«Ora dovrei proprio andare, devo incontrare una persona.
Prima, però, ti riporto a casa. Il pranzo te lo offro io: te lo sei
guadagnato, piccola iena.»
35

CHRISTIAN

La conversazione con Claudia mi ha aperto gli occhi. Emma


è riuscita a rifarsi una nuova vita, a quanto pare con un bravo
ragazzo, almeno secondo la sua opinione. Se lei lo approva,
posso immaginare di che tipo si tratti: il mio esatto opposto,
senza ombra di dubbio. Faccia pulita, regolare, ottimo lavoro,
niente scheletri nell’armadio. Uno che piace tanto a mamma e
papà.
Se pensa che io mi faccia da parte si sbaglia di grosso, farò
qualsiasi cosa per riconquistarla, se me lo permetterà.
Devo prendere una decisione. Continuo a pensare a sua figlia
e le circostanze si fanno più difficili. Mi serve ancora un po’ di
tempo per riflettere, è successo tutto troppo in fretta. Troppe
emozioni, troppe situazioni complicate. Troppi casini.
Rimando queste riflessioni a un momento più opportuno.
Devo uscire per andare da Carlo, il mio amico di un tempo. Ho
conservato il suo numero di casa e l’ho chiamato un paio di
giorni fa. Vive ancora con i suoi genitori, così ci siamo dati
appuntamento da lui per rivederci, e ripartire da dove abbiamo
interrotto, almeno spero.
Quando apre la porta sono felice di sapere che nulla è
cambiato.
«Bentornato, amico.» Mi abbraccia forte, con affetto.
Lo ringrazio e gli chiedo come sta. È passata un’eternità
dall’ultima volta che ci siamo visti.
«Un sacco di tempo, hai ragione. Tu come stai, piuttosto?
Vieni, entra. Ci beviamo qualche birra mentre mi aggiorni. Sono
contento che tu sia qui.»
Con lui è stato tutto semplice, oggi come allora. Quando mi
sono trasferito da Milano, stava per iniziare il nuovo anno
scolastico e, per fortuna, abbiamo fatto amicizia quasi subito.
Eravamo inseparabili fin dai primi giorni di scuola e devo
ringraziarlo per il suo coraggio. Carlo non ha mai avuto alcuna
paura di frequentare quello nuovo pieno di problemi, che non
parlava quasi mai. Non ha avuto paura di diventare il mio
migliore amico. Grazie a lui, ho conosciuto un sacco di persone
e mi sono inserito nel nuovo contesto del secondo capitolo della
mia vita.
È merito suo se sono arrivate le mattine divertenti a scuola, a
fare i cretini e a prendere per il culo i professori, le uscite in
motorino verso la sala giochi più vicina o il biliardo la domenica,
le serate in discoteca a provarci con le ragazze. Grazie al mio
amico, ho conosciuto delle persone speciali e mi sono
innamorato della donna della mia vita. Insomma, se conosco
Emma devo proprio ringraziare Carlo.
«Quanto tempo è passato, cazzo? Ti trovo bene.» Stappa due
birre, ma temo che per l’occasione ne abbia preparato un
arsenale.
«Troppi anni. Sono rientrato pochi giorni fa. Sono successe
molte cose.»
«Se avessi voluto parlarmene lo avresti già fatto, perciò non
ti farò il terzo grado. Dimmi solo che stai bene.» Sapevo di poter
contare su di lui.
«Sto bene. Spero di essere tornato per restare. Sto cercando
di capire se c’è qualcosa per cui valga la pena farlo.»
«Emma?»
«Già. L’ho trovata molto cambiata e ancora non ho capito se
fra noi possa tornare a essere tutto come allora. È folle solo
pensarlo, vero?»
Mi informa che Emma era come impazzita i primi mesi
lontana da me. Non sembrava più lei. La vedeva spesso davanti
a casa mia, le prime settimane dopo la mia partenza. Mi aveva
cercato quasi ogni giorno, era letteralmente a pezzi. La
compagnia usciva la sera e spesso lei si presentava sconvolta e
chiedeva di me a tutti. Poi, all’improvviso, era sparita.
«Le ho fatto del male, non ci sono dubbi, ma sono stato
costretto ad andarmene, non avevo alternativa. Non avrei mai
voluto ferirla e fuggire in quel modo» gli confesso con l’amaro
in bocca.
«Immagino tu abbia avuto i tuoi motivi e che non sia stato
facile, amico, ma sono molto felice di rivederti. A me basta
questo.»
«Mari?» chiedo, di rimando.
«Ci siamo lasciati tre anni fa. Siamo rimasti in buoni rapporti,
ma non frequento più la sua compagnia. È stato meglio così, per
entrambi. Ho avuto un altro paio di storie, ma ora sono di nuovo
sulla piazza.»
«Che fai ora? Studi, lavori, cazzeggi?»
«Mi sono messo in proprio. Ho un’officina di moto. Lo sai
che ho sempre avuto questa passione.»
«Sì, mi ricordo. Non ti ho mai ringraziato abbastanza per tutte
le volte che hai sistemato il mio vecchio catorcio. Sarei rimasto
a piedi in moltissime occasioni, senza il tuo intervento.»
«È più forte di me. Devo aggiustare ogni cosa che cammina
su due ruote. Mi sento un po’ come il loro dottore.» Ci mettiamo
a ridere come perfetti idioti. «Tu, invece, cosa fai?» continua
Carlo.
Lo informo che per ora ho qualche risparmio da parte. Se
deciderò di restare, dovrò cercarmi un lavoro, non sono proprio
capace di stare con le mani in mano per troppo tempo.
«Se ti interessa, mi serve un meccanico. Anche se fai schifo,
sai che ti assumerei al volo.»
«Ti ringrazio, ma voglio provarci da solo per il momento,
credo tu mi possa capire. E poi non voglio che la tua officina
fallisca per causa mia.» Scoppiamo a ridere.
«Come vuoi. Vieni almeno a vederla, mi farebbe molto
piacere.»
«Ti verrò a trovare in compagnia del mio vecchio scooter.
Forse tu riuscirai a rimetterlo in strada.»
«Hai ancora quel rottame?» mi chiede sorpreso.
«Che vuoi che ti dica… Sai meglio di me quanti ricordi sono
legati a quel motorino. In fondo, sono un vecchio romantico.»
Brindiamo alla nostra amicizia. La birra scorre a fiumi, tanto
che, quando saluto Carlo per tornare a casa, sono sbronzo.
Ho davvero bevuto troppo. Per fortuna abitiamo a trecento
metri l’uno dall’altro. Quando rientro, il desiderio irrefrenabile
di chiamare Emma ha la meglio. L’alcol fa molto bene il suo
lavoro, eliminando qualsiasi tipo di inibizione che possa
impedirmi di comporre il suo numero di telefono.
Ancora una volta, sono io a cercarla per primo.
«Pronto?» Lei risponde quasi subito alla mia chiamata.
«Vuoi sapere chi sono? Come dici nella tua lettera, giusto?
Allora devo finire di raccontarti la mia storia, solo allora saprai
tutto. Capirai se sono cambiato oppure no. Lascia che venga da
te. Ti prego, devo parlarti.»
«Quanto hai bevuto, Christian?»
«Te ne sei accorta? Parecchio, in effetti. Dimmi dove abiti,
ho bisogno di vederti.»
«Sei impazzito? No! C’è Tete qui con me e non voglio che ti
veda così. Sei troppo ubriaco. Domani sera, d’accordo? Ti
aspetto da me dopo cena. Ti invio l’indirizzo.»
«Emma, devo parlarti» continuo, senza freni.
«Lo hai già detto. Parleremo domani. Ora fatti una bella
dormita, ne hai bisogno.»
«È di te che ho bisogno.»
«Buonanotte» mi dice, e attacca il telefono.
Mi sta facendo impazzire. Farei qualsiasi cosa per riaverla.
Sarà una lunga attesa.
36

CHRISTIAN

Sono di fronte al citofono di casa sua. Questo posto è davvero


di tutto rispetto, ed Emma se lo può permettere. Sta andando
forte, sono fiero di lei, è davvero in gamba.
Suono il campanello: le ho riportato la Smemo, dove le ho
scritto anch’io delle nuove parole.
Quando entro in casa, resto sorpreso da quanto sia bello ciò
che vedo, così elegante e ordinato. Lei mi mostra
l’appartamento.
«Complimenti, hai fatto un lavoro straordinario. Mi piace
moltissimo.»
«Grazie, ho fatto quasi tutto da sola. Sono stati giorni molto
caotici. Con Tete, poi, non è stata proprio una passeggiata,
soprattutto quando abbiamo traslocato.»
«La sua camera è una favola, non avresti potuto fare di
meglio, dovresti essere orgogliosa di te stessa.»
Deve essere senz’altro una madre straordinaria. Si vede che
sta provando a fare il possibile per gestire questa situazione, a
non far mancare nulla alla sua bimba, nemmeno la figura
paterna. Nessun bambino si merita una cosa del genere.
Tantomeno sua figlia.
«Torniamo insieme, anche per lei. Le farò io da padre. Sono
sicuro che potrei amarla come se fosse mia, te lo giuro.
Crescerebbe con due genitori che non si possono amare più di
così, lo sento. Non le mancherebbe mai nulla. Voglio occuparmi
di entrambe. Permettimelo, Emma, non te ne pentirai.»
«Non ti importa se non è tua figlia? Non credi che un giorno
potresti rimpiangere questa scelta? Non posso permetterti di
giocare con i suoi sentimenti, lei deve avere il meglio dalla vita.»
«Siamo noi il meglio, insieme.» Decido di raccontarle il
significato dell’anello che ho al dito, dato che la riguarda molto
da vicino. Si porta nella mano destra, con il cuore rivolto verso
il polso, come lo porto io in questo momento. Emma è curiosa
di conoscere questa storia.
«Una volta arrivato in Irlanda, volevo stare lontano da tutto.
Stavo soffrendo moltissimo e non volevo che la mia famiglia mi
vedesse in quello stato pietoso. Non riuscivo a smettere di
pensarti. Ho visitato quelle meravigliose terre per tre settimane
spostandomi di città in città. Quando sono arrivato a Claddagh,
un villaggio di pescatori nella Baia di Galway, ho fatto questa
cosa d’impulso, perché sapevo di doverla fare e basta. Ho
acquistato i nostri anelli di fidanzamento, nella speranza di
ritornare, prima o poi, e di darti di persona il tuo. Forse, è stato
un modo per sentirmi legato a te da una promessa eterna. Oppure
è stata la soluzione per cercare di andare avanti. La leggenda
degli anelli racconta di due giovani e del loro amore travagliato
che ha resistito a tutto: al passare degli anni e alle tante
vicissitudini, per poi ritrovarsi e amarsi per sempre. Insomma,
racconta di noi. Perciò lasciami fare questa cosa per dimostrarti
che mai al mondo potrei cambiare idea, mai potrei smettere di
amarti.»
Ho ripetuto questa scena nella mia mente centinaia di volte.
Tiro fuori dalla tasca il suo anello. È identico al mio, soltanto
non così rovinato.
«Vorrei che tu lo portassi al dito. In questo momento puoi
dargli il significato che vuoi: un impegno, una promessa, una
speranza. Mi rendo conto che sta succedendo tutto troppo in
fretta e che forse è troppo, anche per due come noi. Non posso
nascondere i miei sentimenti, non ci riesco. “Ho bisogno di te,
come l’aria che respiro.” Me lo hai scritto tu. So bene che non è
semplice accettare il mio ritorno, farti sconvolgere la vita
proprio dalla persona che te l’ha distrutta, ma oggi, come allora,
sento che fra noi non è cambiato nulla. Farei qualsiasi cosa per
renderti felice, per amarti come meriti. Permettimi di farlo, ti
prego.»
Sul volto le appare un’espressione di pura felicità e di
stupore, che però nasconde quasi subito. Mi sembra evidente che
le mie parole non abbiano avuto alcun effetto su di lei.
Nemmeno questo è servito a farla tornare da me: non so proprio
cos’altro possa fare per dimostrarle che sono sincero. Portando
sulle spalle l’enorme peso del suo rifiuto, resto inerme di fronte
a Emma, deluso e ferito.
«È così, allora? Non posso credere che fra noi sia tutto finito,
che non provi le stesse cose.» Mi sento malissimo. Arrivano le
lacrime, ma le trattengo con tutte le mie forze.
«Sei così diverso dal ragazzo che ho conosciuto tanto tempo
fa, eppure sei sempre lo stesso: l’uomo che desideravo crescesse
insieme a me, realizzando fianco a fianco ogni desiderio.» Le
sue parole mi sorprendono.
«La lontananza e la sofferenza mi hanno reso migliore. Sono
tornato per dimostrartelo. Dammi una possibilità» rispondo
senza fiato.
«Sta accadendo tutto troppo in fretta, lo capisci? Non puoi
piombare qui all’improvviso e dirmi che non è cambiato nulla,
che è tutto come allora. Non funziona in questo modo. Tutto è
cambiato. La mia vita è cambiata. Come puoi credere che io
prenda una decisione del genere in così poco tempo? Ho bisogno
di stare sola. Di pensare. Ho bisogno che mi lasci in pace. Devi
andartene e lasciarmi il mio spazio. Non chiedermi più nulla,
vattene e basta. Quando sarò pronta, sarò io a venirti a cercare.»
Trattiene le emozioni a fatica mentre apre la porta e mi sbatte
fuori. Quando la richiude, non posso fare a meno di lasciare
andare le lacrime.
Torno a casa a pezzi. Sono distrutto. Il tragitto in macchina
sembra durare un’eternità. Mi passa per la testa qualunque
pensiero; sono stato respinto, è evidente, lei non vuole più avere
nulla a che fare con me. O forse ha soltanto bisogno di tempo.
Non so più come devo comportarmi.
Emma è cambiata, non è più la stessa che ero abituato a
leggere dentro, ora è una donna indipendente che forse non ha
nemmeno più bisogno di me. Potrebbe aver voltato pagina e non
trova il coraggio di dirmelo. Forse non mi ama più. Non posso
nemmeno pensarci.
Sono così preso da questi cattivi umori, che quasi non mi
accorgo dell’auto sportiva parcheggiata dietro la mia macchina,
proprio davanti a casa. Guardo dallo specchietto retrovisore e
vedo scendere un ragazzo alto, di bell’aspetto, palesemente fuori
di sé. Credo di aver capito di chi si tratti. Scendo anch’io e vado
verso di lui, mentre mi assale un odio incontrollabile.
«Sei un bastardo!» mi urla in faccia e mi spintona.
«Che cazzo sei venuto a fare qui?» Lo spintono anche io. Si
rende quasi subito conto che non riuscirà ad avere la meglio con
troppa facilità.
«Lasciala in pace, razza di egoista! Ti ho visto uscire da casa
sua, che cazzo sei andato a raccontarle? L’hai mandata fuori di
testa. Lei però ti ha dimenticato, hai capito? Lei ama me,
adesso.» È proprio chi pensavo che fosse. Come si permette di
venire qui a sfidarmi? Vorrei sfogare su di lui tutta la mia rabbia
e la mia frustrazione, ma non servirebbe a farla ritornare da me.
«Non ti azzardare nemmeno a nominarla!» Lo prendo per il
colletto di quella camicia da stronzo e lo sbatto contro il muro di
casa. «Te lo ripeto, che cazzo vuoi? Sei venuto a dirmi di
dimenticarla, di non cercarla più? Impossibile. C’ero prima di te
e se lei lo vorrà, ci sarò anche dopo. È tutto quello che ho di più
prezioso al mondo.»
«Presto ci sposeremo, porta il mio anello al dito. Vattene
subito, non ti permetterò di rovinarle ancora una volta la vita.»
Anche lui mi mette le mani al collo. Ci guardiamo negli occhi
con le peggiori intenzioni.
«Ah, sì? È così? Beh, sai, non me lo ha mai detto da quando
sono tornato. Non ti ha mai nominato, se ci tieni a saperlo. Sei
sicuro di essere così importante per lei? O mi stai raccontando
soltanto una marea di cazzate?» Sono riuscito a provocarlo
quanto volevo, tanto da scatenare una reazione molto violenta.
Cerca di colpirmi in faccia con un pugno, ma per fortuna riesco
a schivarlo. Mi piacerebbe scagliarmi contro di lui con tutta la
forza che ho in corpo e dargli una bella lezione, ma mi trattengo.
Lo afferro di nuovo per il colletto e la mia superiorità fisica lo
manda su tutte le furie.
«Quando racconterò a Emma che razza di animale sei, sono
certo non vorrà rivederti mai più» dice con rabbia.
Sentire uscire il suo nome dalla bocca di questo individuo mi
manda il sangue alla testa, ma riesco ancora una volta a
controllarmi. «Staremo a vedere. È il nostro destino, stare
insieme. E ora che ci siamo ritrovati, non sarai certo tu a
ostacolare la nostra felicità.»
Un vicino di casa, allarmato dalle nostre grida, ci raggiunge
e ci urla contro.
Ci guardiamo disgustati.
«Non è finita, te lo giuro. Non è finita. Muoio dalla voglia di
prenderti a schiaffi, ma non servirebbe a niente. Devi lasciarla
in pace. Rassegnati. Sarà meglio per tutti noi.» Insiste, quel folle.
Sale sulla sua auto di lusso e sparisce in fretta dalla mia visuale.
Anche il vicino di casa si leva dalle palle.
Finalmente resto solo, un po’ ammaccato, ma soddisfatto di
non aver ceduto alle sue provocazioni. Un tempo non avrei
esitato un solo istante e lo avrei riempito di botte, ma ora sono
una persona diversa, migliore. Non mi resta che leccarmi le
ferite e aspettare, anche se non so bene fino a quando. È tutto
confuso, incerto, indefinito. Ho una paura fottuta che sia troppo
tardi per tornare con lei. Posso soltanto lasciarle il suo spazio e
sperare fino alla fine.
37

CHRISTIAN

Mi sveglio angosciato e nervoso. Continuo a pensare alle


parole di Emma. Il tempo scorre in fretta e non ho sue notizie da
settimane.
Sono sempre più confuso. A questo punto, non provo
nemmeno a capire cosa stia succedendo. Mi ha detto di avere
bisogno di tempo, ma non posso dimenticare l’espressione
dipinta sul suo volto. Di certo non le ho visto fare i salti di gioia,
dopo averle dato l’anello. Le ho detto chiaramente di voler
passare tutta la vita con lei e sua figlia, le ho aperto il mio cuore.
Cosa avrei potuto fare di più?
Per non parlare del suo ragazzo. Mi innervosisco al solo
pensiero di saperla fra le sue braccia. Sta veramente per sposarsi
con quel tipo? Sono angosciato, e una terribile sensazione di
malessere mi assilla di continuo. Sono a pezzi, ma non posso
fare nulla per cambiare la mia condizione. Non posso far altro
che darmi una calmata e sperare che lei si faccia viva, senza
farmi troppe domande. L’attesa mi sta uccidendo, ma ormai ci
sono dentro fino al collo e devo andare in fondo a questa storia.
Qualsiasi cosa accadrà, la affronterò a testa alta e lotterò per lei.
Non sono arrivato fino a qui per smettere di credere in noi.
Arriva un messaggio da parte di Sonni e mi sento subito
meglio.

SONNI: Ciao, fratello. Qui manchi molto a tutti.


La tua casa è al sicuro. Come te la passi?

CHRISTIAN: Sto bene, amico. Cerco di


riprendermi ciò che è mio, anche se non è così
semplice. Mi mancate molto anche voi. Grazie
ancora. Per tutto.

È così strana la vita: c’è più calore alle Faroe, dove si gela per
quasi tutto l’anno, che in questo posto. Fa un caldo assurdo, ma
dentro di me sento un freddo glaciale.
Qualche tempo dopo, arriva la telefonata che tanto stavo
aspettando. Emma, grazie al cielo, si fa sentire. La sua voce è
strana, distante, poco familiare. È uno strazio non riconoscerla
quasi più. Mi chiede di incontrarci oggi stesso in un parco
appena fuori città. Dice che mi deve parlare. La sento nervosa,
agitata, ma al tempo stesso impaziente di vedermi. Temo
veramente il peggio e cerco di prepararmi al fatto che non voglia
avere più niente a che fare con me. Sono devastato.
Poche ore dopo arriva un messaggio da parte della sua amica.
Cosa vuole ancora da me?

CLAUDIA: Non fare cazzate, oggi pomeriggio.


Cerca di essere puntuale. Vestiti bene. Ci
vediamo dopo.

CHRISTIAN: Dopo? Ci sei anche tu? Cosa c’entri


con questa storia?

CLAUDIA: Tranquillo. Non c’entro nulla. Fidati


di me. Oggi sono dalla tua parte.

CHRISTIAN: Ok, ma non fare scherzi!

Da quando sono tornato in Italia, non mi sono mai sentito così


a disagio e irrequieto e non ho la minima idea di cosa accadrà
fra poco, ma eccomi seduto su una panchina al centro di questo
grande parco. Devo essere impazzito. Intorno a me, decine di
ragazzini si divertono con una palla o a rincorrersi o si divertono
con giostrine dell’area giochi. Mi sono anche messo una camicia
con le maniche corte, nonostante questo caldo insopportabile.
Spero ne valga la pena, altrimenti potrei strangolare Claudia con
le mie mani. Ho addirittura ordinato un bicchiere di tè freddo al
chiosco qui vicino, non mi riconosco più!
Emma per fortuna non si fa attendere. Non l’ho mai vista in
questo stato: è agitatissima, impacciata e a disagio. Non so cosa
pensare.
Mi ha riportato il suo diario: di sicuro mi avrà scritto ancora.
Sono felice che almeno questo, fra di noi, non sia cambiato. In
fondo, è sempre stato il nostro modo di comunicare. Non vedo
l’ora di leggere le sue parole.
«Ciao, Christian.» Mi saluta con freddezza, mentre si siede
accanto a me. Quasi non la riconosco. È pallida in viso, sembra
abbia paura di qualcosa, riesce a malapena a guardarmi.
«Ciao… Vuoi dirmi che cosa succede? Così mi spaventi.
Sembri sconvolta.» Anch’io sono molto nervoso, ma a
differenza sua non so proprio che cazzo stia succedendo.
«Anche tu non hai affatto una bella cera. Non hai chiuso
occhio questa notte vero?»
«Solo questa notte? Riesci a capire perché sono ridotto così?
Da quando non hai più voluto vedermi sono stato malissimo.
Non so più cosa pensare. Ho persino avuto il piacere di
conoscere il tuo futuro sposo.» Sono infuriato con lei, con lui,
con il mondo intero. Persino con me stesso. Trattengo le mie
emozioni con tutta la forza che ho in corpo, ma sento di non
poter resistere a lungo.
«Edoardo? Oddio… Quando è successo?» Il tocco della sua
mano allevia ogni dolore.
«La sera stessa che mi hai buttato fuori da casa tua. Mi ha
visto uscire e mi ha seguito. Quando sono sceso dalla macchina,
ha cominciato a insultarmi e a spintonarmi. Non preoccuparti,
non ho ceduto alle sue provocazioni, non è successo nulla. Non
sono più quel tipo di persona.»
«Ora non mi importa. Non siamo qui per questo. Dannazione,
se parliamo di Edoardo non avrò più il coraggio.» È sempre più
agitata, io più confuso.
«Va bene. lasciamo stare, rimandiamo questa conversazione
ma, ti prego: dimmi una volta per tutte cosa ci facciamo qui.»
«Vorrei tanto che conoscessi Tete. Sarebbe molto importante
per me.» I suoi occhi sono di una dolcezza infinita, non ha
motivo di essere così in ansia. Invece, sembra terrorizzata.
«Tutto qui? È per questo che hai voluto vedermi? Certo che
la voglio conoscere, non vedo l’ora, ma non c’era bisogno di
aspettare tutto questo tempo. Ho passato questi giorni a pensare
che cosa avessi in mente, dopo la reazione che hai avuto quando
ti ho regalato l’anello e dopo aver incontrato quel… Edoardo.
Per me non c’è nessun problema, conoscerò tua figlia, se per te
è così importante, e con molto piacere. Non hai nulla di cui
dubitare. Puoi presentarmela quando vuoi.» Deve proprio essere
impazzita. Non so più cosa pensare.
All’improvviso, vedo Claudia dall’altra parte del parco, in
piedi davanti alla giostra dei cavallini.
Che cazzo sta facendo lì tutta sola?
«Sai che farei qualsiasi cosa per te. Sono stato sincero quando
ti ho detto che voglio occuparmi di voi, che sarei felice se
diventassimo una famiglia, devi soltanto volerlo anche tu. Ti
prometto che sarò il padre migliore del mondo per la tua
bambina. Non le farò mai mancare nulla.»
«Sono sicura che manterrai la promessa. Le tue parole non mi
hanno lasciata indifferente, devi credermi. Sei pronto?»
«Pronto per cosa?» Non ci capisco più nulla.
«Voglio che tu la conosca adesso. È con Claudia da qualche
parte, qui al parco. Immagino sia su una giostrina. Posso
chiamarla e dirle di portarla qui?» Fatica a parlare e trattiene a
stento le lacrime. Si comporta in modo troppo strano.
«Certo che puoi. Emma, mi stai facendo preoccupare…»
«Quando arriva, ti prego, lascia parlare me.» Prende il
telefono e chiama la sua amica. Posso vederla in lontananza.
Aspetta che il giro in giostra finisca, prende Tete per mano e
camminano entrambe verso di noi: sono sempre più vicine e mi
rendo conto che la bambina è molto più grande di quanto mi
immaginassi. Non so perché, ma ho sempre pensato che potesse
avere due, al massimo tre anni.
«Ciao, mammina!» La piccola abbraccia sua madre in un
modo dolcissimo.
«Ciao, tesoro, ti diverti con la zia?» Emma la riempie di baci,
mentre mi guarda commossa. Tete è già seduta in braccio a lei.
Quegli occhi verdi. Quell’espressione.
«Ciao, straniero. Che eleganza. Del resto, l’occasione la
richiede.» Claudia parla per prima e rompe il silenzio che si è
appena creato. «Non capita tutti i giorni di conoscere una
principessa.» Mi sorride tenera, poi mi guarda meglio. Deve
essere impazzita anche lei. Non la riconosco.
«È un vero onore, infatti» rispondo imbarazzato.
«Tesoro,» continua la sua mamma «ti presento un mio amico.
Viene da molto lontano, da un’isola bellissima in mezzo al
mare.» Bacia quella sua testolina piena di riccioli biondi. Lo
stesso colore dei miei capelli.
«Piacere di conoscerti! Come ti chiami?» Sono curioso.
«Mi chiamo Celeste, ma tutti mi chiamano Tete. È il colore
preferito della mia mamma, e allora mi ha chiamata così.»
Mi arriva un pugno dritto nello stomaco. All’improvviso, è
tutto chiaro: il messaggio di Claudia, l’ansia ingiustificata di
Emma, il fatto di essere qui. Devo riprendermi in fretta e
continuare a recitare come credo stiano facendo la mamma e
l’amica. Non sono ancora certo che sia vero. Non riesco a
staccarle gli occhi di dosso. È perfetta.
«È il nome più bello che potesse darti. È proprio il nome di
una principessa.» Dietro alla piccola, ora lei non riesce a
trattenere le lacrime e continua ad asciugarle con la mano.
«Grazie. Anche tu sembri un principe» continua la bimba,
sorridendo.
«È un bellissimo complimento. Nessuno me lo aveva mai
detto prima.»
La ammiro incantato.
«Sei un principe buono?» domanda con l’ingenuità di
bambina.
«Faccio del mio meglio. Di sicuro sono un principe
estremamente fortunato.»
«Perché sei ricco?»
«Lo sono appena diventato.» Mi specchio nei suoi occhi.
«Torniamo sulle giostre, tesoro? Siamo qui per questo, no?»
Claudia interviene, mi volto a guardarla e mi accorgo che sta
piangendo anche lei. «Coraggio, straniero.» Riesco a sentire
tutta la sua emozione mentre mi dice quelle parole.
«Andiamo, zia!» La sua vocina allegra è adorabile.
Credo di essere pallido come mai prima d’ora.
Mi sento mancare.
«Quando è nata Celeste?» Sono impaziente di sapere, respiro
a fatica.
«Sei anni fa. A settembre andrà a scuola.» Si mette a piangere
e io sento di essere sul punto di perdere il controllo.
«Lei… lei… lei è…» balbetto, mi tremano le labbra.
«Sì. Lei è tua figlia.» Si lascia andare, spero per la gioia del
momento.
«Perché non me lo hai detto?» Le lacrime iniziano a
bruciarmi in viso senza che le possa controllare.
«Perché quando sei partito non lo sapevo. L’ho scoperto poco
dopo.» Respira profondamente, cercando di calmarsi.
Mi porto le mani sul volto, non posso più trattenermi. Il
dolore, il senso di colpa, il rimpianto. Troppe emozioni da
sopportare tutte insieme. Lei mi prende le mani e me le stringe
forte, come avrei voluto facesse il primo giorno in cui ci siamo
rivisti. Io continuo a piangere. Lei mi fa coraggio, oggi come
allora. Le accarezzo il viso.
«È una bambina allegra e solare. Alla scuola materna va
d’accordo con tutti e la sua migliore amica si chiama Angelica:
sono inseparabili dal momento in cui si sono conosciute. Aiuta
sempre chi è in difficoltà, è gentile. Il suo peluche preferito è un
orsetto marrone chiamato Biscotto, gliel’ho regalato un paio di
anni fa per il suo compleanno. Dorme sempre con lui e quando
usciamo lo porta dappertutto, persino in vacanza.» Emma è un
fiume in piena. «Le piace correre scalza nell’erba, con quei suoi
piedini così piccoli che ti viene voglia di mordicchiarli. Adora
mangiare il cioccolato e le caramelle gommose, e va pazza per
le fragole. Impazzisce quando le metto lo smalto sulle unghie e
gioca spesso con le bolle di sapone: soffia finché non ne può più,
poi si diverte come una matta a rincorrerle.» Fa una pausa, io
non smetto di fissarla fino a quando non riprende a parlare. «Ha
paura del buio, ma stringe forte il suo orsacchiotto la sera quando
la metto a letto, per farsi coraggio e fare la nanna. Le lascio
sempre una lucina accesa per farla sentire più tranquilla. Voglio
che sia felice e che al suo fianco ci siano delle persone che le
vogliono bene in modo sincero. Non smetterò mai di proteggerla
e vegliare su di lei. Vorrei non avesse più paura di niente e
nessuno al mondo.» Si asciuga una lacrima.
«Mi dispiace» riesco a pronunciare soltanto queste due parole
e mi lascio andare, sfogandomi in un lungo pianto.
«Non puoi dire che non è tua figlia, è la tua fotocopia. Di me
non ha quasi nulla.»
«È bellissima.» Rido e piango allo stesso tempo. «Mi sono
perso tutto. Prima te, poi lei. Non me lo perdonerò mai.»
«Io invece l’ho già fatto. Ti ho perdonato, sai? Quando hai
detto che ti saresti occupato di lei, anche senza sapere chi fosse,
che le avresti dato una famiglia e l’avresti amata con tutto te
stesso. In quel momento, ho capito tutto e ho deciso di fidarmi.
Io ti amo, ti ho sempre amato e questo non potrà mai cambiare.
Prima però, dovevi sapere la verità. Non siamo più soltanto tu e
io, ora c’è anche lei e ti assicuro che viene prima di ogni altra
cosa.»
«Ti amo, Emma, sei sempre stata la mia vita. Mi hai regalato
il tesoro più prezioso al mondo: una figlia.» Mi calmo e le chiedo
l’unica cosa che in questo momento ha senso. «Cosa facciamo
ora?»
«Vorrei il mio anello, tanto per cominciare. Vorrei portarlo al
dito il prima possibile. Hai fatto una cosa meravigliosa per me.
Non sai quanta fatica ho fatto a trattenermi quando l’ho visto,
avrei voluto indossarlo immediatamente, ma non sarebbe stata
la cosa giusta da fare.»
«Ti riferisci a quel tuo fidanzato?» Deglutisco la rabbia,
cercando di stare calmo.
«L’ho lasciato il giorno dopo. Non l’ha presa per niente bene,
ma doveva sapere la verità, non potevo più nascondere i miei
sentimenti. Non potevo più mentire, né a Edoardo né a me stessa.
È inutile girarci intorno. Tu sei qui, dove meriti di essere. Noi
siamo la tua famiglia. È così che deve andare. Mi dispiace di
averlo fatto soffrire, ma non ho potuto evitarlo.»
«Non avrei voluto fare del male a nessuno, credimi. Mi
dispiace per lui. Per quanto possa sembrare ipocrita, è la verità.»
«Edoardo è una persona meravigliosa. Mi ha aperto il cuore
e mi ha accolta nel suo mondo. Mi odio per averlo ferito, ma io
ti ho sempre amato. Ho provato ad andare avanti, ma per me ci
sei sempre stato soltanto tu. Ho cercato di voltare pagina in un
modo o nell’altro. Pensavo potesse essere la scelta giusta fino a
quando non ho risentito la tua voce. In quell’istante, tutto è
tornato al suo posto.»
«L’importante è che lui lo sappia. Lo supererà, o forse no, ma
non ci riguarda più, non è questo il punto. È arrivato il momento
di pensare soltanto a noi, a costo di sembrare egoisti.»
«Hai ragione. Adesso è il nostro turno. Siamo stati fin troppo
a lungo in coda per la felicità.»
«Non potrei essere più d’accordo. Per quanto riguarda
l’anello, ora non ce l’ho qui con me, ma lo avrai al più presto, te
lo giuro. Con Celeste, invece, come dobbiamo comportarci?»
«Dobbiamo parlare con lei, cercando il modo migliore di
dirglielo. Vedrai che ce la faremo, ci serve solo un po’ di tempo.
Invece so che Claudia ti ha incontrato per convincerti a lasciarmi
in pace. Sei stato grande a non dire nulla, grazie per averla
protetta.»
«In fondo, mi piace sai? Ha il suo bel caratterino, ma è una
vera amica. Avete costruito un legame davvero molto forte. In
un attimo, ho visto quanto vuole bene a Tete. È una benedizione
averla nella sua vita.»
Celeste è mia figlia.
Non riesco a crederci. Ho le vertigini. Mi sembra di vivere un
sogno. Una cosa troppo bella per essere vera.
Ho una figlia.
E finalmente siamo insieme, noi tre. Ancora non mi sembra
possibile.
«Ora devo andare da lei. Deve abituarsi all’idea di avere un
papà. In questi giorni le parlerò di te. Per quanto riguarda noi,
arriverà anche il nostro momento. Dovrai soltanto avere un po’
di pazienza e aspettare. Puoi farlo per me?»
Se posso farlo? Andrei in cielo a fare a pugni con le stelle per
portarle la luna, se solo me lo chiedesse. Qualsiasi cosa per lei.
Non c’è stato un giorno in cui abbia smesso di amarla, di
pensarla, di volerla al mio fianco. Lasciarla andare da Celeste è
difficile, ma è giusto che sia così. Ci salutiamo con la promessa
di ritrovarci presto, magari senza separarci mai più.
Si alza per andare via. Fa pochi passi, prima di girarsi verso
di me. Sono ancora seduto, frastornato. Torna indietro e
finalmente ci diamo quel bacio che abbiamo tanto atteso e
desiderato in tutti questi anni.
La mia Emma è tornata.
«Presto arriverà il nostro momento. Noi due soltanto.» Non
c’è sensazione più bella che saperla felice.
«Ti prego, fa’ che sia così presto come dici: non ce la faccio
più ad aspettare.»
«Nemmeno io.» Si volta di nuovo, e questa volta se ne va via
per davvero.
Sono l’uomo più fortunato del mondo: ho una famiglia.
38

CHRISTIAN

Rientro a casa completamente travolto dalle emozioni. Tutto


avrei immaginato, tranne questo. Mi sembra ti toccare il cielo
con un dito; anzi no, di averlo nel palmo della mano.
Celeste è mia figlia e non potrei esserne più felice: mi sento
un perfetto idiota a non esserci arrivato da solo, ma come avrei
potuto capirlo?
Vorrei non essere mai partito. Ho perso sei anni della sua vita,
momenti preziosi che non torneranno più. Il solo pensiero mi fa
star male, non l’ho nemmeno vista nascere. Ho lasciato la mia
anima gemella da sola, nel periodo più complicato che abbia mai
dovuto affrontare.
Devo cambiare atteggiamento e devo farlo in fretta:
piangermi addosso non mi porterà da nessuna parte, ora conta
solo il presente. Ha ragione Emma: Tete viene prima di tutto, il
resto può aspettare.
Apro la Smemo, certo che mi abbia scritto qualcosa. Forse, le
sue parole potrebbero distrarmi dai sensi di colpa.

3 Giugno 2002

Oggi mi hai chiesto di tornare da te, con


quell’anello meraviglioso.
È stato bellissimo. Certo che ti voglio, e per tutta
la vita. Non sai quanto sia stato faticoso trattenermi
dal dirtelo, non buttarti le braccia al collo e baciarti
senza riuscire a smettere, ma prima c’è una cosa che
devi sapere.
Tete è tua figlia.
Quando sei partito non sapevo di essere incinta,
me ne sono accorta poco dopo. Ti ho cercato per
moltissimo tempo, avrei tanto voluto dirtelo e averti
accanto a me quando è nata. Avevo soltanto diciotto
anni ed ero terrorizzata al solo pensiero di metterla
al mondo, figuriamoci di crescerla da sola.
I miei genitori, per fortuna, mi hanno aiutata in
tutto: senza di loro non ce l’avrei mai fatta,
soprattutto all’inizio. Quando è nata Celeste, ho
capito quanto si possa amare qualcuno
incondizionatamente. L’amore che provo per lei non
è poi tanto diverso da quello che sento per te. Di
Celeste, però, non potrei fare a meno. Con te sono
stata costretta a rinunciare a quel tipo di amore: ne
sono uscita a pezzi, lo ricordo bene, ma sono
sopravvissuta. Per tutto questo tempo, ha riempito i
miei giorni e li ha resi speciali. Ha colmato quel
grande senso di vuoto che ho sempre avuto dentro,
rendendo quel dolore più sopportabile. Sarei
impazzita, se non ci fosse stata lei.
Non rimpiango nulla: ho voluto questa bambina
con tutta me stessa lottando contro tutti. Tu non
c’eri e io non sapevo che fare. È stato terribilmente
difficile, ma mai ho pensato di rinunciare a lei,
nemmeno per un secondo. Sono orgogliosa della
mia scelta perché mi ha cambiato la vita: l’ha resa
migliore. Ora il nostro legame è eterno, grazie a
Celeste. La parte migliore di te. La parte migliore di
me. Un giorno capirai anche tu quanto un figlio
possa stravolgerti la vita, quanto può entrarti dentro
la pelle, il sangue, le ossa. Non potrai più farne a
meno, mai più.
In questo momento, sto cercando le parole giuste
per dirtelo, ma ho bisogno di tempo. È successo tutto
talmente in fretta, che quasi mi sembra non sia vero.
Spero sarai felice di sapere che sei padre. Ora che
sei qui, sento di non poter più voltare pagina come
un tempo. Ho bisogno di te. Per me, per lei. Per
vivere.
Presto conoscerai la nostra Tete.
Hai una figlia, amore mio.

Emma

4 giugno2002

Spero di riuscire a starti lontana, almeno per un


po’ di tempo. Ho bisogno di riflettere, schiarirmi le
idee, sistemare le cose. Mi manchi da starci male. Il
solo pensiero di averti ferito mi fa impazzire.
Ti confesso che mai avrei pensato di poterti
riabbracciare, di poter anche solo sperare di
rivederti ancora una volta. Quando ho capito che
non stavo sognando, che veramente saresti tornato
da me, tutta la sofferenza patita, il dolore e il senso
di smarrimento provato per questi lunghi anni sono
svaniti quasi come per magia, perché per me tu sei
sempre stato l’unico, la persona che ho sempre
desiderato avere al mio fianco. Mai per un solo
istante ho dubitato di questa cosa.
Immagina come possa essere stato per me
rivederti. Un’emozione così grande da non riuscire
quasi a provarla, tanta era la paura di non essere
capace a trattenerla. Sei l’amore della mia vita, il
mio tutto, il senso di ogni cosa. Lo sei sempre stato.
Vorrei essere con te, tenerti stretto e dirti che ti
amo e che non ho mai smesso di farlo.
P.S. Tra poco incontrerò Edoardo per dirgli tutta
la verità, per lasciarlo libero. Spero vada bene.

Emma

5 giugno2002

Ho parlato con Edoardo. Ci siamo lasciati ed è


stato orribile. Mi ha vomitato addosso tutto il suo
dolore e la sua delusione. Mi sento terribilmente in
colpa, ma sono sicura di aver fatto la cosa giusta.
Mi sono fatta coraggio pensando a noi e al nostro
futuro, a Celeste e a tutti i bei momenti che
potremmo trascorrere insieme, come una famiglia.
Ti rendi conto? Siamo una famiglia... ancora non
riesco a realizzarlo. Mi scoppia il cuore di gioia.
Mia figlia avrà finalmente il suo papà e io
ricomincerò a vivere una vita degna di voi. Ti
prometto che farò di tutto per rendervi felici, come
meritate. Come ci meritiamo. È arrivato il nostro
momento e nulla al mondo ci impedirà di godercelo.
Ti amo immensamente.
Ora scusami, ma ho bisogno di prendere una
boccata d’aria fresca. Spero di sentirmi meglio.
Oggi è uno di quei giorni in cui ho un disperato
bisogno di te, ma so che devo cavarmela da sola. Ce
ne sono stati tanti in cui ti avrei voluto al mio fianco.
Quasi tutti.

Emma

11 giugno 2002

Ciao, ragazzino.
Claudia mi ha detto di averti visto oggi, in strada,
per caso. Fortunata lei. Chissà che cosa stai
facendo e cosa ti passa per la testa. Non so per
quanto tempo ancora riuscirò a starti lontana.
Non vedo l’ora di dirti tutto, anche se ho una
paura folle.
Mi manchi da morire.

Emma

25 giugno 2002

Ti ricordi quella cassetta che ti regalai tanto


tempo fa per il tuo compleanno? Ti ricordi le nostre
canzoni preferite?
La sto ascoltando in questo momento, mentre
immagino di fare l’amore con te. Non sai quanto lo
desidero. Tu sei l’unico che mi hai fatto capire cosa
significhi essere nudi davanti a una persona, anche
con i vestiti addosso.

Emma

29 giugno 2002

Amore,
la tua voce è la cosa più bella che potessi sentire.
Non puoi neanche immaginare quanto tu mi sia
mancato. Oggi è il grande giorno. Finalmente
conoscerai Celeste e saprai tutta la verità. Tremo al
solo pensiero. Non so spiegarti cosa provo in questo
momento, immagina un misto di felicità e paura.
Spero vada tutto bene, perché abbiamo bisogno
di te, ora più che mai. Abbiamo bisogno dell’uomo
meraviglioso che sei diventato e di averti al nostro
fianco, ogni giorno, per poter essere finalmente
completi. Ancora mi sembra di sognare, di essere la
protagonista di una fiaba: ho paura di svegliarmi
all’improvviso e realizzare che tutto questo è solo
frutto della mia fantasia. Invece è tutto vero, tu ci sei
eccome. È arrivato il momento di raccontarti ogni
cosa, e di stare insieme.
Finalmente per sempre.

Emma
Quanto amore fra le pagine di questo diario. È meraviglioso
quando una persona ti apre il suo cuore in questo modo. Ogni
volta mi sento incredibilmente fortunato. Mi schiarisco la voce
e la chiamo, dopo aver letto le sue parole. Ormai ci sono dentro
e voglio sapere ogni cosa che la riguarda. A dire il vero, vorrei
tanto essere con lei e con la mia bambina. Voglio lei e voglio
Celeste. Il prima possibile, questo è certo.
«Ciao.»
La mia Emma.
«Ciao. Come stanno le mie principesse? Va tutto bene?»
Sono emozionato.
«Tutto benissimo. Tete è già a letto e ora vado a leggerle la
favola della buonanotte. Ogni sera vuole che gliene racconti una
diversa.»
«Che favole le piacciono?» Mi rendo conto di non sapere
nulla di lei.
«Sei fortunato. Quelle che parlano del mare la fanno
impazzire. Credo proprio che avrai molte storie da raccontarle.»
«Voglio sapere tutto della mia bambina, voglio stare con la
mia famiglia il prima possibile.» Ne ho bisogno.
«Vedrai che succederà presto, dammi solo qualche giorno.
Dobbiamo farlo per lei. Voglio che lo venga a sapere nel
migliore dei modi. In fondo, ha soltanto sei anni, dobbiamo
andarci piano.»
Le propongo di vederci con qualche amico, magari Claudia e
Carlo, in un posto che piace in particolar modo a Celeste, così
da poter passare un po’ di tempo con lei. I pochi minuti di oggi
non possono di certo bastare, ho bisogno di stare con mia figlia
e di conoscerla.
«È una buona idea. Possiamo organizzare una cena. La
portiamo spesso in un ristorante con un grosso parco giochi
all’interno: ci sono scivoli, gonfiabili, casette giocattolo...
insomma, un vero paradiso per i bambini. Si diverte sempre un
mondo. Potrebbe essere una bella occasione per stare insieme,
che ne dici?»
Mi chiede di accordarmi con Carlo per un’eventuale uscita,
lei farà la stessa cosa con Claudia.
Sono troppo agitato per dormire. Cerco il mio amico, che per
fortuna non ha nessun impegno. Dopo un’ora, è già a casa mia.
«Che succede?» mi domanda ansioso.
«È una lunga storia. Ti devo parlare: devo chiederti un
favore.»
«Tutto quello che vuoi.»
Gli racconto tutto di me, di Emma, di Celeste e persino di
Edoardo. Gli spiego ogni cosa, anche quello che non ha mai
chiesto del mio passato. Accetta di venire a cena con me e la mia
famiglia, ma lo avverto subito della presenza di quella ragazza e
del suo bel caratterino, anche se per lui non sembra essere un
grosso problema: dopo aver saputo della sua innegabile bellezza,
non gli interessa altro. Temo che imparerà presto a conoscerla.
Io l’ho avvisato!
Ci salutiamo verso l’una di notte, ubriachi come al solito. Lo
abbraccio forte e lo ringrazio di essermi vicino in un momento
così difficile.
Prima di andare a letto, mando un messaggio a Sonni. Voglio
che anche lui sappia che ho una figlia.
Dormo sereno, non mi sembra vero di essere riuscito a
riposare così bene. La mattina seguente, leggo la risposta del mio
amico.

SONNI: Mio figlio nascerà in inverno. Randi è


incinta. La vita è meravigliosa. Diventerò padre
anche io. Sei un grande uomo, dimostra al mondo
ciò che vali.
39

CHRISTIAN

Esco dalla doccia e mi infilo una maglietta che spero possa


piacere a Emma. A volte mi fermo a pensare quando, da
ragazzini, prendeva di nascosto i miei vestiti dal mio armadio
per indossarli a mia insaputa. Era una delle tante cose che mi
faceva sentire speciale, al centro dei suoi pensieri.
Finisco di vestirmi e mi guardo allo specchio per l’ennesima
volta. Sono agitatissimo, non mi sono mai sentito così in ansia.
Sono impaziente di vederle: mi sono mancate tanto in questi
pochi giorni, anche se ho avuto molte cose alle quali pensare.
Decisioni importanti da prendere di cui dobbiamo discutere
insieme. Il lavoro, la casa, la scuola di Celeste. Voglio sapere
tutto e riprendere in mano la mia vita il più presto possibile.
Per il momento, passo a prendere Carlo: per la serata si è
vestito di tutto punto, è un figurino. Potrebbe persino piacere a
Claudia, anche se, insieme a un peperino come lei, il mio amico
avrebbe una bella gatta da pelare.
Seduti al tavolo del ristorante, siamo tutti un po’ nervosi,
ognuno per qualche motivo. Io ed Emma per Celeste, i nostri
amici perché non si conoscono. Ordiniamo la cena e, come da
copione, Tete vuole andare a giocare. Sua madre si alza e mi
invita a unirmi a loro.
«Cerca di non spaventare troppo questo ragazzo, Malefica,
che di persone come lui ce ne sono troppo poche in giro. E…
Carlo, attento!» stuzzico entrambi prima di allontanarmi.
«Tranquillo. A differenza tua, conosco le buone maniere e mi
sembra anche il tuo amico. L’unico selvaggio qui dentro sei tu.
Cerca di comportarti bene, piuttosto. Emma e Tete sono nelle
tue mani, vedi di non deluderle.» Mi sorride.
«Sono qui per questo.» Ricambio il sorriso e le faccio
l’occhiolino.
L’angolo dedicato ai giochi è al piano superiore del
ristorante: una folla inferocita di bambini salta e schiamazza
ovunque, sopra quei gonfiabili di diverse forme e dimensioni.
Celeste non è da meno, si sta divertendo come una pazza e sua
madre non la perde di vista neanche per un secondo.
Quando arrivo, mi sorride felice. Agisco d’impulso, infilo la
mano nella tasca dei jeans, poi le prendo la sua e le metto al dito
il nostro anello.
«Eccolo. Finalmente è al suo posto» le dico, baciandole le
dita. «Questa volta è per sempre.»
«È stupendo. Grazie di essertene ricordato. Non lo toglierò
mai più.» Riesco a farla sorridere.
Osservo mia figlia correre, giocare, la sento ridere. Vorrei
poter far parte del suo mondo. Vorrei che mi amasse come io
sento di amare lei. Per me è tutto nuovo, sto realizzando a poco
a poco di essere un padre. Ancora non mi sembra vero, non
potrei essere più felice di così.
«Te la senti di stare qui da solo con lei?»
«Credo di averne bisogno.»
«Tete! La mamma scende giù a parlare un po’ con zia
Claudia, ok? Non esagerare sui gonfiabili!»
«Resto io con te, principessa.»
Per ora e per sempre.
«Poi andiamo a mangiare tutti insieme, va bene?»
«Mi aiuti a salire su quello scivolo gigante?» Con quel
faccino potrebbe chiedermi qualsiasi cosa. È dolcissima.
«Tutto quello che vuoi tu, andiamo!» Mi prende per mano e
il mio cuore si scioglie. La conosco appena, ma già vivo per lei.
«Ciao, mamma!» saluta con quella vocina dolce. «Vieni. Io
salgo sulle scale e tu mi aspetti là, in fondo allo scivolo, e mi
prendi perché ho paura di cadere, ma prendimi però!»
«Promesso. Ora vai. Anzi no, aspetta. Questo scivolo è alto,
non hai paura di salire?»
«Non sono mica piccola, io!»
Una cosa è certa: sei una forza della natura, bambina mia.
In pochi minuti, perdo il conto di quanti giri possa aver fatto.
Ogni volta che scende dallo scivolo, apre le braccia verso di me
e si fida un po’ di più. Stabiliamo un contatto fisico, lei si diverte
come una matta, io scoppio di felicità. Vedo Emma che ci
osserva commossa dal tavolo al piano di sotto.
«Vieni, principessa! È ora di andare a mangiare.» La invito a
uscire dai giochi e lei, con mia grande sorpresa, arriva subito.
«Andiamo, allora. Prima mi metto le scarpe.»
«Vuoi che ti aiuti?» In realtà non saprei nemmeno da dove
iniziare.
«Faccio da sola, sono grande.» In un attimo è pronta.
«Sei davvero in gamba.» Sono fiero di lei.
«Perché così aiuto la mia mamma: anche lei deve sempre fare
tutto da sola. Però se vuoi ti dico un segreto, ma non dirlo a
nessuno.»
«Bocca chiusa. Promesso.»
«Allora te lo dico. Il mio papà sta per tornare a casa.»
Mi si ferma il cuore. «E tu come lo sai?» Riesco a malapena
a chiederle.
«Me lo ha detto la mia mamma. A me non dice mai le bugie.»
Mi sembra di specchiarmi dentro di lei, tanto mi somiglia.
«Dov’è stato il tuo papà?»
«In un posto bellissimo. La mamma mi ha detto che quando
torna mi fa vedere le foto di una casa che ha costruito per me in
mezzo al mare. Andiamo a mangiare? Ho tanta fame.»
«Certo, piccola. Dimmi una cosa: sei coraggiosa?»
«Più di tutti i miei compagni di asilo» dice, con quella faccia
da furbetta.
«Vorresti salire sulle mie spalle?»
«Sì, che bello! Non farmi cadere, però, perché la mia mamma
si arrabbia tantissimo se mi faccio male. Poi ti sgrida tanto!»
«Non lo farei mai. Forza, principessa!» Porto Celeste al
tavolo e mi guardano tutti come fossi un marziano. Emma,
invece, sta per mettersi a piangere, ma per fortuna riesce a
controllarsi.
«Vieni, amore, andiamo a lavarci le manine» dice a Tete.
La piccola saltella via allegra, facendo notare alla madre
quanto fosse in alto, sopra le mie spalle. Le osservo e mi sento
come non sono stato mai: completamente appagato dalla vita.
Mi siedo al tavolo e Carlo mi chiede come va, anche se credo
mi si legga in faccia che sto vivendo un sogno a occhi aperti. Il
mio migliore amico non può che essere felice per me e dice che
Celeste mi somiglia moltissimo. A un tratto si alza, mi chiede le
chiavi della macchina perché ha scordato qualcosa che vuole
recuperare.
Io e Claudia rimaniamo soli.
«Perché non mi hai detto che sarebbe venuto anche il tuo
amico?»
«Credevo lo facesse Emma. Che c’è, non rientra nei tuoi
standard?»
Che palle, questa ragazza.
«Perché non mi hai detto che è un figo da paura?» mi chiede
con tono incalzante.
Mi va di traverso la birra e inizio a tossire. «Che cosa?» Non
posso trattenermi dal riderle in faccia. «Ti piace Carlo? Sei
seria?» Questo proprio non me lo aspettavo.
«Certo che sì, brutto demente. È sexy da morire ed è anche
civilizzato, nonostante sia un tuo amico. Dimmi subito se è
libero, prima che torni.»
«Non sai quanto mi divertirò con te, d’ora in poi.» Continuo
a ridere. «Libero come l’aria.»
«Sì! Se lo avessi saputo, mi sarei fatta bella.»
«Prima di tutto, questa sera sei bellissima. Secondo: da come
ti ha guardato prima di uscire, gli interessi. Lo conosco bene,
anche se non lo vedo da tempo, ma so per certo che gli piaci e
anche molto.»
Lei mi ringrazia e mi incoraggia. Sembra che me la stia
cavando alla grande. Si capisce lontano un miglio che si
butterebbe nel fuoco per mia figlia e che le vuole un bene
dell’anima. Mi dice persino che sono una persona in gamba.
Wow! Questa sera è in vena di complimenti e non è da lei.
Arrossisco mentre la ringrazio. La storia dell’anello l’ha colpita
molto, ha capito che io ed Emma siamo fatti per stare insieme.
Le prometto che mi prenderò cura della mia famiglia e che da
oggi in poi non mi allontanerò mai più, per nessun motivo al
mondo.
Carlo torna al nostro tavolo insieme a Tete e alla sua mamma.
La cena è piacevolissima e la piccola si diverte un mondo,
mentre facciamo gli scemi per farla ridere. Non appena finisce
di mangiare, vuole tornare a giocare, ma questa volta chiede a
me di accompagnarla. Viene anche Emma, forse perché ha
capito la situazione che si sta creando fra i nostri amici.
«Credo che si piacciano» mi dice, non appena ci
allontaniamo.
«Te lo confermo. Me lo ha detto Claudia poco fa.»
«Guarda un po’ cosa combiniamo, insieme. Prima facciamo
nascere una bambina, poi una nuova coppia.»
Restiamo a giocare con Celeste per più di un’ora. Ascolto con
attenzione tutto ciò che mi racconta la sua splendida mamma,
voglio sapere tutto di lei.
Questa nuova vita mi piace sempre di più, non c’è che dire.
La serata finisce troppo presto, è stata di sicuro una delle più
belle della mia esistenza. Mi offro di accompagnare a casa la mia
famiglia, ma non salgo. Non posso farlo, purtroppo. Non ancora.
Due minuti dopo averle lasciate, arriva un suo messaggio.

EMMA: Anche per me è difficile. Resisti un altro


po’. Questa sera sei stato fantastico. Ti amo.
Claudia invece si è offerta di accompagnare a casa Carlo. Per
loro la serata è ancora molto lunga. È assurdo quello che è
successo fra quei due, un vero colpo di fulmine.
Io invece desidero stare con Emma con tutto me stesso, ho
bisogno di sentirla ancora mia.
Aspettare è sempre più complicato.
40

CHRISTIAN

Sono trascorsi pochi giorni dalla cena, ma a me sembra


passata un’eternità. Sto cercando un lavoro e spero di trovarlo il
prima possibile: eviterei di passare le giornate a pensare quanto
mi manchi la mia famiglia.
Ho comprato un paio di libri di favole sul mare e sto andando
da Tete per farle una sorpresa. Mi auguro che questa visita faccia
piacere a entrambe. Oggi è domenica, e a quest’ora dovrebbero
essere in casa.
Ogni volta che vedo Emma, mi assale un senso di agitazione
indescrivibile, come se fosse sempre la prima volta che sto con
lei. È pazzesco l’effetto che ha su di me. Mi sembra di tornare
indietro nel tempo. Lei mi faceva perdere tutto: la voce, il
respiro, l’equilibrio. Spesso, li perdevamo insieme.
Suono al citofono.
«Entra pure.»
Sembra nervosa e arrabbiata. Credo di aver sentito anche
un’altra voce, forse maschile.
Che cazzo sta succedendo?
Entro in casa, già prevenuto.
«Tutto bene?» Non siamo soli, il mio intuito non si è
sbagliato. Mi chiedo cosa ci faccia qui il suo ex. Sento una rabbia
quasi incontrollabile montarmi dentro. «Che cazzo ci fai qui?»
Il mio corpo si irrigidisce all’istante.
«Edoardo è passato per chiarire le cose un’ultima volta, dopo
la discussione che abbiamo avuto in merito a noi due» interviene
lei.
«Quale discussione? Mi hai lasciato per questo poco di buono
che di sicuro ti farà ancora del male. Come puoi essere così
stupida e cieca?»
«Dov’è Celeste?» Mi guardo intorno.
«In camera sua, sta colorando» risponde. «Per favore,
Christian, lasciaci soli. È meglio se torni più tardi.»
«Non credo sia una buona idea» le rispondo deciso, mentre
quell’idiota mi guarda con odio.
«So badare a me stessa e voglio risolvere questa cosa una
volta per tutte. Ti prego, fai come ti dico e fidati di me.»
«Sono qui fuori.» Poi mi rivolgo a Edoardo. «Non ti
azzardare a mancarle di rispetto in alcun modo, sono stato
chiaro?»
«Vaffanculo.»
Faccio appello a tutto il mio autocontrollo, esco dalla stanza
e mi posiziono appena dietro la porta, cercando di ascoltare
quella maledetta discussione.
«Mi dispiace per la fine della nostra storia, devi credermi»
prosegue Emma. «Non ti ringrazierò mai abbastanza per esserti
preso cura di me, per aver fatto di tutto per rendermi felice. Ho
provato con tutta me stessa a voltare pagina, ma sono innamorata
di lui da quando avevo diciassette anni e, per tutto questo tempo,
non ho mai smesso di amarlo. Ora che è qui, non posso più
nascondere i miei sentimenti. Lo capisci?»
«No, dannazione! Non lo capisco. Mi stai dicendo che mi hai
preso in giro fin dall’inizio? Sei pazza se pensi che questa cosa
funzionerà. Ma che cazzo ti passa per la testa? Non pensi
nemmeno a tua figlia?» Edoardo sembra fuori di sé. Spero non
debba essere necessario intervenire.
«Celeste è sua figlia»
«Che diavolo stai blaterando? È assurdo. Hai mentito anche
su questo? Perché non me lo hai mai detto?» È sconcertato. Lui
non lo sapeva: Emma deve averglielo sempre tenuto nascosto.
«Edo, non è semplice. Non lo è mai stato. Ho cercato di
proteggerla nel migliore dei modi. Ho commesso molti errori in
passato, ma ora sento che questa è la cosa giusta da fare. Celeste
merita di avere accanto il suo papà e di essere amata dai suoi
genitori.»
«Proteggerla? Ti rendi conto di quello che dici? Hai una vaga
idea di come mi senta in questo momento? Di come mi hai
trattato? Non ti sei fidata di me… Mi hai umiliato, prendendomi
in giro fin dall’inizio. Avrei capito, sai? Non ti avrei mai
giudicata; al contrario, ti avrei offerto tutto il mio aiuto e la mia
comprensione. Ero disposto a combattere per il tuo amore, a non
mollare, ma questo è veramente troppo. Vaffanculo, Emma! Ti
sei rivelata una grandissima bugiarda, un’opportunista, una
persona capace di usarmi e manipolarmi a tuo piacimento,
giocando addirittura con i miei sentimenti.»
«Non è andata in questo modo e tu lo sai. Sei soltanto
arrabbiato.»
La ascolto in preda all’ansia e temo che la situazione possa
peggiorare da un momento all’altro.
«Arrabbiato? Sono furibondo, come mai prima d’ora. Non
posso credere di aver perso tempo con una persona come te. Sei
pazza se credi che questa farsa funzionerà. Sai cosa ti dico?
Presto rimarrai sola e di certo non mi troverai ad aspettarti,
quando quello stronzo ti spezzerà di nuovo il cuore. Come puoi
pensare che sia cambiato? Dio, quanto sei stupida. Che
grandissima delusione. A questo punto non ho più nulla da dirti.
Addio, Emma.»
«Addio, Edoardo. Ti auguro il meglio dalla vita» gli dice
sofferente.
«Fottiti, stronza.» Esce dalla porta di casa e quasi sbatte
contro di me. Io sono un pezzo di ghiaccio. Prima di sparire nel
nulla, mi rivolge ancora uno sguardo pieno di disprezzo.
«Muoio dalla voglia di spaccarti la faccia, ma non vale la
pena di sporcarsi le mani con uno come te. Se la farai soffrire,
giuro che verrò a cercarti. E per te non sarà affatto piacevole.»
«Non succederà» gli rispondo guardandolo dritto negli occhi.
«È una pazza se crede davvero che tu possa renderla felice.»
Fa una smorfia di disapprovazione. «’Fanculo.»
Mi trattengo. Non rispondo e lo lascio andare. Mi assicuro
che esca dall’edificio e rientro in casa.
«Stai bene?» le domando preoccupato.
«Sì, sto bene. Ho fatto quello che dovevo, era necessario
chiarirsi una volta per tutte. Forse la volta precedente non è stata
abbastanza. Mi dispiace.»
«Non fa niente. Ho visto di peggio. Edoardo ha reagito come
un uomo ferito. Ha dovuto rinunciare a te per sempre e non è
cosa da poco. In fondo, lo capisco. È stato difficile non
intervenire: avrei voluto buttarlo fuori a calci in culo.»
«Ma non lo hai fatto. Grazie per essere riuscito a trattenerti.
Sei davvero cambiato.»
Emma si avvicina, ma dalla camera di Tete sentiamo un colpo
fortissimo.
Corriamo entrambi: Celeste è accasciata per terra, immobile,
sembra aver perso i sensi. Lei è disperata e non sa cosa fare.
«Tete!» grida. «Oddio, aiuto! Rispondimi, Celeste!» In un
attimo è accanto a lei.
«No, fermati. Non devi muoverla. Non gridare, così la
spaventi.» Poi mi rivolgo alla piccolina. «Tesoro, mi senti?
Riesci a sentirmi? Prendi il telefono, presto, chiama
un’ambulanza.»
Passano attimi infiniti. Interminabili, mentre Emma parla con
i paramedici.
«La testa, mi fa male tanto male la testa» dice Celeste con un
filo di voce. Mi viene da piangere. Sono sollevato nel vederla
parlare, ma ho il terrore che si sia fatta male sul serio. «Non ti
muovere, amore mio. Il tuo papà è qui con te, ci pensiamo io e
la mamma a farti guarire.» Emma sgrana gli occhi, è molto
confusa. Non sono riuscito a trattenermi.
«Tu sei il mio papà? Mamma, è vero?»
«Sì, amore. È tutto vero. Ora, però, devi stare tranquilla.
Abbiamo chiamato i dottori. Stanno arrivando, sai? Fra poco
starai meglio.»
Celeste è spaventata e mi assale il panico.
«Non devi avere paura, principessa. Siamo qui con te, non ti
succederà niente di brutto, te lo prometto. Ti piace il mare, non
è vero?» Provo a distrarla. «Ti ho comprato due libri di favole,
sono venuto a portarteli. Non appena starai bene, li leggeremo
insieme, se vorrai.» Cerco di tenerla sveglia e di farla parlare.
«Sì, papà.» La sua vocina è molto debole. È pallida in viso.
Emma sta piangendo disperata. Per fortuna sentiamo suonare
il campanello. L’attesa più lunga di tutta la mia vita.
«Non ti muovere, tesoro, ci sono i dottori e la mamma li sta
facendo salire.»
«Però tu resta qui con me» mi dice, stringendomi forte la
mano.
Succede tutto molto in fretta: i medici visitano Celeste e la
portano in ospedale per farle degli accertamenti. Emma sale
sull’ambulanza, io le seguo in macchina e mi sento morire. Una
volta arrivati, è necessario assicurarsi che non si tratti di un
possibile trauma cranico. La mia bambina è caduta all’indietro,
arrampicandosi sulla libreria per prendere altri colori. Il colpo
alla testa è stato piuttosto forte. Emma resta con la piccola e la
segue, mentre i dottori la portano a fare qualche esame per
accertare le sue condizioni. Aspetto in sala d’attesa sperando
vada tutto bene. Posso fare solo questo.
Mi sembra di impazzire. Il tempo sembra non passare mai.
Per fortuna, un’ora dopo, un’infermiera mi accompagna da mia
figlia.
«Non c’è nulla di grave» mi informa la mia compagna. «La
tengono qui per qualche ora, soltanto per sicurezza, ma mi hanno
assicurato che si tratta di una gran botta, nessun trauma cranico
o lesioni di altro tipo.» Ci abbracciamo forte, tirando un enorme
sospiro di sollievo.
Mi siedo accanto alla mia bambina. Si sente già meglio, glielo
si legge in faccia.
«Come stai, tesoro?» Le accarezzo quei riccioli biondi da
angioletto, mentre la scruto in viso, preoccupato. Ha i miei
occhi, Celeste.
«Sto bene. Adesso la testa non mi fa più male come prima.
Papà?» È meraviglioso sentirsi chiamare così.
«Sì, amore mio?»
«Sei arrabbiato con me?» mi domanda con quel suo sguardo
innocente.
«Assolutamente no, mi sono soltanto spaventato tantissimo.
Avevo paura ti fossi fatta male.»
«Devi ancora andare via, papà?»
«No, te lo giuro. Non andrò mai più via. Resterò sempre qui
con voi.»
«E la tua casa in mezzo al mare? Non ci vai più?»
«Quella è casa tua. L’ho costruita per te. Un giorno ci
andremo insieme. Tu, io e la mamma. Te lo prometto.»
«Hai sentito, mammina? Ci possiamo andare un giorno?»
«Te lo prometto.» Le sorride felice.
Celeste prende le nostre mani, le mie e quelle di Emma e le
intreccia insieme alle sue. Non mi sono mai sentito così
orgoglioso in vita mia.
«Sai cosa c’è proprio qui di fronte all’ospedale?» chiedo alla
piccola.
«No, non lo so. Che cosa?» risponde con quel suo faccino
curioso.
«Un negozio gigante di caramelle. Se la mamma vuole, te ne
vado a prendere un po’. Le potrai mangiare a casa. Basta che tu
mi dica quali sono le tue preferite.» Lei fa cenno di sì con la
testa.
«Le caramelle! Evviva! Voglio gli orsetti colorati, le uova, i
ciucci, i coccodrilli e le ciliegie. E anche qualche caramella al
miele per Biscotto. E un po’ di cioccolata.»
Ha le idee molto chiare, non c’è dubbio!
«Tete, non stai esagerando?» la rimprovera Emma.
«Tranquilla, amore, è una situazione che richiede molte
caramelle. Piuttosto, mi puoi spiegare chi è questo Biscotto?»
Fingo di non saperlo.
«È il mio orsacchiotto ed è molto goloso di caramelle al miele
e di cioccolata. Ti prego, se si accorge che ho le caramelle e lui
no, ci rimarrà molto male.»
«Ho capito. Tranquilla, tesoro: Biscotto avrà le sue caramelle.
Vado subito a prenderle.» La bacio sulla fronte. Il suo odore è
buonissimo.
Chiedo a Emma se vuole che le porti qualcosa: ha bisogno di
un caffè, e che torni presto da lei.
41

CHRISTIAN

Finalmente a casa. Celeste ha cenato in ospedale prima di


essere dimessa. È molto stanca, ma non vuole andare a letto.
Emma, però, insiste.
«Papà, mi racconti una favola?»
«Molto volentieri.» Sono emozionatissimo.
«Prima andiamo a lavare i denti e a mettere il pigiamino»
interviene sua madre.
Mi siedo sul suo letto e lei arriva pochi istanti dopo. Si infila
sotto le coperte e vuole che sfogliamo insieme un libro. La sua
manina accarezza la mia, senza smettere mai. Inizio a leggere la
storia che ha scelto: dentro di me, le paure di non essere
all’altezza della situazione sono svanite. Diventerò un buon
padre, ce la metterò tutta.
Nonostante la voglia di stare insieme, dopo appena un paio di
pagine, Celeste crolla in un sonno profondo. È stata una lunga
giornata, più di tutti per lei.
Vado da Emma in camera da letto. Non ho mai visto nulla di
più bello. Ora che sono qui, non ho bisogno di nient’altro. C’è
tutto il mio mondo. Lei è la mia casa.
«Oggi ho perso la testa. Non ho mai avuto così tanta paura,
non so come avrei fatto senza di te. Quindi grazie. Sei stato
meraviglioso, sai?» Mi osserva, il volto pieno di riconoscenza.
«Io? No, io non sono niente. Tu sei meravigliosa.» È arrivato
il nostro momento. Lei ha già capito tutto.
«Finalmente.» Ho paura di muovermi.
Lei si porta una mano sulla bocca e scoppia a piangere.
«Basta così.» Viene verso di me. Non posso più aspettare. Mi
stringe forte. Mi accarezza la schiena, le spalle, i capelli. Quando
ci guardiamo negli occhi, mi accorgo subito di averla ritrovata e
capisco di non averla mai persa. Ci baciamo con passione e con
amore. Tanto, tantissimo amore.
Dopo poco tempo, ci ritroviamo nudi, uno di fronte all’altra.
«Sei ancora più bella di allora. Sei…»
Non mi lascia finire la frase. Vuole stare con me, adesso. Ci
baciamo sempre più desiderosi, accarezzandoci ovunque.
Facciamo l’amore quasi subito, emozionati, impacciati e
timorosi, quasi increduli. La nostra prima volta per la seconda
volta.
Passiamo la notte a ritrovarci, pelle contro pelle, come un
tempo. Mi tira sopra di sé e in un attimo sono di nuovo dentro di
lei. Mi muovo lentamente, ma sento che qualcosa non va.
Avverto la sua tensione.
«Lasciati andare» sussurro.
«Come?»
«Qui dentro.» Le accarezzo la nuca. «Devi scacciare via i
demoni per sempre. Non sei più da sola. Ci sono io adesso a
proteggervi. Non me ne andrò di nuovo, non avere paura.» Le
bacio il collo, il seno, le spalle.
Rimaniamo abbracciati, seduti, sudati. Lei mi stringe
fortissimo e si aggrappa al mio corpo, quasi non potesse farne a
meno. Non ci bastiamo mai. Non potrà mai succedere. È tutto
perfetto. È la nostra notte.
Siamo vicini, vicinissimi. Posso ascoltare il suo respiro. Ci
guardiamo, ci baciamo, ci scambiamo le anime.
«Mi sposerai un giorno?» le sussurro fra le labbra.
«Sì» mi risponde lei con gli occhi lucidi.
Quando mi sveglio la mattina dopo, mi rendo conto che non
è un sogno. Non ricordo l’ultima volta che sono riuscito a
riposare così bene. Mi accorgo subito che Celeste sta dormendo
abbracciata a me. Mi sento l’uomo più appagato al mondo. È
assurdo essere così felice, mi sembra di sognare.
Profuma di buono e di puro. Appoggia i suoi riccioli biondi
al mio petto e la manina stringe la mia maglietta bianca. Invidio
la sua naturale fiducia di bimba nei confronti di un papà che è
sempre stato inesistente: Celeste usa l’istinto e mi vuole bene
senza porsi troppe domande. La stringo fra le mie braccia con
tutto l’amore di cui sono capace. Lei ha il dono di trasformare
tutto in magia.
«Buongiorno, papà» bisbiglia con la sua vocina dolcissima.
«Ciao, principessa, buongiorno. Come stai oggi? Sei riuscita
a dormire?» All’improvviso mi assale la paura che possa sentirsi
ancora male.
«Ho dormito tanto. Stai tranquillo, papà: sono guarita.» Lei
che consola me. Fenomenale.
«Sono proprio contento. Sei una bambina forte e ieri lo hanno
visto tutti.»
«Questo è Biscotto.»
Eccolo lì, il suo inseparabile orsetto che sbuca dalle coperte.
«Molto piacere. Io sono il papà di Celeste. Spero diventeremo
grandi amici. Ieri ti ho comprato delle caramelle al miele. Sono
certo ti piaceranno.»
Che sto facendo?
Parlo con un pupazzo sperando di piacergli sul serio. Senza
dubbio, sto cominciando a diventare un padre.
«Sai, Biscotto, il mio papà è tornato da un lungo viaggio e mi
ha promesso che non andrà più via. Poi un giorno mi porterà
nella sua isola, nella casa con le pareti celesti che ha costruito
per me e la mia mamma. E tu verrai con noi.»
Emma è raggiante questa mattina. Ci augura il buongiorno e
finalmente sembra andare tutto per il verso giusto. Mi alzo e
l’aiuto a preparare la colazione, lasciando Tete a giocare sul letto
con il suo adorato orsacchiotto.
Ci scambiamo un lungo bacio. Ci abbracciamo forte. Questo
è davvero un buongiorno, il più bello dopo tutti quelli trascorsi
con lei molti anni fa. Mi chiede come mi sento in questo istante.
«Ricordi la prima volta che abbiamo ballato insieme?» le
domando.
«Io mi ricordo tutto.»
«Avevi quel vestito nero, scollato sulla schiena. E quegli
orecchini vistosi e luccicanti. Ti abbracciavo e accarezzavo la
tua pelle nuda, cercando di non farti capire quanto fossi
impacciato.»
«Me lo ricordo. E anche molto bene. Scusami se te lo dico,
ma sei sempre stato negato come ballerino.» Emma mi accarezza
dolcemente la guancia, quasi per farsi perdonare quella frase.
«Mi sembrava di toccare il cielo con un dito. Di fronte a me,
la ragazza più incredibile di tutta la festa, la più dolce e
simpatica. Ancora non pensavo fosse possibile, sì insomma, noi
due insieme. Mi sentivo molto fortunato, anche se in cuor mio,
sapevo di meritarla, quella felicità. Ecco. Oggi mi sento così.
Ogni volta che siamo insieme, io mi sento così. Tu invece?» Ci
guardiamo con gli occhi pieni di noi.
Fa un respiro profondo.
«Da piccola credevo di poter fare tutto. Mi sembrava di essere
invincibile, quasi fossi un super eroe. Come se avessi il mondo
in mano e dovessi sceglierne il destino. Che sciocchezza. Forse
è così un po’ per tutti quando siamo bambini. Ancora non
sappiamo quanto sia difficile affrontare questo mondo. È dura,
e se siamo soli, diventa tutto più complicato. Ecco, io mi sento
così. Quando sei al mio fianco, mi sento invincibile. Ed
estremamente felice.» Il mio cuore accelera all’impazzata.
Mi avvicino e le afferro le mani, cerco di abbracciarla nel
goffo tentativo di ballare con lei. Sono ancora negato, oggi come
allora.
«Ci vorrebbe quel vestito elegante al posto di questa
maglietta sgualcita» sussurra.
«Non fa differenza. Sei sempre tu la più bella della festa.»
Ci stringiamo forte, siamo insieme, nel nostro posto sicuro.
Mentre ci baciamo con passione, lei mi confessa che ancora
non le sembra vero esserci ritrovati dopo tanto tempo e tanta
sofferenza, stenta a crederci. Per fortuna è successo, anche se
stento a crederlo anche io.
La trascino in bagno e chiudo la porta a chiave. Non l’ho mai
desiderata tanto come in questo momento. Voglio che sia mia e
subito. Non posso aspettare. Nemmeno lei. Facciamo in fretta
per paura che Celeste ci scopra. Il sesso con lei è intenso, vivo,
appagante. Nessuna donna mi ha mai fatto sentire così.
Facciamo parte dello stesso universo da tutta la vita. Mi manca
il respiro quando la sento mia, quando si abbandona
completamente dentro di me.
«Ogni volta di più» le confesso. «Ogni volta ti amo di più.»
«Per sempre?»
«Per sempre.»
Torniamo in cucina facendo finta di nulla. Emma guarda
verso la camera da letto, dove Tete è intenta ad abbracciare il
suo adorato Biscotto, rotolandosi con lui fra le lenzuola.
«È incredibile come abbia reagito Celeste: non mi ero mai
resa conto di quanto avesse bisogno di te. Non fino a questo
punto. Tanto da accettarti subito senza condizioni, senza
domande, senza alcun dubbio. Ho fatto del mio meglio per
riuscire a compensare la tua mancanza, ma non è stato così. Non
ho fatto abbastanza e ho fallito.» Scuote la testa.
«Se solo ti rendessi conto di quanto sei straordinaria… Non
ti permetterò più di addossarti le colpe di tutto. Ci sono io,
adesso, qui con te. Affronteremo insieme ogni cosa. Te lo
prometto.» Lei mi guarda con quell’espressione a cui non so
resistere. Si avvicina e mi bacia, sorridente.
«Grazie» sussurra. Osserva la camera da letto, ha gli occhi
pieni di entusiasmo. «Celeste, la colazione è pronta!»
Oggi inizia la storia della nostra famiglia. Sarà un viaggio
incredibile, come la vita, del resto, dove impareremo a
conoscerci, a sostenerci, a fidarci l’uno dell’altra. Ci aiuteremo
nei momenti di difficoltà e gioiremo delle cose belle. Non sarà
semplice, immagino, ma farò in modo che tutto vada per il
meglio e che Emma e Celeste siano orgogliose di me. Non ho
certezze, eccetto una: nessuno ci potrà mai più separare. Sento
di essere al mio posto.
Il mio posto nel mondo.
42

CHRISTIAN

Primo giorno di scuola

Ci siamo alzati molto presto questa mattina. Celeste è


emozionatissima e noi molto più di lei. Oggi è il suo primo
giorno di scuola e la mia piccola non vede l’ora di entrare in
classe. È deliziosa con il grembiulino bianco e il fiocco rosa:
credo di averle già scattato una ventina di fotografie. Sono
follemente innamorato di mia figlia.
Ci siamo lasciati alle spalle un’estate pazzesca: io e la mia
Emma abbiamo ripreso dal punto in cui ci siamo interrotti. Il
nostro amore non è mai mutato, anzi, diventa più forte ogni
giorno di più.
Abbiamo trascorso una decina di giorni al mare alcune
settimane fa. Quanto ci siamo divertiti! Celeste ha bisogno di
me, non mi lascia nemmeno per un secondo quando siamo
insieme. Le sono mancato moltissimo. Mi ha raccontato di
quanto ci rimaneva male nel vedere tutti quei papà davanti alla
scuola ad aspettare i loro bambini. Avrebbe voluto che ci fossi
anche io. Non lo ha mai raccontato alla mamma per paura di
farla piangere o preoccuparla: troppe volte l’aveva vista triste e
giù di morale. Mi sento uno schifo quando mi confida queste
cose. Non c’è giorno che non mi penta di essere partito, tanti
anni fa.
Ho recuperato il rapporto con i miei suoceri: sono persone
eccezionali e hanno compreso la situazione. Non è stato facile
accettarmi, ma si tratta di Tete e di fare la cosa giusta per lei.
Sono certo che con il passare del tempo la situazione migliorerà.
Comunque vada, non li ringrazierò mai abbastanza per tutto ciò
che hanno fatto per la mia famiglia.
Mi sono trasferito nell’appartamento di Emma e sto cercando
di vendere la mia vecchia abitazione. Troppi ricordi tristi di una
vita che non mi appartiene più. E poi, penso che non sarebbe
giusto sradicare le mie principesse dal loro ambiente: la mia casa
sarà sempre quella in cui abiteranno loro, ovunque essa sia. Il
resto non conta.
Ho lasciato il mio lavoro alle Faroe, non senza rimpianti. Mi
sono ripromesso, un giorno, di portare la mia famiglia a
conoscere quella terra meravigliosa e la sua gente che per due
lunghi anni mi ha fatto sentire come un figlio. Vorrei tanto poter
rivedere Sonni e Randi e conoscere il loro bambino: potrebbe
giocare con la mia Tete.
Grazie alla mia esperienza nel settore, ho trovato da poco un
impiego in una multinazionale che si occupa di turismo. Alle
risorse umane, seleziono ragazzi giovani e motivati che vogliono
lavorare in questo campo in tutta Europa. Non potrei essere più
soddisfatto della mia vita, in questo momento. Se penso a quanto
sia stata stravolta in questi pochi mesi, non mi sembra ancora
vero.
Le tre lacrime tatuate sul braccio non ci sono più: sono state
sostituite da qualcosa di bello, qualcosa che mi appartiene e che
rappresenta tutto il mio mondo. Il nome Tete ha preso il loro
posto, la stessa scritta della mia donna.
Celeste, davanti alla scuola, ci tiene entrambi per mano. Dopo
una lunga estate sta per rivedere i suoi compagni, anche se non
tutti saranno in classe con lei. Mi presenta con grande orgoglio:
mi sta dipingendo quasi come un eroe di ritorno da chissà quale
avventura mitologica. Emma è stata straordinaria nel tutelare la
mia immagine di padre, e di questo le sarò per sempre grato. È
tutto merito suo se il rapporto fra me e mia figlia è così sereno.
È arrivato il momento di entrare in classe e da genitore mi
sento orgoglioso ed emozionato. Le maestre ci fanno rimanere
per pochi minuti, ci concedono di scattare qualche fotografia ai
bambini nelle loro nuove classi e di salutarli un’ultima volta.
Tete abbraccia forte Emma, che fatica a non piangere. Poi
abbraccia forte anche me.
«Sono fiero di te» le dico. «Fai vedere chi sei.»
«A dopo, papà.»
«Ti voglio bene, piccola.»
«Anche io. E anche a te, mammina!»
«Ti adoro. Buona scuola.» Sussurra commossa. La prendo
per mano e la trascino fuori dall’edificio.
«Dai, tesoro, andrà tutto bene. È una bambina in gamba, hai
visto com’era sicura di sé.»
«Lo so. Se la caverà alla grande. È solo che oggi è un giorno
importantissimo per lei e il fatto che tu sia qui lo ha reso
memorabile. Sono certa che non lo dimenticherà mai. L’hai vista
prima, con i suoi compagni? Hai notato come parlava di te? Sei
il suo campione. Ho pensato spesso a questo giorno. Non avrei
mai immaginato ci saresti stato anche tu. Non potrebbe essere
stato migliore.» Mi bacia con estrema gratitudine.
«Ti amo, ogni giorno di più.»
«Ti amo, Christian. Sei il più bel regalo che il destino mi
potesse fare.»

Da quando viviamo insieme, io ed Emma ci ritagliamo dei


momenti soltanto per noi per fare tutto quello che ci siamo persi
in questi anni vissuti lontano. Cerchiamo di ritrovarci, di fare e
di essere quello che non siamo mai stati. Finalmente ho il piacere
di portarla a cena, di fare una passeggiata con lei mano nella
mano, andare al cinema a vedere un film o semplicemente
trascorrere del tempo da soli, parlare, ritrovarci, conoscerci di
nuovo. Ne abbiamo bisogno.
Rientriamo a casa dopo essere usciti per locali, abbiamo
bevuto qualche bicchiere di troppo lo ammetto, ma ce la stiamo
cavando bene. Celeste resta a dormire dalla sua amica Angelica.
La serata è tutta nostra.
Sono euforico, sbronzo, felice. E accaldato. Mi spoglio e
vado a letto, in attesa della mia compagna. Nel momento in cui
entra in camera, più bella che mai, mi accorgo subito che vuole
giocare. Indossa la sua vestaglia nera con i fiorellini rossi
disegnati qua e là. Vuole provocarmi. Si corica di fianco a me
senza dire una parola. Non serve. La accarezzo con le mani piene
di desiderio. Sento i capezzoli risvegliarsi non appena li sfioro.
Lei mi guarda con quegli occhi neri, vogliosi. Sa benissimo che
mi tiene in pugno.
«Sapere che non hai nulla sotto questa vestaglia… prima o
poi mi farai perdere il lume della ragione.»
Lei allenta la cintura e la apre un po’. Riesco a vedere il suo
corpo perfetto. Per me è come una droga, la peggiore in
circolazione. Non sono in grado di resistere.
«Io invece la perdo ogni volta che mi guardi in questo modo.»
Muore di desiderio.
Mi siedo sul letto e la trascino sopra di me. Giusto il tempo
di togliermi le poche cose che ho addosso e in un attimo sono
dentro di lei. Sento vibrare il suo corpo. Mi alzo in piedi con la
mia dea in braccio e l’appoggio contro il muro. Non c’è dolcezza
nei miei gesti, solo il desiderio di farla mia, l’impazienza
incontrollata di perdermi insieme a lei, lasciandomi del tutto
andare. La faccio voltare di schiena e scivolo di nuovo dentro il
suo corpo perfetto. Mi muovo sicuro, veloce, le sfioro i
capezzoli per stuzzicarla ancora di più. La sento ansimare
mentre mi avvicino alla sua bocca carnosa.
«Dimmi che sei soltanto mia. Ho bisogno di sentirtelo dire.»
Non mi fermo.
«Lo sai che sono solo tua. Lo sono da sempre.»
La intrappolo sul letto, come un animale che non mangia da
giorni, le allargo le gambe dimenticandomi delle buone maniere
e mi muovo dentro di lei con una frenesia che di solito non mi
appartiene. Questa sera ho abbandonato qualsiasi tipo di
romanticismo: Emma ha il potere di offuscarmi la mente e
annebbiare tutti i miei pensieri. Non mi sono mai sentito tanto
me stesso come con lei.
Mi fa impazzire, non mi basta mai. Mi fa perdere la testa ogni
volta che la vedo in questo stato di grazia. La prendo per i fianchi
e la trascino sopra di me perdendo completamente il controllo.
Questa notte è la mia preda.
«Christian, io...» Non c’è niente di più appagante del suo viso
lussurioso. Non c’è pudore nei suoi gesti, cerca quel piacere che
sente arrivare prepotente.
«Lo so amore, lo so... lasciati andare.»
Spingo sempre più forte e lei non si trattiene più. Le gira la
testa da quanto è stato intenso, è esausta ma, continua a muoversi
sopra di me. Per me. La afferro di nuovo per i fianchi
imponendole il mio ritmo. Mi illudo di essere io a dominarla,
anche se ho l’assoluta certezza di essere il suo vassallo. Mi lascio
andare completamente e quando non riesco più a trattenermi,
quasi mi viene da urlare il suo nome.
Siamo sfiniti, ma totalmente appagati. Il bacio che ci
scambiamo è una promessa eterna.
Resto immobile mentre l’ammiro, prigioniero dei suoi occhi,
succube del suo corpo e delle sue mani. La adoro. È la mia musa.
Può avere tutto da me, chiedermi qualsiasi cosa. Sono suo senza
condizioni. Lo sono sempre stato.
«Ho toccato il fondo quando ti ho lasciata. Mi sono sentito
perso e nulla ha più avuto senso. Sei tutto il mio mondo. Non
accadrà mai più. Te lo giuro. Non sono capace di amare nessuna
che non sia tu. Posso amare soltanto te. Voglio solo te. Per tutta
la vita.»
Ci abbracciamo forte: lei mi scosta i capelli dal volto come le
piace fare da sempre. Le accarezzo il viso, ci baciamo ancora
una volta, ancora e ancora. Ho bisogno di questa donna ogni
giorno di più. Ci guardiamo negli occhi più innamorati che mai,
i nostri volti si sfiorano da quanto sono vicini. Abbiamo tutto
quello che bramavamo da ragazzini, forse siamo riusciti ad
andare anche oltre i nostri desideri. Di sicuro è il massimo che
possiamo chiedere in questo momento alla vita.
«Sei il mio sogno a occhi aperti.»
Emma mi guarda piena d’amore, incantata. Le nostre labbra
si avvicinano, i nostri occhi si chiudono, i nostri corpi si
confondono l’uno nell’altro.
Noi siamo così e lo saremo per sempre: due anime cresciute
insieme, che con il passare del tempo hanno intrecciato radici
così profonde e intrinseche da essere ormai diventati indivisibili.
Noi siamo una cosa sola.
Epilogo

EMMA

Circa un anno dopo

È stata una serata perfetta. Non avrei potuto festeggiare il mio


venticinquesimo compleanno in modo migliore. I miei genitori
hanno organizzato una splendida cena, qui in campagna. Il patio
all’esterno è illuminato a giorno da tante piccole lucine colorate,
che rendono l’atmosfera molto intima. C’è aria di festa e voglia
di risate. Amo le sere d’estate, sono allegre e profumano di
felicità.
Insieme alla mia famiglia e ad alcuni amici, ci sono due
persone che non possono mancare nelle nostre vite: Claudia e
Carlo, sempre più innamorati e complici. In quest’ultimo anno,
Christian e io abbiamo visto crescere la loro relazione, giorno
dopo giorno, e non possiamo che essere al settimo cielo. Celeste
li considera degli zii a tutti gli effetti, e io non ho parole per
esprimere la gioia nel saperli entrambi presenti nella vita di mia
figlia. Non potrebbe avere accanto persone più speciali. Sono i
nostri migliori amici, i custodi dei nostri segreti, le spalle su cui
piangere, le persone con cui condividere le esperienze, persino
gli errori più madornali. Il fatto che si siano innamorati l’uno
dell’altra rende il tutto ancora più magico, e per niente casuale.
Dopo aver goduto dell’ottimo cibo cucinato da mia madre e
spento le candeline sopra quella torta al cioccolato paradisiaca,
la serata giunge al termine.
«Mamma, posso rimanere a dormire dai nonni? Ho tanto
sonno e voglio restare qui con loro.» È sempre difficile portare
via Celeste da questa casa.
«Solo se per loro va bene» rispondo.
«Ma certo, tesoro. Emma, che domande fai?» Mia madre
prende in braccio Tete e la sbaciucchia affettuosamente. «È stata
una bellissima serata, ma è arrivata l’ora di dormire. Celeste,
saluta tutti, ti porto a nanna.»
Christian le si avvicina, lei gli butta le braccia al collo e gli fa
l’occhiolino. Poi, gli sussurra qualcosa nell’orecchio.
«Sei fantastica» le risponde suo padre. «Ti vengo a prendere
domani, ranocchietta.»
Ci salutiamo tutti quanti, saliamo in macchina e ci avviamo
ognuno verso la propria abitazione.
«Che storia è questa?» chiedo curiosa.
«Quale storia?»
«Non pensare che non me ne sia accorta. Che avete
escogitato, tu e tua figlia?»
«È una sorpresa. In fondo, devo ancora darti il mio regalo di
compleanno.» Ci guardiamo per un lungo istante e ogni volta
riesco a perdermi dentro ai suoi occhi.
«Sei incredibile.» Mi rendo conto che questa non è la strada
di casa. «Ma dove stiamo andando?»
Chissà che avrà in mente…
«Nel posto in cui siamo stati tutti i giorni, da due mesi a
questa parte.» Intreccia le dita della sua mano con le mie.
Abbiamo deciso di acquistare una casa più grande, con un bel
giardino. Il mio tanto amato appartamento ci stava un po’ stretto
negli ultimi tempi, e con Celeste che sta crescendo è necessario
ampliare gli spazi. Inoltre, vorrebbe un cagnolino e abbiamo
tutta l’intenzione di accontentarla, soprattutto Christian, non c’è
cosa che le negherebbe al mondo.
Dopo aver cercato per un po’ di tempo la nostra abitazione
ideale, si è presentata l’occasione di acquistare un meraviglioso
rustico, che stiamo sistemando a dovere, così da renderlo
all’altezza dei nostri sogni, proprio come volevamo fare da
ragazzini.
Parcheggiamo l’auto nel cortile e scendiamo, nel silenzio più
totale di tutto ciò che ci circonda. È la magia della campagna,
della mia terra: puoi ascoltare i suoni della natura intorno a te,
senza che nessun altro rumore possa interrompere questa
sensazione di pace assoluta.
«Vuoi dirmi perché mi hai portata qui? Ci siamo venuti ieri
mattina. E che ci fai con quello zaino sulle spalle?» gli domando
impaziente.
«Vietato chiedere, curiosona. Copriti gli occhi e lascia che sia
io a guidarti. Fidati di me.» Avverto la sua presenza dietro le
spalle, con un braccio mi circonda la vita e mi attira verso di sé.
Incominciamo a muoverci insieme, e il mio cuore batte
all’impazzata.
«Ti sto portando in giardino. Non avere paura.» Una volta
arrivati, Christian mi dice che posso guardare, e io rimango
senza parole.
«È il regalo più bello che mi potessi fare» rispondo
commossa. Davanti a me, c’è un’altalena in legno immersa nel
verde di un prato da fiaba che le fa da sfondo e che, in un solo
istante, mi riporta indietro nel tempo, a quand’ero bambina. È
una sensazione indescrivibile.
«L’ho costruita con le mie mani. Ero sicuro ti sarebbe
piaciuta. Ce n’è un’altra che ti aspetta, tu sai dove. Un giorno,
se lo vorrai...» sussurra.
«Sarebbe bellissimo. Deve essere un posto incantato. Il mio
principe azzurro arriva proprio da lì.» Gli accarezzo il viso.
«Aspetta che la veda Celeste…»
«Intanto provala tu!» Ha perfettamente ragione. Non ho
ancora osato farlo. Non credo abbia idea di come mi senta in
questo momento.
Mi siedo e lui afferra le corde dell’altalena, si china su di me
e baciandomi con tutta la dolcezza di cui è capace riesce a farmi
sentire tutto il suo amore. Mi accarezza i capelli, abbassa lo
sguardo, poi cattura i miei occhi nei suoi e mi sorride.
All’improvviso, si inginocchia di fronte a me. Lascia andare
tutto il peso del suo corpo e rimane lì, a fissarmi. Io resto
immobile, senza parole.
«Sposami. Dimmi che lo vuoi come lo voglio io. Dimmi di
sì, oggi e per sempre. Ora è il momento giusto, quello che
aspetto da tutta la vita, lo sento. Non ho desiderato nient’altro,
da quando sei arrivata tu. Solo poter stare con te.»
Sarà questa serata magica e questo giardino che sembra
incantato, saranno i grilli che si fanno sentire tutti in coro, sarà
quel suo sguardo magnetico e misterioso che mi ha fatta
innamorare tanti anni fa, sarà il modo in cui riesce a farmi sentire
ogni volta, ma mi sembra di vivere in un sogno. Penso che questa
felicità possa esplodermi fuori dal petto, da un momento
all’altro.
«Lo voglio. Non c’è niente che desideri di più al mondo. Oggi
e per sempre. Nulla ha senso senza di te. Sei l’amore della mia
anima.» Le lacrime non tardano a scendere.
«Buon compleanno.» Si alza e mi bacia con dolcezza e
trasporto, asciugandomi il viso.
«A proposito di regali, anche io ne ho uno per te.» Respiro
profondamente e tiro fuori dalla tasca dei jeans una busta bianca.
Gliela porgo, mentre cerco di smettere di piangere e di farmi
coraggio.
«Un regalo per me? Questa sì che è una sorpresa. Oggi sei tu
la festeggiata, non io.» Adoro quella sua espressione stupita.
«Christian, ti prego, non posso aspettare oltre. Coraggio,
aprila, prima che mi venga un infarto.» Sono in preda
all’agitazione e lui non capisce il perché.
Apre quella busta e, non appena lo intuisce, si fa serio. Mi
osserva, cerca nel mio sguardo la conferma che sia tutto vero. Io
annuisco e miei occhi ritornano inevitabilmente a infiammarsi.
Per un attimo traspare tutto ciò che prova in questo momento e
si lascia andare.
«Stai piangendo…» Gli stringo le mani. Gli lascio tutto il
tempo.
Mi si riempie il cuore di gioia nel vederlo così emozionato:
osservo i suoi gesti con attenzione e a un tratto mi sembra di
rivedere il ragazzino sensibile e vulnerabile che ho imparato ad
amare tanto tempo fa, ma al tempo stesso ho davanti l’uomo che
desideravo diventasse, finalmente libero da tutta quella
sofferenza che di certo non meritava, libero di lasciarsi andare
alle gioie della vita, di ricominciare ancora una volta da noi.
Sembra spiazzato, incredulo. Mi fa molta tenerezza quando si
mostra così fragile. Anche per questo lo amo.
«Da quando ti ho incontrata, ho sempre pensato che il destino
mi avesse messo davanti a qualcosa di straordinario. Sei il dono
più prezioso che potessi ricevere. Celeste, poi, è un vero e
proprio miracolo, e questo bambino un sogno a occhi aperti.
Perciò sì, piango. Piango di felicità e non me ne vergogno. Senza
di te mi sarei perso, ma tu sei sempre stata la mia strada di casa,
per poi diventare la mia casa stessa. Grazie per questa vita
insieme.» Christian mi stringe forte e mi accarezza la pancia. Ci
abbracciamo per un lunghissimo istante, poi apre lo zaino e tira
fuori quella vecchia trapunta.
«Non posso crederci, ce l’hai ancora!» È anche per queste
piccole cose che sono pazza di lui, perché come me non è mai
andato oltre.
«È pulita, tranquilla. Non avrei mai potuto liberarmene, ci
sono troppi ricordi legati a questa coperta. Coraggio, coricati
vicino a me.»
Rimaniamo così, abbracciati nel silenzio più timido di questo
universo costruito soltanto per noi. Immobili, innamorati,
intenti ad annusare i profumi dell’estate e ascoltare i rumori della
notte, compresi i nostri cuori che battono all’unisono e un terzo
cuoricino che batte, una nuova vita che sta crescendo dentro di
me. Un bimbo che ameremo incondizionatamente per tutto il
resto dei nostri giorni. La parte migliore di noi.
«Sei sempre stato tu» sussurro, mentre guardo il cielo e le
tantissime stelle che lo rendono così scintillante. Le mie parole
non hanno bisogno di essere spiegate, non fra di noi.
Christian mi stringe forte. Cerco i suoi occhi che riflettono
nei miei tutta la felicità che prova in questo momento.
«Sono io, Emma. Il tuo destino sono io.»
AMORE SONORO

Viviamo la nostra follia


in preda ai nostri baci caldi,
come le parole che ci scambiamo,
con puro amore
e un pizzico di magia
che mi stregano e ipnotizzano,
mentre fuoriescono
angeliche
dalla tua bocca così innocente,
quanto pericolosa.
Maledizione a quella melodia
che mi rende così vulnerabile.
Ho paura che se continuerò
a dipendere da quel suono soave,
non ne avrò mai abbastanza
e impazzirò, quando il tuo silenzio
mi soffocherà e
quelle parole, così profonde
e delicate come il tuo animo puro,
risuoneranno per altre orecchie.

Emily Lapata
PLAYLIST

Hero - Mariah Carey


Zombie - The Cramberries
November Rain - Guns N’ Roses
Always - Bon Jovi
Psycho Killer - Talking Heads
About a Girl - Nirvana
Rock the Casbah - The Clash
Heaven - Bryan Adams
Nothing Else Matter - Metallica
Since I Don’t Have You - Guns N’ Roses
I Will Always Love You - Whitney Houston
Against All Odds - Phil Collins
Return to Innocence - Enigma
Dreams - Gabrielle
Mr. Vain - Culture Beat
What’s Up - 4 Non Blondes
No Limits - 2 Unlimited
Don’t Cry - Guns N’ Roses
Gangsta’s Paradise - Coolio
Creep – Radiohead
BIOGRAFIA
Emanuela Porta nasce il 18 agosto
1977 a Tortona, in provincia di
Alessandria.
Vive da sempre nel bel mezzo delle
campagne piemontesi con suo
marito Marco, sua figlia Giorgia e
due gatti neri, Enea e Mosè, di cui
è schiava. Lavora come impiegata
presso una multinazionale belga
che si occupa di logistica. Fin da
piccola ama leggere e inventare
storie. Nel 2019 decide di mettere
su carta tutto quello che le passa
per la testa. Adora il caffè, le giornate di pioggia e trascorrere il
tempo libero all’aria aperta insieme alla sua famiglia. Il suo più
grande desiderio è quello di trasferirsi in Corsica e vivere al
mare.

IG: @emanuela_porta_autrice
BIOGRAFIA
Emily Lapata nasce il 30 settembre
2008 a Tortona, in provincia di
Alessandria. Studia lingue presso il
Liceo linguistico Giuseppe Peano
di Tortona. Fin dalla tenera età ama
scrivere racconti di ogni genere,
dando luce alla sua fervida
immaginazione.
Solo di recente inizia a coltivare la
passione per la poesia e decide così
di esprimere il suo interesse
scrivendo versi che raffigurano le
varie sfaccettature dell'amore e del
dolore. Ama disegnare, leggere
letteratura russa, doppiare e studiare tedesco: sogna di andare a
vivere in Germania e lavorare come doppiatrice e scrittrice.

IG: @0.emy.write.0
RINGRAZIAMENTI

Quando penso a questa meravigliosa avventura e al cammino


percorso fino a questo momento, mi viene da dire che è stata
un’incredibile esperienza umana, oltre che professionale. Chi mi
conosce sa bene quanto sia importante per me entrare in empatia
con chi mi devo rapportare, per un motivo o per un altro. Sono
stata molto fortunata perché alla mia prima esperienza da autrice
il destino mi ha fatto incontrare persone straordinarie che fanno
parte di questo mondo magico e surreale, a me sconosciuto fino
a poco tempo fa.
Ringrazio innanzitutto la mia editor, l’autrice Keja Galli, per
il costante supporto tecnico e morale, per non essere diventata
“soltanto la mia editor”, ma per aver fatto breccia nel mio cuore
e aver arricchito la mia vita di un’amicizia così preziosa. Ti
ringrazio per essere una persona pura, diretta e sincera, per i tuoi
consigli e per esserci sempre quando ho bisogno di te. Sei forte.
Non cambiare mai per niente e per nessuno. Sei l’amica che tutti
vorrebbero avere. Ti voglio un mondo di bene.
Ci tengo a ringraziare anche la prima persona che ha messo
mano alla mia storia, quando ancora non aveva una forma ben
definita: grazie all’autrice Asia Pichierri, per la sua dolcezza e
i suoi consigli e per l’affetto sincero che ho percepito durante la
primissima fase di correzione del testo e che ancora oggi mi
dimostra.
Grazie alla giovane autrice Emily Lapata che mi ha
permesso di pubblicare la sua straordinaria poesia: se penso che
hai solo quindici anni e che sei già così ricca di tanta sensibilità,
non posso che pensare alle grandi imprese che realizzerai, e
saranno tante, ne sono assolutamente certa. Continua così,
cammina a testa alta e sii sempre orgogliosa di te. Ti voglio bene.
Ringrazio le mie beta reader, le migliori che potessi avere:
l’autrice Francesca Ancarani per essere entrata a far parte delle
mie giornate, per la sua amicizia sincera, per i messaggi vocali,
altro che di dieci minuti: grazie per essere stata così onesta e
appassionata fin dalla prima pagina letta. Ti ringrazio per
l’immenso lavoro che hai svolto, rileggendo la mia storia ancora
e ancora. Sei stata preziosa. Non ci sono parole per dirti quanto
lo abbia apprezzato. Aspetto con ansia il giorno in cui finalmente
ci incontreremo, perché sono sicura che quel giorno prima o poi
arriverà. Ringrazio l’autrice Lisa Ci, per essersi resa così
disponibile fin dal primo istante, sei una vera forza della natura.
Grazie per la tua simpatia, il tuo affetto e i tuoi abbracci! Non
vedo l’ora di rivederti. Grazie a Erica Baronti per esserci
sempre, per ascoltare le mie folli idee e per rileggere i miei testi
ancora e ancora, per essere un’amica sincera oltre che una
persona speciale e una lettrice così appassionata e affine ai miei
gusti. Grazie per i tanti consigli ricevuti e per la tua infinita
disponibilità. Grazie a Martina Simonelli, per essere
semplicemente Martina. Ti adoro, lo sai. Grazie perché trovi il
tempo di leggere i miei testi in anteprima, di analizzare e
commentare ogni pagina con grande puntiglio e attenzione.
Ringrazio inoltre l’autrice Francesca Santangelo per la sua
dolcezza, le parole sincere e per aver letto così attentamente
questa storia. Sei stata preziosa.
Un ringraziamento speciale lo devo senza ombra di dubbio
all’autrice Cristina Rotoloni. Sei una persona meravigliosa,
sono felicissima di averti al mio fianco e di poter imparare così
tanto da te. Grazie per il tuo continuo supporto e i tuoi preziosi
consigli. Spero un giorno di poterti conoscere, sarebbe
stupendo!
Non posso dimenticarmi di menzionare anche l’autrice
Giulia Previtali, una persona davvero speciale: dolcissima e
sempre disponibile per me. Grazie infinite di tutto.
Ringrazio la mia famiglia, mio marito Marco e mia figlia
Giorgia, che in tutti questi mesi mi hanno supportata e aiutata
ogni volta che chiedevo loro un parere. E l’ho fatto molto spesso,
tanto da essere riuscita ad annoiarli a morte! Li ringrazio per la
gioia che hanno portato nella mia vita e per la nostra
meravigliosa famiglia. Ruota tutto intorno a voi, non
dimenticatelo mai.
Ringrazio mamma e papà, Margherita e Lorenzo, per
avermi cresciuta con la consapevolezza che nulla è impossibile,
soprattutto se ci credi sul serio e se deriva dal frutto di un duro
lavoro. Li ringrazio perché sono stati i migliori maestri di vita
che avrei potuto avere, e lo sono tuttora. E grazie a Cristiana,
Davide, Diego, Fabio e Lina: la miglior famiglia che potessi
trovare sposandomi!
Grazie al mio gruppo di “lettura e supporto morale”. Siete
state uniche, preziose, indispensabili, un’inesauribile fonte di
ispirazione. Manuela Bo, sei una editor mancata. Tu per prima
hai creduto in me consigliandomi di buttarmi in questa
meravigliosa avventura. Non ti ringrazierò mai abbastanza.
Grazie a Claudia Bissacco, per la sensibilità e la dolcezza che
metti in ogni frase che pronunci, per la bella persona che sei e
per il nostro progetto di aprire insieme una libreria con sala da
tè. Prima o poi ci riusciremo, vedrai, a costo di vivere un’altra
vita. Grazie a Carlotta Porta, per la nostra bella amicizia, nata
da ragazzine, per le risate e per il tempo trascorso insieme, di
sapermi dire sempre la parola giusta al momento giusto. E farmi
ridere tanto. Sei unica, non cambiare mai. Tieni duro Lotti,
perché sai di essere forte più forte di tutto quello che succede
intorno a te. Grazie a Marinella Mussi, per la passione e per il
modo rispettoso di darmi sempre consigli importanti e per
esserci ritrovate dopo tutti questi anni, non sai quanto ne sia
felice.
Ringrazio le mie “sorelline”, Maria Rita Basile e Stefania
Bonelli, per fare parte della mia vita da ormai tantissimi anni e
per la loro amicizia sincera. È raro avere al proprio fianco
persone come voi. Siete parte di me e lo sarete per sempre.
Grazie a Paola Straffi ed Enrica Mazzini per lo stesso
motivo: non serve frequentarsi ogni giorno per volersi bene,
anche se dovremmo uscire più spesso, questo è certo, perché
come riuscite a farmi ridere voi, non ci riesce nessuno.
Grazie a Daniela Patta, la mia “partner in crime” ufficiale.
Grazie per esserci sempre e per esserci sempre stata, soprattutto
quando il bicchiere era mezzo vuoto.
Grazie a Teresa Gandolfo e a Daniela Serventi per avermi
sostenuta nei momenti difficili, per le chiacchiere e per il
conforto che avete sempre saputo offrirmi. In questi ultimi anni
siete sempre state presenti, soprattutto quando ne ho avuto più
bisogno. Grazie con tutto il cuore.
Grazie a Emma e Christian, i protagonisti della mia storia,
che hanno saputo riempire le mie giornate con il loro immenso
amore e che mi hanno fatto battere forte il cuore.
Infine, grazie a te, lettore, che sei arrivato all’ultima pagina
di questo libro. Spero di averti tenuto compagnia e di averti fatto
emozionare.

Alla prossima storia.


Emanuela
INDICE
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EPILOGO
EMMA
AMORE SONORO
P L AY L I S T
BIOGRAFIA
BIOGRAFIA
RINGRAZIAMENTI

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