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CORPO E SEPOLTURA NEI TESTAMENTI DELLA NOBILTÀ NAPOLETANA (XVI-XVIII

SECOLO)
Author(s): Maria Antonietta Visceglia
Source: Quaderni storici , agosto 1982, Vol. 17, No. 50 (2), I VIVI E I MORTI (agosto 1982),
pp. 583-614
Published by: Società editrice Il Mulino S.p.A.

Stable URL: https://www.jstor.org/stable/43777071

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CORPO E SEPOLTURA
NEI TESTAMENTI DELLA NOBILTÀ NAPOLETANA
(XVI-XVIII SECOLO)

1. LA fonte: quale approccio?

«Au départ donc il y a le testament» l. Scoperto ed utilizzato


da M. Vovelle come fonte privilegiata per una storia della sensibi-
lità religiosa e dettile mentalità2, il testamento è stato recente-
mente posto da P. Chaunu al centro di un complesso tentativo di
ripensamento dell'antropologia della' morte. Sicché qualsiasi ri-
cercatore si accinga oggi ad un'indagine sui testamenti ha di
fronte a sè una tradizione storiografica consolidata, una riflessio-
ne metodologica che ha assunto una portata generale e nei suoi
esiti più recenti la valenza dá una vera scelta epistemologica.
Tenendo conto di questa importante evoluzione storiografica,
anche scegliendo di lavorare sui testamenti di un gruppo sociale
ristretto ed omogeneo - nel nostro caso l'aristocrazia feudale del
Mezzogiorno d'Italia - , l'uso del testamento come fonte esige e
presuppone che lo si classifichi e che si puntualizzino i criteri e
gli scopi della sua utilizzazione.
Il testamento aristocratico è un documento redatto a scopi
essenzialmente religiosi come nel discorso testamentario è stato
più volte ribadito?3. È uno strumento di controllo della chiesa
anche nei confronti del gruppo sociale nobiliare? È un atto
personale o convenzionale? Risponde al bisogno di regolamentare,
sia pure post mortem, conflittualità emotive e divergenze di inte-
ressi? Senza pretendere di rispondere esaiustivamente a questi
interrogativi e alle questioni di metodo che essi implicano, vorrei
partire da ima constatazione assai semplice. Il testamento ari-
stocratico è quasi sempre in scriptis, cioè redatto personalmente
dal testante, ma raramente ha un carattere autobiografico. I
riferimenti alla vita individuale sono rari e si riducono ad anno-
tazioni sui meriti politici della famiglia, ad indicazioni agli eredi

QUADERNI STORICI 50 / a. XVII, n. 2, agosto 1982

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sulla «gestione della Casa», ad esortazioni ai figli circ


zione ai nipoti. La storia personale diel Hesitante semb
ed annullarsi: esiste il passato degli avi e iil futuro de
ti. L'episodicità di annotazioni di questo tipo è di per s
tiva. Ma ancora più importante è constatare la relativa
tà nel corpus di un ¡testamento delle clausole non pat
testamento aristocratico è infatti un «documento mo
spesso anche un centinaio di pagine dielle quali la mag
è dedicata a precisare la destinazione ed eventualmente la futura
gestione del patrimonio, con una complessità di clausole dovuta
al carattere composito dei patrimoni nobiliari - beni feudali e
beni burgensatici con regimi giuridici differenti e all'interno di
essi proprietà fondiarie, urbane, rendite pubbliche, gioielli, biblio-
teche . . .
A partire dalla fine del Cinquecento (anni 70-80, per una
periodizzazione più precisa), 'la parte del testamento dedicata alla
trasmissione dei beni diviene ancora più minuziosa ed analitica:
nel momento in cui la pratica di non dividere il patrimonio ma
di affidarlo interamente al primogenito si è affermata e genera-
lizzata, occorre prevedere per un arco temporale lungo soluzioni
alternative (successione di rami collaterali nel caiso di estinzione
del ramo primogeniturale), e persino la successione di famiglie
alleate (attraverso il maitrimonio delle figlie nel caso di estinzione
di tutti i rami maschili). I sistemi di rilevazione dei dati devono
perciò adattarsi a questa complessità: registrare l'istituzione di
maggioraschi, fedecommessi, le vitae militiae ai cadetti, gli usu-
frutti alle vedove, ile doti alle figlie ed ancora le clausole sul-
l'amministrazione . . ., in una parola fare risaltare i meccanismi di
contrappesi e le compensazioni che regolano ogni divisione di un
patrimonio feudale. Infime, ad una piena comprensione delle
disposizioni testamentarie, si può arrivare solo ricostruendo dia-
cronicamente l'insieme dei testamenti (maschili e femminili) di
una stessa famiglia e affiancandoli con altri tipi di fonti (contrat-
ti matrimoniali, inventari post mortem , stati del patrimonio . . .). I
dati che se ne ricavano, se non sempre sono quantificabili, per-
mettono di delineare in maniera articolata e sfumata la logica
e le motivazioni delle scelte testamentarie.
La cifra per la decodificazione dei comportamenti aristocrati-
ci che qua proponiamo tende a mostrare dunque la prevalenza dei
valori della famiglia su quelli dell'individuo.
Ma secondo quale sistema?
L'aristocratico ha di fronte a sé, almeno per ile scelte succes-
sorie che riguardano i beni feudali, un modello normativo -

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fissato in parte già all'inizio dal XIII sec. dalle Costituzioni di


Melfi 4, in parte frutto di un compromesso politico fra monarchia
e gruppo sociale nobiliare - che tende a imporre la preminenza
dei maschi a danno delle donne, dei primogeniti a danno dei
cadetti.
Questa constatazione non avalla l'ipotesi di comportamenti
uniformi, deducibili a partire dal quadro ciùturalnaimministraitivo.
Il nodo oi pare consista nel chiarire quando, fino a che punto e
con quali implicazioni politiche e sociali il modello normativo si
è imposto e generalizzato5.
In realtà tra la fine del medioevo e l'età moderna si assiste
ad un radicale mutamento delle strategie successorie della nobil-
tà feudale. Nel '300 e '400 la regola della primogenitura può essere
trasgredita solo con una autorizzazione regia. La pratica della
deroga diviene sì frequente dia provocare una trasgressione si-
stematica sicché nel XV sec. il sistema prevalente è quello della
divisione dei beni feudali; esso perdura neil Cinquecento e solo
alila fine del secolo si nota l'inizio del rovesciamento di tendenza.
Poiché dunque l'affermazione nel Mezzogiorno d'Italia del
sistema fondato sul maggiorai co e sul fedecommesso è più tarda
e lenta rispetto ad altri paesi (Spagna, Siailiiia), è assai interessan-
te ricostruire la destinazione dei beni feudali in una fase «inter-
media» (XV e XVI sec.) in cui le possibilità di scelta del testante
sono ampie6.
A parte questa questione-chiave inerente ai limiti posti dal
potere regio alla nobiltà feudale sulla facoltà di testare, che
evidentemente influenza profondamente la tipologia dei testa-
menti, una luce interessante sulla dialettica famiglia-individuo
gettano le scelte apparentemente secondarie. Le clausole sui
cadetti, sui figli illegittimi, sui doni ai parenti, sull'uso della Casa
e quelle che attengono più pairticolairniente ai comportamenti
funerari (indicazioni sulla modalità di presentazione della salma,
sul convoglio funebre, sul luogo di sepoltura) sfumano l'immagi-
ne del testamento come fonte ripetitiva.
Sfuggendo alla coercizione delle prescrizioni formali esse
illuminano i legami, gli affetti, ma anche le ostilità ed i rancori
che legano i testanti ai loro vivi e recuperano la varietà e La
ricchezza dei comportamenti reali.
Le decisioni testamentarie che qui analizzeremo - quelle
relative ai funerali ad alle Cappelle - ci paiono le più adatte per
esemplificare una prospettiva di lettura che tende a ricostruire il
nesso famiglia-individuo. Le indicazioni sulle modalità delle
esequie e sui luoghi di sepoltura hanno alla base scelte personali,

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che si inscrivono però nella storia familiare; le loro implicazioni


sono perciò da ricercare nellle tradizioni della Casa, nelle alleanze
della famiglia, ned suoi vincoli privilegiati con precise istituzioni
ecdlesiasitiche. Un peso rilevante in queste scelte hanno anche la
strategia complessiva del gruppo sociale aristocratico, le compe-
tizioni, le rivalità che si intrecciano intorno all' «uso sociale» del
cerimoniale funebre ed al controllo, all'interno di una gerarchiz-
zaziome precisa dello spazio urbano, dei luoghi di sepoltura. Lette
parallelamente clausole patrimoniali e clausole sulla sepoltura si
integrano a vicenda e permettono di ridare al testante lo status
di soggetto storico nella misura in cui è possibile ricostruire la
trama unitaria delle motivazioni che regolano dl comportamento
economico, sociale e religioso7.

2. l'immagine del corpo morto, la sepoltura

In quanto messaggio di un vivo che si immagina morto ad un


altro vivo, quale coscienza della corporeità rivela il testamento?
Va anzi tutto detto che chi attende 'di trovare nel testamento
accenni a malattie, ailla realità del corpo infermo resta deluso. Su
questo punto il testamento è veramente un documento formale 8.
«È un corpo silenzioso quello che gli archivi offrono alla
lettura dello storico». Le osservazioni di J. Revel e J. P. Peter
su «l'effacement du corps» all'interno di un sapere, sia esso
religioso, medico, amministrativo, che nel momento stesso della
sua costituzione obiettiva, classifica, ordina, negando l'individua-
le, possono validamente essere ripetute per il testamento, fonte in
cui la mediazione colta tende ad irrigidirsi nello stereotipo9.
La dizione «sano di corpo come lo sono ugualmente di
mente» o l'altra più frequente «infirmus in lecto da infirmitate
gravatus sānus tam en mente, sensu et intellectu et compos
rationis» che compare nel preambolo, la parte del testamento più
sottoposta all'influenza del formulario notarile, se fornisce indizi
interessanti sullo stato di salute del testante (quanti testano
infermi?), nella sua genericità ed uniformità ha solo la funzione
di ribadire in maniera formalizzata la piena consapevolezza e
responsabilità delle decisioni patrimoniali di fronte ad ogni even-
tuale ridiscussione postuma da parte del gruppo parentale.
In alcuni casi la connessione stato di salute - validità del
testamento è fortemente sottolineata nel momento stesso in cui
si specificano e dichiarano gli scopi dell'atto testamentario: assi-
curare la continuità nella trasmissione del patrimonio, non tra-

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sgradire un precetto ecclesiastico, difendere l'unità della fami-


glia . . .
Ecco a titolo d'esempio il prologo del testamento (1708) del
duca di Mordano:

Io Fortunato Castromediano di Lynburgh, duca di Morciano e marchese di


Cavallino e utile Signore delli feudi di Ussano e Cerceto, avendo considerato lo
stato fragile e caduco dell'umana natura e non esservi cosa più certa della morte
né più incerta dell'ora di quella, volendo nello stato presente di mia salute e di
corpo e di intelletto provedere ai bisogni dell'anima mia e dar providenza insieme
agli interessi dela mia Casa e famiglia per bannire da essa quanto possibil sia la
discordia e far che vi si conserva l'unione da che può trarre sostegno ed
accrescimento e ogni suo bene, ho fatto il presente testamento 10.

In rapporto alla fugacità ed alla sobrietà dell'accenno al


corpo vivente ben più ricca d'interesse è la parte del testamento,
di solito quella centrale 11 , dedicata al corpo morto.
L'immagine che quasi tutti i testatori adoperano per intro-
durre le clausole sulle esequie e sulla sepoltura si basa sulla
certezza cristiana che l'anima è più degna e più nobile del corpo
(«quomiam anima est dignior et nobilior corpore»). Il primo
pensiero è dunque per da salvezza: nel preciso istante della
separazione dell'anima dal corpo una schiera di intercessori ce-
lesti - ila Vergine e più tardi, con l'affermazione dei moduli
religiosi tridentini, l'angelo custode e la corte dei Santi - ,
condurranno l'anima del defunto al cospetto del divino chieden-
do, «per la passione e i meriti della Redenzione, il perdono dei
peccati e ila grazia del Paradiso».
Non ci proponiamo qui evidentemente uno studio specifico
delle clausole religiose del testamento che richiederebbe fra l'al-
tro un campione statistico assai più largo, ma vorremmo soltanto
brevemente sottolineare come la Controriforma segni veramente
una cesura tra un modello di invocazione largamente presente
nella prima metà del Cinquecento, (in cui il testante si affida alla
Maestà e alla Onnipotenza di Dio («uno e trino») e alla clemenza
della Vergine 12 ed un modello più ricco e articolato in cui diventa
strutturale il richiamo al mistero della passione redentrice, al-
l'angelo custode13 ed ai Santi del paradiso. L'invocazione, così
come si arricchisce nella seconda metà del XVI sec., diviene un
dato permanente del discorso testamentario nel lungo periodo,
restando pressocché invariata anche nei testamenti settecenteschi
che invece presentano, come vedremo, una evoluzione significati-
va nelle clausole sul cerimoniale funebre e sul luogo di sepoltura.
Ma anche se è possibile ricostruire precise tipologie, l'invoca-

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zione non è mai soltanto una formula: rispecchia devozioni


individuali che si prolungano oltre la vita terrena. L'importanza
di un'analisi sistematica dell'invocazione religiosa, anche in studi
non seriali come quelli da tempo praticati dalla storiografia
francese 14 , è confermata dalla corrispondenza che si può esplicita-
re tra devozione individuale, scelta nell'accompagnamento di par-
ticolari ordini religiosi e legati pii. Così, ad esempio, Giovanna di
Capua (1618) scrive nel suo testamento: «lascio l'anima mia in
protezione alla beata Vergine, ai miei Saniti, San Giuseppe, San
Francesco, il mio devoto Cario, il mio Beato Ignazio» (i Santi
della Controriforma) e chiede di essere seppellita nella Chiesa dei
Gesuiti. Suo esecutore testamentario è il nipote Ferrante di
Capua, gesuita. Ai Gesuiti, Giovanna lascia un legato di 20.000
ducaiti da impiegare «nela fondazione di qualche collegio della
Compagnia in qualsivoglia Provincia» 1S. Luigi Vincenzo di Capua
(il testamento è degli anni Venti del Seicento) invoca la Vergine del
Carmelo e San Francesco di Paola definiti «miei particolari
protettori» e chiede di essere aocompagnaito dai frati di Sanita
Maria del Carmelo e dai Minimi di San Francesco di Paola16.
Giuseppe Lopez, marchese di San Marzano (1699), raccomanda la
sua anima all'Angelo custode, alla Madonna del Carmine, a San-
t'Antonio e soprattutto a San Gennaio suo «speciale avvocato» e
chiede di essere accompagnato nella sepoltura di famiglia, nella
Chiesa della Sanità di Napoli, dai «pezzentielli» di San Gennaro.
Ordina di vendere nel feudo di San Marzano (tutte le vettovaglie
giacenti in magazzino e gli animali della masseria per costituire
nello stesso villaggio una cappella intitolata a San Gennaro con
Jus patronato a vantaggio del figlio Francesco 17 .
Considerando d'altra parte i testamenti di una stessa famiglia
nella loro successione diacronica, emerge che ogni famiglia ha un
suo Sanito al cui culto è -specialmente legata: Sant'Agostino nel
caso dei Principi di Bisognano, Santa Margherita nel caso dei
Principi di Scilla, San Filippo Neri per i Principi di Leporano 18.
Devozione familiare che comporta una rete di rapporti privilegia-
ti con gli enti ecclesiastici che celebrano il culto del Sanito
particolarmente venerato.
Inserite nello stesso contesto delle invocazioni religiose per la
salute dell'anima seguano le disposizioni sulle esequie. La loro
lettura pone anzitutto urna questione semantica ben nota agli
antropologi che concerne «l'impiego delle parole che riguardano
il corpo morto»19.
Nella stragrande maggioranza dei testamenti esaminati le
spoglie mortali sono designiate col termine corpo , termine nassi-

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curante che esprime pienamente la concezione cattolica della


sopravvivenza ultraterrena. Dalila fine del XVII sec. la parola
corpo viene spesso sostituita con la dizione il corpo divenuto
cadavere e ned XVIII sec. assai frequentemente infine compare
solo il termine cadavere. Slittamento semantico che traduce un
processo di desaicralizzaizione dell corpo: il termine cadavere non
evoca iil transito cristiano da un'esistenza ad un'altana, anzi espri-
me piuttosto una coupure netta tra questa e l'altra vita.
Del resto questa annotazione linguistica può essere conferma-
ta da dati più pregnanti, attraverso l'analisi delle clausole riguar-
danti da preparazione e il trasporto del corpo. Il funerale nobilia-
re dell sedicesimo e diciassettesimo secolo, quale emerge dai
testamenti degli aristocratici napoletani, si svolge secondo un
rituale preciso abbastanza vicino alle esequie barocche descritte
da M. Vovelle per la Provenza presettecenitesca 2°. Dietro questa
concordanza di fondo che conferma le comuni strutture di un'a-
rea di civilizzazione mediterranea sono rintracciabili caratteri
specifici della cultura napoletana.
Ma guardiamo anzitutto più da vicino le richieste che i
testanti rivolgono ai pairenti, in particolare ladl'erede e agli esecu-
tori testamentari. La richiesta che i funerali si svolgano «senza
pompa alcuna» è quasi d'obbligo. «Simplicité affeatée» come ha
rilevato P. Ariès in L'homme devant la mort 21 o esigenza sincera?
È difficile una risposta categorica, ma dal con-testo globale di
molti testamenti, si rileva un'ansia reale di umiltà che si con-
trappone alla richiesta frequentemente presente nei testamenti
borghesi della stessa epoca di essere seppelliti in maniera con-
forme al proprio status e alla propria condizione. A differenza dei
borghesi, gli esponenti del ceto nobiliaire non necessariamente
hanno bisogno di una conferma della loro supremazia sociale.
L'annotazione di M. Vovelle - «l'aspirazione alla semplicità, il
rifiuto delle pompe barocche sono privilegio di élites e ancor più
atteggiamenti di gruppo»22 - sembra si possa applicare anche
all'aristocrazia del Regno di Napoli. Ma il gesto del rifiuto
frequente nel sedicesimo secolo diverrà assai rairo nel diciassette-
simo per riapparire nel Settecento con una valenza ormai pro-
fondamente diversa. Alcune citazioni tratte dalle fonti permetto-
no di provare efficacemente quest'evoluzione. Sansone Sanseveri-
no nel 1478 chiede di essere seppellito «ad ora tarda con una
torcia alla testa ed un'altra ai piedi senza officio riservato»23.
Nel testamento di Tommaso Caraifa, conte di Maddaloni
(1520) è riportata la seguente dichiarazione di volontà:

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vole et ordina che passando dalla presente vita lo suo corpo si debba portare a
seppellire in la Venerabile Ecclesia dell'Annunziata di Maddaloni dell'Ordine di
San Domenico et interea se habbia depositare in Ecclesia de Sancto Domenico di
Napoli e che le sue esequie si facciano honestamente ad arbitrio degli esecuto-
ri .. . e che abbia andare vestito di bianco e con l'havemaria in petto 24.

Ci pare significativo sottolineare che gli esecutori testamen-


tari cui vengono affidiate l'onestà e il decoro delle esequie sono i
capi riconosciuti dei rami di lignaggio della famiglia Garafa
(Andrea, conte di Santa Severina, Giovanni Vincenzo, conte di
Montesarchio, Giovanni Francesco, duca di Ariano, Giovanni, con-
te di Ruvo, Augus tino, conte di Mandragone, Tiberio, conte di
Soriano). Nel testamento è anche prescritto il lutto della servitù
cui sarà pagato l'intero salario annuale, i legati particolari e le
gramaglie «secondo la condizione delle persone».
Disposizioni analoghe ritroviamo nel testamento di Bartolo-
meo di Capua (1522) che chiede di essere seppellito con quattro
cappellani nella cappella di famiglia alla presenza di tutti i
servitori di casa cui sarà concesso in dono «mezza annata di
salario» e che dovranno indossare «ima gramaglia con cappuc-
cio» aē Marc 'Antonio Tocco nel 1525 chiede quattro torce, l'abito di
San Francesco, i soli monaci francescani26, Antonio Muscettola
(1530) «quod corpus poniatur in uno tabuto» con l'abito france-
scano e ima rete sul capo27. Giovanni Antonio Caracciolo (1546)
ordina che il suo funerale si faccia «ad un'ora di notte vestito di
bianco con i preti della Chiesa della quale ho fatto parte in vita
con dieci torce e con trenta poveri che più poveri non si possano
trovare» Luigi dà Capua nel 1550 «nudo aiwolto in un lenzuolo,
solo con i preti ed i monaci di Riccia sua terra feudale»29.
Giovanna Orsini nel 1575 domanda di essere sepolta «sonata la
Ave Mania con cinque torce, coperta di una coltra di panno
fratesco» 30 . Dorotea Spinelli alla fine del Cinquecento comanda di
essere avvolta in un saio preparato dalla figlia Ippolita e poi
lasciato in suo ricordo ai padri Gesuiti, accompagnata da quindici
francescani e quindici poveri con quindici torce31. Giovanna di
Capua nel 1618 chiede di essere vestita con l'abito francescano e
domanda l'accompagnamento della parrocchia, «dei figlioli pove-
relli e dei figlioli della pietà» 32. Marcello Muscettola nel 1628 non
prescrive niente per il suo funerale, domanda solo che si svolga
«secondo comanda la Madre Chiesa Cattolica» 33. Luigi Sanseverino
nel 1645 vuole essere sepolto privatamente con dodici poveri
vestiti da agostiniani scalzi 34 . Francesco Caracciolo, duca di
Martina (1655), chiede l'abito di San Francesco: «vestito

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Corpo e sepoltura nei testamenti della nobiltà napoletana 591

da Cappuccino per la particolare devozione che porto al


glorioso Francesco, una croce di legno sul petto e dodici poveri
con dodici torce di una libbra l'una»35.
È inutile moltiplicare gli esempl. Essi mostrano come esista
una «dimensione sociale dei comportamenti corporali», per usare
l'espressione di L. Boltanski36, che si prolunga oltre la stessa vita
individualle, un insieme di regole profondamente interiorizzato
ohe "tutti i membri del gruppo sociale «applicano nel redigere le
loro volontà suill 'accompagnamento funebre. I diati di questo
codice si evidenziano facilmente. Più difficile è decifrarli nel loro
significato profondo. La richiesto frequente dell'abito francescano
testimonia la forte tradizione culturale dei francescani nella
storia della pietà meridionale ed insieme una volontà almeno
esteriore di umiltà. La richiesta delle torce evoca una messinsce-
na che si vuole grandiosa anche quando si richiede un funerale
privato: le fiaccole illuminate ad ora tarda, i poveri, i servi
incappucciati ci fanno intravedere un rituale comunque suggesti-
vo ed allusivo. Il numero delle torce richiama precise simbologie
in alcuni casi ben note (dodici torce come i dodici apostoli, come
le dodici tribù di Israel, cinque come le cinque piaghe di Cristo),
in altri ancora oscure (perché quattro, sette, dieci, quindici ...?).
La presenza dei poveri della capitale è un dato costante ma
ambiguo. È esso significativo ddłl 'intimo bisogno «anche da parte
dei potenti di venire a far parte al momento della morte di una
società di uomini che si sentono accomunati nella medesima
precaria condizione al cospetto dell'incombente giudizio divino»,
come ha suggerito Mario del Treppo a proposito dei testamenti
del patriziato amalfitano? 37 Oppure è «la cifra paradigmatica di
una visione bipolare del mondo dove dominano con i loro riflessi
religiosi e morali le due categorie ineliminabili dei ricchi e dei
poveri e dove però ai poveri è deputato un ruolo privilegiato per
le possibilità di ben operare offerte ai ricchi», come di recente,
anche se in altro contesto, ha scritto Mario Rosa38?
La presenza infine nell'accompagnamento dei soli preti della
parrocchia o del dlero regolare degli ordini ai quali per devozione
personale o per tradizione familiare il testante è pairticolairmente
legato, conferma un legame reale tra sensibilità religiosa e pne-
scrizioni sul rituale delle esequie e comunque prova il ruolo
centrale che le istituzioni ecclesiastiche svolgono in una società di
ordini nel! 'orientare la domanda religiosa39. Sono infatti le isti-
tuzioni ecclesiastiche ed il gruppo parentale che devono gestire il
rituale della sepoltura ed applicare le volontà del defunto: non

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sempre in perfetta concordanza . . ., ma questo è probl


rente.

Il modello di presen/taziooe e accompagnamento del corpo


che abbiamo descritto cambila significativamente nella seconda
metà deil Seicento. Una forte proporzione dei testanti chiede
ormai cerimonie ancora più ostentatone. Spartisce Indicazione
dell'ora tarda per i funenaili, diviene più rara la richiesta dell'abi-
to francescano. Si chiede al contrario quasi generalmente la
presenza del Capitolo, dei padri di tutti i conventi, died preti di
tutte le parrocchie. Così, ad esempio, Camilla Castriota fissa
minutamente il cerimoniale del suo funeralle; chiede di essere
seppellita niella tema feudafle di Bucamo nel convento di Sant'An-
tonio con suo marito ed i suoi figli; chiede che alle esequie
vengano i preti della pairroochiia di Santa Maria Maggiore, di San
Gregorio e di Romagrxano del Castello, itutte le confraternite di
Buccino, i frati di tutti i monasteri; la&ciia «l'elemosina consueta»,
precisa i paramenti da usare per addobbare la Chiesa nel giorno
del suo funeralle, che porteranno tutti lo stemma dei Caistriota e
dei Caracciolo e lascia mie ducati per «maritaggio d'una gentil-
donna povera o di una povera che vive nobilmente» w. Pasquale
Caracciolo, marchese di Macchiagodèna (1662) chiede che il suo
corpo sia posto in una bara, scoperto «con una pietra sopra»;
presenti alle esequie saranno il Capitolo della Cattedrale di
Napoli al completo, i preti dell'Annuniziaita (chiesa in cui chiede
di essere sepolto), i padri riformati della Croce, i Cappuccini
scalzi41. Il Capitolo è domandato ancora da Luigi Vincenzo di
Capua (anni Venti del Seicento), da Fabrizio di Capua (1625), da
Bartolomeo di Capua (1691), dia Petraicoone Caracciolo nel
1703 . . . 42. La richiesta dell'intervento dei Capitolo al completo, di
tutte le confraj terni te, dei fraiti di tutti i conventi permette meno
di rilevare scelte di carattere devozionale ed esprime piuttosto
attraverso la pompa di funerali grandiosi Ila ricerca di segni di
riconoscimento del proprio status sociale privilegiado.
Il funerale nobiliare ci appare ora più scopertamente uno
strumento importante di organizzazione del potere simbolico,
come potere riconosciuto

di far vedere e di fare credere, di confermare o trasformare la visione del mondo


e in tal modo l'azione sul mondo, potere quasi magico che permette di ottenere
l'equivalente di ciò che si ottiene con la forza (fisica o economica) grazie
all'effetto specifico della mobilitazione 43 .

Storicamente l'esigenza di un'ultima sanzione può forse met-

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Corpo e sepoltura nei testamenti della nobiltà napoletana 593

tersi in rapporto alila nuova ansia di affermazione del ceto


aristoaratioo scosso dalla Rivoluzione di Masaniello. Reazione
nobiliaire che ha altri aspetti non meno importanti ¡nella genera-
lizzazione di istituti giuridici quelli il fedeoommesso, nella politica
matrimoniale che diviene rigidamente esclusiva, nel fenomeno
ancora oscuro ma che ora assume grosse proporzioni del bandi-
tismo feudale. Una nobiltà minacciata, meno devota, che si arroc-
ca nel privilegio, nell'opulenza del cerimoniale.
Nel tournant tra diciassettesimo e diciottesimo secolo certi
mutamenti di attitudine verso la morte sono del resto generali e
anche in parte noti. Per il Mezzogiorno d'Itailia, nella sua ricerca
sui libri dei morti del Cilento, Francesco Volpe ha notato che il
numero dei morti senza testamento aumenta in marniera impor-
tante alla fine del Seicento 44 . G. De Rosa ha sottolineato come nel
diciottesimo secolo le forme di resistenza alla Chiesa diventano
ancora più frequenti:

L'aspetto patrimoniale della morte si secolarizza . . non fa più parte del


rapporto con la Chiesa. Non c'è rottura tra i due ma è chiaro che la gestione
della morte non viene più rimessa nelle mani del clero ... 45 .

I testamenti aristocratici del Settecento contengono sul pro-


blema delle esequie istruzioni moilto meno dettagliate. A volte,
talli clausöle sono del tutto assenti. Nel 1703, Giovan Battista
Caracciolo, fratello del duca di Martina, chiede che il suo cadave-
re «senza pompa alcuna sia seppellito in quella chiesa che più
parrà all'esecutore del testamento. Interrogato se volesse lasciare
qualcosa alle opere pie, rispose di no»46. Nel 1731, Maria Luisa
Caracciolo affida a suo figlio Aniello Muscettola, conte di Picerno
l'organizzazione delle esequie ordinandogli di vendere i suoi «ar-
genti» per sostenerne le spese47. Anche Beatrice Muscettola, prin-
cipessa dá Durazzano, nel 1757 prescrive che il suo corpo sia
seppellito dove e come vorrà il suo erede 48 . Aloisio Riggio B ranci-
forte, principe di Campofiorido scrive nel suo testamento del
1757: «comando che il mio cadavere sd seppellisca con quell'abito,
quella pompa e funerali ben visti a mio figlio che allora si
troverà presente nel luogo della morte»49. Aniello Muscettola nel
1758 chiede ««le solite esequie» 50 . Luigi Saniseverino nel 1759 lascia
istruzioni dettagliate sulle messe (30.000 messe in suffragio della
sua anima), ordina la distribuzione di 300 ducati di elemosina ai
poveri della sua signoria feudale di Calabria, ma niente precisa
sullo svolgimento della cerimonia funebre51. Nel 1769, il principe
di Troia Nicolò d'Aquino d'Avalos esprime la volontà che il suo

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594 Maria Antonietta Visceglia

cadavere sia seppellito nel monastero di Santa Maria di Costanti-


nopoli dei Cappuccini a Montesarchio e per le esequie «si affida
interamente alle disposizioni di Giovanna Caracciolo principessa
di Montesarchio» 52 . Nel 1776, il principe Nicolò Sergio Muscettola
non lascia alcuna disposizione sui funerali. Semplicemente scrive:

se morissi lontano dalla mia consorte e dai miei amati figlioli senza potere
riabbracciarli, restringendo tutta l'anima mia in una tenerezza affettuosa, li
benedico e chiedo che il Signore li benedica dal cielo e crescano nel suo timore e
abbondino di quei beni che possano costituirli felicissimi in questo mondo.

Domanda infine ai suoi eredi di celebrane mile messe in


suffragio e di distribuiré 500 ducati di elemosina ai poveri dei
feudi 53.

Il riferimento ai poveri della capitale sparisce nei testamenti


nobiliari del Settecento; sono ora i poveri della signoria feudale
di appartenenza dell defunto che usufruiscono delia sua benefi-
cenza. Come vedremo d'altra parte, è nelle «terre» infeudate che
il Signore chiede prevalentemente di essere sepolto. La scena
aristocratica ha dunque mutato di teaitro.
Altre clausole sull'interramento compaiono per la prima volta
nella svolta tra diciottesimo e diciannovesimo secolo: quella ad
esempio sull'intervallo da osservare tra la morte e la sepoltura
Così, Francesco Antonio Ruffo, principe di Scilla, che testa nel
1803, proibisce al suo erede ogni pompa funebre e chiede

solamente che non si faccia seppellire il cadavere che passati tre giorni dopo la
morte. A quai fine voglio che si apra il testamento prima che il cadavere vada in
Chiesa 54.

Vorrei a questo proposito sottolineare che questo è uno dei


pochissimi testamenti in cui emerge quella paura di essere sepol-
ti vivi su cui a lungo si è soffermato P. Ariès come una costante
quasi metasitorica dell'atteggiamento dell'uomo di fronte alla
morte. Nei testamenti precedenti non abbiamo trovato, quasi
mai, prescrizioni particolari siuM'anitervallo temporale che deve
intercorrere tra il decesso e l'interramento; anzi in qualche
testamento cinquecentesco si legge un'indicazione di questo tipo:
«corpus suum die soi obitus seppeUiri jussit».
Tra '500 e '700 un mutamento radicale di attitudine di fronte
all'immagine del proprio corpo morto si è dunque verificato.
L'espressione ormai corrente, «rimetto airea la pompa all'arbitrio
del mio erede», può essere indicativa di un certo disinteresse per

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Corpo e sepoltura nei testamenti della nobiltà napoletana 595

il rituale dell'accompagnamento del corpo, il peso della cui scelta


si fa ricadere sugli eredi, ma può anche provare un'evoluzione
della sensibilità aristocratica verso forme di religiosità più razio-
nali ed interiorizzate. Essa è comunque significativa della tenden-
za a riappropriarsi delle scelte inerenti aillo svolgimento delle
esequie, privatizzandole e sottraendola alla gestione congiunta del
gruppo parentale e delle istituzioni ecclesiastiche.
Da un lato, come sottolineava Ariès 55 e come indagini specifi-
che sui contratti di matrimonio confermano, tra XVII e XVIII
sec. il processo di evoluzione verso ima famiglia più ristretta e
più vicina alla famiglia moderna segna una tappa fondamentale:
considerazione che può contribuire a spiegare la scomparsa delle
prescrizioni sul lutto della servitù, del riferimento agli esecutori
testamentari ed il rinvio nelle dichiarazioni di volontà sul ceri-
moniale funebre al solo coniuge e al solo erede (figlio/a).
D'altra parte i rapporti complessivi tra ceto nobiliare ed
istituzioni ecclesiastiche sono profondamente mutati: alla stretta
solidarietà socio^eoonomica che legava nobili e chiesa nel sedice-
simo e diciassettesimo secolo è ora subentrata una forma di
concorrenzialità della nobiltà verso il clero soprattutto riguardo
al possesso delle terre ecclesiastiche. E la questione della pro-
prietà ecclesiastica, della sua destiniamone e del suo uso diviene,
per usare le parole di G. Gal/asso, «il problema nazionale del
Regno di Napoli nel Settecento»56.
Infine, l'assenza in quasi tutti i testamenti del Settecento di
clausole sulle esequie che richiamino il cerimoniale barocco della
fase anteriore, se prova una mutata attitudine individuale, non
credo sia sufficiente per farci ipotizzare un'effettiva scomparsa
della pratica delle pompe barocche che sarà stata comunque più
tardiva: ma solo il ricorso ad altre foniti (cronache cittadine, libri
di famiglia), potrebbe permetterai di misurare il peso del con-
formismo sociale ned comportamenti dall'aristocrazia napoletana
del Settecento.

3. DOVE E CON CHI SEPPELLIRSI

Un'altra indicazione di notevole interesse che ci viene dai


testamenti nobiliari è quella relativa al luogo di sepoltura. La vo-
lontà del testante infatti si manifesta non solo sul come presentare
il corpo morto e sul come accompagnarlo, ma anche sul come e
sul dove seppellirlo. Anzi il luogo di sepoltura interessa i testanti
ancor più del cerimoniale delle esequie; difficilmente su questo

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596 Maria Antonietta Visceglia

punto ci si rimette alla volontà dell'erede. In La Mort à Paris ,


P. Chaunu ha sottolineato, per quanto riguarda l'elezione del
luogo di sepoltura nella Francia d'Ancien Regime, il dualismo tra
Paiiigi ove anche l'élite sociale sceglie la chiesa parrocchiale,
anticipando così un carattere che la Riforma cattolica rafforzerà,
e la Francia meridionale dove i notabili preferiscono largamente i
conventi57. Per la Provenza, la ricerca di M. Vovelle aveva già
ampiamente provato quest'ultima tendenza. I sondaggi fin ad ora
compiuti su alcune situazioni-oampioaie dell'Italia del sud (Trani,
Taranto, Bitonto, centri urbani di medio-grandi dimensioni carat-
terizzati dalla presenza di una certa articolazione sociale e di un
nucleo di patriziato cittadino anche di antica tradizione), confer-
mano una tendenza generale verso conventi francescani e dome-
nicani e verso le chiese consacrate al culto mariano, soprattutto
nel '500 e '600 58.
Le scelte della grande nobiltà sono molto più complesse e
obbediscono a condizionamenti molteplici: influenza della fami-
glila di appartenenza, delle famiglie alleate, della politica generale
del gruppo nobiliaire.
G. Labrot, nel suo recente lavoro sudile residenze nobiliari a
Napoli tra '500 e '600 ha efficacemente mostrato la specificità
dell 'essere nello spazio del grande barone napoletano che si
manifesta anzitutto nella molteplicità delle dimore signorili: il
castello, il palazzo a Napoli, il palazzo nel feudo. La vita aristo-
cratica si snoda in un andirivieni febbrile itra capitale e residenze
di provincia, spesso diverse in proporzione al numero delle signo-
rie feudali variamente dislocate59. In questa stessa ottica, credo
vada correttamente impostato il problema del «dove seppellirsi».
Gli stessi testamenti offrono molteplici indicazioni in questo
senso: in molti di essi, infatti, si prevedono più luoghi di sepoltu-
ra. Così ad esempio, Tommaso Garafa, conte di Maddaloni (1520)
non deroga dalla tradizione di famiglia di essere sepolti a S.
Domenico Maggiore a Napoli, ma prevede un sepolcro «tempora-
neo» nella Chiesa dell'Annunziata di Maddaloni alila quale la Casa
comitale sembra molto legata60. Ancora Francesco Caracciolo
(1609), chiede di essere seppellito all'Annunziata niella cappella di
famiglia, se muore a Napoli e in una chiesa francescana, se
muore in qualsiasi altro luogo61. Luigi Sansieverino nel 1645 chie-
de di essere sepolto, se morirà ad Altomonte, nella chiesa dei
domenicani e se morirà a Bisignano, nel vescovado62. Maria
Ruffo, principessa di Scilla chiede di essere seppellita all'Arcive-
scovado se morirà a Napoli oppure a Scilla nella chiesa del
Monastero dei Padri degli Infermi da lei fondato e che:

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Corpo e sepoltura nei testamenti della nobiltà napoletana 597

il corpo debba porsi in quel luogo dove porrà il piede il sacerdote che celebrerà
la messa sull'altare 63 .

Margherita Ruffo domanda di esser sepolta a Nicotera nella


cappella ddl'Immacoliata Concezione nella chiesa di Santa Maria
delle Grazie e di essere poi «con comodità dell'erede» trasportata
a Napoli nella cappella del Crocifisso all'Arcivescovado M. Nel 1759
Luigi Sanseverino scrive di volere essere seppellito nella chiesa
dei Cappuccini se muore ad Acri, neilla chiesa di San Francesco di
Plaola nella tomba della figlia Margherita se muore a Bisignano,
al Gesù Nuovo se muore a Napoli65.
Tiriamo alcune conclusioni. Una prima analisi dell'indicazione
del luogo di sepoltura mostra che le preferenze aristocratiche
sembrano orientarsi talora verso la capitale, talora verso i feudi;
non casualmente, ma secondo una periodizzazione precisa. Infatti,
a parte eccezioni particolari, e comunque sempre motivate, du-
rante il XVI e il XVII sec. i membri delle 11 famiglie aristocrati-
che studiate riconoscono nella capitale la sede ad essi più confà-
conte anche dopo la morte. Fissiamo dunque l'attenzione su
Napoli.
I daiti ricavati dalla lettura congiunta dei testamenti, della
cinquecentesca Descrizione dei luoghi sacri della città di Napoli
di P. de Stefano e di quella posteriore del d'Engenio66 ci permet-
tono di disegnare un quadro abbastanza preciso dell'ubicazione
delle sepolture nobiliari nel XVI e XVII secolo.
Significativa è già l'enumerazione delle cappelle della Catte-
drale: l'antica cappèlla dei Filomarino, dei Carbone, dei Guindac-
ci, dei Crispano, la celebre cappella Minutoio intitolata a S.
Anastasia, la cappella dei Tocco a destra dell'altare Maggiore
sotto il titolo di S. Aspreno, la cappella dei Caracciolo-Rossi, dei
Capece-Sconditi, dei Sdipanilo, dei Piscicelli. . . Assai importante
ci pare sottolineare che tutte queste famiglie, autentico Gotha
dell'aristocrazia napoletana, appartengono al Seggio di Capuana.
Questo primo indizio dell'esistenza di un rapporto preciso tra
dislocazione delle cappelle e appartenenza ad imo dei seggi della
capitale è confermata dalla descrizione degli edifici delle 4 par-
rocchie antiche di Napoli67. Nella Chiesa di Santa Maria di
Portanova, nel seggio omonimo, ritroviamo le cappelle delle fa-
miglie Moccia, Monticelli, d'Anna, Cicara, Frangipane, Mormile,
tutte del Seggio di Portanova68; nella Chiesa di San Giovanni
Maggiore (ndl Seggio di Porto), uno dei più antichi complessi
religiosi di Napoli, le cappelle dei Colonna e dei Dura, famiglie del
Seggio di Porto. . .

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598 Maria Antonietta Visceglia

Si delinea un processo di appropriazione dello spazio eccle-


siastico secondo una regola precisa: i Seggi sono vere roccaforti
poMtico^mministrative della nobiltà (feudale e non) da tempo
insediata nella Capitale, strumento di controllo della vita cittadi-
na anche in molte manifestazioni religiose69. L'appartenenza a
questi organismi oligarchici e chiusi delinea una vera frontiera
all'interno dello stesso gruppo aristocratico.
Il primo dato che emerge nella ricostruzione della distribu-
zione delle sepolture nobiliari e cioè la loro dislocazione per
gruppi di famiglie facenti parte di uno stesso Seggio ci pare
venga confermato anche dall'analisi delle sepolture nobiliari in
alcuni grandi complessi conventuali.
Al Mercato vecchio nell'antico convento francescano di San
Lorenzo (Seggio di Montagna) si concentrano le cappelle dei
nobili di quel seggio: a destra dell'altare maggiore la cappella dei
Rocco, e ancora la cappella dei Serignano, dei Ciamelli, dei
Poderico, dei iPignana, dei Carmignano. . .
Sant'Agostino alla Selleria (Seggio di Portanova) ospita le
cappelle dei Gattoii di Portanova, dei Cecina, dei d'Agnese, dei
MirobaHo. Le insegne dei Mirobalio, che alla Selleria posseggono
numerosi edifici, sono persino scolpite sulla porta della Chiesa70.
Nel Monastero di San Domenico Maggiore (Seggio di Nido)
ritroviamo le cappelle dei Carafa, dei Brancaccio, della famiglia
del Doce, dei Gesualdo, dei Riccia, degli Spina, dei Tomacelli,
degli Spinelli, degli Orsini di Gravina. . . in generale delle famiglie
più rappresentative del Sedile di Nido. Al domenicano Raffaele
M. Valle, che nel 1854 scriverà la storia della Chiesa di San
Domenico, non sfuggirà questa corrispondenza:

quasi tutti i Cavalieri del Nido avevano un sepolcro in questa Chiesa e non rade
volte si riunivano per discutere affari di nobiltà71.

Ma un'analisi più puntuale delle cappelle di San Domenico


permette ancora di notare come i Brancaccio e, ancora più
vistosamente, i Carafa sono rappresentati in tutti i loro rami . La
linea più antica dei Brancaccio ha da!l 1300 il patronato della
cappella di Santa Maria Maddalena, i Brancaccio del Cardinale
sono sepolti dal quindicesimo secolo nella cappella contigua ,
quella di San Raimondo di Peñafort appartenuta in epoca ante-
riore ai Gaittoli, i Brancaccio detti «gli Imbriachi» nella cappella
di San Domenico. Parallelamente, i Carafa hanno il patronato di
una cappella per ogni branche del lignaggio: la cappella di San
Martino è antico patronato dei Carafa di Santa Severina, l'altare

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Corpo e sepoltura nei testamenti della nobiltà napoletana 599

della Resurrezione dei Garafa di Monitorio, la cappella di San


Domenico Soriano appartiene ai Garafa di Maddaloni, la cappella
del Rosario, a destra dell'alitare maggiore, ai Carafa della Spina,
principi di Stigliano che l'acquistarono dai conti di Montalto
(Ruffo), la cappella di Santo Stefano dial 1500 è patronato dei
Carafa conti di Ariano, la cappella di San Giovanni Evangelista
dei Carafa di Malizia. Il Monastero di San Domenico è in gran
parte occupato dalle cappelle dei Carafa. Una presenza così
compatta in un solo edificio ecclesiastico, anche se non è riscon-
trata per tutte le famiglie organizzate in lignaggi (pensiamo
soprattutto ai Caracciolo seppelliti in diverse chiese e conventi,
ma occorrerebbe approfondire se i Caracciolo non erano piutto-
sto struttuiraiti in più lignaggi), è un dato che merita di essere
sottolineato come la prova della permanenza di una struttura
unitaria di una grande famiglia che pure sembra all'inizio dell'età
moderna avere possessi feudali ed interessi economici ormai
completamente distinti72. La stessa osservazione potrebbe farsi
per gruppi di famiglie alleate: è forse casuale che i membri di
alcune famiglie del patriziato raveUlese - Musoettola, Bonito,
Acconciaioco, Frezza, strettamente imparentate tra loro e legate
da solidarietà e vincoli economica - siano tutti seppelliti a San
Domenico?
La Cattedrale, S. Domenico, insieme al convento francescano
di San Lorenzo ed al monastero agostiniano alla Selleria sono le
Chiese in cui ritroviamo le più antiche cappelle aristocratiche,
molte delle quali di jus patronato di famiglie ormai estinte
aU'inizio dell'età moderna. La «fortuna» delle Chiese rinascimen-
tali di Santa Maria la Nova, di San Severino e Sossio, di Monteo-
liveto, se è certamente legata al rafforzamento della presenza
francescana e benedettina, è pure da porre in rapporto al proces-
so di ristrutturazione e parziale rinnovamento che investe l'ari-
stocrazia feudale del Mezzogiorno d'Italia tra l'età aragonese ed il
Viceregno.
Famiglie della «nuova» e «vecchia» nobiltà occupano insieme
questi importanti complessi ecdesdastioi: nel convento francesca-
no di Santa Maria la Nova (Seggio di Porto) ritroviamo le
cappelle dei Bandone, dei Castriota, dei Macedonio; nel monaste-
ro benedettino di San Severino e Sossio (Seggio di Montagna) e
di Monteoliveto 73 si fanno seppellire rispettivamente (a S. Severi-
no) i Grimaldi, i Giordana, i Bonifacio, i de Costanzo, i Maranta, i
Sanseverino, e (a Monteoliveto) i Ligoria, i Riccia, i Canaviglia, i
d'Avalos, i Piccolomiini duchi di Amalfi. . .
Nel corso del '400 e '500 infine, in concomitanza con la

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600 Maria Antonietta Visceglia

crescita demografica di alcuni gruppi di famiglie aris


si moltiplicano le cappelle nobiliari in amtichd edifìci
Così la chiesa angioina del monastero dei Riformati di Sant'A-
gostino a San Giovanni a Carbonara (Seggio di Capuana) diventa
la Chiesa di elezione di alcune branches della famiglia Caracciolo.
A destra dell'altare Maggiore, i Caracciolo di Brienza occupano
l'antica cappella di Lucrezia del Balzo; i Caracciolo di Vico vi
costruiscono all'inizio del '500 una bella e superba cappella a
fianco di quella dei Caracciolo-Pisquizi in cui è sepolto Sergianni
Caracciolo; i Caracciolo di Santeramo ottengono il jus patronato
della cappella che sorge nella sagrestia della Chiesa. S. Giovanni
ospita ancora le sepolture dei Miirobaillo che vi restaurano e
abbelliscono la loro Cappella e dei Senipando che preferiscono la
Chiesa agostiniana alla Cattedrale74.
D'altra parte all'Annunziaita legano il loro nome i Capece, i
Sanees marchesi di Grottole, i Caracciolo di Oppido, i Galeota
che hanno la loro cappella a destra dell'altare maggiore, i della
Marra, i di Somma. . .
Con un'espansione progressiva lo spazio mortuario si dilata
proprio nella zona (il quartiere di Forcella) investita nella prima
metà del Cinquecento da un processo di ristrutturazione e valo-
rizzazione al quale l'aristocrazia è anche economicamente interes-
sata 75.
Quest'ampliamento spaziale non modifica il dato qualitativo
che la preferenza aristocratica esprime; sono sempre conventi e
monasteri ad esercitante la più forte attrattiva: le loro mura
proteggono, separano, isolano. . .
L'immagine dell'appropriazione aristocratica dello spazio ec-
clesiastico può essere completata dall'analisi della dislocazione
nella città di alcune cappelle di jus patronato. Nel Seggio di
Capuana, i Minútelo hanno la cappella di Sanť Aniello al vicolo
delle Cite, di Santa Maria delle Stelle e di San Pietro «all'incon-
tro di detto Seggio proprio sotto il palazzo del Magnifico Ettore
Minutolo». I Capece hanno la cappella di San Paolo, posta «muro
a muro col Seggio di Capuana», i Filomarini le cappelle di Santa
Maria di Mezzo-Agosto e di Santa Maria del Pozzo, i di Capua
d'Altavilla, accanto al loro palazzo, la cappella di San Gennariello
a San Lorenzo ove consentono anche ai clienti della loro famiglia
di farsi seppellire.
Nel Seggio di Nido, i Cairafa hanno la cappella di San
Bartolomeo, a fianco di palazzo Pinelli, e di Santa Maria della
Neve, «sorta proprio sul monastero di San Severino» (quindi di
fronte al palazzo dei Carafa di Andria); i Pignatelli la cappella di

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Corpo e sepoltura nei testamenti della nobiltà napoletana 601

Santa Mania dei FigmaitelILi da essi «sempre posseduta», edificato


di fronte al Seggio di appartenenza 76 .
A Porta Nova, i d'Afflitto hanno la cappella di Santa Maria
degli Afflitti, i Mocci di San Giovanni Battista, i Miroballo «accan-
to al loro palazzo nella piazza detta Miroballo», la cappella di
Santa Manila della Neve.
Nell'area corri spandente al Seggio di Porto, le cappelle ari-
stocratiche sono meno numerose: tuttavia, i Pappacoda vi hanno
la cappella di San Giovanni Evangelista, gli Angrisani la cappella
di Santa Mania a Mane, i Sanseverino la cappella inititolaita a
Santa Margherita77.
Quesiti dati confermano le linee di tendenza che già si eviden-
ziavano nell'analisi delle sepolture all'interno dei grandi edifici
ecclesiastici:
1. la coincidenza generale anche se non necessaria tra ubica-
zione della cappdlla e Seggio di appantenenza. Del resto, alcune
cappelle appartenute a famiglie di nobiltà di Seggio prima diel
Cinquecento sono divenute secondo la Descrizione del Di Stefano
Jus patronato di «tutti i nobili del Seggio stesso», quando la
famiglia si è estinta. Anche per una definizione della nozione di
proprietà in una precisa epoca storica, ci pare linteres sante notare
l'ambiguità, ancora nel sedicesimo secolo, tra possesso familiare e
controllo del Seggio.
2. la concentrazione delle cappelle gentilizie in alcuni quartie-
ri della città, in quell'area urbana che Cesare de' Seta ha identifi-
cato con la zona di più antico insediamento aristocratico78, cor-
rispondente ai Seggi di Capuana e Nido, rispetto ai quali già più
periferiche erano le aree dei Sedili di Porta Nova e Porto. D'altra
parte, come le cappelle neüle chiese si situano disorganicamente
sul corpo originario dell'edificio 19 , così le cappelle di jus patrona-
to sorgono spesso a ridosso dei grandi palazzi senza alcuna
coerenza architettonica. Il percorso del convoglio funebre si sno-
da così, attraverso piazze e vicoli che fanno tutt'uno con le
dimore nobiliari e che delle famiglie nobili portano il nome o
attraverso passaggi diretti tra palazzo e cappella.
La grande novità che la Controriforma introduce nella dislo-
cazione delle sepolture aristocratiche è la preferenza accordata
nel diciassettesimo secolo da molti esponenti del ceto nobiliare
alla Compagnia di Gesù, preferenza che va messa in relazione al
calo dell'influenza dei francescani, al vero e proprio monopolio
che i Gesuiti soprattutto col favore del Conte di Oriate ebbero
nella vita culturale della città80. Dato specifico napoletano. Al
contrario, a Marsiglia le ricerche di Vovelle hanno mostrato che i

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602 Maria Antonietta Visceglia

Gesuiti non figurano nella statistica dei dodici ordini preferiti e


non ricevono sepolture e beneficiano di un numero di messe
limitato 81. Tornando a Napoli, presso i Gesuiti chiedono di essere
seppelliti i Sanseverino a partire dal 1600, alcuni dei di Capua
(soprattutto le donne), i Caracciolo di Brienza, gli Spinelli, i Ruffo
di Scilla a partire dai 1632, i Gesuaildo nella bellissima cappella
intitolata a Sant'Ignazio che Carlo Gesualdo fonda agli inizi del
'600. . .
I testamenti del '700 per quanto riguarda le sepolture nella
Capitale, ben poco aggiungono a questo quadro: essi invece
mostrano, come si è più volte sottolineato, una tendenza a
prediligere come luogo di sepoltura i feudi piuttosto che Napoli.
È un segno dello sgretolamento del sistema di gerarchizzazione
dello spazio della capitale per gruppi di famiglie facenti parte di
uno stesso Seggio che prevale nel '5-'600? È un punto ancora da
approfondire. Ma credo si possa intravedere in questo mutato
orientamento dell 'ari stocrazia, anche la conseguenza della tra-
sformazione radicale del quadro poMtiiooiistituzionale: finita l'e-
poca del Viceregno, cMla Napoli borbonica che vede emergere
nuove élites economiche, legate allo sviluppo delle attività mer-
cantili, e nuovi gruppi politici, legati al formarsi di più efficienti
strutture amministrative, il ceto nobiliare si allontana frequen-
temente per tornare a vivere nel feudo la cui gestione economica
è ora seguita con attenzione puntuale, con minuzia tecnica.
Qual è infinte la dislocazione dei corpi all'interno della cappel-
la di famiglia? I diati dei testamenti, purtroppo avari di precisa-
zioni di questo tipo e un primo aipproccio ad uno studio delle
lapidi offrono alcune interessanti indicazioni. L'abbinamento più
frequente ci paire sia padre-figlio, madre-figlia. Così, Francesco di
Capua, nel 1480 chiede di essere seppellito «insieme alle ossa del
padre». Luigi, nel 1550

con le ossa di mio padre al quale si debbono aggiungere un anno dopo quelle del
piccolo Bartolomeo, il primogenito morto bambino 82.

Bartolomeo Caracciolo nel 1633 chiede che il suo corpo si


ponga con la testa sotto i piedi del padre Carlo83. Nel 1683
Tiberio Ruffo, principe di Palazzuolo chiede di essere sepolto
accanto ad entrambi i suoi genitori84.
D'altra parte Beatrice Branciforte Santa-Pau (1549) chiede di
essere sepolta (insieme al corpo di Elisabetta sua sorella e alla
madre Isabella di Branciforte in uno stesso «tabuto»85. Nella
Chiesa dell'Annunziata Beatrice de Cordova, figlia del Viceré

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Corpo e sepoltura nei testamenti della nobiltà napoletana 503

Raimondo, si fa seppellire insieme alla madre . Isabella de Re-


querís (1535); Eleonora Filomarini, nel 1573 con la figlia Lucrezia
Caracciolo. . .
Evidentemente una ricerca sistematica sulla collocazione dei
corpi nelle cappelle di famiglia è ancora da fare, ma pensiamo sia
già interessante constatare che il vincolo coniugale non si afferma
come quello prioritario. Le chiare volontà espresse in molti
testamenti di nobildorme napoletane, mostrano infatti che anche
quando la donna non indica come preferenziale il sepolcro ma-
terno, sceglie comunque la cappella della famiglia d'origine Nel
1512, Isabella Rota moglie di Cola Minutolo si fa seppellire
insieme ai Rota nella cappella di famiglia intitolata a Sain Gio-
vanni Battista a San Domenico Maggiore88. Nel 1516, Eleonora
Cautelino chiede che il suo corpo sia seppellito a Popoli nella
chiesa di Sein Francesco insieme a suo fratello, conte di Popoli e
questo anche se il corpo di Giordano Orsini, suo marito, è sepolto
nella chiesa di San Lorenzo a Napoli Nel 1575, Giovanna Orsini,
contessa di Altavilla chiede di essere seppellita nella chiesa
francescana di Santa Maria la Nova sotto l'altare del beato
Jacopo e «che nella quale sepoltura non sia seppellita nessun'al-
tra persona»90. Giovanna di Capua nel 1618 chiede di essere
deposta nella cappella del conte Giovanni suo padre91.
Queste decisioni ci offrono un indizio interessante per risalire
al problema più generale che crediamo qui vada posto della
specificità delle strategie testamentarie femminili.
Escluse dalla successione feudale, le aristooraitiche testano
più raramente - nelle famiglie prese in considerazione i testa-
menti delle donne rappresentano il 35% dei testamenti comples-
sivi92 - ma per esse l'atto testamentario ha una valenza più
personale. I cadetti vi sono sovente preferiti, le suppellettili, le
vesti, i gioielli, i libri sono destinati quasi esclusivamente ad altre
donne. Queste disposizioni illuminano una rete di solidarietà tra
donne che si estende spesso al di là della cerchia parentale coin-
volgendo dame di compagnia, balie, domestiche . . .
Il testamento femminile ci pare assolva perciò nel tessuto dei
ruoli interfamiiliari ad una funzione di riequilibrio delle strategie
complessive, nella misura in cui si rivolge a figure «minori»
trascurate nei testamenti maschili.
Evidentemente a monte delle scelte testamentarie femminili
c'è il problema che i contratti matrimoniali mettono più diretta-
mente a fuoco, dei limiti dalla facoltà della donna a disporre del
proprio patrimonio e dell'evoluzione del regime dotale.
Sulle quote dei patrimoni trasmesse attraverso le doti si

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esercita infatti un duplice controllo: della famiglia d'origine e


della famiglia acquisita, secondo rapporti di forza che cambiano
a vantaggio di quest'ultima tua XVI e XVII sec.
Nei limiti dei nostro discorso ci sembna fondamentale notare
come il potere del padre della sposa che i contratti dotali
mostrano ridursi considerevolmente nel XVI e XVII sec., perduri
più lungamente nelle scelte funerarie, attraverso la preferenza
che le donne accordano ancora a XVII siec. inoltrato al sepolcro
paterno.
Infine, la questione della dislocazione dei corpi nel sepolcro
familiare e quello più generale dell'utilizzazione della cappella,
all'interno di una famiglia o di un lignaggio, da parte dei suoi
membri (a chi è consentito accedere alla cappella privata? E per
quali ragioni?) ed paire vada inquadrata insieme al problema della
trasmissione ereditaria della cappella stessa. Nelle successioni, la
cappella veniva considerata sullo stesso piano dei beni feudali e
quindi trasmessa di primogenito in primogenito93. Come i beni
feudali si tende nelle famiglie strutturate a lignaggio a fare
passare, in caso di estinzione di un ramo, la cappella ad un altro
dei rami superstiti, solitamente quello con cui si hanno più
stretti vincoli di parentela. Ad esempio, la cappella intitolata a San
Martino di Tours, fondata nel 1508 nel convento di San Domenico
Maggiore da Andrea Carafa, conte di Santa Severina, passa alla
morte di costui nel 1526 a Federico Carafa del ramo dei marchesi
di San Lucido che vi fa eseguire importanti lavori nel 1569.
Giovanni Carafa nipote ed erede di Federico trasferisce il patro-
nato ai Carafa di Anzi che lo esercitano fino al 1718, cioè fino alla
data dell'estinzione del ramo maschile dei marchesi di Anzi.
Attraverso Giulia Garafa, unica erede di questa branche della
famiglia, il patronato passa ai Salluzzo, marchesi di Corigliano.
Ancora come per i beni feudali, il matrimonio della figlia rimasta
unica erede è una delle poche ragioni per cui «si cede» il
patronato di una cappella gentilizia, salvo a ricuperarlo nelle
generazioni successive attraverso un nuovo impairentamento. Gli
esempi sono numerosi e spiegano mutamenti del patronato che in
una storia esteriore potrebbero attribuirsi ad ipotetiche vendite.
Così, a San Domenico Maggiore attraverso il matrimonio con
Covella della Marra, Landolfo d'Aquino recupera nel sedicesimo
secolo il patronato della cappella di San Tommaso; la cappella
dei Tomacelli, Santa Caterina, passa ai Ruffo di Bagnara attra-
verso il matrimonio di Girolamo Tomacelli e Ippolita Ruffo; la
cappella della Santissima Annunziata dai duchi d 'Aderenza passa
all'inizio del diciottesimo secolo ai Pignaitelli attraverso il matri-

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Corpo e sepoltura nei testamenti della nobiltà napoletana 605

monio di Anna Pinelli Ravaschieri con Antonio Pignatelli, mar-


chese di San Vincenzo; per matrimonio la cappella di Saluto
Stefano dei Carafa conti di Ariano diviene patronato degli Spi-
nelli di Cariarti. . . La cappella di Santa Maria della Rosa nel
quindicesimo secolo patronato dei Maramaldo, nobili del Sedile di
Nido, passa ai Muscettola attraverso il matrimonio di Giovanella
Maramaldo con Giovanni Antonio Muscettola. Il loro figlio, Gio-
vanni Francesco, nel 1563 «dona» la cappella ai fratelli Villano del
Sedile di Montagna. Atto apparentemente eccentrico, ma che ha
una precisa motivazione nella politica generale che la famiglia
adotta in quegli anni: i fratelli Villano sono rispettivamente
marchese di Polla (Camillo), presidente della Sommaria (Fabri-
zio), reggente del Collaterale (Francesco Antonio), membri in-
fluenti del Sedile di Montagna al quale i Muscettola ottengano
l'aggregazione. Un secalo dopo, a metà '600, gl'i eredi di questo
ramo dei Muscettola, divenuti duchi di Spezzano, intenteranno
una causa contro la donazione ai Villano che si concluderà con il
recupero del patronato dàlia cappella.
Queste vicende mostrano che la cappella non è solo il luogo
delle devozioni religiose familiari, ma anche e soprattutto la sede
di un culto tutto laico della memoria dei loro fondatori, quasi un
prolungamento spaziale e temporale della dimora, terrena. La
cappella può essere indicata nel testamento come luogo delle
riunioni dei governatori dei Moniti di Famiglia, e può essere
inclusa nel fedecommesso. Nel testamento di Bartolomeo Carac-
ciolo (1633), si leggano le seguenti disposizioni circa la cappella di
famiglia all'Arcivescovado:

resti sempre nell'eredità familiare e se mai accadrà la detta mia cappella di


cadere, che si rifaccia con le stesse pitture per conservare la devozione e la
memoria di quelli che la fecero 94 .

Le decorazioni, i monumenti funebri sono nei testamenti


oggetto di istruzioni precise che rispondono spesso solo al biso-
gno di primeggiare rispetto alle altre famiglie del gruppo aristo-
cratico. Così, Giovanni Antonio Caracciolo (1546), conte di Oppi-
do, chiede nel suo testamento che dopo la sua morte

si commissioni una icona marmorea della natività gloriosa del Salvatore come
quella che è nella cappella del Duca di Amalfi nella chiesa di Monteoliveto e due
sepolcri marmorei, uno per mio padre l'altro per mia madre che si pongano dalli
due lati della cappella; il sepolcro di mio padre come quello di Galeazzo
Caracciolo, nella cappella del Marchese di Vico a San Giovanni a Carbonara, e il

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sepolcro di mia madre come quello fatto alla duchessa di Amalfi, D. Dianora di
Aragona a Monteoliveto e i sepolcri siano posti in terra con la cancellata di ferro
all'ingresso della cappella, una vetrata intomo alla finestra e il suolo di
marmo 95 .

Nel Monastero benedettino di Monteoliveto la cappella della


famiglia del Pezzo «fu fatta» - ci precisa il d'Engenio - «a
concorrenza di quella della famiglia Ligorio»96. La necessità di
imitarsi anche nella celebrazione della morte porta dunque a
riprodurre gli stessi moduli stilistici.
All'interno di questa ottica non meraviglia che la morte
venga considerata un'occasione per narrare la storia della fami-
glia e per ravvivarne lo splendore. La lapide a Giovan Battista
Tocco (1627) nella cappella di SanťAspreno all'Arcivescovado
riassume l'intera vicenda patrimonialle della famiglia, la storia del
privilegio concesso da Filippo IV di richiamare i signori di
Refrancore in Lombardia nella successione dei feudi napoletani.
Un secolo dopo, Leonardo Tocco (1750) farà rifare tutte le pitture
della cappèlla di SanťAspreno daili 'Andreoli, discepolo del Soli-
mena «per accrescere l'antica potenza della Casa»97. Infine, il
monumento funebre deve illustrare le parentele e le alleanze
matrimoniali della famiglia. Leggiamo l'interessante descrizione
del sepolcro di Gaspare d'Aquino (1530): «lateralmente sono due
pilastrini, e nel riquadro del fusto di essi sono posti due scudi
convessi in un cartoccio. Quello che è a destra. . . rappresenta i
due cognomi della madre di lui (l'arma della Casa della Marra) e
dell'avola paterna (la stella a sedici raggi della famiglia del Balzo
e del cornetto del principato di Oranges che suole inquartarsi
nello scudo dei nobilissimi del Balzo). Nell'altro scudo a sinistra,
che appartiene alla genia paterna, si vede la parte destra quadri-
partita dalle bande di Casa d'Aquino e dal leone a due colori e
rampante della Casa di GiovaneUa del Borgo contessa di Monte-
risio maritata con Francesco d'Aquino conte di Loreto, la quale
era figlia della marchesa di Pescara e con questo matrimonio
entrando in contado di Monteiùsio in Casa d'Aquino fu inquartato
anche lo stemma; per compimento è ripetuta nella sinistra l'arma
della famiglia della Marra» 98. «Per compimento. . .» la cappella
era tornata ai d'Aquino attraverso Covella della Marra.
Niente dunque è casuale: tutto nell'iconografia funeraria
sembra rispondere a regole precise. Così, è forse una coincidenza
che la tendenza ad imparentarsi con quattro famiglie aristocrati-
che, riscontrabile attraverso l'analisi dei contratti di matrimo-
nio, sia confermata dalla constatazione che nei sepolcri nobiliari

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Corpo e sepoltura nei testamenti della nobiltà napoletana 607

frequentemente sono scolpiti quattro stemmi? Nella cappella di


San Giovanni Battista (chiesa di San Domenico), Giovan Battista
Rota, «di queste regole molto intendente», fa scolpire sulla lapide
alla moglie, Vincenza Caracciolo, morta nel 1601, le insegne del
parentado della defunta nei quattro angoli di pietra99. Giovan
Vincenzo di Capua (anni Venti del Seicento) chiede nel suo
testamento: «un ornamento di marmi purissimi nel quale si faccia
scolpire la mia impresa nell'elemento del fuoco e si facciano gli
scudi colle arme dei Carafa, dei Caracciolo, degli Orsini, degli
Spinelli»100. La splendida serie dei contratti matrimoniali dei di
Capua conservati dal '4 all'800 mostra appunto, in un arco pluri-
secolare, il regolare scandirsi dei matrimoni con i membri delle
famiglie citate. Il sepolcro mostra e insieme pietrifica la memoria
genealogica.
Maria Antonietta Visceglia
Université de Provence

NOTE AL TESTO

* Quest'articolo è il testo di una relazione presentata al colloquio franco-ita-


liano tenutosi ad Aix-en-Provence il 24-25 aprile 1980, organizzato dal Centre
d'études italiennes sul tema La représentation du corps dans la culture italienne.
1 P. Chaunu, La mort à Paris (16e-î7e-18e siècles), Paris, Fayard 1978, p. 224.
2 M. Vovelle, Piété baroque et déchristianisation en Provence au XV III e
siècle, 2a ed., Paris, Editions du Seuil 1978. Un'importante rassegna degli studi
sulla morte e dei problemi metodologici che essi sollevano è nel saggio dello
stesso Vovelle, Les attitudes devant la mort: problèmes de méthode, approches et
lectures différentes, in «Annales E.S.C.» 1976, n. 1, pp. 120-132. A parte il ricorso
alla storia seriale, le ricerche di Vovelle e Chaunu si collocano all'interno di
orizzonti teorici del tutto differenti. In Vovelle la «nozione interclassista di

mentalità collettiva» (C. Ginzburg) si scioglie nello studio specifico dell'attitudin


di classe nella pratica religiosa (cfr. ad esempio il saggio L'élite ou le mensonge
des mots in «Annales E.S.C.» IX (1974), n. 1, pp. 49-72). Non è comunque questa
l'occasione per im 'analitica comparazione tra i due modelli storiografici; riman-
diamo per una lucida messa a punto a L. Donvito, Ricerche e discussioni recenti
in Francia su un tema di storia della mentalità : gli atteggiamenti collettivi di
fronte alla morte in «Rivista di storia e letteratura religiosa» XIII (1977), pp.
376-389, e La mentalità collettiva come replica delle ideologie dominanti, ivi, XVI
(1980), pp. 90-95. Una discussione critica di alcuni lavori della storiografia
francese relativi agli atteggiamenti nei confronti della morte è nell'antologia a
cura di C. Russo, Società, chiesa e vita religiosa nell'Ancien Régime, Napoli,
Guida 1976.

3 Ph. Ariès, L'homme devant la mort, Paris, Editions du Seuil 1977, p. 188. P.

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608 Maria Antonietta Visceglia

Lebrun, Les hommes et la mort en Anjou aux XVIIe et XVIIIe siècles, Paris
Flammarion, p. 329.
4 Più precisamente scopo essenziale delle Costituzioni di Melfi era di stabilire
l'ampiezza della successione feudale vietando il passaggio dei beni alle linee
cugine e salvaguardando il controllo regio sull'insieme dei beni feudali del Regno
(cfr. N. Santamaria, I feudi, il diritto feudale e la loro storia nell'Italia
meridionale, Napoli 1881, rist. Forni ed., Bologna 1978, pp. 171-228).
5 In altro ambito uno studio esemplare del rapporto tra il quadro giuridico
formale, con le limitazioni che esso impone alla capacità di testare, e le
motivazioni personali e religiose dei testamenti è offerto dal recente studio di A.
Paravicini - Bagli ani, I testamenti dei cardinali del Duecento, Roma, Biblioteca
Valliceliana 1980.

6 Per un'analisi dell'evoluzione del modello successorio della nobiltà feudale

napoletana, mi permetto di rinviare al mio articolo in corso di stampa: Sistema


ereditario e strategia matrimoniale dell'aristocrazia feudale napoletana fra XVI e
XVIII sec., in Famiglia e società. Casi e modelli del Mezzogiorno d'Italia in età
moderna, a cura di G. Delille, G. Galasso, C. Russo, Napoli, Guida (in corso di
stampa).
7 Avendo adottato una prospettiva di ricerca volta a ricostruire l'evoluzione
dei comportamenti aristocratici attraverso l'esempio di singole famiglie, piuttosto
che utilizzare le fonti notarili che ci avrebbero fornito dati seriali più numerosi,
ma dispersi e non omogenei, abbiamo preferito servirci delle serie dei testamenti
conservate negli Archivi Privati. Le famiglie considerate appartengono tutte alla
nobiltà feudale titolata, una vera e propria élite nobiliare del Mezzogiorno in età
moderna. Occorrerà comunque verificare se le conclusioni che qui avanziamo
possono essere applicate anche alla piccola nobiltà provinciale e alla nobiltà di
toga. Le famiglie considerate sono le seguenti: 1. Sanseverino di Bisignano,
Archivio di Stato di Napoli (ASN), Archivio Sanseverino di Bisignano. 2. di Capua
d'Altavilla, ASN, Archivio Sanseverino di Bisignano (serie completa dei testamenti
dal '5 all' '800). 3. Firrao di Sant'Agata, ASN, Archivio Sanseverino di Bisignano.
4. Tocco di Montemiletto, ASN, Archivio Tocco di Montemiletto. 5. Carafa di Castel
San Lorenzo, ASN, Archivio Carafa di Castel San Lorenzo. 6. Muscettola di Lepora-
no, ASN, Archivio Giudice Caracciolo. 7. Ruffo di Scilla, ASN, Archivio Ruffo di
Scilla (serie completa dal '5 all'800). 8. Masóla di Trentola, ASN, Archivio Masóla di
Trentola. 9. Caracciolo di Brienza, ASN, Archivio Caracciolo di Brienza. 10. Carafa
di Maddaloni, ASN, Archivio Caracciolo di Brienza. 11. Caracciolo di Martina,
Biblioteca comunale di Martina Franca (BCMF), Archivio Caracciolo de Sangro.
8 L'assenza di riferimenti precisi alle condizioni fisiche del testante è un dato
che emerge anche da ricerche più specifiche (cfr. P. Preto, Peste e società a
Venezia nel 1576, Vicenza, Neri Pozza, 1978). D'altro lato M. Vovelle sottolinea che
la clausola sullo stato di salute del testante anche se generica meriterebbe una
ricerca specifica. Un primo esame della situazione francese mostra un'opposizione
tra alcune zone (Parigi, le Alpi, la Corsica), caratterizzate dall'attitudine tradizio-
nale a testare in punto di morte e il midi cittadino (Aix, Avignone) che presenta
un'alta percentuale (60-75%) di testanti in buona salute (M. Vovelle, Les actes
notariés, Source de l'histoire sociale, XVIe et XIXe siècles, Strasbourg, Editions
d'Alsace Colmar 1979, ed. estr. p. 269).

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Corpo e sepoltura nei testamenti della nobiltà napoletana 609

9 J. Revel-J.P. Peter, Le corps: l'homme malade et son histoire , in Faire


l'histoire, vol. III, Nouveaux objets, a cura di J. Le Goff e P. Nora, Paris,
Gallimard 1975, pp. 171-179.
10 Biblioteca provinciale di Lecce, fondo manoscritti, ms. 85. Le stesse
considerazioni ritroviamo nel testamento di Barbara Carafa, duchessa di
Ayrola (1742): «... vedendomi gravata d'acciacchi e continue indisposizioni e
d'avanzata età ho stimato adesso che mi ritrovo per la di Dio grazia in retti sensi
e sana mente formare la mia ultima disposizione puntualmente da osservarsi ed
eseguirsi dopo la mia morte finché giammai nella successione nasca alcuna
contesa e disordine contro la mia volontà succeda» (ASN, Archivio Carafa di
Castel San Lorenzo, Inc. 4 fase. 7). La formula quasi identica è in alcuni
testamenti dei Caracciolo di Brienza. Cfr. quello di Imara Caracciolo (1737) -
«considerando lo stato fragile dell'umana vita e che non sia cosa più certa della
morte né più incerta della di Lei ora, temendo di morire ab intestato e che tra i
miei posteri e successori non insorga qualche litigio, ho determinato ora che, per
grazia del sig.re Iddio, mi ritrovo in buona mente e ne perfetti sensi di fare
siccome fo il presente mio ultimo testamento» (ASN, Archivio Caracciolo di
Brienza, fascio 4, fascicolo 52/b) - e quello di Teodora Alberti Ruffo (1758) -
«... sana per lo Dio grazia di mente, intelletto e volontà e nel mio retto senso
esistente considerando bene la certezza della morte e l'incertezza dell'ora della

medesima e che finalmente debbo lasciar questo mondo e pagare il tributo alla
natura della mortalità (sic), secondo l'indispensabile decreto di Dio Benedetto che
venero e adoro, ho stabilito e maturamente deliberato di fare come fo il presente
mio testamento in scriptis non meno per ovviare ai litigi che mai potessero
insorgere tra i miei eredi quanto che per provvedere al discarico della mia
coscienza e ai bisogni dell'anima mia» (ivi fase. 56/a).
11 Lo schema prevalente del testamento, con rare varianti, è il seguente:
1. Prologo - Considerazioni. 2. Invocazione religiosa. 3. Clausole sulla presentazio-
ne e sul trasporto del corpo. 4. Indicazione del luogo di sepoltura. 5. Clausole sul
patrimonio. 6. Lasciti a laici ed ecclesiastici, elemosine, doni.
12 Sono opportune alcune precisazioni:
a) L'invocazione non compare in alcuni testamenti della fine del XV sec. o
degli inizi del XVI;
b) il richiamo alla devozione mariana non è presente in tutti i testamenti del
primo '500. Manca ad esempio in quello di Antonio Muscettola (1530). Manca in
quello di Giovanni Antonio Caracciolo, conte di Oppido (1546), la cui invocazione è
tutta centrata sul concetto di Maestà di Dio: «con quella composione di mente
umiltà e timore che conviene e con tanta astrizione dei miei peccati di quanto
sono capace, io chiedo e domando perdono alla Maestà divina di tutti li errori e
peccati miei e la supplico lacrimevolmente che con l'infinita sua misericordia,
clemenzia e pietà li purghi e rimetta e perdona di modo che in lo fine mio
l'anima mia con grazia di sua Maestà trovi riposo e quiete e si renda salva
mediante il beneplacito della Maestà sua . . .» (BCMF, Archivio Caracciolo de
Sangro, b. 5/3);
c) riscontriamo infine invocazioni «atipiche» come quella che apre il testamen-
to di Tomaso Carafa, duca di Maddaloni (1520) che sembra riprodurre un modulo
anteriore: la lotta della Vergine con l'«Inimico» per la salvezza dell'anima (ASN,

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510 Maria Antonietta Visceglia

Archivio Caracciolo di Brienza, ine. 4/2. Testamenti dei conti e duchi di


Maddaloni (1487-1748), fase. 2).
d ) Con una documentazione relativa ad un solo gruppo sociale non ci pare
possibile attraverso la sola invocazione testamentaria esplicitare il nesso, che pure
meriterebbe d'essere chiarito, tra devozione individuale ed azione della Controri-
forma.

13 Per il culto dell'Angelo Custode cfr. M. Rosa, Religione e società nel


Mezzogiorno tra cinque e seicento, Bari, Dedalo 1976, p. 257 e per gli aspetti
iconografici, G. e M. Vovelle, La mort et l'au-delà en Provence d'après les autels
des âmes du purgatoire (XVe-XXe siècle), in «Annales E.S.C.» IV (1969), pp.
1602-1634.

14 Cfr. l'articolo recente di F. Gaudioso, La devozione in Terra d'Otranto tra


XVI e XIX secolo : evoluzione e permanenze in «Società e Storia» 1981, n. 11, pp.
29-66.

15 ASN, Archivio Sanseverino di Bisignano, ine. 45 (Testamenti della famiglia di


Capua, 1336-1810).
16 Ibidem.

17 ASN, Archivio Giudice Caracciolo, fascio 173.


18 Nel suo testamento del 1643, Sergio Muscettola terminava «i dettami» agli
eredi esortandoli «ad ascoltare spesso la predica nella Casa di San Filippo Neri e
nelle giornate che non potessero ascoltarla a leggere la vita del Santo, libro che il
Cardinale Bellarmino aveva a capo del letto» (ASN, Archivio Giudice Caracciolo,
fascio 188).
19 L. Vincent Thomas, Le cadavre. De la biologie à l'anthropologie, Bruxelles
1980, pp. 54-61.
20 M. Vovelle, Piété baroque, cit., pp. 85-100.
21 Ph. Ariès, L'homme devant la mort, cit., p. 317.
22 M. Vovelle, Piété baroque, cit., p. 98.
23 ASN, Archivio Sanseverino di Bisignano, busta 47.
24 ASN, Archivio Caracciolo di Brienza, inc. 4/2 cit., fase. 2.
25 ASN, Archivio Sanseverino di Bisignano, inc. 45.
26 ASN, Archivio Tocco di Montemiletto, busta 16/42.
27 ASN, Archivio Giudice Caracciolo, fascio 173.
28 BCMF, Archivio Caracciolo de Sangro, inc. 5/3.
29 ASN, Archivio Sanseverino di Bisignano, mc. 45.
30 Ibidem.
31 Ibidem.
32 Ibidem.

33 ASN, Archivio Giudice Caracciolo, fascio 173.


34 ASN, Archivio Sanseverino di Bisignano, ine. 54.
35 BCMF, Archivio Caracciolo de Sangro, inc. 5/10.
36 L. Boltanski, Les usages sociaux du corps, in «Annales E.S.C.», VI (1971), pp.
205-233.

37 M. Del Treppo, A. Leone, Amalfi medioevale, Napoli, Giannini 1977, p. 305.


38 M. Rosa, Chiesa, idee sui poveri ed assistenza in Italia dal Cinque al
Settecento, in «Società e storia», n. 10, pp. 775-805 (p. 795).
39 Scrive Donvito: «Nel testamento c'è una domanda religiosa o semplicemente

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Corpo e sepoltura nei testamenti della nobiltà napoletana 611

religiosità in cui sono impliciti e come assorbiti interessi, condizionamenti,


spiritualità ecc. dei gruppi (naturale, professionale, sociale) di provenienza del
testatore, ma insieme c'è qualcosa che non può essere per nulla sottaciuto e che
legittima la centralità delle istituzioni nella storia della mentalità collettiva: la
richiesta che questa domanda religiosa venga ritrasmessa alla società dalle
istituzioni ecclesiastiche» (La mentalità collettiva . . ., cit., p. 95).
4J BCMF, Archivio Caracciolo de Sangro, inc. 5/5.
41 Ibidem, inc. 5/8.
42 ASN, Archivio Sanseverino di Bisignano, ine. 45 e BCMF, Archivio Caracciolo
de Sangro, inc. 6/1.
43 P. Bourdieu, Sur le pouvoir symbolique, in «Annales E.S.C.», XII (1977), n. 3,
pp. 405-411.
44 F. Volpe, I libri parrocchiali del Cilento: utilizzazione e problemi metodolo-
gici, in «Ricerche di storia sociale e religiosa», XI (1977), pp. 229-299.
45 G. De Rosa, Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, Bari, Laterza 1978,
p. 15.
46 BCMF, Archivio Caracciolo de Sangro, inc. 6/1.
47 ASN, Archivio Giudice Caracciolo, fascio 51.
43 Ibidem.

49 ASN, Archivio Ruffo di Scilla, fascio n° 10 (Testamenti 1432-1803).


50 ASN, Archivio Giudice Caracciolo, fascio 23.
51 ASN, Archivio Sanseverino di Bisignano, busta 79.
52 BCMF, Archivio Caracciolo de Sangro, inc. 8/7.
53 ASN, Archivio Giudice Caracciolo, fascio 51. Anche nelle serie settecentesche
dei testamenti dei Caracciolo di Brienza e dei Carafa di Maddaloni dal 1710 in

poi, compaiono le formule ormai di uso comune. Cosi Imara Caracciolo (1737):
«Voglio che al mio cadavere si dia sepoltura dove piacerà al sig. Paolo Ruffo,
principe di Castelcicala, mio marito coll'esequie, funerali e messe che il medesimo
stimerà, alla di cui volontà tutta mi riferisco, siccome in vita ho fatto» (ASN,
Archivio Caracciolo di Brienza , fase. 4, fascicolo 52/B). Le fa eco Anna Colonna
Carafa, duchessa di Maddaloni: «voglio che quando passerò all'altra vita il mio
corpo sia seppellito in quella Chiesa che parrà al mio consorte». (Ivi, Testamenti
dei conti e duchi di Maddaloni, fase. 9). Alla volontà del duca di Maddaloni
vengono anche affidate la cura per la celebrazione delle 1000 messe di suffragio e
le consuete distribuzioni caritative.

54 ASN, Archivio Ruffo di Scilla, fascio 10. Segnaliamo anche la clausola che
compare nel testamento di Giovanna de Portugal Cortilloy, Santasofia, marchesa di
Villaf lores, sebbene la provenienza della testante e la sua residenza (Venezia)
rendano l'esempio non omogeneo rispetto agli altri atti testamentari: «voglio
essere tenuta sopra terra quarantotto ore dopo la mia morte, passate le quali
quarantotto ore, voglio che sia aperto il mio cadavere, indi sepolto senza cassa e
perché mi preme altamente che sia adempita esattamente questa mia ordinazione
riguardante la sepoltura voglio che in caso non fosse eseguito in ogni sua parte
tutto ciò che ho sopra ordinato debba il mio erede esborsare immediatamente
due. 5000 alla Fraterna dei poveri vergognosi di questa città». (ASN, Archivio
Carafa di Castel san Lorenzo, fascio 4/11).
55 Ph. Ariès, L'apparition du sentiment moderne de la famille dans les

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612 Maria Antonietta Visceglia

testaments et les tombeaux, Cambridge 1969 (Atti del colloquio


56 G. Galasso, La storia socio-economica del Mezzogiorno, pro
ve, in Per la storia sociale e religiosa del Mezzogiorno d'Italia, N
p. XXIII.
57 P. Chaunu, La mort, cit., p. 325.
58 Per Trani, cfr. A. Spagnoletti, Trani tra XVI e XVIII secolo : dalla città
mercato alla città teatro (relazione al colloquio su «Trani e il suo territorio»
organizzato dalla Cattedra di Storia dell'Architettura della Facoltà d'Ingegneria
dell'Università di Bari (25-27 aprile 1980), atti in corso di stampa. Per Bitonto, cfr.
il lavoro di prossima pubblicazione della dott.ssa Pappalardo sui testamenti di
Bitonto dal 1579 al 1629. Per Taranto, cfr. la tesi di laurea della dott.ssa
d'Ippolito (Facoltà di Lettere dell'Università di Bari) sui testamenti a Taranto dal
1647 al 1<681, a.a. 1979-1980).
59 G. Labrot, Baroni in città. Residenze e comportamenti dell'aristocrazia
napoletana (1530-1734), Napoli, ESI 1979.
60 All'Annunziata andranno infatti per volontà del testante 200 due. «in
subsidio della fabrica», un terreno «arbustato», un «molino», 100 duc./a sull'en-
trata della bagliva di Maddaloni fino al completamento dell'edificio della Chiesa.
(ASN, Archivio Caracciolo di Brienza, ine. 4/2, fase. 2).
61 BCMF, Archivio Caracciolo de Sangro, inc. 5/6.
62 ASN, Archivio Sanseverino di Bisignano, busta 54.
63 ASN, Archivio Ruffo di Scilla, busta 10.
64 Ibidem.

65 ASN, Archivio Sanseverino di Bisignano, busta 79.


66 P. De Stefano, Descrizione dei luoghi sacri della città di Napoli con i
fondatori di essi, reliquie, sepolture ed epitaffi, Napoli, R. Amato 1560.
C. D'Engenio-Caracciolo, Napoli sacra, Napoli, O. Beltrano 1624. Abbiamo costan-
temente confrontato la descrizione del De Stefano con quella del d'Engenio senza
rilevare discordanze importanti. Il De Stefano è anzi una fonte continuamente
citata dal d'Engenio che in pratica ne «aggiorna» l'opera. Differente è però il
metodo seguito dai due autori: al De Stefano, che traccia una vera descrizione
topografica della città, sembra evidente che lo spazio urbano sia organizzato in
rapporto alla presenza dei gruppi familiari e dei complessi ecclesiastici che lo
occupano. Il d'Engenio è piuttosto uno scrittore di cose sacre con lo spirito
attento a riportare devozioni particolari legate al luogo, presenza di reliquie . . .
Altre indicazioni possono ancora trarsi dall'opera posteriore di G. Aspreno
Galante, Guida sacra alla città di Napoli, Napoli, Stamperia del Fibreno, 1872.
67 Nel XVI sec. l'ampliamento della città fu all'origine della nuova circoscrizio-
ne delle parrocchie, accresciute con la riforma del cardinale Gesualdo fino a 37;
cfr. N.F. Faraglia, Descrizione delle parrocchie di Napoli fatta nel 1598, in
«Archivio storico per le province napoletane», XVIII (1898), pp. 502-565.
68 «Li Gentiluomi del Seggio di Portanova vi hanno parimenti un'antica
Estaurita istituita per servizio e culto di detta Chiesa con la quale l'hanno per
molti anni onoratamente governata» (C. D'Engenio, op. cit., p. 48). La Chiesa di
Santa Maria di Portanova fu concessa nel 1609 ai Barnabiti. Sul ruolo della
nobiltà di Seggio nel governo delle Estaurite, ima sorta di cappelle comunitarie,
si sofferma il Tutini, Dell'origine dell'antiche staurite di Napoli e di quelle che

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Corpo e sepoltura nei testamenti della nobiltà napoletana 613

governate sono dai nobili de' Seggi (cap. XV) in C. Tutini, Dell'Origine e
fondazione dei Seggi di Napoli, Napoli, Beltrano 1644. L'opera del Tutini è ancora
lo strumento fondamentale per lo studio del processo di trasformazione nell'età
moderna dell'antica organizzazione medioevale del territorio urbano della capitale.
69 Per il ruolo dei Seggi nello svolgimento delle processioni cfr. C. Tutini,
Dell'origine e fondazione, cit., pp. 135-137.
70 P. De Stefano, Descrizione, cit. p. 104. La privatizzazione dello spazio urbano
nella stessa denominazione dei luoghi è un dato che emerge nettamente anche da
un'altra fonte coeva. Il censimento della popolazione di Napoli fatti negli anni
1591, 1593, 1595, a cura di N. Faràglia, in «Archivio storico per le province napo-
letane» XVII (1897), pp. 255-311.
71 R.M. Valle, Descrizione storica, artistica e letteraria della chiesa e del
convento e de' religiosi illustri di San Domenico Maggiore di Napoli dal 1216 al
1854. Napoli, Stamperia del Vaglio 1854. «Affari di nobiltà» discutevano sinché i no-
bili di Capuana nella Cattedrale: si può ricordare la celebre riunione menzionata
dal Tutini, tenuta nella cappella Minutolo il 22 settembre 1500, per decidere la pras-
si da adottare nell'aggregazione di nuove famiglie (cfr. C. Tutini, Dell'origine e
fondazione, cit., pp. 114-116).
72 Un'ulteriore prova della forte solidarietà fra i rami di un lignaggio può
essere tratta dall'analisi della fondazione e del funzionamento dei vari Monti di

Famiglia. Il Monte dei Carafa fu istituito nel 1518.


73 G. Ceci, Della Chiesa di Monteoliveto, Napoli, Micoli 1934.
74 A. Filangieri de Candida, La Chiesa ed il Monastero di San Giovanni a
Carbonara, Napoli 1924.
75 C. De Seta, Storia della città di Napoli dalle origini al Settecento, Bari,
Laterza 1973, p. 184.
76 «Si governa questa Chiesa [Santa Maria dei Pignatelli] da due, uno de'
quali ha da essere della stessa famiglia Pignatelli e l'altro del Seggio di Nido . . .»
(C. Caracciolo-D'Engenio, Napoli sacra, cit., p. 295).
77 P. Dì Stefano, Descrizione, cit., passim.
78 C. De Seta, Storia della città di Napoli, cit., p. 77.
79 II disordine apparente cela preoccupazioni e rivalità di ordine gerarchico: le
cappelle al lato dell'altare maggiore sono certamente le più ambite. Nell'analisi
della distribuzione dello spazio all'interno della Chiesa occorrerebbe perciò
decifrare l'intrecciarsi ed il sovrapporsi di una struttura propriamente religiosa
(un ordine di sacralità) e di una disposizione che rispecchia gli interessi
particolari dei gruppi familiari del ceto nobiliare. Un esempio di studio sistematico
dello spazio sacro organizzato è l'articolo di M.H. Froeschle-Chopard, Univers
sacré et iconographie au XVIIIe siècle : églises et chapelles des diocèses de Vence
et Grasse, in «Annales E.S.C. », XI (1976), pp. 489-519.
80 G. Galasso, Napoli nel Viceregno Spagnolo dal 1648 al 1696, ed. estr.,
Storia di Napoli, vol. VI, Napoli, ESI pp. 85-103.
81 M. Vovelle, Piété baroque et déchristianisation, cit., p. 199.
82 ASN, Archivio Sanseverino di Bisignano, b. 45.
83 BCMF, Archivio Caracciolo de Sangro, inc. 5/8.
84 ASN, Archivio Ruffo di Scilla, fase. 10.
85 Ibidem.

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86 C. Caracciolo-D'Engenio, Napoli sacra, cit., p. 410.


87 Una tendenza analoga nelle scelte funerarie femminili per il patriziato di
Trani nel XV sec. rileva G. Vitale, La formazione del patriziato urbano nel
mezzogiorno d'Italia: ricerche su Trani , in «Archivio storico per le Province
Napoletane», Napoli 1981, ed. estr. pp. 59-69.
88 R.M. Valle, Descrizione storica, cit., p. 441.
89 ASN, Archivio Tocco di Montemiletto, busta 16/43.
90 ASN, Archivio Sanseverino di Bisignano, busta 45.
91 Ibidem.

92 A proposito della proporzione numerica dei testamenti femminili ( sex ratio )


le cifre sono assai variabili nel tempo e nello spazio: 15% a Londra nel XV sec.,
26% a Lione nello stesso periodo, 40% in Provenza nel Settecento, 42% a Parigi tra
1540 e 1600, 57% ancora a Parigi nel XVIII sec. Le percentuali relative alla
situazione parigina sono, come lo stesso Chaunu sottolinea, spiegabili con tratti
sociologici specifici (La mort à Paris, cit., p. 369), ma in generale nel corso
dell'età moderna la diffusione del testamento passa anche attraverso la sua
adozione da parte delle donne.
93 Sull'uso esclusivo, anche in Inghilterra, da parte dei primogeniti delle tombe
di famiglia, un accenno è in L. Stone, La famiglia nucleare nell'Inghilterra
moderna, in AA.W., La famiglia nella storia. Comportamenti sociali e ideali
domestici, a cura di C.E. Rosenberg, Torino, Einaudi 1979, p. 33.
94 BCMF, Archivio Caracciolo de Sangro, b. 5/8.
95 Ibidem, b. 5/3. Il d'Engenio ci fornisce una precisa descrizione dei
monumenti indicati nel testamento del conte di Oppido: «Nell'Altar della cappella
del Duca d'Amalfi, è la tauola di marmo dentroui la Natiuità di Christo con un
ballo d'Angeli sù la capanna, che mostrano a bocca aperta di cantar in tal modo,
che dal fiato in poi hanno ogn 'altra parte come viua, che non si possono più belli
desiderare, & vedere. Non è di minor stupore il sepolcro della Duchessa Maria d'Ara-
gona figliuola naturale di Ferrante Primo Ré di Napoli, e qui si veggono in sù la
cassa due Angioli, che sostengono la morta, vi è anche di sopra la Resurrettione del
Signore, & l'imagine della Reina de' cieli col Puttino nelle braccia, e fra l'altre cose
artificiose, che vi sono, si vede un'arco di pietra, che regge una cortina, o panno
di marmo aggroppata tant'al naturale, che par più simil al panno, ch'ai marmo, il
tutto fù opera d'Antonio Rosellino eccellentissimo scultor Fiorentino, il qual fiori
nel 1460». C. D'Engenio, Napoli sacra, cit., p. 512.
96 Ibidem, p. 513. Il corsivo è nostro.
97 E. Ricca, La nobiltà delle due Sicilie, Napoli 1859-79 (rist. Forni ed.
Bologna), vol. Ill, pp. 267-336.
98 R.M. Valle, Descrizione storica, cit., p. 203.
99 Ibidem, p. 417.
100 ASN, Archivio Sanseverino di Bisignano, b. 45.

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