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RASSEGNE

IL SOGNO LUCIDO: DALLA FENOMENOLOGIA


ALLA RICERCA NEUROBIOLOGICA

NICOLA DE PISAPIA

Università di Trento

Riassunto. In questa rassegna critica si discute del sogno lucido, cioè dei periodi di so-
gno in cui si è consapevoli di sognare. Durante un sogno lucido le esperienze vengono
correttamente riconosciute dal sognatore come di tipo onirico. Ciò avviene grazie all’at-
tivazione di autocoscienza, accompagnata da un ricordo più accurato di alcuni eventi
o informazioni della propria vita in condizioni di veglia, e dalla capacità di guidare le
proprie azioni nel sogno in modo intenzionale. Dopo alcuni cenni storici sul sogno lu-
cido, sono discussi i principali risultati ottenuti dalla recente ricerca psicologica e neu-
robiologica su questo fenomeno, i metodi d’induzione di lucidità, le applicazioni e i
modelli scientifici, esaminando infine le principali questioni ancora aperte del sogno lu-
cido e rilevanti per l’elaborazione di un suo modello unitario.

1. INTRODUZIONE

Un sogno lucido (SL) è un sogno in cui si è consapevoli di so-


gnare. Si tratta di un fenomeno mentale non frequente, in cui le espe-
rienze vissute durante il sogno vengono correttamente riconosciute
dal sognatore come di tipo onirico grazie all’attivazione della co-
scienza di sé (o autocoscienza). Al riconoscimento di stare sognando
(ovvero, il recupero del testing di realtà) si accompagna il ricordo
accurato di alcuni eventi o informazioni della propria vita in condi-
zione di veglia, e talora anche la capacità di guidare le proprie azioni
in condizioni di lucidità (o coscienza di sé), e talvolta anche di pro-
attività (intenzionalità). Il sognatore lucido sa di essere all’interno di
un contesto onirico, ovvero in un mondo virtuale fatto di corporeità,
sensazioni, persone e storie che esperisce in piena coscienza del loro
carattere allucinatorio.
L’esperienza del SL si differenzia da quella abituale del sogno (il
sogno non lucido), nel quale la componente di autocoscienza è so-
spesa. In un sogno «ordinario» si reagisce come se il contenuto oni-
rico fosse reale. È solo al risveglio che ci si rende conto davvero che
si trattava di un sogno, talvolta, come nel caso degli incubi, con un
certo sollievo. In un sogno ordinario non mettiamo in dubbio la na-
tura allucinatoria dei nostri contenuti mentali e delle nostre espe-

GIORNALE ITALIANO DI PSICOLOGIA / a. XLVIII, n. 1, gennaio-marzo 2021 209


rienze, ma crediamo che siano eventi che accadono realmente. Al
contrario, durante un SL il sognatore è consapevole che i contenuti
mentali presenti nella trama del sogno non sono reali, pur se questi
continuano a svilupparsi e, in alcuni casi, sono indirizzati volontaria-
mente dal sognatore stesso.
Si noti che il SL non è da confondere con esperienze di falso risve-
glio, in cui la persona crede di essersi realmente svegliata, ed invece
sta semplicemente sognando di svegliarsi (Green, 1968). Il SL non è
neanche da confondere con i casi di Out of Body Experience (OBE),
in cui una persona immagina vividamente di percepire il mondo da
una posizione al di fuori del proprio corpo fisico. L’OBE viene in-
terpretata dalla ricerca scientifica come un’esperienza allucinatoria
dissociativa (ad es., Blanke, Landis e Seeck, 2004). Infine, il SL non
è da confondere con la paralisi del sonno, che si verifica allorquando,
sovente durante il risveglio o l’addormentamento, la persona è sveglia,
ma è incapace di muoversi o parlare, vivendo spesso esperienze alluci-
natorie fortemente ansiogene (Solomonova, 2018).
Pur se rimangono numerose difficoltà di osservarlo (ovvero di ri-
produrlo in laboratorio), il SL viene ormai ampiamente riconosciuto
come uno stato di coscienza potenzialmente di grande interesse per
la ricerca psicologica, in quanto si differenzia sia dal sogno ordina-
rio che dallo stato di veglia. Il SL si configura come uno stato di
coscienza a sé, con caratteristiche sue proprie, sia a livello psicolo-
gico che neurologico. In questa rassegna si descrive pertanto lo stato
dell’arte della ricerca su questo ancora poco esplorato stato di co-
scienza, esaminando sia i dati sperimentali già acquisiti che gli aspetti
teorici e metodologici più rilevanti della ricerca a livello psicologico e
neurobiologico.
Il SL è un fenomeno di coscienza noto sin dall’antichità, anche se
è solo negli ultimi decenni che la ricerca psicologica e neurobiologica
ne ha hanno riconosciuto l’interesse scientifico. Nel mondo occiden-
tale la differenza tra sogno non lucido e lucido è stata sottolineata sin
dai primi trattati filosofici nell’antica Grecia. Nel IV sec. a.C. Aristo-
tele nella terza parte del trattatello «Sui Sogni» così descriveva la dif-
ferenza tra SL e sogno ordinario (Aristotele, 2003):

Perché spesso, quando si è addormentati, c’è qualcosa nella coscienza che


dichiara che ciò che si presenta in quel momento è solo un sogno. Se, tutta-
via, [il sognatore] non è consapevole di essere addormentato, non c’è nulla
che contraddica la testimonianza di ciò che gli si presenta alla nuda vista.

Nonostante questa distinzione fosse chiara già agli albori della


storia del pensiero occidentale, nei secoli successivi l’idea di autoco-
scienza nel sogno ha faticato a conquistare un suo spazio, relegan-

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dosi a pochi cenni in alcuni filosofi o pensatori quali Sant’Agostino,
San Tommaso d’Aquino, Pierre Gassendi, Thomas Reid e Jean Paul
Richter (LaBerge, 1988). Una prima accurata descrizione fenomeno-
logica del SL la troviamo ad opera del sinologo e letterato francese
Léon d’Hervey de Saint-Denys, il quale nel 1867 pubblicò (dapprima
anonimamente, svelando poi alcuni anni dopo di esserne l’autore)
l’opera Les Rêves et les moyens de les diriger; Observations pratiques
(edizione italiana, 2000). Hervey de Saint-Denys riportò molti dei
suoi sogni, che aveva cominciato a registrare fin dall’età di 13 anni,
proponendo anche un inquadramento teorico dei sogni in generale e
di come essi si sviluppino. Descrisse molti sogni particolari in cui il
sognatore è perfettamente consapevole di stare sognando, delineando
perfino alcune tecniche da utilizzare per controllare i propri sogni.
Tuttavia questo trattato non riuscì a stimolare l’interesse degli scien-
ziati dell’epoca, come ad esempio gli psichiatri Havelock Ellis o Al-
fred Maury, che pur conoscendo il libro, dubitavano dell’esistenza dei
SL, non avendone fatto esperienza in prima persona (come riportato
in Gackenbach e Bosveld, 1994).
Ulteriori riferimenti scientifici alla lucidità nel sogno li troviamo
all’inizio del secolo scorso, nei dettagliati resoconti delle proprie espe-
rienze soggettive di SL dello psichiatra e scrittore olandese Frederik
Willem van Eeden (1913). Egli sottolineava come durante i sogni con
autocoscienza, il sognatore, nonostante stia dormendo, possa ricor-
dare perfettamente episodi e informazioni della sua vita da sveglio, ed
essere capace di direzionare la sua attenzione, tentando di eseguire di-
versi atti intenzionali.
È opportuno segnalare che in alcune culture orientali l’interesse
per la coscienza nel sonno e nel sogno è stato molto presente, anche
se inevitabilmente l’argomento non è stato studiato col metodo scien-
tifico occidentale, bensì ha fatto parte di tradizioni contemplative. Per
secoli, lo sviluppo della coscienza nel sogno e nel sonno in genere
è stato una pratica meditativa di primo piano per la trasformazione
della mente, particolarmente nel buddhismo tibetano (Gyatrul, 2002;
Wangyal, 1998).
Per avere dei resoconti di tipo più rigorosamente scientifico se-
condo i canoni del pensiero occidentale contemporaneo, occorre at-
tendere gli studi della scrittrice e filosofa Celia Green. Infatti, nel suo
libro Lucid Dreams (Green, 1968), oltre ad esaminare la scarsa lette-
ratura al momento disponibile sull’argomento, ella inserì studi longi-
tudinali condotti su sé stessa, ed ipotizzò esplicitamente che il SL sia
correlato alle fasi Rapid Eye Movements (REM) del sonno, come con-
fermato successivamente.
Una svolta decisiva dal punto di vista della ricerca scientifica sul
SL si è poi avuta con i lavori di Keith Hearne (Hearne, 1978) e di

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Stephen LaBerge (LaBerge, Nagel, Dement e Zarcone, 1981), i quali
hanno fornito per la prima volta un marcatore (marker) neurofisiolo-
gico della presenza di lucidità all’interno di un sogno e, quindi, di po-
ter «osservare» il SL con una metodica oggettiva. Tale metodica con-
siste nel concordare con i sognatori lucidi di muovere i loro occhi in
una determinata sequenza (tipicamente prima a sinistra e poi a destra
per due volte) non appena acquisiscono lucidità in un sogno (ovvero,
consapevolezza di stare sognando). Il movimento prestabilito può
quindi essere agevolmente registrato tramite una registrazione elettro-
oculografica (EOG; per una descrizione più dettagliata del metodo,
vedere più avanti) abbinata alla registrazione elettroencefalografica ed
elettromiografica dell’attività rispettivamente cerebrale e muscolare.
Questa semplice tecnica polisonnografica (PSG) ha dato finalmente il
via alla ricerca scientifica sul SL, non senza un acceso dibattito sulla
sua utilità per comprendere anche l’elaborazione durante il sonno
dei sogni ordinari, vista la profonda differenza dovuta alla presenza o
meno di auto-coscienza (o auto-riflessività) (Foulkes, 1985).

2.  PSICOFISIOLOGIA DEL SONNO, DEL SOGNO E DEL SOGNO LUCIDO

Prima di addentrarci nella rassegna degli studi sul SL, è opportuno


rammentare le caratteristiche psicofisiologiche principali del sonno e
del sogno ordinario.

2.1.  Cenni di neurofisiologia del sonno

Il sonno nell’uomo è caratterizzato dall’assenza di consapevolezza


(abolizione del testing di realtà) e da una limitata capacità di risposta
sensoriale, con una relativa inattività dei muscoli volontari (Hobson,
2009). Anche se alcune funzioni biologiche del sonno non sono state
ancora definite in modo esauriente, la descrizione delle caratteristiche
psicofisiologiche del sonno è ormai ampiamente condivisa. Dopo l’os-
servazione dei movimenti oculari rapidi (Rapid Eye Movements, REM;
Aserinsky e Kleitman, 1953) durante una fase specifica di sonno
(sonno paradosso o sonno REM), in corrispondenza della quale i sog-
getti riferivano frequentemente di avere sognato, si è pervenuti rapi-
damente ad una classificazione del sonno in diverse fasi: una detta
REM appunto, e quattro stadi nella fase non-REM (NREM), in cui
la persona – pur dormendo – non presenta movimenti oculari rapidi.
L’organizzazione del sonno (soprattutto) notturno ha un anda-
mento ciclico, con una successione abbastanza precisa degli stadi
di sonno. Nel giovane adulto un ciclo di sonno, nel quale si alter-

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nano fasi NREM e REM, dura in media 90 minuti, e ricorre tipica-
mente 4-6 volte a notte. Il manuale divenuto rapidamente classico
(Rechtschaffen e Kales, 1968) descriveva 4 stadi (I-IV) di sonno
NREM, mentre la recente classificazione promossa dall’’American
Academy of Sleep Medicine (AASM) ha suddiviso il sonno NREM in
3 stadi (N1, N2 e N3), l’ultimo dei quali corrisponde agli stadi III e
IV della classificazione originaria (Moser et al., 2009). Lo Stadio N1 è
quello con sonno più leggero, caratterizzato dal passaggio dalla veglia
rilassata, con onde nella banda alfa (8-15 Hz) misurate a livello Elet-
troencefalografico (EEG), al più profondo Stadio N2. Solitamente lo
Stadio N1 è caratterizzato da una riduzione del ritmo alfa al più lento
ritmo theta (4-8 HZ), accompagnandosi a movimenti oculari lenti
(Slow Eye Movements, SEMs). Segue quindi lo Stadio N2, con attività
theta per più del 50% della sua durata. Il sonno si fa quindi ancora
più profondo, con i tracciati dei vari canali EEG più sincronizzati, e
con onde di tipo delta (inferiori a 4 Hz), caratterizzate da alto voltag-
gio e bassa frequenza: lo Stadio N3, caratterizzato dalla prevalenza di
onde delta. A questo segue la risalita verso un breve periodo di sonno
in stadio N2 o N1 e poi si ha la transizione al sonno REM. L’intero
periodo normalmente procede nell’ordine: N1 → N2 → N3  → N2
(N1) → REM. Nel giovane adulto si ha una maggiore quantità di
sonno più profondo (stadio N3) all’inizio della notte, mentre la per-
centuale di sonno REM aumenta nei due cicli appena prima del risve-
glio naturale.
Il sonno REM nel giovane adulto occupa in media il 20-25% del
totale del sonno (Floyd, Janisse, Jenuwine e Ager, 2007) e diminuisce
notevolmente con l’aumentare dell’età, mentre ben il 45% del sonno
dei neonati è di tipo REM. Secondo i sostenitori della teoria evolu-
tiva, quest’ultimo dato dimostrerebbe che il sonno REM ha un ruolo
importante nello sviluppo del cervello. In ogni caso, nonostante la di-
minuzione nel corso dello sviluppo, il sonno REM continua ad occu-
pare circa 1,5 ore al giorno per tutta la vita da adulti, per cui è stato
ipotizzato un ruolo indispensabile anche nel mantenimento della fun-
zionalità della mente e del cervello degli adulti (Hobson, 2009).
Un ulteriore ruolo del sonno REM è quello di mediare i processi di
plasticità cerebrale legati all’apprendimento, come suggerito dal lieve,
ma significativo incremento della quantità di sonno REM nell’uomo e
nell’animale in corrispondenza dell’apprendimento di nuove attività
percettivo-motorie (Stickgold, James e Hobson, 2000; Walker, Brake-
field, Morgan, Hobson e Stickgold, 2002), e dall’interferenza negativa
indotta da deprivazione selettiva del sonno REM i con i compiti di ap-
prendimento (Datta, Mavanji, Ulloor e Patterson, 2004).
La fase REM è caratterizzata anche da atonia muscolare, che si
configura come una sorta di paralisi della muscolatura scheletrica, ad

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eccezione della muscolatura degli occhi, che si muovono rapidamente.
L’attività elettrica cerebrale misurata allo scalpo con EEG durante
la fase REM è tipicamente di alta frequenza e bassa ampiezza desin-
cronizzata (simile allo stato di veglia, e dunque per questa ragione il
sonno REM è chiamato anche sonno paradosso). Il sonno REM può
essere suddiviso in base a due modalità di attivazione, dette tonica e
fasica. Quella tonica è caratterizzata da ritmi EEG nella fascia theta
(4-8 Hz) con movimenti oculari più lenti o assenti. Quella fasica è
invece caratterizzata da onde generate dal ponte, che attraversano il
corpo genicolato laterale e giungono in corteccia occipitale (onde con
voltaggio elevato dette appunto ponto-genicolo-occipitali, PGO), le
quali si accompagnano a movimenti oculari rapidi. Durante la REM
fasica l’elaborazione di stimoli esterni è maggiormente inibita rispetto
alla REM tonica, con una soglia più elevata di risveglio (Ermis, Kra-
kow e Voss, 2010).
Le aree corticali attive durante il sonno REM (Hobson, 2009) sono
principalmente quelle del talamo e del sistema limbico (tra cui la cor-
teccia paraippocampale, l’amigdala e il cingolo anteriore) che, essendo
anche nella veglia implicate in processi emotivi, si correlano bene
con l’intensità delle esperienze fortemente emotigene spesso riportate
nei sogni. Un’altra area coinvolta durante il sonno REM è la cortec-
cia parietale superiore, implicata in processi di attenzione spaziale.
Al contrario, si ha una minore attivazione di molte aree della cortec-
cia prefrontale (Pace-Schott, Solms e Blagrove, 2003), in particolare
quella anteriore e dorsolaterale, le quali nella veglia sono implicate in
funzioni esecutive di alto livello cognitivo, come ad esempio la me-
moria prospettica. Sono invece attivate durante le fasi REM le aree
prefrontali incluse nella zona ventromediale, così come alcune aree
mediali, talvolta a livelli maggiori di quelli della veglia. Questo pattern
generale potrebbe spiegare la differenza tra l’autocoscienza da svegli
e la sua diminuzione nel sogno ordinario (per una più dettagliata de-
scrizione delle aree prefrontali diversamente attivate nel sonno REM,
vedere Muzur, Pace-Schott e Hobson, 2002).
Avendo il sogno una natura soggettiva, il suo studio scientifico non
è semplice, in quanto non si ha la possibilità di un accesso diretto,
ma solo indiretto, principalmente chiedendo ai soggetti in situazione
di laboratorio di fornire un resoconto (report) il più possibile accurato
dell’esperienza mentale precedente il risveglio. Anche se la frequenza
di resoconti i cui contenuti sono oniro-simili è più elevata dopo ri-
svegli in sonno REM, ciò non significa che esso sia l’unico stadio di
sonno in cui può svilupparsi un’attività mentale. Anche dopo risvegli
da stadi di sonno NREM, e in particolare negli stadi III e IV, ven-
gono riportati contenuti di un’attività mentale più di tipo pensiero-
simile (Foulkes, 1962), ovvero poco vividi, non particolarmente emo-

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tigeni, e relativi a pensieri o attività plausibili della vita quotidiana.
Le attività mentali riferite dopo sonno NREM sono di solito brevi,
meno sensorializzate (in senso visivo e acustico) e più concettuali ri-
spetto a quelle riferite al risveglio da sonno REM, soprattutto nella
prima parte della notte. Le attività mentali elaborate in sonno REM
hanno caratteristiche visuo-percettive di tipo più allucinatorio, spesso
sovrapponibili a situazioni della vita reale e sono inserite in contesti
narrativi spesso emotivamente intensi. Inoltre, sono vissute come rea-
listiche, anche se caratterizzate da diverse componenti illogiche o biz-
zarre (Foulkes, 1985). Per un’aggiornata trattazione degli aspetti co-
gnitivi, emotivi e strutturali delle attività mentali dl sonno e i risvolti
applicativi e clinici della psicologia del sonno si vedano i capitoli loro
dedicati nel volume a cura di Ficca e Fabbri (2019).

2.2.  Fenomenologia del sogno lucido

L’esperienza del SL è diversa da quella del sogno ordinario, in


quanto è caratterizzata da un elevato grado di autocoscienza e di pen-
siero razionale nell’ambiente allucinatorio del sogno (LaBerge, 2010).
Infatti, uno degli elementi che può far scaturire l’autocoscienza è il
riconoscimento di un contenuto come fortemente illogico o bizzarro,
che non può verificarsi nella vita reale. Ecco un esempio di sogno or-
dinario che diventa lucido, così come riportato da una donna, prece-
dentemente istruita su una tecnica di induzione del SL, allorché ne ha
fatto esperienza per la prima volta (comunicazione personale):

Sono a casa dei miei genitori, nella mia cameretta. Trovo un sacchetto di
miei vecchi gioielli con dentro un anello che mi aveva regalato mio padre. Lo
indosso e sento qualcosa di strano al dito. Guardo meglio e ho 6 dita. Sento
una scossa di eccitazione perché capisco che si può trattare di un sogno, ma
riesco a rimanere calma. Sposto lo sguardo e torno sulla mano: 6 dita. Sento
il mio corpo amplificato, ho come un’aura luminosa addosso, do uno sguardo
ai piedi e anche lì ci sono 6 dita, mentre cammino lentamente. Sento esatta-
mente quello che provo mentre cammino, è bellissimo. Esco dalla stanza per
andare verso il soggiorno e improvvisamente arriva la luce del sole, e ho la
conferma che è un sogno. So già dove sto andando: voglio volare. Mi avvi-
cino lentamente al balcone con un filo di timore che sia la vita reale; faccio
un piccolo saltello per verificare e mi ritrovo a due metri da terra in alto alla
vetrata. Apro lentamente la finestra e c’è una zanzariera; penso che se sto so-
gnando, posso oltrepassarla. Faccio un salto grande e inizio a volare [...].

Questo esempio è utile per spiegare le caratteristiche principali del


SL. Espressioni come «voglio volare» sono verbi che si trovano an-
che in descrizioni di sogni ordinari, ma che in questo caso si accom-
pagnano alla coscienza di trovarsi all’interno di un sogno (e dunque

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posso volare perché sto sognando). Per definizione i sogni sono ca-
renti di meta-cognizione e coscienza autoriflessiva o volizione (Mame-
lak e Hobson, 1989; Rechtschaffen, 1978). Come si vede da questo
esempio, in un SL il sognatore è invece in grado di riflettere sulla sua
situazione e capire che sta sognando (Cicogna e Bosinelli, 2001). È
interessante notare come nel nostro esempio la sognatrice possa con-
trollare il flusso del sogno, ed attuare processi decisionali deliberati
basati sulla coscienza di essere all’interno di un sogno («se sto so-
gnando, posso oltrepassarla»).
Da un punto di vista soggettivo, l’esperienza della lucidità nel SL
può essere molto diversa da caso a caso. I sognatori riportano o una
totale assenza di lucidità come accade nei sogni ordinari, oppure vari
livelli di coscienza nelle azioni o percezioni che avvengono nei SL, op-
pure uno stato di sola lucidità senza contenuti. Questi diversi gradi di
lucidità in un sogno possono essere raggruppati in vari modi, come è
stato proposto da vari studiosi. Mentre non vi sono dubbi che la mag-
gior parte dei resoconti dopo sonno REM riferisce attività mentali
senza lucidità (una sorta di livello 0), o al massimo dubbi dell’autenti-
cità dell’esperienza allucinatoria onirica (sogno prelucido; Green, 1968),
vi sono maggiori perplessità sulla classificazione della presenza di luci-
dità, in rapporto alla sua durata (pochi secondi o minuti), alla compre-
senza o meno della capacità di orientare volontariamente i contenuti
successivi, alla stessa presenza o meno di contenuti pur in condizioni
di lucidità. Quest’ultima condizione, non ancora esplorata a livello po-
lisonnografico, non va confusa con il cosiddetto sogno bianco (white
dream; Fazekas, Nemeth e Overgaard, 2019), anche definito come
sogno privo di ricordo del contenuto (without recall of content content-
less; Siclari et al., 2017), o sogno privo di contenuto (contentless report;
Cohen, 1972). Si tratta di resoconti nei quali i soggetti riferiscono di
avere la sensazione di aver sognato, senza però ricordarne alcun con-
tenuto. Esiste, infatti, una documentazione, anche se non in condizioni
di laboratorio, ma prevalentemente aneddotica, di attività mentali prive
di contenuto (e dunque non sogni il cui contenuto non viene ricordato)
in presenza di lucidità. Non vi sono dati elettropoligrafici che consen-
tano di classificarle come «sogni» (in quanto non è documentato in
quale stadio di sonno si verifichino), ma appare suggestivo riscontrare
la loro somiglianza con esperienze riportate nella tradizione buddhista
tibetana e descritte come uno stato di lucidità estrema durante il sonno,
nelle quali si dissolvono tutti i contenuti di pensiero o di eventi, perma-
nendo in uno stato di coscienza diffusa non centrata su alcun oggetto.
Questo stato, che viene indicato come «sonno di chiara luce», potrebbe
corrispondere ad un distinto stato di coscienza e lucidità, esplorabile
con metodiche polisonnografiche (come discusso in Windt, Nielsen e
Thompson, 2016; Wallace e Hodel, 2012).

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Un’altra caratteristica peculiare del SL è la possibilità di accesso
volontario ad informazioni memorizzate nella veglia precedente.
Questo aspetto è importante anzitutto perché i soggetti riescono a
ricordarsi di eseguire un compito nei periodi di SL, in tal modo di-
mostrando l’effettiva esistenza di lucidità anche in una situazione spe-
rimentale. Vari esperimenti hanno confermato che i sognatori lucidi
sono in grado di segnalare in sonno REM allo sperimentatore l’ini-
zio della lucidità tramite movimenti oculari concordati. Inoltre, ap-
pare plausibile che pianificare e tenere a mente intenzioni di svolgere
una determinata azione aumenti la probabilità di sviluppare lucidità
durante un’attività mentale in sonno REM, in quanto si attivano por-
zioni della corteccia prefrontale associate alla memoria prospettica
nella veglia e alla lucidità nel sonno REM (Voss, Holzmann, Tuin e
Hobson, 2009), le quali sono abitualmente deattivate in sonno REM
(Muzur et al., 2002).
L’occorrenza della lucidità nel sogno è un evento relativamente
raro e, quindi, la stima delle variazioni interindividuali di frequenza
è oltremodo difficile. La rassegna di Saunders, Roe, Smith e Clegg
(2016) riporta che circa il 55% delle persone a livello mondiale ha
avuto esperienza di almeno un SL nel corso della vita, mentre il
23% della popolazione totale esperisce almeno un SL al mese. Que-
ste stime, tuttavia, si basano su dati eterogenei, oltre che soggettivi,
in quanto gli studi esaminati non sempre distinguono la durata dell’e-
sperienza, il livello di lucidità percepito e la presenza di un controllo
volontario dei contenuti. Più attendibili sembrano i dati relativi alla
frequenza del SL in rapporto all’età. Il SL è più frequente nei bam-
bini e negli adolescenti (Voss, Frenzel, Koppehele-Gossel e Hobson,
2012) e diminuisce drasticamente con l’avanzare dell’età (Stumbrys,
Erlacher, Johnson e Schredl, 2014). La frequenza appare maggiore in
chi ha studiato in scuole più avanzate (Voss et al., 2012) e/o ha tratti
di personalità specifici, come una più elevata apertura mentale (misu-
rata attraverso il Big Five; Schredl, Henley e Blagrove, 2016). Tutta-
via, mancando dati di ricerche longitudinali, la minore frequenza negli
adulti potrebbe essere più semplicemente indicativa di una perdita di
interesse per questo fenomeno.
In generale nelle ricerche non di laboratorio (survey) che si con-
ducono sul SL è buona norma chiedere ai partecipanti di scrivere un
report verbale che descriva completamente le loro esperienze mentali,
in quanto le loro specifiche caratteristiche possono cambiare note-
volmente da un SL all’altro (nei contenuti emotivi, nelle competenze
cognitive utilizzate, nell’utilizzo del linguaggio, nelle attività motorie,
nella lucidità, nella tecnica eventualmente utilizzata per innescare la
lucidità, nella segnalazione tramite movimenti oculari dell’inizio della
lucidità, eccetera).

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Nel tentativo di misurare almeno alcune delle proprietà fenome-
nologiche del SL esperite dai partecipanti, sono stati proposti vari
questionari che sondano la presenza di elementi di autocoscienza
all’interno di un sogno. Il Metacognitive, Affective, Cognitive Experi-
ence questionnaire (MACE), ideato da Kahan e Sullivan (2012) è un
questionario generale, costituito da 7 domande, che valuta diversi tipi
di attività metacognitive: scelta, cattura dell’attenzione, attenzione
focalizzata, autocoscienza e coscienza riflessiva sui propri pensieri/
emozioni/comportamento e su eventi esterni. Il Dream Lucidity Ques-
tionnaire (DLQ) sviluppato da Stumbrys, Erlacher e Schredl (2013)
è più centrato sulla valutazione di diversi aspetti della lucidità all’in-
terno dei sogni. È composto da 12 elementi, e valuta diversi tipi di
coscienza (del sogno, che il corpo fisico dorme, che i personaggi e
gli oggetti dei sogni non sono reali, delle diverse possibilità), di con-
trollo (su azioni, eventi, personaggi, scene, leggi fisiche) e di ricordo
(della veglia e delle intenzioni). Anche il Lucidity and Consciousness in
Dreams scale (LuCiD) sviluppato da Voss, Schermelleh-Engel, Windt,
Frenzel e Hobson (2013) cerca di individuare gli aspetti specifici della
lucidità in un SL, messi a fuoco attraverso otto sottoscale: insight,
controllo, pensiero, realismo, memoria, dissociazione, emozione nega-
tiva e positiva.

3.  STUDI NEUROFISIOLOGICI SUL SL

Per quanto riguarda gli aspetti più strettamente fisiologici registrati


durante il SL, fin dai primi studi di laboratorio è stato osservato che
il fenomeno è associato ad a) uno stato di intensa attivazione cere-
brale (Hearne, 1978; LaBerge, Nagel, Dement e Zarcone, 1981), so-
prattutto durante sonno REM fasico (Ermis et al., 2010), e b) un’i-
nibizione, tipica del sonno REM (Hodes e Dement, 1964), del co-
siddetto riflesso-H (o di Hoffmann), cioè la reazione di riflesso dei
muscoli dopo una stimolazione elettrica di bassa intensità delle fibre
afferenti di un nervo periferico (ad esempio, quelle situate dietro il gi-
nocchio). Queste osservazioni hanno indotto ad inquadrare il SL non
come uno stadio intermedio tra il sonno e la veglia, bensì come uno
stato distinto all’interno del sonno REM (LaBerge et al., 1981). Ve-
diamo dunque le principali evidenze sulla specificità del SL accertate
tramite diverse metodiche d’indagine.

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3.1. Elettropoligrafia

La metodica più utilizzata finora per studiare il SL è stata quella


polisonnografica (EEG, EOG, EMG, eventualmente anche ECG e
parametri respiratori). Con la registrazione elettropoligrafica (EOG) è
stato documentato che i sognatori lucidi sono in grado, allorquando
iniziano ad essere autocoscienti in un sogno, di eseguire la sequenza
di movimenti oculari concordata prima dell’addormentamento, sia per
segnalare che è iniziato un SL, sia per effettuare l’esecuzione di com-
piti parimenti concordati con lo sperimentatore. Questa metodica è
stata applicata nel 1975 da Hearne (come riportato in Hearne, 1990),
e poi stabilmente utilizzata da LaBerge, che l’ha denominata Signal
Verified Lucid Dreaming (SVLD; LaBerge, Levitan e Dement, 1986)
e l’ha abbinata sempre alla registrazione EEG, in tal modo documen-
tando che le sequenze di movimenti oculari concordate sono general-
mente avviate durante REM.
L’utilizzo di questa metodica offre anche l’indubbio vantaggio di
poter non solo segnalare il punto di partenza della lucidità nel sogno
e/o di esecuzione del compito concordato, ma anche per valutare la
corrispondenza tra gli indicatori elettropoligrafici e i resoconti verbali
a posteriori del sognatore.
Un’altra metodica, meno utilizzata, e comunque complementare e
non sostitutiva di quella PSG, prevede la rilevazione della lucidità nel
sogno tramite la registrazione elettromiografica (EMG) dell’inibizione
del riflesso H, ovvero della reazione muscolare riflessa a seguito di sti-
molazione elettrica, come documentato da (Hodes e Dement, 1964)
durante sonno REM. Combinando questa metodica con l’SVLD si
è certi che il sognatore (1) sia lucido, e (2) stia effettivamente dor-
mendo (Brylowski, Levitan e LaBerge, 1989).
Le metodiche PSG consentono quindi di accertare in situazione di
laboratorio in modo obiettivo ma non univoco la presenza di lucidità
nei sogni. Infatti, alcuni studi iniziali, alquanto lacunosi nel riportare
i tipi di SL fatti dai partecipanti, realizzati con un numero molto ri-
stretto di elettrodi sullo scalpo, hanno rilevato un aumento di attività
nella banda alfa (8-15 Hz) in corrispondenza del SL (Ogilvie, Hunt,
Sawicki e McGowan, 1978; Ogilvie, Hunt, Tyson, Lucescu e Jeakins,
1982), che però non è stato replicato in studi successivi (ad es., Ogil-
vie, Hunt, Kushniruk e Newman, 1983, Ogilvie, Vieira e Small, 1991).
Studi successivi hanno dato indicazioni ancora diverse: Holzinger,
Laberge e Levitan (2006) hanno ipotizzato, in uno studio condotto
su 11 sognatori lucidi, che il principale fattore di discriminazione tra
SL e sogno ordinario sia nella banda di frequenza beta (16-31 Hz),
che durante SL aumenterebbe in entrambi i lobi parietali, e partico-
larmente in quello sinistro (P3), correlato in veglia alla comprensione

219
semantica e all’autocoscienza, ovvero a due caratteristiche tipiche
delle attività mentali durante SL. Voss et al. (2009) in uno studio su
3 partecipanti hanno mostrato che durante SL non varia, rispetto ai
periodi di non lucidità in sonno REM, la potenza nelle bande di fre-
quenza delta (inferiore a 4 Hz) e theta (4-8 Hz), ma aumenta nella
banda gamma (superiore a 32 Hz), con un picco a circa 40 Hz, nelle
regioni fronto-laterale e frontale, notoriamente implicate in processi
di autocoscienza e memoria prospettica nello stato di veglia, e – come
descritto in precedenza– deattivate durante il sonno REM. Questa in-
terpretazione è stata considerata azzardata non solo per il campione
estremamente ridotto, ma anche per il fatto che le misurazioni nella
frequenza gamma in aree frontali possono essere un artefatto indotto
da microsaccadi (Keren, Yuval-Greenberg e Deouell, 2010), per cui
l’incremento nella banda gamma osservato sulle aree frontali potrebbe
essere indicativo non di un’attività corticale, ma di micromovimenti
oculari.
Infine, Dodet, Chavez, Leu-Semenescu, Golmard e Arnulf (2014)
hanno analizzato la frequenza e le caratteristiche del SL in pazienti
narcolettici, i quali spesso riportano un’elevata frequenza di lucidità
nei loro sogni (Rak, Beitinger, Steiger, Schredl e Dresler, 2015). Il
confronto in 7 partecipanti tra l’attività EEG in condizioni di luci-
dità e di non lucidità in sonno REM ha evidenziato una riduzione di
potenza delle onde delta in regioni frontali e centrali, e una minore
coerenza tra gli elettrodi frontali per le onde delta, theta e alfa le co-
erenze nei periodi di sonno REM lucido rispetto a quello non lucido.
L’interpretazione dei dati di questo esperimento è tuttavia resa incerta
del ridotto numero di elettrodi utilizzati (soltanto 6), oltretutto collo-
cati nelle aree centrali e frontali, senza la possibilità, quindi, di regi-
strare le attività cerebrali delle aree parietali e occipitali.
In conclusione, le indicazioni non omogenee sulle variazioni di atti-
vazione di bande e aree cerebrali rinviano a problemi sia metodologici
(le registrazioni EEG con sistemi diversi di riferimento), sia statistici
(il basso numero di partecipanti e conseguentemente anche del SL
documentato in laboratorio). Se si considera anche il fatto che i sogni
lucidi stessi cambiano notevolmente l’uno dall’altro per contenuto e
per intensità di lucidità, appare indispensabile incrementare il numero
di osservazioni in condizioni di laboratorio prima di trarre inferenze
coerenti sulle relazioni tra indicatori EEG attendibili e caratteristiche
di lucidità.

220
3.2.  Studi di risonanza magnetica funzionale e strutturale

I problemi riscontrati nelle ricerche con metodiche PSG per il re-


clutamento di sognatori lucidi sono ancora più ingenti negli studi con
metodiche di neuroimaging nelle quali non solo il setup sperimentale
è molto complesso, ma vi è anche una forte interferenza acustica, do-
vuta alla rumorosità delle apparecchiature, che disturba il sonno dei
partecipanti (le cuffie isolanti acusticamente o i tappi per le orecchie
possono solo parzialmente ridurre i decibel).
È probabilmente per queste ragioni che al momento esiste un solo
studio di risonanza magnetica funzionale (fMRI) sul SL (Dresler et
al., 2012), peraltro condotto su un solo partecipante. Questi ha pro-
dotto due episodi di SL di sufficiente lunghezza per acquisirne i dati
di fMRI e parallelamente anche quelli PSG (EOG, EMG e EEG),
necessari per verificare che si trattasse effettivamente di sogni lucidi.
Nei periodi di SL si è riscontrata una maggiore attivazione del precu-
neo, del cuneo, dei lobi parietali, della corteccia prefrontale mediale e
anteriore, della corteccia occipito-temporale (bilateralmente per tutte
le regioni) rispetto al sonno REM non lucido. Purtroppo non sono
stati riportati i precisi dettagli fenomenologici delle attività mentali
svolte durante i 2 sogni lucidi osservati. Pertanto, anche se quanto
concordato prima del sonno con i ricercatori (sequenza di movimenti
oculari sinistra-destra-sinistra-destra al momento della comparsa di lu-
cidità, poi contrazione della mano sinistra per circa 10 secondi, poi di
nuovo la stessa sequenza di movimenti oculari, seguita dalla contra-
zione della mano destra, e così via per tutta la durata del SL), non si
può inferire con sicurezza che l’esecuzione continuativa corrisponda
anche a contenuti guidati volontariamente, e non collegati all’atti-
vazione di aree cerebrali associate a quelle osservate con la fMRI, e
dunque non strettamente inerenti al SL in quanto tale, bensì allo spe-
cifico tipo di attività motoria svolta durante il periodo di sonno REM
con lucidità.
Più agevole da un punto di vista metodologico risulta lo studio di
differenze interindividuali nella struttura cerebrale di sognatori lucidi
e non, se condotto con la metodica della risonanza magnetica strut-
turale (MRI) e funzionale (fMRI), in quanto avviene in condizioni di
veglia e non vi sono problemi di reclutamento: come abbiamo visto
(Floyd et al., 2007), circa la metà delle persone riporta di non aver
mai provato la lucidità nel sogno e circa un quinto riporta di avere
almeno un SL al mese. Filevich, Dresler, Brick e Kuhn (2015) hanno
dapprima fatto completare ai loro partecipanti un questionario per
valutarne la capacità di sognare lucidamente, e poi i soggetti sono
stati sottoposti a MRI e fMRI. I partecipanti ad alta capacità di lu-
cidità sono risultati avere un volume maggiore di materia grigia nella

221
corteccia prefrontale anteriore rispetto a quelli del gruppo a bassa
lucidità. È da notare, tuttavia, che mentre i valori relativi di alta/
bassa capacità di lucidità sono stati riportati, non è descritto in va-
lore assoluto se i partecipanti ad alta lucidità fossero propriamente
degli esperti (con molteplici sogni lucidi per notte), oppure se sem-
plicemente avessero avuto alcune occorrenze di SL nella loro vita. Ad
ogni modo, queste differenze strutturali sono risultate correlate anche
a differenze funzionali: le stesse regioni prefrontali anteriori hanno
mostrato nel gruppo ad alta lucidità una maggiore attivazione durante
un compito in veglia che richiedeva competenze metacognitive (mo-
nitoraggio del proprio pensiero) rispetto al gruppo a bassa lucidità.
Da questi risultati è stato dedotto che vi è una condivisione di circuiti
neuronali tra SL e capacità metacognitive.
Baird, Castelnovo, Gosseries e Tononi (2018) hanno valutato i
correlati strutturali e la connettività funzionale di 14 sognatori lucidi
esperti (con almeno 3 sogni lucidi a settimana), confrontandoli con
un gruppo di controllo omologo per età e genere, ma con un solo
SL all’anno. Rispetto al gruppo di controllo, i sognatori lucidi esperti
non hanno mostrato differenze volumetriche nelle strutture cerebrali,
ma una connettività funzionale allo stato di riposo significativamente
maggiore tra alcune regioni normalmente disattivate durante il sonno,
ovvero corteccia prefrontale anteriore sinistra e giro angolare bilate-
rale, giro temporale medio bilaterale e giro frontale inferiore destro.
Questi studi di neuroimaging sulle differenze individuali utilizzando
risonanza magnetica, pur fra le molteplici limitazioni metodologiche,
sembrano indicativi mostrare di una maggiore connettività delle parti
più anteriori della corteccia prefrontale con aree più posteriori nei so-
gnatori lucidi esperti per compiti che richiedono abilità meta cogni-
tive come quelle coinvolte nel SL.

3.3.  Neurostimolazione e farmaci

Vista la grande difficoltà nel reperire sognatori lucidi ed ottenere


episodi di SL in laboratorio, in alcuni studi si è provato ad indurre
l’occorrenza di lucidità attraverso stimolazioni cerebrali elettriche,
elettromagnetiche oppure farmacologiche.
Voss et al. (2014) hanno utilizzato come metodo d’induzione una
neurostimolazione elettrica, somministrando una debole corrente elet-
trica alternata a livello fronto-temporale a diverse frequenze tramite
transcranial Alternating Current Stimulation (tACS) su 27 partecipanti.
Tra le varie frequenze utilizzate, quella tra 25 e 40 HZ (bassa banda
gamma) è stata in grado di indurre autocoscienza nei sogni dei par-
tecipanti, come si è potuto evincere dai loro resoconti verbali di cosa

222
stavano sognando durante le varie stimolazioni. La tACS appare come
uno strumento di facile utilizzo per indurre la lucidità, in quanto oltre
ad essere silenziosa, può essere applicata direttamente sul cuoio capel-
luto senza la presenza costante del ricercatore. I principali svantaggi
del suo utilizzo sono la bassa risoluzione spaziale e il lungo periodo
di tempo (10-20 minuti) necessario per avere effetti a livello corticale,
durante il quale il soggetto può e svegliarsi spontaneamente, causando
la perdita di dati (Noreika, Windt, Lenggenhager e Karim, 2010).
Alcuni farmaci sono stati applicati per stabilire, dato l’incremento
di attivazione fisiologica durante la fase REM e il SL, se il potenzia-
mento dell’attivazione corticale attraverso l’inibizione dell’acetilcoline-
stereasi (AChEI) aumenti la frequenza dei sogni lucidi. Già LaBerge
(2004), per aumentarne la frequenza, aveva somministrato un farmaco
inibitore dell’AChEI, il quale, impedendo la degradazione dell’acetil-
colina in colina e acido acetico, in generale porta ad un aumento della
quantità di acetilcolina. La somministrazione effettiva del farmaco su
un numero ristretto di partecipanti (n = 10) ha portato ad un signi-
ficativo aumento di lucidità nei sogni dei partecipanti rispetto alla
somministrazione di placebo, ma ha indotto anche una serie di effetti
collaterali, quali paralisi notturna, insonnia, nausea e vomito, che ne
hanno poi scoraggiato l’utilizzo sperimentale.
In uno studio successivo, LaBerge, LaMarca e Baird (2018) hanno
quantificato l’attendibilità dell’effetto di AChEI sul SL tramite un
protocollo che integrava un diverso farmaco a stimolazione coliner-
gica con un metodo comportamentale per indurre lucidità nel sogno.
A ben 121 partecipanti interessati ai loro sogni lucidi sono state som-
ministrate in modo casuale capsule contenenti 3 dosi diverse di ga-
lantamina (0, 4 e 8 mg; la dose 0 costituiva la somministrazione pla-
cebo). Per 3 notti consecutive sono stati svegliati circa 4,5 ore dopo
lo spegnimento delle luci, e hanno ricordato un sogno fatto. Quindi
hanno ingerito le capsule e sono rimasti fuori dal letto per almeno
30 minuti (implementando di fatto la tecnica d’induzione di luci-
dità detta Wake-Back-to-Bed, o WBTB: vedere più avanti). La per-
centuale di partecipanti che ha riportato un SL nel resto della notte
è sensibilmente aumentata a seguito dell’assunzione della dose da 4
mg (+27%) e da 8 mg (+42%) rispetto alla dose placebo (+14%).
La galantamina ha anche aumentato significativamente il ricordo e
la vividezza dei sogni ordinari. Alcuni modesti effetti collaterali (lievi
disturbi gastrointestinali, insonnia e affaticamento nel giorno succes-
sivo) sono stati riportati dal 14% dei partecipanti che avevano effet-
tivamente assunto il farmaco (contro il 3% dei soggetti che avevano
assunto solo il placebo).
Simili risultati sugli effetti della galantamina sono stati riportati da
Sparrow, Hurd, Carlson e Molina (2018) in uno studio con 35 parte-

223
cipanti condotto su 8 notti e utilizzando in giorni diversi l’assunzione
di galantamina (8 mg), la tecnica WBTB, e una tecnica che richiede
meditazione e poi il ricordo di un sogno stressante (tecnica detta
MDR). L’occorrenza di lucidità è stata autovalutata su varie caratte-
ristiche (vividezza, autoriflessione, intenzionalità) tipiche della luci-
dità nel sogno. I risultati hanno mostrato anche in questo caso una
maggiore frequenza di caratteristiche di lucidità nei sogni a seguito
dell’assunzione di galantamina con WBTB oppure con MDR.
In conclusione, i seppur pochi studi (una decina) neurofisiologici
sul SL hanno sia confermato la possibilità di riprodurlo e modificarne
in parte le caratteristiche in condizioni controllate di laboratorio, sia
evidenziato la persistenza di alcuni problemi metodologici.

4.  METODI D’INDUZIONE E DI MANTENIMENTO DELLA LUCIDITÀ

Come abbiamo visto, uno dei problemi principali nello studio del
fenomeno della lucidità nel sogno consiste nella difficoltà di recluta-
mento dei partecipanti. Il SL, infatti, è un fenomeno abbastanza raro
in sé, e peraltro risulta difficile da riprodurre in laboratorio anche per
individui che solitamente hanno una buona capacità di diventare lu-
cidi nel sogno. Per ovviare a questo problema, sono state sperimen-
tate molte tecniche comportamentali di induzione del SL, applicate
da sole o insieme a quelle di neurostimolazione e farmacologiche.

4.1.  Metodi comportamentali

Rivediamo la maggior parte delle tecniche e metodologie compor-


tamentali utilizzate per facilitare l’innesco della lucidità durante il so-
gno.
Agenda dei sogni. Secondo LaBerge (2009), avere una buona capa-
cità di ricordare (dream recall) i sogni ordinari è condizione necessaria
per indurre un SL, pur non essendo di per sé sufficiente. Per miglio-
rare questa capacità è utile tenere un diario dei sogni vicino al letto,
e trascriverli non appena possibile, anche nella notte stessa, o almeno
alcuni degli elementi, per poi descrivere maggiormente i dettagli suc-
cessivamente, ad esempio al risveglio definitivo del mattino.
Meditazione. Molti studi mostrano come diversi tipi di medi-
tazione mindfulness (per una rassegna, cfr. De Pisapia e Grecucci,
2017) aumentino sensibilmente la probabilità di sognare lucida-
mente. Già Moffitt et al. (1988) hanno ipotizzato un paralleli-
smo tra pratiche meditative durante la veglia e SL, con una sorta
di continuum tra attività di auto-riflessione, come suggerito dalla

224
correlazione positiva tra la frequenza di meditazione e SL. Infatti,
vari studi hanno mostrato un’associazione tra propensione al SL e
meditazione (Baird, Riedner, Boly, Davidson e Tononi, 2019; Ga-
ckenbach, 1992; Hunt e Ogilvie, 1988; Stumbrys, Erlacher e Mali-
nowski, 2015). Tuttavia manca ancora la dimostrazione che medi-
tazione in stato di veglia e lucidità durante il sogno riflettano uno
stesso processo neurobiologico di base.
Autosuggestione. Una tecnica molto semplice è l’autosuggestione
prima di addormentarsi. A questo fine può essere ripetuto mental-
mente prima di addormentarsi un comando a sé stessi del tipo: «Que-
sta notte sognerò molto. Se noterò qualcosa di anomalo riconoscerò
che si tratta di un sogno». Può essere utile, dopo questo tipo di au-
tosuggestione verbale, ricordare a sé stessi che se si riconoscono ele-
menti bizzarri ma non si è certi che si tratti di un sogno, e sufficiente
intraprendere qualche azione volontaria, ad esempio consultare l’o-
rologio o guardarsi le mani, in quanto queste azioni intenzionali ese-
guite in un sogno e decise preventivamente attestano la presenza di
lucidità (Stumbrys, Erlacher, Schadlich e Schredl, 2012).
Mnemonic Induction of Lucid Dreams (MILD; LaBerge, 1980) è
una tecnica con la quale prima di addormentarsi ci si concentra su di
un sogno ordinario fatto in precedenza, mantenendo l’intenzione di
ricordare che si tratta di un sogno.
Test di realtà (Reality checks). Questa tecnica consiste nel chiedersi
ripetutamente durante la veglia se si è realmente svegli (Tholey, 1983).
Eseguire questo controllo più volte al giorno e per periodi prolungati
può far sviluppare l’abitudine a farlo anche all’interno di un sogno.
Per poter verificare se è all’interno di un sogno oppure no, la persona
può cercare d’individuare degli elementi bizzarri (ad esempio, le leggi
della fisica sono rispettate? Si è in grado di ricordare come si è giunti
nel luogo in cui ci si ritrova?).
Test del sogno (dream signs) è una tecnica simile al test di realtà,
in quanto ci si chiede se si è in un sogno oppure no (Stumbrys et al.,
2012). Questa domanda può essere provocata anche da alcuni eventi
assurdi, bizzarri e incoerenti, o piuttosto ripetitivi e tipici dei sogni
ricorrenti, che magari sono facilmente riconoscibili grazie all’utilizzo
dell’agenda personale dei sogni (ad esempio, essere per l’ennesima
volta di fronte alla commissione dell’esame di maturità).
Wake Back To Bed (WBTB) consiste nello svegliarsi volontaria-
mente durante la notte (ad esempio tramite una sveglia), fare una
pausa più o meno lunga da svegli (molto breve e senza muoversi se-
condo alcuni, oppure alzandosi e riacquisendo piena coscienza da
svegli secondo altri), per poi ritornare a dormire mantenendo una
forte intenzione di essere vigili e consapevoli nel sogno successivo
(Stumbrys et al., 2012).

225
Wake-Initiation of Lucid Dreams (WILD) è un metodo più avan-
zato, in cui la persona prova a mantenere autocoscienza mentre si
addormenta (una sorta di mantenimento della presenza mentale e
mindfulness in fase ipnagogica), cercando di entrare direttamente in
un SL (Stumbrys et al., 2012).
Mantenimento della lucidità. Una volta iniziato il SL, una ulteriore
difficoltà consiste nel mantenere la lucidità, in quanto la presenza
mentale viene esperita come estremamente fugace, per cui è facile o
svegliarsi per l’emozione di aver innescato la lucidità, oppure scivolare
nuovamente in un sogno senza lucidità. La persona che sperimenta la
lucidità le prime volte tende facilmente a svegliarsi oppure a ritornare
in un sogno normale in pochi istanti. La tecnica principale consiste da
un lato nel cercare di mantenere la calma senza eccitarsi troppo per il
fatto che si è lucidi, e dall’altro nel mantenere viva la presenza di luci-
dità ricordandosi di eseguire delle azioni di richiamo (ad esempio, os-
servare le proprie mani o piedi). Con il susseguirsi di sogni lucidi e la
ripetizione di queste esperienze, i sognatori lucidi possono diventare
«esperti», cioè in grado di mantenere la lucidità per molti secondi o
addirittura minuti (Wallace e Hodel, 2012).

4.2.  Stimolazione sensoriale e videogames

Esistono numerosi prodotti commerciali che utilizzano stimoli vi-


sivi, uditivi o tattili per indurre lucidità (ad es., NovaDreamer, Dream-
Light, ecc.). L’idea di base è che se mentre la persona dorme o se,
meglio ancora, è in fase REM, viene stimolata con segnali fisici esterni
(ad esempio brevi flash luminosi con luci a led poste vicino agli occhi
chiusi, suoni, vibrazioni tattili, odori), possono fungere da richiamo
per effettuare un test di realtà oppure innescare direttamente lucidità.
Queste tecniche sono state utilizzate in diversi esperimenti (ad es., La-
Berge, 1988), ma si sono rivelate meno efficaci di altre, in quanto lo
stimolo fisico viene incorporato nella trama del sogno (ad esempio, il
suono esterno che dovrebbe funzionare da richiamo viene invece in-
terpretato come proveniente da un oggetto nel sogno stesso), per cui
non s’innesca alcun test di realtà.
Una distinta e interessante possibilità, già ipotizzata da Ga-
ckenbach e Karpen (2007), è che gli attuali media elettronici, dai vi-
deogames alla realtà virtuale, in quanto offrono un accesso continuo
a mondi virtuali, possano agire da amplificatore di lucidità nei sogni.
Infatti, la correlazione positiva tra frequenza di SL e di videogaming
(Gackenbach, 2006; 2009a; 2009b suggerisce l’esistenza di un pro-
gressivo training cognitivo nei videogamers che riguarda le loro com-
petenze spaziali, di focalizzazione dell’attenzione, dell’integrazione

226
senso motoria, ovvero delle abilità (skills) che possono rendere l’espe-
rienza del sogno più facilmente controllabile.

4.3.  Neurostimolazione e sostanze

Abbiamo visto in precedenza come, partendo dalla relazione tra


l’attivazione fisiologica durante la fase REM e il SL, alcuni studi ab-
biano rilevato come il potenziamento dell’attivazione corticale attra-
verso l’inibizione dell’acetilcolinestereasi (AChEI) aumenti significa-
tivamente l’occorrenza di lucidità nei sogni (LaBerge et al., 2018 e
Sparrow et al., 2018). Questi studi suggeriscono che la galantamina
abbia il potenziale di aumentare la frequenza dei sogni lucidi, parti-
colarmente se si integra l’assunzione del farmaco con alcune tecniche
comportamentali d’induzione, come la WBTB, la MILD o la medi-
tazione abbinata al ricordo di sogni. Questa integrazione tra galanta-
mina e tecniche comportamentali è attualmente uno dei metodi più
efficaci per indurre SL in contesti sperimentali. Sottolineiamo  –  come
riportato in precedenza  –  che esistono effetti collaterali legati all’as-
sunzione della sostanza, anche in dosi limitate, ed inoltre gli specifici
meccanismi biologici attraverso cui la galantamina ottiene questi ef-
fetti restano ancora da determinare.
In conclusione per quanto riguarda le metodiche d’induzione, sia
le tecniche comportamentali che le stimolazioni esogene aumentano la
probabilità di innescare lucidità nel sogno, ma senza arrivare ad un
livello elevato di efficacia.

5.  APPLICAZIONI DEL SOGNO LUCIDO

Esaminiamo ora i possibili aspetti applicativi del SL.

5.1.  Soddisfazione di desideri ed emozioni positive

Il SL è vissuto  –  nella maggior parte dei casi  –  come un’esperienza


positiva. Durante e dopo un SL, le persone riportano di essersi sentite
bene, più presenti e, naturalmente, lucide. In un sondaggio online su
386 sognatori lucidi (Stumbrys e Erlacher, 2016) è stato chiesto che
uso avevano fatto dei loro sogni lucidi e in che modo queste appli-
cazioni avevano influenzato il loro umore al risveglio. La soddisfa-
zione di un desiderio è risultata essere l’esito più frequente, soprat-
tutto per i sognatori più giovani. In particolare, le due soddisfazioni
più frequenti risultano essere quelle di avere rapporti sessuali e volare

227
(come anche riportato in una precedente survey online, Stumbrys et
al., 2014). Gli esiti successivi, in ordine di frequenza, sono risultati es-
sere la risoluzione dei problemi di veglia (ad es., chiedere consigli ad
una persona nel sogno), il superamento di paure e incubi (ad es., con-
frontandosi con personaggi del sogno che incutono timore), le espe-
rienze spirituali (ad es., dissolversi nell’ambiente), la guarigione fisica
e mentale (ad es., la diminuzione del dolore), l’allenamento delle ca-
pacità motorie, ed infine la meditazione. I partecipanti più anziani e
i sognatori lucidi più esperti utilizzano il SL maggiormente per il la-
voro interiore (risolvere problemi di veglia, guarigione mentale, medi-
tazione) rispetto ai sognatori più inesperti o giovani. Le donne hanno
maggiori probabilità di usare i loro sogni lucidi per superare paure/
incubi e per fini di guarigione. Tutti gli esiti del SL elencati hanno
influenzato l’umore al risveglio positivamente oppure in modo neutro,
gli stati emotivi più positivi essendo riportati dopo la realizzazione di
un desiderio. In generale il SL viene vissuto con più emozioni positive
rispetto al sogno ordinario (Thomas, Pollak e Kahan, 2015), e dà un
impulso positivo al resto della giornata (Schredl e Reinhard, 2009).

5.2.  Attività fisica e sport

Un interessante campo di applicazioni del SL riguarda le attività


motorie, le cui prestazioni notoriamente possono essere migliorate dal
mero esercizio mentale (Schmith e Lee, 2005). In effetti, è stato dimo-
strato che il SL può essere utilizzato per allenarsi in compiti motori
specifici senza svegliarsi, come lanciare monete (Erlacher e Schredl,
2010), tamburellare con le dita (Stumbrys, Erlacher e Schredl, 2016)
e lanciare freccette (Schädlich, Erlacher e Schredl, 2017). Schädlich e
Erlacher (2018) hanno intervistato 16 sognatori lucidi di diversi paesi,
che hanno confermato (81,3%) effetti positivi in molti sport a seguito
dell’allenamento durante SL, ovvero miglioramento delle prestazioni
fisiche, rafforzamento della fiducia, e maggiore flessibilità ed emozioni
positive.
Tuttavia, pur essendovi dati a favore dell’utilizzo del SL per l’alle-
namento delle competenze motorie in compiti elementari e ripetitivi,
non vi sono al momento dati a supporto dell’utilizzo del SL per com-
piti più complessi, ad esempio di rieducazione motoria di pazienti ce-
rebrolesi (influenzata positivamente dal sonno successivo a sedute con
esercizi motori di complessità crescente; Siengsukon e Boyd, 2009).

228
5.3. Creatività

L’attività onirica è stata ipotizzata essere una delle modalità di fun-


zionamento creativo di vari processi cognitivi (Wagner, Gais, Haider,
Verleger e Born, 2004), in quanto episodi, scenari, personaggi e intere
narrazioni con profondo impatto emotivo vengono generati talvolta in
modo molto dettagliato. Se e come le capacità creative siano associate
al SL è un ambito di ricerca di potenziale grande interesse.
Blagrove e Harntell (2000) hanno misurato le capacità creative tra-
mite l’Adjective Checklist in 3 gruppi d’individui con frequenze di SL
diverse (abituale, occasionale, assente), riscontrando che la creatività
è correlata con la frequenza di lucidità. Risultati simili sono stati ot-
tenuti anche da Zink e Pietrowski (2013): su 334 intervistati, i sogna-
tori lucidi hanno ottenuto un punteggio significativamente più alto
all’Adjective Checklist.
Stumbrys e Daunyte (2018) hanno chiesto a 20 sognatori lucidi di
realizzare un compito di generazione creativa (disegnare un alieno)
una volta da svegli e una volta durante un SL (viaggiando su un pia-
neta alieno o incontrando un alieno, e quindi svegliarsi e disegnarlo).
I loro disegni sono stati confrontati con i disegni di un gruppo di
20 sognatori non lucidi che hanno svolto il compito di disegnare un
alieno in condizioni di veglia. Un gruppo di giudici esterni ha valu-
tato il livello di creatività dei disegni dei sognatori lucidi come signi-
ficativamente più creativi, ma senza differenze tra quelli realizzati da
loro in veglia e durante SL, per cui rimane incerto se la loro maggiore
creatività sia o meno un tratto della loro intelligenza indipendente
dallo stato di vigilanza.
In un recente esperimento su creatività e SL, Lacaux et al. (2019)
hanno testato 185 soggetti con narcolessia e 126 controlli sani, valu-
tando il loro livello di creatività con due questionari, e cioè il Test of
Creative Profile e il Creativity Achievement Questionnaire. Su un sot-
togruppo la creatività è stata testata anche usando la batteria di test
Evaluation of Potential Creativity. I soggetti con narcolessia (i quali
abitualmente riportano una frequenza di SL maggiore rispetto alla
popolazione generale) si sono auto classificati come sognatori lucidi
(pur senza specificarne la frequenza di SL) nel 43% dei casi rispetto
al 3.2% del gruppo di controllo e hanno ottenuto punteggi significati-
vamente più alti rispetto ai controlli su tutti i questionari di creatività
utilizzati. Non è stato però misurato il grado di creatività dei rispettivi
sogni lucidi e non lucidi, per cui rimane incerto se la creatività sia un
tratto indipendente dal SL.

229
5.4. Psicoterapia

Fin dai primi studi si è stato ipotizzato che il SL sia uno strumento
potenzialmente utile anche in ambito clinico, a fini psicoterapici.
(ad es., Garfield, Fellows, Halliday e Malamud, 1988). Vari i studi
nei quali il SL è stato utilizzato come tecnica per la riduzione della
comparsa di incubi (Spoormaker e Van Den Bout, 2006; Holzinger,
Klösch e Saletu, 2015), hanno mostrato come il suo apprendimento
diminuisca la frequenza di incubi e migliori la qualità percepita del
sonno. Gavie e Revonsuo (2010), riflettendo sulla stretta associazione
tra incubi e disturbo post-traumatico da stress (PTSD), hanno soste-
nuto l’efficacia del controllo degli incubi tramite trattamento con SL
per ridurre la paura associata all’evento traumatico originario nella
veglia. In effetti, di recente il SL è stato incluso dalla American Aca-
demy of Sleep Medicine tra le terapie consigliate per trattare gli in-
cubi (Morgenthaler et al., 2018).
Merita di essere sottolineato che l’interesse per il SL non è omo-
geneo in tutte le psicoterapie. Holzinger et al. (2015) hanno presen-
tato un caso in cui il SL compariva in trattamento secondo i criteri
della Gestalt Therapy, alla base della quale vi è l’idea che la coscienza
faciliti e smuova le aree di blocco psichico, per cui l’aumento della
coscienza è l’obiettivo principale di tutta la terapia (Enright, 1970).
Altre psicoterapie, come la psicoanalisi o la psicologia analitica, non
hanno invece assegnato alcuna funzione specifica alla lucidità, pur
riconoscendo l’importanza dell’interpretazione dei sogni ordinari nel
processo psicoterapico (ad es., Freud, 1899; Jung, 1948). Già in un
breve carteggio tra van Eeden (lo psichiatra che tra i primi ha esplo-
rato il SL) e Sigmund Freud (Rooksby e Terwee, 1990) era chiaro
come per quest’ultimo il punto centrale per l’interpretazione dei sogni
non fosse il contenuto manifesto o il modo in cui il sognatore esperi-
sce il sogno (ad es., accompagnandolo con autocoscienza o con senso
di soddisfazione), ma il suo contenuto latente e simbolico. Anche
nella copiosa produzione scientifica e letteraria di Carl Gustav Jung
non vi è alcuna menzione esplicita della coscienza all’interno del so-
gno, pur se viene attribuito grande valore al lavoro cosciente da svegli
sul contenuto dei sogni (ad es., Jung, 1948).

5.5.  Possibili effetti avversi sul sonno e sulla salute

Anche se nella maggioranza dei casi le persone che hanno espe-


rienze di SL lo descrivono in termini positivi (ad es., come un’espe-
rienza di soddisfazione di desiderio, come abbiamo visto), non si pos-
sono sottacere i possibili effetti avversi della lucidità nel sogno che

230
possono riguardare il sonno e la salute mentale. Infatti, un uso siste-
matico delle tecniche d’induzione della lucidità nel sogno, ad esem-
pio quelle che si basano su a) un risveglio prolungato e la successiva
ripresa del sonno, b) l’utilizzo di stimolazione elettrica del cervello (ad
esempio, tACS), o c) l’utilizzo di farmaci (ad esempio tramite galan-
tamina) possano alterare l’architettura e i ritmi del sonno, causando i
seri problemi abitualmente associati alla sua frammentazione e all’al-
terazione dei processi di regolazione del ritmo sonno-veglia (Vallat e
Ruby, 2019).
Va inoltre sottolineato come, pur essendo ben nota la funzione
delle attività mentali nel sonno di facilitare la regolazione emozionale
e la risoluzione graduale di conflitti psichici, per cui il sonno costi-
tuisce una sorta di overnight therapy (Walker e van der Helm 2009),
gli esiti dell’autoregolazione di tali funzioni tramite il SL non è stata
ancora studiata in modo sistematico. Poiché non si conoscono ancora
le conseguenze sul sonno e sulla salute mentale prodotti da un uso
prolungato di tecniche d’induzione o mantenimento di lucidità, pur
se con una benevola finalità di aumentare il proprio benessere psico-
logico, o magari per soli fini ricreativi, occorre sottolineare l’impor-
tanza di studiare e valutare ulteriormente i possibili effetti collaterali
di una ripetuta induzione forzata di lucidità nel sogno ordinario.

6.  VERSO UN MODELLO SCIENTIFICO DEL SOGNO LUCIDO

Nonostante le indicazioni riportate, il SL rimane un fenomeno del


quale sono ancora poco conosciuti i sottostanti processi neurobiolo-
gici e psicologici. Ciò è dovuto a difficoltà di riproduzione in condi-
zioni di laboratorio e all’eterogeneità dei presupposti teorici dai quali
discende l’interpretazione dei dati sperimentali all’interno di modelli
in parte incompatibili. Entrambe queste limitazioni potrebbero essere
superate avviando una più stretta collaborazione tra i ricercatori che
si interessano del SL, per realizzare ricerche multicentriche con lo
stesso disegno sperimentale. In tal modo, sarebbe possibile sia incre-
mentare il numero di partecipanti (e quindi la potenza statistica dei
test) agli esperimenti, sia definire la cornice teorica delle ipotesi volta
per volta testate, riducendo sensibilmente le differenze terminologiche
e concettuali che rendono spesso difficile il confronto dei risultati ot-
tenuti in studi effettuati da gruppi diversi (ad es., quali e quanti livelli
di autocoscienza siano osservabili nel SL). È questo il senso dell’ap-
pello a suo tempo fatto da Noreika et al. (2010), al momento inascol-
tato.
La portata delle differenze interpretative si può cogliere confron-
tando alcuni dei modelli finora proposti per il SL. LaBerge, tra i

231
primi a studiare in maniera sistematica il SL, si è focalizzato sulla sua
occorrenza quasi esclusivamente in sonno REM caratterizzata da una
notevole attivazione del sistema nervoso centrale (Brylowsky et al.,
1989; LaBerge et al., 1986). Quest’attivazione rende possibile l’auto-
coscienza, tipica del SL, come effetto della possibilità di accesso alla
memoria prospettica, che è alla base dei processi di auto-riflessione
necessari per riconoscere lo stato di sogno. Secondo LaBerge la co-
scienza nel sogno è molto vicina a quella nella veglia, e la cognizione
durante il sogno comprende una vasta gamma di esperienze, che
vanno dal cognitivo nel sogno ordinario al metacognitivo nel SL, ov-
vero consapevolezza riflessiva, intenzionalità e autoregolazione com-
portamentale (LaBerge, 1988; Kahan e LaBerge, 1994). Per questo
modello, quindi, vi sarebbe un continuum tra processi cognitivi e me-
tacognitivi in condizioni di vegli e di sonno (almeno) REM.
Il modello di SL proposto da Voss e Hobson (2014) definisce il
SL come uno stato ibrido (Hybrid State Hypothesis) con molte carat-
teristiche in comune con il sogno della fase REM, con la differenza
che compare in concomitanza di un aumento di attività frontale che
rende il SL più simile allo stato di coscienza di veglia. Il SL è per-
tanto descritto come uno stato neurobiologico ibrido e dissociato,
nel quale alcune aree del cervello adottano una configurazione di
attività momentaneamente stabile caratterizzata da un lato dalla co-
scienza secondaria tipica della veglia, e dall’altro da alcune caratteri-
stiche psicofisiologiche tipiche del sonno REM. Questa dissociazione
riflette l’attivazione concomitante della corteccia prefrontale – usual-
mente non attiva nel sogno ordinario  –  e di aree corticali posteriori,
abitualmente implicate nel sogno non lucido per la produzione di
immagini percettivamente vivide. Questo modello si basa sulla netta
distinzione tra coscienza primaria e secondaria, già descritta da Ge-
rald Edelman (2004). La coscienza primaria corrisponde alla consa-
pevolezza (awareness in inglese) delle cose nel mondo presente. Essa
è prelinguistica e non è accompagnata da un io socialmente definito,
con un senso del passato e del futuro, ma è centrata soltanto sul
presente. La coscienza secondaria, invece, dipende dal linguaggio:
essa comprende la coscienza auto-riflessiva, il pensiero astratto, la
volontà e la metacognizione (Edelman, 2004; Hobson, 2009) e la
capacità di ripensare esplicitamente ad episodi passati e di formare
intenzioni future. Nella veglia sono naturalmente presenti entrambi
i tipi di coscienza, mentre nel sonno REM si troverebbe solo la co-
scienza primaria. Per questo motivo, durante il sogno ordinario noi
percepiamo (visione, udito, tatto, ecc.) e proviamo emozioni (gioia,
paura, rabbia, ecc.), ma la coscienza secondaria è assente. Anche i
processi linguistici che si verificano anche durante i sogni ordinari
(Kahan e LaBerge, 2011) sono comunque legati al presente e man-

232
cano della struttura concettuale che consente la piena coscienza di
sé (Baird et al., 2018).
Il modello di Voss e Hobson (SL come stato ibrido e dissociato)
è incompatibile con quello di LaBerge (continuità dei processi co-
gnitivi tra veglia e sonno REM). Secondo quest’ultimo, la dimostrata
possibilità del SL in molte persone, pur se con frequenze diverse, ri-
chiede un ampliamento del concetto di «sogno» così come è avvenuto
per quello di «sonno» dopo la scoperta dell’organizzazione ciclica
del sonno e dell’esistenza del sonno REM (LaBerge, 2010). Proprio
l’innesco di lucidità in un sogno documentato tramite i movimenti
oculari concordati con il ricercatore durante sonno REM dimostra
che non vi è un sonno REM per sogni ordinari e un sonno REM per
sogni lucidi, bensì fasi REM non-lucide e fasi REM lucide. Il sogno
REM può supportare l’autocoscienza, così come nello stato di veglia
vi possono essere stati di bassa lucidità.
Le suddette divergenze teoriche fra intende il SL come uno stato
di coscienza ibrido e chi lo intende come una variazione interna del
sogno REM potrebbero venire ridimensionate, se non appianate, ri-
spondendo ad alcuni quesiti tuttora privi di risposte fondate su evi-
denze attendibili. In primo luogo, occorre chiarire se il SL abbia un
significato funzionale preciso  –  come sostiene LaBerge e come sugge-
riscono le differenze sia interindividuali (quasi metà della popolazione
ritiene di avere esperito qualche volta il SL) che età-relate (maggiore
frequenza di SL nei bambini e negli adolescenti), o sia semplicemente
una sorta di effetto collaterale di processi neurobiologici peraltro in
parte attivi nei sogni ordinari in fase REM, come sostengono Voss e
Hobson.
In secondo luogo, occorre stabilire quali siano i network neuronali
attivati specificamente nel SL a differenza del sogno non lucido. Nes-
suno studio ha ancora analizzato il possibile ruolo del cosiddetto de-
fault-mode network, pur se alcuni ipotizzano sia centrale nella produ-
zione di sogni ordinari (Domhoff e Fox, 2015). Vari studi di neuroi-
maging hanno mostrato che in veglia questo network è molto attivato
in compiti che richiedono attenzione non focalizzata, nei sogni ad
occhi aperti, nel divagare mentale (mind-wandering) e nel processing
di informazione centrata su di sé, a differenza dei compiti che richie-
dono una focalizzazione su stimoli esterni, con aumento dell’attiva-
zione dei network sottesi alle funzioni esecutive e di controllo dell’at-
tenzione (ad es., De Pisapia, 2010; De Pisapia, Barchiesi, Jovicich e
Cattaneo 2019; De Pisapia, Turatto, Lin, Jovicich e Caramazza, 2012).
In terzo luogo, occorre accertare se le diverse attività cognitive
(motorie, calcolo aritmetico, ecc.) che si possono svolgere in un SL
siano associate all’attivazione di specifiche aree cerebrali, le stesse che
si osservano in compiti eseguiti in veglia. Questa ipotesi, suggerita

233
dall’esperimento di Dresler (2011), se ulteriormente corroborata da
altri esperimenti, deporrebbe sicuramente, se non definitivamente, a
favore del modello di LaBerge.
In conclusione, il fenomeno del SL può offrire un’opportunità im-
portante (anche se non unica, come talora sostenuto su base princi-
palmente filosofica, ad esempio in Windt e Metzinger, 2007) per lo
studio dei correlati neurobiologici del sogno, dell’autocoscienza e
delle capacità meta-cognitive durante il sonno REM.

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[Ricevuto il 4 novembre 2019]


[Accettato il 30 aprile 2020]

Lucid dreaming: From phenomenology to the neurobiological research

Summary. In this critical review, we discuss lucid dreaming, that is, the dream periods
in which one is aware of dreaming. During a lucid dream, experiences are correctly
recognized by the dreamer as a dreamlike type. This occurs thanks to the activation of
self-awareness, accompanied by a more accurate memory of some events or informa-
tion of one’s life in waking conditions, and by the ability to guide one’s actions in the
dream in an intentional way. After some historical notes on lucid dreaming, we discuss
the main results obtained by recent psychological and neurobiological research on this
phenomenon, the lucidity induction methods, applications and scientific models, and
finally we examine the still open and relevant questions on lucid dreaming for the elab-
oration of a unitary model.

Keywords: Dreams, consciousness, self-consciousness, REM sleep, prefrontal area.

La corrispondenza va inviata a Nicola De Pisapia, Dipartimento di Psicologia e Scienze


Cognitive (DipSCo), Università di Trento, Corso Bettini 31, 38068 Rovereto (TN). Email:
nicola.depisapia@unitn.it

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