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Si intitola Dora Markus, ed è una della poesie più belle di Eugenio Montale.
Parla di una donna, Dora, un’ebrea-austriaca perseguitata dal regime nazista. Dora
viene ritratta in due momenti distanti e tuttavia cruciali della propria vita: giovinezza
e vecchiaia.
Sullo sfondo della tragedia della guerra e delle persecuzioni razziali, Montale ci
dona questo intramontabile ritratto di donna, addentrandosi nelle complesse
sfumature dell’animo femminile e traendone un personaggio immortale dalla
complessità estrema.
Chi è veramente Dora Markus? È l’inquietudine dell’anima che non cessa mai di
parlarci, potremmo dire. Una donna immaginaria, una donna fantasma, che ancora
vive in questi versi restituendoci una malinconia struggente, la vibrazione di un
tormento interiore che non conosce pace, proprio come una “tempesta che turbina
e non appare”.
Composta da versi liberi, tra cui prevalgono endecasillabi e settenari per quanto
riguarda la prima parte (vv. 1-28), novenari ed ottonari per la seconda (vv. 29-61).
I
Fu dove il ponte di legno
mette a Porto Corsini sul mare alto
e rari uomini, quasi immoti, a ondano
o salpano le reti. Con un segno
della mano additavi all’altra sponda
invisibile la tua patria vera.
Poi seguimmo il canale no alla darsena
della città, lucida di fuliggine,
nella bassura dove s’a ondava
una primavera inerte, senza memoria.
1
fi
ff
fi
ff
E qui dove un’antica vita
si screzia in una dolce
ansietà d’Oriente,
le tue parole iridavano come le scaglie
della triglia moribonda.
II
Ormai nella tua Carinzia
di mirti oriti e di stagni,
china sul bordo sorvegli
la carpa che timida abbocca
o segui sui tigli, tra gl’irti
pinnacoli le accensioni
del vespro e nell’acque un avvampo
di tende da scali e pensioni.
Analisi
Dora Markus, come si evince dal testo, è divisa in due parti che furono scritte da
Montale in due momenti distinti. La prima parte risale al 1928-1929 quando il
poeta ricevette la lettera dell’amico Bobi Bazlen che includeva la fotogra a delle
gambe di Dora.
La seconda parte, invece, fu composta ben tredici anni dopo: nel 1939. Montale
a ermò di aver dato al personaggio di Dora Markus “un centro” di cui era
sprovvisto. La poesia fu inserita nella cupa raccolta Le occasioni (1939) che
inaugurava una nuova stagione poetica dell’autore ligure. In questi versi, dedicati
alla critica letteraria ebrea americana Irma Brandeis soprannominata “Clizia”,
Montale rivendica la possibilità di trovare un varco, una via di fuga, un’epifania
attraverso le occasioni.
Il tema principale della raccolta è quello del viaggio e i personaggi principali sono
proprio le donne ebree perseguitate che cercano salvezza sullo sfondo del con itto
mondiale ormai imminente. L’altro tema importante, che ritroviamo anche in Dora
Markus, è dato dalla memoria: in queste poesie Montale a erma l’impossibilità di
recuperare il passato, persino attraverso lo scavo operato attraverso la scrittura.
Dora Markus parla anche del tempo. Nella prima parte del componimento, scritta
nel 1928, troviamo la giovane Dora che si muove sullo sfondo di una Ravenna
bizantina. La immaginiamo ferma sul ponte di legno di porto Corsini, mentre un
vento autunnale le scuote i capelli, mentre con un dito indica la lontana Carinzia,
sua patria vera.
Per placarsi Dora stringe forte un amuleto - simbolo concreto in cui possiamo
ritrovare la celebre poetica dell’oggetto di Montale - che rappresenta la sua
salvezza. È quell’oggetto portafortuna a darle coraggio, a consentirle di resistere
all’indi erenza arida cui ha ridotto il suo cuore.
Nella seconda parte della poesia ritroviamo la stessa Dora Markus ormai anziana.
Anche l’ambientazione è cambiata: la donna non sosta più sulla riva di un
paesaggio lacustre, ma si trova nella tranquillità domestica della sua casa. Sullo
sfondo udiamo il rumore dei motori in una sera di città che lentamente si abbuia.
L’animo della donna sembra essersi placato, ormai dimentico degli urti tempestosi
della giovinezza. Dora ripercorre con la memoria gli “errori passati”, la sua storia
che ormai è “leggenda” e pare appartenere a un’altra persona. Ora lei ha adottato
uno stile di vita austero e composto, simile a quello dei suoi antenati, che la
scrutano implacabili dai ritratti d’oro appesi alle pareti.
Quel momento trascorso sul ponte di Ravenna, in compagnia del poeta, non è che
un ricordo lontano. La giovinezza sembra appartenere ad un’altra. Tutto appare
fuori tempo poiché un’altra minaccia grava sul presente: la guerra ormai imminente
espressa dall’armonica guasta nell’ora che abbuia.
Il poeta allora le pone una domanda terribile che sembra racchiudere il destino
della protagonista:
4
ff
ff
fi
guerra ormai alle porte. Sarà quel reteiterato “sempre più tardi” a scandire le ultime
strofe della poesia, come una tragica premonizione.
Dora Markus ci appare quindi come un fantasma, che ha lasciato la sua unica
traccia in una foto color seppia, una delle tante vittime dell’Olocausto che ora sono
nel vento. O forse si è salvata? In realtà ancora ferma sul ponte di legno di Porto
Corsini mentre addita la sua “patria vera”.
Quel che è certo è che la sua leggenda vive ancora, nel palpito immortale del
cuore, nella “dolce ansietà” profondamente umana che Montale le ha donato
attraverso i suoi versi.