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Pablo Neruda è lo pseudonimo che Ricardo Eliecer Neftalí Reyes

Basoalto scelse in onore del poeta cecoslovacco Jan Neruda (1834-1891),


cantore della povera gente. Nacque a Parral nel 1904, da famiglia modesta e
trascorse l'infanzia scontrosa nel piovoso, malinconico e selvaggio sud del
Cile; frequentò le scuole fino al liceo nella cittadina di Temuco e poi
l'università a Santiago. Dal 1926 al 43 girò il mondo come rappresentante
diplomatico del suo paese, nel '36-37 visse l'esperienza della guerra civile
spagnola non soltanto da spettatore interessato. L'incontro o meglio la
scoperta della Spagna fu per Pablo Neruda un fatto di estrema importanza.
Come scrisse su di lui Dario Puccini: «Uno di quei salti dialettici grazie ai
quali la storia esterna diviene storia personale, la vita degli altri vita propria,
il dolore del mondo sentimento radicato». Neruda, favorito dalle
circostanze, mise un pur lieve scompiglio nella letteratura spagnola
facendosi paladino della « poesia impura » opponendosi alla linea purista di
Juan Ramon Ramirez. Allora la sua influenza non fu preponderante, ma si
fece sentire più tardi e ancora perdura in qualche modo presso le
generazioni intermedie recenti. Dopo aver subito il fascino dell'incontro con
la poesia spagnola, il poeta cileno fu travolto nell'appassionata vicenda della
guerra civile: prese subito posizione a favore della Repubblica aggredita; fu
scosso dalla tremenda fucilazione di Lorca e con Cesar Vallejo, un poeta
peruviano, fondò il Gruppo ispano-americano d'aiuto alla Spagna. La guerra
civile determinò un mutamento profondo nell'animo, nelle convinzioni,
nella cultura, nella poesia del poeta. La sua fu una vera e propria
conversione al prossimo e la sua poesia diventò quella dell'uomo con gli
uomini, cioè una poesia sociale e di lotta politica, di adesione e di
repulsione rispetto al prossimo, di sostegno e di esacrazione, di speranza e
di rabbia: d'azione. Quando, cessata la guerra civile e sconfitte le armi
repubblicane, tanti spagnoli furono costretti all'esilio o morirono fucilati o
in carcere quel "legame materno" con la Spagna si fece per Pablo Neruda
drammatico e fu come una goccia di sangue che rimase indelebile. Se uno
dei sentimenti più forti dell'anima moderna è quello di un continuo e
cocente esilio di un'imprecisata perdita esistenziale, la Spagna è stata per
Neruda quella perdita, quell'esilio. Un vuoto angoscioso e accorato che si
ripercuote nel suo virile grido di poeta dal lontano 1939 a oggi. Nel 1944,
tornato in Cile, s'iscrisse al partito comunista cileno e fu eletto senatore. Dal
1948 al 1952 fu perseguitato e costretto all'esilio per la sua presa di
posizione contro il neodittatore Gonzalez Videla; così tornò a viaggiare per
il mondo. Nel 1971 guadagna il premio nobel per la letteratura , nel 1973
torna in Cile e in quello stesso anno muore a Santiago subito dopo il colpo
di Stato del generale Pinochet.

ANTOLOGIA POETICA

Poesie di Pablo Neruda

Gente di terra italiana

Ho percorso le strade

sono andato per monti.

Le vigne m'hanno coperto

della lor tunica verde,

ho assaggiato il vino e l'acqua.

Tra le mie mani

è volata la farina,

è scivolato l'olio,

ma

è il popolo d'Italia

il prodotto più fine della terra.

Sono andato nelle fabbriche,


ho conversato con gli uomini,

conosco il sorriso

bianco dei volti anneriti,

ed è come una dura farina quel sorriso:

la terra aspra è il suo mulino.

Sono andato

tra i pescatori delle isole,

conosco il canto

di un uomo solo,

solo nelle pietro se solitudini,

ho ritirato le reti del pesce,

ho visto, sui declivi calcinati

del sud, raschiare le viscere

della terra più povera...

Italia, la misura

dell'uomo sempre innalzi .

come il granaio il frumento,

accumulando granelli,

capitale, tesoro puro,

germinazione profonda
della delicatezza e della speranza.

Nel mattino

la più antica

delle donne, grigia color ulivo,

mi portava

fiori di roccia, rose strappate

al difficile profilo dei pendii.

Rose e olio verde, erano i doni

che io raccolsi, ma

soprattutto

saggezza e canto

ho appreso dalle tue isole.

Dovunque vado porterò nelle mie mani

come fosse il tatto

di un legno puro,

musicale e fragrante

che le mie dita conservino,

il passo degli esseri,

la voce e la sostanza,

la lotta e il sorriso,
le rose e l'olio,

la terra, l'acqua, il vino

della tua terra e del tuo popolo.

Il tuo sorriso

Toglimi il pane, se vuoi,

toglimi l'aria, ma

non togliermi il tuo sorriso.

Non togliermi la rosa,

la lancia che sgrani,

l'acqua che d'improvviso

scoppia nella tua gioia,

la repentina onda

d'argento che ti nasce.

Dura è la mia lotta e torno

con gli occhi stanchi,

a volte, d'aver visto

la terra che non cambia,

ma entrando il tuo sorriso

sale al cielo cercandomi

ed apre per me tutte


le porte della vita.

Amor mio, nell'ora

più oscura sgrana

il tuo sorriso, e se d'improvviso

vedi che il mio sangue macchia

le pietre della strada,

ridi, perché il tuo riso

sarà per le mie mani

come una spada fresca.

Farfalle

Le farfalle

ballano

velocemente

un ballo

rosso

nero

arancione

verde

azzurro

bianco
granata

giallo

violetto

nell'aria

nei fiori

nel nulla

sempre volanti

consecutive

e remote.

Ode al gatto

Gli animali furono

imperfetti,

lunghi di coda, plumbei

di testa.

Piano piano si misero

in ordine,

divennero paesaggio,

acquistarono nèi, grazia, volo.

Il gatto,

soltanto il gatto
apparve completo

e orgoglioso:

nacque completamente rifinito

cammina solo e sa quello che vuole.

L’uomo vuol essere pesce e uccello,

il serpente vorrebbe avere ali,

il cane è un leone spaesato,

l’ingegnere vuol essere poeta,

la mosca studia per rondine,

il poeta cerca di imitare la mosca,

ma il gatto

vuole solo esser gatto

ed ogni gatto è gatto

dai baffi alla coda,

dal fiuto al topo vivo,

dalla notte fino ai suoi occhi d’oro.

Non c’è unità

come la sua,

non hanno

la luna o il fiore
una tale coesione:

è una sola cosa

come il sole o il topazio,

e l’elastica linea del suo corpo,

salda e sottile, è come

la linea della prua di una nave.

I suoi occhi gialli

hanno lasciato una sola

fessura

per gettarvi le monete della notte.

Oh piccolo

Imperatore senz'orbe,

conquistatore senza patria,

minima tigre da salotto, nuziale

sultano del cielo

delle tegole erotiche,

il vento dell’amore

nell’aria aperta

reclami

quando passi
e posi

quattro piedi delicati

sul suolo,

fiutando,

diffidando

di ogni cosa terrestre,

perché tutto

è immondo

per l’immacolato piede del gatto.

Oh fiera indipendente

della casa, arrogante

vestigio della notte,

neghittoso, ginnastico

ed estraneo,

profondissimo gatto,

poliziotto segreto

delle stanze,

insegna

di un

irreperibile velluto,
probabilmente non c’è

enigma

nel tuo contegno,

forse non sei mistero,

tutti sanno di te ed appartieni

all’abitante meno misterioso,

forse tutti si credono

padroni,

proprietari, parenti

di gatti, compagni,

colleghi,

discepoli o amici

del proprio gatto.

Io no.

Io non sono d'accordo,

Io non conosco il gatto.

So tutto , la vita e il suo arcipelago,

il mare e la città incalcolabile,

la botanica,

il gineceo coi suoi peccati,


il per e il meno della matematica,

gli imbuti vulcanici del mondo,

il guscio irreale del coccodrillo,

la bontà ignorata del pompiere,

l'atavismo azzurro del sacerdote,

ma non riesco a decifrare un gatto.

Sul suo distacco la ragione slitta,

numeri d'oro stanno nei suoi occhi.

Disposizioni

Compagni, seppellitemi a Isla Negra,

di fronte al mare che conosco, a ogni superficie rugosa della pietra e


delle onde che i miei occhi perduti

non rivedranno più.

Ogni giorno d'oceano

mi portò nebbia o puri dirupi di turchese,

o semplice estensione, acqua rettilinea, invariabile,

quello che chiesi, lo spazio che divorò la mia fronte.

Ogni passo funebre del cormorano, il volo

di grandi uccelli grigi che amavano l'inverno,

e ogni tenebroso circolo di sargasso

e ogni onda grave che si scrolla via il freddo,


e ancor di più, la terra che un nascosto erbario

segreto, figlio di foschie e di sali, roso

dall'acido vento, minuscole corolle

della costa incollate alla sabbia infinita:

tutte le chiavi umide della terra marina

conoscono ogni grado della mia gioia,

sanno

che voglio dormire il tra le palpebre

del mare e della terra...

Voglio essere trascinato

verso il basso nelle piogge che il selvaggio

vento del mare combatte e sminuzza,

e poi per canali sotterranei proseguire

verso la primavera profonda che rinasce.

Scavate accanto a me la fossa di colei che amo, e un giorno lasciate che


mi faccia compagnia anche nella terra.

La canzone disperata

Emerge Il tuo ricordo dalla notte in cui sono.

Il fiume congiunge al mare il suo lamento ostinato.

Abbandonato come le banchine all'alba.

È l'ora di partire, oh abbandonato!


Piovono sul mio cuore fredde corolle.

Oh sentina di macerie, feroce covo di naufraghi!

In te si accumularono le guerre e i voli.

Da te spiegarono le ali gli uccelli del canto.

Tutto hai inghiottito, come la lontananza.

Come il mare, come il tempo. Tutto in te fu naufragio!

Era l'ora felice dell'assalto e del bacio.

L'ora dello stupore che splendeva come un faro.

Ansia di timoniere, furia di palombaro cieco,

torbida ebbrezza d'amore, tutto in te fu naufragio!

Nell'infanzia di nebbia la mia anima alata e ferita.

Esploratore perduto, tutto in te fu naufragio!

Ti attaccasti al dolore, ti aggrappasti al desiderio.

Ti abbatté la tristezza, tutto in te fu naufragio!

Feci indietreggiare la muraglia d'ombra,

andai oltre il desiderio e l'atto.

Oh carne, carne mia, donna che amai e persi,

te, in quest'ora umida, evoco e canto.

Come un bicchiere ospitasti l'infinita tenerezza,

e l'infinito oblio ti frantumò come un bicchiere.


Era la nera, nera solitudine delle isole,

e lì, donna d'amore, mi accolsero le tue braccia.

Era la sete e la fame, e tu fosti la frutta.

Era il dolore e la rovina, e tu fosti il miracolo.

Ah donna, non so come hai potuto contenermi

nella terra della tua anima, nella croce delle tue braccia!

Il mio desiderio di te fu il più terribile e breve,

il più inquieto ed ebbro, il più avido e teso.

Cimitero di baci, c'è ancora fuoco nelle tue tombe,

ancora bruciano i grappoli sbecchettati dagli d'uccelli.

Oh la bocca mordicchiata,le membra baciate ,

oh i denti famelici, oh i corpi intrecciati.

Oh l'amplesso folle di speranza e di vigore

in cui ci congiungevamo e ci disperavamo.

E la tenerezza, lieve come l'acqua e farina.

E la parola appena iniziata sulle labbra.

Quello fu il mio destino e con esso viaggiò il miodesiderio,

con esso crollò il mio desiderio, tutto in te fu naufragio!

Oh sentina di macerie, in te tutto crollava,

quale dolore non esprimesti, quali onde non ti affogarono.


Di caduta in caduta ancora fiammeggiasti e cantasti.

In piedi come un marinaio a prua della nave.

Ancora fioristi in canti, ancora straripasti in correnti.

Oh sentina di macerie, pozzo aperto e amaro.

Pallido palombaro cieco, sciagurato fromboliere,

esploratore perduto, tutto in te fu naufragio!

È l'ora di partire, l'ora fredda e dura

che la notte ferma su ogni orologio.

Il cinturone rumoroso del mare cinge la costa.

Sorgono stelle fredde, emigrano neri uccelli neri.

Abbandonato come le banchine all'alba.

Solo l'ombra tremante si ritorce tra le mani.

Ah più in là di qualsiasi cosa. Ah ben più in là.

È l'ora di partire. Oh abbandonato!

Qui io ti amo

Qui ti amo.

Tra pini scuri si srotola il vento.

Brilla fosforescente la luna su acque erranti.

Passano giorni uguali, inseguendosi l'un l'altro,

Si dirada la nebbia in figure danzanti.


Un gabbiano d'argento si stacca dal tramonto.

A volte una vela. Alte, alte stelle.

O la croce nera di una nave.

Solo.

A volte mi alzo all'alba e persino la mia anima è umida.

Questo è un porto.

Qui ti amo.

Qui ti amo e invano l'orizzonte ti occulta.

Ti sto amando anche in mezzo a queste cose fredde.

A volte vanno i miei baci su quelle navi gravi,

che corrono sul mare dove non arriveranno.

Mi vedo già dimenticato come queste vecchie àncore.

Sono più tristi le banchine quando ormeggia la sera.

Si stanca la mia vita inutilmente affamata.

Amo quel che non ho. Tu sei così distante.

La mia noia lotta con lenti crepuscoli.

Ma poi giunge la notte e inizia a cantarmi.

La luna proietta la sua pellicola di sogno.

Mi guardano con i tuoi occhi le stelle più grandi.

E poichè io ti amo, i pini nel vento


vogliono cantare il tuo nome con le loro foglie metalliche.

Giochi tutti i giorni con la luce dell'universo

Giochi tutti i giorni con la luce dell'universo.

Esile visitatrice, tu giungi nel fiore e nell'acqua.

Sei più di questa testolina bianca che stringo

come un grappolo tra le mie mani ogni giorno.

Non assomigli più a nessuna da quando ti amo.

Lasciati distendere tra ghirlande gialle.

Chi scrive il tuo nome con lettere di fumo

tra le stelle del sud?

Ah lasciati ricordare com'eri allora, quando ancora

non esistevi.

D'un tratto il vento ulula e colpisce la mia finestra chiusa.

Il cielo è una rete stracolma di pesci d'ombra.

Qui convergono tutti i venti, tutti.

La pioggia si spoglia.

Passano uccelli in fuga.

Il vento. Il vento.

lo posso contrastare solo la forza degli uomini.

Il temporale travolge in mulinelli foglie scure


e scioglie tutte le barche ormeggiate ieri sera nel cielo.

Tu sei qui. Ah tu non fuggi.

Tu mi risponderai fino all'ultimo grido.

Raggomitolati accanto a me come se avessi paura.

Eppure, talora, un'ombra strana ti è passata

negli occhi.

E ora, anche ora, piccola, mi porti rami di caprifoglio,

e persino i tuoi seni profumano.

Mentre galoppa il vento triste uccidendo farfalle

io ti amo e la mia felicità morde la tua bocca di prugna.

Quanto ti sarà costato abituarti a me,

alla mia anima solitaria e selvaggia, al mio nome che tutti

evitano.

Tante volte abbiamo visto splendere l'astro baciandoci

gli occhi

e piegarsi sul nostro capo i crepuscoli in ventagli

giranti.

Le mie parole ti sono piovute addosso come carezze.

Amo da tempo ormai il tuo corpo di madreperla assolata.

Ti credo persino signora dell'universo.


Ti porterò dai monti fiori allegri, copihues,

nocciole scure e ceste silvestri di baci.

Voglio fare con te

quello che la primavera fa con i ciliegi.

Abbiamo perso anche questo crepuscolo

Abbiamo perso anche questo crepuscolo.

Nessuno ci ha visto stasera mano nella mano

mentre la notte azzurra cadeva sul mondo.

Ho visto dalla mia finestra

la festa del tramonto sui monti lontani.

A volte, come una moneta

mi si accendeva un pezzo di sole tra le mani

lo ti ricordavo con l'anima oppressa

da quella tristezza che tu mi conosci.

Dove eri allora?

Tra quali genti?

Dicendo quali parole?

Perché mi investirà tutto l'amore di colpo

quando mi sento triste e ti sento lontana?

È caduto il libro che sempre si prende al crepuscolo


e come cane ferito il mantello mi si è accucciato tra i piedi.

Sempre, sempre ti allontani la sera

e vai dove il crepuscolo corre cancellando statue.

Il vento (1)

E' il mattino pieno di tempesta

nel cuore dell'estate.

Come bianchi fazzoletti d'addio viaggiano le nubi,

il vento le scuote con le sue mani viaggianti.

Il vento (2)

Il vento è un cavallo:

senti come corre

per il mare, per il cielo.

Senti come il vento

mi chiama galoppando

per portarmi lontano.

Guglielmina

Quando mia sorella l'invitò

E andai ad aprirle la porta

Entrò il sole,

Entrarono le stelle.
Entrarono due trecce di grano

E due occhi interminabili...

Allora entrò Guglielmina

Con due bagliori azzurri.

Guarda, fratello, come viviamo

lo ero nel salnitro, con gli oscuri eroi,

con chi estrae neve fertilizzante e fine

dalla corteccia dura del pianeta

e strinsi con orgoglio le loro mani di terra

Essi mi dissero: - Guarda,

fratello, come viviamo.

E mi mostrarono le loro razioni

di miserabili alimenti,

l'impiantito di terra nelle case,

il sole, la polvere, le cimici

e la solitudine immensa.

lo vidi il lavoro degli scavatori,

che lasciano stampata, nel manico

di legno della pala,

tutta l'impronta delle loro mani.


lo sentii una voce che veniva

giù dal fondo stretto del pozzo

e poi di là vidi spuntare

una creatura senza volto

una maschera polverosa

di sudore, di sangue e polvere.

Sete di te m'incalza

Sete di te m'incalza nelle notti affamate.

Tremula mano rossa che si leva fino alla tua vita.

Ebbra di sete, pazza di sete, sete di selva riarsa.

Sete di metallo ardente, sete di radici avide.

Verso dove, nelle sere in cui i tuoi occhi non vadano

in viaggio verso i miei occhi, attendendoti allora.

Sei piena di tutte le ombre che mi spiano.

Mi segui come gli astri seguono la notte.

Mia madre mi partorì pieno di domande sottili.

Tu a tutte rispondi. Sei piena di voci.

Ancora bianca che cadi sul mare che attraversiamo.

Solco per il torbido seme del mio nome.

Esista una terra mia che non copra la tua orma.


Senza i tuoi occhi erranti, nella notte, verso dove.

Per questo sei la sete e ciò che deve saziarla.

Come poter non amarti se per questo devo amarti.

Se questo è il legame come poterlo tagliare, come.

Come, se persino le mie ossa hanno sete delle tue ossa. Sete di te, sete di
te, ghirlanda arroce e dolce.

Sete di te, che nelle notti mi morde come un cane.

Gli occhi hanno sete, perchè esistono i tuoi occhi.

La bocca ha sete, perchè esistono i tuoi baci.

L'anima è accesa di queste braccia che ti amano.

Il corpo, incendio vivo che brucerà il tuo corpo.

Di sete. Sete infinita. Sete che cerca la tua sete.

E in essa si distrugge come l'acqua nel fuoco.

Primavera

Ancora non se n'è andato l'inverno

e il melo appare

trasformato d'improvviso

in cascata di stelle odorose.

Ode al fiore azzurro

Vicino al mare, camminando,

nel mese di novembre,


tra i cespugli che ricevono

luce, fuoco e sole marini,

ho trovato un fiore azzurro

nato nella durissima prateria.

Da dove, da che fondo

trai il tuo raggio azzurro?

La tua seta tremante

sotto la terra

comunica col mare profondo?

Lo sollevai tra le mani

e lo guardai come se il mare vivesse

in una sola goccia

come se nel combattimento

della terra e delle acque

un fiore levasse in alto

un piccolo stendardo

di fuoco azzurro, di pace irresistibile,

d'indomita purezza.

La povertà

Ahi, non vuoi,


ti spaventa

la poverta,

non vuoi

andare con scarpe rotte al mercato

e tornare col vecchio vestito.

Amore, non amiamo,

come vogliono i ricchi,

la miseria. Noi

la estirperemo come dente maligno

che finora ha morso il cuore dell'uomo.

Ma non voglio

che tu la tema.

Se per mia colpa arriva alla tua casa,

se la povertà scaccia

le tue scarpe dorate,

che non scacci il tuo sorriso che è il pane della mia vita. Se non puoi
pagare l'affitto,

esci al lavoro con passo orgoglioso,

e pensa, amore, che ti sto guardando

e uniti siamo la maggior ricchezza

che mai s'è riunita sulla terra.


L'infinità

Pablo Neruda Vedi queste mani?

Han misurato la terra, han separato

i minerali e i cereali,

han fatto la pace e la guerra,

hanno abbattuto le distanze

di tutti i mari, di tutti i fiumi,

e tuttavia

quando percorrono

te, piccola,

grano di frumento, allodola,

non riescono a comprenderti,

si stancano raggiungendo

le colombe gemelle

che riposano o volano sul tuo petto,

percorrono le distanze delle tue gambe,

si avvolgono alla luce della tua cintura.

Per me sei un tesoro più colmo

d'immensità che non il mare e i grappoli,

e sei bianca e azzurra e vasta come


la terra nella vendemmia.

In questo territorio,

dai tuoi piedi alla tua fonte,

camminando, camminando, camminando,

passerò la mia vita.

Donna completa

Donna completa, mela carnale, luna calda,

denso aroma d'alghe, fango e luce pestati,

quale oscura chiarità s'apre tra le tue colonne?

Quale antica notte tocca l'uomo con i suoi sensi?

Ahi, amare è un viaggio con acqua e con stelle,

con aria soffocata e brusche tempeste di farina:

amare è un combattimento di lampi

e due corpi da un solo miele sconfitti.

Bacio a bacio percorro il tuo piccolo infinito,

i tuoi margini, i tuoi fiumi, i tuoi villaggi minuscoli,

e il fuoco genitale trasformato in delizia

corre per i sottili cammini del sangue

fino a precipitarsi come un garofano notturno,

fino a essere e non essere che un lampo nell'ombra .


Tango del vedovo

Oh Maligna, avrai già trovato la lettera, avrai già pianto con furia

e avrai insultato la memoria di mia madre

chiamandola cagna putrefatta e madre di cani,

avrai già bevuto da sola, in solitudine, i! tè della sera guardando le mie


vecchie scarpe vuote per sempre

e non potrai ricordare i miei malanni, i! mio dormire,

i! mio mangiare

senza maledirmi ad alta voce come se io fossi ancora lì a lagnarmi dei


tropici dei coolies corringhis,

delle febbri velenose che mi hanno rifinito

e dei ripugnanti inglesi che odio ancora.

Maligna, in verità, com'è grande la notte, com'è sola

la terra!

Sono tornato di nuovo nelle camere solitarie,

mangio nei ristoranti pietanze raffreddate, e di nuovo butto per terra i


pantaloni e le camicie,

non ho attaccapanni nella stanza né ritratti

alle pareti.

Quant'ombra, di quella che albergo in cuore, darei


per riaverti,

e quanto minacciosi mi sembrano i nomi dei mesi

e che suono di lugubre tamburo ha la parola inverno!

Sotterrato vicino al cocco troverai più tardi

il coltello che ho nascosto per timore che tu mi uccidessi, e ora


all'improvviso vorrei fiutare la sua lama da cucina abituata al peso della tua
mano e al fulgore del tuo piede: sotto l'umidità della terra, tra le sorde
radici,

delle umane parole il poveretto non saprà che il tuo nome, ma la grossa
terra non capisce il tuo nome

fatto d'impenetrabili sostanze divine.

Come mi angoscia pensare allo sfolgorio delle tue gambe distese come
ferme e dure acque solari,

alla rondine che dorme e vola nei tuoi occhi,

al cane di furia che alberghi nel cuore,

così vedo anche quanta morte c'è tra noi due

da quest'ora

e respiro nell'aria cenere e distruzione,

il lungo, solitario spazio che mi circonda per sempre.

Darei questo vento del mare smisurato per il tuo brusco respiro,

che ho udito in lunghe notti senza oblio

congiungersi all'aria come la sferza al cavallo.


E per udirti orinare, nel buio, dal fondo della casa,

come versassi un miele sottile, tremulo, argentino,

ostinato,

quante volte darei questo coro d'ombre che è mio,

e il rumore d'inutili spade che mi sferraglia nel petto

e la solitaria colomba di sangue che sta sulla mia fronte a invocare cose
scomparse, esseri scomparsi,

sostanze stranamente inseparabili e perdute.

Ode al muratore

Il muratore

dispose

i mattoni.

Mescolò la calce, lavorò

con la sabbia.

Senza fretta, senza parole

fece i suoi movimenti

erigendo la scala,

livellando

il cemento.

Spalle rotonde, sopracciglia

su due occhi
severi.

Lento andava e veniva

nel suo lavoro

e dalla sua mano

la materia

cresceva.

La calce coprì i muri,

un pilastro

levò in alto

la sua nobiltà,

e il tetto

frenò la furia

del sole esasperato.

Da un punto all'altro

andava

con mani tranquille

il muratore

rimuovendo

materiali.

E alla fine
della

settimana,

i pilastri,

l'arco,

i figli

della calce, della sabbia,

della saggezza e delle mani,

inaugurarono

la semplice saldezza

e la frescura.

Oh che lezione

m'ha dato col suo lavoro

il muratore tranquillo!

Ormai sei mia


Ormai sei mia. Riposa coi tuo sonno nel mio sonno.

Amore, dolore, affanni, ora devono dormire.

Gira la notte sulle sue ruote invisibili

presso me sei pura come l'ambra addormentata.

Nessuna più, amore, dormirà con i miei sogni.

Andrai, andremo insieme per le acque del tempo.

Nessuna viaggerà per l'ombra con me,

solo tu, sempre viva, sempre sole, sempre luna.

Ormai le tue mani aprirono i pugni delicati

e lasciarono cadere dolci segni senza rotta,

i tuoi occhi si chiusero come due ali grige,

mentr'io seguo l'acqua che porti e che mi porta:

la notte, il mondo, il vento dipanano il loro destino,

e senza te ormai non sono che il tuo sogno solo.

Bimba bruna e flessuosa, il sole che fa la frutta

Bimba bruna e flessuosa, il sole che fa la frutta,

quello che riempie il grano, quello che piega le alghe, ha fatto il tuo
corpo allegro, i tuoi occhi luminosi

e la tua bocca che ha il sorriso dell'acqua.

Un sole nero e ansioso si attorciglia alle matasse


della tua nera chioma, quando allunghi le braccia.

Tu giochi con il sole come un ruscello

e lui ti lascia negli occhi due piccoli stagni scuri.

Bimba bruna e flessuosa, nulla mi avvicina a te

Tutto da te mi allontana, come dal mezzogiorno.

Sei la delirante gioventù dell'ape,

l'ebbrezza dell'onda, la forza della spiga.

Eppure il mio cuore cupo ti cerca,

e amo il tuo corpo allegro, la tua voce disinvolta e sottile. Farfalla bruna
dolce e definitiva

come il campo di grano e il sole, il papavero e l'acqua.

Ubriaco di trementina e di lunghi baci

Ubriaco di trementina e di lunghi baci,

guido il veliero delle rose, estivo,

che volge verso la morte del giorno sottile,

posato sulla solida frenesia marina.

Pallido e ormeggiato alla mia acqua famelica

incrocio nell'acre odore del clima aperto,

ancora vestito di grigio e di suoni amari,

e di un cimiero triste di spuma abbandonata.


Vado, duro di passioni, in sella all'unica mia onda,

lunare, solare, ardente e freddo, repentino,

addormentato nella gola di felici

isole bianche e dolci come freschi fianchi.

Trema nella notte umida il mio abito di baci

follemente carico di impulsi elettrici,

diviso in modo eroico tra i miei sogni

e le rose inebrianti che con me si cimentano.

Controcorrente, in mezzo a onde esterne,

il tuo corpo parallelo si ferma tra le mie braccia

come un pesce per sempre incollato alla mia anima,

rapido e lento nell'energia subceleste.

Per il mio cuore basta il tuo petto

Per il mio cuore basta il tuo petto,

per la tua libertà bastano le mie ali.

Dalla mia bocca arriverà fino al cielo

ciò che stava sopito sulla tua anima.

E' in te l'illusione di ogni giorno.

Giungi come la rugiada sulle corolle.

Scavi l'orizzonte con la tua assenza.


Eternamente in fuga come l'onda.

Ho detto che cantavi nel vento

come i pini e come gli alberi maestri delle navi.

Come quelli sei alta e taciturna.

E di colpo ti rattristi, come un viaggio.

Accogliente come una vecchia strada.

Ti popolano echi e voci nostalgiche.

Io mi sento svegliato e a volte migrano e fuggono

gli uccelli che dormivano nella tua anima.

Ode alla speranza

Crepuscolo marino,

in mezzo

alla mia vita,

le onde come uve,

la solitudine del cielo,

mi colmi

e mi trabocchi,

tutto il mare,

tutto il cielo,

movimento
e spazio,

i battaglioni bianchi

della schiuma,

la terra color arancia ,

la cintura

incendiata

del sole in agonia,

tanti

doni e doni,

uccelli

che vanno verso i loro sogni,

e il mare, il mare,

aroma

sospeso,

coro di sale sonoro,

e nel frattempo,

noi,

gli uomini,

vicino all'acqua,

che lottiamo
e speriamo

vicino al mare,

speriamo.

Le onde dicono alla costa salda:

Tutto sarà compiuto.

Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche

Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,

assomigli al mondo nel tuo gesto di abbandono.

Il mio corpo di rude contadino ti scava

e fa scaturire il figlio dal fondo della terra.

Fui solo come un tunnel. Da me fuggivano gli uccelli

e in me irrompeva la notte con la sua potente invasione. Per


sopravvivere al mio arco, come pietra per la mia fionda.

Ma viene l'ora della vendetta, e ti amo.

Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.

Ah le coppe del seno! Ah gli occhi d'assenza!

Ah le rose del pube! Ah la tua voce lenta e triste!

Corpo della mia donna, resterò nella tua grazia.

Mia sete, mia ansia senza limite, mio cammino incerto! Rivoli oscuri
dove la sete eterna rimane,

e la fatica rimane, e il dolore infinito.


Acqua sessuale

Rotolando a goccioloni soli,

a gocce come denti,

a densi goccioloni di marmellata e sangue,

rotolando a goccioloni,

cade l'acqua,

come una spada in gocce,

come un tagliente fiume vitro,

cade mordendo,

scuotendo l'asse di simmetria,

picchiando sulle costure dell'anima,

rompendo cose abbandonate, infradiciando il buio.

E' solamente un soffio, più madido del pianto,

un liquido, un sudore, un olio senza nome,

un movimento acuto,

che diviene, si addensa,

cade l'acqua,

a goccioloni lenti,

verso il suo mare, verso il suo asciutto oceano,

verso il suo flutto senz'acqua.


Vedo l'estate distesa, e un rantolo che esce da un granaio, cantine,
cicale,

città, eccitazioni,

camere, ragazze

che dormono con le mani sul cuore,

che sognano banditi, incendi,

vedo navi,

vedo alberi col midollo

irti come gatti rabbiosi,

vedo sangue, pugnali e calze da donna,

e peli d'uomo,

vedo letti, vedo corridoi dove grida una vergine,

vedo coperte ed organi ed alberghi.

Vedo i sogni silenziosi,

accetto gli ultimi giorni

e anche le origini e anche i ricordi,

come una palpebra atrocemente alzata per forza

sto guardando.

E allora c'è questo suono:

un rumore rosso di ossa,

un incollarsi di carne
e gambe, bionde come spighe, che si allacciano.

Io ascolto in mezzo al fuoco di fila dei baci,

ascolto, turbato tra respiri e singhiozzi.

Sto guardando, ascoltando,

con metà dell'anima in mare, e metà dell'anima in terra e con le due


metà guardo il mondo.

E per quanto io chiuda gli occhi e mi copra interamente il cuore

vedo cadere un'acqua sorda,

a goccioloni sordi.

E' un uragano di gelatina,

uno scroscio di sperma e di meduse.

Vedo levarsi un cupo arcobaleno.

Vedo le sue acque attraversare le ossa.

Liscia, terrestre, minima, rotonda, trasparente,

hai linee di luna, sentieri di mela,

nuda sei snella come il grano nudo.

Nuda sei blu come la notte a Cuba,

hai rampicanti e stelle nei capelli,

nuda sei enorme e gialla

come l'estate in una chiesa d'oro.

Nuda sei piccola come una delle tue unghie,


curva, sottile, rosea finchè nasce il giorno

ed entri nel sotterraneo del mondo

come in una lunga galleria di abiti e faccende:

il tuo splendore si spegne, si copre,si sfoglia

e di nuovo torna a essere una mano nuda.

E' oggi

E' oggi: tutto l'ieri andò cadendo

entro dita di luce e occhi di sogno,

domani arriverà con passi verdi:

nessuno arresta il fiume dell'aurora.

Nessuno arresta il fiume delle tue mani,

gli occhi dei tuoi sogni, beneamata,

sei tremito del tempo che trascorre

tra luce verticale e sole cupo,

e il cielo chiude su te le sue ali

portandoti, traendoti alle mie braccia

con puntuale, misteriosa cortesia.

Per questo canto il giorno e la luna,

il mare, il tempo, tutti i pianeti,

la tua voce diurna e la tua pelle notturna.


Due amanti felici

Due amanti felici fanno un solo pane,

una sola goccia di luna nell'erba,

lascian camminando due ombre che s'uniscono,

lasciano un solo sole vuoto in un letto.

Di tutte le verità scelsero il giorno:

non s'uccisero con fili, ma con un aroma

e non spezzarono la pace né le parole.

E' la felicità una torre trasparente.

L'aria, il vino vanno coi due amanti,

gli regala la notte i suoi petali felici,

hanno diritto a tutti i garofani.

Due amanti felici non hanno fine né morte,

nascono e muoiono più volte vivendo,

hanno l'eternità della natura.

Bianca ape ronzi

Bianca ape ronzi, ebbra di miele, nella mia anima

e ti pieghi in lente spirali di fumo.

Sono il disperato, la parola senza eco,

colui che tutto perse, e colui che tutto ebbe.


Ultima gómena, scricchiola in te la mia ansietà ultima. Nella mia terra
deserta sei l'ultima rosa.

Ah silenziosa!

Chiudi i tuoi occhi profumati. Lì aleggia la notte.

Ah denuda il tuo corpo di statua timorosa.

Possiedi occhi profondi dove la notte aleggia.

Fresche braccia di fiore e grembo di rosa.

I tuoi seni rassomigliano alle conchiglie bianche.

Sul tuo ventre è venuta a dormire una farfalla d'ombra.

Ah silenziosa!

Ecco la solitudine da dove sei assente.

Piove. Il vento del mare caccia gabbiani erranti.

L'acqua va scalza per le strade bagnate.

Da quell'albero si lamentano, come infermi, le foglie.

Bianca ape, assente, ancora ronzi nella mia anima.

Rivivi nel tempo, sottile e silenziosa.

Ah silenziosa!

É come una marea

E' come una marea, quando lei fissa su me

i suoi occhi neri,

quando sento il suo corpo di creta bianca e mobile


tendersi a palpitare presso il mio,

è come una marea, quando lei è al mio fianco.

Disteso davanti ai mari del Sud ho visto

arrotolarsi le acque ed espandersi

incontenibilmente

fatalmente

nelle mattine e nei tramonti.

Acqua delle risacche sulle vecchie orme,

sulle vecchie tracce, sulle vecchie cose,

acqua delle risacche che dalle stelle

s'apre come una rosa immensa,

acqua che va avanzando sulle spiagge come

una mano ardita sotto una veste,

acqua che s'inoltra in mezzo alle scogliere,

acqua che s'infrange sulle rocce,

e come gli assassini silenziosa,

acqua implacabile come i vendicatori

acqua delle notti sinistre

sotto i moli come una vena spezzata,

o come il cuore del mare


in una irradiazione tremante e mostruosa.

E' qualcosa che dentro mi trasporta e mi cresce

immensamente vicino, quando lei è al mio fianco,

è come una marea che s'infrange nei suoi occhi

e che bacia la sua bocca, i suoi seni, le mani.

Tenerezza di dolore e dolore d'impossibile,

ala dei terribili

che si muove nella notte della mia carne e della sua

come un'acuminata forza di frecce nel cielo.

Qualcosa d'immensa fuga,

che non se ne va, che graffia dentro,

qualcosa che nelle parole scava pozzi tremendi,

qualcosa che, contro tutto s'infrange, contro tutto,

come i prigionieri contro le celle!

Lei, scolpita nel cuore della notte,

dall'inquietudine dei miei occhi allucinati:

lei, incisa nei legni del bosco

dai coltelli delle mie mani,

lei, il suo piacere unito al mio,

lei, gli occhi suoi neri,


lei, il suo cuore, farfalla insanguinata

che con le due antenne d'istinto m'ha toccato!

Non sta in questo stretto altopiano della mia vita!

E' come un vento scatenato!

Se le mie parole trapassano appena come aghi

dovrebbero straziare come spade o come aratri!

E' come una marea che mi trascina e mi piega,

è come una marea, quando lei è al mio fianco!

Epitalamio

Ricordi quando

d' inverno

giungemmo all'isola?

Il mare verso di noi innalzava

una coppa di freddo.

Alle pareti i rampicanti

sussurravano lasciando

cadere foglie oscure

al nostro passaggio.

Anche tu eri una Piccola foglia

che tremava sul mio petto.


Il vento della vita ti pose lì.

Dapprima non ti vidi; non seppi

che camminavi con me,

finché le tue radici

perforarono il mio petto,

s'unirono ai fili del mio sangue,

parlarono per la mia bocca,

fiorirono con me.

Così fu inavvertita la tua presenza,

foglia o ramo invisibile

e il Mio cuore d'improvviso

si Popolò di frutti e di suoni.

Abitasti la casa

che t'attendeva oscura,

e allora accendesti le lampade.

Ricordi, amor mio,

i nostri primi passi nell'isola?

Le pietre grige ci riconobbero,

le raffiche della pioggia,

le grida del vento nell' ombra.


Ma il fuoco fu

il nostro unico amico,

vicino ad esso stringemmo

con quattro braccia, nell'inverno,

il dolce amore.

Il fuoco vide crescere nudo il nostro amore

fino a toccare stelle nascoste,

e vide nascere e morire il dolore

come una spada spezzata

contro l'amore invincibile.

Ricordi,

oh addormentata nella mia ombra,

come da te cresceva

il sonno,

dal tuo petto nudo,

aperto con le sue cupole gemelle,

verso il mare, verso il vento dell'isola,

e come io nel tuo sogno navigavo

libero, nel mare e nel vento,

legato e sommerso tuttavia


all'azzurro volume della tua dolcezza?

O dolce, dolce mia,

mutò la primavera

i muri dell'isola.

Apparve un fiore come una goccia

di sangue color d'arancia,

poi i colori scaricarono

tutto il loro peso puro.

Il mare riconquistò la sua trasparenza,

la notte su nel cielo

mise in mostra i suoi grappoli,

e ormai tutte le cose sussurrarono

il nostro nome d'amore; pietra a pietra

dissero il nostro nome e il nostro bacio.

L'isola di pietra e di muschio

risuonò nel segreto delle sue grotte

come nella tua bocca il canto,

e il fiore che nasceva

tra gli interstizi della pietra

con la sua sillaba segreta


disse mentre passavi il tuo nome

di pianta bruciante,

e la scoscesa roccia innalzata

come il muro del mondo

riconobbe il mio canto, beneamata,

e tutte le cose dissero

il tuo amore, il mio amore, amata,

perché la terra, il tempo, il mare, l'isola,

la vita, la marea,

il germe che dischiude

le sue labbra nella terra,

il fiore divoratore,

il movimento della primavera,

tutto ci riconosce.

Il nostro amore è nato

fuori delle pareti,

nel vento,

nella notte,

nella terra,

e per questo l'argilla e la corolla,


il fango e le radici

sanno come ti chiami,

e sanno che la mia bocca

si unì alla tua

perché nella terra ci seminarono insieme

solo senza che noi lo sapessimo,

e che cresciamo insieme

e insieme fioriamo,

e per questo

quando passiamo

il tuo nome è nei petali

della rosa che cresce nella pietra,

il mio nome È nelle grotte.

Tutti lo sanno,

non abbiamo segreti,

siamo cresciuti insieme,

ma non lo sapevamo.

Il mare conosce il nostro amore, le pietre

dell'altura rocciosa

sanno che i nostri baci fiorirono


con purezza infinita,

come una bocca scarlatta

albeggia nei loro interstizi:

così conoscono il nostro amore e il bacio

che uniscono la tua bocca e la mia

in un fiore eterno.

Amore mio,

la primavera dolce,

fiore e mare, ci circondano.

Non la scambiamo

per il nostro inverno,

quando il vento

incominciò a decifrare il tuo nome

che oggi ripete a tutte l'ore,

quando

le foglie non sapevano

che tu eri una foglia,

quando

le radici

non sapevano che tu mi cercavi


nel mio petto.

Amore, amore,

la primavera

ci offre il cielo,

ma la terra oscura

È il nostro nome,

il nostro amore appartiene

a tutto il tempo e alla terra.

Amandoci, il mio braccio

sotto il tuo collo d'arena,

aspetteremo

come cambiano la terra e il tempo

nell'isola,

come cadono le foglie

dei rampicanti taciturni ,

come se ne va l'autunno

dalla finestra rotta.

Ma noi

stiamo attendendo

il nostro amico,
il nostro amico dagli occhi rossi,

il fuoco,

quando di nuovo il vento

scuoterà le frontiere dell'isola

e disconoscerà il nome

di tutti,

l'inverno

ci cercherà, amor mio,

sempre,

ci cercherà, perché lo conosciamo,

perché non lo temiamo,

perché abbiamo

con noi

il fuoco

per sempre.

Abbiamo

la terra con noi,

per sempre,

la primavera con noi,

per sempre,
e quando si staccherà

dai rampicanti

una foglia,

tu sai amor mio

che nome sta scritto

su quella foglia,

un nome che è il tuo ed è il mio,

i nostri nomi d'amore, un solo

essere la freccia

che trapassò l'inverno,

l'amore invincibile,

il fuoco dei giorni,

una foglia

che mi cadde sul petto,

una foglia dell'albero

della vita

che fece nido e cantò,

che mise radici

che diede fiori e frutti.

Così vedi, amor mio,


come vado

per l'isola,

Per il mondo,

sicuro in mezzo alla primavera,

pazzo di luce nel freddo,

camminando tranquillo nel fuoco,

sollevando il tuo peso

di petali tra le mie braccia,

come se mai avessi camminato

se non con te, anima mia,

come se non sapessi camminare

se non con te,

come se non sapessi cantare

se non quando tu canti.

Canzone del maschio e della femmina!

Canzone del maschio e della femmina!

Il frutto dei secoli

che spreme il suo succo

nelle nostre vene.

La mia anima che si diffonde nella tua carne distesa


per uscire migliorata da te,

il cuore che si disperde

stirandosi come una pantera,

e la mia vita, sbriciolata, che si annoda

a te come la luce alle stelle!

Mi ricevi

come il vento la vela.

Ti ricevo

come il solco il seme.

Addormentati sui miei dolori se i miei dolori

se i miei dolori non ti bruciano,

legati alle mie ali,

forse le mie ali ti porteranno,

dirigi i miei desideri, forse ti duole la loro lotta.

Tu sei l'unica cosa che possiedo

da quando persi la mia tristezza!

Lacerami come una spada

o senti come un'antenna!

Baciami,

mordimi,
incendiami,

che io vengo alla terra

solo per il naufragio dei miei occhi di maschio

nell'acqua infinita dei tuoi occhi di femmina!

Posso scrivere i versi più tristi stanotte

Posso scrivere i versi più tristi questa notte.

Scrivere, ad esempio : La notte è stellata,

e tremolano, azzurri, gli astri in lontananza.

Il vento della notte gira nel cielo e canta.

Posso scrivere i versi più tristi questa notte.

Io l'amai , e a volte anche lei mi amò .

Nelle notti come questa la tenni tra le mie braccia.

La baciai tante volte sotto il cielo infinito.

Lei mi amò, a volte anch'io l'amavo.

Come non amare i suoi grandi occhi fissi.

Posso scrivere i versi più tristi questa notte.

Pensare che non l'ho. Sentire che l'ho perduta.

Udire la notte immensa, più immensa senza lei.

E il verso cade sull'anima come sull'erba in rugiada.

Che importa che il mio amore non potesse conservarla. La notte è


stellata e lei non è con me.
E' tutto. In lontananza qualcuno canta. In lontananza. La mia anima non
si rassegna ad averla perduta.

Come per avvicinarla il mio sguardo la cerca.

Il mio cuore la cerca, e lei non è con me.

La stessa notte che fa biancheggiare gli stessi alberi.

Noi quelli di allora, più non siamo gli stessi.

Più non l'amo, è certo, ma quanto l'amai.

La mia voce cercava il vento per toccare il suo udito.

D'altro. Sarà d'altro. Come prima dei suoi baci.

La sua voce, il suo corpo chiaro . I suoi occhi infiniti.

Più non l'amo, è certo, ma forse l'amo .

E' così breve l'amore, ed è sì lungo l'oblio.

Perché in notti come questa la tenni tra le mie braccia, la mia anima non
si rassegna ad averla perduta.

Benché questo sia l'ultimo dolore che lei mi causa

e questi siano gli ultimi versi che io le scrivo.

Canti e a solo e cielo

Canti e a sole e cielo col tuo canto

la tua voce sgrana il cereale del giorno,

parlano i pini con la lor lingua verde:

gorgheggiano tutti Il uccelli dell'inverno.


Il mare empie le sue cantine di passi,

di campane, di catene e di gemiti,

tintinnano metalli e utensili,

suonano le ruote della carovana.

Ma solo la tua voce ascolto e sale

la tua voce con volo e precisione di freccia,

scende la tua voce con gravità di pioggia,

la tua voce sparge altissime spade,

torna la tua voce carica di viole

e quindi m'accompagna per il cielo.

Ah vastità di pini

Ah vastità di pini, rumore d'onde che si frangono,

lento gioco di luci, campana solitaria,

crepuscolo che cade nei tuoi occhi, bambola

chiocciola terrestre, in te la terra canta!

In te i fiumi cantano e in essi l'anima mia fugge

come tu desideri e verso dove tu vorrai.

Segnami la mia strada nel tuo arco di speranza

e lancerò in delirio il mio stormo di frecce.

Intorno a me sto osservando la tua cintura di nebbia


e i1 tuo silenzio incalza le mie ore inseguite,

e sei tu ton le tue braccia di pietra trasparente

dove i miei baci si ancorano e la mia umida ansia s'annida.

Ah la tua voce misteriosa che l'amore tinge e piega

nel crepuscolo risonante e morente!

Così in ore profonde sopra i campi ho visto

piegarsi le spighe sulla bocca del vento.

Lentamente muore

Lentamente muore

chi diventa schiavo dell’abitudine,

ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,

chi non cambia la marcia,

chi non rischia e cambia colore dei vestiti,

chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,

chi preferisce il nero su bianco

e i puntini sulle “i”

piuttosto che un insieme di emozioni,

proprio quelle

che fanno brillare gli occhi,


quelle che fanno

di uno sbadiglio un sorriso,

quelle che fanno battere il cuore

davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore

chi non capovolge il tavolo,

chi e’ infelice sul lavoro,

chi non rischia la certezza


per l’incertezza per inseguire un sogno,

chi non si permette

almeno una volta nella vita

di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,

chi non legge,

chi non ascolta musica,

chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente

chi distrugge l’amor proprio,

chi non si lascia aiutare;

chi passa i giorni a lamentarsi

della propria sfortuna o

della pioggia incessante.

Lentamente muore

chi abbandona un progetto

prima di iniziarlo,

chi non fa domande

sugli argomenti che non conosce,

chi non risponde


quando gli chiedono

qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,

ricordando sempre che essere vivo

richiede uno sforzo

di gran lunga maggiore

del semplice fatto di respirare.

Soltanto l’ardente pazienza porterà

al raggiungimento

di una splendida felicita’.

Il ramo rubato

Nella notte entreremo

a rubare

un ramo fiorito.

Passeremo il muro,

nelle tenebre del giardino altrui,

due ombre nell'ombra.

Ancora non se n'é andato l'inverno,

e il melo appare

trasformato d'improvviso
in cascata di stelle odorose.

Nella notte entreremo

fino al suo tremulo firmamento,

e le tue piccole mani e le mie

ruberanno le stelle.

E cautamente

nella nostra casa,

nella notte e nell'ombra,

entrerà con i tuoi passi

il silenzioso passo del profumo

e con i piedi stellati

il corpo chiaro della Primavera.

Saprai che non t’amo

Saprai che non t'amo e che t'amo

perché la vita è in due maniere,

la parola è un'ala del silenzio,

il fuoco ha una metà di freddo.

Io t'amo per cominciare ad amarti,

per ricominciare l'infinito,

per non cessare d'amarti mai:


per questo non t'amo ancora.

T'amo e non t'amo come se avessi

nelle mie mani le chiavi della gioia

e un incerto destino sventurato.

Il mio amore ha due vite per amarti.

Per questo t'amo quando non t'amo

e per questo t'amo quando t'amo.

Mi piaci quando taci

Mi piaci quando taci perché sei come assente,

e mi ascolti da lungi e la mia voce non ti tocca.

Sembra che gli occhi ti sian volati via

e che un bacio ti abbia chiuso la bocca.

Poiché tutte le cose son piene della mia anima

emergi dalle cose, piene dell'anima mia.

Farfalla di sogno, rassomigli alla mia anima,

e rassomigli alla parola malinconia.

Mi piaci quando taci e sei come distante.

E stai come lamentandoti, farfalla turbante.

E mi ascolti da lungi e la mia voce non ti giunge:

lascia che io taccia col tuo silenzio.


Lascia che ti parli pure col tuo silenzio

chiaro come lampada, semplice come anello.

Sei come la notte, silenziosa e costellata.

Il tuo silenzio è di stella, così lontano e semplice.

Mi piaci quando taci perché sei come assente.

Distante e dolorosa come se fossi morta.

Allora una parola, un sorriso bastano.

E son felice, felice che non sia così.

Se un giorno il tuo cuore si ferma

Se un giorno il tuo cuore si ferma,

se qualcosa smette di bruciare per le tue vene,

se la voce dalla bocca ti esce senza divenire

parola,

se le tue mani si scordano di volare e

s'addormentano,

Matilde, amore, lascia le tue labbra socchiuse

perché quel tuo ultimo bacio deve durare con me,

deve restare immobile per sempre sulla tua bocca

perché così accompagni anche me nella mia

morte.
Morirò baciando la tua folle bocca fredda,

abbracciando il grappolo perduto del tuo corpo,

e cercando la luce dei tuoi occhi serrati.

E così quando la terra riceverà il nostro abbraccio

andremo confusi in una sola morte

a vivere per sempre l'eternità di un bacio.

Se non fosse perché

Se non fosse perché i tuoi occhi han color di Luna,

di giorno con argilla, con lavoro, con fuoco,

e tieni imprigionata l'agilità dell'aria,

se non fosse perché sei una settimana d'ambra,

se non fosse perché sei il momento giallo

in cui l'autunno sale su pei rampicanti

e anche sei il pane che la luna fragrante

elabora passeggiando la sua farina pel cielo,

oh, adorata, io non t'amerei!

Nel tuo abbraccio io abbraccio ciò ch'esiste,

l'arena, il tempo, l'albero della pioggia,

e tutto vive perché io viva:

senz'andare sì lungi posso veder tutto:


vedo nella tua vita tutto ciò che vive.

Per il mio cuore...

Per il mio cuore basta il tuo petto,

per la tua libertà bastano le mie ali.

Dalla mia bocca arriverà fino in cielo

ciò che stava sopito sulla tua anima.

E' in te l'illusione di ogni giorno.

Giungi come la rugiada sulle corolle.

Scavi l'orizzonte con la tua assenza.

Eternamente in fuga come l'onda.

Ho detto che cantavi nel vento

come i pini e come gli alberi maestri delle navi.

Come quelli sei alta e taciturna.

E di colpo ti rattristi, come un viaggio.

Accogliente come una vecchia strada.

Ti popolano echi e voci nostalgiche.

Mi sono svegliato e a volte migrano e fuggono

gli uccelli che dormivano nella tua anima

La mattina è gonfia di tempesta

La mattina è gonfia di tempesta


nel cuore dell'estate.

Come bianchi fazzoletti d'addio viaggiano le nubi,

il vento le scuote con le sue mani peregrine.

Cuore infinito del vento

che palpita sul nostro silenzio innamorato.

E ronza tra gli alberi, orchestrale e divino,

come una lingua piena di guerre e di canti.

Vento che rapina fulmineo le foglie secche

e devia le frecce palpitanti degli uccelli.

Vento che le travolge in onda senza spuma

e sostanza senza peso, e fuochi inclinati.

Si rompe e sommerge il suo volume di baci

combattuto sulla porta del vento dell'estate

Nella sua fiamma mortale la luce ti avvolge

Nella sua fiamma mortale la luce ti avvolge.

Assorta, pallida, dolente, adagiata così

contro le antiche spirali del crepuscolo

che intorno a te gira.

Muta, amica mia,

sola nella solitudine di quest'ora di morte


e piena delle tante vite del fuoco,

erede pura del giorno distrutto.

Dal sole cade un grappolo sul tuo vestito scuro.

Le grandi radici della notte

crescono improvvise dalla tua anima,

e riaffiorano in superficie le cose in te celate,

così che un popolo pallido e azzurro

da te appena generato si nutre.

Oh solenne e feconda e magnetica schiava

del cerchio che in nero e oro succede:

fiera, cerca e trova una creazione tanto viva

che i suoi fiori soccombono, e di tristezza è piena .

Chino sulle sere

Chino sulle sere, lancio le mie reti tristi

nei tuoi occhi oceanici.

Lì si tende e arde nella pira più alta

la mia solitudine che annaspa come un naufrago.

Lancio rossi segnali oltre i tuoi occhi assenti

che ondeggiano come il mare sulla sponda di un faro.

Sorvegli solo le tenebre, femmina distante e mia,


dal tuo sguardo talora emerge la costa dello spavento.

Chino sulle sere, getto le mie reti tristi

in quel mare che scuote i tuoi occhi oceanici.

Gli uccelli notturni beccano le prime stelle

che splendono come la mia anima quando ti amo.

La notte galoppa sulla sua cavalla ombrosa

sparpagliando spighe azzurre sul campo.

Perché tu mi oda

Perché tu mi oda

le mie parole

a volte si assottigliano

come le orme dei gabbiani sulle spiagge.

Collana, sonaglio ebbro

per le tue mani dolci come l'uva.

E le vedo lontane le mie parole.

Più che mie esse son tue.

Si arrampicano sul mio vecchio dolore come l'edera.

Si arrampicano così sulle pareti umide.

Sei tu la colpevole di questo gioco sanguinoso.

Esse fuggono dal mio rifugio oscuro.


Tu riempi tutto, tutto.

Prima di. te popolarono la solitudine che occupi,

e sono abituate più di te alla mia tristezza.

Ora voglio che dicano ciò che voglio dirti.

Perché tu oda come voglio che m'oda.

Il vento dell'angoscia ancora le trascina.

Uragani di sogni a volte ancora le abbattono.

Senti altre voci nella mia voce addolorata.

Pianto di vecchie bocche, sangue di vecchie suppliche. Amami,


compagna. Non abbandonare. Seguimi.

Seguimi, compagna, in quest'onda di angoscia.

Ma vanno tingendosi del tuo amore le mie parole.

Tu occupi tutto, tutto.

Ne farò di tutte una collana infinita

per le tue mani bianche, dolci come l'uva.

Nel mio cielo al crepuscolo

Nel mio cielo al crepuscolo sei come una nube

e il tuo colore e la tua forma sono come li voglio.

Sei mia, sei mia, donna dalle dolci labbra,

e nella tua vita vivono i miei sogni infiniti.

La lampada della mia anima ti fa arrossare i piedi,


il mio aspro vino è più dolce sulle tue labbra:

oh mietitrice del mio canto serale,

quanto ti sentono mia i miei sogni solitari!

Sei mia, sei mia, vado gridando nella brezza

della sera, e il vento travolge la mia voce vedova.

Cacciatrice del fondo dei miei occhi, il tuo bottino

ristagna come l'acqua il tuo sguardo notturno.

Nella rete della mia musica dei prigioniera, amore mio, e le mie reti di
musica sono grandi come il cielo.

La mia anima nasce sulla sponda dei tuoi occhi di lutto. Nei tuoi occhi
di lutto inizia il paese del sogno.

Non t'amo come se fossi rosa di sale

Non t'amo come se fossi rosa di sale, topazio

o freccia di garofani che propagano il fuoco:

t'amo come si amano certe cose oscure,

segretamente, entro l'ombra e l'anima.

T'amo come la pianta che non fiorisce e reca

dentro di sè, nascosta, la luce di quei fiori;

grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo

il concentrato aroma che ascese dalla terra.

T'amo senza sapere come, nè quando nè da dove,


t'amo direttamente senza problemi nè orgoglio:

così ti amo perchè non so amare altrimenti

che così, in questo modo in cui non sono e non sei,

così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,

così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.

Ho fame della tua bocca

Ho fame della tua bocca, della tua voce, del tuoi capelli e vado per le
strade senza nutrirmi, silenzioso,

non mi sostiene il pane, l'alba mi sconvolge,

cerco il suono liquido dei tuoi piedi nel giorno.

Sono affamato del tuo riso che scorre,

delle tue mani color di furioso granaio,

ho fame della pallida pietra delle tue unghie,

voglio mangiare la tua pelle come mandorla intatta.

Voglio mangiare il fulmine bruciato nella tua bellezza, il naso sovrano


dell'aitante volto,

voglio mangiare l'ombra fugace delle tue ciglia

e affamato vado e vengo annusando il crepuscolo,

cercandoti, cercando il tuo cuore caldo

come un puma nella solitudine di Quitratúe.

Sete di te m'incalza
Sete di te m'incalza nelle notti affamate.

Tremula mano rossa che si leva fino alla tua vita.

Ebbra di sete, pazza di sete, sete di selva riarsa.

Sete di metallo ardente, sete di radici avide.

Verso dove, nelle sere in cui i tuoi occhi non vadano

in viaggio verso i miei occhi, attendendoti allora.

Sei piena di tutte le ombre che mi spiano.

Mi segui come gli astri seguono la notte.

Mia madre mi partorì pieno di domande sottili.

Tu a tutte rispondi. Sei piena di voci.

Ancora bianca che cadi sul mare che attraversiamo.

Solco per il torbido seme del mio nome.

Esista una terra mia che non copra la tua orma.

Senza i tuoi occhi erranti, nella notte, verso dove.

Per questo sei la sete e ciò che deve saziarla.

Come poter non amarti se per questo devo amarti.

Se questo è il legame come poterlo tagliare, come.

Come, se persino le mie ossa hanno sete delle tue ossa. Sete di te, sete
di te, ghirlanda arroce e dolce.

Sete di te, che nelle notti mi morde come un cane.

Gli occhi hanno sete, perchè esistono i tuoi occhi.


La bocca ha sete, perchè esistono i tuoi baci.

L'anima è accesa di queste braccia che ti amano.

Il corpo, incendio vivo che brucerà il tuo corpo.

Di sete. Sete infinita. Sete che cerca la tua sete.

E in essa si distrugge come l'acqua nel fuoco.

Le Ragazze

Ragazze che cercavate

il grande amore, il grande amor terribile,

ch’è successo, ragazze?

Forse

il tempo, il tempo!

Perché ora,

è qui, guardate come passa

trascinando le pietre celesti,

rompendo fiori e foglie,

con un rumore di spume sferzate

contro tutte le pietre del tuo mondo,

con un odore di sperma e di gelsomini,

vicino alla luna insanguinata!

E ora
tocchi l’acqua con i tuoi piccoli piedi,

con il tuo piccolo cuore,

e non sai che fare!

Son migliori

certi viaggi notturni,

certi scompartimenti,

certe divertentissime passeggiate,

certi balli senz’altra conseguenza

che continuare il viaggio!

Muori di paura o di freddo,

o di dubbio;

io, con i miei grandi passi,

la troverò,

dentro di tè,

o lungi da tè,

e lei mi troverà,

lei che non tremerà davanti all’amore,

lei che sarà fusa

con me

nella vita o nella morte!


SPIEGO ALCUNE COSE

Chiederete: ma dove sono i lillà?

E la metafisica coperta di papaveri?

E la pioggia che fitta colpiva

Le sue parole, riempiendole

Di buchi e uccelli?

Vi racconterò tutto quel che m'accade.

Vivevo in un quartiere

Di Madrid, con campane,

Orologi, alberi.

Da lì si vedeva

Il volto secco della Castiglia,

Come un oceano di cuoio.

La mia casa la chiamavano

"La casa dei fiori", ché da ogni parte

Conflagravan gerani: era

Una bella casa,

Con cani e scugnizzi.

Ti ricordi, Raúl?

Ti ricordi, Rafael?
Federico, ti ricordi,

Ora che sei sottoterra,

Ti ricordi della mia casa balconata, dove

La luce di giugno ti soffocava la bocca di fiori?

Fratello, fratello!

Tutto

Era gran voci, sale di mercanzie,

Mucchi di pane palpitante,

Mercati del mio rione di Argüelles, con la sua statua

Come una seppia pallida tra i merluzzi:

L'olio era versato nel cucchiaio,

Un profondo brusìo

Di mani e piedi riempiva le strade,

Metri, litri, acuta

Essenza della vita,

Pesci accatastati,

Intreccio di tetti nel freddo sole, dove

La freccia s'affatica,

Fino avorio delirante delle patate,

Pomodori in fila, in fila fino al mare.


E una mattina tutto era in fiamme,

E una mattina i roghi

Uscivan dalla terra,

Divorando esseri,

E da allora fuoco,

Da allora polvere da sparo,

Da allora sangue.

Banditi con aerei e con mori,

Banditi con anelli e duchesse,

Banditi con neri frati benedicenti

Arrivavan dal cielo a uccidere bambini,

E per le strade il sangue dei bambini

Correva semplicemente, come sangue di bambini.

Sciacalli che lo sciacallo schiferebbe,

Sassi che il cardo secco sputerebbe dopo morsi,

Vipere che le vipere odierebbero!

Davanti a voi ho visto

Sollevarsi il sangue della Spagna

Per annegarvi in una sola onda

Di orgoglio e di coltelli!
Generali

Traditori:

Guardate la mia casa morta,

Guardata la Spagna spezzata:

Però da ogni casa morta esce metallo ardente

Invece di fiori,

Da ogni foro della Spagna

La Spagna viene fuori,

Da ogni bambino morto vien fuori un fucile con occhi, Da ogni crimine
nascono proiettili

Che un giorno troveranno il bersaglio

Del vostro cuore.

Chiederete: perché la tua poesia

Non ci parla del sogno, delle foglie,

Dei grandi vulcani del paese dove sei nato?

Venite a vedere il sangue per le strade,

Venite a vedere

Il sangue per le strade,

Venite a vedere il sangue

Per le strade!

La poesia
E fu a quell'età....Venne la poesia

a cercarmi: Non so, non so, da dove

usci', da quale inverno o fiume.

Non sò come nè quando,

no, non erano voci, non erano

parole, nè silenzio,

ma da una strada mi chiamava, dai rami della notte,

all'improvviso tra gli altri,

tra fuochi violenti

o mentre rincasavo solo

era li' senza volto

e mi toccava.

Io non sapevo che cosa dire, la mia bocca

non sapeva

chiamare per nome

i miei occhi erano ciechi,

e qualcosa pulsava nella mia anima,

febbre o ali perdute,

e mi formai da solo,

decifrando
quella bruciatura,

e scrissi il primo verso vago,

vago, senza corpo, pura

sciocchezza,

pura saggezza

di colui che nulla sa,

e vidi all'improvviso

il cielo

sgranato

e aperto,

pianeti,

piantagioni palpitanti,

l'ombra trafitta,

crivellata

da frecce, fuoco e fiori,

la notte travolgente, l'universo.

E io, minimo essere,

ebbro del grande vuoto

costellato,

a somiglianza, a immagine
del mistero,

mi sentii parte pura

dell'abisso,

ruotai insieme alle stelle,

il mio cuore si distese nel vento.

Sento la tua tenerezza

Sento la tua tenerezza avvicinarsi alla mia terra,

spiare lo sguardo dei miei occhi, fuggire,

la vedo interrompersi, per seguirmi fino all'ora

del mio silenzio assorto, della mia ansia di te.

Ecco la tua tenerezza d'occhi dolci che attendono.

Ecco la tua bocca, parola mai pronunciata.

Sento che mi sale il muschio della tua pena

e mi cresce tentoni nell'anima infinita.

Questo era l'abbandono, e lo sapevi,

era la guerra oscura del cuore e tutto,

era il lamento sprezzato di angosce commosse,

e l'ebbrezza, e il desiderio, e il lasciarsi andare,

ed era questo la mia vita

era questo che l'acqua dei tuoi occhi portava,


era questo che stava nel cavo delle tue mani.

Ah, farfalla mia e voce di colomba,

ah coppa, ah ruscello, ah mia compagna!

Il mio richiamo ti raggiunse, dimmi, ti raggiungeva

nelle ampie notti di gelide stelle

ora, nell'autunno, nella danza gialla

dei venti affamati e delle foglie cadute!

Dimmi, ti giungeva,

ululando o come, o singhiozzando,

nell'ora del sangue fermentato

quando la terra cresce e vibra palpitando

sotto il sole che la riga con le sue code d'ambra?

Dimmi, m'hai sentito

arrampicarmi fino alla tua forma per tutti i silenzi,

per tutte le parole?

Mi son sentito crescere. Mai ho saputo verso dove.

Al di là di te. Lo capisci, sorella?

Il frutto s'allontana quando arrivan le mie mani

e rotolano le stelle prima del mio sguardo.

Sento che sono l'ago di una freccia infinita,


che penetra lontano, mai penetrerà,

treno di umidi dolori in fuga verso l'eterno,

gocciolando in ogni terra singhiozzi e domande.

Ma eccola, la tua forma familiare, ciò ch'è mio,

il tuo, ciò ch'è mio, ciò ch'è tuo e m'inonda,

eccola che mi empie le membra di abbandono,

eccola, la tua tenerezza,

che s'attorce alle stesse radici,

che matura nella stessa carovana di frutta,

ed esce dalla tua anima spezzata sotto le mie dita

come il liquore del vino dal centro dell'uva.

ODE ALL’ANCORA

Stava lì, un pesante

frammento fuggitivo,

quando morì la nave

la gettarono

lì, sopra la sabbia,

essa non ha morte:

polvere di sale sul suo scheletro,

tempo nella croce della sua speranza,


si stava ossidando come il ferro di cavallo

lontano del suo cavallo,

cadde l’oblio sulla sua sovranità.

La bontà di un amico

la alzò dalla perduta sabbia

e credette all’improvviso

che il tremore di una nave

la aspettasse,

che catene sonore

la aspettassero

e un’onda infinta,

al tuono dei mari ritornasse.

Un tempo si fermò alla luce di Antofagasta,

essa andava per i mari ma ferita,

non era legata alla prua,

non scivolava per l’acqua amara.

Andava, ferita e addormentata

passeggera,

andava verso il Sud, errante

ma morta,
non usciva il suo sangue,

il suo flusso,

non palpitava al bacio dell’abisso.

E infine a San Antonio

cadde, salì colline,

viaggiò un camion con lei,

era nel mese di ottobre, e orgogliosa

passò senza immergersi

il fiume,

il regno della primavera,

il portentoso aroma

che si adatta alla costa,

come la rete sottile della fragranza,

come il vestito chiaro della vita.

Nel mio giardino riposa

dalle navigazioni

davanti allo sterminato oceano

che tagliò come spada,

e a poco a poco i rampicanti

porteranno la loro freschezza


per le braccia di ferro,

e qualche volta fioriranno garofani

sul suo sonno terrestre,

perché arrivò per dormire

e ora non posso restituirla al mare.

Ora non navigherà nessuna nave.

Ma ancorerà nei miei duri sogni.

ODE ALLE ALI DI SETTEMBRE

Ho visto entrare in tutti i tetti

le code a forbice del cielo:

vanno e vengono e portano trasparenza:

nessuno rimarrà senza rondini.

Qui era tutto

vestito, l’aria spessa

come coperta e un vapore di sale

ci inzuppò l’autunno

e ci rannicchiò contro la legna.

È sulla costa di Valparaíso,

verso il sud della Planta Ballenera:

lì tutto l’inverno si manteneva


stabile con il suo cielo amaro.

Finché oggi nell’uscire

volava il volo,

non fermai menti all’inizio, camminai

ancora intorpidito, con dolore di freddo,

è lì stava volando,

lì ritornava

la primavera a dividere il cielo.

Rondini di agosto e della costa,

taglianti, scattate

nel primo azzurro,

saette dell’aroma:

improvvisamente respirai le acrobazie

e compresi che quella

era la luce che tornava alla terra,

la prodezza del polline nel volo,

e la velocità tornò al mio sangue.

Tornai ad essere pietra della primavera.

Buon giorno, signore rondini

o signorine o ali o code a forbice,


buon giorno al volo del cielo

che ritornò al mio tetto:

ho compreso alla fine

che i primi fiori

sono piume di settembre.

ODE ALLE ACQUE DEL PORTO

Niente del mare galleggia nei porti

bensì casse rotte,

derelitti cappelli

e frutta marcia.

Dall’alto

i grandi uccelli neri

immobili, aspettano.

Il mare si è rassegnato

all’immondizia,

le impronte digitali dell’olio

rimasero impresse nell’acqua

come

se qualcuno avesse camminato

sopra le onde
con piedi oleaginosi,

la schiuma

si dimenticò della sua origine:

e non è zuppa di dea

né sapone di Afrodite,

è la riva in lutto

di una cucina

con galleggianti, oscuri,

sconfitti cavolfiori.

Gli alti uccelli neri

dalle sottili

ali come pugnali

aspettano

nell’altezza,

lenti, e senza volo,

fissati

a una nube,

indipendenti

e segreti

come
liturgiche forbici,

e il mare che si dimenticò della sua marina,

lo spazio dell’acqua

che disertò

e si fece

porto,

continua solennemente esaminato

da un comitato freddo

di ali nere

che vola senza volare,

fissato al cielo

blindato, indifferente,

mentre l’acqua sporca oscilla

l’eredità vile caduta dalle navi.


L’IMBARCAZIONE

Ma se paghiamo i nostri passaggi in questo mondo

perché, perché non ci fanno sedere e mangiare?

Vogliamo guardare le nubi,

vogliamo prendere il sole e odorare il sale,

francamente non si tratta di molestare nessuno,

è tanto semplice: siamo passeggeri.

Tutti stiamo passando e il tempo con noi:

passa il mare, si congeda la rosa,

passa la terra per l’ombra e per la luce,

e voi e noi passiamo, passeggeri.

Allora, che succede?

Perché sono tanto furiosi?

Chi stanno cercando con il revolver?

Noi non sappiamo

che tutto lo tiene occupato,

i bicchieri, i posti a sedere,

i letti, gli specchi,

il mare, il vino, il cielo.

Adesso risulta
che non abbiamo tavolo.

Non può essere, pensiamo.

Non possono convincerci.

Era scuro quando arrivammo all’imbarcazione.

Eravamo nudi.

Tutti arrivavamo dal medesimo posto.

Tutti veniamo da donne e da uomini.

Tutti avevamo fame e pronti denti.

A tutti noi crebbero le mani e gli occhi

per lavorare e desiderare quello che esiste.

E adesso ci escono che non possiamo,

che non c’è posto sull’imbarcazione,

non vogliono salutarci,

non vogliono prendersi gioco con noi.

Perché tanti vantaggi per loro?

Chi gli dette il cucchiaio quando non erano nati?

Qui non sono contenti,

così non vanno le cose.

Non mi piace nel viaggio

trovare, negli angoli, la tristezza,


gli occhi senza amore o la bocca affamata.

Non ho vestiti per questo crescente autunno

e meno, meno, meno per il prossimo inverno.

E senza scarpe come andiamo a fare il giro

del mondo, a tanta pietra nelle strade?

Senza tavolo dove andiamo a mangiare,

dove ci faranno sedere se non abbiamo sedia?

Se è uno scherzo triste, si decidano, signori,

a terminarlo presto,

a parlare sul serio adesso.

Poi il mare è duro.

E piove sangue.

ODE AL CAVALLO

Quel cavallo solo e legato

in un povero pascolo

della mia patria,

quel povero cavallo

è un ricordo,

e adesso

quando tutti i cavalli


accorrono al lampo,

alla luce improvvisa della mia ode,

quello dimenticato viene,

quello bastonato,

quello che trasportò la legna dai monti,

le pietre

crudeli

da cava a costa,

lui,

non viene galoppando

con incendiari crini

ondeggiando nel vento,

non arriva

integra groppa come

mela della neve,

no,

così non arriva.

Arriva arrancando, a fatica

le sue quattro zampe camminano

e la sua testa immobile


è torre

di tristezza,

e così

arriva alla mia ode,

cos’ il cavallo arriva affinché lo canti.

Trottò per tutti le strade dure,

mangiò male con i suoi molari gialli,

bevve poco – il suo padrone

usava più bastone che pozzo -,

è secco il mio amico

dai lombi

appuntiti,

ed ha un’anima magra di violino,

un cuore stanco,

il pelo di un tappeto suburbano.

Così vedendolo, toccandolo,

si vedono le sue molte ossa,

l’arco che protegge le costole,

gli oppressi femori caduti

nei lavoratori metatarsi


e il cranio, cattedrale di osso puro,

nei cui due altari

vivono due santi occhi di cavallo.

Quindi mi guardarono con la prova

di un esteso, di una antica sofferenza,

di una sofferenza profonda come l’Asia,

camminando con sete e con sabbia,

e era quel povero e nomade cavallo

con la sua bontà qualcosa che io cercavo,

forse

la sua religione senza illusioni.

Da allora mi cercò il suo sguardo

dentro di me, contro tanti dolori

patiti da uomini e cavalli,

e non mi piace, no, la soave lepre,

né il leone, né il falco,

né i pugnali degli squali,

ma quello sguardo,

quegli occhi fissi

nella tranquillità della tristezza.


Forse qualcuno chiede

del modo

dell’alato ed elastico

cavallo, del puro

destriero di cavalcata,

orgoglio della sfilata,

proiettile della corsa:

ebbene, celebro

la sua grazia di vespa,

la freccia che con linee lo disegna

dal labbro alla coda

e scende per le metalliche caviglie

fino ai nervosi zoccoli frettolosi.

Si, forse è la vela del veliero,

la carezza di un fianco amato,

la curva della grotta nell’onda,

quello che può avvicinarsi alla bellezza,

al veloce arabesco di un cavallo,

alla sua immagine coniata sopra un volo,

disegnata sul francobollo dalla rugiada.


Ma non va la mia ode

a volare con il vento,

a diffondersi con la guerra

né con le allegrie:

la mia poesia si fece passo a passo,

trottando per il mondo,

divorando strade pietrose,

mangiando con

i miserabili

nell’osteria glaciale della povertà,

e è dovuto

a queste pietre

della strada,

alla sete, alla punizione dell’errante,

e se un’aureola saccheggiata da quell’aurora,

riscattò il dolore per cantar vittoria,

adesso la corona

di alloro impassibile per la sofferenza,

la luce che conquistai

per le vite
la do per questa gloria di un cavallo,

di uno che sopportò peso, pioggia e colpi,

fame e remota solitudine e freddo

e che non sa, no, perché vive,

ma va e va e porta carichi e sopporta,

come noi, bastonati uomini,

che non abbiamo dei ma terra,

terra da arare, da percorrere, e quando

è sufficientemente arata e percorsa

si apre per le ossa del cavallo

e per le nostre ossa.

Ah cavallo

del povero, viandante,

camminiamo

insieme in questo spazio duro

e anche se non sai né saprai che serva

la mia ragione di amarti, povero fratello,

il mio cuore per questa ode,

le mie mani per passarle sopra il tuo soave muso!

Maremoto
Gli orologi del mare,

i carciofi,

i salvadanai con le loro fiammate,

le tasche del mare

a piene mani,

le lampade dell’acqua,

le scarpe, gli stivali

dell’oceano,

i cefalopodi, le oloturie,

i recalcitranti granchi,

certi pesci che nuotano e sospirano,

i ricci che escono

dalle castagne dal profondo mare,

l’ombrello azzurro dell’oceano,

i telegrammi rotti,

il valzer sopra le onde,

tutto me lo regala il maremoto.

Le onde ritornarono alla Bibbia:

foglia per foglia l’acqua si chiuse:

tornò al centro del mare tutta la collera,


ma tra ciglia e ciglia mi rimasero

i variati ed inutili tesori

che mi lasciò il suo amore abbattuto

e la sua rosa ombrosa.

Tocchino questo prodotto:

qui le mie mani lavorarono

piccoli sarcofaghi di sale

destinati a esseri e entità,

feroci nella loro violacea bellezza,

nelle loro stigmate calcaree,

fugaci

perchè si alimenteranno

noi ed altri esseri

di tanto fiore e luce divoratrice.

Quello che lasciò sulla porta il maremoto,

la fragile forza, l’occhio sottomarino,

gli animali ciechi dell’onda,

mi inducono al conflitto,

al vedere e vedere ed all’allontanarti, oh tormento,

alla mia marea nascosta dal mare.


Frutti di mare sbattuti sulla sabbia,

braccia scivolose,

stomaci dell’acqua,

armature aperte all’ingresso

della ripetizione e del movimento,

aculei, ventose, lingue,

piccoli corpi freddi,

maltrattati

dalla implacabile eternità dell’acqua,

dall’ira del vento.

Essere o non essere qui si amalgamarono

in raggianti e affamate strutture:

arde la vita e esce

a passeggiare un lampo la morte.

Io solo sono testimone

della elettricità e della bellezza

che riempiono la quiete divorante.

Alga

Io sono un’alga procellaria

combattuta dalle maree:


Mi scossero e educarono

i movimenti del naufragio

e le mani della tempesta:

qui avete i miei fiori freddi:

la mia simulata sottomissione

ai dettami del vento:

perché io sopravvivo all’acqua,

al sale, ai pescatori,

con la mia elastica latitudine

ed il mio vestito di iodio.

DOVERE DEL POETA

A chi non ascolta il mare in questo venerdì

mattina, a chi dentro qualcosa,

casa, ufficio, fabbrica o donna,

o strada o miniera o secca prigione:

a questo io mi presento e senza parlare né vedere

arrivo e apro la porta della reclusione

e un senza fine di ode vago nell’insistenza,

un lungo tuono rotto si incatena

al peso del pianeta e della schiuma,


sgorgano i fiumi rauchi dall’oceano,

vibra veloce nel suo roseto la stella

e il mare palpita, muore e continua.

Così per un destino guidato

devo senza tregua udire e conservare

il lamento marino nella mia coscienza,

debbo sentire il colpo dell’acqua dura

e raccoglierlo in una tazza eterna

perché dove stia l’imprigionato,

dove soffra il castigo dell’autunno

io sia presente con una onda errante,

io circoli attraverso le finestre

e all’udirmi alzi lo sguardo

dicendo: come mi avvicinerò all’oceano?

E io trasmetterò senza dire nulla

gli echi stellati dell’onda,

un dolore di schiuma e di arenili,

un sussurro di sale che si ritira,

il grido grigio dell’uccello della costa.

E così, per me, la libertà e il mare


risponderanno al cuore oscuro

LA PAROLA

Nacque

la parola nel sangue,

crebbe nel corpo oscuro, palpitando,

e volò con le labbra e la bocca.

Più lontano, e più vicino

ancora, ancora veniva

da padri morti e da erranti razze,

da territori che si fecero pietra,

che si stancarono delle sue povere tribù,

perché quando il dolore apparve sulla strada

i popoli camminarono e arrivarono

e nuova terra ed acqua riunirono

per seminare di nuovo la sua parola.

E così l’eredità è questa:

questa è l’aria che ci comunica

con l’uomo sotterrato e con l’aurora

di nuovi esseri che ancora non albeggiarono.

Ancora l’atmosfera trema


con la prima parola

elaborata

con panico e gemito.

Uscì

dalle tenebre

e fino ad allora non c’è tuono

che tuoni ancora con la sua ferramenta

come quella parola,

la prima

parola pronunciata:

forse soltanto un sussurro fu, una goccia,

e cade e cade ancora la sua cateratta.

Poi il senso riempie la parola.

Rimase gravida e si riempì di vite.

Tutto fu nascite e suoni:

l’affermazione, la chiarezza, la forza,

la negazione, la distruzione, la morte:

il verbo assunse tutti i poteri

e si fuse esistenza con essenza

nell’elettricità della sua bellezza.


Parola umana, sillaba, fianco

di lunga luce e di dura oreficeria,

ereditaria coppa che riceve

le comunicazioni del sangue:

è qui che il silenzio fu integrato

dal totale della parola umana

e non parlare è morire tra gli esseri:

si fa linguaggio fino alla chioma,

parla la bocca senza muovere le labbra:

gli occhi all’improvviso sono parole.

Io prendo la parola e la percorro

come se fosse soltanto forma umana,

mi affascinano le sue linee e navigo

in ogni risonanza dell’idioma:

pronuncio e sono e senza parlare mi avvicina

la fine delle parole al silenzio.

Bevo per la parola alzando

una parola o una coppa cristallina,

in essa bevo

il vino dell’idioma
o l’acqua interminabile,

sorgente materna delle parole,

e coppa e acqua e vino

originano il mio canto

perché il verbo è origine

e versa vita: è sangue,

è il sangue che manifesta la sua sostanza

ed è preparato così il suo sviluppo:

danno cristallo al cristallo, sangue al sangue,

e danno vita alla vita le parole.

UCCELLO

Cadeva da un uccello ad un altro

tutto quello che il giorno porta,

andava di flauto in flauto il giorno,

andava vestito di verdura

con voli che aprivano un tunnel,

e da lì passava il vento

da dove gli uccelli aprivano

l’aria compatta e azzurra:

da lì entrava la notte.
Quando tornai da tanti viaggi

rimasi sospeso e verde

tra il sole e la geografia:

vidi come lavoravano le ali,

come si trasmette l profumo

da un telefono impiumato

e dall’alto vidi la strada,

le sorgenti, le tegole,

i pescatori a pescare,

i pantaloni della schiuma,

tutto dal mio cielo verde.

Non avevo più alfabeto

che il viaggio delle rondini,

l’acqua pura e piccolina

del piccolo uccello ardente

che balla uscendo dal polline.

SERENATA

Con la mano raccolgo questo vuoto,

imponderabile notte, famiglie stellate,

un coro più silenzioso che il silenzio,


un suono di luna, un po’ segreto, un triangolo,

un trapezio di gesso.

È la notte oceanica, la terza solitudine,

una indecisione aprendo porte, ali,

la popolazione profonda che non ha presenza

palpita traboccando i nomi dell’estuario.

Notte, nome del mare, patria, grappolo, rosa!

LE NASCITE

Mai ricorderemo di essere morto.

Tanta pazienza

per essere abbiamo

annotato

i numeri, i giorni,

gli anni e i mesi,

i capelli, le bocche che baciamo,

e quel minuto di morire

lo lasceremo senza annotazione:

lo consegniamo ad altri di ricordo

o semplicemente all’acqua,

all’acqua, all’aria, al tempo.


Neppure di nascere

abbiamo la memoria,

sebbene importante e sfacciato fu nascere:

e adesso non ricordi un dettaglio,

non hai conservato neppure un ramo

della prima luce.

Si sa che nasciamo.

Si sa che nella sala

o nel bosco

o nel tugurio del quartiere dei pescatori

o nei canneti crepitanti

c’è un silenzio estremamente strano,

un minuto solenne di legno

e una donna si prepara a partorire.

Si sa che nascemmo.

Ma dalla profonda scossa

di non essere a esistere, a avere le mani,

a vedere, ad avere occhi,

a mangiare e piangere e prodigarsi

e amare e amare e soffrire e soffrire,


di quella transizione o brivido

dal contenuto elettrico che assume

un corpo più che una coppa viva,

e da quella donna disabitata,

la madre che lì rimane con il suo sangue

e la sua lacerante pienezza

e la sua fine e principio, e il disordine

che turba il battito, il suolo, le coperte,

finché tutto si mette in ordine e somma

il nodo più il filo della vita,

niente, non rimase niente nella tua memoria

del mare feroce che alzò un’onda

e abbatté dell’albero una mela oscura.

Non hai altro ricordo che la tua vita.

AL DEFUNTO POVERO

Un nostro povero sotterriamo oggi:

un nostro povero povero.

Tanto male camminò sempre

che è la prima volta

che abita questo abitante.


Perché non ebbe casa, né terreno,

né alfabeto, né lenzuola,

né arrosto,

e così da un posto all’altro, nelle strade,

stava morendo per non avere vita,

stava morendo poco a poco

perché questo gli continuò dalla nascita.

Per fortuna, ed è strano, si trovarono d’accordo

tutti dal vescovo fino al giudice

per dirgli che avrà cielo

e adesso morto, ben morto il nostro povero,

ahi il nostro povero povero

non sa che fare con tanto cielo.

Potrà ararlo e seminarlo e raccoglierlo?

Egli lo fece sempre, duro

lottò con le zolle,

e adesso il cielo è soffice per ararlo,

e poi tra i frutti celestiali

alla fine avrà il suo, e sulla tavola

a tanta altezza tutto è predisposto


perché mangi cielo a due guance

il nostro povero che porta, per fortuna,

sessanta anni di fame da sotto

per saziarla, alla fine, come si deve,

senza ricevere più bastonate dalla vita,

senza che lo mettano carcerato perché mangia,

ben sicuro nella sua cassa e sotto terra

e non si muove per difendersi,

e già non combatterà per il suo salario.

Mai sperò in tanta giustizia quest’uomo,

all’improvviso lo hanno colmato e lo gradisce:

morì zittito dall’allegria.

Che peso ha adesso il povero povero!

Era di puro osso e di occhi scuri

e adesso sappiamo, per il suo puro peso,

quante cose gli mancarono sempre,

perché se questo vigore stava camminando,

vangando terreni incolti, raccogliendo pietre,

falciando frumento, bagnando argilla,

macinando zolfo, trasportando legna,


se questo uomo tanto gravato non aveva

scarpe, oh dolore, se questo uomo intatto

di tendini e muscoli non ebbe

mai ragione e tutti lo colpirono,

tutti lo demolirono, e anche allora

adempì ai suoi lavori, adesso portandolo

nella sua bara sopra di noi,

adesso sappiamo quanto gli mancò

e non lo difendemmo sulla terra.

Adesso noi diamo conto che ci carichiamo

con quello che non gli demmo, ed è tardi:

non pesa e non possiamo con il suo peso.

Quante persone pesa il nostro morto?

Pesa come questo mondo, e continuiamo

portando in salita questo morto. È chiaro

che il cielo è una grande panetteria.

PASSATO

Dobbiamo buttare giù il passato

e come si costruisce

piano per piano, finestra e finestra,


e cresce l’edificio

così, tirando giù

per primo le tegole rotte,

poi orgogliose porte,

finché dal passato

esce polvere

come se si colpisse

contro il suolo,

esce fumo

come se si bruciasse,

e ogni nuovo giorno

riluce

come un piatto

vuoto:

non c’è niente, non ci fu niente:

bisogna riempirlo

di nuove nutrizioni

spaziose,

allora, verso il basso

cade il giorno di ieri


come in un pozzo

all’acqua del passato,

alla cisterna

di quello che ormai non ha voce né fuoco.

È difficile

abituare le ossa

a perdersi,

gli occhi

a chiudersi

ma

lo facciamo

senza saperlo:

tutto era vivo,

vivo, vivo, vivo

come un pesce scarlatto

ma il tempo

passò con straccio e notte

e cancellò

il pesce e il suo battito:

l’acqua l’acqua l’acqua


fa cadere il passato

sebbene si afferri

a spine

e radici:

andò via andò via e non contano

i ricordi:

già la palpebra ombrosa

coprì la luce dell’occhio

e quello che viveva

ormai non vive:

quello che fummo non siamo.

E la parola sebbene le lettere abbiano

uguali trasparenze e vocali

adesso è un’altra e è un’altra la bocca:

la stessa bocca è un’altra bocca adesso:

Cambiarono labbra, pelle, circolazioni,

un altro essere occupò il nostro scheletro:

quello che fu in noi ora non c’è:

ci fu, ma se chiamano, rispondiamo

“Qui sono” e si sa che non ci siamo,


che quello che era, fu e si perse:

si perse nel passato e ormai non torna.

ALLA TRISTEZZA

Tristezza, ho bisogno

della tua ala scura,

tanto sole, tanto miele nel topazio,

ogni raggio sorride

nella prateria

e tutto è luce rotonda intorno a me,

tutto è ape elettrica nell’altezza.

Per questo

la tua ala scura

dammi,

sorella tristezza:

ho bisogno che qualche volta si spenga

lo zaffiro e che cada

l’obliquo rampicante della pioggia,

il pianto della terra:

voglio

quel tronco rotto nell’estuario,


la vasta casa al buio

e mia madre

che cerca

paraffina

e riempie la lampada

non per dare la luce ma un sospiro.

La notte non nasceva.

Il giorno scivolava

verso il suo cimitero provinciale,

e tra il pane e l’ombra

mi ricordo

me stesso

nella finestra

che guardo quello che non era,

quello che non succedeva

e un’ala scura di acqua mi arrivava

sopra quel cuore che lì forse

dimenticai per sempre, nella finestra.

Adesso getto via di meno

la luce scura.
Dammi il tuo lento sangue,

pioggia

fredda,

dammi il tuo volo attonito!

Al mio petto

restituisci la chiave

della porta chiusa,

distrutta.

Per un minuto, per

una breve vita,

fermati luce e lasciami

sentirmi

perduto e miserabile,

tremando fra i fili

del crepuscolo,

ricevendo nell’anima

le mani

tremanti

della

pioggia.
Cuore di pietra

Voglio

dirti

quanto amiamo

il tuo cuore di pietra:

quanto sei generosa

con il tuo fuoco

acceso

là in cucina

e il tuo tetto

su cui cade

sgranata

la pioggia

come se scivolasse

la musica del cielo!

Il monte e il fiume
Nella mia patria c'è un monte.

Nella mia patria c'è un fiume.

Vieni con me.

La notte sale sul monte.

La fame scende al fiume.

Vieni con me.

Chi sono quelli che soffrono?

Non lo so, ma mi appartengono.

Vieni con me.

Non lo so, ma mi chiamano

e mi dicono:Soffriamo.

Vieni con me.

E mi dicono.Il tuo popolo,

il tuo popolo sventurato,

tra il monte e il fiume,

con fame e con sofferenze,

non vuole lottare solo,

ti sta aspettando, amico.

Oh tu, donna che amo,

piccola, chicco rosso


di grano,

sarà dura la lotta,

la vita sarà dura,

ma tu verrai con me.

America, non invoco il tuo nome invano

America, non invoco il tuo nome invano

Quando appendo al cuore la spada,

quando l'animo regge allo stillicidio,

quando attraverso le finestre

un tuo nuovo giorno mi penetra,

sono e resto nella luce che mi crea,

vivo nell'ombra che mi definisce,

dormo e mi sveglio nella tua aurora essenziale:

dolce come le uve, e terribile,

trasportatore dello zucchero e del castigo,

inzuppato dello sperma della tua specie,

allattato al sangue della tua stirpe.

Matilde

Matilde dove sei? Ho avvertito quaggiù

tra la cravatta e il cuore, più su


una certa malinconia intercostale

era che tu all'improvviso non c'eri.

Mi e` mancata la luce della tua energia

e ho guardato divorando la speranza,

guardato il vuoto che e`senza di te una casa

non restano che tragiche finestre.

Da tanto e` imbronciato il tetto ascolta

cadere antiche piogge sfogliate,

piume, quanto la notte ha catturato:

e cosi` ti aspetto come una casa deserta

e tornerai a trovarmi e ad abitarmi.

Altrimenti mi fanno male le finestre.

Insonnia

Nel cuore della notte mi domando

che accadrà al Cile?

Che ne sarà della mia povera patria oscura?

A forza d'amare questa nave snella,

queste pietre, queste zolle,

la persistente rosa

del litorale che vive con la schiuma,


giunsi a essere tutt'uno con la mia terra,

conobbi ciascuno dei suoi figli

e in me le stagioni camminavano

una dopo l'altra, piangendo o fiorendo.

Sento appena che ora, appena

attraversato l'anno morto dei dubbi,

quando l'errore che ci dissanguò tutti

fuggì e iniziammo di nuovo a sommare

il meglio. le cose più giuste della vita,

appare di nuovo la minaccia

e sul muro il rancore inerpica.

Ode al chiarore

La burrasca ha lasciato

sull'erba.

fili di pino, aghi,

e il sole nella coda del vento.

Un azzurro marcato

riempie il cielo.

Oh giorno pieno,

oh frutto
dello spazio,

il mio corpo è una coppa

in cui la luce e l'aria

cadono come cascate.

Tocco

l'acqua del mare.

Sapore

di fuoco verde,

di bacio vasto e amaro

hanno le onde nuove

di questo giorno.

Intrecciano la loro trama d'oro

le cicale

nell'altezza sonora.

La bocca della vita

bacia la mia bocca.

Vivo,

amo

e sono amato.

Ricevo
in me quanto esiste.

Sono seduto

su una pietra:

in lei

toccano

le acque e le sillabe

della selva

il chiarore ombroso

della sorgente che viene

a trovarmi.

Tocco

il tronco del cedro

le cui rughe mi parlano

del tempo e della terra.

Cammino

e vado con i fiumi

cantando

con i fiumi,

ampio, fresco e aereo

in questo nuovo giorno,


e lo ricevo,

sento

come

mi entra nel petto, guarda coi miei occhi.

lo sono,

io sono il giorno,

sono

la luce.

Per questo

ho

doveri di mattina

impegni di pomeriggio.

Devo

andare

con il vento e l'acqua,

aprire finestre,

abbattere porte,

rompere muri,

illuminare angoli.

Non posso
starmene seduto.

A presto.

Domani

ci rivedremo.

Oggi ho molte

battaglie da vincere.

Oggi ho molte ombre

da squarciare e sconfiggere.

Oggi non posso

stare con te, devo

portare a termine il mio compito

di luce:

andare e venire per le strade,

le case e gli uomini

sconfiggendo

l'oscurità. lo devo

farmi in mille

finché tutto sia giorno,

finché tutto sia chiarore

e allegria sulla terra.


Io tornerò

Un giorno, uomo o donna, viandante,

dopo,quando non vivrò,

cercate qui, cercatemi

tra pietra e oceano,

alla luce burrascosa

della schiuma.

Qui cercate,cercatemi,

perchè qui tornerò senza dire nulla,

senza voce, senza bocca, puro,

qui tornerò a essere il movimento

dell'acqua, del

suo cuore selvaggio,

starò qui,perso e ritrovato:

qui sarò forse pietra e silenzio.

Ode alla speranza

Crepuscolo marino,

in mezzo

alla mia vita,

le onde come uve,


la solitudine del cielo,

mi colmi

e mi trabocchi,

tutto il mare,

tutto il cielo,

movimento

e spazio,

i battaglioni bianchi

della schiuma,

la terra color arancia ,

la cintura

incendiata

del sole in agonia,

tanti

doni e doni,

uccelli

che vanno verso i loro sogni,

e il mare, il mare,

aroma

sospeso,
coro di sale sonoro,

e nel frattempo,

noi,

gli uomini,

vicino all'acqua,

che lottiamo

e speriamo

vicino al mare,

speriamo.

Le onde dicono alla costa salda:

Tutto sarà compiuto

Amore mio, se muoio io e tu non muori

Amore mio, se muoio e tu non muori,

amore mio, se muori e io non muoio,

non concediamo ulteriore spazio al dolore:

non c'è immensità che valga quanto abbiamo vissuto

Polvere nel frumento, sabbia tra le sabbie,

il tempo, l'acqua errante, il vento vago,

ci ha trasportato come grano navigante.

Avremmo potuto non incontrarci nel tempo.


Questa prateria in cui ci siamo trovati,

oh piccolo infinito! la rendiamo.

Ma questo amore, amore, non è finito,

e così come non ebbe nascita,

non ha morte, è come un lungo fiume,

cambia solo di terra e labbra.

Lasciatemi sciolte le mani

Lasciatemi sciolte le mani,

e il cuore,

lasciatemi libero!

lascia che le mie dita corrano

per i sentieri del tuo corpo.

La passione-sangue,

fuoco, baci mi incendia a vampate tremule.

Ahi, tu non sai che cosa significa!

E’ la tempesta dei miei sensi

che piega la selva sensibile dei miei nervi.

è la carne che grida con le sue lingue ardenti!

è l'incendio!

E sei qui, donna, come un tronco intatto


adesso che vola tutta la mia vita ridotta in cenere

verso il tuo corpo pieno, come la notte, di astri!

Lasciami libere le mani

e il cuore, lasciami libero!

Io solamente ti desidero, io salamente ti desidero!

Non è amore, è desiderio che si consuma e si estingue, è precipitazioni


di furie

avvicinamento all'impossibile

ma tu ci sei,

ci sei per darmi tutto,

e per darmi ciò che hai che sei venuta al mondo,

come io per contenerti,

e desiderarti,

e accoglierti!

LA NOTTE NELL'ISOLA

Tutta la notte ho dormito con te

vicino al mare, nell'isola.

Eri selvaggia e dolce tra il piacere e il sonno,

tra il fuoco e l'acqua.

Forse assai tardi

i nostri sogni si unirono,


nell'alto o nel profondo,

in alto come rami che muove uno stesso vento,

in basso come rosse radici che si toccano.

Forse il tuo sogno

si separò dal mio

e per il mare oscuro

mi cercava,

come prima,

quando ancora non esistevi,

quando senza scorgerti

navigai al tuo fianco

e i tuoi occhi cercavano

ciò che ora

- pane, vino, amore e collera -

ti do a mani piene,

perché tu sei la coppa

che attendeva i doni della mia vita.

Ho dormito con te

tutta la notte, mentre

l'oscura terra gira


con vivi e con morti,

e svegliandomi d'improvviso

in mezzo all'ombra

il mio braccio circondava la tua cintura.

Né la notte né il sonno

poterono separarci.

Ho dormito con te

e svegliandomi la tua bocca

uscita dal sonno

mi diede il sapore di terra,

d'acqua marina, di alghe,

del fondo della tua vita,

e ricevetti il tuo bacio

bagnato dall'aurora,

come se mi giungesse

dal mare che ci circonda.

L'AMORE

Che hai, che abbiamo,

che ci accade?

Ahi il nostro amore È una corda dura


che ci lega ferendoci

e se vogliamo

uscire dalla nostra ferita,

separarci,

ci stringe un nuovo nodo e ci condanna

a dissanguarci e a bruciarci insieme.

Che hai? Ti guardo

e nulla trovo in te se non due occhi

come tutti gli occhi, una bocca

perduta tra mille bocche che baciai, più belle,

un corpo uguale a quelli che scivolarono

sotto il mio corpo senza lasciar memoria.

E che vuota andavi per il mondo

come una giara di color frumento,

senz'aria, senza suono, senza sostanza!

Invano cercai in te

profondità per le mie braccia

che scavano, senza posa, sotto la terra:

sotto la tua pelle, sotto i tuoi occhi,

nulla,
sotto il tuo duplice petto sollevato,

appena

una corrente d'ordine cristallino

che non sa perché corre cantando.

Perché, perché, perché,

amore mio, perché?

BARCAROLA

Se solamente mi toccassi il cuore,

se solamente mettessi la tua bocca sul mio cuore,

la tua bocca sottile, i tuoi denti,

se mettessi la tua lingua come una freccia rossa

lì dove il mio cuore polveroso martella,

se soffiassi nel mio cuore, vicino al mare, piangendo, suonerebbe con


rumore scuro, con suono di ruote

di treno assonnate,

come acque vacillanti,

come l'autunno in foglie,

come sangue,

con un rumore di fiamme umide che bruciano il cielo, suonando come


sogni o rami o piogge

o sirene di un porto triste,


se tu soffiassi nel mio cuore vicino al mare,

come un fantasma bianco,

al bordo della schiuma,

in mezzo al vento,

come un fantasma scatenato, in riva al mare,

piangendo.

Come diffusa assenza, come campana improvvisa,

il mare spartisce il suono del cuore

mentre piove e si fa sera sulla costa solitaria:

la notte cade incontrastata

e il suo lugubre azzurro di naufrago stendardo

si popola di astri d'argento affievolito.

E il cuore suona come un'aspra conchiglia,

chiama, oh mare, oh lamento, oh disciolta paura

sparsa in disgrazie e in onde scardinate:

dalla sonorità il mare accusa

le sue ombre reclini, i suoi verdi papaveri.

Se esistessi all'improvviso in una costa lugubre,

circondata dal giorno morto

dinanzi a una nuova notte,


piena d'onde,

e soffiassi nel mio cuore di freddo pànico,

soffiassi nel sangue solitario del mio cuore,

soffiassi nel suo moto di colomba con fiamme,

suonerebbero le sue nere sillabe di sangue,

crescerebbero le sue incessanti acque rosse,

e suonerebbe, suonerebbe a ombre,

suonerebbe come la morte,

chiamerebbe come un tubo pieno di vento o pianto,

o una bottiglia che versa orrore a fiotti.

E' così; e i baleni coprirebbero le tue trecce

e la pioggia entrerebbe dai tuoi occhi aperti

a preparare il pianto sordo che racchiudi,

e le ali nere del mare girerebbero intorno

a te, con grandi artigli e crocidii e voli.

Vuoi essere il fantasma che soffia, solitario,

in riva al mare il suo sterile, triste strumento?

Se solamente chiamassi,

il suo suono prolungato, il suo malefico fischio,

il suo ordine di onde ferite,


qualcuno verrebbe forse,

qualcuno verrebbe,

dalle cime delle isole, dal fondo rosso del mare,

qualcuno verrebbe, qualcuno verrebbe.

Qualcuno verrebbe, soffia con furia,

che suoni come sirena di nave guasta,

come lamento,

come un nitrito in mezzo alla schiuma e al sangue,

come un'acqua feroce che si morde e che suona.

Nella stagione marina

la sua conchiglia d'ombra circola come un grido,

gli uccelli del mare la disprezzano e fuggono,

le sue strisce di suono, le sue lugubri sbarre

si alzano sulle sponde dell'oceano solo.

Schiava mia

Schiava mia, temimi. Amami. Schiava mia!

Sono con te il tramonto più ampio del cielo,

e in esso la mia anima spunta come una stella fredda Quando da te si


allontana i miei passi tornano a me.

La mia stessa frustata cade sulla mia vita

Sei ciò ch'è dentro di me ed è lontano


Fuggendo come un coro di nebbie inseguite.

Vicino a me, ma dove? Lontano, ciò ch'è lontano

e ciò che essendo lontano cammina sotto i miei piedi

L'eco della voce oltre il silenzio

E ciò che nella mia anima cresce come il muschio sulle rovine.

ODE ALLA SABBIA

Sabbia pura, come

si accumulò, impalpabile,

il tuo granello diviso

e cintura del mare, coppa del mondo,

petalo planetario,

riunisti davanti all’urlo

di onde e uccelli selvatici

il tuo anello eterno e la tua unità oscura?

Sabbia, madre

eri

dell’oceano,

esso nella tua pietra innumerevole

depositò il grappolo della specie,

ferendo
con le sue grida seminali

di toro verde la tua natura.

Nudo sopra

la tua frammentaria pelle

sento

il tuo bacio, il tuo sussurro

percorrermi

più stretto che l’acqua,

l’aria, il tempo,

piegandosi

alle linee del mio corpo,

tornando a formare

e quando

vado errando

per la spiaggia marina

il vuoto del mio essere permane un istante

nella tua memoria, sabbia,

finché aria,

onda

o notte
cancellano il mio peso grigio nel tuo dominio.

Silice demolita,

marmo disperso, anello

sgranato,

polline

della profondità,

polvere marina,

ti alzi

dalle dune

argentate

come

gole

di colomba,

ti estendi

nel deserto,

sabbia

della luna

senza limite,

circolare e brillante

come un anello,
morta,

solo silenzio

finché il vento fischia

e terrificante accorre

colpendo

la pietra demolita,

la savana

di sale e solitudine,

e allora

la inferocita sabbia

suona come un castello

attraversato

da una raffica di violini,

per una tumultuosa

velocità di spada in movimento.

Cadi

finché l’uomo

ti raccoglie

nella sua pala

e al miscuglio
dell’edificio

serenamente accorri

ritornando

alla pietra,

alla forma,

costruendo

una

dimora

riunita nuovamente

per servire

la volontà dell’uomo.

ODE AL SUO AROMA

Soave mia, di cosa profumi,

di quale frutto,

di quale stella, di quale foglia?

Vicino

al tuo piccolo orecchio

e davanti a te

mi inchino,

fisso
la narice dentro i capelli

e il sorriso

cercando, conoscendo

la razza del tuo aroma:

è soave, ma

non è un fiore, non è coltellata

di garofano penetrante

o impetuoso aroma

di violenti

gelsomini,

è qualcosa, è terra,

aria,

legni o meli,

odore

della luce sulla pelle,

aroma

della foglia

dell’albero

della vita
con polvere

di cammino

e freschezza

di mattutina ombra

sulla radici,

odore di pietra e fiume,

ma

più vicino

di un pesco,

dalla tiepida

palpitazione segreta

del sangue,

odore

di una casa pura

e di una cascata,

fragranza

di colomba

e di capigliatura,

aroma

della mia mano


che percorse la luna

del tuo corpo,

le stelle

della tua pelle stellata,

l’oro,

il frumento,

il pane del tuo contatto,

e lì

nella lunghezza

della tua luce pazza,

nella tua circonferenza di vaso,

nella coppa,

negli occhi dei tuoi seni,

tra le tue ampie palpebre

e la tua bocca di schiuma,

in tutto

lasciò,

lasciò la mia mano

odore di inchiostro e selva,

sangue e frutti perduti,


fragranza

di dimenticati pianeti,

di pure

carte vegetali,

il mio proprio corpo

sommerso

nella freschezza del tuo amore, amata,

come in una sorgente

o nel suono

di un campanile

arrivi

tra l’odore del cielo

e il volo

degli ultimi uccelli,

amore,

odore,

parola

della tua pelle, dell’idioma

della notte nella tua notte,


del giorno nel tuo sguardo.

Dal tuo cuore

sale

il tuo aroma

come dalla terra

la luce fino alla cima del ciliegio:

sulla tua pelle io fermo

il tuo battito

e odoro

l’onda di luce che sale,

la frutta sommersa

nella sua fragranza,

la notte che respiri,

il sangue che percorre

la tua bellezza

fino a arrivare al bacio

che mi attende

sulla tua bocca.

ODE ALLA BELLA NUDA

Con casto cuore, con occhi


puri,

ti celebro, bellezza,

trattenendo il sangue

perché sorga e segua

la linea, il tuo contorno,

perché

tu entri nella mia ode

come in terra di boschi o in schiuma:

in aroma terrestre

o in musica marina.

Bella nuda,

uguali i tuoi piedi arcuati

per un antico colpo

di vento e del suono

che tu origliasti,

chiocciole minime

dello splendido mare americano.

Uguali sono i tuoi petti

di parallela pienezza, ripieni

delle luce della vita,


uguali

volano

le tue palpebre di frumento

che scoprono

e nascondono

due paesi profondi nei tuoi occhi.

La linea che la tua schiena

ha diviso

in pallide regioni

si perde e sorge

in due limpide metà

di mela

e continua

separando

la tua bellezza

in due colonne

di oro bruciato, di alabastro fino,

a perdersi nei tuoi piedi come in due uve,

da dove nuovamente arde e si eleva

l’albero doppio della tua simmetria,


fuoco florido, candelabro aperto,

turgida frutta alzata

sopra il patto del mare e della terra.

Il tuo corpo, in quale materia,

agata, quarzo, frumento,

si plasmò, crebbe

come del pane si alza

la temperatura,

e segnalò colline

argentate,

valli di un solo petalo, dolcezze

di profondo velluto,

fino a rimanere cagliata

la fine e ferma forma femminile?

Non soltanto è luce che cade

sopra il mondo

quella che allunga sul tuo corpo

la sua neve soffocata,

finché si stacca

da te la chiarezza come se fosse


incendiata da dentro.

Sotto il tuo piede vive la luna.

COSÌ SAREBBE PASSATO

Così sarebbe passato, così saresti passato,

se non fossi anche, quasi invisibile,

entrato per sempre nella storia.

Ci saremmo visto ogni giorno,

avremmo cambiato certi libri che amiamo,

io ti avrei raccontato

racconti di pescatori e minatori

della mia patria marina,

e avremmo riso

in tal modo che i passanti

avrebbero trovato pericolosa

la nostra grande allegria.

ODE A UNA MATTINA DEL BRASILE

Questa è una mattina

del Brasile. Vivo dentro

a un violento diamante,

tutta la trasparenza
della terra

si materializzò

sulla

mia fronte,

appena si muove

la ricamata vegetazione,

la rumorosa cintura

della selva:

ampia è la chiarezza, come una nave

del cielo, vittoriosa.

Tutto cresce,

gli alberi,

l’acqua,

gli insetti,

il giorno.
Tutto termina in foglia.

Si unirono

tutte

le cicale

che nacquero, vissero

e morirono

da quanto esiste il mondo,

e qui cantano

in un solo congresso

con voce di miele,

di sale,

di segheria,

di violino delirante.

Le farfalle

danzano

rapidamente

un

ballo

rosso

nero
arancio

verde

azzurro

bianco

granata

giallo

violetto

nell’aria,

nei fiori,

nel nulla,

volanti,

successive

e remote.

Disabitate

terre,

vetro

verde

del mondo,

in qualche

regione
un antico fiume

precipita

in piena solitudine,

i sauri attraversano

le acque pestilenti,

migliaia di esseri lenti

schiacciati

dal

cieco spessore

cambiano pianta, acqua,

pantano, caverna,

e attraversano l’aria

uccelli brucianti.

Un grido, un canto,

un volo,

una cascata

attraversano da un bicchiere

di palme

fino

all’attaccatura
del bambù innumerevole.

Il mezzogiorno

arriva

tranquillo,

si estende

la luce come se fosse

nato un nuovo fiume

che corre e canta

riempiendo l’universo:

all’improvviso

tutto

rimane

immobile,

la terra, il cielo, l’acqua

si fecero trasparenza,

il tempo si fermò

e tutto entrò nella sua scatola di diamante.

L’OBLIO

Come ti chiami, mi domandò quell’albero,

e quali sono le tue foglie?


la torre domandò,

che altezza hai?

Mi sdraiai sulla terra

e niente domandò, niente mi disse:

tutto lo sa perché sta aspettando

e apprese tutto di quelli che speravano:

io so che è come l’oblio,

questo è, non ha termine,

non c’è fine, non c’è

fine, non c’è punto nell’oblio.

RITORNO

Ostili cordigliere,

cielo duro,

stranieri, questa è,

questa è la mia patria,

qui nacqui e qui vivono i miei sogni.

La barca si muove

per l’azzurro, per tutti gli azzurri,

la costa è la più lunga

linea di solitudine dell’universo,


passano e passano le spiagge bianche,

salgono e scendono i monti nudi,

e corre fino al mare la terra sola,

addormentata o morta nella pace ferruginosa.

Quando caddero le vegetazioni

e il dolce verde abbandonò queste terre

il sole le bruciò dalla sua altezza,

il sale le consumò dalle sue pietre.

Da allora si riesumarono

le antiche stelle minerali:

lì giacciono le ossa della terra,

compatto come pietra è il silenzio.

Perdonate, stranieri,

perdonate la misura desolata

della nostra solitudine,

e quelle che diamo alla lontananza.

Tuttavia,

qui stanno le radici del mio sogno,

questa è la dura luce che amiamo,

ed in ogni modo, con distante orgoglio,


come nei minerali della notte,

vive l’onore di questa lunga spiaggia.

TEMPESTA CON SILENZIO

Tuona sopra i pini.

La nube spessa sgranò le sue uve,

cadde l’acqua di tutto il cielo confuso,

il vento disperse la sua trasparenza,

si riempirono gli alberi di anelli.

di collane, di lacrime erranti.

Goccia a goccia

la pioggia si riunisce

ancora alla terra.

Un solo tuono vola

sopra il mare ed i pini,

un movimento sordo:

un tuono opaco, oscuro,

sono i mobili del cielo

che si trascinano.

Di nube in nube cadono

i piani dell’altezza,
gli armadi azzurri,

le sedie e i letti cristallini.

Tutto trascina il vento.

Canta e conta la pioggia.

Le lettere di acqua cadono

rompendo le vocali

contro i tetti. Tutto

fu cronica perdita,

sonata disperata goccia a goccia:

il cuore dell’acqua e la sua scrittura.

Terminò la tormenta.

Ma il silenzio è altro.

TI AMO

Amante, ti amo e mi ami e ti amo

sono brevi i giorni, i mesi, la pioggia, i treni:

sono alte le case, gli alberi, e siamo più alti:

si avvicina nella sabbia la schiuma che vuole baciarti: trasmigrano gli


uccelli degli arcipelaghi

e crescono nel mio cuore le tue radici di frumento.

Non ho dubbio, amore mio, che la tempesta di settembre cadde con il


suo ferro ossidato sopra il tuo capo
e quando, tra raffiche di spine ti vidi camminare indifesa, presi la tua
chitarra di ambra, mi misi al tuo fianco,

sentendo che non potevo cantare senza la tua bocca, che io morivo se tu
non mi guardavi piangendo nella pioggia.

Perché i dolori dell’amore alla riva del fiume,

perché la cantata che in pieno crepuscolo ardeva nella mia ombra,


perché si rinchiusero in te, Chillanese fragrante,

e restituirono il dono e l’aroma di cui aveva bisogno

il mio vestito logorato da tante battaglie d’inverno?

LE FERITE

Fu l’offesa forse dell’amore nascosto e forse l’incertezza, il dolore


vacillante,

il temere la ferita che non solamente la tua pelle

e la mia pelle trapassasse,

ma arrivasse a installare una lacrima rauca

sulla palpebre di quella che mi amò,

è sicuro che non abbiamo ormai né cielo né ombra

né ramo di rosso susino con frutto e rugiada

e soltanto l’ira dei vicoli che non hanno porte

entrava e usciva dalla mia anima

senza sapere dove andare

né tornare senza uccidere o morire.


VIAGGIATORI

Ricordo la fine cenere celeste che si staccava

cadendo nei tuoi occhi, coprendo il vestito celeste,

azzurro, extrazzurro, azzurrino era il cielo nudo

e l’oro era azzurro nei seni sacri con cui Samarcanda

rovesciava le sue coppe azzurre sopra il tuo capo

dandoti il prestigio di un vento sotterrato che torna alla vita rovesciando


regali azzurri e frutti di sfarzo celeste.

Io scrivo il ricordo, il recente viaggiatore, il perduto omaggio che la mia


anima disegnò navigando le dure regioni

in cui si incontrarono i secoli più vecchi, coperti di polvere e di sangue,


con l’irrigazione fiorente delle energie:

tu sai, amore, che calpestiamo la steppa appena consegnata al garofano:


appena ammassavano il pane quelli che ordinano che cantino le acque:
appena si accostavano al lato del fiume inventato per loro e vedemmo
arrivare l’aroma dopo mille anni di assenza.

Sveglio nella notte, svegli di notte, perduto nella pace cenerina da quelle
città che abbattono la notte con torri d’oro

e sopra grappoli di magiche cupole da cui il turchese

forgiò un emisfero segreto e sacro di luce femminile

e tu nel crepuscolo, perduta nel mio sonno ripeti

con due cereali dorati il sonno del cielo perduto.

Il nuovo che tracciano gli uomini, le risata del chiaro ingegnere che si
fece provare il prodotto orgoglioso nato nella steppa maledetta forse
dimentichiamo tessendo nel sonno la continuità del silenzio perché così
decide il viaggiatore che quella cenere sacra, le torri di guerra, l’hotel degli
dei silenziosi,

tutto quello che udì i galoppi guerrieri, il grido

dell’agonizzante trattenuto sulla croce o sulla ruota,

tutto quello che il tempo incendiò con la sua lampada e poi tremò nel
vuoto e consumò la corrente infinita di autunni e lune sembra nel sogno più
vivo di tutti i vivi

e quando questo uovo, questo miele, questo ettaro di lino, questo arrosto
di manzi che pascolano le nuove praterie, questo amore di canto
kolchoziano nell’acqua che corre sembrano irreali, perduti in mezzo al sole
di Bokhara, come se la terra assetata, violata e nutrice,

chiedesse di estendere il mandato e il pugno vuoto

di cupole, tombe, moschee, e del suo splendore angosciato.

AMORE

Dove sei, oh colomba marina che sotto i miei baci cadesti ferita e
selvaggia sulla tremula erba del Sud trasparente là dove muove i suoi raggi
glaciali la mia sovranità,

ragazza, campestre, impastata con creta e con frumento, amante che al


mare galoppante rubai con pugnale, oh sirena, e il vulcano sfidai per amarti
portando sopra la cavalcatura i tuoi crini che il fuoco tinse elaborando la sua
fiamma ramata.

Amata, è la tua ombra come la freschezza che lascia il grappolo sopra la


gialla campana della vasta estate

e è il sommerso calore del tuo abbraccio al mio corpo la risposta al


raggio e al brivido d’oro in cui io precipito.
Perché due nuziali con una ciliegia, con un solo fiume, e un solo letto e
una sola luna che il vento abbatte sopra la prateria sono due chiarezze che
fondono sopra le loro teste l’arco del giorno e riempiono di stelle la notte
con i minerali del loro abbandono, con l’abbandono dell’amore nudo che
rompe una rosa e costruisce una rosa, e costruisce una rosa che vive,
palpita, perisce e rinasce, perché questa è la legge dell’amore e non sa la
mia bocca tranne parlare senza parlare con la tua bocca nella fine e
nell’inizio di tutto, amorosa, mio amore, mi moglie coricata nel frumento,
nelle aie di marzo, nel fango dell’Araucania.

SONATA

Oh chiaro di luna, oh statua piccola e oscura,

oh sale, oh cucchiaio che estrae l’aroma del mondo e lo rovescia nelle


mie vene, oh brocca negra che canti alla luce della rugiada,

oh pietra del fiume sotterrato da dove volava e tornava la notte, oh


tralcio di acqua, pero di vita fragrante,

oh tesoreria del bosco, oh colomba della primavera,

oh biglietto che lascia la rugiada nelle dita della madreselva, oh


metallica notte di agosto con anelli d’argento nel cielo,

oh mio amore, tu assomigli al treno che attraversa l’autunno a Temuco,


oh mia amata perduta nelle mie mani come un anello nella neve, oh abile
nelle corde del vento color di chitarra

che discende dalle cordigliere, vicino a Nahuelbuta piangendo, oh


azione mattutina dell’ape che cerca un segreto,

oh edificio che l’ambra e l’acqua costruirono perché lo abitassi io,


esigente inquilino che dimentica la chiave e dorme alla porta, oh corno
elevato sulla groppa celestiale del tritone sottomarino, oh chitarra di creta
che suona nella pace polverosa del Cile, oh pentola di olio e cipolla,
vaporosa, odorosa, saporita,
oh espulsa dalla geometria dall’abilità di nuvola e fianco,

oh macchina di acqua, oh orologio di uccelliera,

oh mia amorosa, mia negra, mia bianca, mia piuma, mia scopa, oh mia
spada, mio pane e mio miele, mia canzone, mio silenzio, mia vita.

INDICE

Gente di terra italiana

Il tuo sorriso

Farfalle

Ode al gatto

Disposizioni

La canzone disperata

Qui io ti amo

Giochi tutti i giorni con la luce dell'universo

Abbiamo perso anche questo crepuscolo

Il vento (1)

Il vento (2)

Guglielmina

Guarda, fratello, come viviamo

Sete di te m'incalza

Primavera

Ode al fiore azzurro


La povertà

L'infinità

Donna completa

Tango del vedovo

Ode al muratore

Ormai sei mia

Bimba bruna e flessuosa, il sole che fa la frutta

Ubriaco di trementina e di lunghi baci

Per il mio cuore basta il tuo petto

Ode alla speranza

Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche

Acqua sessuale

Nuda sei semplice come una delle tue mani

E' oggi

Due amanti felici

Bianca ape ronzi

É come una marea

Epitalamio

Canzone del maschio e della femmina!

Posso scrivere i versi più tristi stanotte


Canti e a solo e cielo

Ah vastità di pini

Lentamente muore (*)

Il ramo rubato

Saprai che non t’amo

Mi piaci quando taci

Se un giorno il tuo cuore si ferma

Se non fosse perché

Per il mio cuore...

La mattina è gonfia di tempesta

Nella sua fiamma mortale la luce ti avvolge

Chino sulle sere

Perché tu mi oda

Nel mio cielo al crepuscolo

Non t'amo come se fossi rosa di sale

Ho fame della tua bocca

Sete di te m'incalza

Le ragazze

Spiego alcune cose

La Poesia
Sento la tua tenerezza

Ode all’ancora

Ode alle ali di settembre

Ode alle acque del porto

L’imbarcazione

Ode al cavallo

Maremoto

Alga

Dovere del Poeta

La parola

Uccello

Serenata

Le nascite

Al defunto povero

Passato

Alla tristezza

Cuore di pietra

Il monte ed il fiume

America, non invoco il tuo nome invano

Matilde
Insonnia

Ode al chiarore

Io tornerò

Ode alla speranza

Amore mio, se muoio e tu non muori

Lasciatemi sciolte le mani

La notte nell’isola

L’Amore

Barcarola

Schiava mia

Ode alla sabbia

Ode al suo aroma

Ode alla Bella nuda

Così sarebbe passato

Ode ad una mattina del Brasile

L’oblio

Ritorno

Tempesta con silenzio

Ti amo

Le ferite
Viaggiatori

Amore

Sonata

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