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1. Atteggiamento di base............................................................................................................................12
a) Avere fiducia in Dio.........................................................................................................................12
b) Essere d’esempio con una vita santa................................................................................................12
c) Amare l’altro....................................................................................................................................13
d) Riconoscere il mutuo arricchimento.................................................................................................13
e) Usare bene le proprie forze...............................................................................................................13
2. L’arte di conversare...............................................................................................................................14
a) Imparare un’arte...............................................................................................................................14
b) Adattarsi alla persona.......................................................................................................................14
c) Parlare poco ed evitare un confronto su punti controversi................................................................15
d) Dare spazio e non imporre niente.....................................................................................................16
3. Esempi di conversazione spirituale........................................................................................................16
Conclusione....................................................................................................................................................18
Bibliografia.....................................................................................................................................................19
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INTRODUZIONE
Lo scopo della Compagnia di Gesù come descritto ne La Formula dell’Istituto della Compagnia di
Gesù già nell’edizione del 1539 è «di occuparsi specialmente del progresso delle anime nella vita e
dottrina cristiana, e della propagazione della fede» (Formula, 1). Un modo di curarsi delle anime,
che ha scoperto S. Ignazio di Loyola subito dopo la sua conversione del 1521, è quella di impe -
gnarsi in conversazioni spirituali. Lo mette in pratica già da convalescente nella casa della famiglia
a Loyola: «quando conversava con quelli di casa, si intratteneva sempre sulle cose di Dio, e con
questo faceva del bene alle loro anime» (Aut., 11).
La Compagnia di Gesù nasce da questo tipo di comunicazione: «È attraverso le conversa-
zioni che Ignazio si guadagnò dei compagni»1. Eppure rimane un termine meno conosciuto della
spiritualità ignaziana. Non è menzionato in modo esplicito nella Formula, come lo sono invece le
predicazioni, gli esercizi spirituali, l’insegnamento, le confessioni e l’amministrazione dei sacra-
menti. Ma anche quando S. Ignazio parla della conversazione nei suoi scritti è spesso ignorata a
causa delle traduzioni lacunose. Le parole ‘conversar’ e ‘conversación’ usate da S. Ignazio, spesso
non appaiono come ‘conversare’ e ‘conversazione’ nelle traduzioni italiane2. Così la frase di S.
Ignazio «según nuestra vocación, conversamos con todos», usata come titolo di questo elaborato, è
tradotta con «la nostra vocazione vuole che trattiamo con tutti»3. La traduzione non è sbagliata, ma
non usando ‘conversiamo’, contribuisce alla trascuratezza della conversazione spirituale come
elemento fondamentale della spiritualità ignaziana. In realtà il «conversamos con todos», la conver-
sazione con tutti i tipi di uomini, è un requisito necessario per poter proseguire la vocazione dei
gesuiti ad aiutare le anime.
Nella prima parte dell’elaborato vorrei dimostrare quanto sia importante la conversazione
spirituale per S. Ignazio e per la Compagnia di Gesù. Farò una distinzione tra varie forme e vari
livelli di conversazione spirituale per chiarire quale tipo sia idoneo per la nuova evangelizzazione.
Cercherò di chiarire che questa forma di dialogo benché parte della spiritualità ignaziana non
appartiene solo ad essa, e che il Magistero della Chiesa la propone come uno strumento privilegiato
della nuova evangelizzazione, specialmente da parte dei laici.
Nella seconda parte dell’elaborato presenterò vari consigli di S. Ignazio su quale atteggia-
mento assumere e come acquisire «l’arte di trattare e di conversare con gli uomini» (Cost., 814), e
darò vari esempi concreti di dove e come la conversazione spirituale può avvenire.
In realtà è un tema che S. Ignazio ha descritto in modo molto semplice: «non predichiamo,
bensì parliamo solo in modo familiare con qualcuno di cose di Dio» (Aut., 65). Spero di non
complicare le cose, e mi auguro che l’elaborato mi aiuti ad imparare meglio l’arte della conversa-
zione spirituale, affinché le persone che sono chiamato ad aiutare possano dire come i discepoli di
Emmaus: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi?» (Lc 24,32).
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I. LA CONVERSAZIONE SPIRITUALE PROPOSTA DA S. IGNAZIO A TUTTA LA CHIESA
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“Il pellegrino” descrive una conversazione spirituale non riuscita, quando sulla strada verso
Monserrat incontra un moro, che sostiene che Maria non è rimasta vergine dopo il parto:
«Conversando tra loro, i due vennero a parlare di Nostra Signora (…) Il pellegrino,
nonostante gli avesse portato numerosi argomenti per attestare il contrario, non riuscì a
smuoverlo da quella opinione». Ignazio rimane con «sentimenti di indignazione contro
il moro (…) gli affioravano desideri di andare a cercare il moro e di prenderlo a pugna-
late per quello che aveva detto» (15).
È un esempio di una conversazione spirituale fallita. Cerca di convincere il moro con tanti
argomenti, e non riesce ad accoglierlo con sentimenti di benevolenza e con pazienza. Non solo non
è riuscito ad avvicinare il moro alla fede cristiana, ma lui stesso finisce in uno stato di sentimenti
lontani da quelli di Cristo. I consigli, che Ignazio molti anni dopo dà su come approdare chi pensa
diversamente, sono sicuramente il frutto di questo ed altri tentativi falliti di conversazione.
Al neo-convertito Ignazio, che ha tanta voglia di parlare di argomenti religiosi, manca anco-
ra di fare esperienza della conversazione spirituale come un luogo dove lui riceve direzione da un
altro. Un primo passo lo fa a Monserrat dove fa una confessione generale al benedettino Juan
Chanones. Il confessore «fu la prima persona a cui svelò la sua decisione [di rivestirsi delle armi di
Cristo], perché fino allora non l’aveva manifestata a nessun confessore» (17). Poi a Manresa,
tormentato da scrupoli, «il penitente di Manresa si sensibilizza, è cosciente della necessità di un
mediatore sperimentato che lo aiuti»10:
«Allora cominciò a cercare alcune persone spirituali che lo guarissero da questi
scrupoli, ma niente lo aiutava» (22).
La ricerca di «persone spirituali» con cui conversare per essere aiutato è presente anche in
altri tre passi dell’Autobiografia11. Benché non trova sempre le persone adatte per aiutarlo, ha
comunque imparato che la rivelazione dei propri pensieri ad una persona esperta della vita interiore
è di grande aiuto. Perciò scrive più tardi negli Esercizi Spirituali: «Quando il nemico della natura
umana presenta le sue astuzie e persuasioni all’anima retta, vuole e desidera che siano ricevute e
tenute in segreto, quando la persona le rivela al suo buon confessore, o ad altra persona spirituale
che conosca i suoi inganni e malizie, molto gli dispiace» (ES, 326).
Mentre S. Ignazio ancora è in cerca di persone spirituali che possono aiutare a lui nella sua
crescita, altre persone cercano lui affinché possa aiutare loro:
«In questo periodo conversava ancora, alcune volte, con persone spirituali, che
gli accordavano fiducia e desideravano parlargli perché, anche se non aveva conoscenza
delle cose spirituali, tuttavia nel parlare mostrava molto fervore e molta volontà di
progredire nel servizio di Dio» (21). «Oltre alle sue sette ore di preghiera, impegnava il
suo tempo ad aiutare nelle cose spirituali alcune anime, che venivano a cercarlo» (26).
Questa è una grande svolta nella vita di S. Ignazio. Non ha più solo come fine la propria
santificazione, e non va solo lui a cercare conversazioni con chi lo possa aiutare, ma accetta
conversazioni con chi ha bisogno del suo aiuto. «Ignazio, oltre ad integrare in sé tutte le sue
anteriori esperienze spirituali, acquista coscienza della sua vocazione apostolica, prendendo lui
stesso l’iniziativa di cercare il prossimo per aiutarlo con la sua conversazione. Per lui la prima
forma di imitare Cristo inviato dal Padre ad annunciare la parola, è quella della conversazione. Qui
si ha radice l’origine e il fondamento del ministero della parola nella Compagnia di Gesù»12.
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La scoperta che lui può fare del bene attraverso le conversazioni gli muove anche a fare
attenzione al suo aspetto. Questa volta non è mosso dalla vanità mondana, ma cerca un’apparenza
che non ripugna chi avrebbe bisogno di conversare.
«Ancora in Manresa, dove si intrattene quasi un anno, dopo che cominciò ad essere
consolato da Dio e dopo che vide il frutto che operava nelle anime, trattando con esse,
abbandonò quegli eccessi che praticava prima; ora si tagliava le unghie e i capelli» (29).
Sviluppa anche un metodo per esercitare questo nuovo ministero. Qui è importante notare
che S. Ignazio non ha nessuna intenzione di diventare sacerdote. La conversazione spirituale la
svolge da laico in contesti della vita quotidiana con le persone che gli capitano accanto:
«Il pellegrino, già da Manresa, aveva preso l’abitudine che, quando si trovava a
mangiare con qualcuno, a tavola non parlava mai, se non per dare qualche breve
risposta, ma stava ad ascoltare quello che si diceva, cercando di cogliere alcune cose
dalle quali prendere spunto per parlare di Dio; e ciò faceva terminato il pranzo» (42).
Mentre si fa sempre più forte in lui la consapevolezza che lui in questo modo può aiutare le
anime, non è ancora una chiamata che ha rivelato ad altri:
«Oltre a questa devozione [di visitare i luoghi santi a Gerusalemme], si proponeva
anche di aiutare le anime (…) non gli disse la seconda parte, di volere, cioè, rendersi
utile alle anime, perché questo non lo diceva a nessuno, mentre della prima parte aveva
molte volte parlato in pubblico» (45).
È la persecuzione da parte dell’inquisizione che lo costringe a formulare bene questo suo
nuovo ministero. La descrizione migliore della conversazione spirituale che si trova nell’Auto-
biografia si ha perciò nella scena di Salamanca, dove S. Ignazio è interrogato da un domenicano:
«“Bene, dunque, che cos’è che predicate?”. “Noi altri – rispose il pellegrino – non
predichiamo, bensì parliamo solo in modo familiare con qualcuno di cose di Dio, per
esempio dopo mangiato, con alcune persone che ci invitano”. “Ma – riprese il frate – di
quali cose di Dio parlate? Perché è proprio questo che vorremmo sapere.”. “Parliamo –
disse il pellegrino – ora di una virtù, ora di un’altra, facendone l’elogio; ora di un vizio,
ora di un altro, biasimandoli”» (65).
Non soltanto a Salamanca, ma anche a Parigi, Venezia e Roma questo ministero pacifico di
parlare «in modo familiare con qualcuno di cose di Dio» fa sorgere il sospetto in altri. Infatti, solo
in un periodo senza conversazioni spirituali a Parigi, S. Ignazio si trova senza persecuzioni:
«Una volta, il dottor Frago gli disse che si meravigliava come stesse in pace, senza che
nessuno gli desse fastidio. Egli, però, gli rispose: “Il motivo è che io non parlo a nessu-
no delle cose di Dio; ma, finito il corso, torneremo al solito.”» (82).
Questo ministero ha un prezzo, ma con la crescente consapevolezza del bene che riesce a
fare attraverso le conversazioni, S. Ignazio va a cercare chi aiutare nei posti di bisogno. Così, dopo
la sua permanenza a Parigi, fa servizio nell’ospedale di Azpeitia:
«In questo ospedale cominciò a parlare, con molti che l’andarono a trovare, delle cose di
Dio; e, per grazia sua, si fece assai frutto» (88).
S. Ignazio prende le necessarie precauzioni13, ma non si ferma di fronte alle tribolazioni.
Infatti, molti compagni si uniscono a lui attraverso conversazioni spirituali 14 ed Esercizi Spirituali, e
considera perciò entrambi strumenti essenziali della sua missione. Da come ne parla nell’Autobio-
grafia si capisce che gli Esercizi sono un tipo di conversazione spirituale, ma anche da essa distinti:
13 Prima di entrare a Roma S. Ignazio dice «Bisogna che stiamo molto attenti. Evitiamo di conversare con le donne, a
meno che non siano molto in vista» (Aut., 97).
14 Nadal racconta come S. Ignazio aveva usato le conversazioni «specialmente quando adunava attorno a sé quei primi
nove compagni» (MN, V, pp. 833-834). Ma anche Nadal stesso e molti altri sono stati associati alla Compagnia di Gesù
attraverso conversazioni con S. Ignazio.
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«Dopo che tornò per la prima volta dalle Fiandre, cominciò a dedicarsi più intensamente
del solito alle conversazioni spirituali, e dava gli Esercizi, quasi contemporaneamente, a
tre persone» (77). «A Venezia, in quel periodo, si esercitava nel dare gli Esercizi e in
altre conversazioni spirituali» (92).
Anche nel periodo che succede agli eventi descritti nell’Autobiografia la conversazione
spirituale continua ad essere essenziale nella vita di S. Ignazio. Si nota come la sua vita spirituale è
una conversazione spirituale interna con Dio, come p.es. espresso nel Diario Spirituale, 48:
«Mentre preparavo l’altare e rivestivo i paramenti mi veniva da dire: Padre eterno,
confermami; Figlio eterno, confermami; Spirito Santo eterno, confermami».
Molti nuovi membri entrano nella Compagnia di Gesù dopo aver conversato con S. Ignazio.
Il fondatore esorta nelle Costituzioni e nelle sue lettere i suoi compagni a vivere le conversazioni
spirituali sia come un elemento che edifica il corpo della Compagnia, sia come uno strumento per
fare bene alle anime fuori di essa. Conviene perciò distinguere meglio tra i vari livelli e forme della
conversazione spirituale.
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care bene attraverso la conversazione spirituale: «Fiorito approfondisce ciò che è la paternità e
maternità spirituale e ciò che comporta. Che cosa serve per farla propria? Se lo domanda e risponde:
“Avere due carismi: il discernimento degli spiriti, o discrezione, e riuscire a comunicarlo con le
parole nella conversazione spirituale” (Escritos V, 179). Non basta il discernimento, “bisogna saper
esprimere le idee giuste e discrete; altrimenti non sono al servizio degli altri” (Escritos V, 181).
Questo è il carisma della “profezia”, inteso non come conoscenza del futuro ma come comunica-
zione di un’esperienza spirituale personale»19.
Nella direzione spirituale la conversazione spirituale diventa uno strumento per aiutare il
prossimo. Secondo le Costituzioni i gesuiti «cercheranno di rendersi utili a persone singole attra-
verso colloqui spirituali [conversaciones pías], consigliando ed esortando ad operare bene» (648). È
conversazione spirituale come un ministero della Parola di Dio svoltosi ad extram.
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Questa forma di conversazione spirituale è un mezzo che i primi gesuiti usano nelle missioni
popolari in Europa. Nadal e Polanco chiamano il metodo «andare a pescare»25. In una lettera a tutta
la Compagnia del 20 luglio 155926, Polanco descrive questo metodo e racconta come alcuni gesuiti,
p.es. scolastici, le domeniche e i giorni di festa si avvicinano alla gente che trovano per le strade e le
piazze. Li esortano ad andare in una chiesa, dove aspettano dei padri gesuiti per confessare. A Roma
sono riusciti a far entrare in una chiesa 400 persone in un periodo di cinque giorni.
Questo conversare come mezzo di missione non è riservato ai religiosi o al clero, ma può
essere svolto in un contesto della vita ordinaria di qualsiasi cristiano praticante. Nadal menziona
p.es. che i laici possono usare il metodo con i propri servitori, familiari e amici, e che questo vale
anche per le donne27. In questo modo di conversare si può vedere un tipo di nuova evangelizza-
zione, perché si rivolge a persone già battezzate, che sono lontane da un rapporto con Dio.
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Gli scritti di S. Ignazio fanno quindi capire che la conversazione fa parte della DNA dei ge-
suiti. Ma non lo chiama mai formalmente un ‘ministero’. È Nadal a descrivere la conversazione
spirituale come un ministero essenziale della Compagnia di Gesù. Nella sua Esortazione VI, tenuta
nel periodo 1573-1576, parla dei ministeri menzionati nella Formula dell’Istituto della Compagnia
di Gesù del 1550. Nella IV parte dell’esortazione32 spiega la frase «ogni altro servizio [ministerium]
della parola di Dio» (Formula, 1), e dice che il primo di questi ministeri è il «colloquio spirituale
privato» (Exh. 6a, 23). Menziona come Favre e Xavier erano eccellenti in questo ministero, ed affer-
ma che «tramite questo ministero della Parola di Dio lo stesso Ignazio fece molte cose meraviglio-
se» (Exh. 6a, 25). Ignazio è infatti il modello su come conversare.
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forma diversa di esporre il Vangelo, che trasmettere ad altri la propria esperienza di
fede? Non dovrebbe accadere che l’urgenza di annunziare la Buona Novella a masse di
uomini facesse dimenticare questa forma di annuncio mediante la quale la coscienza
personale di un uomo è raggiunta, toccata da una parola del tutto straordinaria che egli
riceve da un altro. Noi non potremmo lodare a sufficienza quei sacerdoti che, attraverso
il Sacramento della Penitenza o attraverso il dialogo pastorale, si mostrano pronti a
guidare le persone nelle vie del Vangelo, a confermarle nei loro sforzi, a rialzarle se
sono cadute, ad assisterle sempre con discernimento e disponibilità» (46).
È una descrizione della conversazione spirituale che contiene tanti degli aspetti voluti da S.
Ignazio: È «da persona a persona», si trasmette «ad altri la propria esperienza di fede», e si «assiste
con discernimento». Paolo VI lo presenta però come un ministero usato da sacerdoti lodevoli, ma
non come un metodo adatto ai laici.
Sarà Giovanni Paolo II a presentare i laici come collaboratori della missione di annunciare il
Vangelo «nei nostri ambienti quotidiani». Nella sua esortazione Christifideles Laici del1988 usa
l’espressione «nuova evangelizzazione» per la prima volta: «Le terre di missione sono nei nostri
ambienti quotidiani: nei paesi di più antica tradizione cristiana c'è oggi un urgente bisogno di
rimettere in luce l'annuncio di Gesù tramite una nuova evangelizzazione» (4). Giovanni Paolo II
non fa però menzione della conversazione come metodo dell’annuncio.
In perfetta continuazione con il desiderio di una nuova evangelizzazione si ha l’insegnamen-
to di papa Francesco nell’esortazione Evangelii Gaudium del 2013. Qui presenta la conversazione
come una «predicazione informale» che «compete a tutti» come «impegno quotidiano»:
«Ora che la Chiesa desidera vivere un profondo rinnovamento missionario, c’è una for-
ma di predicazione che compete a tutti noi come impegno quotidiano. Si tratta di portare
il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai più vicini quanto agli
sconosciuti. È la predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione
ed è anche quella che attua un missionario quando visita una casa» (127).
Risulta dunque chiaro che anche i laici sono chiamati alla predicazione e che anzi hanno un
vantaggio, perché le conversazioni abituali possono diventare luogo di predicazione. Papa France-
sco continua la descrizione della conversazione:
«In questa predicazione, sempre rispettosa e gentile, il primo momento consiste in un
dialogo personale, in cui l’altra persona si esprime e condivide le sue gioie, le sue
speranze, le preoccupazioni per i suoi cari e tante cose che riempiono il suo cuore. Solo
dopo tale conversazione è possibile presentare la Parola, sia con la lettura di qualche
passo della Scrittura o in modo narrativo (…). È l’annuncio che si condivide con un
atteggiamento umile e testimoniale di chi sa sempre imparare, con la consapevolezza
che il messaggio è tanto ricco e tanto profondo che ci supera sempre. A volte si esprime
in maniera più diretta, altre volte attraverso una testimonianza personale, un racconto,
un gesto, o la forma che lo stesso Spirito Santo può suscitare in una circostanza
concreta» (128).
Si nota da questa presentazione del metodo di conversare che papa Francesco è profonda-
mente ispirato dalla spiritualità ignaziana. L’approccio rispettoso, il modo di entrare in relazione
con l’altro, di dare testimonianza e l’atteggiamento umile di fronte al messaggio che si porta, fanno
tutti parte dei consigli che S. Ignazio dà su come conversare. Nella seconda parte dell’elaborato ci
soffermeremo su questi consigli concreti di S. Ignazio.
Con l’insegnamento del magistero papale di Francesco si può dire che è stato consegnato alla
Chiesa (quindi anche ai laici) il metodo ignaziano di conversare sulle cose di Dio per annunciare il
Vangelo a tutti. La conversazione spirituale è così diventato uno strumento privilegiato della nuova
evangelizzazione.
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II. COME CONVERSARE
Troviamo negli scritti di S. Ignazio delle indicazioni preziosissime su come esercitare il ministero
della conversazione spirituale. Ma è importante notare che S. Ignazio non pretende mai di dare delle
regole da applicare in tutti i casi. Chi si impegna in conversazioni spirituali deve sempre tenere
conto delle circostanza particolari e fare discernimento. Quando Diogo Mirão chiede «alcune regole
per conversare coi prossimi», S. Ignazio risponde che «siccome consistono più in discrezione che in
dottrina, non si possono dare se non un po’ generali»36. Papa Francesco dà le stesse indicazioni in
Evangelii Gaudium: «Non si deve pensare che l’annuncio evangelico sia da trasmettere sempre con
determinate formule stabilite, o con parole precise che esprimano un contenuto assolutamente
invariabile. Si trasmette in forme così diverse che sarebbe impossibile descriverle o catalogarle, e
nelle quali il Popolo di Dio, con i suoi innumerevoli gesti e segni, è soggetto collettivo» (129).
È quindi essenziale dare spazio al discernimento nella conversazione, ma questo non signi-
fica lasciare tutto al caso. Aiuta molto impostare un giusto atteggiamento di base ed imparare l’arte
della conversazione. Molti dei consigli possono essere usati anche quando si conversa con amici e
compagni, ma sono stati formulati in contesti di apostolato. Vediamo quindi ciò che propone S.
Ignazio.
1. Atteggiamento di base
In una lettera del 24 settembre 1549 S. Ignazio dà ai padri Salmerón, Jay e Canisio il compito di
aiutare l’università di Ingolstadt e tutta la Germania ad avere una sana dottrina ed essere obbediente
alla Chiesa37. Fa un elenco di 15 punti per ottenere questo fine. I primi tre punti sono fondamentali
per qualsiasi ministero che si svolge per aiutare le anime, e li elenchiamo qua sotto.
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c) Amare l’altro
Il terzo punto della lettera ai padri in Germania dice: «Abbiano e mostrino a tutti affetto sincero di
carità», e molto simile è il sesto punto: «Si rendano amabili facendo tutto a tutti, con l’umiltà e la
carità». Questo consiglio può sembrare banale ed astratto, ma ritorna tantissime volte negli scritti di
S. Ignazio e nelle descrizioni che altri fanno di lui. Lo vediamo p.es. in un’annotazione degli Eser-
cizi Spirituali: «Chi dà gli esercizi, se vede chi li riceve è desolato e tentato, non sia con lui duro né
aspro, ma dolce e soave, infondendogli coraggio e forza per andare avanti» (7). Quando Nadal pre-
senta il modo in cui S. Ignazio esercita la conversazione spirituale, la prima caratteristica che men-
ziona è, che «era così infiammato d’amore per il prossimo» (Exh. 6a, 24), e più tardi continua: «Si
assumeva un fervore soave di amore verso colui che doveva aiutare in modo di occupare tutto il suo
petto e la sua anima. Lo avrebbe amato anche se fosse stato l’uomo più vergognoso» (Exh. 6a, 25)40.
Se non c’è amore per il prossimo, manca la motivazione per volerlo aiutare. «Il conversatore
ignaziano è un uomo appassionato al bene dell’altro, teso ad aiutarlo nella prospettiva del suo fine
ultimo»41. Il gesuita che Nadal chiama «il primo quanto riguarda efficacia e la potenza nelle conver-
sazioni pie»42 è S. Pierre Favre. È perciò interessante vedere come questi in una lettera a Diego
Laìnez da Madrid il 7 marzo 1546, menziona l’amore verso l’interlocutore come la prima regola da
seguire nel dialogo con i luterani: «La prima è, che chi vuole approdare agli eretici di questo tempo,
deve cercare di avere molta carità verso loro e di amarli per davvero, scartando dal suo spirito tutte
le considerazioni che possono raffreddare la stima per loro»43.
Nella conversazione spirituale si può infatti incontrare persone che non sono disposti ad
ascoltare punti di vista diversi dai loro. La conversazione non è il luogo per persuadere loro a cam-
biare opinione, ma un’occasione per creare un’apertura perché si sentono accolti. L’amore verso
l’altro può creare questa apertura. «Solo la relazione amorevole redime il soggetto. Solo una
relazione di amore, cioè guidata dal bene dell’altro, riesce a veicolare convinzioni e sentimenti che
permettano all’altro di crescere»44.
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Costituzioni leggiamo: «Poiché il bene quanto più è universale tanto più è divino, si deve dare la
preferenza a quei luoghi e a quelle persone che, dopo aver ricavato vantaggi per se stessi, permet-
tono al bene di estendersi a molti altri» (622). E in una lettera del 21 luglio 1554 a Bartolomeo
Hernández, rettore del collegio di Salamanca, scrive S. Ignazio: «È cosa ottima, dato che la conver-
sazione spirituale non si può estendere a tutti, averla particolarmente con gli studenti dell’università,
perché non solo si avrà frutto in essi, ma anche in molti altri tramite loro, essendo tali persone
idonee a comunicare ad altri quanto ricevuto, a gloria di Dio»47. Si deve quindi scegliere le persone
da cui si può sperare il frutto più grande o le persone affidate dai superiori.
2. L’arte di conversare
a) Imparare un’arte
Da un lato ci sono delle doti naturali come «la grazia del parlare» (Cost., 157), che aiutano molto
nel ministero della conversazione spirituale. Dall’altro lato, a queste doti naturali si può aggiungere
una formazione umana e religiosa che può perfezionare l’arte di conversare: «Nella conversazione
ha un suo spazio la psicologia, anzi uno spazio notevole se per psicologia s’intende in primo luogo
una capacità intuitiva, un certo fiuto delle persone e delle situazioni. Presupposta questa dote di
natura e magari anche di grazia (gli antichi parlavano della “cardiognosi” come di un carisma), ogni
ulteriore formazione e introduzione alla scienze e tecniche psicologiche sarà benvenuta»48.
Anche qui è importante ricordare che saper conversare non è soltanto saper parlare bene, ma
prima di tutto un entrare in contatto con l’altro e conoscerlo, per poi parlare. Anche qui è di esempio
S. Ignazio: «Si adattava a loro e si introduceva, in modo che svegliava in loro sentimenti meravi-
gliosi dell’anima. Era così capace di contemplare i presenti, che quasi sembrava che penetrava la lo-
ro anima e la loro vita interiore. Così si esprimeva in un modo che non era possibile contraddirlo»49.
Per poter meglio aiutare le anime è quindi importante «procurare con diligenza i mezzi umani o
acquisiti, soprattutto (…) l’arte di trattare e di conversare con gli uomini» (Cost., 814). Resta
comunque in alcuni una capacità naturale di poter entrare in relazione con gli altri, che è molto
indicativa per discernere qui è adatto a questo tipo di ministero.
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invece da tradurre con il vocabolario del saggio e graduale adattamento all’interlocutore»52. Non si
tratta qui di adattarsi in modo falso e far sembrare all’interlocutore di essere qualcosa che non si è.
Si tratta di dare spazio all’altro di essere quello che lui è per farlo sentirsi accolto e a suo agio, e
anche per far sorgere in lui l’interesse di parlare. Perciò bisogna adattarsi al carattere di coloro con i
quali si parla, e quindi «considerare anzitutto il loro temperamento naturale per adattarvici. Così, se
uno è collerico e parla con vivacità e piacere, cercare di assuefarsi al suo modo, parlando di cose
buone e sante, senza mostrarsi grave, flemmatico e malinconico»53. Ma anche il contenuto della
conversazione deve adattarsi agli interessi dell’altro. Perciò S. Ignazio parlava «di cose indifferenti
e specialmente di quelle alle quali gli altri erano abituati. Con i soldati parlava di guerra, con i mer-
canti di commercio, con i nobili della magistratura e delle cose che succedevano nella repubblica o
nel regno, con gli ecclesiastici di cose ecclesiali e del governo della Chiesa. Così agiva con gli altri
secondo le cose del loro stato»54.
Questo avvicinarsi graduale di S. Ignazio si rispecchia anche nell’insegnamento di papa
Francesco sulla legge di gradualità55. È un accogliere l’altro dov’è, senza giudizi morali, il che non è
espressione di relativismo o lassismo, ma un lasciare che le cose accadono secondo i loro tempi e
lasciando a Dio l’ultima responsabilità. Lo esprime in modo illuminante il p. Rendina in un suo arti-
colo: «Si parte da dove l’altro si trova: dalla sua attuale situazione umana, psicologica e spirituale,
dal suo attuale livello di fede e di morale. Così, p.e., se l’altro è in uno stato aggressivo di risenti-
mento contro Dio, la Chiesa o gli uomini di Chiesa, lo si deve accettare e amare così com’è, per
accompagnarlo più avanti, magari – per ora – di un solo passo: domani, forse, sarà in grado di farne
un secondo. L’adattamento all’interlocutore non giustificherebbe mai compromessi o patteggia-
menti con ciò che insegnano il Vangelo e la Chiesa. Ma, se non sono ammessi sconti del genere,
non è nemmeno necessario dire tutto, sempre e subito. Il Signore ha i suoi tempi, e l’uomo i suoi
ritmi: a noi, dopo tutto, tocca rispettarli»56.
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Anche dietro al famoso “Presupposto” degli Esercizi Spirituali c’è una ragione simile: «ogni
buon cristiano dev’essere più pronto a salvare un’affermazione del prossimo che a condannarla»
(ES, 22). Questo non è per evitare conflitti a tutti i costi. S. Ignazio non aveva paura del confronto
diretto quando era necessario. Ma sa che l’interlocutore ha bisogno di tempo per acquisire la fiducia
necessaria, e che aiuta di più il silenzio che le argomentazioni. «Ignazio insegna con quel che dice,
ma anche molto con il suo silenzio: il suo consiglio e pratica personale non è di intavolare
discussioni su punti controversi della fede o altro, ma di evitarli e questo dà una certezza di una via
migliore, come sarebbe, incominciare dall’esperienza personale di ciò che è buono. Quella via la
praticò lui stesso e la insegnò agli altri, facendo la teologia subordinata, perché la teologia deve
servire la pratica pastorale della Chiesa»60.
Come un vero figlio di S. Ignazio vediamo un consiglio simile dato da S. Pierre Favre su
come dialogare con i protestanti: «È necessario conquistarli affinché ci amino e facciano tesoro di
noi nel loro spirito; questo si fa comunicando con loro familiarmente di cose che sono comuni a noi
e a loro, guardandosi da tutte le discussioni, dove una parte sembra denigrare l’altra; prima infatti si
deve trattare di quelle cose che uniscono, piuttosto che di quelle che dimostrano la divergenza di
opinioni»61.
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È però importante ricordarsi che una vera conversazione comporta un entrare in relazione
con un altro e in qualche modo condividere qualcosa di se stesso. Con i limiti del contatto che
danno i mezzi di comunicazione digitale, ci sarà necessariamente anche dei limiti nel modo di
conversare, e bisogna perciò fare attenzione a non credere che questi mezzi possono sostituire il
contatto “classico” fisico.
La conversazione spirituale come mezzo per attirare verso Dio chi non ha una vita di fede è
specialmente efficace tra laici. Un laico credente ha più occasioni di questo tipo di scambio che un
prete o un religioso, perché spesso incontra persone lontane dalla vita di chiesa nella vita quoti-
diana. Tra due persone dove già c’è un certo livello di confidenzialità o amicizia, c’è una buona
occasione per dirigere un colloquio verso un tema spirituale. Ma si può anche cercare conversazioni
spirituali con persone che non si conosce. I “missionari” laici in gruppi come Pietre Vive, S. Egidio
ed altri hanno molte attività rivolte verso persone sconosciute, e spesso vedono gli incontri casuali
come un’occasione di evangelizzazione.
I sacerdoti sono quasi per definizione pronti ad accogliere persone sconosciute e parlare con
loro «su cose di Dio», ma la maggior parte di coloro che cercano i preti per una conversazione
spirituale sono persone, che già hanno una relazione con Dio. Il prete impegnato in parrocchia
dovrebbe invece cogliere le occasioni che la vita parrocchiale dà, per trasformare incontri con
persone lontane dalla vita di chiesa in conversazioni spirituali. Molte coppie che vengono per far
battezzare un figlio o per sposarsi, o persone che vengono per organizzare il funerale di un loro
caro, non hanno una vita di fede. Ma gli incontri con il prete possono diventare vere conversazioni
spirituali, se il prete sa come entrare in contatto con loro. Per questo è anche importante che non
tutti gli incontri di preparazione ai sacramenti sono fatti in gruppi, ma che resta la possibilità di
incontrarsi tra prete e singola coppia.
Le occasioni per una conversazione restano tantissime in circostanze molto varie. Per chi,
laico o sacerdote, desidera aiutare le anime a trovare Dio, non sarà difficile trovare momenti per
conversare su cose spirituali. Basta seguire l’esempio di S. Ignazio e dei suoi compagni.
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CONCLUSIONE
Abbiamo visto come la conversazione spirituale dopo la conversione di S. Ignazio gli è stato di
grande aiuto nella sua vita spirituale, e che lui pian piano ha scoperto come questo parlare in modo
familiare con qualcuno di cose di Dio faceva bene agli altri. Ha radunato intorno a sé i primi
compagni della Compagnia di Gesù attraverso conversazioni, e anche loro sono stati formati all’arte
della conversazione spirituale. Dall’inizio c’era quindi la consapevolezza che questa fosse uno dei
ministeri basilari della Compagnia.
La conversazione spirituale interna che avviene nella vita di preghiera, p.es. facendo collo-
qui con Dio, e la conversazione spirituale che si ha tra i membri della Compagnia, sono elementi
fondamentali della spiritualità ignaziana. Ma nell’elaborato ci siamo limitati a trattare la conversa-
zione spirituale come un ministero della Parola di Dio rivolto alle anime che si vuole aiutare nel-
l’apostolato. Ignazio ha infatti insistito molto su questo nei suoi scritti.
È importante sottolineare che la conversazione spirituale non è un ministero riservato ai
sacerdoti. Ignazio ed i suoi compagni lo esercitavano già da laici, e nelle Costituzioni esorta sia gli
scolastici sia i coadiutori temporali a conversare con persone fuori della Compagnia. Già i primi
padri raccontano come laici formati dai gesuiti conversano con altri laici.
Il fatto che la conversazione spirituale sia un dono coltivato in modo speciale nella Compa-
gnia di Gesù non la rende un ministero riservato a quest’ordine religioso. Ci sono infatti esempi nella
Scrittura e nella Tradizione dell’annunzio del Vangelo in colloqui privati. Dopo il Concilio Vaticano
II, il Magistero della Chiesa ha presentato questa forma come una forma molto utile per la nuova
evangelizzazione culminando nelle raccomandazioni di papa Francesco in Evangelii Gaudium.
Rimane comunque un’arte da imparare, e S. Ignazio ha dato vari consigli su come conver-
sare bene. Abbiamo così visto l’atteggiamento di base necessario e quali consigli avere presenti nel-
le conversazioni. In realtà questi consigli si possono riassumere nel tentativo di imitare S. Ignazio
stesso.
Alla fine abbiamo visto che sono tante le circostanze nelle quali si può conversare spiritual-
mente. Bisogna soprattutto apprezzare le tante occasioni dove i laici possono avvicinarsi ad altri per
annunciare il Vangelo. Anche se le forme moderne rese possibili dai nuovi mezzi di comunicazione
sono da utilizzare, bisogna ricordarsi che la conversazione per definizione ha bisogno di vicinanza
per essere autentica. Conversare è uno ‘stare con’, un ‘desiderare di dimorare con’. L’esempio più
sublime da seguire resta perciò il Dio incarnato che desidera farsi “Dio con noi”.
Il primo esercizio della seconda settimana degli Esercizi Spirituali (101-109) è una contem-
plazione di questo mistero. Comprende anche un ascoltare la conversazione spirituale che avviene
nella Trinità «quello che dicono le Persone divine» (ES, 107). Lasciamoci travolgere da questo
mistero nel desiderio di poter comunicare agli altri la bellezza, la verità e l’amore che noi abbiamo
contemplato.
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