Sei sulla pagina 1di 18

POPULONIA, LE LOGGE: I BOLLI LATERIZI

«…anche qui vale il principio per cui porre questioni insolu-


bili spesso è più fecondo che rinnunciare completamente a
porne.»
(ZANKER 1997, p. 24)

I bolli

I bolli laterizi oggetto di questo contributo sono stati rinvenuti nella


campagna di scavo effettuata nell’autunno 2000 sull’acropoli di Populonia
presso i ruderi comunemente definiti “Le Logge”. Si tratta per ora di 5 esem-
plari, provenienti uno dal saggio I (US 503), aperto sulla piattaforma supe-
riore dell’edificio, e tre dal saggio III (US 1504), aperto ai piedi della fronte
del monumento, sul lato orientale, mentre un quinto esemplare è stato rac-
colto sporadico nella stessa area nel corso delle prospezioni magnetiche ef-
fettuate nell’inverno del 2001 (si veda il contributo di L. CERRI, in questo
volume).
Per quanto riguarda la datazione dei contesti di provenienza, lo strato I
503, immediatamente sottostante l’humus, contiene materiali vari, anche di
età tardo-antica, mentre lo strato III 1504 è costituito da un accumulo for-
matosi in un’età che al momento sembrerebbe non posteriore agli anni 40-30
del I secolo a.C. e composto di materiali triturati riferibili al II ed alla prima
metà del I secolo a.C. (si vedano i contributi di F. MINUCCI e C. RIZZITELLI, in
questo volume).
I bolli sono impressi su tegole di cui non è possibile proporre una resti-
tuzione morfologica e dimensionale; non sono ancora disponibili i dati dello
studio archeometrico degli impasti.
Le impronte sono tutte uguali: presentano un piccolo cartiglio qua-
drangolare con gli angoli smussati, le cui misure (mm 24×32) possono essere
ricondotte dal punto di vista metrologico alle dimensioni di un’uncia, cioè di
1/12 di piede, per un’uncia più un terzo. All’interno del cartiglio compare
una sigla, in leggero rilievo (Fig. 1), composta da un nesso di due lettere di
andamento retrogrado: una V ed una E, i cui tre bracci sono innestati sul
tratto diagonale della V lasciandone liberi i due vertici.

©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 1
Di fronte ad abbreviazioni così stringate l’epigrafia dell’instrumentum
non può che procedere per congetture, a meno che la sigla non sia ampia-
mente attestata e si presti a scioglimenti evidenti, come è il caso delle abbre-
viazioni ∆H per demosios (kéramos), o demosía (keramís), che conosciamo
sulle tegole di tanti contesti greci e magnogreci. Non è questo il nostro caso.
Probabilmente VE non indica infatti una condizione – come nel caso di
demosía/publica – ma un nome: un toponimo, forse, o un antroponimo o
piuttosto un teonimo.
L’eventualità che il nesso VE indichi un antroponimo è resa interessante
dal fatto che, nello scarsissimo repertorio dell’onomastica populoniese di età
romana, spicca un’iscrizione raccolta sulla spiaggia di Baratti che testimonia in
L. Vesonius il nome di un quattuorviro del municipio populoniese, che non
dovremmo comunque datare prima dell’età augustea (FEDELI 1983, p. 155;
CIAMPOLTRINI 1994-95, pp. 593-595, figg. 3-4). Conosciamo inoltre tre tegole,
rinvenute nelle acque tra Populonia e S. Vincenzo, bollate con il nome di L.
Venul(eius) Apron(ianus), nel quale è stato preferibilmente riconosciuto il con-
sole del 123 d.C. (in alternativa all’omonimo cos. 168) membro della famiglia
senatoria dei Venuleii, ben attestata in area pisana, dove si rinvengono gli stessi
bolli laterizi (CRISTOFANI 1975, p. 191; SHEPHERD 1985, pp. 183-185, fig. 7).
Questo rinvenimento, di per sé solo tangente rispetto all’area populo-
niese, è reso più interessante dal recente recupero a S. Giuliano, nell’area
corrispondente alle antiche aquae Pisanae, di altri laterizi bollati da un
Ve(nuleius) Apro(nianus), impiegati nella costruzione dell’acquedotto desti-
nato al fabbisogno idrico della vicina Pisa e forse, in particolare, delle c.d.
terme “di Nerone” (su cui cfr. PASQUINUCCI-MENCHELLI 1989), in un’età che è
stata indicata attorno all’ultimo quarto del I secolo d.C. (PASQUINUCCI 1990).
L’interesse del rinvenimento (segnalatomi da E. Gliozzo, che ringrazio) sta in
particolare negli aspetti formali del bollo, che presenta i due componenti del
nome fortemente abbreviati e in particolare il gentilizio reso con un nesso
retrogrado delle due lettere iniziali effettivamente assai vicino a quello atte-
stato sulle tegole delle Logge di Populonia (PASQUINUCCI 1990, p. 177, fig.
20); lo stesso nesso, retrogrado, si ritrova nell’iscrizione presente su di una
fistula in piombo da Massaciuccoli con i nomi dei due Venuleii, Montano e
Aproniano, riferibile alla piena età flavia (CIL, XI, 1433a; CIAMPOLTRINI 2000,
p. 96, fig. 6).
Se l’accostamento formale appare evidente, altrettanto evidente è lo
iato cronologico che separa (almeno sulla base dei dati sin qui disponibili) i
bolli di Populonia da quelli di S. Giuliano ed anche la possibile estraneità
della famiglia dei Venuleii, ben radicati in area pisana (SHEPHERD 1985, loc.cit.;
CIAMPOLTRINI 1994; VALLEBONA 1989), al territorio populoniese; anche se una
traccia dei possibili interessi della famiglia non tanto nell’entroterra di Popu-
lonia quanto nell’alta valle del Cecina, quindi in area volterrana (FIUMI 1968,
fig. 1), giunge da una dedica epigrafica alla Bona Dea da parte dei Venuleii

©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 2
Aproniani (CIL, XI, 1735), su cui è stata recentemente richiamata l’attenzione
(CIAMPOLTRINI 1980).
Il collegamento dei bolli delle Logge con i Venuleii merita quindi di
essere certamente preso in considerazione, anche se appare piuttosto proble-
matico, non solo per motivi cronologici, ma anche per il fatto che
nell’instrumentum inscriptum di età tardo-repubblicana l’abbreviazione così
sintetica del nome del produttore/proprietario dei laterizi, pur attestata, non
è particolarmente diffusa. A puro titolo di esempio si possono ricordare i
noti bolli di P. Anilius P.f. dall’agro di Saturnia (BODEL 1990; DEL CHIARO
1999) o, per restare in area a noi ancor più vicina, il bollo su tegola, scritto in
etrusco e datato al I secolo a.C., proveniente da Lustignano, un’area non
lontana da Sasso Pisano, nel quale il nome del personaggio, v.supni.v.velanial,
è esposto a tutte lettere (MAGGIANI 1978a, tav. LVIII; ET, II, Vt 6.3).

Venere?

Nella eventualità che il termine presente sui bolli delle Logge vada in-
terpretato come un teonimo, possiamo domandarci se esista qualche possibi-
lità di leggervi il nome di Venere, che andrebbe sciolto con ogni probabilità
al genitivo: VE(neris).
Una simile lettura congetturale necessita di confronti, che la inserisca-
no in una serie che le dia senso e legittimità. Occorre quindi prendere le
mosse dal noto bollo laterizio VEN SAC che fu letto su quattro frammenti di
tegole raccolti presso Capua, e in particolare a S. Angelo in Formis, sede del
celebre santuario di Diana Tifatina (CIL, I, 3474). Nella scritta (senza poter
approfondire l’analisi, innanzitutto paleografica, del bollo, dal momento che
tutti i frammenti sono andati perduti nei bombardamenti che distrussero nel
1943 il Museo di Capua) colpisce a prima vista la presenza del nesso delle
prime due lettere iniziali, anche se il testo del bollo corre in senso destrorso
e l’indicazione della divinità è resa esplicita non solo dalla N, ma anche dal-
l’indicazione sac( ), che ha consigliato la lettura Ven(eri) sac(rum), alla quale
preferirei quella di Ven(eris) sac(ra scil. tegula) (per l’uso del genitivo cfr. i
simili bolli greci, per sacra cfr. CIL, I, 3473).
Proseguendo su questa strada occorre tentare di contestualizzare i no-
stri bolli nell’area di Populonia. Ci dobbiamo chiedere, in altri termini, se i
bolli VE si inseriscano in un ambiente produttivo e culturale che li conosce e
li accetta o se si tratti di una rarità.
La risposta è apparentemente facile: non sembra si conoscano infatti
altri bolli latini su tegola provenienti da Populonia che presentino caratteri-
stiche analoghe ai nostri. Non è questo infatti il caso dei bolli di M. Arrio
Massimo, di cui si conserva un esemplare presso la Collezione Gasparri, la
cui provenienza campana è abbastanza sicura (SHEPHERD 1985, pp. 176-178,

©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 3
fig. 2) e la cui cronologia si situa in età augustea (cfr. STEINBY 1979, p. 267;
BRUGNONE 1986, p. 252; MANACORDA 1989, p. 461).
L’entroterra di Populonia ci ha restituito tuttavia alcune tegole che re-
cano un caso piuttosto raro di bollo in lettere e lingua etrusca. Le tegole
provengono da Sasso Pisano (Colline Metallifere), un’area ritenuta da taluni
agro populoniese da altri agro di Volterra, ed appartenevano ad un edificio a
carattere termale, con annesse attività cultuali probabilmente legate con la
natura geotermica del suolo. La cronologia, indicata tra la fine del III e gli
inizi del II secolo a.C., colloca questi materiali in un’età di avanzata ma non
completa romanizzazione.
La lettura dei bolli (śp.h) è stata un po’ controversa, non tanto per le
prime due lettere, la cui abbreviazione śp(ural) indica la pubblicità del mate-
riale, cioè la pertinenza delle tegole ad uno śpur-, che si pensa di poter tradur-
re con il latino res publica, quanto piuttosto per la terza lettera, una aspirata
dietro la quale lo stesso editore del bollo dubitava di poter riconoscere l’ini-
ziale di una non attestata forma *Hufluna per Fufluna, cioè Populonia stessa
(COLONNA 1975), anche se in seguito Adriano Maggiani (1978; ET, II, Po 6.3)
ha portato argomenti a sostegno di questa lettura, che dovrebbe pertanto suo-
nare: śpural *huflunas, qualcosa come rei publicae populoniae (Fig. 2).
In realtà lo stesso Maggiani – che data i bolli al pieno II secolo a.C. –
segnala come la zona di Sasso Pisano sia un’area di confine, tanto che la
Esposito, che ha diretto i recenti lavori di scavo, propende esplicitamente
per una sua assegnazione a Volterra (ESPOSITO 1997, p. 61). Il riconoscimento
del nome di Populonia nella abbreviazione presente sui bolli di Sasso Pisano
sembra quindi tutt’altro che sicuro.
Non è qui la sede per approfondire l’analisi di questi bolli, anche se
sorge spontanea la domanda se la sigla śp- non possa corrispondere nel no-
stro caso, più che al latino res publica, al latino publicus/publica, che altro
non è che il greco demosios/demosía, di cui abbiamo testimonianze esplicite,
ad esempio, nei bolli del teatro di Asolo (ROSADA 1992, p. 55, fig. 12, 8-9;
1993, p. 50, fig. 10, 8: PVBLICA). Saremmo in tal caso in presenza di un
bollo analogo a quelli che conosciamo ad Atri (CIL, I, 2322: POP(licus?)) o
nel Bruzio romano (CIL, X, 8041, 33: POP.V[AL] da Vibo Valentia, cfr. PEROTTI
1974, p. 80, fig. 3; CIL, X, 8041, 38: PVBLIC) o in Campania (CIL, I, 3475:
POPL(ica) NUCER(inorum) dal santuario di Hera al Sele). In quest’ultimo
caso sciolgo volutamente l’abbreviazione in popl(ica), cioè publica al nomi-
nativo femminile, perché ritengo che l’aggettivo faccia riferimento al termi-
ne tegula, che compare anche a Roma nei bolli laterizi della tarda repubblica
(MANACORDA 1985, p. 105 con riferimento in particolare ai bolli CIL, XV,
2232-2233), tanto che mi domando se nella lettera H dei bolli etruschi da
Sasso Pisano debba scorgersi non il nome di Populonia quanto piuttosto l’ini-
ziale del termine etrusco per tegola, che non conosciamo e la cui soluzione
lascio agli specialisti di lessico etrusco (ancor più incerta è la possibilità che la

©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 4
lettera sia l’abbreviazione della forma verbale h(ece/ecece)=fecit: cfr. TLE
566; ET, II, Pe 5.1; Ta 5.1; 7.59). Mi sembra, peraltro, che vada privilegiata
l’identificazione della località con le Aquae Volaterranae piuttosto che con le
Aquae Populoniae: concorre in tal senso anche il recente esame di un bollo su
dolio in lingua etrusca (l.velani.puina) da Rocca Pannocchieschi (Massa Ma-
rittima) che, per onomastica e paleografia, è stato giustamente posto in rela-
zione con il già citato bollo da Lustignano (CIACCI 2000) e che conferma la
presenza nell’alta valle del Cornia di possedimenti di famiglie chiaramente
legate all’aristocrazia volterrana (sul territorio volterrano cfr. FIUMI 1968 e,
da ultimi, MUNZI, TERRENATO 1994).
Quel che qui comunque ci interessa è il fatto che nell’entroterra di Po-
pulonia circolavano tegole distinte dalla presenza di bolli che ne certificava-
no la natura di bene pubblico, secondo un costume assai diffuso nel mondo
ellenistico, quando i bolli laterizi, anche nella loro forma più stringata, atte-
stano la proprietà dell’oggetto al momento della sua produzione. E questa
proprietà può manifestarsi attraverso l’indicazione: 1) del proprietario o del
gestore della fabbrica, che può identificarsi in un privato o in una istituzione
pubblica; 2) del committente, che (indipendentemente dalla proprietà dei
mezzi di produzione) può acquisire in fabbrica la proprietà del prodotto or-
dinato. E questa può essere a sua volta indicata o da una attestazione esplicita
di pubblica appartenenza o dal nome stesso del committente o dal nome
dell’edificio, abitualmente pubblico o sacro, cui è destinata la produzione
bollata di laterizi (cfr. MANACORDA 2000, pp. 132 ss.).
In area greca e magnogreca sono ben note già in età ellenistica le atte-
stazioni di proprietà pubblica o sacra dei laterizi ottenute mediante l’indica-
zione, più o meno abbreviata, della città, dell’etnico o degli aggettivi demosios/
ía (keramos/ís) o ierà/òi (ORLANDOS 1966, p. 94; GUARDUCCI 1969, p. 489;
MINGAZZINI 1970; MÜLLER 1976, p. 73, note 12 e 25; particolarmente ricco
di attestazioni di bolli pubblici è il caso di Velia, su cui cfr. GALLO 1966; per
nuove attestazioni di bolli con indicazione di proprietà sacra cfr.
VLACHOPOULOU-OIKONOMOU 1994, pp. 189-195).
Anche nel mondo romano tardo-repubblicano sono relativamente pre-
senti in area municipale bolli di carattere pubblico, che recano sotto varie
forme l’indicazione della città o dell’etnico, secondo la tradizione ellenistica
(cfr. MINGAZZINI 1970, pp. 421-423), o – come abbiamo visto – l’indicazione
esplicita publicus/a. Non mancano peraltro casi di abbinamento di queste
informazioni con quelle relative al produttore, anche mediante l’impiego di
due punzoni (ad es.: CIL, X, 8041, 37, da Vibo Valentia: PVBLICVS + C.STAI
RVFI); e sono abbastanza frequenti quelli attinenti ad edifici di culto, che
recano talora il nome della divinità: torniamo dunque più vicini al nostro
argomento, cioè ai bolli laterizi che recano nomi di divinità.
Oltre ai bolli di Venere provenienti da S. Angelo in Formis, già citati,
elenchiamo succintamente (in ordine alfabetico) una serie di altre attestazioni.

©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 5
Conosciamo un bollo da Pompei, letto su una tegola riutilizzata nella
Villa dei Misteri, con il nome di Cerere (CIL, I, 3471: CERER SAC +
SCAPVLA). Il CIL trascrive Cerer(i) sac(rum), ma sembra più convincente
leggere Cerer(is) sac(ra scil. tegula) con riferimento al tetto di un tempio o
sacello di Cerere. Anche questo esemplare presenta la particolarità di un
secondo bollo associato, che reca il nome di Scapula. Se nel bollo di Vibo
Valentia prima ricordato l’indicazione di pubblicità affiancava quella del
produttore, qui è l’indicazione di sacralità che viene dunque associata al
nome di un produttore. Scapula è stato messo ipoteticamente in relazione
con il figulus che bolla una tegola, edita tra le urbane, ma di provenienza
ignota (CIL, XV, 1415). Il cognomen è noto nella gens degli Ostorii ed è
stato riconosciuto in una abbreviazione di un altro bollo urbano (CIL, XV,
1393) riferibile alla seconda metà del I secolo d.C. La gens è nota in quegli
anni a Pompei (CASTRÉN 1975, p. 200), ma esiterei a trarre conclusioni,
anche in sede di cronologia (così come anche il CIL, che lascia aperto il
problema).
Conosciamo anche una serie di bolli con il nome di Ercole, in particola-
re dall’antica Capua (CIL, I, 3472): le tegole sono relative ad un santuario di
Ercole che è stato posto in relazione con il Lago d’Averno; da Mirabella
Eclano, nel Sannio (CIL, IX, 6078, 93: HERCVL); da Oppido Lucano, pro-
veniente dai recenti scavi condotti alla Masseria Ciccotti (GUALTIERI 2000, p.
331: HERCVLIS).
A Lanuvio conosciamo i bolli con la scritta SACRA LANVIO (CIL, I,
2296; S. 445; ILS 9234), che sono stati messi in relazione con il celebre
santuario di Giunone Sospite (su cui cfr. COARELLI 1987, pp. 141 ss.).
Sempre dall’area del Monte Tifata presso Capua si conoscono i bolli
che citano Mefite (CIL, I, 3473: MEFITV SACRA; CIL, X, 3811: MEFIT
V[TIA]N SACRA); mentre da Penne, in Abruzzo, proviene un’ampia serie
riferita all’età successiva alla guerra sociale (o all’età augustea: cfr. BUONOCORE
1997, pp. 250-252), che cita diverse divinità, tutte, si direbbe, al nominativo,
quali ancora Giunone, Ops, Vesta ed anche Venere (CIL, IX, 6078, 173; LA
REGINA 1967-68, pp. 416 ss., tav. XXI; BUONOCORE 1997, p. 251).
Non tutti i bolli che recano nomi di divinità devono essere necessaria-
mente interpretati come bolli di destinazione, dal momento che quei mate-
riali laterizi avrebbero anche potuto essere collocati sul mercato recando con
sé – con il nome del santuario – anche l’indicazione del responsabile della
loro produzione. Potrebbe essere il caso dei citati bolli con dicitura HERCVLIS
da Masseria Ciccotti che si prestano a due opposte interpretazioni, come
bolli di carattere commerciale, relativi a materiali prodotti presso il santua-
rio di Ercole ed immessi sul mercato, o come bolli di destinazione, presenti
su materiali laterizi apprestati per il santuario e giunti sul sito della villa di
Oppido Lucano in seguito a reimpiego o ad un uso improprio (che potrebbe
essere in tal caso giustificato dal rango sociale del proprietario della villa di

©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 6
Masseria Ciccotti, forse identificabile con lo stesso P. Veidius Pollio, che bolla
alcuni dei laterizi della villa). Il bollo, insomma, potrebbe (mi sembra un caso
marginale, ma è la situazione che si intravede ad Oppido Lucano) non indi-
care la presenza di un tempio nelle immediate vicinanze del luogo di rinveni-
mento, ma semmai nel circondario.
È qui che si inserisce il bollo sacro per noi più interessante, noto a quanto
mi risulta attraverso un solo esemplare, peraltro perduto, che fu visto a Pozzuoli
nel Settecento, e recava l’iscrizione VENERVS HERVC, cioè Veneris Eryc(inae)
(CIL, I, 2297). Si tratta di un bollo tardo-repubblicano, come indica anche la
morfologia grammaticale, che è stato interpretato o come un materiale giunto
via mare dal celebre santuario siciliano di Venere sul promontorio di Erice, o
piuttosto (e preferibilmente) come proveniente da un santuario di Venere Ericina
sulla costa campana, dove il culto, non altrimenti attestato a Pozzuoli, è co-
munque noto a Ercolano (VETTER 1953, p. 90, n. 107; si ricordi che anche il
promontorio del Circeo era dedicato a Venere, come attesta CIL, X, 6430=ILS
4037: ad promuntur(ium) Veneris public(um) Circeiens(ium)).

Bolli laterizi etruschi: una proposta di lettura

Ma torniamo nell’Etruria romana, dove, a parte i bolli di Sasso Pisano


già ricordati, il patrimonio dell’epigrafia doliare si fa davvero esiguo, ma non
per questo meno interessante.
Più di trenta anni fa, gli archeologi francesi impegnati nello scavo di
Volsinii novi (Bolsena) pubblicarono un bollo laterizio trovato a Poggio
Moscini «in una casa tardo-repubblicana eretta su fondazioni precedenti»
(BALLAND-TCHERNIA 1966). Il bollo, frammentario su tegola, proveniva da un
contesto pertinente ad uno scarico compreso tra la fine del III e il II secolo
a.C. Le lettere, in rilievo, seguono un andamento retrogrado; la parte iniziale
del bollo è andata perduta (Fig. 3).
La lettura [– – –]fuflunzl proposta dai primi editori fu leggermente emen-
data da Giovanni Colonna (1967a; ET, II, Vs 6.4), che rilevò la presenza di
un’interpunzione composta da due punti cilindrici (di cui uno perduto) e
dell’ultima lettera della parola presente in lacuna.
La lettura è dunque [– – –]+:fuflunzl, che Colonna, scorgendo nella
lettera in frattura un possibile digamma, propose di sciogliere in [a]v:fuflunzl,
interpretando la scritta come una formula onomastica (prenome + gentili-
zio), anche sulla scorta di un altro bollo volsiniese, rinvenuto nell’Ottocento
«al poggetto accanto alla rocca del Castello» (GAMURRINI 1882, p. 263; CO-
LONNA 1968; ET, II, Vs 6.4), letto [—]urs:aplus (Fig. 4) ed integrato in ipotesi
dal Cristofani in [velθ]urs:aplus (CRISTOFANI 1966, p. 348; ET, II, Vs 6.22).
Non sfuggirà la presenza di un nome di divinità, Fufluns (Dioniso-Libe-
ro) e Aplu (Apollo), in entrambi i bolli, interpretati a suo tempo dal Colonna

©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 7
piuttosto che come teonimi come gentilizi teoforici, anche sulla base di un
terzo bollo da Bolsena (Fig. 5) – raccolto in due esemplari nell’area della città
antica – che reca la scritta tintsle (ET, II, Vs 6.26-27), interpretata inizial-
mente come un gentilizio al nominativo (COLONNA 1967) e in seguito come
agentivo (COLONNA 1985, p. 113 nota 52).
L’interpretazione dei bolli di Volsinii Novi come gentilizi teoforici (en-
trata poi in letteratura: cfr. ad es. CRISTOFANI, MARTELLI 1978, pp. 126-127;
TAMBURINI 1986, pp. 223-224) si basa sulla presenza proprio nell’area di Or-
vieto e Bolsena di un certo numero di questo genere di gentilizi (COLONNA
1985, pp. 112-113), ma credo sia stata orientata anche dalla convinzione che
i bolli laterizi rappresentino in genere «marchi di fabbrica, in cui è lecito
attendersi non i nomi dei committenti, ma quelli dei produttori» (COLONNA
1967a) e non possano quindi contenere nomi di divinità. Ma abbiamo già
visto come le cose non stiano così, nel senso che i nomi di divinità presenti
sui bolli indicano non tanto o non solo il santuario come produttore, quanto,
più probabilmente, il tempio come destinatario delle tegole.
Che i tre bolli di Bolsena, provenienti da contesti diversi, registrino tutti
e tre casualmente ciascuno un diverso gentilizio formato sulla base di un nome
di divinità mi sembra coincidenza davvero straordinaria, anche se altrimenti
argomentabile. Ed anche il richiamo ad alcuni piattelli a vernice nera ad alto
piede, noti a Todi, che recano il bollo fuflunz (FALCONI AMORELLI 1973, pp.
317-319, nn. 100 e 103), potrebbe non essere sufficiente, se in quel nome,
invece del gentilizio dello stesso produttore delle tegole di Bolsena (COLONNA
1985, pp. 128-129, fig. 23), si volesse scorgere il teonimo stesso, Fufluns/z,
attribuendo agli oggetti un carattere votivo.
Come che sia, sembra legittimo domandarsi se a Bolsena non ci tro-
viamo in presenza di tre bolli su tegole che registrano i nomi delle tre divi-
nità cui erano dedicati i rispettivi templi cui le singole tegole apparteneva-
no.
Il bollo che nomina Tin ha una generica provenienza dalla città antica.
Il bollo che nomina Apollo proviene dall’area del Castello, dove nell’Otto-
cento furono rinvenuti – insieme con il bollo – alcuni cippi con dediche a
Tinia (GAMURRINI 1882, p. 263; BUCHICCHIO 1970, p. 31). Il bollo che nomina
Fufluns viene invece dal sottosuolo del tablino della casa detta “delle pittu-
re”, sorta sopra un edificio nel quale è stato riconosciuto un sacello dionisia-
co con ambiente sotterraneo probabilmente distrutto in seguito al senatus
consultum de bacchanalibus del 186 a.C. (PAILLER 1971; 1976, pp. 739 ss.;
1979; la distruzione potrebbe essere avvenuta dopo il 182 a.C. se dai livelli
di distruzione proviene l’anfora vinaria con titulus pictus nel quale avevo a
suo tempo tentativamente identificato la coppia consolare di quell’anno: cfr.
MANACORDA 1986, p. 585 nota 24, fig. 2). Il collegamento tra la natura del
contesto archeologico e il bollo [– – –]+:fuflunzl non mi risulta sia mai stato
tentato (per una bibliografia sul ritrovamento si veda MASSA PAIRAULT 1986),

©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 8
ma mi pare assai probabile che la tegola di Bolsena citi esplicitamente non il
produttore ma il dio Fufluns ed appartenesse al suo santuario.
Se Aplus è evidentemente un genitivo e Fuflunzl può essere inteso come
genitivo del teonimo Fufluns (CRISTOFANI-MARTELLI 1978, p. 126), il terzo
bollo da Bolsena, tintsle, nel quale il gruppo –ts è una variante grafica per s/
z, presenta il morfema –le, considerato agentivo da Colonna (1985, p. 113,
nota 52; cfr. COLONNA 1975a). In esso potrebbe essere riconosciuto quello
che H. Rix ha recentemente definito come pertinentivo, cioè quel caso che
sembra usato nei nomi che indicano tanto chi produce l’azione quanto chi ne
è interessato (RIX 1993, pp. 211, 215). Presente nei testi di alcuni sigilli con
iscrizioni di artigiani, interpretati come «fatto nell’officina di…» oppure «fatto
da…», esso può anche assumere una funzione di dativo, di indicazione del
destinatario, nel senso anche di una sorta di dichiarazione di pertinenza o di
proprietà: è esattamente il significato che vorremmo vedere nei nostri bolli,
che pensiamo infatti che possano in tal caso indicare la proprietà della tegola
da parte (del santuario) della divinità.
A sostegno di tale lettura si può anche osservare come nel bollo da
Poggio Moscini la presenza di un prenome, che favorirebbe l’interpretazione
del bollo come formula onomastica, è solo congetturale; anche nel bollo
rinvenuto presso il castello di Bolsena la V in frattura è molto incerta, ma la
pur cauta lettura [velθ ]urs da parte di Cristofani resta tuttora la più probabi-
le (ringrazio sentitamente Enrico Benelli per questa ed altre preziose osserva-
zioni, tra cui la difficoltà, da un punto di vista morfologico, del riconosci-
mento di un pertinentivo nella forma tintsle). In definitiva, riservando agli
specialisti un approfondimento dei tre casi specifici, sembra si possa comun-
que concludere che almeno nel caso del bollo fuflunzl la sua interpretazione
come indicazione del teonimo sia altamente probabile, anche perché confor-
tata da un’analisi del contesto archeologico di provenienza, e questo è ciò
che più ci interessa ai fini della nostra indagine.
Torniamo quindi a Populonia. Da quanto abbiamo sin qui visto nel-
l’Etruria costiera romana i pochi dati dell’epigrafia doliare ci dicono che era
certamente presente la pratica di indicare la condizione pubblica delle tegole
di un edificio (bolli di Sasso Pisano) e forse anche quella di indicarne la con-
dizione di proprietà sacra mediante il nome della stessa divinità (ipotesi di
lettura dei bolli di Bolsena). Ne deriva che la lettura VE(neris) per il bollo
dalle Logge è quindi plausibile, seppur non dimostrata, e si inserisce in una
pratica epigrafica ampiamente attestata nel mondo ellenistico ed italico e
non estranea all’ambiente etrusco romanizzato.
Per quanto riguarda l’insediamento di Sasso Pisano, vale forse la pena
di riflettere anche sugli altri due bolli (questa volta in latino) provenienti
dalla stessa area (anche se la loro origine appare assai più incerta, come mi
informa Anna Esposito, che ringrazio).

©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 9
L’uno, frammentario e consunto (MAGGIANI 1978, p. 366, tav. LXIX),
conserva solo le lettere iniziali: LVS[– – –], tanto che vien fatto di domandar-
si se esso non vada messo in relazione con il vicino prediale di Lustignano
(cfr. PERNIER 1911, pp. 126-128); l’altro, integro (Fig. 6), riporta tre sole
lettere: SIL (MAGGIANI 1978, p. 365, tav. LXIX). Non credo sia fuori luogo
suggerire in questo caso la presenza del nome di Silvano, divinità che anche
in Etruria era tra l’altro proposta alla protezione dei confini, come conferma
l’epiteto di selvans tularia inciso su un bronzetto della fine del IV secolo (cfr.
RENDELI 1993). L’incertezza della pertinenza dell’edificio-santuario di Sasso
Pisano al territorio di Populonia o non piuttosto a quello di Volterra darebbe
ulteriore peso ad una interpretazione che, tra i boschi dell’entroterra, vede
svilupparsi un culto di Silvano in “zona di confine”.

I culti di Populonia
È giunto ormai il momento di andare a vedere quanto la lettura VE(neris)
per i bolli delle Logge possa inserirsi nel quadro delle nostre conoscenze sui
culti di Populonia etrusca e romana. Il patrimonio di notizie è – come si sa –
molto scarso (NARDI 1996, pp. 200-201).
La nota iscrizione con dedica ad Atena (CIG, XIV, 2274) presente sul-
l’Apollo di Piombino (RIDGWAY 1967), rinvenuto nel XIX secolo in mare ai
piedi della punta delle Tonnarelle, può far ritenere che la statua provenisse
da uno dei templi dell’acropoli della città. Ma la questione è talmente incer-
ta, che mi limito qui a segnalarla lasciandola impregiudicata.
Segnalo anche l’ipotesi di lettura di un’iscrizione presente su un
thymiaterion proveniente dall’area del Conchino, nel quale è stato letto il
nome del dio Suri (MINTO 1943, p. 235), ipotesi in seguito contestata (MAG-
GIANI 1992, pp. 180-181); e la presenza, per l’età classica, di una dedica epi-
grafica a Cavtha, divinità solare etrusca, su uno skyphos attico a figure rosse
proveniente da scavi clandestini nella necropoli di S. Cerbone (CRISTOFANI
MARTELLI 1975: 475-450 a.C.; MARAS 1997; ET, II, Po 4.2, X.1).
Per l’età romana – ma lo sguardo è rivolto al passato – abbiamo a dispo-
sizione il noto passo di Strabone (V.2.6), in cui la descrizione della città [«Po-
pulonia…ora non è che un piccolo centro (polichnion) del tutto abbandona-
to (pan eremon) ad eccezione dei templi (plen tōn ierōn)e di poche costruzio-
ni (katoikiōn oligōn: poche catapecchie)…»] ci assicura che erano almeno
due i santuari superstiti dell’abbandono portato dalle guerre sillane. Super-
stiti, ma in stato di precaria sussistenza, o superstiti e sede di una attiva fre-
quentazione in seguito, magari, ad una rivitalizzazione, come quella ricostru-
ita da Filippo Coarelli (1987, pp. 113 ss.) per il santuario di Monte Sant’An-
gelo di Terracina, dove al più antico culto di Feronia si affianca, prevalendo,
il santuario sillano di Venere?

©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 10
Per la definizione del culto professato in uno almeno dei santuari di
Populonia abbiamo a disposizione solo il testo di Plinio (n.h. XIV.9), che fa
parte di una trattazione dedicata alla vite e al vino e che merita, nella sua
stringatezza, di essere riportato per intero nel suo contesto:
«La vite a buon diritto presso gli antichi era annoverata tra gli alberi anche
per la sua mole. Nella città di Populonia (in urbe Populonio) si può vedere una
statua di Giove, integra malgrado i secoli (tot aevis incorruptum), ricavata da
un’unica vite, e allo stesso modo a Marsiglia una pantera. A Metaponto il
tempio di Giunone si reggeva su colonne di legno di vite. Ancor oggi si sale sul
tetto del tempio di Diana ad Efeso per una scala ricavata da un’unica vite di
Cipro (una vite Cypria) poiché ivi, si dice, la vite raggiunge dimensioni enor-
mi. E non esiste legno più duraturo; io però propenderei a credere che per le
opere suddette sia stata impiegata una specie selvatica».

Due elementi attirano la nostra attenzione: l’antichità del simulacro


ligneo di Giove (tot aevis incorruptum) e l’accento posto da Plinio sul fatto
che la vite della scala del tempio efesino di Diana fosse una vite di Cipro,
luogo celebre per la grandezza di quel genere di piante. Nessuno dei due
elementi offre indizi sufficienti per attribuire a Giove uno dei santuari citati
da Strabone: il tempio di Giove era comunque all’interno della città (in urbe
Populonio) ed era per un romano del I secolo d.C. molto antico. Quel che
possiamo dire è comunque che la particolarità della statua di culto del Giove
di Populonia, ricavata da un tronco di vite e ricordata da Plinio tra i mirabilia
del suo tempo, trova – a mio giudizio – spiegazione nell’intima anche se
conflittuale connessione che legava il culto di Giove a quello di Venere nella
grande festa dei Vinalia priora. Quel 23 aprile sarà in Roma il dies natalis del
tempio di Venere Ericina (COARELLI 2000) ed era sin dal più remoto calenda-
rio il giorno dedicato al nuovo vino dell’ultima vendemmia, avviata il 19
agosto nell’altra grande festa dei Vinalia rustica, dove il binomio Giove-Ve-
nere torna di nuovo (SABBATUCCI 1988, pp. 132 ss., 273 ss.), come ritorna
nell’epiteto di Venere Iovia che distingue la dea del santuario pestano di S.
Venera (TORELLI 1999, pp. 55-61).
In questa sede ci limiteremo a vedere quali indizi archeologici ci porti-
no a Populonia sul cammino di Venere.
La presenza del mondo di Afrodite nella cultura populoniese di età clas-
sica e ellenistica è provata da una serie di documenti archeologici disparati,
noti da tempo. Si pensi innanzitutto alle celebri idrie di Meidias della fine del
V secolo, provenienti da una tomba del Podere S. Cerbone (MINTO 1943, pp.
197-198; ROMUALDI c.s.: sono grato a Antonella Romualdi di aver messo a
mia disposizione il testo del suo lavoro inedito); i vasi, che avevano «la fun-
zione di contenitori dell’acqua che serviva alla sposa per il bagno purificato-
re che avveniva prima delle nozze» (ROMUALDI 1998, p. 9), raffigurano l’uno
il mito di Faone, l’altro il mito di Adone, ben attestato in Etruria e in partico-

©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 11
lare a Gravisca, porto di Tarquinia (TORELLI 1977). Tra gli oggetti del corre-
do, interpretato nel senso di una simbologia strettamente legata al mondo
femminile connesso ad Afrodite, sono presenti uno specchio con una giova-
ne donna stesa su di una kline ed un Sileno nell’atto di alzarle le vesti, che è
stata interpretata non tanto e non solo come una normale scena erotica, quanto
piuttosto come una scena allusiva «ai riti di iniziazione, che dovevano marca-
re per la donna il passaggio dallo stato virginale a quello di sposa»; un bellis-
simo candelabro di bronzo sul cui coronamento il cigno richiama ancora una
volta il tema di Afrodite ed Adone, come lo conosciamo ad esempio su un
celebre specchio conservato all’Ermitage (LIMC, I, p. 215, n. 5, s.v. Achvizr);
ed anche una pisside di bronzo, anch’essa oggetto tipicamente femminile,
nella quale il pomello (ROMUALDI 1998, p. 12) è costituito dalla figura di un
piccolo ragazzino accovacciato dai tratti negroidi, su cui adesso non ci soffer-
miamo (sulla presenza dell’iconografia del negro alle Logge di Populonia si
veda il contributo di M.L. GUALANDI, in questo volume).
Tra gli altri materiali di provenienza populoniese sarà sufficiente ricor-
dare un piccolo torso in ambra riproducente il tipo dell’Afrodite pudica (MINTO
1943, p. 207); una fibula bronzea che reca disposta trasversalmente e saldata
all’interno dell’arco una piccola Afrodite pudica d’argento dello stesso tipo
(MINTO 1943, p. 208; ma di dubbia autenticità: cfr. BERTONE 1993); due
aryballoi o lekythoi ariballiche dipinti con Eroti che offrono doni ad Afrodi-
te rappresentata seduta o figurata a semplice busto, con la testa acconciata da
bende ed ornata di monili (MINTO 1943, p. 208); le molte raffigurazioni di
Lasa, personaggi alati pertinenti al corteo di Afrodite, presenti in particolare
su di uno specchio di bronzo proveniente dall’area dell’antico Navale e deco-
rato con espliciti attributi afroditici (MINTO 1943, p. 216; CIANFERONI 1992,
p. 31, fig. 57), quali il fiore di loto, l’alabastron, una patera in basso a sinistra
e un cigno in basso a destra; una oinochoe di produzione etrusca presente
nella Collezione Gasparri (n. 776a) con figura femminile con ricca veste de-
corata con croci, cerchi e onde correnti seduta di fronte ad una figura alata
(Turan ed Eros?: cfr. BRUNI 1992, p. 73, fig. 59); due stamnoi con danzatrici
ignude e attributi riferibili anch’essi al mondo di Afrodite e della sfera sessua-
le (MINTO 1943, pp. 218-219): l’una, con il capo cinto di bende, pendenti
agli orecchi, collana, armille ai polsi e alti calzari, regge nella destra un corno
potorio; l’altra danza con il manto ravvoltolato sulle braccia; dietro di lei
una piccola vasca su colonnetta; sul lato opposto altre due danzatrici (sul
tema della danza collegata al culto di Venere si veda VERZAR 1980).
Il mondo di Afrodite non è quindi assente dalla Populonia di età classi-
ca ed ellenistica. Nel dossier potremmo anzi anche versare qualche elemento
in più, a partire da un piattello di Genucilia con l’iscrizione etrusca cupriaś
graffita sul fondo del piede rinvenuto sporadico nella zona necropolare del
Poggio della Porcareccia (MINTO 1940, p. 394; 1943, pp. 249-250) e databile
alle fine del IV secolo a.C. (Fig. 7). Minto e Buonamici (1941) accostavano la

©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 12
forma, nuova per il lessico etrusco, al gentilizio cuprna, attestato a Chiusi su
di una tegola sepolcrale (CIE 2047: lari:cuprna), richiamando anche tuttavia
la Dea Cupra picena ed il Mars Cyprius iguvino. L’iscrizione è stata poi ripre-
sa recentemente in esame per i suoi aspetti paleografici (MAGGIANI 1992, pp.
183-184, p. 186, fig. 14, 31; ET, II, Po 2.32; per il piattello cfr. MANGANI 1992,
pp. 48, 57, n. 89) e per i suoi aspetti onomastici, essendo cupria l’unico esem-
pio, nella serie populoniese esaminata, di nome individuale in –ia, segnalato
come probabile «formazione mediante il suffisso italico femminile –ia del nome
cupre», che trova riscontro ad Aleria sul fondo di un coppa protocampana
datata all’inizio del III secolo a.C. (HEURGON 1973, pp. 560-562, n. 50).
Il termine Cuprei presente nel testo di Aleria (vinia caθ rnies mi cuprei)
viene giudicato dall’editore del graffito come un nome proprio, con ellissi
del verbo, derivato da un nome individuale cupre, di cui cuprei sarebbe il
femminile nominativo-accusativo. Poiché nella dedica – afferma Heurgon –
ci aspetteremmo tuttavia il genitivo maschile cupres, o quello femminile cupral,
la conclusione è che si tratti di un errore di scrittura, verificatosi all’interno
di una complessa ricostruzione, che coinvolge anche il graffito presente su di
un’altra coppa proveniente dalla stessa tomba.
Alla lettura proposta da Heurgon (vinia caθ rnies mi (turce) cupre<s>)
mi domando quindi se non sia possibile affiancare una diversa interpretazio-
ne, che riconosca nel costrutto mi cuprei una indicazione di possesso e nella
coppa l’oggetto del dono fatto da vinia a cuprei. E se Heurgon in nota ag-
giungeva che, per quanto fosse seducente, non poteva prendere in considera-
zione «l’ipotesi che vorrebbe identificare cuprei (ci vorrebbe infatti cupral)
con una dea Cypris», e ricordava che Strabone (V.4.2) attribuisce la fondazio-
ne del santuario di Cupra nel Piceno ai «Tirreni, che danno ad Hera il nome
di Cupra», non mi sentirei di escludere che l’iscrizione sul piattello di Aleria,
così come su quello di Populonia, più che la proprietaria dell’oggetto in vita
o la destinataria dell’oggetto in morte ne indichi invece la dedicataria, cioè
proprio Afrodite, secondo un’usanza diffusissima per la quale mi limito a
ricordare le ciotole etrusche a vernice nera di Pyrgi con dedica ad Uni (CO-
LONNA 1959, p. 233, fig. 79, p. 235 fig. 80; TLE, 877; ET, II, Cr 4.8-9: unial),
espressa, come la cupriaś di Populonia, al genitivo.
Il fatto che il piattello di Populonia provenga poi da un contesto di
necropoli sembra del tutto irrilevante, dal momento che la presenza di sacelli
e luoghi di culto frammisti alle città dei morti è ampiamente attestata così
come la presenza di dediche a divinità nei contesti funerari: basti pensare alla
già ricordata dedica a kavta dalla stessa Populonia.

La colomba di Afrodite
Tuttavia, anche se quanto abbiamo finora argomentato avesse un nocciolo
di verisimiglianza, nulla, se non il nostro bollo, ci parlerebbe di Venere sull’acropoli

©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 13
di Populonia. Per questo occorre ritornare al mosaico proveniente dalle Logge,
recentemente riesaminato (SHEPHERD 1999) che, in un contesto marino di gene-
re, inserisce, capovolta rispetto all’osservatore, una scena di naufragio. Quella
scena, vista dal suo naturale punto di osservazione, ci rivela una barca sul punto
di essere inghiottita dalle onde e tre naviganti concitatamente rivolti al cielo e
benedetti e protetti – a nostro modo di vedere – dal più classico simbolo di
Afrodite, la colomba, che si libra nell’aria, foriera di salvezza (sul tema sono
ritornato nel seminario su Populonia svolto a Siena nel marzo 2002; si veda per
ora il catalogo della mostra Il mare in una stanza. Un pavimento musivo dal-
l’acropoli di Populonia (Piombino 2002), a cura di A. Patera).
L’immagine della colomba di Venere è una immagine ambigua che si
svela solo dal punto di vista dei naviganti, nascosta nella forma del mollusco
che la contiene quando l’osservatore ammiri il tappeto musivo con la sua
fauna marina entrando nella piccola esedra recentemente individuata sulla
terrazza superiore dell’edificio (si veda il contributo, in questo volume, di
E.J. Shepherd, alla quale devo numerose indicazioni e preziose osservazioni
critiche, che rendono ovviamente soltanto me responsabile di quanto argo-
mentato in queste pagine).
Le immagini ambigue non sono frequenti nelle iconografie del mondo
classico, anche se rari esempi possono essere rintracciati non a caso proprio
nelle decorazioni musive, dove il ribaltamento del punto di vista è più facil-
mente praticabile, come, ad esempio, nel caso dell’emblema centrale del mo-
saico della domus presso il Palazzo di Giustizia di Ascoli Piceno (PASQUINUCCI
1975, p. 67, fig. 90; una bella riproduzione a colori in AMADIO 1997, pp. 8-9;
devo la segnalazione alla cortesia dell’amico Pietro Zander, che sentitamente
ringrazio; si veda anche il caso – già ricordato da M. Pasquinucci – dell’em-
blema del mosaico di una villa di Diekirch (Lussemburgo) edito in PARLASCA
1959, p. 20, tavv. 23, 2 e 24, 1.
Nel nostro caso l’immagine ambigua del mollusco, ribaltata, ci sembra
dunque palesare l’epifania della Astarte fenicia, della grande dea cipriota
(KARAGEORGHIS 1977), dell’Afrodite Ericina, della dea euploia di Cnido (Paus.,
I.1.3) e di tanti altri santuari marittimi (si veda da ultimo MIRANDA 1989,
PUGLIESE CARRATELLI 1992, GIUFFRIDA 1996), benevola guida ai naviganti.
Al centro di quel mosaico, movendo da tutt’altre premesse, P.G.P.
Meyboom (1977/78, p. 216) avrebbe visto volentieri una immagine di Vene-
re marina. Le tracce di un perduto emblema centrale potrebbero ben essere
interpretate infatti come l’alloggio di un labrum o di una base di statua (cfr.
SHEPHERD 1999, p. 131 nota 39 e in questo volume). Ma su Afrodite, il suo
culto, i suoi santuari marittimi e la sua relazione con la lavorazione dei me-
talli (KARAGEORGHIS 1977, pp. 113-114), le sue ierodule e le sue colombe
converrà ritornare in altro momento, in attesa che la prosecuzione degli sca-
vi alle Logge dia qualche maggiore elemento di giudizio.
DANIELE MANACORDA

©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 14
Bibliografia

A.A. AMADIO (a cura di), 1997, Ascoli Piceno, Ascoli.


A. BALLAND, A.TCHERNIA, 1966, «REE, SE», 34, pp. 314-315.
S. BERTONE, 1993, Fibula di bronzo con figurina di Venere d’argento, «Rassegna di
archeologia», 11, pp. 287-292.
J. BODEL, 1990, A new Roman brickstamp from Etruria, «JRA», 3, pp. 159-162.
A. BRUGNONE, 1986, I bolli delle tegole della necropoli di Lipari, «Kokalos», 32, pp.
181-282.
S. BRUNI, 1992, Le ceramiche con decorazione sovradipinta, in Populonia in età elle-
nistica. I materiali dalle necropoli (Firenze 1986), Firenze, pp. 58-109.
F.T. BUCHICCHIO, 1970, Note di topografia antica sulla Volsinii romana, «MDAI(R)»,
77, pp. 19-45.
G. BUONAMICI, 1941, «REE, SE», XV, p. 370.
M. BUONOCORE, 1997, Nuovi testi dall’Abruzzo e dal Molise (Regiones II e IV),
«Epigraphica», 59, pp. 231-266.
P. CASTRÉN, 1975, Ordo Populusque Pompeianus, Roma.
A. C IACCI , 2000, Un bollo doliare etrusco da Rocchette Pannocchieschi,
«AnnFacLettSiena», 21, pp. 71-81.
G. CIAMPOLTRINI, 1980, Un nuovo frammento di CIL, XI, 1735. CIL XI 1734 e 1735
«ritrovate», «Epigraphica», 42, pp. 160-165.
G. CIAMPOLTRINI, 1994, Gli ozi dei Venulei. Considerazioni sulle “Terme” di Massa-
ciuccoli, «Prospettiva», 73-74, pp. 119-130.
G. CIAMPOLTRINI, 1994-95, Note per l’epigrafia di Populonia romana, «Rassegna di
archeologia», 12, pp. 591-604.
G. CIAMPOLTRINI, 2000, Il territorio di San Miniato e i Venulei, in Segni e lettere, a
cura di G. Ciampoltrini e M.C. Guidotti, San Miniato, pp. 91-96.
G.C. CIANFERONI, 1992, I reperti metallici, in Populonia in età ellenistica. I materiali
dalle necropoli (Firenze 1986), Firenze, pp. 13-41.
F. COARELLI, 1987, I santuari del Lazio in età repubblicana, Roma.
F. COARELLI, 2000, Venus Erucina, «LTVR», V, Roma, pp. 114-116.
G. COLONNA, 1959, in Santa Severa (Roma). Scavi e ricerche sul sito dell’antica Pyrgi
(1957-58), «NSA», pp. 224-261.
G. COLONNA, 1967, Volsinii, «REE, SE», 35, pp. 539-545.
G. COLONNA, 1967a, Volsinii, «REE, SE», 35, pp. 562-563.
G. COLONNA, 1968, Volsinii, «REE, SE», 36, p. 255.
G. COLONNA, 1975, Ager Populoniensis: Sasso Pisano, «REE, SE», 41, pp. 201-202.
G. COLONNA, 1975a, A proposito del morfema etrusco –si, in Archeologica. Studi in
onore di Aldo Neppi Modona, Firenze, pp. 165-171.
G. COLONNA, 1985, Società e cultura a Volsinii, «AnnFondFaina», 2, 1985, pp. 101-
131.
M. CRISTOFANI, 1966, Volsinii, «REE, SE», 34, pp. 337-350.
M. CRISTOFANI, 1975, Osservazioni preliminari sull’insediamento etrusco di Massaro-
sa (Lucca), in Archaeologica. Scritti in onore di Aldo Neppi Modona, Firenze,
pp. 183-203.
M. CRISTOFANI, M. MARTELLI, 1978, Fufluns Paxies. Sugli aspetti del culto di Bacco in
Etruria, «SE», 46, pp. 119-133.
M. CRISTOFANI MARTELLI, 1975, Populonia, «REE, SE», 43, pp. 213-215.
M.A. DEL CHIARO, 1999, The Villa of Publius Anilius. A Roman Villa in the Marem-
ma, Tuscany, in Le ville romane dell’Italia e del Mediterraneo antico, a cura di
M. Aoyagi e S. Steingraber, Tokyo, pp. 96-107.

©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 15
A.M. ESPOSITO, 1997, Dalla terra degli Etruschi, «Archeo», 146, pp. 58-67.
ET – Etruskische Texte, I-II, a cura di H. Rix, Tübingen, 1991.
M.T. FALCONI AMORELLI, 1973, Tuder, «REE, SE», 41, pp. 314-320.
F. FEDELI, 1983 Populonia. Storia e territorio, Firenze.
E. FIUMI, 1968, I confini della diocesi ecclesiastica del municipio romano e dello stato
etrusco di Volterra, «Archivio Storico Italiano», 126, pp. 23-60.
G. GALLO, 1966, I bolli sui mattoni di Velia, «PP», 12, pp. 366-377.
F. GAMURRINI, 1882, Bolsena, «NSA», pp. 262-265.
M. GIUFFRIDA, 1996, Afrodite Euploia a Cipro?, «Kokalos», 43, pp. 341-348.
M. GUALTIERI, 2000, Figlinae, domi nobiles ed approvvigionamento di laterizi nel-
l’Italia centro-meridionale: due casi di studio, in La brique antique et médiévale.
Production et commercialisation d’un matériau (St. Cloud 1995), a cura di P.
Boucheron, H. Broise, Y. Thébert, Rome, pp. 329-340.
M. GUARDUCCI, 1969, Epigrafia greca, II, Roma.
J. HEURGON, 1973, Les graffites d’Aléria, in J. e L. JEHASSE, La nécropole préromaine
d’Aléria, Paris, pp. 547-576.
J. KARAGEORGHIS, 1977, La grande déesse de Chypre, Paris.
A. LA REGINA, 1967-68, Ricerche sugli insediamenti vestini, «MAL», ser. VIII, 13, pp.
363-446.
A. MAGGIANI, 1978, Ager Populoniensis (?), Sasso Pisano, «REE, SE», 46, pp. 364-366.
A. MAGGIANI, 1978a, Ager Volaterranus, «REE, SE», 46, pp. 324-325.
A. MAGGIANI, 1992, Le iscrizioni di età tardo classica ed ellenistica, in Populonia in
età ellenistica. I materiali dalle necropoli (Firenze 1986), Firenze, pp. 179-
192.
D. MANACORDA, 1985, L’interpretazione della villa. Dai Sestii agli imperatori, in Set-
tefinestre. Una villa schiavistica nell’Etruria romana, I, a cura di A. Carandini,
Modena, pp. 101-106.
D. MANACORDA, 1986, A proposito delle anfore cosidette “greco-italiche”: una breve
nota, in Recherches sur les amphores grecques, «BCH», suppl. XIII, pp. 581-
586.
D. MANACORDA, 1989, Le anfore dell’Italia repubblicana: aspetti economici e sociali,
in Anfore romane e storia economica: un decennio di ricerche (Siena 1986),
Roma, pp. 443-467.
D. MANACORDA, 2000, I diversi significati dei bolli laterizi. Appunti e riflessioni, in La
brique antique et médiévale. Production et commercialisation d’un matériau
(St. Cloud 1995), a cura di P. Boucheron, H. Broise, Y. Thébert, Rome, pp.
127-159.
E. MANGANI, 1992, La ceramica a figure rosse, in Populonia in età ellenistica. I mate-
riali dalle necropoli (Firenze 1986), Firenze, pp. 42-57.
D.F. MARAS, 1997, Populonia, «REE, SE», 63, pp. 413-414.
F.H. MASSA PAIRAULT, 1986, Il trono di Bolsena. Contributo allo studio dei Baccanali
in Italia, in Archeologia della Tuscia, II, pp. 181-187.
P.G.M. MEYBOOM, 1977-78, A roman fish mosaic from Populonia, «BABesch», 52-
53, pp. 209-220.
P. MINGAZZINI, 1970, Elenco di bolli di mattoni pubblici, «RAL», 25, pp. 403-429.
A. MINTO, 1940, Populonia. Nuova tomba a camera scoperta sul Poggio della
Porcareccia, «NSA», pp. 375-397.
A. MINTO, 1943, Populonia, Firenze.
E. MIRANDA, 1989, Osservazioni sul culto di Euploia, «MiscGrRom», XIV, Roma, pp.
123-144.

©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 16
P. MÜLLER, 1976, Gestempelte Ziegel, in Studia Ietina, I, a cura di H. Boelsch e H.P.
Isler, Zürich, pp. 49-76.
M. MUNZI, N.TERRENATO, 1994, La colonia di Volterra. La prima attestazione epigra-
fica e il quadro storico e archeologico, «Ostraka», 3, pp. 31-42.
G. NARDI, 1996, Populonia, «BTCGI», XIV, Pisa, pp. 199-249.
ORLANDOS, 1966, Les matériaux de construction et la technique architecturale des
anciens Grecs, I, Paris.
J-M. PAILLER, 1971, Bolsena 1970. La maison aux peintures, les niveaux inférieurs et
le complexe souterrain, «MEFRA», 83, pp. 367-402.
J-M. PAILLER, 1976, «Raptos a diis homines dici…» (Tite-Live, XXXIX, 13): les
Bacchanales et la possession par les Nymphes, in Mélanges offerts à Jacques
Heurgon, Roma, II, pp. 731-742.
J-M. PAILLER, 1979, Le dépôt de terres cuites. Essai d’interprétation, in Bolsena V. La
maison aux salles souterraines. I. Les terres cuites sous le péristyle, «MEFRA»,
Suppl. 6 , Roma, pp. 251-261.
K. PARLASCA, 1959, Die römischen Mosaiken in Deutschland, Berlin.
M. PASQUINUCCI, 1975, Studio sull’urbanistica di Ascoli Piceno romana, in U. LAFFI,
M. PASQUINUCCI, Asculum I, Pisa, pp. 1-147.
M. PASQUINUCCI, 1990, L’acquedotto romano, in AA.VV., San Giuliano Terme. La
storia e il territorio, I, Pisa, pp. 165-179.
M. PASQUINUCCI, S. MENCHELLI (a cura di), 1989, Pisa: le terme “di Nerone”, Pontede-
ra.
L. PERNIER, 1911, Lustignano, «NSA», 1911, pp. 126-128.
E. PEROTTI, 1974, Bolli laterizi rinvenuti a Vibo Valentia, «Klearchos», 16, pp. 77-
104.
G. PUGLIESE CARRATELLI, 1992, Sul culto di Afrodite Euploia in Napoli, «PP», 47, pp.
58-61.
M. RENDELI, 1993, Selvans tularia, «SE», 59, pp. 163-166.
B.S. RIDGWAY, 1967, The Bronze Apollo from Piombino in the Louvre, «Antike Plastik»,
VII, pp. 43-75.
H. RIX, 1993, La scrittura e la lingua, in Gli Etruschi. Una nuova immagine, a cura
di M. Cristofani, Firenze, pp. 199-227.
A. ROMUALDI, 1998, Una donna di rango a Populonia. Guida alla mostra, Firenze.
A. ROMUALDI, c.s., La tomba delle hydrie di Meidias, «MDAI(R)», in corso di stampa.
G. ROSADA (a cura di), 1992, Asolo. Teatro romano: lo scavo 1991, «Quaderni di
Archeologia del Veneto», VIII, pp. 46-59.
G. ROSADA (a cura di), 1993, Asolo. Teatro romano: lo scavo 1992, «Quaderni di
Archeologia del Veneto», IX, pp. 40-52.
D. SABBATUCCI, 1988, La religione di Roma antica, Milano.
E.J. SHEPHERD, 1985, Testimonianze di commercio marittimo a Populonia in età ro-
mana, «Rassegna di archeologia», 5, pp. 173-188.
E.J. SHEPHERD, 1999, Populonia, un mosaico e l’iconografia del naufragio, «MEFRA»,
111, pp. 119-144.
M. STEINBY, 1979, La produzione laterizia, in Pompei 79, a cura di F. Zevi, Napoli,
pp. 265-271.
P. TAMBURINI, 1986, Volsinii, «REE, SE», 54, pp. 222-224.
TLE = M. PALLOTTINO, Testimonia Linguae Etruscae, Firenze, 19682.
M. TORELLI, 1977, Il santuario greco di Gravisca, «PP», 32, pp. 398-458.
M. TORELLI, 1999, Paestum romana, Paestum.
M. VALLEBONA, 1989, Una famiglia senatoria e le terme, in PASQUINUCCI, MENCHELLI
1989, pp. 21-23.

©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 17
M. VERZAR, 1980, Pyrgi e l’Afrodite di Cipro, «MEFRA», 92, pp. 35-84.
E. VETTER, 1953, Handbuch der italischen Dialekte, I, Heidelberg.
A. VLACHOPOULOU-OIKONOMOU, 1994, Τα σφραγισµατα κεραµιδων απο το ιερο
∆ωδωνης, «Hesperia», Suppl. XXVII, pp. 181-216.
P. ZANKER, 1997, La maschera di Socrate, Torino.

©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 18

Potrebbero piacerti anche