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muore convenientemente – di

crepacuore – e il marito sposa


Isabella, che ha ottenuto
l’annullamento del matrimonio
grazie a Giulente; don Blasco,
smonacato, vive con la famiglia
della sua favorita e, diventato
ricco, acquista beni del
convento. Consalvo stupra una
pettinatrice ed è pestato dai fratelli
della vittima; se la scampa con
l’aiuto di Giulente,
ora assessore comunale, e decide
di cambiare vita: vuol fare politica
e si dedica agli studi. Don Blasco,
diventato
sostenitore della sinistra, festeggia
la presa di Roma col popolo, in
piazza. Raimondo ritorna a Catania
con Isabella, di
cui è totalmente disamorato,
portandosi un harem di donne.
La terza parte – dal 1872 al 1882 –
descrive il degrado dei familiari e
l’ascesa al parlamento di
Consalvo. Don Eugenio,
il più indigente degli Uzeda, spera
di far fortuna con il suo Araldo
Siciliano, storia delle famiglie
nobili siciliane. Vestito
di stracci, va di casa in casa per
vendere i volumi. Fratelli e sorella
lo evitano. Giulente lo accoglie
bene ma la moglie,
ora disamorata perché si vergogna
dei suoi modesti natali, rifiuta di
aiutare lo zio. Ansioso di affermare
la propria
autorità, e bisognoso di alleati in
famiglia, il principe acquista i
diritti editoriali dello zio a un
prezzo infimo – in futuro
profitterà dall’insperata fortuna
dell’Araldo Siciliano –, ma
l’esercizio del suo potere è ormai
limitato alla docile figlia
Teresa e alla moglie; Consalvo,
preso dalla politica della sinistra,
tralascia perfino di sedere alla
tavola del padre. Don
Blasco muore e il principe falsifica
il testamento con l’aiuto della
famiglia dell’amante dell’ex
monaco e diventa erede
universale. I parenti impugnano il
testamento e passano alle vie
legali. La famiglia è a brandelli.
Il principe vuole che Consalvo
prenda moglie e al suo rifiuto
rompe definitivamente i rapporti,
considerandolo anche
iettatore. Alle elezioni del 1874 lo
zio duca è rieletto; Consalvo
diventa assessore comunale e poi,
a ventisei anni,
sindaco. L’alterigia degli Uzeda
non gli dà tregua: stringere le mani
della gente comune è per lui un
tormento. Il padre
lo evita; e quando lo incontra fa
scongiuri. Chiara ha “adottato” un
bastardo che il marito ha avuto da
una serva e vive
con il ragazzo a cui tutto è
concesso e che la malmena.
Teresa, pur amando il cugino
Giovannino, accondiscende a
sposarne il fratello Michele.
Giovannino impazzisce e si toglie
la vita. Ferdinando il babbeo, che
da villano alla
Robinson Crusoe si è tramutato in
dandy cittadino, muore. Consalvo
si dimette da sindaco quando si
rende conto che
la sua amministrazione ha
contratto debiti insostenibili e che
col nuovo suffragio elettorale,
quasi universale, potrebbe
essere eletto in parlamento.
Baldassarre, mastro di casa e
bastardo Uzeda che al matrimonio
di Teresa si è dimesso
per manifestare la sua
disapprovazione, lo aiuta nella
campagna elettorale per diventare
deputato al posto di
Giulente, a cui lo zio duca aveva
promesso la candidatura.
Una volta eletto, Consalvo fa visita
alla prozia Ferdinanda e le espone
la propria visione politica: “La
storia è una
monotona ripetizione. Gli uomini
sono stati, sono e saranno sempre
gli stessi. Le condizioni esteriori
mutano; certo, tra
la Sicilia di prima del Sessanta,
ancora quasi feudale, e questa di
oggi pare che ci sia un abisso; ma
la differenza è tutta
esteriore. Il primo eletto col
suffragio quasi universale non è né
un popolano, né un borghese, né
un democratico: sono
io perché mi chiamo principe di
Francalanza”. E conclude con: “La
nostra razza non è degenerata: è
sempre la stessa”
GUIÓN DEFINITIVO

CONTESTO STORICO:

muore convenientemente – di
crepacuore – e il marito sposa
Isabella, che ha ottenuto
l’annullamento del matrimonio
grazie a Giulente; don Blasco,
smonacato, vive con la famiglia
della sua favorita e, diventato
ricco, acquista beni del
convento. Consalvo stupra una
pettinatrice ed è pestato dai fratelli
della vittima; se la scampa con
l’aiuto di Giulente,
ora assessore comunale, e decide
di cambiare vita: vuol fare politica
e si dedica agli studi. Don Blasco,
diventato
sostenitore della sinistra, festeggia
la presa di Roma col popolo, in
piazza. Raimondo ritorna a Catania
con Isabella, di
cui è totalmente disamorato,
portandosi un harem di donne.
La terza parte – dal 1872 al 1882 –
descrive il degrado dei familiari e
l’ascesa al parlamento di
Consalvo. Don Eugenio,
il più indigente degli Uzeda, spera
di far fortuna con il suo Araldo
Siciliano, storia delle famiglie
nobili siciliane. Vestito
di stracci, va di casa in casa per
vendere i volumi. Fratelli e sorella
lo evitano. Giulente lo accoglie
bene ma la moglie,
ora disamorata perché si vergogna
dei suoi modesti natali, rifiuta di
aiutare lo zio. Ansioso di affermare
la propria
autorità, e bisognoso di alleati in
famiglia, il principe acquista i
diritti editoriali dello zio a un
prezzo infimo – in futuro
profitterà dall’insperata fortuna
dell’Araldo Siciliano –, ma
l’esercizio del suo potere è ormai
limitato alla docile figlia
Teresa e alla moglie; Consalvo,
preso dalla politica della sinistra,
tralascia perfino di sedere alla
tavola del padre. Don
Blasco muore e il principe falsifica
il testamento con l’aiuto della
famiglia dell’amante dell’ex
monaco e diventa erede
universale. I parenti impugnano il
testamento e passano alle vie
legali. La famiglia è a brandelli.
Il principe vuole che Consalvo
prenda moglie e al suo rifiuto
rompe definitivamente i rapporti,
considerandolo anche
iettatore. Alle elezioni del 1874 lo
zio duca è rieletto; Consalvo
diventa assessore comunale e poi,
a ventisei anni,
sindaco. L’alterigia degli Uzeda
non gli dà tregua: stringere le mani
della gente comune è per lui un
tormento. Il padre
lo evita; e quando lo incontra fa
scongiuri. Chiara ha “adottato” un
bastardo che il marito ha avuto da
una serva e vive
con il ragazzo a cui tutto è
concesso e che la malmena.
Teresa, pur amando il cugino
Giovannino, accondiscende a
sposarne il fratello Michele.
Giovannino impazzisce e si toglie
la vita. Ferdinando il babbeo, che
da villano alla
Robinson Crusoe si è tramutato in
dandy cittadino, muore. Consalvo
si dimette da sindaco quando si
rende conto che
la sua amministrazione ha
contratto debiti insostenibili e che
col nuovo suffragio elettorale,
quasi universale, potrebbe
essere eletto in parlamento.
Baldassarre, mastro di casa e
bastardo Uzeda che al matrimonio
di Teresa si è dimesso
per manifestare la sua
disapprovazione, lo aiuta nella
campagna elettorale per diventare
deputato al posto di
Giulente, a cui lo zio duca aveva
promesso la candidatura.
Una volta eletto, Consalvo fa visita
alla prozia Ferdinanda e le espone
la propria visione politica: “La
storia è una
monotona ripetizione. Gli uomini
sono stati, sono e saranno sempre
gli stessi. Le condizioni esteriori
mutano; certo, tra
la Sicilia di prima del Sessanta,
ancora quasi feudale, e questa di
oggi pare che ci sia un abisso; ma
la differenza è tutta
esteriore. Il primo eletto col
suffragio quasi universale non è né
un popolano, né un borghese, né
un democratico: sono
io perché mi chiamo principe di
Francalanza”. E conclude con: “La
nostra razza non è degenerata: è
sempre la stessa”
Dopo l'unità d'Italia nel 1860, gli ideali e lo spirito decadono a causa della vittoria, e
con questa nuova realtà emerge un modello narrativo diverso, basato sulla negazione
del progresso storico, il ciclo del romanzo risorgimentale. Questo periodo inizia con I
Viceré di Federico di Roberto, che racconta la svolta storica del Risorgimento, un
successo molto significativo per l'Italia meridionale.

La trama è ambientata tra il 1855 e il 1882, a partire dai primi moti pro-Savoia e pro-
unificazione nazionale in Sicilia fino all'instaurazione del nuovo sistema. De Roberto
racconta la crisi di un gruppo sociale, la borghesia meridionale, che aveva visto
nell'unità politica nazionale una speranza di riscatto e di cambiamento.

TRAMA DELLA STORIA:

Il romanzo ruota attorno a una famiglia nobile siciliana, gli Uzeda di Francalanza, di
antiche origini spagnole; essi ricevono il titolo di viceré nella prima metà del XVI secolo,
e la famiglia si chiama ancora così nella Catania di fine Ottocento, dove il romanzo è
ambientato. Il romanzo racconta la storia della famiglia, composta da numerosi
personaggi. Inizia con la morte di Dona Teresa Uzeda, la potente matriarca che nei
decenni precedenti aveva fatto uscire la famiglia dalla miseria economica,
governandola con il pugno di ferro e imponendo con la forza la sua volontà a tutti i
figli. Alla morte della matriarca, non solo i sette figli, ma anche i fratelli e le cognate si
interessano al testamento lasciato da Doña Teresa: tutti, infatti, vogliono una parte
dell'eredità o, almeno, vogliono avere voce in capitolo nella sua distribuzione.
Scopriamo subito che Dona Teresa, contrariamente alla tradizione consolidata, non ha
lasciato l'intero patrimonio al figlio maggiore, come era consuetudine tra le famiglie
nobili, ma lo ha diviso tra Giacomo, il maggiore, e Raimondo, il figlio minore e
prediletto. Il testo si concentra poi sulle invidie, gli intrighi e le complesse
macchinazioni che questa decisione genera. Giacomo cercherà di riconquistare ciò che
sente essergli stato rubato dall'irrazionalità della madre.

Il contesto politico e storico è di grande importanza. La famiglia è tradizionalmente


molto fedele alla dinastia dei Borbone, il cui governo sta per essere rovesciato dalla
caduta del Regno delle Due Sicilie e dalla nascita del Regno d'Italia unificato. Ma se
all'inizio è solo il Duca ad avere idee liberali, nel corso del romanzo molti personaggi
cambieranno politica per approfittare della mutata situazione e mantenere il
protagonismo che avevano durante il regime precedente.

Inoltre, il libro ritrae tutti i personaggi come pazzi, lunatici, dementi e irascibili, le cui
reazioni e i cui comportamenti sono tutt'altro che trasparenti e sfiorano sempre la
malattia e la nevrosi, tanto da lasciare il lettore sempre in dubbio sulla loro sanità
mentale. In generale, è presente in tutti i membri della famiglia; la follia e la pazzia
sono rappresentate come un destino inevitabile per la famiglia Uzeda, qualcosa che è
in qualche modo inscritto nei loro geni.

È una cosa che hanno nel sangue e che fa di questi viceré persone incontrollabili, avide
ed egoiste, propense alla pazzia e alla rabbia irrazionale. E li fa anche molto brutti, con
le eccezioni di Raimondo e Teresina, che vengono presentati come una conferma della
regola. Il concetto della degenerazione dell'antico sangue nobile e della sua corruzione
nel corso dei secoli è probabilmente più evidente nei frammenti che introducono
questi due personaggi;

Tra i progenitori più lontani c’era quella mescolanza di forza e di grazia che formava la bellezza
del contino [Raimondo]; a poco a poco, col passare dei secoli, i lineamenti cominciavano ad
alterarsi, i volti s’allungavano, i nasi sporgevano, il colorito diveniva più oscuro; un’estrema
pinguedine come quella di don Blasco.
La bellezza bianca e bionda, fine, delicata, quasi vaporosa della fanciulla non aveva riscontri
nella famiglia dei Viceré. La vecchia razza spagnuola mescolatasi nel corso dei secoli con gli
elementi isolani.

ANALISI GENERALE:

VISIONE DI FAENZA:

In questa analisi, inizierò parlando della visione del regista e dell'autore.

Per cominciare, I Viceré de Faenza ritrae una storia familiare concreta: il conflitto
generazionale tra padre e figlio, il protagonismo individuale delle decisioni di Giacomo,
in qualità di capofamiglia, e di sottrarre ai suoi parenti la loro eredità, l'uso del potere
arbitrario e i soprusi nei confronti dei membri della sua famiglia.

Faenza spiega nel suo film una stagnazione politica derivata da opportunismi e
personaggi confusi con la trasformazione politica.
Faenza crea una struttura che riflette solo il potere.

VISIONE DI DE ROBERTO:

De Roberto, al contrario, pone come protagonista una famiglia nata per governare e,
attraverso la sua critica, la ritrae con una serie di atti nefasti.

Per esempio, anche se questo personaggio compare solo nel libro. Lodovico Uzeda è
un personaggio rappresentativo attraverso le sue manipolazioni delle istituzioni e delle
gerarchie ecclesiastiche e l'opportunismo nella sua carriera da monaco a cardinale.
Essendo un Uzeda, c'è una ricerca di potere.

Allo stesso modo, le reazioni agli eventi storici o gli sforzi del Duca e di Consalvo per
raggiungere il potere politico, le loro manipolazioni nel farlo, non sono incluse nella
narrazione filmica. Nel romanzo, questi aspetti danno un'immagine di persone nate per
governare e di come le loro decisioni abbiano un impatto sull'ambiente sociale.

NARRAZIONE CONSALVO COME PROTAGONISTA

IL FILM:

Faenza, come ho detto, si concentra sul conflitto generazionale tra padre e figlio. Nel
corso del film, Consalvo ama e protegge la madre e la sorella, ma critica il
comportamento del padre e gli racconta le sue mancanze come padre. Inoltre,
nonostante lo stupro di una giovane contadina, si pente del suo comportamento e
Consalvo viene visto come l'eroe del film. Vuole che lo spettatore sia in grado di
immedesimarsi.

Inoltre, nel film, tutti i conflitti e quasi tutte le situazioni familiari sembrano marcare
Consalvo, che attraverso i suoi occhi ci rivela la sua famiglia e i suoi problemi. Il regista
vuole che si faccia una critica psicologica fin dall'inizio, per capire cosa prova Consalvo
in ogni momento.

IL LIBRO:
Al contrario, nel romanzo è un personaggio abominevole e amorale dall'infanzia all'età
adulta. La narrazione onnipresente dell'autore rivela la bruttezza psicologica dei
personaggi e del loro mondo, da cui sia il lettore che l'autore prendono le distanze con
disgusto.

Nella parte finale del romanzo, Consalvo fa visita all'anziana zia, che non ha ancora
perdonato il nipote per il suo cambiamento di appartenenza politica, e le spiega
perché sta perseguendo la carriera politica. Ciò che gli interessa, quasi irrazionalmente,
è il potere e il mantenimento dei privilegi che i viceré hanno sempre avuto. In questo
senso, Consalvo, per rassicurare la vecchia zia, le dice: "la nostra razza non è
degenerata: è sempre la stessa".

SCENE SPECIFICHE:

CHIARA

IL FILM:

Il film sottolinea la stagnazione di una società corrotta e il modo in cui gli individui ne
sono coinvolti. Questo avviene in due modi: attraverso l'impegno politico del Duca e
attraverso la reinterpretazione di Consalvo come protagonista. La carriera politica del
Duca occupa solo tre brevi scene nel film. In uno di essi, la famiglia si è ritirata nella
villa del Belvedere per sfuggire al colera, il Duca informa lo spettatore dell'imminente
scomparsa del regno borbonico e della formazione di un nuovo partito liberale. Il Duca
annuncia di essere stato invitato a partecipare a questa festa dall'avvocato Giulente e
che intende accettare, perché il Duca darà la sua fedeltà purché non corra rischi e
possa usufruire dei privilegi. La scena si conclude con un taglio sul balcone e l'annuncio
di una cameriera che Chiara sta per partorire. Il bambino nasce morto e non se ne
parla fino a poche scene dopo, quando Consalvo e Teresina vedono il bambino
deforme in un barattolo di vetro. Perdendo così quel messaggio che l'autore aveva
chiarito.

Nel romanzo, questo episodio segna la fine della prima parte. Chiara dà alla luce: "un
pezzo di carne formato, una cosa innominabile, un pesce col becco, un uccello
spiumato; quel mostro senza sesso aveva un occhio solo, tre specie di zampe" (263).14
Questo bambino malformato, "il prodotto più fresco della razza dei Viceré". C’è una
simmetria tra il parto di Chiara e la prima elezione parlamentare del neonato Regno
d'Italia. Il capitolo è costruito giustapponendo grandi blocchi narrativi che seguono
questi due filoni: in uno vengono descritti i preparativi di Chiara per l'arrivo del
bambino e il suo aborto, nell'altro la candidatura, l'elezione e il primo discorso politico
del duca Gaspare. Tale costruzione narrativa interpreta e gioca sull'ansia riproduttiva
che caratterizzava l'immagine della nazione come "comunità di stirpe". Collegando la
nascita del mostro con l'ascesa politica del duca Gaspare a Roma si pone in essere un
motivo suggestivo che allude al timore che il mostruoso figlio dei Viceré, portando con
sé il sangue corrotto della sua vecchia stirpe, si sposti nel cuore della nazione, e da lì sia
in grado di corrompere e infiltrare l'intera nazione.

IL ROMANZO DI TERESA CON GLI UOMINI

Teresina componeva di tanto in tanto un valzer una mazurka oppure sinfonie senza
parole. Viste le lodi di tutti, Don Cono, parlò un giorno all’assessore di pubblici
spettacoli perché desse ordine il direttore della musica cittadina di concertare anche lui
le composizioni della principessina. Questo assessore agli spettacoli era Giuliano
Biancavilla, Un giovane sulla trentina fine ed elegant.
Donna Graziella con tutte le sue precauzioni non poté impedire che il giovane
assessore mettesse gli occhi addosso a Teresa. Appena accortasi di quella commedia la
principessa ogni cosa al principe ed entrambi convennero che doveva essere pazzo per
ambire ad una. In inverno il barone curcuma diede alcuni balli. Donna Graziella non
aveva ancora presentato Teresa in società. Ma la prima sera vi trovo Giuliano
Biancavilla. Il giovane pensò di farsi presentare e di ballare con Teresa. Ma Graziella si
oppose ad un secondo ballo. Teresa pianse allungo nascondendo le proprie lacrime.
Anche i Biancavilla sapevano che gli Uzeda non avrebbero mai consentito a quel
matrimonio ma il giovane che era proprio cotto insisteva giorno e notte presso la
madre e il padre perché facessero la richiesta tanto che un giorno Biancavilla padre
prese il suo coraggio e andò a parlare con il duca che rispose che ne avrebbe parlato al
principe. Giacomo gli ripeté che erano pazzi. Persa ogni speranza Giuliano Biancavilla
parti.

Teresa non pensava più a Giuliano, dimenticava il proprio dolore, atterrita da


quell'odio vile. Doveva al padre rispetto, obbedienza e amore e credendo suo dovere
ripagarlo della ribellione di Consalvo, gli obbedì ciecamente e lo servì umilmente.
Una domenica d'estate la portarono a trovare sua zia Radali. La duchessa ricambiò la
visita con i suoi figli e i rapporti ripresero con più intricati di prima. A poco a poco,
Teresa sentì aumentare la sua ammirazione per la bellezza di Giovannino.

La rete di persuasioni si strinse intorno a Teresa. La matrigna gli disse che Giovannino,
per non essere di ostacolo alla felicità del fratello, aveva dato esempio di obbedienza
ed era andato ad Augusta. Teresa fece solo un patto, che suo padre facesse pace con
suo fratello e le sue zie. Giacomo acconsentì.
Il portiere chiamò Consalvo nella stanza attigua e lo informò del suicidio di Giovannino.
Consalvo uscì di casa ordinando al serbo di non dire niente a nessuno. Poiché Teresa
non era estranea all'atto, il suicidio doveva essere nascosto a Teresa stessa, alla
famiglia, al paese. Appena entrato nella stanza dove giaceva a terra il cadavere,
esclamò che il povero Giovannino pensava che la rivoltella fosse scarica e che fosse
una disgrazia. Nessuno seppe rispondere e prima che potesse aggiungere, la giustizia
prese l'arma che il morto aveva in pugno, prese cinque cartucce che gli erano rimaste e
le mise in mano al cadavere.

DISCORSO E LA CARRERA POLITICA DI CONSALVO:

Il discorso elettorale è uno delle pezzi centrali nel ritratto di consalvo del romanzo. È
costellato di applausi, che contrastano con i commenti beffardi e l'opposizione
sprezzante. Alla fine di una diatriba di nove pagine, uno spettatore commenta: "Ora
che ha parlato il mio sai dire che ha detto?" (640) Il percorso storico e le teorie
economiche di consalvo si presentano con la più grande beffa. Questo discorso, che
dovrebbe segnare il trionfo di consalvo, lo ritrae in un crescendo psicologico come un
megalomane; evidenzia l'cosificazione e la disumanizzazione di consalvo. Se le
representa en una lucha extenuante y febril: "non ne poteva più, sfiancato, rotto,
esausto da una fatica da istrione: parlava da due ore [...] si sgolava come un ciarlatano
per vendere la sua pomata"(640). Nel romanzo, il suo tormento e il suo dispiacere
durante la campagna per dover visitare le province e incontrare la gente contrastano
con l'escursione panoramica e soleggiata attraverso la campagna mostrata nel film: "Lì
in quelle stanze piccole [...] affollate di povera gente dalle mani callo- se, cominciava il
suo tormento"(612) o "la notte stentava a prender sonno, con la mano scottata dal
contatto di tante mani sudice, ruvide, incallite, infette"(616). Il narratore si impegna a
mostrare l'enormità dei suoi sforzi per ottenere un risultato che supera solo
marginalmente, con 54 voti, il candidato successivo, il borghese avvocato Vazza (641).
La rappresentazione di Faenza, invece, è quella di una campagna molto più moderata,
elegante e riservata. Il consalvo si proietta come una persona fondamentalmente
buona, la cui esperienza di vita lo ha portato a reagire per sopravvivere al mondo
spietato che lo circonda.

CONCLUSIÓN:

I Viceré è un romanzo troppo fastidioso e scomodo per istituzioni come la chiesa o la


politica, o per la cellula di base della società italiana: la famiglia. Per non parlare della
struttura letteraria, una struttura difficilmente riproducibile in immagini, una struttura
corale e polifonica in chiave decisamente espressionista. Un romanzo critico, polemico
con la sua lettura della storia del paese, profanando le fortune progressiste del
Risorgimento, una rappresentazione del potere come in un circo dove gli astuti
intriganti ci allontanano dalla vera idea di progresso.

Consalvo diventa così un personaggio diverso da quello del romanzo, si allontana per
essere la nostra guida nel mondo dei viceré di Faenza.

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