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Risoluzione

I 50 Parlamentari, unitamente ai dirigenti e agli eletti del Pdl, con il


Forum di Selinunte, hanno inaugurato un metodo. Un metodo di
lavoro, di approfondimento e di confronto al tempo stesso.
La nascita del Pdl, quel che si definisce un nuovo soggetto politico
unitario che raccolga in un unico contenitore le varie anime politiche
del centrodestra, non può essere frutto di una semplice operazione di
assemblaggio decisa dall’alto, né tantomeno di una “fusione a freddo”
del tutto simile a quella che ha riguardato il Pd. Né, peraltro, tutto si
può ridurre ad un puro calcolo aritmetico ,fatto di dosaggi percentuali
tra le forze che al Pdl danno vita. In politica i numeri hanno la loro
importanza (il peso della rappresentanza va commisurato alla effettiva
capacità di raccogliere consensi numericamente significativi), ma per
dar vita ad una formazione politica duratura, in grado di incidere
profondamente nel cambiamento del Paese e di radicarsi nel tempo, in
un contesto tendenzialmente bipartitico (oltre il bipolarismo), ci vuole
dell’altro.

Intanto ci vuole una base di riferimento culturale omogenea. Una


visione , un comune sentire, una passione da animare e da condividere.
Il Presidente Berlusconi con la sua straordinaria percezione della
voglia di cambiamento avvertita dalla comunità nazionale ha impresso

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una accelerazione nella costruzione di una fase nuova nella storia
politica italiana e non solo italiana. Al suo intuito ed alla sua
proverbiale concretezza dobbiamo gran parte del successo del
centrodestra. Non è un caso che il suo pragmatismo, trasferito
nell’azione di governo, abbia di fatto accresciuto il consenso fino al
punto da far cadere il pregiudizio dell’establishment verso i governi.

Il pragmatismo, come azione concreta attraverso cui si realizza un


programma elettorale, è certamente utile e necessario, ma non è
sufficiente per fondare una forza politica.
Occorre un “progetto” culturale di vasto respiro, qualcosa in più della
declinazione attenta e metodica del metodo del fare, che pure, in una
Italia umiliata e piegata dai governi di centrosinistra, si rivela nel
tempo breve il miglior antidoto e il più utile strumento per uscire dalla
crisi e rimettere in marcia il Paese .
Le speculazioni intellettuali, le analisi di spessore, i ragionamenti forti
in questi ultimi tempi sul versante del centrodestra non sono mancati.
Ma, se si fa eccezione per alcune coraggiose e non scontate analisi, si
registra ancora una certa afasia del pensiero contemporaneo sul
versante del post-ideologismo.
Il dibattito di idee, vera linfa su cui costruire non artificiose
palingenesi ma più concrete formule di aggregazione e una più chiara
“vision” del futuro, rischia di passare in second’ordine facendoci
annaspare in una indistinta confusione dei linguaggi.
Eppure, come è stato scritto di recente, proprio perché partito post-
ideologico, il Pdl dovrebbe pensarsi come il coagulo di disagi e
proposte, di dinamiche sociali avanzate e di diffuse tendenze
modernizzatrici, punto d’incontro, insomma, tra istanze tradizionali e
sentimenti innovatori nella sfera delle istituzioni pubbliche.

Un partito, insomma, il Pdl degli italiani, moderno e interprete dei


valori più autentici della Nazione, al tempo stesso.

Il Forum di Selinunte offre questa opportunità di dibattito. Un


dibattito che si deve allargare fino a farsi metodo nella costruzione del
Pdl e della sua conseguente azione politica.
In tempi di “antipolitica” vogliamo orgogliosamente rivendicare al Pdl
il compito di restituire alla Politica il suo primato.

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La crisi che viviamo non è solo una crisi economica. E’ soprattutto
una crisi morale e sociale. E’ crisi del modello europeo finora
dominante in Europa ed è il prodotto di un errore. “Il mercatismo, ha
acutamente sottolineato Tremonti, - la riduzione dell’ideologia
dell’uomo nel mercato – esisto per consumare, consumo e dunque
esisto – basa infatti la sua essenza su di un calcolo troppo sintetico, un
calcolo che si sta dimostrando sbagliato. Per non continuare
nell’errore non basta dire che ora al mercato si deve aggiungere la
politica. Non basterebbe questo esercizio, perché finora il mercato è
stato ed è esso stesso la forza politica prevalente avendo ancora,
proprio il mercato, il quasi totale monopolio culturale e materiale
dell’esistente. Fino a che è così, c’è spazio dunque solo per il mercato e
non per la politica”.
Serve allora una politica alternativa al mercatismo. Per farla serve una
filosofia politica diversa, una filosofia che ci sposti dal primato
dell’economia al primato della politica.

Ogni filosofia politica ha bisogno di una base su cui poggiare, di una


visione della società, di una cultura e di un ethos. Al potere della
politica spetta poi il compito di tradurre tutto questo in un nuovo
inventario di valori su cui forgiare una offerta risolutiva alle crescenti
domande della società moderna.
La questione che si pone è allora quella di come dar corpo e sostanza
ad un circuito propulsore di idee e di quali formule adottare che non
siano ripetitive di vecchi schemi culturali e di categorie del pensiero
ormai superate dal tempo o sconfitte dalla storia.

La forte leadership di Berlusconi e la personalizzazione delle politica


dell’ultimo decennio hanno supplito a questo vuoto aperto dalla
debolezza della politica. Nella convinzione che la gamma delle
domande politiche potesse essere assorbita nella funzione dei leader si
sono rarefatti i luoghi stessi della politica e mortificati i processi di
selezione delle classi dirigenti. La stessa rappresentanza elettiva, ai
vari livelli, ha subito il contraccolpo di una affievolita partecipazione
alla politica della gente oltre che di una mancata opzione
meritocratica. Il mercato mediatico, con le sue regole e le sue esigenze,

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ha fatto il resto , in termini di banalizzazione del messaggio politico e
di frantumazione dei linguaggi. Non più pensiero lungo e progetti,
bensì semplificazione fine a se stessa e destrutturazione delle regole
democratiche su cui poggiare la scelta dei propri rappresentanti.
Occorre integrare i nuovi luoghi della politica e un nuovo afflato
partecipativo con la forte leadership di Berlusconi.

Se è irreversibile l’indirizzo bipolare sul quale il nostro Paese ha


ancorato la nuova fase nella cosiddetta seconda Repubblica appare
del tutto evidente che l’approdo verso il bipartitismo appare più
complesso ed articolato.
Di questa complessità bisogna aver piena consapevolezza,
approfondirne gli aspetti positivi e indagarne le criticità.

Dal Forum di Selinunte emerge la urgenza di avviare un serio e ampio


dibattito, coinvolgente i livelli territoriali di rappresentanza elettiva
del Pdl, che fissi regole e strutture capaci di dare forma e sostanza al
nuovo soggetto politico unitario.
Se, come appare logico, avviandoci verso un assetto federalista dello
Stato (anche se ancora non è chiaro quale sarà il modello definitivo),
aumenta il peso e il ruolo delle regioni e del territorio, risulterebbe
antiquata e poco efficace una organizzazione partitica di vecchio
stampo, che non riflettesse nella sua organizzazione il modello
regionalista. Ma sarebbe ancor più grave se , fin dal varo del progetto
costituente del nuovo soggetto politico degli italiani, non si facesse leva
su metodi e regole democratici, sia nella selezione delle rappresentanze
che dei livelli dirigenziali del nuovo partito.

Il tema della democrazia interna apre anche la riflessione sulle


preferenze.

Una analisi attenta dovrebbe muovere dal riconoscimento della crisi


del Parlamento. Una crisi, in parte, indotta dalla montante retorica
dell’antipolitica che lo descrive come luogo di privilegi, abitato da una
casta ingorda e nullafacente. Ma in gran parte dovuta a regolamenti
vecchi, a riti bizantini fuori dal tempo e, non ultimo, ad un ceto
parlamentare di fatto delegittimato rispetto agli altri livelli elettivi
dalla mancanza di una specifica investitura popolare.

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Ci limitiamo a queste considerazioni per far salire da Selinunte la
forte richiesta di un ritorno alle preferenze, appropriato metodo per
restituire ai cittadini la libertà di scegliere, nell’ambito del partito, la
persona cui affidare la delega della rappresentanza.

Il Pdl, sia alla Camera che al Senato, ha il più grande gruppo di


parlamentari della storia repubblicana. Occorre gestirlo con forti
motivazioni e regolamenti più rispondenti alla nuova fase politica. Il
rischio di un affievolimento dell’ entusiasmo dei neofiti e di una
progressiva demotivazione dei deputati e dei senatori è molto alto. I
Gruppi andrebbero strutturati e organizzati in modo diverso. Così
pure il lavoro delle Commissioni andrebbe diversamente articolato.
Per quanto urgenti siano i provvedimenti del Governo, non può
ripetersi all’infinito il rito dei decreti legge, espropriando il
Parlamento dei suoi compiti e delle sue prerogative legislative. Allo
stesso tempo il Parlamento non può essere di ostacolo, con lungaggini
procedurali e sterili discussioni, alla attuazione del programma
dell’Esecutivo. La proposta è allora quella di ripensare al suo ruolo, in
un contesto di urgente riforma costituzionale e di ancor più urgente
riforma regolamentare.

In questo contesto il Forum invita a porre nel calendario delle riforme


la Riforma Costituzionale. Una Riforma che rilanci il
Presidenzialismo, che superi il bicameralismo perfetto, che
razionalizzi il sistema del potere locale ed elimini le contraddizioni
insite nella riforma del Titolo V varata a suo tempo dal centrosinistra.

L’avvio di una fase Costituente che delinei la Nuova Repubblica


completa e rafforza la costruzione del modello federale dello Stato.

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